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L’ipotesi di partenza è che l’ impresa sia un’organizzazione sociale complessa cioè costituita da più
parti, partecipanti e interazioni reciproche e strutturate.
Tale organizzazione è pervasa da un processo decisionale che ne sostiene l’amministrazione tale da
non potersi concentrare in un unico “nucleo” ovvero in un unico “organo” sia persona fisica o
giuridica.
In questa impresa-organizzazione sociale complessa si distinguono due aree di “interessi e
decisioni”:
Attenzione! Il management d’impresa comprende il lavoro ( e le operazioni) dei capi e/o direttori,
non ché - fin giù, alla base della piramide - il lavoro (e le operazioni) dei subordinati gerarchici.
Nel contesto della grande impresa è strategia , quindi, un’insieme di decisioni e scelte pianificate
d’azione, orientate al perseguimento di un fine e generalmente rivolte ad un periodo non breve. Esse
sono formalizzate in documenti deliberati da un organo volitivo. I contenuti della strategia sono
impegnativi per la direzione aziendale, che le deve realizzare implementandole nella struttura.
La direzione è un organo che “collabora” con il soggetto economico d’impresa per raggiungere il
fine aziendale. Essa è composta di uno o più membri.
La direzione giustifica il proprio ruolo in conseguenza del fenomeno della separazione delle
funzioni esercitate dal soggetto economico (funzioni di indirizzo strategico e controllo finanziario)
dalle funzioni interne di supporto inerenti al coordinamento e controllo delle operazioni di gestione,
organizzazione e rilevazione. “La responsabilità dei manager deve essere totale. Anzi, le dirò di più,
per Benetton Group, a un passo indietro della famiglia corrisponderà un rafforzamento della
struttura manageriale, con ingresso di altri nuovi manager” (Luciano Benetton al Corriere della
Sera, 6 marzo 2003).
La direzione è una autorità decisionale selezionata dalla proprietà. Gli organi deliberativi la
scelgono, gli affidano responsabilità, le attribuiscono delega di autorità. Anch’essa può essere un
organo decisionale di tipo collegiale nel senso che - quantitativamente- può comprendere il direttore
generale, i vice-direttori generali (eventuali), i capi o direttori addetti a ciascuna area funzionale.
Nella grande impresa, quindi, l’organo direttivo è differenziato al suo interno. Ad esempio, la
gerarchia direttiva può configurarsi nel seguente modo:
1. direttore generale e vice-direttori generali (top manager);
2. direttori addetti a dipartimenti di area funzionale o a progetti o a singole dipendenze territoriali
(middle manager);
3. direttori addetti ad un reparto o ufficio o stabilimento nell’ambito di un dipartimento o di una
dipendenza aziendale (lower level manager).
N.B.: I direttori hanno un mercato del lavoro “interno” ed “esterno”. La crescita dimensionale e/o la
redditività procurate all’impresa - che essi dirigono - conferiscono loro potere all’interno (nella
gerarchia) e visibilità all’esterno (nel mercato delle professioni e nella società).
I RAPPORTI DI AGENZIA
(l’impresa come coalizione di forze personali)
P. Saraceno (1978): ‘’Lo sviluppo dimensionale dell’impresa genera una proliferazione di centri di
decisione”(cioè: più organi deliberativi; più centri di coordinamento e controllo; più centri di
esecuzione delle operazioni).
IL CONFLITTO DI INTERESSI
L’armonia degli interessi di proprietari, dirigenti e altro personale alle dipendenze è l’ipotesi
fondamentale del lavoro in impresa. Tale armonia, tuttavia, deve essere sempre verificata. E’
importante accertare il grado di “condivisione” del fine aziendale, degli obiettivi delle strategie,
delle prospettive.
Il conflitto di interessi emerge fattualmente nello svolgimento dell’esercizio d’impresa. Il conflitto è
fisiologico nel ciclo di vita aziendale.
