Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Il sistema della governance degli istituti è una variabile della massima rilevanza. Dalla sua
qualità, infatti, dipendono gli obiettivi dell’istituto, la qualità del management e quindi, in
sequenza, la qualità del sistema della gestione e i risultati a breve, medio e lungo termine.
La risposta sta nel fatto che tutte e tre le questioni sollevate sono di grande rilevanza e impatto
sul futuro dell’istituto. La costituzione di un Paese democratico regola infatti la ripartizione e gli
equilibri di potere fra organi e strutture dello Stato; le esperienze e le competenze degli
amministratori di una banca incidono sulla stabilità della banca stessa e sulla sua capacità di
assolvere il proprio ruolo al servizio dell’economia di un Paese; la successione al vertice di
un’impresa a proprietà familiare, infine, incide profondamente sui risultati futuri e sulle
prospettive di sviluppo dell’impresa stessa, ma anche sugli equilibri e sull’armonia della
famiglia che ne controlla il capitale. Si tratta, in tutti e tre i casi, di questioni di governance.
Governance: decisioni chiave per il futuro di un istituto e il soddisfacimento delle attese dei suoi
stakeholder
Nella Figura 11.1 sono sinteticamente rappresentati gli elementi che formano il sistema della
governance di un istituto e le relazioni che intercorrono fra di essi. Cominciamo con l’illustrare
il contesto giuridico-istituzionale, per poi passare ai tre elementi che costituiscono il “cuore”
del sistema e alle relazioni intercorrenti che li collegano.
Il contesto normativo, innanzi tutto, stabilisce alcune regole in merito a quali stakeholder
hanno diritto di esercitare funzioni di governo, direttamente oppure indirettamente, ossia
mediante la nomina di propri rappresentanti: per esempio, quali cittadini hanno diritto di
eleggere i membri del Parlamento alle elezioni politiche di uno Stato, oppure quali stakeholder
possono nominare i consiglieri di amministrazione di un’impresa. Inoltre, per i diversi tipi di
istituti di una certa dimensione e complessità, definisce alcune regole relative alla nomina,
composizione, ripartizione di poteri e responsabilità fra organi e strutture, quali, tipicamente:
un organo di indirizzo (come l’assemblea dei soci di un’impresa o il consiglio di
indirizzo di una fondazione), che stabilisce le linee generali e gli orientamenti di fondo
cui devono attenersi coloro che assumono le decisioni di governo;
un organo di governo “in senso stretto” (come il consiglio di amministrazione di
un’impresa o la giunta di un comune o di una regione), al quale competono le
responsabilità e le decisioni di governo nell’ambito delle linee generali definite
dall’organo di indirizzo;
il vertice della struttura dirigenziale ed esecutiva, ovvero il management, al quale
spettano le scelte e le decisioni di gestione a esso delegate dall’organo di governo,
nonché l’attuazione concreta delle decisioni e delle delibere assunte da quest’ultimo;
organi di controllo, con la responsabilità di verificare se gli organi di governo e il
management (i) agiscono nel rispetto delle regole, (ii) assumono livelli di rischio che
non eccedono limiti prefissati, (iii) si sono dotati di assetti organizzativi, amministrativi e
contabili adeguati a governare i rischi, a prevenire decisioni e azioni non conformi alle
regole, a fornire agli stakeholder un’informativa di bilancio corretta, trasparente e
completa, a riconoscere tempestivamente eventuali segnali di difficoltà o di crisi.
L’organo di indirizzo ha la responsabilità, a seconda dei casi, di eleggere, nominare, designare,
votare la fiducia nei confronti delle persone che andranno a comporre l’organo di governo, il
quale a sua volta risponde e rendiconta del proprio operato all’organo di indirizzo. All’organo
di governo spetta di solito la nomina o la designazione dei dirigenti di livello massimo, i quali a
loro volta rispondono e riferiscono del proprio operato all’organo di governo.
Negli istituti più semplici e di minori dimensioni, come le famiglie e i piccoli operatori
economici, le funzioni di indirizzo, di governo e di management (e spesso anche quelle di
controllo) sono concentrate in un solo organo o addirittura in una sola persona, come il
“titolare” o l’imprenditore delle piccole o piccolissime imprese.
svolgono attività di governo in via diretta in quanto membri degli organi e delle
strutture a ciò deputate, come ad esempio i ministri e i parlamentari di uno Stato, i
consiglieri, il sindaco e gli assessori di un comune, i soci che intervengono e votano in
assemblea e i consiglieri di amministrazione di un’impresa o di un istituto non profit;
svolgono attività di governo in via indiretta, ossia eleggendo o nominando le persone
di cui sopra negli organi con responsabilità di governo. Ne sono esempio i cittadini che
eleggono i propri rappresentanti negli organi degli istituti pubblici territoriali;
fanno parte degli organi di controllo di un istituto, come i membri del collegio sindacale
di un’impresa o i componenti della Corte dei Conti nell’ambito del sistema di controllo
degli istituti pubblici.
Talora le stesse persone svolgono attività di governo in via sia indiretta che diretta: i soci di
un’impresa, ad esempio, eleggono i membri del consiglio di amministrazione ai quali affidano
responsabilità di governo, ma assumono anche in via diretta alcune decisioni di governo –
approvazione del bilancio, delle politiche di remunerazione, di operazioni straordinarie come
fusioni o acquisizioni o altre ancora – riservate loro dalla legge o dallo statuto.
Variabili individuali: impatti sulla qualità delle attività e delle decisioni di governo
Le attività di governo possono distinguersi in: (i) attività di analisi, valutazione e deliberazione
che impattano direttamente sul sistema della gestione, tipicamente sulle attività di
rinnovamento e quindi sull’assetto strategico-organizzativo (ad esempio, delibere aventi per
oggetto fusioni o acquisizioni, riorganizzazioni, ecc.) oppure, talora, sulle attività correnti (per
es., nel caso di una banca, delibere di finanziamento al di sopra di certi importi, se riservate al
consiglio di amministrazione); (ii) attività di analisi, valutazione, deliberazione volte
a modificare e/o a migliorare il sistema della governance.
una chiara distinzione di ruoli e responsabilità. Ne consegue che non devono esservi “invasioni
di campo”. Ad esempio, chi è parte di un organo di controllo non deve assumersi
responsabilità di decidere in materie di competenza dell’organo di governo; chi è parte di un
organo di governo e non ha deleghe gestionali deve stare al suo posto, informandosi di tutto,
come suo diritto e dovere, ma guardandosi bene dall’assumersi responsabilità di gestione;
Principi di buona governance: accountability
il funzionamento sostanziale e non solo formale dei processi di governo. Ciò implica fra l’altro
l’interazione costruttiva fra organi di governo e organi di gestione e fra organi di
governo/gestione e organi di controllo, il coinvolgimento e la valorizzazione di tutti i
componenti degli organi nei processi decisionali, la focalizzazione su temi e problemi rilevanti;
Principi di buona governance: gestire bene il ricambio al vertice
adeguati meccanismi di gestione del ricambio al vertice, onde assicurare continuità di buon
governo e di buona gestione. Gestire bene il ricambio al vertice significa in particolare: evitare
che qualcuno possa essere inamovibile, prevenire vuoti di potere, assicurare trasparenza dei
processi di sostituzione, selezionare e preparare con tempestività, attenzione e cura i candidati
alla successione.
