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Le poesie di 

Trasparenza (Interlinea 2019), prima raccolta organica di Maria Borio, si


compongono di molte sostanze, densità, direzioni. Ci sono vetri taglienti e globi,
apparizioni e corpi, scene che galleggiano sotto lo schermo di un cellulare come pesci
sotto una lastra di ghiaccio. Fino a comporre un quadro.

È una poesia ibrida e fluida, eppure vincolata a dei puntelli, dei punti fermi: il ritorno
di parole intime (es. abitare, parti della testa), di cardinalità (il nord, soprattutto, ma
anche il sotto e il dietro), dei pronomi personali (l'io, il tu).

Nella conversazione che segue cerchiamo di fare luce sugli elementi che formano
questa poesia, le sue motivazioni e le forze che la muovono. Il nostro intento, come
altrove, è di intercettare delle tendenze o dei movimenti in atto nella produzione
poetica di oggi. 

Singola -  Mi piacerebbe che la nostra conversazione nascesse da una delle parole che
usi più spesso nelle tue poesie: il vetro. Perché questa materia?    

Maria Borio - Il vetro è una materia dura, fredda e trasparente. La consistenza del
nostro abitare contemporaneo spesso è legata al vetro, negli spazi urbani e in quelli
privati. Il plexiglass è un derivato più leggero e anche i cristalli liquidi degli schermi
del computer e dei telefoni sono fatti di una sostanza che rimanda al vetro. Il vetro
implica la compresenza di una vicinanza e di una distanza: vediamo immediatamente
quello che c’è dall’altra parte, ma allo stesso tempo siamo separati; abbiamo una
visione immediata, diretta – in questo senso potrei dire pura – e una visione in cui si
apre un limite, uno scacco – potrei dire impura. Il vetro è la materia che si offre come
forma delle relazioni di questo tempo, è solida e compatta ma racchiude una fluidità di
visione, un divenire, mette a contatto dei limiti: come quando si cammina per strada
accanto a edifici di vetro e si vedono le persone dalla parte opposta in mezzo a onde
lucenti di riflessi, oppure quando si usano i social network, Skype, Zoom… e, divisi
da uno schermo, ci si trova istantaneamente vicini e lontani. Anche una poesia
assomiglia a un oggetto di vetro, plasmato con la sabbia e il fuoco, come fossero le
parole, le immagini e lo stile, il ritmo uniti in una composizione, una forma netta
davanti ai nostri occhi che racchiude un processo. Ma la lingua della letteratura è
anche una lingua di vetro, diversa da quella ordinaria, con una complessità in più,
un'intensità in più, che ci fa vedere la vita attraverso, ci ricorda l’autenticità della
differenza tra vita e scrittura. Leggere o ascoltare un testo può essere come appoggiare
la fronte su un vetro o uno schermo e sentire che a mano a mano, dal nostro corpo, si
riscalda e contemporaneamente ci riscalda.

SNG - Jay David Bolter, uno dei massimi studiosi del rapporto rinnovato tra nuovi
media e discipline umanistiche, in particolare la scrittura, ha dedicato alla
"trasparenza" alcune riflessioni. In Writing Space (2001), per esempio, afferma come
"la nostra cultura ha due aspettative apparentemente contradditorie per i suoi media
visuali" - una, quella che definisce ipermediazione, è il medium che rimarca
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continuamente la presenza di sé - l'altra, la trasparenza appunto, è lo scomparire del
medium di fronte alla vista (e agli altri sensi) di chi lo utilizza. È però non solo un
fatto di predisposizioni o aspettative, ma che una possibilità che dipende dalla
tecnologia del medium. Oggi lo schermo e delle applicazioni, ma un domani il nostro
rapporto con gli altri potrebbe essere mediato in modo molto più trasparente (e meno
ipermediato), una realtà virtuale totalmente immersiva, interfacce neurali e così via. In
questo senso la tua poesia - oggi - deve molta della sua visione a un preciso punto
dello sviluppo tecnologico. Eppure ci sono anche delle entità atemporali e universali,
non legate dalla nostra epoca: il mare, i corpi, il cielo. O sono anche queste
mediazioni, relatività, interconnessioni?     

MB - La realtà mediale in cui viviamo è legata a un tempo della trasparenza, come
un’antropologia della contemporaneità, che ha una versione ipermediata e una
immersiva, afferma Bolter. Per me la trasparenza esprime una sintesi, e va oltre
l’immediato, oltre una scena urbana piena di riflessi tra edifici di vetro, oltre le
comunicazioni attraverso i media digitali. La trasparenza è una sintesi perché esprime
la verità contraddittoria delle relazioni: ciò che appare nitido, trasparente e puro, può
rivelare un altro limite, una profondità da bucare, da scavare. Se ci avviciniamo a un
vetro vediamo che ci possono essere imperfezioni, tracce, detriti. Se ci avviciniamo a
uno schermo le pupille iniziano a tremare per i pixel che si sgranano. Anche se ci
avviciniamo a una persona la visione si può sgranare, prendere una conformazione
diversa, si possono sentire altri segnali, le emozioni e i pensieri si trasformano,
fluiscono in un altro modo. Per questo la trasparenza è una sintesi di puro e impuro.
La scrittura che porta con sé un‘interrogazione entra nella trasparenza. Il cielo, il
mare, i corpi sono parti fisiche di un’esperienza che attraverso la trasparenza è
intensificata.

