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Ritmo come fusione: osservazioni su un disegno di Paul Klee

Il concetto di ritmo, con il suo immediato rimando ala segmentazione temporale, sembra in
insanabile contrapposizione con la nozione di continuità: il ritmo taglia, profila, orienta, nel
continuo, non è possibile separare, perché ogni cosa appare interconnessa all’altra, in modo diretto,
nessuna profilatura è possibile, e l’omogeneità non può un orientamento, perché è in grado di
sostenerli tutti.
L’opposizione concettuale non è emendabile, pena la caduta in un’insanabile contraddizione:
eppure, soffermandoci un poco attorno a questo problema, così ovvio, molti aspetti di dettaglio ci
appaiono meno lineari di quanto la forma definitoria lasci immaginare.

Il disegno che stiamo vedendo mostra una linea che crea un gioco fra oggetti, di cui traccia
la superficie, meglio ancora la ritaglia, senza arrestarsi mai. La dialettica della figura è interna a
questo processo, e mostra la continuità espressiva della figurazione, non il ripetersi di un modulo.
La poietica della musica è la stessa poetica della pittura, e trova il proprio fondamento in un
elemento espressivo.
Una linea continua sembra annodare i velieri leggermente mossi, del 1927: nel disegno, le
superfici si intersecano e si suddividono, senza che ci sia offerta la possibilità di cogliere il punto di
separazione fra le superfici. Anche quando le figure si staccano fra loro, l’intricarsi delle linee, che
volutamente mette da parte la trasparenza o l’opacità della figura, rimando ad una implacabile
messa in evidenza del tratto, che unisce tutte le barca: è un modo assolutamente poetico per
costruire una tensione ritmica, che passa attraverso il configurarsi delle superfici, e dei rispettivi
rapporti. Il beccheggiare della nave è una delle grandi immagini della regolarità del ritmo, anche nei
suoi impennamenti più brutali.
Nel disegno Klee suggerisce che la nozione di ritmo vada presentata come un evento, che
determina il taglio prospettico, e come uno schema, che segue gli orli delle vele, le fa curvare tra di
loro, le stringe e le separa. Una poetica della natura si è fatta intreccio configurativo: le piccole
differenze non hanno bisogno della brutalità della tempesta: la natura è intreccio impercettibile, e
collegamento nascosto fra il senso delle forme.
In questo contesto, diventa difficile distinguere cosa sia struttura da quanto sia
ornamentazione: portando a maturazione un disegno in cui la connessione fra le barche si fa
continua, drammatizzando i nessi strutturali interni, l’aspetto ornamentale, la piccola cesura o il
minuscolo tratto che tiene unite tra loro le forme in polifonia, assume lo stesso peso della struttura.
Ogni punto dello spazio raffigurativo cerca una continuazione nell’altro, costituendo un piccolo
sistema di agganci interni, in cui il dettaglio non è altro che una drammatizzazione della
trasformazione di una forma nell’altra. Se volessimo intendere ogni forma di pittura come
un’analisi della realtà, dal nostro disegno emerge un generale senso di coesione, una tendenza delle
cose a legarsi tutte tra loro, attraverso piccoli snodi, che lo sguardo, come forma di costituzione che
insegue il darsi degli oggetti all’interno dell’immagine, connette unendo le cesure, i punti di
discontinuità, con piccoli tratti. Le forme respirano assieme, non riescono a staccarsi tra loro,
perché , in fondo, vediamo una macroforma che si articola secondo una schema temporale, che crea
coesione fra tutte le sue componenti:dentro alla figurazione, all’interno della logica che la
costituisce, la distinzione fra tratti, o fra fasi distinte nel movimento degli oggetti nello spazio, trova
una particolarissima forma di connessione temporale.
Una vela continua l’altra, un tratto si intreccia con altri, anche se nella realtà si separa. A ben
guardare il senso interno di ogni forma è connessione con l’altro, anche se l’altro è spazialmente
lontano e, in linea di principio, potrei chiedermi se parlo di barche o di una rappresentazione in cui
il singolo elemento, la stessa barca, in diversi momenti,traccia una configurazione complessa. La
morfologia ritmica connette ciò che è diverso e racconta la trasformazione dell’unità, perché il
ritmo segmenta ciò che, nei nessi interni della rappresentazione, è unità funzionale. Se vedo che una
vela continua nell’altra, il nesso della rappresentazione è interno al modificarsi della figura. La
logica interna del disegno sostiene il coagularsi delle piccole forme in una configurazione possibile,
che rimanda all’unità della cosa dipinta: molte parole, troppe forse, per dire che o scorrere
dell’istante si trasforma nella logica interna che trasforma in rete il flusso del tempo, o meglio
ancora che lo spazio si è fatto struttura temporale.
Nella struttura temporale, i velieri sono tutti connessi, anche quando dovrebbero separasi: vi
è una configurazione, un taglio prospettico attraverso cui essi si danno, ma è proprio quel taglio,
quell’orientamento prospettico, quel taglio che apre la possibilità di cogliere una serie di relazioni,,
va fondendo le rappresentazioni in un’unica grande struttura, in cui i sottoritmi del movimento sono
tutti connessi tra di loro, e fusi assieme. La struttura logica, che tiene uniti tutti i punti della
raffigurazione, ora prende consistenza. Siamo di fronte ad una sottilissima dialettica ritmica, che ha
alle sue spalle, in modo forse inconsapevole, un’antica teoria ritmica, quella della continuità fra
cesure. Di cosa si tratta?
In modo schematico, tracce di questa teoria emergono nei frammenti di un antico testo musicale
sul ritmo, che ha di mira la tensione plastica che si crea fra le minuscole cesure che permettono di
far increspare una superficie temporale, articolandola secondo un andamento determinato:negli
Elementa Rhythmica 1 di Aristosseno (354 – 300 a. C.), che si preoccupa immediatamente di
avvisarci che perché vi sia percezione del ritmo, è necessario che il fenomeno ritmico si articoli
secondo rapporti che si ripetano e che possano essere mimati da gesti. Ma come possiamo
suddividere il tempo?
La distinzione 2 che ci interessa è fra quantità continue e discrete. Delle quantità, scrive
Aristotele, una è continua, l’altra è discreta (Tou= deÍ posou= to\ meÍn e)sti diwrismeÍnon, to\ de\
sunexeÍj). Nella quantità discreta le parti hanno una posizione, sono cioè ben scandite,

