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DIRITTO AMMINISTRATIVO
LEZIONE I
“L’ORGANIZZAZIONE AMMINISTRATIVA”
Indice
Attenzione! Questo materiale didattico è per uso personale dello studente ed è coperto da copyright. Ne è severamente
vietata la riproduzione o il riutilizzo anche parziale, ai sensi e per gli effetti della legge sul diritto d’autore
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Sono due le formule organizzatorie che possono essere adottate nell’amministrazione di uno
Stato: l’accentramento ed il decentramento.
L’accentramento comporta l’attribuzione di gran parte dei poteri allo Stato centrale ed ai
suoi organi, senza lasciare spazio alle organizzazioni autonome e locali, le quali, rispetto allo Stato,
assumono un semplice rapporto di tipo gerarchico.
Nel nostro ordinamento, ha trovato accoglienza la formula del decentramento, così come
enunciato dall’art. 5 Cost. quale criterio guida della legislazione, così come da ultimo ribadito anche
nel Titolo V della Parte II della Costituzione relativamente alle “Regioni, Provincie e Comuni”,
come novellato con la recente legge costituzionale n. 3 del 18 ottobre 2001.
Il decentramento riguarda ogni funzione dello Stato, per questo si parla di decentramento
politico (ex art. 117 Cost., in base al quale agli enti territoriali sono riconosciute funzioni di
indirizzo politico-amministrativo); di decentramento legislativo (ex art. 117 Cost., che riconosce
1
Su tutti, cfr., D. Valentini, Figure, rapporti, modelli organizzatori. Lineamenti di teoria dell’organizzazione, Padova,
1996, p. 7 e ss.
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In Italia il decentramento ha avuto una evoluzione o, per così dire, una espansione, lenta e
graduale, che ha cominciato ad esprimersi nel 1948 con l’avvento della Costituzione, ma che è
andata avanti con gli anni. In tal senso si pensi che negli anni ’70 e precisamente con la legge n. 281
del 1970 e la legge n. 382 del 1975 si è avuta l’auspicata istituzione delle regioni a statuto
ordinario.
servizi pubblici vengono dislocati nel luogo più prossimo agli utenti, anziché concentrati
nella sede centrale.
2
A. Nigro, Studi sulla funzione organizzatrice della pubblica amministrazione, Milano, 1996, p. 4 e ss.
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Autarchico: quando le funzioni vengono trasferite ad enti diversi dallo Stato e dotati,
appunto di autarchia, cioè della capacità di porre in essere atti amministrativi che abbiano la stessa
natura e la stessa efficacia degli atti statali.
Burocratico: quando agli uffici periferici vengono trasferite potestà decisionali, con relative
responsabilità, e non solo compiti preparatori o esecutivi.
Funzionale: quando determinate funzioni vengono attribuite a strutture predefinite che, pur
rimanendo assorbite nella organizzazione di riferimento, godono di una importante autonomia
operativa, finanziaria e contabile.
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Gli Stati, nell’organizzare la loro amministrazione, oltre che operare attraverso propri organi
(c.d. amministrazione diretta) possono anche avvalersi dei mezzi, degli organi e delle attività di
altre persone giuridiche, alle quali viene riconosciuta un’ampia autarchia (cioè la capacità di porre
in essere atti amministrativi che abbiano la stessa natura ed efficacia degli atti posti in essere dallo
Stato); questo tipo di forma di amministrazione viene detta indiretta perché sotto l’aspetto
soggettivo è direttamente imputata alle persone giuridiche, diverse dallo Stato, che sono considerate
pubbliche per le potestà di cui sono titolari e per i fini pubblici che perseguono.
In linea di sintesi si può dire che l’organizzazione amministrativa diretta di divide in:
• indiretta, in quanto si attua attraverso soggetti giuridici (enti pubblici) diversi dallo
Stato
• è decentrata autarchicamente in quanto gli enti non sono gerarchicamente
dipendenti da organi statali, ma sono soggetti titolari di poteri amministrativi e di
auto-amministrazione, con un certo grado di autonomia.