Un buon sistema di governo richiede persone, attività e assetto di governo di qualità. Due
istituti simili, con un identico assetto di governance, potrebbero presentare l’uno un sistema di
governo eccellente e l’altro uno pessimo: dipende da come la struttura viene interpretata e
fatta funzionare da chi ha le responsabilità di governo, ovvero dai processi di governo in cui il
suo funzionamento si traduce.
Supponiamo, per esempio, che due imprese siano entrambe dotate di un consiglio di
amministrazione (CdA) “da manuale”, la cui struttura e composizione rispecchiano cioè tutte le
best practice in tema di governance. Tuttavia, il CdA della prima impresa funziona come organo
di governo sostanziale, che coinvolge e valorizza i contributi di tutti i suoi componenti, si
concentra sui temi rilevanti, richiede approfondimenti, discute con spirito indipendente e
atteggiamento costruttivo le proposte avanzate dal management; quello della seconda impresa
funziona invece come organo solo formale, che approva acriticamente e senza discutere, nel
corso di riunioni di breve durata, qualsiasi proposta di delibera gli venga sottoposta. Il
funzionamento del primo o del secondo tipo dipende, in ultima analisi, dallo spirito e dal senso
di responsabilità che anima le persone che di quegli organi fanno parte.
L’esempio sopra proposto chiarisce che, per migliorare la qualità del sistema di governo di un
istituto, si può cercare di modificare il disegno strutturale della sua governance oppure di agire
sui processi. Tali interventi possono essere attuati dalle persone che hanno responsabilità di
governo dell’istituto – utilizzando i gradi di libertà offerti dall’ordinamento giuridico vigente –
oppure dai policymaker, che possono modificare le “regole del gioco” che disciplinano il
sistema di governo delle varie classi di istituti. Ma il miglioramento sostanziale, in ultima analisi,
è un fatto di attenzione e dedizione all’istituto da parte di persone etiche, competenti,
costruttive.
Come si evince dalla Tabella 11.1, le microimprese sono costituite per lo più in forma di
imprese individuali, che hanno una dimensione media di 1,5 addetti, mentre oltre la metà
(54,3%) delle imprese più grandi privilegiano la forma giuridica di società per azioni (che hanno
in media 135,5 addetti).
Tabella 11.1 Il numero di imprese e di addetti per forma giuridica di impresa in Italia.
imprendit società società a società società altre Totale
ore di responsa per coopera forme
individual person bilità azioni tive d’impr
e, libero e (snc, limitata esa
professio sas,
nista e altre)
lavorator
e
autonom
o
In questo paragrafo ci focalizzeremo sul sistema di governo delle imprese (in inglese corporate
governance, in breve CG) costituite in forma di società per azioni (spa) non solo in quanto la
forma di spa è adottata dalla maggior parte delle imprese più grandi, ma anche perché è la
forma giuridica che dev’essere obbligatoriamente adottata dalle società quotate in Borsa.
Inoltre, essa è diffusa sostanzialmente in tutti i Paesi “occidentali”, ancorché con alcuni
elementi di specificità previsti dagli ordinamenti di singoli Paesi o gruppi di Paesi. Dunque, è
nelle imprese in forma di spa che si pongono le questioni di governance più rilevanti. Per altro,
se è vero che le imprese più grandi prediligono tale forma giuridica, è altrettanto vero che essa
è scelta anche da numerose imprese di dimensioni medie e da alcune persino piccole. La
normativa disciplina molti elementi del sistema di governo di un’impresa in forma di spa, ma
nel contempo lascia ampi gradi di libertà relativamente a composizione e funzionamento degli
organi, regole e sistemi/meccanismi di governo, che sono oggetto di “autoregolamentazione”
a livello di statuto. Le spa possono dunque presentare sistemi di governo anche molto diversi
gli uni dagli altri, alcuni ben strutturati e funzionanti, altri mediocri o pessimi.
Tale prospettiva è stata sviluppata soprattutto nel contesto delle public company americane e
inglesi, ossia le grandi società quotate in borsa caratterizzate dalla separazione fra “proprietà”
(nelle mani degli azionisti) e “controllo” (da intendersi nel senso di gestione, affidata al
management). I fautori di questo approccio si rifanno alla teoria dell’agenzia: i manager sono
“agenti” che dovrebbero agire nell’interesse dei “mandanti”, ossia degli azionisti,
massimizzando i profitti e la creazione di valore azionario. Tuttavia, poiché gli azionisti
detengono quote di capitale singolarmente molto piccole e quindi non hanno alcun potere o
influenza sui manager, questi ultimi possono esercitare un elevato grado di discrezionalità e di
opportunismo e impiegare le risorse degli azionisti per perseguire obiettivi propri – di
remunerazione, potere, visibilità, ecc. – anche a discapito di quelli degli azionisti stessi. Per
prevenire tali comportamenti, gli azionisti possono nominare un consiglio di amministrazione
formato da membri non esecutivi e indipendenti che monitorano l’operato dei manager e
attivare opportuni meccanismi di incentivazione volti ad allineare gli obiettivi di questi ultimi a
quelli degli stessi azionisti.
La prospettiva ampia,9 più diffusa in Germania, Nord Europa e in alcuni Paesi asiatici come il
Giappone, concepisce invece la corporate governance come un insieme ampio e variegato di
strutture, regole e meccanismi di governo e di controllo – interni ed esterni all’impresa – atti ad
assicurare il perseguimento degli interessi presenti e futuri di tutti gli stakeholder, azionisti
inclusi. Tale concezione si fonda sull’assunto che sopravvivenza e sviluppo dell’impresa e
soddisfazione degli interessi dei diversi stakeholder si alimentino a vicenda.
Il contesto giuridico-istituzionale include l’insieme delle norme e delle regole alle quali le
imprese devono conformarsi, degli istituti, degli organi e delle strutture che definiscono il
quadro regolatorio (policymaker) e di quelle che ne verificano il rispetto e l’applicazione,
nonché dei meccanismi concorrenziali e collaborativi caratterizzanti i diversi mercati sui quali le
imprese si trovano a operare (Figura 11.2).
10
il diritto societario, che definisce fra l’altro le forme giuridiche che le imprese possono
adottare e, per ciascuna di esse, stabilisce le regole che disciplinano la composizione, la
nomina e il funzionamento degli organi di governo e di controllo, l’assegnazione dei
diritti di governo e di partecipazione agli utili e alle perdite, la struttura e composizione
del bilancio;
il diritto del lavoro, che disciplina le relazioni fra datore di lavoro e lavoratore, le
relazioni sindacali, le forme previdenziali e assicurative a beneficio dei lavoratori;
il diritto dei contratti, volto a tutelare l’autonomia negoziale e la buona fede delle parti
contraenti, a disciplinare alcune fattispecie di contratti, a dirimere le controversie che
dovessero insorgere dalla loro applicazione;
il diritto della concorrenza, che si occupa di regolare i comportamenti che possono
ostacolare o falsare la concorrenza e il buon funzionamento dei mercati, a danno dei
consumatori;
il diritto tributario, che stabilisce i diversi tipi di tributi, i presupposti per la loro
applicazione e le relative modalità di calcolo;
il diritto ambientale, finalizzato alla tutela e alla salvaguardia dell’ambiente;
il diritto dei mercati finanziari, che stabilisce regole per l’accesso al pubblico risparmio
e per la sua tutela, definisce regole di condotta per gli intermediari come banche e
assicurazioni, disciplina i servizi di investimento;
il diritto della crisi (o codice della crisi), che stabilisce una serie di regole e di
procedure per la prevenzione, il tempestivo riconoscimento, la risoluzione delle crisi
d’impresa.