SNG - Il cielo e il mare in particolare. Al cielo dedichi l'ultima sezione della raccolta,
affidi la funzione di sintesi di tutta l'opera. Qui, in apertura, citi dall'Odissea il passo in
cui Ulisse si stringe ai legni della sua barca, prima che questa venga scossa e distrutta
dall'onda del dio del mare. Perché proprio queste due entità? E qual è il loro
rapporto?  

MB - Il cielo e il mare sono composti da materia attraversabile: l’aria e l’acqua, l’etere
e il liquido. Entrambi sono fatti di un’atmosfera che si può percorrere, come le
correnti atmosferiche e quelle marine. Sono spazi di connessioni e sono mutevoli. Il
cielo sereno diventa tempestoso poi torna sereno, il mare liscio come una tavola si
alza in burrasca e poi si calma. Nel passo dell’Odissea a cui faccio riferimento, Ulisse
è in mezzo a una tempesta perseguitato dalla divinità e tiene stretti i tronchi della
zattera. Il verbo greco usato per parlare di questa azione è armozo, che significa
collegare, connettere, da cui viene armonia, e che non è mai un’azione scontata,
necessariamente pacificata, spesso di regge sulle contraddizioni. Nell’armonia c’è
anche la sintesi della trasparenza. Il cielo e il mare sono i suoi elementi estensivi.   

SNG - La tua poesia sembra dotata di un'anima geometrica. Ha piani, direzioni, punti
di equilibrio, curvature, linee. Quanto bisogno ha la poesia, oggi, di un'idea?    

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MB - Forse è architettonica, più che geometrica. L’architettura cerca un’estensione,
costruisce forme nello spazio. Anche la letteratura costruisce forme. Oggi le forme
non sono un’applicazione dogmatica di un canone: quando si cerca un rapporto con il
passato o con dei modelli, le forme sono quasi sempre  rielaborazione organica di una
genealogia. La forma consapevole in letteratura fa esistere il pensiero nello spazio e
nel tempo in modo neutro, cioè lo stacca in un certo senso dal soggetto che ha
prodotto quel pensiero, perché istituisce una relazione tra il soggetto e il mondo, tra la
biografia e la letteratura. Nella forma la letteratura è sempre intersoggettiva. Il ritmo
crea la forma. Anche il pensiero è fatto di ritmo: punte e pause, momenti lunghi e
momenti brevi in ricorrenze che vogliono significare. Nella poesia la forma è
sostanziata dal ritmo del pensiero, dell’idea. La poesia ha bisogno dell’idea come una
necessità antropologica. L’architettura è un ritmo spaziale e temporale che si può
letteralmente attraversare. Questo accade anche con la letteratura.  
 
SNG - Allora, se andassimo a spasso in un'ipotetica città dei poeti della tua
generazione, a quali architetture e forme assisteremmo?
 
MB - Mi piace molto l’idea di questa passeggiata. Ecco, si potrebbe vedere
un’alternanza di edifici, piuttosto regolare: alcuni sono plastici, composti di sezioni
che si incastrano come i movimenti sussultori della coscienza, hanno sporgenze e
rientranze, usano i colori e i rapporti di luce e ombra in modo dinamico; altri sono
minimali, squadrati, fatti di mattoncini o cemento, con finestre tutte della stessa
dimensione e tetti piatti su cui svettano le antenne. I primi corrispondono alle scritture
più manifestamente empatiche, che usano la pagina come un pentagramma dove le
note sono in sequenze che hanno pause e spazi bianchi tra loro. I secondi
corrispondono alle scritture che tendono a rastremare i ritmi poetici in forme
prosastiche, come se le note sul pentagramma fossero serrate una accanto all’altra. La
critica letteraria ha chiamato il primo tipo "poesia lirica", con un’accezione non
sempre positiva perché sarebbe nient’altro che una recrudescenza della lirica
tradizionale, e il secondo tipo "poesia di ricerca", con un’accezione che tenderebbe a
essere quasi sempre avvincente perché questa poesia punterebbe tutto
sull’innovazione, sul futuro. Ma sfugge un punto essenziale: camminando per la
nostra città poetica contemporanea ci accorgeremmo che non solo questi due tipi di
edifici si alternano in modo regolare, ma anche che uno dei materiali usati più spesso è
il vetro e gli edifici, pur diversi, si riflettono così l’uno nell’altro, per cui lo
schematismo tipologico risulta molto più fluido di quanto la teoria voglia farlo
sembrare. In questa rifrazione di riflessi reciproci, ci accorgeremmo anche di un’altra
cosa: solo gli edifici costruiti con materiali di buona qualità riescono a riflettersi l’uno
con l’altro. In altre parole, solo la vera poesia, pur realizzata con stili differenti, emana
qualcosa da sé, lascia una visione.
 
SNG - Parlando di visione, hai giá in mente degli sviluppi o delle nuove vie di
indagine dopo Trasparenza?

MB - Mi sento in una condizione di futuro anteriore, quel tempo che indica esperienze
e eventi compiuti ma che si trovano nell’atmosfera dell’avvenire, dell’incertezza, della

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possibilità. Penso che le persone abbiano bisogno di narrazioni condivise o, meglio, di
una condivisione delle narrazioni: attraverso la parola, non solo attraverso le immagini
– di narrazioni condivise visuali ce ne sono tantissime, ma sono solo una parte del
linguaggio dell'arte: di una condivisione di narrazioni verbali sento una mancanza.
Vorrei più armonia. Per me il futuro della parola è l’autenticità.

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