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lafigumusgentilucci 29/04/10 11.

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La figura musicale e la terza dimensione del suono

di Armando Gentilucci

La connotazione verticale dei suoni, dopo la perdita di funzioni dell'armonia tonale, non ha goduto di
formulazioni teoriche pregnanti, e anzi si pu dire che, specialmente negli ultimi decenni, il problema
che la concerne stato rimosso o trattato quasi con imbarazzo. Non superfluo parlarne ora a proposito
di figura musicale, visto che si tratta di mettere a fuoco processi formanti generali. Per figura si intende,
correntemente, una entit sonora i cui tratti melodici-ritmici-armonici-timbrici, variamente presenti e
combinati, sono chiaramente percepibili, individuabili all'ascolto; tali da fornire al compositore
fisionomie acustiche la cui ridondanza determina i caratteri specifici di un pezzo di musica. Nella
tradizione tonale, una figura (o un gruppo di figure sonore) veniva facilmente a essere tematizzata
proprio grazie al massimo coordinamento fra linearit melodica, verticalit (ossia: prospettiva) armonica,
articolazione ritmica: il tutto in quella direzione discorsiva o dialettica, che le tensioni armoniche
assicuravano, suggerivano, predisponevano, addirittura implicavano.
Nella musica d'oggi, svincolata da rapporti linguistici precostituiti e funzionali rispetto a un ben preciso
meccanismo di "aspettative", la figura, pur ovviamente presente (e come potrebbe essere altrimenti?),
divenuta in ogni caso una sorta di figura dimezzata, sia che riemerga da un fitto lavorio intervallare
interno al tessuto sonoro, oppure venga magari presa, ripresa, recuperata come entit gi parzialmente
definita, con sembianze insomma dichiaratamente stereotipate. Non voglio fare qui riferimento solo al
periodo informale-materico degli anni 60, agli accadimenti aleatori e casualistici, dove il rapporto,
appunto, tra processo e figura era giocato tutto all'insegna del primo termine e dove la figura era vista
quasi come un oggetto proibito, "dato", veicolo di narrativit esterna. Il comporre per figure, insomma,
inteso come manipolazione esteriore, distributiva di equilibri improbabili, veicolo di pacificazione
artigianale. Mi limito a sottolineare quanto il rapporto materiale-processo-figura esasperasse le
contraddizioni fino a limiti invalicabili: negativisticamente, la figura, allorch faceva capolino, veniva a
costituire una mera apparenza, un residuo quasi involontario, o citazione. Talch la parossistica
sovrapposizione figurale, non raramente andava nella direzione dell'entropia. Citazione, appunto. pag.#2

Credo che tale condizione sia comune a molta pi musica di oggi o dell'immediato ieri, di quanto
solitamente si ritenga; e questo, si badi, indipendentemente dalle scelte linguistiche, stilistiche, di
personale "gergo" (per dirla con Donatoni). Non questione, come sappiamo, di intenzioni del
compositore: bens di sistemi percettivi (ne, quindi, solo costruttivi, sul versante dell'autore) che nella
loro complessa stratificazione facilitano o meno la possibilit di disegnare figure contestualmente
plausibili, udibili e comprensibili, quindi concatenabili. Va da s che il termine figura pu applicarsi a
complesse strutture di segni: non esclusivamente intervalli, ritmi, fisionomie armoniche, timbri; ma una
sempre cangiante combinazione di tali componenti per dare luogo a qualcosa che si potrebbe definire un
tessuto-oggetto, nel quale siano riconoscibili alcune costanti interne. Mi pare che oggi emerga, come
esigenza, un bisogno generalizzato di trasparenza dell'immagine sonora: che non sta affatto a indicare
una minore densit, una semplificazione, eccetera: bens controllo dell'ambiguit linguistica, circoscritta
a quei luoghi nei quali, e con pertinenza, essa corrisponde a una vera raffigurazione dell'ambiguo.
Escludendo pertanto il confuso, l'ambiguo come "incidente", come scarso controllo del risultato musicale,
come appagamento della e nell'idea. Perci, sempre meno senso hanno oggi gli affastellamenti
prevalentemente quantitativi del materiale, le poliritmie nelle quali le singole figure si neutralizzano a
vicenda, la casualit delle sovrapposizioni verticali fortuite o meramente statistiche, o delle linee sonore
che non vengono a formare un complesso figurale omogeneo; oppure ancora la musica per l'occhio
(apparentemente ben scritta ma che non suona bene [dico bene non nel senso del "grazioso",
naturalmente!]; se non suona bene non neanche ben scritta). Purtuttavia, anche oggi la figura , come si
diceva precedentemente, dimezzata, o tende a essere tale. Ci non costituisce, va da se, alcun handicap di
valore, ma va riconosciuto semplicemente come dato connotativo. Da tempo, infatti, la figura

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scucchiaiata dall'alveo tonale o in ogni caso da un sistema polarizzante, proprio per la totale o parziale
assenza di tensioni tra virgolette "armoniche", diviene variamente fungibile, svincolata dal meccanismo
di aspettative e rinunzia volontariamente a molto della sua potenziale presa sulla dimensione del tempo.
La dove si muta una continuit lineare, essa sembra rappresentare poco pi che la gestualizzazione "al
negativo" di qualcosa che non pi. Altre volte, magari, per sfuggire a tale condizione, si rifugia nella
iterazione di segno minimalista. pag.#3

