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TRATTATI E METODI
AA 2021-22
Programma
Percorso storico dei metodi per chitarra dalla metà del ‘700 ai giorni nostri
Ai candidati sarà richiesto – oltre alla conoscenza dei testi – di parlare della propria esperienza di
apprendimento dello strumento e di tutte le strategie didattiche di cui sono a conoscenza diretta o
indiretta per l’insegnamento dello strumento.
Testi per l’esame:
Dall’Ara: Trattati e Metodi (file pdf già fornito)
Le dispense qui sotto riportate
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INTRODUZIONE
Il secolo XIX, breve sguardo di insieme
Il secolo XIX si aprì, per la chitarra, con l’affermazione di uno strumento nuovo, quasi d’avanguardia,
la chitarra a sei corde semplici. Nella seconda metà del XVIII secolo la chitarra si era evoluta optando
– tra le altre cose – prima per le corde singole, poi inserendo la sesta corda a completamento armonico
(Napoli attorno al 1780). Il successo dei metodi e/o del repertorio proposti dai vari Carulli, Giuliani,
Carcassi, Molino, Sor ecc. fu dovuto al nuovo modo di intendere il ruolo e il repertorio dello
strumento: la chitarra a sei corde non era l’antico strumento con una corda in più, ma una nuova
“creatura”, con un solido repertorio di Sonate, Variazioni, Fantasie in grado di affiancarsi in modo
Alla generazione successiva, quella che nacque nel XIX secolo, arrise meno fortuna. A partire dagli
anni Trenta circa, il gusto musicale generale si era strutturato in senso romantico attorno
all’evoluzione e sonorità del pianoforte e della grande orchestra timbrica nonché alle nuove avventure
armoniche. Il contesto romantico andava oltre alle possibilità di adattamento della chitarra la cui
dimensione espressiva rimase ancora per poco agganciata alla nuova sensibilità attraverso l’ambito
intimistico o un garbato descrittivismo; tuttavia, nella seconda metà dell’Ottocento essa si trovò
relegata in una dimensione salottiera provinciale, con un repertorio costituito perlopiù di brevi pagine
Come si vedrà più avanti, possiamo seguire le sorti della chitarra attraverso la progressiva perdita di
creatività dei metodi, che diventano sempre più ripetitivi, e del repertorio (che abbandona le forme
più complesse, appiattendosi su “fogli d’album” e brani d’effetto) oppure da come viene (malamente)
citata nei dizionari di musica. Nondimeno, la riflessione e la sperimentazione sullo strumento e sulla
tecnica non venne mai meno: infatti, a partire dalla metà dell’Ottocento, troviamo le basi di quella
che nel Novecento sarà la nuova chitarra e la nuova tecnica esecutiva, con le ricerche dei liutai Louis
APPENDICE
Antonio Torres
Il nuovo strumento
Carulli inizia il suo metodo op. 27 con la affermazione che la chitarra (francese) “non ha che sei
corde”. Non era una affermazione ovvia come potrebbe sembrare oggigiorno, in quanto lo strumento
a cinque corde era ancora ampiamente utilizzato e lo sarà ancora per svariati decenni. L’affermazione
di Carulli testimonia la vittoria di uno strumento di avanguardia che rivendica un ruolo nuovo nella
società e nella musica: non solo accompagnare con arpeggi e accordi il canto, ma anche proporsi con
la musica da camera in modo concertante e come solista con sonate, variazioni, fantasie, brani
descrittivi e con l’orchestra.
Poiché gli autori dei metodi sono gli stessi del repertorio correntemente studiato, lo studio dei metodi
ci permette di entrare nella mentalità del compositore e di capire la sua musica e il contesto in cui si
colloca.
Per riassumere questo concetto in pochi punti, possiamo evidenziare che:
• gli autori dei grandi metodi ottocenteschi fondano il nuovo linguaggio per il nuovo strumento.
• È lo strumento che riflette il cambiamento di civiltà a partire dalla metà del ‘700: da una
società aristocratica si passò velocemente ad una civiltà che la storia ha definito “borghese”,
ossa fondata sugli abitanti della città con le loro attività imprenditoriali e/o impiegatizie. Tra
il popolo e l’aristocratico adesso si sviluppa quello che oggi definiamo il ceto medio. Si
afferma definitivamente la musica strumentale autonoma, con le forme e formazioni che
ancora oggi conosciamo, l’orchestra in senso moderno, la sonata, il quartetto, la sinfonia. In
questo contesto, la chitarra viene suonata da gente “normale” che ha del tempo libero, che
vuole suonare brani musicali e accompagnare arie e musiche dell’opera, ed è uno strumento
utilizzato anche all’aperto perché si può trasportare facilmente come garantiscono vari metodi.
• La chitarra è ora uno strumento autonomo, in grado di condurre il discorso musicale armonico
e melodico con la giusta condotta delle parti, in grado di eseguire sonate e variazioni e non
solo di accompagnare il canto con qualche arpeggio.