La prevenzione e la composizione del conflitto appartengono all’area del governo e -soprattutto- del
management dell’impresa, ma richiedono la cooperazione di altri soggetti, spesso di qualche
stakeholder, quale lo Stato o il sindacato dei lavoratori.
Tipologie di conflitto
1. Tra titolari di diritti di proprietà (ad es. azionisti di maggioranza e azionisti di minoranza),
soprattutto a livello delle politiche di bilancio.
2. Tra società controllante e società controllata, ove quest’ultima aspiri all’autonomia strategica,
ancorché essa sia dipendente dalla capogruppo in linea capitale.
3. Tra maggioranza e minoranza azionaria, in una società controllata, in riferimento alla
determinazione dei prezzi di trasferimento degli output aziendali alla capogruppo. nonché:
4. Tra proprietà e direzione (dilemma: max dividendi o max crescita?).
5. Tra proprietà e altre forze di lavoro (ad esempio, a livello del rinnovo dei contratti di lavoro).
Di qui la ricerca delle condizioni per il conseguire l’EQUILIBRIO ORGANIZZATIVO
1
Tratto da Risso M. (2012), Bene comune e responsabilità di impresa, in Chiamati a servire il bene comune.
Vocazione, cura e impegno civile - Mirko di Bernerdo (a cura di) FrancoAngeli, Milano, 2012.
attribuiti fini di trasformatore e generatore economico idoneo ad aumentare i beni materiali e
immateriali e la ricchezza monetaria.
Oggi l’impresa è sempre più considerata come soggetto che deve contribuire all’arricchimento
quantitativo e qualitativo dell’intera comunità, vale a dire, che essa deve non solo porre attenzione
alle esigenze dei clienti e in generale dei propri portatori di interesse (stakeholder) ma sviluppare
strategie di impresa capaci di governare le differenze, valorizzare le risorse umane, contribuire a
rafforzare la coesione sociale2.
Il collegamento tra la società civile e l’impresa risiede nella responsabilità sociale di quest’ultima3.
Nel suo operare l’impresa deve, infatti, considerare il legame relazionale che essa istaura con i
soggetti e le comunità con cui interagisce al fine di preservare nel tempo le proprie capacità
competitive.
L’impresa è chiamata a rendere conto di ciò che le sue scelte producono sul territorio e
nell’organizzazione sociale complessiva4. Infatti, come afferma Benedetto XVI nella Caritas in
veritate «la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della
stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita
dell’impresa: i lavoratori, i clienti, i fornitori dei vari fattori di produzione, la comunità di
riferimento»5.
Le imprese sono «soggetto e strumento del bene comune»6 e il loro operare è finalizzato a produrre
beni e servizi per «servire il sistema sociale, [e] non per avvitarsi su se stesse o per soddisfare
l’egoismo e le attese immoderate»7 dei proprietari. Il produrre beni e servizi utili alla società è lo
scopo primario delle imprese in cui il raggiungimento del reddito è condizione «indispensabile per
durare nel tempo e rendere il sistema produttivo autosufficiente dal punto di vista economico»8.
Infatti, «il profitto è un regolatore della vita dell'azienda, ma non è l'unico; ad esso va aggiunta la
considerazione di altri fattori umani e morali che, a lungo periodo, sono almeno egualmente
essenziali per la vita dell'impresa»9.
La ricerca del profitto deve collocarsi in contesti molto più ampi rispetto all’area del tradizionale
calcolo economico. Il profitto è indubbiamente lo strumento in grado di attivare i processi di
impresa e l’efficienza è dunque il valore costituivo della sua identità. È opportuno, tuttavia,
allargare il campo di analisi per comprendere e governare i complessi equilibri tra il profitto di
breve e di medio-lungo termine e raggiungimento del profitto in assoluto e ottenimento del profitto
in considerazione di tutte le variabili di contesto in cui l’impresa opera10.
