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Ludovico Ariosto (Reggio Emilia, 1474 - Ferrara, 1533) è stato uno dei più importanti poeti italiani
dell'epoca rinascimentale e uno dei principali scrittori della nostra tradizione. Di famiglia nobile ma
con difficoltà economiche, è stato uomo di corte e di quell'ambiente ha sperimentato aspetti positivi
e negativi, pur vivendo per anni a Ferrara presso gli Este cui la sua fama è indiscutibilmente
legata. Si è cimentato nei generi poetici più diversi, scrivendo rime di ispirazione petrarchesca,
satire (uno dei pochi esempi della letteratura del XVI sec.) e commedie, dedicando al teatro una
parte non irrilevante della sua attività di scrittore. Il suo capolavoro assoluto resta comunque
l'Orlando Furioso, il poema epico-cavalleresco che prosegue idealmente il racconto
dell'Innamorato e lo adatta al nuovo sentire del Rinascimento, nel quale l'autore fa confluire il suo
vissuto e la sua visione del mondo dominando il tutto con ironia e maestria sapiente di grande
scrittore (l'opera ha avuto anche il merito, non trascurabile, di aver imposto la soluzione della lingua
proposta da Bembo). Il poema fu accompagnato da uno straordinario successo tra il pubblico delle
corti ed è tuttora una delle opere italiane più note al mondo, avendo prodotto anche adattamenti
teatrali, televisivi e rifacimenti letterari in chiave moderna come quello di Italo Calvino.
Biografia
La giovinezza e il servizio a Ippolito d'Este
Le Satire
Le commedie
La Cassaria (1508)
Il titolo significa "Commedia della cassa" ed è esemplato su quello di diverse commedie di Plauto,
ad es. la Aulularia ("Commedia della pentola"). Scritta inizialmente in prosa e in seguito versificata
(nel 1528-29), la commedia è ambientata nella città greca di Metelino (oggi Mitilene, sull'isola di
Lesbo) dove due giovani scapestrati, Erofilo e Caridoro, vogliono riscattare le fanciulle amate,
Eulalia e Corisca, comprandole dal lenone che le sfrutta, Lucrano. Su consiglio del servo
astuto Volpino, Erofilo dà a Lucrano in pegno una cassa di ori filati che ha sottratto al padre
Crisobolo, approfittando della sua assenza. L'inatteso ritorno del vecchio però smonta l'inganno e
Volpino viene imprigionato; il servo di Caridoro, Fulcio, riesce in seguito a spillare una somma di
denaro a Crisobolo con un inganno e a liberare Volpino, mentre in seguito anche le due ragazze
vengono riscattate. L'intreccio segue strettamente il modello della nea greca e della commedia
latina di Plauto, in cui spesso un giovane dissoluto vuole liberare una schiava di cui è innamorato e
inganna il vecchio padre avaro, aiutato da un servus callidus (questo avviene ad es.
nella Mostellaria, con pochissime varianti). L'opera risente ancora di un'imitazione scolastica dei
modelli greco-latini ed è meno interessante di quelle successive, più ricche di riferimenti alla
società contemporanea.
I Suppositi (1509)
Papa Leone X (ritr. di Raffaello, 1518-19)
Rappresentata per la prima volta alla corte di Ferrara nel carnevale del 1509, la commedia (il cui
titolo significa "Gli scambiati") si rifà esplicitamente all'Eunuchus di Terenzio e
ai Captivi di Plauto, di cui riprende in parte la trama; è ambientata a Ferrara, dunque ha un taglio
più moderno rispetto alla Cassaria e la prima redazione è in prosa, mentre verrà riscritta in versi nel
1528-31. I protagonisti sono il giovane studente Erostrato, innamorato di Polinesta, e il suo fedele
servo Dulippo, che appunto attuano lo "scambio": poiché il padre della ragazza si oppone alla
relazione, Erostrato assume l'identità del suo servo ed entra al servizio della famiglia di Polinesta
per poterle stare vicino, mentre Dulippo dovrà fingere di essere il suo padrone. La finzione non dura
a lungo a causa dell'improvviso arrivo del padre di Erostrato a Ferrara, quindi l'inganno è scoperto e
la commedia rischia di finire in tragedia, anche se poi tutto si appiana grazie a un fortunato
riconoscimento e i due innamorati possono sposarsi. La commedia contiene numerosi riferimenti
alla società ferrarese del tempo e fu famosa una sua rappresentazione a Roma nel 1519, alla
presenza di papa Leone X che rimase entusiasta (per l'occasione Raffaello Sanzio dipinse il fondale
con una prospettiva della città di Ferrara). Superiore alla Cassaria quanto agli esiti artistici, appare
meno fondata sugli equivoci e le trovate sceniche e più sul confronto tra i vari personaggi, oltre a
presentare il motivo del "teatro nel teatro" attraverso lo scambio di ruoli tra i protagonisti, ognuno
dei quali recita una parte (qualcosa di simile avverrà anche nelle tragedie di Shakespeare, ad es.
nell'Amleto).