Impianto regolatorio e suo funzionamento in Italia: alcune carenze
Non abbiamo lo spazio, in questa sede, per entrare nel merito di ogni singolo “filone”. Teniamo
però a sottolineare come è proprio a livello di impianto regolatorio e delle modalità con cui è
fatto funzionare e rispettare che si riscontrano carenze che, nel nostro Paese, rendono la vita
difficile a imprenditori corretti e imprese meritevoli, favoriscono disuguaglianze, ostacolano
l’innovazione e la crescita della produttività del sistema economico. Ci limitiamo a ricordare il
continuo proliferare della legislazione – in materia di lavoro, fisco, ambiente e così via – che
rende più complicato e costoso il “fare impresa”, senza per altro impedire realmente i
comportamenti scorretti che si vorrebbero prevenire; le resistenze a introdurre misure efficaci
di contrasto alla corruzione, come ad esempio obblighi di digitalizzazione per rendere
tracciabili i processi sensibili legati agli appalti pubblici e agli acquisti da parte delle
amministrazioni pubbliche; i tempi assai lunghi e le incognite legate a processi, contenziosi,
rilascio di autorizzazioni e così via, che sono fonti di incertezza e di costi e sottraggono tempo
ed energie preziose al lavoro di imprenditori e manager.
Ci soffermiamo soltanto sul diritto societario, recepito nel codice civile, il quale definisce una
cornice normativa – in tema di composizione, nomina e responsabilità degli organi di governo
e di controllo – all’interno della quale si gioca la libertà e la discrezionalità decisionale delle
singole imprese, che, sempre nel rispetto delle regole, possono dotarsi di sistemi di
governance diversi, i quali si rivelano poi più o meno buoni o cattivi.
11
12
Figura 11.3 Gli organi di governo, direzione e controllo (secondo il modello tradizionale)
previste dal diritto societario per le Spa.
Assemblea dei soci: organo di indirizzo
L’assemblea dei soci (organo di indirizzo), responsabile di decidere la configurazione del
sistema della governance dell’impresa in fase di costituzione e sue eventuali modifiche
successive. Ciò avviene attraverso l’approvazione dello statuto, la nomina del consiglio di
amministrazione, del collegio sindacale e della società di revisione, la determinazione dei
rispettivi compensi. L’assemblea, inoltre, approva il bilancio e delibera in merito alla
destinazione del risultato di esercizio e su alcune materie ad essa riservate dalla legge o dallo
statuto (operazioni straordinarie come fusioni o scissioni, quotazione in borsa, ecc.). Ogni
azione posseduta attribuisce in genere un voto 13 e quindi ogni socio in assemblea ha un
numero di diritti di voto pari al numero di azioni possedute.
13
14
15
L’amministratore delegato (AD, detto anche Chief Executive Officer o CEO), che è capo-
azienda e vertice della struttura manageriale e del personale esecutivo, del cui supporto si
avvale per gestire l’impresa sulla base dei piani strategici approvati dal CdA. Il CEO, il quale
deve rendere conto del proprio operato al CdA che lo ha nominato, funge quindi da “cinghia di
trasmissione” fra sistema della governance e sistema della gestione.
Da questa pur breve disamina emerge chiaramente che il diritto societario italiano assegna i
diritti e le responsabilità di governo dell’impresa agli azionisti, 16 che li esercitano innanzi tutto
nominando gli amministratori. Tale impianto normativo è comune alla maggior parte degli
ordinamenti dei Paesi “occidentali”, ma non mancano significative eccezioni. Il modello tedesco
della “co-determinazione”, ad esempio, prevede che nelle società per azioni con più di 500
dipendenti i membri del consiglio di sorveglianza siano nominati per due terzi dall’assemblea
dei soci e per un terzo dai lavoratori, riuniti nel “consiglio aziendale”. Nelle imprese con più di
2.000 dipendenti, la nomina dei consiglieri di sorveglianza spetta per il 50% agli azionisti e per
il 50% ai lavoratori.
16
A partire dagli anni Novanta del secolo scorso, l’impianto regolatorio in tema di governance
delle imprese include, oltre alle norme di legge, anche i codici di comportamento (in Italia il
codice di corporate governance emanato da Borsa Italiana), che contengono una serie di best
practice e di raccomandazioni in tema di governo delle società quotate e, più di recente (2017),
anche delle imprese familiari non quotate. Non trattandosi di norme ma di raccomandazioni,
vale il principio comply or explain: se un’impresa decide di non adottare una o più di tali
raccomandazioni deve spiegare le ragioni della propria decisione nella relazione annuale sulla
corporate governance.
Il sistema delle norme e regole include, infine, i valori condivisi che nel loro insieme formano
la cultura della comunità, del Paese o dei Paesi nei quali un’impresa è insediata e opera. Si
tratta di “norme” informali che concorrono a plasmare le aspettative e le valutazioni dei diversi
stakeholder nei confronti dell’impresa, del suo ruolo nella società, del profitto; determinano i
“modi di fare impresa” e gli “stili di management” giudicati positivi, e come tali considerati alla
stregua di modelli da seguire e da imitare, e quelli invece giudicati negativi.
Policymaker
Gli istituti, organi e strutture. Il contesto giuridico-istituzionale comprende poi gli istituti, gli
organi e le strutture che definiscono le norme e le regole – i policymaker, in primis i legislatori
a livello nazionale e sovranazionale – e quelli che ne verificano il rispetto e l’applicazione da
parte delle imprese. Questi ultimi sono istituti e strutture con ruoli di controllo, che
costituiscono un universo assai variegato di cui si propone una rassegna sintetica nella Tabella
11.2.
Tabella 11.2 Gli istituti e le strutture di controllo facenti parte del contesto giuridico-istituzionale.
Società di revisione Incaricata dall’assemblea dei soci su proposta del Collegio Sindacale, la
società di revisione (come Deloitte & Touche, KPMG, PWC, Reconta
E&Y) verifica nel corso dell’esercizio la regolare tenuta della contabilità
sociale e la corretta rilevazione dei fatti di gestione nelle scritture
contabili ed esprime un giudizio sui bilanci d’esercizio e consolidato.
Agenzie di rating creditizio Società (quali Standard & Poor’s, Moody’s, Fitch) che valutano la
solvibilità e il merito di credito degli emittenti di strumenti finanziari
sul mercato.