1
Aristoxenus, Elementa Rhythmica. The Fragments of Book II and the additional evidence for Aristoxenean Rhythmic
Theory. Texts edited with introduction, transalation and commentary by Lionel Parsons, Clarendon Press, Oxford, 1990.
Ci occupiamo del secondo libro, l’unico che ci sia arrivato in una versione integrale.
2
Aristotele, Le Categorie, introduzione, traduzione e note di Marcello Zanatta,Bur, Milano, 1989. Il passo cui mi
riferisco è Cat6, 4b 20ce sgg.
individuabili, separate fra loro, mentre in quella continua le parti di cui è costituita hanno tutte un
confine comune. Aristotele indica come esempi di quantità discrete il numero ed il discorso parlato.
I numeri, sono entità concrete, aggregati puntuali che individuano quantità, e tipologie di relazioni,
e non godono di contiguità: allo stesso modo, il discorso scandito dalla voce , che è fatto di parole,
cioè da aggregati di una quantità discreta di sillabe che vengono enunciate nella scansione. Il
discorso parlato è dunque il discorso sillabato, che si esprime attraverso cadenze della voce: esso
esiste solo mentre risuona. Le parti del discorso non permangono, ma, appena dette, si perdono:
manca una sostanza che garantisca continuità. Tuttavia, vi è una tensione che mantiene l’intero.
La linea, la superficie, il corpo, il luogo sono invece quantità continue, che hanno confini
comuni: nella linea, il punto, nella superficie, la linea, nel solido geometrico, la linea come spigolo
e la superficie come sezione, nel tempo, l’istante, per il luogo, il limite del corpo contenuto. Tutta il
campo della spazialità è così caratterizzato da un reciproco coimplicarsi, da un appartenersi delle
parti, dall’impossibilità di separare qualcosa, senza perdere l’intero. Di fronte ad una quantità
continua vista come forma di compenetrazione intima delle parti, la transizione non solo il carattere
dello scivolamento nell’omogeneità, ma quello della transizione da una dimensione all’altra.
Per Aristotele il discorso è il luogo della discontinuità, del sezionamento della parola attraverso
la gabbia metrica. Aristosseno dà al discorso una piega diversa: la metrica determinata dalla
scansione è la superficie del problema ritmico, il suo segno: ma l’aspetto decisivo nell’elaborazione
musicale del verso o nell’andamento ritmico del canto sta nella transizione fra le fasi di questa
discontinuità, come accade , ad esempio, quando passiamo da un vocale ad un’altra in una linea di
canto sillabata.
Il ritmo deve permettere che le sillabe si inanellino l’una nell’altra nella morbidezza
dell’attacco, nella continuità del salto che ci fa passare da una vocale ad un’altra, come accade per il
canto, che non deve dare l’idea di uno scalino, ma di un segmento continuo. In questo senso la
rythmopoia sostiene la tecnica del canto, e smorza le cesure dell’accento: nel verso le frazioni delle
parole si abbracciano tra loro, vengono scandite, frenate, ma facendo collimare quelle discontinuità
nell’attacco del suono. Sarebbe imprudente tracciare parallelismi diretti, ma vi è sicuramente una
continuità di intenti fra disegno in cui i tratti fanno emergere la figurazione del continuo, e
quest’interpretazione del piccolo attacco di suono, che trasforma il silenzio in una forma di
collegamento nell’emissione di un fonema o di una sillaba. La pittura sta usando, nei propri
intendimenti, un concetto musicale.

