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Torquato Tasso

Unità e varietà nel poema «eroico»


(dai Discorsi dell'arte poetica)

Il passo è tratto dal Discorso secondo, che affronta il problema della dispositio, cioè, secondo gli
schemi della retorica classica, dell’organizzazione della materia del poema epico. Il Tasso ha
confutato tutta una serie di argomenti di teorici contemporanei, come il Giraldi Cinzio, che
indicano nella pluralità delle azioni narrative del poema ariostesco un modello di gran lunga
preferibile. Tra tutte queste argomentazioni una sola gli sembra seducente, quella secondo cui la
varietà, che è estremamente dilettevole, si trova più nei poemi a intreccio multiplo che in quelli
unitari. Però, nella pagina che proponiamo, arriva a confutare anche questa.

Essendo la nostra umanità composta di nature assai fra loro diverse, è necessario che d’una istessa
cosa sempre non si compiaccia, ma con la diversità procuri or a l’una or a l’altra delle sue parti
sodisfare. Una ragione sola, oltra le dette, si può imaginare molto più propria delle altre: questa è la
varietà; la quale essendo in sua natura dilettevolissima, assai maggiore diranno che si trovi nella
moltitudine, che nella unità della favola1. Né già io niego che la varietà non rechi piacere; oltra che
il negar ciò sarebbe un contradire a la esperienza de’ sentimenti2, veggendo noi che quelle cose
ancora, che per se stesse sono spiacevoli, per la varietà nondimeno care ci divengono3; e che la vista
de’ deserti, e l’orrore e la rigidezza4 delle alpi ci piace doppo l’amenità de’ laghi e de’ giardini: dico
bene, che la varietà è lodevole sino a quel termine, che non passi in confusione; e che sino a questo
termine è tanto quasi capace di varietà l’unità, quanto la moltitudine delle favole5: la qual varietà se
tale non si vede in poema d’una azione, si dee credere che sia più tosto imperizia dell’artefice, che
difetto dell’arte6; i quali, per iscusare forse la loro insofficienza, questa lor propria colpa a l’arte
attribuiscono.
Non era per aventura7 così necessaria questa varietà a’ tempi di Virgilio e d’Omero, essendo gli
uomini di quel secolo di gusto non così isvogliato8: però non tanto v’attesero9, benché maggiore10
nondimeno in Virgilio che in Omero si ritrovi. Necessariissima era a’ nostri tempi; e perciò dovea il
Trissino11 co’ sapori di questa varietà condire il suo poema, se voleva che da questi gusti sì delicati
non fosse schivato12: e se non tentò di introdurlavi, o non conobbe il bisogno, o il disperò come
impossibile13. Io, per me, e necessaria nel poema eroico la stimo, e possibile a conseguire. Però che,
sì come in questo mirabile magisterio14 di Dio, che mondo si chiama, e ’l cielo si vede sparso o
distinto di tanta varietà di stelle; e, discendendo poi giuso15 di mano in mano, l’aria e ’l mare pieni
d’uccelli e di pesci; e la terra albergatrice16 di tanti animali così feroci come mansueti, nella quale e
ruscelli e fonti e laghi e prati e campagne e selve e monti si trovano; e qui frutti e fiori, là ghiacci e
nevi, qui abitazioni e culture, là solitudini ed orrori17; con tutto ciò, uno è il mondo che tante e sì
diverse cose nel suo grembo rinchiude, una la forma e l’essenza sua, uno il modo, dal quale sono le
sue parti con discorde concordia18 insieme congiunte e collegate; e non mancando nulla in lui, nulla
però vi è di soverchio o di non necessario: così parimente giudico, che da eccellente poeta (il quale
non per altro divino è detto, se non perché al supremo Artefice nelle sue operazioni
assomigliandosi, della sua divinità viene a partecipare19) un poema formar si possa, nel quale, quasi
in un picciolo mondo, qui si leggano ordinanze d’eserciti20, qui battaglie terrestri e navali, qui
espugnazioni di città, scaramucce e duelli, qui giostre21, qui descrizioni di fame e di sete, qui
tempeste, qui incendii, qui prodigii; là si trovino concilii celesti ed infernali, là si veggiano
sedizioni, là discordie, là errori22, là venture23, là incanti, là opere di crudeltà, di audacia, di cortesia,
di generosità; là avvenimenti d’amore, or felici or infelici, or lieti or compassionevoli; ma che
nondimeno uno sia il poema, che tanta varietà di materie contegna, una la forma e la favola24 sua, e
che tutte queste cose siano di maniera composte, che l’una l’altra riguardi, l’una a l’altra
corrisponda, l’una da l’altra o necessariamente o verisimilmente dependa25; sì che una sola parte o
tolta via o mutata di sito26, il tutto ruini27.