Agenzie di rating etico o Società (come per es. Eiris, KLD, Vigeo, Innovest) che valutano il profilo
ESG (Environmental, etico, la sostenibilità, l’impatto sociale e ambientale, la qualità della
Social, Governance) governance di un’impresa. I rating che attribuiscono sono spesso
commissionati o utilizzati da investitori istituzionali e asset manager
che intendono offrire ai loro clienti-risparmiatori opportunità di
investimento in società con performance elevate sul fronte etico ed
ESG.
17
In molti casi di imprese finite in default,18 con o senza risvolti penali, la scarsa incisività
dell’azione svolta da istituti e strutture di controllo ha contribuito all’emersione tardiva e quindi
all’aggravamento delle situazioni di crisi.
18
Nel già citato19 caso-limite di Parmalat diversi “attori” del sistema dei controlli esterni non
hanno rilevato, fino a pochi giorni prima del default (avvenuto nel mese di dicembre 2003), alcun
elemento di anomalia nella gestione né hanno messo in discussione le prospettive e la solvibilità
futura della società, sollevando seri dubbi sulla qualità e incisività del loro ruolo di monitoraggio
sulla società e di protezione nei confronti del mercato e degli stakeholder:
19
sulla base di quanto emerso dal procedimento penale, la società di revisione in carica fino
al 1998 sarebbe stata complice del management di Parmalat suggerendo di utilizzare
società offshore per nascondere perdite e debiti (gli illeciti, secondo l’Accusa, sarebbero
iniziati nel 1990 e si sarebbero protratti fino al momento del default, ovvero per 13 anni);
la società di revisione in carica dal 1999 ha sempre certificato senza rilievi i bilanci
annuali e intermedi (il primo, importante disclaimer risale alla relazione di revisione sulla
relazione semestrale 2003, pochi mesi prima del default);
Standard & Poor’s ha assegnato un rating stabilmente investment grade 20 (BBB) fino a
pochi giorni prima della dichiarazione di insolvenza e dell’ingresso di Parmalat nella
procedura di amministrazione straordinaria;
20
nel corso del 2002 (un anno prima del default) un solo analista ha emesso una
raccomandazione “sell” sul titolo Parmalat, a fronte di altri 21 che hanno invece
raccomandato “buy” e sette “hold”;
alcune banche creditrici hanno collocato un ingente ammontare di obbligazioni di
Parmalat presso i risparmiatori, i quali hanno poi dovuto subire le conseguenze del
default.
Persone e strutture di controllo: conseguenze della mancanza di indipendenza
Un “mercato” di particolare rilievo per gli effetti che può esercitare sul governo e sulla gestione
delle imprese è quello che ha per oggetto “pacchetti” azionari di rilevante entità, la cui vendita
determina il “passaggio di mano” del controllo di un’impresa. La possibilità di cambiamento
dell’azionista o del gruppo di controllo, ossia la contendibilità del “pacchetto di controllo” di
un’impresa, costituisce infatti un meccanismo di disciplina del management, in quanto stimola
il management stesso a gestirla bene e facilita la sostituzione di quello inadeguato.
Dimensione, trasparenza e buon funzionamento dei mercati finanziari sono condizioni che
favoriscono la contendibilità delle imprese.
21
Un buon sistema di governance è quello che assicura la creazione di valore sostenibile per
l’impresa, i suoi stakeholder – a cominciare da quelli che portano gli interessi più critici – e la
società in generale. Esso crea le condizioni perché un’impresa sia strumento di incivilimento, in
grado di conciliare benessere individuale degli stakeholder e benessere collettivo.
Sabaf,22 impresa produttrice di valvole, bruciatori e altri componenti per cucine a gas, è
un’impresa quotata in borsa dal 1998 rimasta a lungo controllata da una famiglia anche dopo la
quotazione. Un patto parasociale fortemente voluto da uno dei soci fondatori, attualmente
(2022) presidente onorario, stabilisce che nessuno dei membri della famiglia assuma ruoli
manageriali, ma solo di consiglieri di amministrazione senza deleghe. La logica alla base di una
scelta così radicale è di evitare che le redini dell’impresa possano essere assunte da membri della
famiglia che si rivelino poi non all’altezza del ruolo, a danno dell’impresa stessa e dei suoi
stakeholder: “Se non è la prima generazione – osserva il presidente onorario – è la seconda o la
terza a mandare all’aria tutto. È importante che i miei figli possano controllare e incontrino
periodicamente il management per essere messi al corrente delle scelte e dei risultati
dell’azienda. Per me le 700 persone che lavorano in Sabaf sono più importanti dei miei figli. Loro
tre vivono bene comunque.”
22
Ci sono per il vero tanti figli o parenti di imprenditori di imprese familiari, anche di dimensioni
medie o grandi, che hanno tutti i requisiti – competenze, integrità, passione, motivazione a ben
governare – per assumerne la guida strategica e operativa. È responsabilità dell’imprenditore e
di tutti i suoi familiari-soci individuare persone di elevato spessore etico e professionale, a
prescindere dal fatto che siano membri della famiglia o esterni a essa, cui affidare le redini
dell’impresa.
Shareholder activism
Anche azionisti titolari di quote relativamente piccole di capitale possono contribuire al buon
governo svolgendo il loro ruolo in modo attivo e responsabile. È questo il caso, per esempio, di
investitori istituzionali (per es. fondi pensione o altri fondi di investimento) che partecipano
attivamente alle assemblee di società quotate e instaurano un confronto dialettico con il
management su temi quali governance, strategie, politiche di remunerazione, impatti sociali e
ambientali: propongono mozioni in assemblea, esprimono richieste di cambiamento su uno o
più aspetti della governance o della gestione, orientano e coalizzano i voti dei piccoli azionisti
o di altri investitori istituzionali, “minacciano” di vendere i loro pacchetti di azioni. In tali
comportamenti, noti con il termine di shareholder activism, si esprime un modo responsabile
di esercitare il ruolo di azionisti di minoranza nella misura in cui contribuisce a riorientare il
management nella direzione di una gestione più equa, sostenibile, trasparente.
Abbiamo visto che l’ordinamento giuridico delle società per azioni vigente in gran parte dei
Paesi occidentali assegna in genere agli azionisti riuniti in assemblea i poteri di indirizzo e di
nomina degli amministratori e altri diritti di governo. Ma, nel pieno rispetto dell’ordinamento
vigente, in certi casi può essere condizione di buona governance attribuire tali diritti anche a
stakeholder diversi dagli azionisti,23 in particolare:
23
a coloro che apportano risorse critiche, ovvero di particolare rilievo per la prosperità
e la sostenibilità dell’impresa e nel contempo scarse, per tenerli coinvolti e motivarli a
non farle mancare il loro apporto (Zattoni, 2020). Le risorse critiche non sono le stesse
per tutte le imprese: il capitale di rischio lo è quasi sempre, ma non, ad esempio, per le
cooperative di lavoro o per le partnership o associazioni fra professionisti. Per
un’impresa del settore delle telecomunicazioni o con un modello di business basato su
piattaforme digitali possono essere critiche certe competenze e know-how di natura
tecnologica, per un’impresa che ha adottato un modello di business di tipo circolare la
“materia prima seconda” (come la carta, la plastica o il nylon da riciclare), per
un’impresa automobilistica alcuni componenti o lavorazioni critiche affidate a fornitori
esterni;
a coloro che hanno interessi rilevanti nell’impresa ma non hanno altra via per
proteggerli efficacemente. Può trattarsi dei collaboratori, oppure dei fornitori che
realizzano con una data impresa una quota molto rilevante (se non la totalità) del loro
fatturato.