§ 1 Il ritmo come modo di darsi degli oggetti nella totalità delle loro trasformazioni

Per comprendere il rapporto che lega la pittura di Klee alla musica, dobbiamo accettare
placidamente un’idea di derivazione romantica: per il nostro autore, l’arte è il regno dove si possono
declinare la totalità dei punti di vista su un oggetto. Spieghiamoci con un esempio, per chiarire
quella che sembra essere una banalità. Un suono ed un’oggetto concreto, come una sedia, hanno
alcune differenze sostanziali: il suono è processo che dura, non può essere toccato, non ci si può
girare attorno, non lo si può neppure fermare: si diffonde nello spazio, e corre nel tempo, mentre lo
ascoltiamo, va già trascorrendo. Possiamo cogliere le vibrazioni attraverso cui si diffonde, ma anche
quelle vibrazioni non interagiscono passivamente con noi: sono l’immagine di un flusso.
La cosa, qualsiasi cosa, occupa un punto nello spazio, può essere localizzata, esplorata, toccata,
si muove attraverso un reticolo di coordinate che possiamo schematizzare. La cosa appartiene al
regno dello spazio, il suono alla dimensione del tempo. Ed un’immagine, potrebbe chiederci Klee, a
quale dei due regni appartiene?
Un’immagine è nello spazio, ma in un modo tutto particolare: essa è in un quadro, in una foto, io
posso girare attorno al supporto che la sostiene, ma non attorno all’immagine. Se giro attorno al
quadro, potrò, al massimo, vedere il retro della tela. L’immagine appartiene allo spazio, porta
dentro di sé un riferimento al tempo, ma non è un oggetto come tutti gli altri. Cosa ne è della nostra
distinzione iniziale? L’immagine, secondo Klee, corre parallela ai due piani, allo spazio ed al
tempo, non si lascia incardinare in nessuna di queste due coordinate.
Nell’immagine non vi è una figura, ma una figurazione, una forma in movimento. In fondo le
cose che ci circondano, nel momento in cui diventano immagine, si trasformano: vi è una sorta di
magia: se il nostro sguardo segue la forma di una foglia, il sistema delle sue venature interne, il
ricamo delle cellule che ne circondano i tessuti, trasformandosi in rete, la foglia non è più una
semplice forma data, ma una figurazione in movimento.
Le cose sono sempre il prodotto di un formarsi, un formarsi che le accompagna nel loro divenire:
anche nella forma più modulare che si possa immaginare, anche in un rombo di plastica,
monocromo, la luce si distende sulla materia, si addensa su alcuni punti, piuttosto che su altri. Lo
sguardo deve seguire l’intreccio dei lati: dall’angolo si dipartono, in parallelo, le figurazioni, che
chiudono il piano:l’attacco della figura si completa, isola una sezione, ma quella sezione è
movimento, linea che traccia un orlo. Lo schematismo geometrico tradisce la propria origine dal
continuo, e nel continuo, il chiudersi della figura è questione di punti. La teoria della figurazione,
anche nei suoi esiti discretistici, ci parla di microforme, microprocessi, che si addensano nel
chiudersi di ogni figura.
Ogni cosa vive in questo processo di trasformazione continua:ogni cosa, come un volto umano, che
muta impercettibilmente la propria espressione, e ridisegna incessantemente i propri tratti, il piano
dell’espressione è terreno di piccole trasformazioni, nel sorriso, nel pianto o nello sguardo assorto,
una continua metamorfosi di piccole coordinate determina la transizione da un’espressione all’altra.
Sotto la forma data, dobbiamo riconoscere la figurazione, dietro all’oggetto, il movimento.
Il movimento percorre tutti gli oggetti, ma gli oggetti ci stanno di fronte, si stabilizzano, sono
apparentemente fermi. Ma cosa significa essere fermi, in un mondo in costante movimento?
Significa condensarci in un ritmo, assumere una scansione determinata. Ecco il primo problema, ed
ecco il primo concetto musicale, che Klee tenta di esportare nel suo sistema concettuale: la nozione
di ritmo. Klee suggerisce che