1. assai maggiore ... favola: la varietà si trova maggiormente in un intreccio multiplo che in uno strettamente unitario.
2. esperienza de’ sentimenti: esperienza dei sensi.
3. quelle cose ... divengono: anche quelle cose che di per se stesse sono spiacevoli, se opportunamente variate con altre, ci divengono care.
4. orrore ... rigidezza: l’asprezza e il gelo.
5. sino ... favole: se non si supera il limite della confusione, possono essere vari sia gli intrecci che constano di una sola azione sia quelli che si
fondano su più azioni.
6. la qual ... arte: se la varietà non si vede in un poema dall’azione unica, ciò dipende più dall’imperizia dell’autore che dal difetto del genere in sé.
7. per aventura: forse.
8. gusto ... isvogliato: ai tempi di Omero e Virgilio i lettori non avevano ancora gusti così raffinati e difficili come i moderni, perciò si
accontentavano di una varietà minore nei poemi.
9. però ... v’attesero: perciò i poeti antichi non mirarono tanto alla varietà.
10. maggiore: sottinteso varietà.
11. Trissino: Giangiorgio Trissino (1478-1550) fu autore del poema epico L’Italia liberata dai Goti, in cui, opponendosi al poema romanzesco
consacrato da Ariosto, cercò di riprodurre con rigorosa fedeltà i modelli epici classici; ne risultò però un’opera arida e morta.
12. gusti ... schivato: respinto dai gusti difficili dei contemporanei.
13. e se ... impossibile: e se Trissino non tentò di introdurre la varietà nel suo poema, fu perché o non si avvide della sua necessità, o ritenne che fosse
impossibile.
14. magisterio: opera straordinaria.
15. discendendo poi giuso: discendendo dal cielo alla terra.
16. albergatrice: che ospita in sé.
17. solitudini ed orrori: luoghi deserti e selvaggi.
18. discorde concordia: tutti gli aspetti del mondo sono tra loro diversi ma legati in una armonica unità dal disegno divino.
19. il quale ... partecipare: il poeta è detto divino perché, essendo simile nella sua attività creativa a Dio, il supremo artefice dell’universo, viene a
partecipare della sua divinità. Il concetto secondo cui il poeta è nell’opera come Dio creatore nell’universo è diffuso nella cultura rinascimentale (ne
abbiamo trovato traccia anche nell’Orlando furioso).
20. ordinanze d’eserciti: schieramenti d’eserciti.
21. giostre: tornei.
22. errori: peregrinazioni (ma il termine, oltre all’errare in senso fisico, richiama anche l’errare in senso morale: si pensi alle vicende di Rinaldo).
23. venture: casi avventurosi.
24. favola: intreccio.
25. tutte ... dependa: che tutti questi elementi siano organizzati in modo che l’uno sia legato all’altro, l’uno corrisponda all’altro, l’uno dipenda
necessariamente o verisimilmente dall’altro.
26. sito: luogo, collocazione.
27. il tutto ruini: crolli la costruzione complessiva.

Analisi del testo

La teoria letteraria

Il passo, celeberrimo e dovunque citato, consente almeno due livelli di lettura. Il primo è quello
delle teorizzazioni e delle polemiche letterarie. È in questione il modello del poema ariostesco, che
tanto fascino ha esercitato sul pubblico rinascimentale. Tasso stesso riconosce il carattere
sommamente dilettevole del Furioso ma, come sappiamo, sente l’esigenza imprescindibile di
ricondurre il poema epico entro i limiti della precettistica aristotelica, che esige l’unità d’azione.