Diritti di governo: modalità di attribuzione
L’attribuzione di diritti di governo può avvenire per esempio assegnando azioni come forma di
remunerazione variabile al management o ad altri collaboratori, cedendo partecipazioni
azionarie ad alcuni fornitori o clienti strategici in modo da coinvolgerli nel governo e nella
gestione e tenerli maggiormente “legati” all’impresa, oppure prevedendo, in statuto o
all’interno di contratti, la possibilità di nominare amministratori in rappresentanza di
stakeholder diversi dagli azionisti (anche se poi, formalmente, è l’assemblea dei soci a
nominarli).
24
25
26
27
Un buon assetto di governo nel senso sopra proposto è non di rado frutto di processi di
apprendimento, sperimentazione e rinnovamento che si dispiegano su archi di tempo non
brevi, innescati o favoriti da cambiamenti nel gruppo di controllo, evoluzioni normative,
pressioni dei mercati, risultati non del tutto soddisfacenti.
Unilever28 è uno dei gruppi più importanti al mondo, al pari di Procter & Gamble, operante con
una molteplicità di marchi (fra i più noti Knorr, Lipton, Dove e Cif) nei settori alimentare, della
cura della casa e della persona. Fino al 2020 ha avuto due holding quotate: Unilever Holland NV
in Olanda e Unilever UK PLC nel Regno Unito. La volontà di mantenere due organi di governo –
uno di Unilever NV e l’altro di Unilever PLC – composti dalle stesse persone e, al tempo stesso, di
ottemperare a due ordinamenti giuridici assai diversi (il consiglio di sorveglianza, tipico del
modello dualistico adottato fra l’altro in Olanda e in Germania, non era ammesso in Inghilterra; i
consiglieri non esecutivi erano elemento di buona governance in Inghilterra ma non in Olanda)
ha fatto sì che, fino al 2002/2003, Unilever avesse un board con caratteristiche peculiari: otto
executive director (che erano anche parte del top management team) e 12 advisory director (tutti
indipendenti). Questi ultimi però, per quanto di alto profilo per competenze ed esperienze, non
avevano diritto di voto e quindi non erano responsabili delle delibere assunte dall’organo. Ciò
faceva sì che, nella sostanza, gli otto executive director “controllassero sé stessi”: assumevano le
decisioni di governo, erano responsabili di realizzarle e ne monitoravano l’attuazione concreta e i
risultati.
28
L’evoluzione della normativa nei due Paesi, le pressioni dei mercati per una governance più
evoluta, la concorrenza agguerrita di Procter & Gamble hanno indotto Unilever a intraprendere
un percorso di cambiamento graduale sfociato in un assetto di governo conforme alle best
practice a partire dal 2008 e che attualmente (2022) include: l’Unilever Board, formato da 13
consiglieri (tutti con diritto di voto), di cui 11 (fra i quali il Presidente) non esecutivi, con rilevanti
competenze ed esperienze internazionali in ruoli di governo o di direzione in gruppi di grandi
dimensioni, e due manager, ossia il CEO e il CFO; l’Unilever Leadership Executive (ULE), formato
da 13 manager responsabili di business, di funzione o di area geografica, fra i quali il CEO e il
CFO, che fungono dunque da anello di collegamento fra Unilever Board e Unilever Leadership
Executive.
Attività. Un buon sistema della governance, per essere tale, deve anche funzionare bene. Ciò
significa, nello svolgimento delle attività di governo, dedicare tempo e attenzione
proporzionati all’importanza dei problemi da affrontare e delle delibere da assumere; interagire
con il management e svolgere un’azione costruttiva di challenge nei suoi confronti, al fine di
accertare che abbia istruito e valutato adeguatamente le proposte che sottopone al CdA e
vagliato corsi di azione alternativi; assicurare che il management sia accountable nei confronti
del CdA, degli azionisti e degli stakeholder tutti; assicurare il dovuto spazio e “peso” nel
dibattito agli organi e alle strutture di controllo. Il ruolo del presidente del CdA, dal quale ci si
attende imparzialità, capacità di interagire alla pari con il vertice dell’esecutivo e di valorizzare i
contributi di tutti, nonché impegno ad assicurare che tutti i consiglieri dispongano
tempestivamente delle informazioni utili a prendere buone decisioni, è fondamentale per il
buon funzionamento di un sistema di governo nel senso qui proposto.
Infine, un buon sistema della governance richiede di mettere a punto, con il supporto di
persone capaci e motivate, adeguati sistemi/meccanismi e processi di:
Patologie della governance: perseguimento di interessi particolari a danno del bene dell’impresa
Gli interessi particolari perseguiti a danno del bene dell’impresa possono essere quelli del
management, del gruppo di controllo, di altri stakeholder o di soggetti che neppure possono
annoverarsi fra gli stakeholder.
Nel primo caso, il management, guidato da ambizioni di potere, ricchezza e visibilità, persegue
ad esempio disegni di crescita non sostenibili, intraprende iniziative volte a far crescere il
prezzo delle azioni in borsa nel breve termine (per beneficiarne al momento dell’esercizio delle
stock option di cui è spesso titolare) ma dannose per la competitività di lungo termine, nei casi
più gravi “trucca” i bilanci per occultare perdite e debiti. Nel secondo caso, il gruppo di
controllo concepisce e governa l’impresa come un bene di cui disporre a proprio piacimento e
si adopera spesso per “blindarne” il controllo, non di rado a danno degli azionisti di minoranza
e dello sviluppo dell’impresa stessa. Nel terzo caso, che si manifesta in modo particolare (ma
non solo) in imprese controllate da istituti pubblici, è tipica l’assegnazione di ruoli di
responsabilità e l’effettuazione di assunzioni o erogazioni liberali sulla base di logiche politico-
clientelari.
Il già citato caso di Parmalat costituisce un esempio emblematico ed estremo in cui il gruppo di
controllo (la famiglia che deteneva poco più del 50% delle azioni della società), complice un
sistema di governance debole, ha piegato gli interessi dell’impresa ai propri fino a condurla, a
dicembre 2003, alla bancarotta fraudolenta. Fondata agli inizi degli anni Sessanta del secolo
scorso, Parmalat aveva conosciuto un lungo periodo di prosperità e di sviluppo grazie ad alcune
innovazioni di rilievo (soprattutto nelle tecnologie di confezionamento del latte) e alla
diversificazione in altri segmenti del settore alimentare. A partire dal 1990 (anno della
quotazione in Borsa), il “dirottamento” di risorse dall’impresa verso altri business controllati dalla
famiglia e le perdite prodotte da alcuni rilevanti investimenti e acquisizioni (soprattutto in Sud
America) hanno indotto il vertice del gruppo – Calisto Tanzi ricopriva al tempo stesso i ruoli di
azionista di maggioranza, presidente e amministratore delegato – a occultare, con il supporto
tecnico decisivo del CFO, perdite e debiti in misura rilevante e crescente nel tempo. Il default, che
è coinciso con l’emersione, fra l’altro, di titoli e liquidità inesistenti iscritti in bilancio per circa
quattro miliardi di euro, ha causato perdite ingenti a un grande numero di risparmiatori che
avevano investito in azioni o in obbligazioni emesse da Parmalat.