Tale decentramento è definito:
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amministrativa. In tale senso assume, allora, rilevanza l’elemento oggettivo, come, tra
l’altro: i regolamenti, gli statuti, gli atti amministrativi.
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La dottrina più recente ha mostrato un forte interesse per i caratteri funzionali e dinamici
dell’organizzazione amministrativa vale a dire relativamente agli strumenti attraverso cui si esplica
l’attività pubblica.
Secondo gli ultimi orientamenti dottrinali, infatti, è importante soffermare l’attenzione sui
servizi erogati dalla pubblica amministrazione ed in questa ottica assumono rilevanza le norme
organizzative in grado di incidere sulle situazioni soggettive, in quanto tali norme organizzative
attribuiscono poteri agli uffici e, quindi, condizionano la posizione giuridica che questi vengono ad
avere tra loro e rispetto ai cittadini.
L’organizzazione amministrativa assume, quindi, una forte incidenza nell’ambito del diritto
amministrativo e la sua analisi risulta particolarmente complessa in considerazione della varietà
degli strumenti e delle differenti modalità che permettono di esercitare la funzione tipica dell’azione
pubblica.
Per lungo tempo la dottrina italiana ha identificato l’organizzazione amministrativa con gli
organi dell’amministrazione3: la c.d. teoria dell’organo; di conseguenza l’attenzione è stata rivolta
non al problema dell’organizzazione nel suo complesso ma a quello dell’organo.
Secondo tale teoria la P.A. viene considerata in modo unitario, cioè come un unico soggetto
e poiché l’organo non ha una propria materialità, in quanto è persona giuridica, risulta che è una
entità fittizia che per poter svolgere concretamente la propria attività ha bisogno di strumenti idonei
3
In argomento si veda G. Marongiu, Organo e ufficio, in Enc. giur., XXII, Roma, 1990, p. 560 e ss.
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per esprimersi, quali le persone fisiche che, di solito, agiscono attraverso un rapporto mediato e cioè
attraverso la figura dell’organo.
Gli interpreti della teoria dell’organo sostengono che, poiché lo Stato è la persona giuridica
per eccellenza, da cui derivano e sono legittimati tutti i soggetti dell’ordinamento, allora
l’organizzazione amministrativa altro non sarebbe che un insieme di organi che operano quali
organi dello Stato.
Tre sono state prevalentemente le critiche mosse alla teoria dell’organo; in primis che il
rapporto tra ente e persona fisica non determina completa identificazione della persona con l’ente
stesso, di conseguenza la volontà del soggetto viene espressa da una astrazione che si pone tra l’ente
stesso e la persona fisica.
In secondo luogo, con riferimento all’imputazione dell’attività, va detto che non è corretto
affermare che tutta l’attività svolta dall’organo va riferita allo Stato, in quanto vi sono ipotesi di
responsabilità personale dell’individuo titolare dell’organo, pertanto, in taluni casi, l’organo non fa
parte dello Stato.
Com’è noto, agli organi non è riconosciuta la personalità giuridica e, dunque, gli organi non
possono dare vita a rapporti giuridici in quanto non sono titolari di situazioni giuridiche soggettive;
sulla base di tale constatazione si deduce che non possono esistere né rapporti di immedesimazione
organica tra l’organo ed il titolare, né relazioni interorganiche.
Tutti e tre questi profili dimostrano che la teoria organica è lacunosa ed inoltre non risulta
neanche sostenuta dal diritto positivo.
4
Cfr. su tutti: S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, IV ed., Milano, 2000, p. 159 e ss.; S. Romano, Corso di
diritto amministrativo, Padova, 1930, I, p. 103; V. Ottaviano, Sulla nozione di ordinamento amministrativo e di alcune
sue applicazioni, in Riv. trim. dir. pubbl., 1958, p. 825 e ss.
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Del resto occorre sempre ricordare che le amministrazioni pubbliche sono costituite per
tutelare gli interessi della collettività e devono perseguire detta finalità; proprio per realizzare tale
scopo le norme attribuiscono singole e tipiche funzioni ad ogni autorità amministrativa,
individuandone l’ambito di intervento5.