La conciliazione tra varietà e unità

Quindi, pur affascinato dall’estrema varietà offerta dal modello ariostesco, lo respinge e cerca di
conciliare teoricamente l’esigenza della varietà con quella dell’unità. Sono due termini a prima vista
inconciliabili: il poeta però esce da questo nuovo dilemma (dopo quello tra verisimile e
meraviglioso) distinguendo varietà da molteplicità. Se la varietà è indispensabile in un poema, per il
diletto che deve provocare, non necessariamente essa coincide con la molteplicità delle azioni che è
propria della struttura ariostesca, ma può egualmente sussistere nei poemi fondati su una struttura
rigorosamente unitaria.
Il poema e il mondo

Per dimostrarlo, Tasso paragona il poema al mondo: come questo presenta in sé una mirabile varietà
d’aspetti, e tuttavia resta sempre uno nella sua forma e nella sua essenza, così è il poema che, pur
salvando l’unità d’azione, contenga in sé le materie più varie. L’esemplificazione che Tasso offre
rimanda puntualmente agli episodi contenuti nella Gerusalemme (ordinanze d’eserciti, battaglie,
duelli, espugnazioni di città, tempeste, prodigi, fame e sete, concili celesti e infernali, sedizioni e
discordie, incanti, amori felici e infelici): il passo si può quindi leggere come un’immagine sintetica
del grande poema (il cui disegno doveva già essere chiaramente delineato nella mente del poeta
quando scriveva queste pagine).

Il poeta nell’opera è come Dio nel mondo

Tasso fa qui ricorso a un concetto caro alla letteratura del Cinquecento, quello del poeta che,
all’interno della sua opera, ha la funzione di Dio nel mondo, quella del creatore che domina
perfettamente e ordina la sua materia. È un concetto che agisce anche nel Furioso; ma mentre
l’armonia di aspetti diversi è nel poema ariostesco una realtà in atto, nella Gerusalemme è solo una
meta a cui tendere, un obiettivo sempre vagheggiato e mai raggiunto definitivamente, in quanto
l’opera vive proprio sulle tensioni sempre aperte che la percorrono, come abbiamo già indicato in
sintesi nel profilo e come verificheremo nelle analisi particolari.

La concezione del mondo

Il secondo livello di lettura offerto dal passo è quello della più generale concezione del mondo del
poeta e, in ultima analisi, della sua stessa condizione esistenziale.

La polarità uno-molteplice nella visione tassiana

Sulla scorta di Sergio Zatti, si è vista l’importanza centrale, nella visione tassiana e nell’economia
del poema, della polarità uno-molteplice. Vi è in Tasso un’aspirazione all’unità, che è adesione al
codice etico del cristianesimo controriformistico e al codice politico dell’assolutismo e della civiltà
cortigiana, quindi per il poeta è condizione di equilibrio, stabilità, ordine, armonia con il mondo. A
questa aspirazione si oppongono continuamente forze disgregatrici, che inducono all’insofferenza
verso precetti religiosi e convenzioni sociali, a cedere agli allettamenti sensuali, alla dissipazione
delle forze, alla ribellione, alla fuga e alla vita errabonda, sino a quel limite massimo di divisione e
disgregazione che è la follia. Tutto ciò che è molteplice, negazione dell’uno, richiama le forze del
desiderio anarchico, che rompe gli equilibri vagheggiati o faticosamente e precariamente raggiunti;
il molteplice rappresenta gli impulsi dei sensi, le forze insidiose del profondo, che minacciano la
pace, l’equilibrio, la ragione, la concordia con la corte, con l’accademia, con la Chiesa. Si è visto
come la struttura portante del poema sia proprio la lotta del principio unitario, rappresentato da
Goffredo, incarnazione perfetta del codice religioso, etico e politico della Controriforma, contro le
forze centrifughe e disgregatrici, rappresentate non solo dal «popol misto» dei pagani, che incarna i
valori laici e rinascimentali, ma anche dai «compagni erranti», che si fanno allettare da falsi
obiettivi, la sensualità, l’onore, il potere, la gloria, che li distolgono dal grande fine della crociata.
Come sul piano esistenziale Tasso lotta contro la molteplicità disgregatrice per raggiungere l’unità e
l’equilibrio con il mondo, così all’interno del poema lotta per salvarne l’unità, vincendo le allettanti
forze centrifughe che la minacciano, le tematiche amorose, idilliche, magico-demoniache,
avventuroso-cavalleresche, che tendono a dissolvere la sua struttura di poema eroico cristiano, in
quanto potrebbero dar vita a tanti filoni narrativi autonomi come nel Furioso.
Letto sullo sfondo di queste problematiche, il passo dei Discorsi sull’unità a cui deve tendere la
varietà del poema acquista ben più suggestive risonanze e ben più profondi significati.

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