Un caso interessante e controverso sotto il profilo della tutela dei diritti delle minoranze è
Facebook, il cui gruppo di controllo coincide sostanzialmente con il fondatore Mark
Zuckerberg.
Meta, denominata Facebook fino a ottobre 2021, è una ben nota società quotata americana con
una capitalizzazione di borsa di circa 357 miliardi di dollari 29 e utili in costante crescita dal 2007
al 2021 (in tale ultimo anno ha conseguito un utile netto di circa 39 miliardi di dollari a fronte di
ricavi per 118). Meta ha emesso due tipi di azioni: di classe A (circa 2,4 miliardi), che danno
diritto a un voto ciascuna, negoziate sul Nasdaq, e di classe B (circa 435 milioni), che danno
diritto a 10 voti ciascuna, detenute soltanto da Zuckerberg, da alcuni manager e consiglieri di
amministrazione. Zuckerberg detiene il 14% delle azioni complessivamente emesse (sommando
quelle di classe A e quelle di classe B) dalla società, ma trattandosi di azioni di classe B detiene in
realtà la maggioranza dei diritti di voto: il 53% circa, che diventa il 58% includendo anche le
azioni di classe B che controlla in virtù di accordi con altri soci.
29
Alcuni esponenti di fondi di investimento hanno polemizzato apertamente con Meta segnalando
che diverse iniziative e mozioni proposte dai fondi stessi e da azionisti attivi bocciate in
assemblea avrebbero invece ottenuto la maggioranza se le azioni delle due classi avessero avuto
gli stessi diritti di voto. Inoltre, è emerso che i due asset manager Vanguard e Blackrock
detengono insieme tante azioni quante ne possiede Zuckerberg, ma trattandosi di azioni di
classe A hanno una piccola frazione dei diritti di voto di quest’ultimo.
30
Il perseguimento di interessi particolari a danno del bene dell’impresa può verificarsi più
facilmente in presenza di un assetto di governance debole.
Nel caso Parmalat, oltre alla già citata coincidenza nella stessa figura dei ruoli di azionista di
controllo, presidente e amministratore delegato, spiccava il fatto che il comitato per il controllo
interno costituito in seno al CdA era formato per la maggioranza da due consiglieri-manager
(anziché da indipendenti), fra i quali il CFO che aveva avuto un ruolo fondamentale nel
disegnare gli artifici tecnico-contabili necessari a celare perdite e debiti per circa 13 anni.
Patologie della governance: cattivo funzionamento degli organi e strutture di governo e controllo
La seconda patologia del sistema di governo, ovvero il cattivo funzionamento degli organi e
delle strutture di governo e di controllo, può manifestarsi anche in presenza di un assetto
del tutto conforme alle migliori prassi e alle raccomandazioni contenute nei citati codici di
corporate governance. Sono manifestazioni tipiche di malfunzionamento:
processi istruttori e di analisi di scarsa qualità, ovvero basso livello di approfondimento, focus
su questioni di secondo piano, poca interazione e discussione fra consiglieri e fra consiglieri e
management, con la conseguenza che il CdA si limita di fatto a ratificare decisioni già assunte
al di fuori di esso;
“appiattimento” sulle proposte dell’imprenditore o del management, ovvero debolezza
dell’azione di challenge e di stimolo nei loro confronti;
scarsa incisività degli organi e delle strutture di controllo, che si limitano a verifiche per lo più
formali;
spesso come conseguenza dei punti precedenti, scarsa accountability del management, che,
forte dell’asimmetria informativa a suo favore nei confronti degli amministratori, e dell’inerzia
di questi ultimi e degli organi e delle strutture di controllo, seleziona, manipola o ritarda le
informazioni fornite agli amministratori stessi, ai mercati e agli stakeholder, pur nel rispetto
formale delle norme sulla rendicontazione;
processi decisionali lenti e farraginosi, talora per la ricerca dell’unanimità a tutti i costi o per la
difficoltà a convergere verso una strategia chiara e condivisa.
Patologie della governance: funzionamento formale ma non sostanziale
Tali manifestazioni sono tipiche di sistemi di governo che funzionano sul piano formale ma
non su quello sostanziale, con possibili, pericolose ripercussioni sul sistema della gestione e
quindi sui risultati dell’impresa.
Le due patologie del sistema della governance sopra illustrate possono essere favorite da
lacune sul piano della struttura e composizione degli organi (per esempio pletorici o troppo
ristretti, oppure formati da persone nel complesso prive di una gamma adeguata di esperienze,
competenze, background professionali), dei sistemi/meccanismi (per esempio, sistemi di
valutazione e incentivazione del management sbilanciati su obiettivi economico-finanziari di
breve periodo), delle regole interne (relative per esempio ai diritti delle minoranze o alla
prevenzione e governo dei conflitti di interesse).
In quali modi queste forze possono agire per migliorare il sistema di governo di un’impresa nel
senso proposto in questo capitolo?
Diversi tipi di interventi, di tipo sia radicale che incrementale, potrebbero migliorare il contesto
giuridico-istituzionale a beneficio della governance delle imprese. Ad esempio, con un focus
sul nostro Paese, meriterebbero considerazione:
interventi di riforma, peraltro da più parti da tempo invocati, nella direzione di semplificare
l’impianto normativo – in tema di ambiente, lavoro, fisco e via dicendo – e di renderlo al
tempo stesso non penalizzante nei confronti di chi “fa bene impresa” ed efficace nel
disincentivare azioni e comportamenti contrari al bene inteso interesse dell’impresa stessa, dei
suoi stakeholder, del Paese;
interventi di revisione del diritto societario, in diverse possibili direzioni: di prevedere, a certe
condizioni o in alcuni tipi di imprese, la rappresentanza di stakeholder diversi dagli azionisti
negli organi di governo (ad esempio i lavoratori, come nel modello di governo societario
tedesco); di rafforzare e rendere effettiva l’indipendenza degli amministratori che assumono
formalmente tale qualifica e degli organi di controllo; di accrescere la varietà nella
composizione dei consigli di amministrazione, senza intaccarne il livello complessivo di
competenza ed esperienza. Sotto quest’ultimo profilo il nostro ordinamento, al pari di quello di
molti altri Paesi europei, già da alcuni anni prevede delle “quote di genere”: sarebbe da
valutare l’opportunità di prevedere per legge anche l’inserimento di consiglieri in giovane età,
purché a valle di adeguati percorsi di selezione e formazione. Infatti, a dispetto della diffusa
resistenza delle imprese al loro inserimento, essi porterebbero sensibilità, chiavi di lettura e
prospettive maggiormente orientate al cambiamento, al futuro e alla sostenibilità;
una regolamentazione più incisiva nell’orientare le imprese verso obiettivi di sostenibilità
sociale e ambientale. Ne è stato un esempio efficace, in passato (1997), il “Decreto Ronchi”
che ha introdotto nel nostro Paese, in recepimento di una direttiva europea, obblighi di
recupero e riciclo di percentuali crescenti nel tempo di vari materiali quali carta e cartone. Fra i
tanti spazi di intervento in tale ambito, segnaliamo l’opportunità di una regolamentazione più
stringente e uniforme (almeno a livello europeo) nell’assegnazione dei rating ESG
(Environmental, Social, Governance), onde arginare il fenomeno noto come greenwashing da
parte di molte imprese e consentire a risparmiatori, investitori e stakeholder di discernere in
modo corretto quelle realmente e seriamente impegnate su tale fronte da quelle che si
limitano a interventi di facciata.