Il Negromante (1520)
Venne completata nel 1520 dopo un primo abbozzo risalente forse al 1509 ed è la prima commedia
di Ariosto in versi (l'autore scelse come metro l'endecasillabo sdrucciolo, più adatto secondo lui a
riprodurre i versi latini di Plauto e Terenzio). Ne inviò il testo a papa Leone X per un allestimento
che doveva avvenire a Roma, sull'onda del successo dei Suppositi, anche se poi non se ne fece
nulla; della commedia, ambientata a Cremona, esistono però due diverse versioni, una appunto
"romana" e una "ferrarese" per una successiva messa in scena del 1528, che presentano alcune
varianti e l'aggiunta di poche scene. Il protagonista è un falso mago (da qui il titolo) di
nome Lachelino, una sorta di ciarlatano che viene tra l'altro pagato da Cintio per far credere alla
sua impotenza sessuale e ottenere così la separazione dalla moglie Emilia, che era stato costretto a
sposare contro la sua volontà pur essendo già legato a Lavinia. Alla fine il servo Temolo smaschera
le sue furberie e ne segue una sorta di pacificazione generale, dalla quale viene però escluso il mago
che, anzi, è sottoposto a beffe e punizioni. La commedia è interessante non solo per l'ambientazione
moderna, ma anche per la descrizione di quel mondo di truffatori e imbroglioni che trova spazio
anche in altri testi comici del tempo (ad es. nella Calandria del Bibbiena in cui compare il
personaggio del negromante Ruffo), nonché per il riferimento alla stregoneria che era di gran moda
nella società del Cinquecento in cui molti, anche ad alti livelli, credevano nei maghi (cfr. Fur.,
XXXIV.85.4 quando l'autore irride chi perde senno "dietro alle magiche sciocchezze"; ► TESTO:
Astolfo sulla Luna; ► SCHEDA: Magia e astrologia nel Cinquecento).
La Lena (1528)
Gli Studenti (1518-19)
Abbozzata nel periodo 1518-19 quando Ariosto, passato al servizio del duca Alfonso d'Este, era più
libero di dedicarsi alla letteratura, la commedia si colloca nell'ambiente universitario di Ferrara ed
ha come protagonisti due studenti, Claudio ed Eurialo che danno appunto il titolo all'opera. I due
amano una fanciulla, Ippolita, figlia del vecchio avaro Bonifazio, e ricorrono all'aiuto dei soliti
servi astuti (Accursio e Pistone) per ordire un inganno con cui perseguire i loro scopi: attuano cioè
uno scambio di persona coi servi fingendosi due contadini per farsi assumere da Bonifazio, mentre i
loro famigli prenderanno il posto dei padroni all'Università. Alla fine i loro inganni verranno
smascherati, tuttavia Ariosto lasciò la composizione interrotta alla quarta scena dell'Atto IV quando
l'intreccio, particolarmente ingarbugliato, non appare ancora sciolto. La commedia, abbastanza
simile nella trama ai più felici Suppositi, venne poi completata dal fratello di Ariosto, Gabriele, e
pubblicata nel 1547 col titolo La scolastica, mentre un altro rifacimento meno noto fu realizzato dal
figlio Virginio col titolo L'imperfetta, in entrambi i casi in endecasillabi sdruccioli come la
redazione originale di Ludovico. Quest'ultimo in una lettera del 17 dic. 1532 a Guidobaldo della
Rovere parla della commedia incompiuta, dicendo "Gli è vero che già molt’anni ne principiai
un’altra [commedia] la quale io nomino I Studenti; ma per molte occupazioni non l’ho mai finita",
anche se i reali motivi di questo abbandono non sono mai stati chiariti.
L'epistolario
L'Erbolato
È una sorta di monologo in prosa risalente agli ultimi anni della vita dell'autore (forse dopo il 1524)
e stampato postumo nel 1545 a Venezia: concepito probabilmente come intermezzo da collocare
durante la messa in scene di una commedia, il testo riproduce un discorso del personaggio
immaginario Antonio da Faenza, una specie di ciarlatano che dapprima magnifica i poteri della
medicina moderna, poi pubblicizza un "elettuario" (una sorta di preparato farmaceutico artigianale)
in grado di curare ogni malattia e garantire una vita lunga e sana, tanto che i fratelli del duca Ercole
I d'Este l'avrebbero sperimentato e sarebbero vissuti sino a ottant'anni. Il testo colpisce forse in
modo ironico un medico realmente vissuto nel Cinquecento, un tale Antonio Cittadini che insegnò
a Ferrara e a Pisa, e allude anche al medico ferrarese Niccolò da Lunigo che proprio in quegli anni
sbandierava le proprietà quasi taumaturgiche di un preparato assai simile a quello descritto
nell'operetta satirica (erbolato significa appunto "venditore di erbe medicinali"). Lo scritto è
interessante perché rientra in certo qual modo nella tardiva produzione teatrale di Ariosto e in esso
l'autore mette a berlina la credulità popolare e degli stessi nobili, pronti a cadere vittime dei raggiri
di personaggi poco raccomandabili dediti alla truffa (► TESTO: Un rimedio miracoloso), inoltre il
tema è analogo a quello della commedia Il Negromante il cui protagonista è un venditore di fumo
assai simile ad Antonio da Faenza, anche se alla fine viene punito per le sue ribalderie (sappiamo
che Ariosto non credeva minimamente nelle "magiche sciocchezze" e nei tarocchi, che tuttavia
erano molto diffusi nella elegante società aristocratica del Cinquecento; ► SCHEDA: Magia e
astrologia nel Cinquecento).