Il ritmo possiamo afferrarlo con tre sensi: in primo luogo udirlo, secondo, vederlo;terzo,
sentirlo nei nostri muscoli: è per questo che il suo effetto nei suoi muscoli è tanto potente.

Così cita Daniela Gamba, che ha scritto una tesi di grande equilibrio sul rapporto che lega Klee
alla musica, da cui traggo gran parte di queste suggestioni. Questo testo, purtroppo inedito, disegna
con finezza le linee generali di un confronto fra Klee e la musica, senza schiacciare il piano visivo
su quello acustico, ma cercando un meditato parallelismo fra i concetti strutturali che informano di
sé tali ambiti.
Torniamo a Klee. Il ritmo può essere naturale, come quello delle stagioni o della respirazione, una
salita in diagonale nell’inspirazione, una discesa in verticale, verso il riposo, nell’espirazione, può
essere un ciclo, come quello che oppone l’oblio delle tenebre alla vitalità della luce.

Nelle forme ritmiche, il tempo sembra avere una direzione, e l’aspetto grafico diventa decisivo: i
respiri non hanno tutti la stessa ampiezza, vi è una continua variazione rispetto al modulo. Non vi è
un semplice schema, ma un oggetto che muta in grandezza, in intensità, come le linee si
trasformano nel loro spessore. L’aspetto della ripetizione fa tutt’uno con l’evocazione di una forma
che muta, rispetto alle trasformazioni sensibili determinate dal rapporto qualitativo che lega i due
momenti. La stessa rappresentazione del ciclo dei giorni subisce lo stesso destino:

Andrebbe osservato che, fin dall’inizio, due direzioni si intrecciano: si parte dall’alto o si parte
dal basso? Non lo sappiamo, l’aspetto affascinante della rappresentazione sta nel cercare un
intreccio tra due nodi, che hanno lo stesso peso strutturale. Il tempo ha una direzione, ma può essere
scandito in almeno due modi, che si inseguono, è immediatamente partizione polifonica, accadere
contemporaneo di due direzioni diverse, ma parallele. Ogni snodo e qualitativamente differenziato
dall’altro, ogni coppia di nodi ha ampiezza diversa, e all’interno della rappresentazione grafica,
possono articolarsi gradazioni oppositive che seguono una scansione, in grado di mantenere diverse
ampiezze. Il modulare è tutto percorso da un piccolo movimento di differenze. Il carattere
ornamentale funge da connettore temporale, la struttura è percorsa da una tendenza all’unità latente,
che connette le piccole differenziazioni fra le fasi articolatorie dei nodi, trasformando l’intreccio di
giorno e notte in catena, dove la chiusura di una forma non può essere che la continuazione
dell’altra.

§ 3 Il corporeo come espressione

Dovevamo aspettarcelo: Klee ci ha parlato immediatamente di un rapporto corporeo con la


nozione di ritmo, di solito così sublimata: il ritmo ha un doppio nella ricezione corporea, e nel farsi
concreto delle cose, in perenne trasformazione: non bisogna cogliere queste relazioni sul piano
superficiale, Klee non si limita certo a dire che non tutte le giornate sono uguali, la questione va
riportata al piano della figurazione, del continuo evolversi della forma. L’intreccio tra il buio e la
notte si trasforma continuamente perché ogni evento può essere narrato in un intreccio di motivi
diversi, mescolando fra loro varie prospettive: così, ogni ritmo può essere scandito accentuando il
suo provenire dal buio o dalla luce, che qui sono sintesi immaginative, fusione fra concetti di
luminosità ed opacità, vita e morte, giorno e notte, per indicare la continua mutevolezza dell’attacco
della transizione da uno stato all’altro.
L’annodarsi del giorno e della notte è, per sua natura, in varianza, perché sin dall’inizio intrecciato,
capace di uno sviluppo che prende le mosse da un nodo, in cui i termine dell’uno e la fine dell’altro
si completano, secondo gradienti qualitativi diversi: le parti ripartite non stanno ferme, non sono
docilmente passive, ma continuano a richiamarsi, a far scorrere il giogo del tempo che le intreccia,
secondo le possibilità interne del loro completamento. Siamo tentati di formulare linguisticamente
il processo dove la forma della cesura si mette in movimento, sotto l’azione della raffigurazione,
dicendo che dove vediamo uguaglianza, proprio lì leggiamo la trasformazione.
L’eraclitismo di Klee, come tutti gli eraclitismi, ha bisogno della ripetizione , per fissare
l’elemento di novità. Il sole nasce nuovo ogni giorno. Senza nuovo, non vi sarebbe la possibilità di
dire ogni, ripetizione e mutamento si abbracciano. Ora cominciamo a comprendere perché un
oggetto sia una totalità di punti di vista : quella totalità non si dà mai, e noi possiamo coglierne,
volta per volta, gli aspetti, L’arte non tace attonita, di fronte al mutamento: l’arte ci insegna a
vedere lo spettacolo della variazione continua, che si cela dentro al ripetersi delle cose, perché il
ripetersi è un processo di sviluppo, che varia qualitativamente, a seconda dei nessi interni che
entrano in gioco, a seconda del senso che connette fra di loro gli eventi.
Tutto chiaro? Non proprio, dobbiamo costruire una mediazione fra il darsi della
configurazione, lo scorrere del tempo e l’immagine:tratta questa relazione dovremo ancora
riportarla all’interno di una pratica di rappresentazione, che coglie i nessi fra le forme,
determinandone le possibilità raffigurative.