Miglioramento del sistema della governance: ruolo degli stakeholder
Anche gli stakeholder hanno la responsabilità 31 di dare impulso al miglioramento del sistema
della governance di un’impresa. Ad esempio:
31
In generale, un innalzamento della cultura d’impresa – ossia una migliore conoscenza del
ruolo delle imprese nella società e delle condizioni necessarie per assolverlo al meglio – da
parte della società civile nelle sue molteplici espressioni (singoli cittadini, associazioni, mass
media, ecc.) e rappresentanze (organi e strutture politiche, sindacati, ecc.) può contribuire in
modo rilevante al miglioramento della qualità del sistema della governance e del sistema della
gestione delle imprese: orientando correttamente aspettative e istanze a esse rivolte,
migliorando la capacità di discernere le imprese governate e gestite bene da quelle governate
e gestite male, favorendo il riconoscimento sociale delle prime e la riprovazione sociale delle
seconde.
Miglioramento del sistema della governance: spazi di azione delle singole imprese
Infine, ogni singola impresa può adoperarsi in tanti modi per migliorare il proprio sistema di
governance. In particolare:
Infine, ogni singola persona può fare molto per migliorare la governance di un’impresa. Basti
pensare, ad esempio, a quanto può essere preziosa la “coscienza critica” anche di un singolo
amministratore indipendente che – in un consiglio di amministrazione “appiattito” sul
management – richiede approfondimenti, solleva obiezioni e critiche all’amministratore
delegato, esprime voto contrario su una o più proposte di delibera; o l’iniziativa di un
imprenditore che, rendendosi conto che sono maturi i tempi per aprire via via i ruoli
manageriali, il CdA o il capitale a persone esterne alla famiglia, avvia un lungo percorso di
dialogo e di confronto con i diversi esponenti della proprietà per creare consapevolezza e far
maturare il consenso; o, ancora, il coraggio di un sindacalista che, comprendendo come chi ha
la proprietà del capitale e chi lavora si trovano “sulla stessa barca”, combatte contro pregiudizi,
logiche di potere e logiche di contrapposizione ancora diffuse e radicate e si fa promotore del
dialogo con l’imprenditore o con il management per il bene di tutti.
agli associati nel caso delle associazioni, sia chiuse che aperte;
alle persone fisiche e agli istituti (pubblici e privati) che erogano – in qualità di
fondatori, donatori, soci, ecc. – le risorse finanziarie necessarie al funzionamento e
all’equilibrio economico dell’istituto;
a rappresentanti dei beneficiari nel caso, per esempio, delle fondazioni di erogazione;
ai prestatori di lavoro, tipicamente nel caso delle cooperative sociali.
In base all’ordinamento giuridico vigente, l’esercizio delle prerogative di governo degli istituti
di una certa dimensione e articolazione avviene di norma attraverso:
un organo di indirizzo, che a sua volta può coincidere con: (i) l’assemblea degli
associati nel caso delle associazioni o dei soci nel caso delle imprese sociali; (ii)
il consiglio di indirizzo, tipicamente nel caso delle fondazioni. Esso è composto
solitamente da persone designate dai fondatori fra coloro che hanno competenze ed
esperienze negli ambiti di attività della fondazione e, nel caso delle fondazioni di
erogazione, da persone che si fanno interpreti dei bisogni e delle istanze dei territori e
degli stakeholder beneficiari. All’organo di indirizzo compete la determinazione delle
priorità, delle linee-guida, degli obiettivi e dei programmi di lungo termine,
l’approvazione del bilancio, la nomina dei membri dell’organo di governo;
Organi di controllo: collegio dei revisori e collegio dei probiviri o consiglio dei garanti
uno o più organi con funzioni di controllo, ovvero: (i) un collegio dei revisori, al quale
competono il controllo contabile e la revisione del bilancio (talora affidata a una società
di revisione), la verifica dell’osservanza della legge e dello statuto, la verifica
dell’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile dell’istituto e del
suo concreto funzionamento; (ii) un “collegio dei probiviri”, “consiglio dei garanti” o
altro organo simile con il ruolo di garante della correttezza e dell’eticità della gestione
dell’istituto.
Talora la configurazione degli organi di governo è più semplice rispetto allo schema generale.
Nel caso della Fondazione che gestisce il Teatro La Fenice di Venezia, ad esempio, le
responsabilità di governo competono direttamente al Consiglio di indirizzo, il quale approva, fra
l’altro, la programmazione dell’attività della Fondazione predisposta dal Sovrintendente e la
pianta organica. Il Sovrintendente, nominato dal Ministro dei Beni e delle Attività Culturali e del
Turismo su proposta del Consiglio di indirizzo, concentra su di sé le responsabilità di gestione e si
avvale della struttura manageriale e operativa della Fondazione, di cui costituisce il vertice. Il
Sovrintendente è dunque il capo-azienda e funge da trait d’union fra Consiglio di indirizzo e
struttura manageriale ed esecutiva.
Alcune grandi realtà internazionali presentano invece un assetto di governo più complesso e
articolato su più livelli.
Quali sono i principali elementi di fisiologia e quali invece gli elementi di patologia degli istituti
non profit e del loro sistema della governance? Perché, ad esempio, la Fondazione dr. Marcello
Candia, a quarant’anni dalla morte del suo fondatore, continua a operare con slancio e fervore
di iniziativa, moltiplicando le proprie opere e realizzazioni in favore degli ultimi che vivono in
Brasile? O ancora, come si spiega il fatto che la Fondazione OIC Onlus sia impegnata in un
percorso di sviluppo, in condizioni di equilibrio economico-finanziario, esportando in territori
contigui a quello originario di Padova strutture di accoglienza, riabilitazione e cura di persone
fragili ma anche di valorizzazione della longevità? Perché, invece, altri istituti non profit hanno
perso lo slancio originario e “si trascinano”, e altri ancora sono incorsi in difficoltà economiche
e finanziarie più o meno gravi e talora persino in irregolarità gestionali?
“Spendete con attenzione, con oculatezza, sempre con cristiana discrezione; spendete tutto
quanto ricevete senza nulla capitalizzare, assicuratevi della continuità delle opere lasciandole in
proprietà a entità missionarie che credono nel progetto; costruite bene pensando al futuro,
rendete conto ai benefattori di quanto realizzato, e tutti voi, membri del Consiglio della
Fondazione, siate sempre volontari e non utilizzate neanche un centesimo che non sia
strettamente a vantaggio dei poveri”.