Con ciò si afferma che il legislatore definisce ed ordina l’attività amministrativa finalizzata a
scopi predeterminati e solo successivamente assegna ad una certa organizzazione i poteri ed i mezzi
necessari per realizzare tale finalità.
5
Tale aspetto è stato trattato da C. Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo, a cura di S.
Cassese, Diritto amministrativo generale, Milano, 2003, p. 270.
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Con il termine funzione, in questo caso, si intende il compito o il complesso di compiti che
vengono attribuiti ad un ufficio e che rappresentano la ragion d’essere di ogni amministrazione
pubblica6.
Di regola, per poter individuare la funzione occorre fare riferimento alla materia, alle
attribuzioni ai fini ed ai destinatari, cioè ad uno soltanto dei fattori ora indicati.
Vi sono analisi che considerano in via principale le materie, altre che si soffermano
maggiormente sulle attribuzioni, altre, ancora, che evidenziano soprattutto i fini.
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L’articolazione delle funzioni fa in modo che le funzioni vengono distribuite tra gli uffici i
quali, a loro volta, si strutturano in base a quella che è la complessità delle funzioni7.
Altro criterio è quello delle attribuzioni: in questo caso la stessa materia spetta a soggetti
diversi ma ne variano i compiti.
A questo tipo di distribuzione delle funzioni si ispirano i rapporti tra centro e periferia al fine
di garantire differenti livelli di governo (Unione Europea, Stato, Regioni ed Enti locali), evitando,
allo stesso tempo, la separazione.
6
Cfr. S. Cassese, Le basi del diritto amministrativo, cit., p. 121 e ss.; G. Zanobini, Corso di diritto amministrativo,
Milano, 1950, p. 11 e ss.; S. Cassese, Trattato di diritto amministrativo, a cura di S. Cassese, cit., p. 260 e ss.; A.M.
Sandulli, Il diritto amministrativo, Napoli, 1989, p. 78 e ss.
7
Sul punto F. Pizzorusso, Organizzazione dei pubblici poteri, in Enc. Dir., XXXI, Milano, 1981, p. 151 e ss.
8
Si veda, tra gli altri, G. Guarino, Sull’utilizzazione di modelli differenziati nell’organizzazione pubblica, in Scritti di
diritto pubblico dell’economia, Milano, 1970, p. 7 e ss.
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Per comprendere il terzo ed ultimo elemento, cioè l’attribuzione dei poteri agli uffici, è
necessario collegarsi al concetto di competenza. Con il termine competenza si indica il complesso
di poteri riconosciuti ad un ufficio e da esso esercitati9; essa ha, pertanto una funzione delimitativa
poiché individua il quantum, ossia la misura delle attribuzioni spettanti ad un ufficio.
Di regola la distribuzione della competenza tra i vari uffici si realizza facendo riferimento
alla materia, al grado e al territorio.
Con riguardo alla materia, da un lato, vi sono uffici a cui è riconosciuta una competenza
generale estesa a tutte le materie proprie di una determinata funzione, si pensi al Consiglio di Stato
in sede consultiva; dall’altro, uffici che hanno una competenza limitata, è il caso degli uffici
scolastici regionali.
Infine, per quanto attiene il grado, si presuppone identità di competenza per materia e per
territorio e si pone, quindi, nell’ambito di uno stesso ramo dell’amministrazione; si fa riferimento a
tale criterio quando, a parità di competenza di materia, questa sia ripartita tra gli uffici in maniera
diversa. In pratica, in base alle attribuzioni per grado viene a formarsi una piramide ideale.
9
Per approfondire il tema della competenza si veda G. Orsoni, Competenza e amministrazione, Padova, 1990.
10
Cfr. M. Scudiero, Il concorso di competenze tra enti pubblici nelle materie degli artt. 116 e 117 della Costituzione ed
il buon andamento della Pubblica Amministrazione, in Econ. Dir. terziario, 1991, p. 346 e ss.
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La competenza è disposta dalla legge ed attribuisce gli specifici poteri ad un ufficio, il quale
è tenuto ad esercitarli.
La competenza, quindi, non può essere derogata, salvo che in ipotesi espressamente
previste11. Esistono, infatti, determinati istituti mediante i quali, con provvedimento amministrativi,
nei casi previsti dalla legge si determina lo spostamento dell’esercizio di essa. Tali istituti sono:
l’avocazione, la sostituzione e la delega.