§ 4 L’immagine come mediazione ritmica

Vi sono anche altre forme di ritmo, dei ritmi artificiali, che impariamo attraverso una tecnica,
un’arte della scansione: vi è una capacità di fare e di dare ordine artificialmente alle cose: dobbiamo
avere la capacità di creare dei reticoli, che permettano alle cose che costruiamo, o che
organizziamo, di strutturarsi in processi. Ed ecco che appare la musica, e , assieme alla musica, il
gesto del corpo. La battuta musicale è un reticolo strutturale, che dà un andamento allo scorrere del
tempo che sostiene un’idea musicale. Dare un reticolo significa far correre il tempo in un dato
modo, riplasmarlo dall’interno, modificarne gli assetti. Il ritmo fa correre il tempo, meglio ancora lo
fa procedere in una direzione.
Dobbiamo comprendere a fondo quest’aspetto, perché non è affatto ovvio: far procedere i tempo
in una direzione è una finzione, perché, come abbiamo visto, anche in un oggetto come la foglia,
vediamo precipitare i sedimenti del tempo, che danno il senso della sua costituzione. Non tutte le
venature sono nate assieme, il concrescere delle parti è significativamente diverso. La nostra pelle
ed la postura del nostro corpo ci raccontano le differenti modalità di relazione che abbiamo con il
tempo. Ognuno, nello scandire uno spazio attraverso dei passi, ha una diversa andatura, e quindi
scandisce a modo proprio uno spazio. Se le cose stanno così, e se la relazione ritmica è così
cangiante, potremo dire che essa fissa il tempo, ma non fissa a sua volta. Vi è un continuo differire,
come accade, ad esempio, nel rapporto che il musicista ha con il metronomo. Il metronomo va
avanti e indietro rispetto al tempo, si oppone allo scorrrere del tempo, lo disciplina. Klee sta usando
il concetto greco di ruthmos: il ritmo vincola il tempo, gli impone un giogo, gli dà una forma, come
una calzatura che avvolge un piede, gli aderisce strettamente, e ne modella le possibilità di
movimento.
Il ritmo si oppone al tempo, che per Klee , è evidentemente, flusso multidirezionale, Egli scrive
che il procedere del tempo comporta in campo figurativo, un movimento della superficie
fondamentale:

La freccia va da destra verso sinistra, per sottolineare quest’opposizione che blocca il flusso, e lo
fa convergere sulla direzione richiesta dall’immagine: ma la rappresentazione, nella sua negatività,
sarebbe ancora unilaterale, ed incompleta: quando il direttore d’orchestra organizza i tempo
musicale in battuta, lo segna, lo scandisce,o, se vogliamo usare il termine più vicino al mondo di
Klee, lo batte così:
Il movimenti oppositivo, la ricerca di una forma che dia senso alla rappresentazione del
tempo, modellandolo nel ritmo, rompe la linea retta, ne asseconda la direzione, ma lo plasma, in una
serie di colpi, di tratti, che salgono e scendono, e che mutano di spessore. Attribuire un ritmo non è
questione neutra, il ritmo segue le trasformazioni della forma, e del corpo, non è un concetto puro.
Esso batte il tempo, attribuendo un diverso valore all’irrompere dei suoni, che costituiscono lo
schema della battuta. I Suoni avranno così uno spessore, un rilievo diverso, a seconda di come
cadono nel tempo. In una battuta di quattro quarti, lo spessore, il corpo dei suoni (l’espressione
paradossale nasce proprio dall’idea di accento che Klee ha in mente) varia, come varia lo spessore
grafico delle sue rappresentazioni. Sono questi aspetti, che danno alla musica una concretezza, che
la porta nell’alveo dell’immagine:

Il primo colpo è incisivo, ha peso maggiore, il terzo ha andamento più incisivo rispetto al
levare, il quarto ha le stesse caratteristiche del secondo, scrive Daniela Gamba. Ma l’aspetto su cui
concentrarci è la modalità della rappresentazione: il colpo è un punto, che muta di spessore ha
seconda della pregnanza: L’immagine crea un gradiente d’intensità della struttura, che si fa
processo: lo spessore del punto entra in dialettica con la linea, e comincia a ripartire lo spazio. Il
processo può essere ora linearizzato:

Tale rappresentazione dovrebbe farci vedere chiaramente la qualità delle singole parti
componenti la battuta;sarebbe insomma la rappresentazione dei rapporti di peso, trattamento
qualitativo delle strutture delle battute, secondo il ritmo del peso, ovvero dinamicamente.