Governare e gestire bene un istituto non profit significa dunque prima di tutto:
assicurare la fedeltà alla missione originaria, riducendo al minimo l’impiego di denaro
che non sia funzionale al suo perseguimento (“non utilizzate neanche un centesimo che
non sia a favore dei poveri”);
preservare l’economicità della gestione (“spendete con attenzione, con oculatezza,
sempre con cristiana discrezione”);
discernere e collaborare con partner che “credono nel progetto”, ovvero condividono
missione e valori che ne sono alla base;
pensare costantemente al futuro e alla continuità dell’istituto (“costruite bene pensando
al futuro”);
assicurare l’accountability, ovvero rendicontare dell’utilizzo del denaro prima di tutto
ai donor dell’istituto (“rendete conto ai benefattori di quanto realizzato”);
testimoniare personalmente, in qualità di esponenti degli organi di governo, la fedeltà
ai valori fondanti dell’istituto (“siate sempre volontari”).
Viceversa, i “mali endemici” che caratterizzano la patologia degli istituti non profit sono in
buona parte speculari ai tratti caratterizzanti il buon governo e la buona gestione. Essi possono
essere ricondotti:
Il sistema della governance degli istituti pubblici è tema molto complesso che richiede conoscenze
specifiche quanto meno di dirtto pubblico, di scienze politiche, di economia politica. Ci limitiamo
qui a pochi cenni, segnalando che facciamo riferimento soltanto al governo degli istituti pubblici
tipico delle democrazie liberali occidentali, caratterizzate in sintesi da: uguaglianza di tutti i cittadini
di fronte allo Stato e alla legge, sovranità popolare – che si esercita mediante libere elezioni dei
propri rappresentanti da parte dei cittadini –, intangibilità di una serie di libertà individuali quali la
libertà di pensiero, di culto, di stampa, d’impresa.
I sistemi democratici hanno assicurato ai Paesi dell’Europa occidentale, a partire dalla fine della
Seconda Guerra Mondiale, un lungo periodo di pace e di sostanziale prosperità. Ma per varie
ragioni, a cominciare dalla crisi dell’ordine internazionale liberale 33 nel quale tali sistemi si
innestano, la difesa della democrazia e delle istituzioni sulle quali essa si fonda è tornata ad essere
una questione di grande attualità. Se a ciò si aggiunge l’aggravarsi di alcune problematiche di
natura globale non governabili a livello nazionale (come cambiamento climatico, tensioni
geopolitiche, disuguaglianze, fenomeni migratori), si pone con sempre maggiore intensità la
necessità di rivitalizzare organismi mondiali (come l’ONU), di mettere a punto forme di governance
a livello sovranazionale e di ridefinire la ripartizione dei ruoli e dei poteri fra organismi
sovranazionali (nel nostro caso l’Unione Europea) e singoli Stati. 34
33
34
I sistemi di governo dei diversi tipi di istituti pubblici sono variamente configurati e, almeno nel
caso dello Stato, presentano elevati gradi di complessità e di articolazione. Proponiamo di seguito
una configurazione di base, estremamente semplificata e generale, dei vari organi e ruoli di
governo a livello di singolo istituto pubblico territoriale, nell’ambito di un sistema democratico.
Essa include:
Fra gli organi con funzioni di controllo si citano, a titolo meramente esemplificativo, la Corte dei
Conti e il collegio dei revisori contabili. La prima è un organismo di rilievo costituzionale
indipendente dal Governo con funzioni di controllo preventivo di legittimità sugli atti del Governo
stesso, di controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato e di controllo sulla gestione
finanziaria degli enti (come i comuni) ai quali lo Stato contribuisce in via ordinaria. Il collegio dei
revisori esercita invece una funzione di vigilanza, che si esplica in una serie di verifiche e
nell’emissione di pareri sulla regolarità contabile, finanziaria ed economica della gestione di un
istituto pubblico territoriale.
Limitandoci al caso dello Stato,35 il buon governo è quello funzionale a realizzare lo scopo di
promuovere lo sviluppo socioeconomico e la convivenza civile della collettività e appagare i bisogni
di beni pubblici dei cittadini, in armonia con la comunità internazionale nella quale è inserito, il
tutto mantenendo i conti in ordine. I tratti caratterizzanti il buon governo di uno Stato si possono
ricondurre, nella loro essenza:36
35
36
alla ricerca dell’interesse generale e del bene comune da parte di tutte le istituzioni dello
Stato stesso, in primis Parlamento, Governo, Magistratura, ciascuna nel proprio ruolo;
a processi decisionali, nell’ambito delle istituzioni, in grado di coniugare discussione,
confronto e partecipazione – in quanto “percorsi di garanzia democratica” – e tempestività
delle decisioni;
a forme adeguate di coinvolgimento, confronto e rappresentanza dei cittadini nell’ambito di
corpi sociali intermedi e “partiti coinvolgenti”;
a un impegno costante a far crescere nei cittadini – soprattutto attraverso un sistema
scolastico di livello adeguato e in grado di assicurare “parità di condizioni e di opportunità”
– cultura, senso civico, coesione;
a preservare in equilibrio i conti senza eccedere nell’imposizione fiscale e nell’emissione di
titoli del debito pubblico.
Il caso dell’Italia: necessità di riforme per prevenire alcune patologie della Pubblica Amministrazione
Nello specifico caso del nostro Paese, il buon governo non può essere disgiunto da riforme incisive
volte a prevenire il manifestarsi di alcune patologie delle quali soffre il sistema della Pubblica
Amministrazione, sia pure con gradi di intensità diversi nelle differenti aree del Paese e senza nulla
togliere ai tanti casi di istituti pubblici ben amministrati:
37
l’eccesso di burocrazia, che pone diversi ostacoli al fare impresa, agli investimenti pubblici
e privati, allo sviluppo. Si pensi per esempio a come l’eccesso di burocrazia possa far
aumentare a dismisura i tempi e i costi di realizzazione di opere pubbliche importanti. Essa,
infatti, impone di sottoporre un’opera all’esame e all’autorizzazione di numerosi enti e
strutture con ruoli in parte sovrapposti, caratterizzate da culture marcatamente burocratico-
formali e prive di qualsiasi orientamento all’efficienza e al risultato. La progettazione e la
costruzione del Ponte San Giorgio di Genova, inaugurato nel mese di agosto del 2020 a soli
due anni dal tragico crollo del Ponte Morandi, è un segnale confortante del fatto che,
laddove vi siano una passione e un impegno forti e condivisi per il bene comune, è
possibile ricorrere a processi decisionali e realizzativi efficienti per dotare il Paese di opere
pubbliche fondamentali;
l’“aziendalizzazione” di istituti pubblici, ispirata alla corrente di pensiero del New Public
Management,38 nei casi in cui i principi di efficienza e di economicità, anziché essere
incorporati in una buona amministrazione volta alla migliore realizzazione dello scopo degli
istituti, hanno indotto a sacrificare la ragione d’essere dei medesimi. Tale fenomeno si è
manifestato ad esempio nel settore sanitario, con gestioni guidate dall’obiettivo di taglio dei
costi anziché dalla logica di innovare a tutto campo per “fare di più e meglio con meno” a
beneficio dei pazienti.