11
In tema di competenza si veda P. Gasparri, Competenza in materia amministrativa, in Enc. dir., VII, Milano, 1961, p.
788
12
P. Virga, Diritto amministrativo, vol. III, Amministrazione locale, Milano, 1988, p. 35 e ss.
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13
Cfr. C. Pinelli, in C. Desideri e G. Meloni, (a cura di) Le autonomie regionali e locali alla prova delle riforme.
Interpretazioni e attuazioni della legge 59/97, Milano, 1998, p. 181.
14
Sul punto si veda F. Garingella, Corso di diritto amministrativo, tomo I, Milano, 2006, p. 800 e ss.
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8 L’organizzazione amministrativa
multiorganizzativa
In definitiva, con il passare degli anni, lo Stato perde gradualmente l’unità originaria e si
trasforma in un ente ad amministrazione disaggregata.
Ciò determina che non c’è più un unico organo destinato ad esprimere la volontà in sede
amministrativa, bensì una pluralità.
Inoltre, accanto alle varie amministrazioni statali, vengono ad assumere rilevanza altri poteri
pubblici, da ultimo, quelli sopranazionali, come l’Unione Europea, che agisce seguendo itinerari
diversi, sicchè si moltiplicano le strutture, le funzioni diventano eterogenee, si producono più
facilmente conflitti e vengono introdotti nuovi meccanismi di coordinamento.
Tutta questa situazione ha segnato una marcata evoluzione dell’assetto organizzativo della
pubblica amministrazione italiana: da uno Stato ad organizzazione compatta, cioè ispirato ad un
ordinamento di tipo gerarchico si è passati ad uno Stato ad organizzazione reticolare, articolato su
più poli, collocati in aree diverse, regionali, statali e sopranazionali. Per questi motivi si è parlato di
“amministrazione multiorganizzativa”15.
15
Così si è espresso C. Franchini, L’organizzazione, in Trattato di diritto amministrativo a cura di S. Cassese, cit., p.
270.
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Con riferimento, invece, agli uffici interni è necessario l’intervento del Governo, attraverso
normativa c.d. secondaria.
Per quanto riguarda gli artt. 5 e 114 Cost. essi affermano e tutelano rispettivamente il
principio di decentramento e quello di autonomia degli enti locali territoriali; gli artt. 99 e 100
Cost., invece, garantiscono l’indipendenza del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti,
costituendo, inoltre, una ulteriore conferma della dissoluzione della funzione centralizzata dello
Stato ed, allo stesso tempo, affermando il nuovo sistema multiorganizzativo.
Suddette disposizioni costituzionali, dunque, rappresentano i principi portanti che sono alla
base della funzione organizzativa dell’amministrazione, anche se non sono i soli principi ispiratori,
ed, infatti, ne esistono anche altri che si caratterizzano anch’essi per il loro carattere generale.
Si pensi, ad esempio, al citato principio di sussidiarietà stabilito dall’art. 5 tr. CE, in base
al quale una istituzione di rango superiore può intervenire al posto di un’altra di livello inferiore
soltanto qualora quest’ultima non sia in grado di svolgere in modo adeguato i propri compiti in
quanto “gli obiettivi dell’azione prevista non possono essere sufficientemente realizzati, di modo
che, per le dimensioni e per gli effetti, l’azione della prima risulta preferibile”. In Italia tale
principio è assurto a partire dalla legge n. 59 del 1997, “legge Bassanini”, come criterio guida del
decentramento, individuando le funzioni ed i compiti amministrativi trasferiti dallo Stato alle
Regioni ed agli enti locali16.
16
Cfr. R. Galli e D. Galli, Corso di diritto amministrativo, IV ed., Milano, 2004, p. 186 e ss.; C. Cassetta, Manuale di
diritto amministrativo, Milano, 2001, p. 80 e ss.