Lo sviluppo dell’impresa è pluridimensionale. Ogni decisone e ogni azione deve essere rivolta al
raggiungimento di un risultato economico e al riflesso che tale risultato può avere:
- sulla capacità dell’azienda di accrescere il suo valore in termini di conoscenza e
professionalità di che vi opera al suo interno;
2
E. Borgonovi E., Imprenditorialità, consenso sociale e sviluppo dell’impresa, in «Sinergie», n.70 (2006), pp. 27-35.
3
L. Caselli., Gli aziendalismi italiani e la società civile, in E. Zaninotto (a cura di), Presente e futuro degli studi di
Economia aziendale e management in Italia, AIDEA - Il Mulino, Bologna 2006.
4
Id., La ri-legittimazione sociale dell’impresa, in «Sinergie», n. 61-62 (2003), pp. 117-131.
5
Benedetto XVI, Caritas in veritate, 2009, n. 40.
6
L. Caselli, Globalizzazione e bene comune. Le ragioni dell’etica e della partecipazione, Edizioni lavoro, Roma 2007.
7
R. Cafferata, Il cantiere aperto della responsabilità sociale, Impresa Progetto, n. 1 (2009), disponibile on-line
www.impresaprogetto.it.
8
Ibidem.
9
Giovanni Paolo II, Centesimus annus, Roma 1991.
10
Sugli equilibri d’impresa si rinvia a E. Cavalieri, Le nuove dimensioni dell’equilibrio aziendale, Giappichelli, Torino
2010.
- sui soggetti direttamente destinatari dell’attività aziendale quali i clienti;
- nei confronti del sistema socio-economico e ambientale in cui esso si svolge11.
D’altro canto, il consumatore odierno culturalmente cresciuto non è interessato semplicemente a
ottenere prodotti ma vuole conoscere maggiormente l’impresa che li produce, le condizioni di
lavoro sotto le quali essi vengono realizzati e come la loro produzione impatta sull’ambiente e sulla
crescita economica delle comunità locali coinvolte nella loro produzione, distribuzione e
consumo12.
Le imprese sono quindi chiamate ad adeguare le proprie decisioni per rispondere alla crescente
pressione dei consumatori e, nel loro agire, a considerare le ricadute che questo comporta sulla
società in termini economici, sociali e ambientali inserendo la responsabilità sociale nel proprio
orientamento strategico. L’osservazione del comportamento concreto delle aziende, che sempre più
tendono ad accogliere il concetto di una responsabilità di tipo strategico ovvero proiettabile nel
lungo periodo, sembra confermare la tendenza a considerare la responsabilità sociale d’impresa
(Corporate Social Responsibility - CSR nella terminologia anglosassone) un elemento chiave della
strategia aziendale che concorrere a creare in modo determinante il vantaggio competitivo
aziendale13.
11
Cfr. C. Sorci, Verso la dimensione sociale dello sviluppo integrale delle aziende, in E. Zaninotto (a cura di), op. cit.
12
Cfr. C. Pepe (a cura di), Prodotti dal Sud del mondo e mercati avanzati, FrancoAngeli, Milano, 2007.
13
S. Sciarelli, Etica e responsabilità sociale nell’impresa, Giuffrè Editore, Milano 2007.
14
Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde. Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale
delle imprese, Bruxelles 2001.
15
Cfr. M. Molteni, L’integrazione della CSR nella strategia d’impresa, in G. Rusconi, M. Dorigatti, Impresa e
Responsabilità Sociale, Franco Angeli, Milano 2006.
il coinvolgimento, lo sviluppo e i relativi investimenti sulla comunità direttamente e
indirettamente collegata all’attività di impresa;
le attività filantropiche aziendali (come le donazioni) e la promozione del volontariato dei
dipendenti a favore della società;
la soddisfazione del cliente e l'adesione ai principi della concorrenza leale;
l’attenzione alla gestione dei rapporti con i fornitori e delle filiere di produzione nazionali e
internazionali secondo principi di equità e tutela delle imprese minori;
lo sviluppo di norme e misure anti-corruzione;
lo sviluppo di pratiche contabili e di misurazione secondo principi di trasparenza e
responsabilità.