Le espressioni di Klee sono pesanti: il ritmo è dinamica, movimento nel tempo che viene
tradotto in un movimento nello spazio, dove l’intensità della linea, lo spessore traduce la modularità
astratta del ritmo in una componente espressiva: la modularità, in questa rappresentazione, lascia
posto alla forza della rappresentazione (non ci interessa dividere la battuta in quattro quadranti
uguali, ma raccontare dinamicamente come quella struttura temporale viene modificata
dall’incidenza dei colpi). Se il ritmo è dinamica, esso è attacco del suono e nell’attacco il momento
della provenienza, il silenzio l’assenza di suono, è ciò che trattiene le potenzialità del suono, ed
un’area che viene a sua volta suddivisa dall’irrompere del suono, tracciando l’orlo dell’evento, che
tornerà di nuovo al silenzio stesso. Il silenzio è così gradiente qualitativo della pulsazione che
separa gli attacchi, vi interagisce attivamente, riducendo la propria area e dando il senso della
scansione. Fra attacco e silenzio, sul piano qualitativo, non vi è cesura, il passaggio da assenza di
suono a suono è interno alla musica stessa, la formazione rimodella entrambi le fasi, che precipitano
una verso l’altra.
Klee unisce quello che il concetto di scansione tende a separare e lo fa a ragion
veduta:quello che gli interessa non è sottolineare la componente discretistica delle relazioni
temporali, ma la continuità fra le sezioni del tempo che il ritmo unisce. Se il ritmo taglia, seziona,
sembra dire Klee, il ritmo dà continuità a ciò che si è separato: il silenzio tra un colpo ed un altro,
non separa, ma unisce;il modificarsi della dinamica, le diverse relazioni fra il peso dei colpi, fra
forte e debole, creano una continuità della risonanza: il silenzio interno ai colpi muta di qualità, e
così connette. In questo modo Klee ci porta dentro al terreno del ritmo, ce lo fa ascoltare
dall’interno, cercando un punto di contatto fra le sue cesure: il senso interno del ritmo non sta nella
semplice sommatoria dei momenti che lo costituiscono, ma nel nesso interno che lega fra di loro le
figurazioni. In una danza, il ritmo è il connettersi dei passi, non la semplice sequenza, in musica il
prender spessore dell’accento, non la semplice modularità. Dietro a questa impostazione,
intravediamo la teoria ritmica di Aristosseno, un autore che probabilmente Klee non conosceva, ma
che era animato dalle medesime intenzioni: cercare i nessi interni, nascosti, che sostengono la
grammatica di superficie degli eventi ritmici.
Le conseguenze dell’ interpretazione conflittuale del ritmo sono notevoli. Il ritmo si muove
contro il tempo, lo costringe e lo segna, e così andrebbe pensata anche la ripartizione della
superficie spaziale. Lo spazio non si divide in moduli identici, che suddividono una superficie
immobile, ma la spazialità è tutta percorsa da un movimento di formazione, che trova un equilibrio
nella suddivisione delle superfici. Solo in un secondo tempo ci interesserà sapere se le superfici
sono tutte uguali tra di loro. Lo spazio vive tutto nelle minuscole interconnessioni, offerte dalla
continuità del movimento, che lo ripartisce. Struttura ed ornamento vengono assorbite dalla loro
funzione temporale, e la forma della raffigurazione si muove trasversalmente al piano della
costituzione temporale, rintracciano l’unità nelle sue trasformazioni interne,attraverso la
condensazione della scansione, in un fiorire di connessioni, che,se da un lato rimanda ad
un’interpretazione quasi bergsoniana dell’idea di fusione temporale fra durate, dall’altro trova nella
fusione non l’omogeneità del tempo, non il rifiuto della spazializzazione, ma il nesso interno che
tiene uniti i piani d’articolazione, cercando il significato logico delle loro gerarchizzazione. Il
concetto salva il piano dell’intuizione, secondo un’ipotesi che l’autore di Materia e memoria
avrebbe probabilmente letto come in autentica.

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