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Vige, inoltre il principio della differenziazione (si veda art. 4 legge n. 59 del 1997) in virtù
del quale l’allocazione delle funzioni deve essere realizzata tenendo conto delle diverse
caratteristiche, anche territoriali, strutturali, demografiche degli enti; su vuole così scongiurare il
conferimento di compiti che risulterebbero solamente velleitari, cioè puramente formali, ma non
realizzabili in concreto in quanto incapaci di adattarsi alle caratteristiche ed alla struttura degli enti.
Il principio di omogeneità, poi, è adottato al fine di creare unità organizzative preposte alla
cura di compiti e funzioni omogenei, connessi o complementari, previa razionalizzazione e
successivo accorpamento dell’attività svolta.
In linea di sintesi si può riepilogare, dunque, dicendo che il principio che ispira
l’organizzazione amministrativa italiana è il decentramento così come si deduce dal citato art. 5
della Costituzione: “La Repubblica una ed indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali,
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attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i
principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”.
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Tutti i principi fin qui enunciati sono comuni all’organizzazione dei pubblici poteri, tuttavia
con ciò non si vuol dire che tale organizzazione sia disciplinata in modo uniforme sempre e
comunque. Tanto ciò è vero che la diversità organizzativa delle strutture determina una notevole
diversificazione delle norme che ne sono alla base in relazione alla natura, alla forza ed al
contenuto.
Leggi ed atti avente forza e valore di legge devono prevedere i lineamenti fondamentali
dell’organizzazione, vale a dire: l’istituzione, la struttura di base, le attribuzioni e le competenze
degli organi.
Tale concetto è espresso in maniera inequivocabile nel citato art. 97 Cost. che attribuisce al
legislatore il potere di tracciare i profili sostanziali dell’organizzazione pubblica.
Al Governo, invece, tocca delineare i soli aspetti settoriali e di dettaglio della disciplina
organizzativa degli uffici.
Tra gli atti normativi di carattere secondario, invece, rientrano, in primo luogo i regolamenti
statali, si pensi all’art. 17, comma I, lett. d) della L. 23 maggio 1988 n. 400 che tratta dei
regolamenti governativi e di quelli ministeriali, stabilendo, in particolare, che con essi si può
disciplinare l’organizzazione ed il funzionamento delle amministrazioni pubbliche.
Vi sono, poi, i regolamenti degli enti pubblici, espressione della potestà organizzativa loro
attribuita dalla legge, nonché gli statuti, cioè quegli atti che ne definiscono le principali regole di
organizzazione e di funzionamento.
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comma I, L. 168/1989 che ha stabilito, tra l’altro, che le università possono darsi ordinamenti
autonomi con propri statuti).
Anche altri atti, inoltre, possono essere rilevanti per l’organizzazione amministrativa; è il
caso delle c.d. “ordinanza di servizio” che sono atti amministrativi che definiscono un ufficio,
determinando le sue incombenze, individuando il/i soggetti che lo devono gestire assegnando le
risorse e così via.
Altre volte si può ricorrere ad atti di natura convenzionale, quando si tratta di scelte che
coinvolgono più soggetti.
Tali atti hanno, comunque, rilevanza esterna, è il caso, per esempio, degli accordi previsti
dall’art. 34 del D.lgs. 267/2000 (c.d. Testo unico enti locali) per la realizzazione di opere e di
interventi che richiedono l’azione integrata di Comuni, Province e Regioni, di Amministrazioni
statali e di altri soggetti pubblici; altro caso è quello dell’art. 31 dello stesso D.lgs. 267/2000 che
prevede la costituzione di consorzi tra Comuni e Province per la gestione associata di uno o più
servizi.
Spesso, infatti, adeguarsi alla realtà delle disposizioni di natura organizzativa si realizza, di
fatto, diminuendo, pertanto, il livello di penalizzazione delle scelte organizzative, la prassi viene ad
assumere una funzione di integrazione del contenuto delle norme, assurgendo, così, a strumento di
svolgimento dell’azione dei pubblici poteri.
17
C. D’Orta, Il potere organizzativo delle pubbliche amministrazioni tra diritto pubblico e diritto privato, in Nuova
edizione del commentario al D.lgs. 29/1993, a cura di F. Carinci e M. D’Antona, Milano, 2000.
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