La qual cosa conferma e non smentisce la natura di residuo, "citazione" del gioco con figure definite,
concatenate o in via di concatenarsi mediante manipolazione. Figure inevitabilmente polisense e ambigue
ma non dimezzate, sono, forse, quelle (a tutt'oggi non ancora molto praticate, mi sembra, ma tenute
sicuramente pi a vista di quanto non lo fossero ieri, da parte degli stessi "maestri" dell'avanguardia
ultima) che, senza nostalgie per la tonalit e simili, nascono da un ramificato meccanismo di relazioni
anche verticali. Poich, certamente, fuori dalle funzioni armoniche della tonalit le figure sono in ogni
caso sempre estranee a quella solo supposta "pienezza" di valori umani (che sarebbe meglio, invece,
definire "umanistici" in senso retorico-peggiorativo), esse sono destinate a conservare quel margine di
ambiguit feconda che tratto distintivo del nostro pensare e sentire attuale. Ovvio dire che per me, nel
quadro di un rinnovato interesse "armonico" e "prospettivizzante", poco senso hanno i ritorni a modi
neoclassici del primo Novecento (gli "ostinati" di Stravinskij, meglio "alla" Stravinskij, o Prokofiev, o le
armonie raveliane), cui guardano alcuni compositori giovani: ai fini del ragionamento che si va qui
facendo, totalmente forvianti. Il recupero di figurazioni ben percepibili, simmetrico estensive, subisce in
molti casi anche un declassamento "verticale": l'armonia ritrovata, corre qui il rischio di ridursi alla
pratica del ritagliare qualche formula accordale da portare poi a spasso, disinvoltamente slittando, per i
vari gradi della scala diatonica: ci avviene ripetitivamente, eludendo ancora una volta l'esigenza di
inoltrarsi nel terreno di una rinnovata, complessa, non codificabile e tuttavia incombente dimensione
verticale. Accordi amputati, morti, in definitiva. Tale dimensione, che si riaffaccia dopo essere stata
tenuta discretamente ai margini per qualche tempo, non solo o non tanto e in grado di figurare
autonomamente il suono, ma soprattutto pu (senza nulla avere del ruolo dittatoriale di un tempo)
illuminare le altre componenti, attraversandole con i propri fasci di luce. Prospettive multiple, cangianti:
ma pur sempre prospettive, ottiche prospettizzanti, magari antagonisti che fra loro. Senza una o pi
prospettive armoniche intrecciate, senza elementi sonori perno, il giocare con le figure rischia di
diventare qualcosa di simile a una smorfia; nel senso curioso di quanto ebbe a dire (come ricorda
Barthes) il giovanissimo figlio di Freud a proposito dei giochi di parole un po' casuali ai quali si
abbandonava: "Quando faccio dei versi cosi, come se facessi delle smorfie". Le smorfie assomigliano a
delle espressioni, ma hanno solo l'aria di possedere un senso. pag.#4

Certo si possono escogitare, a partire da un materiale sonoro, combinazioni non solo totalmente non
codificate, ma basate su postulati completamente arbitrari, perfino casuali. Esse finiscono per avere
comunque un senso, anche se si trattasse del senso dell'insensato o della perdita del senso, o del fortuito,
ecc. Il "fare delle smorfie", nel senso che si intende qui, non di per s affatto illegittimo, n, forse,
riduttivo di valore. Del resto, la cultura moderna non ha forse subito una sorta di "riduzione della
qualit", nel senso indicato da Musil, naturalmente? Ma non avrei dubbi sul fatto che, in qualsiasi modo
si consideri il fenomeno, il comporre astraendo con eccessiva disinvoltura i procedimenti orizzontali-
lineari da quelli verticali, rinunziando a coordinarli, determini in ogni caso proprio una sorta di smorfia
sonora, agendo (volontariamente o meno: ma tale coscienza operativa a me sembra fondamentale) in una
dimensione solo parzialmente linguistica: l'attivit del "figurare" tende a giocare pertanto con figure e
intervalli dimezzati in partenza, devitalizzati, ipotetici, meramente gestuali; proprio nel senso, si vuole
dire, che appare il gesto della figura ma non la figura stessa, ridotta a mero ectoplasma. Una
embricazione di segni e di oggetti corrispondenti destinati immancabilmente a girare a vuoto. Franco
Donatoni, uno dei relatori-base di questo incontro, scriveva anni addietro nel suo libro "Questo", a
proposito della "aserialita" che seguiva cronologicamente il precedente rigore seriale: "nella serialit
decapitata trovano posto solo intervalli morti, espressioni larvali di una antica fisiologia, gesticolazione

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di membra amputate le cui traiettorie ancora s'indovinano nell'aria". Non forse fenomeno assai simile a
quello descritto, la rinunzia o noncuranza, neppure sempre premeditata e ideologica (lo fosse, almeno!),
rispetto allo spessore e profondit del suono, a esclusivo vantaggio di un comporre tutto in superficie,
con minuziosit volatile del segno estraneo a quella cosa che potremmo, volendo, definire "terza
dimensione" del suono?

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