• Analizzare i metodi ci aiuta a capire vari aspetti tecnici ed esecutivi. Ad esempio:
o Esecuzione dei legati, che era molto più complessa e variata rispetto ad oggi;
o Scale da eseguire il più possibile con i legati;
o utilizzo del pollice mano destra, che può scivolare sulle corde anche fino alla prima.
o utilizzo occasionale del pollice della mano sinistra (non in Sor, a parte la polemica
osservazione in Est-ce bien ça? op.48);
o Si ribatte frequentemente uno stesso dito mano destra (cosa che troviamo ancora ad
es. in Aguado nel Metodo del 1843, in Parte II, lezioni 13 o 14);
o In alcuni autori anche gli accordi ribattuti si eseguono con un dito solo, ad esempio un
accordo pizzicato da i che scivola sull’intero bicordo o tricordo seguito da un altro
accordo eseguito tutto dal m: Pelzer, Schulz, Pratten lo indicano chiaramente e
probabilmente così va eseguito anche il Capriccio n.9 di Legnani; Aguado (1843,
par.201, propone anche un esempio di esecuzione dei bicordi col solo dito indice,
raccomandando l’uso delle unghie; senza unghie l’esecuzione è difficile)
o / = il pollice scivola sulle corde; \ = l’indice o il medio scivolano dall’acuto al grave
sulle corde.
o esecuzione degli abbellimenti in battere e, quando c’è, insieme al basso: Aguado lo
dice chiaramente nel Metodo (1843, par.135); in quest’ottica, sembra ragionevole
interpretare lo Studio 11 (numerazione Segovia) come uno studio sugli abbellimenti
in battere;
o migliore comprensione del significato delle dinamiche e agogiche, che nel primo
Ottocento hanno un significato più “psicologico” e meno metronomico di oggi.
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Padre e figlia compilano metodi molto ben fatti, basati sullo schema già stabilito ad inizio Ottocento,
ma la differenza consiste nella scelta dei brani a corredo: il padre sceglie (cfr II ed) ancora i brani di
Carulli, Giuliani, Diabelli, mentre la figlia riporta (1859,
ricordiamolo) quasi esclusivamente arie popolari, melodie
note, musichette composte da lei stessa, porzioni di brani
degli autori storici, oppure inserisce brani col canto in cui
la chitarra accompagna con semplici arpeggi e accordi.
Il metodo della figlia, però insiste su alcune caratteristiche
timbriche legate al tocco (frizzii e corde sbattute) e al tipo
di suono che si ottiene a seconda del punto in cui si pizzica
la corda, (cfr. figura qui a lato) fattore che trova
interessante concordanza con l’evoluzione in senso
timbrico dello strumento nelle contemporanee ricerche di
Torres. Un altro spunto interessante è l’esercizio sugli
accordi ribattuti (bicordi o tricordi) da eseguirsi con un
dito solo che scivola sulle corde.
Lasciano invece perplessi i metodi di autori meritatamente
famosi come Mertz e Legnani, che sono costituiti di poche
paginette senza fantasia. Mertz scrive un metodo asciutto,
con tutte le informazioni necessarie, nozioni teoriche,
scale, arpeggi, esercizi e studi: ma lo sforzo creativo è limitato al minimo e tutto è trattato in modo a
dir poco stringato.
Imbarazzante è quello di Legnani (op.250), poco più che un repertorio delle nozioni più elementari
della musica, senza alcun guizzo di originalità. Va tuttavia segnalato un paio di spunti utili per la
pratica musicale: il segno di legato tra note non contigue (ad esempio a salti di terza) indica il glissato
che va eseguito “strisciando” il dito da un tasto all’altro; e la tabella molto puntigliosa dell’agogica,
che presenta indicazioni preziose. Non ci sono esercizi, o studi veri e propri se escludiamo i “Sei
Capriccetti op. 250” (stesso numero d’opus) che evidentemente furono pensati come di corredo al
metodo.
Napoleon Coste rielabora in modo creativo il Metodo di Sor in modo da potere essere utilizzato
concretamente nella didattica.
A chiudere il secolo abbiamo le due edizioni del metodo op.100 di Ernest Shand, autore che dimostra
sicura esperienza e che include esempi, studi e piccoli brani autonomi di propria composizione.
I numerosi metodi tardo ottocenteschi reperibili nelle biblioteche musicali o sul web rivelano la
dipendenza tendenzialmente da Carulli, gli autori sembrano cercare di blandire il potenziale
acquirente attraverso ampie paginate di accordi, formule di arpeggi, il tutto per accompagnare il canto,
il mandolino, il violino, in vista di un repertorio fatto di arie famose.
E purtroppo la vera novità del momento –Tarrega – non lasciò se non fogli e appunti, che saranno
utilizzati solo nel ‘900.
I dizionari
I dizionari certificano questa situazione di “malessere” del nostro strumento.
Per quasi tutta la prima metà dell’Ottocento, la voce “chitarra” nei dizionari musicali fu quasi sempre
trattata in maniera confusa e antiquata. Si legge regolarmente che la chitarra è uno strumento
gradevole per accompagnare il canto con gli arpeggi, (grazie alla sommatoria delle vibrazioni che
conferisce sonorità allo strumento); ma che rivelava la sua pochezza con l’esecuzione di note singole:
evidentemente i compilatori non avevano notizie dei grandi concertisti e della loro musica da camera.
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Inoltre, i medesimi dizionari riportavano indicazioni non più attuali, alcune delle quali già presenti
nei dizionari di 50 o 60 prima (dell’epoca di Merchi, per intenderci); si può leggere talvolta di
accordature errate, oppure di 5 o 6 o anche 7 “cori”; ovvero che la “chitarra francese” era una
modificazione del “sistro” tedesco e amenità del genere. La chitarra pianoforte, chitarra-arpa, chitarra-
lira, sembrano strumenti normali esattamente come normale era la chitarra a sei corde: appare
evidente gran parte della società comune ne aveva un’idea generica.
Il primo dizionario a farsi notare per la completezza della voce Chitarra è quello compilato da Gustav
Schilling (1840, in Germania). Tra le tante notizie, esso riporta dettagli interessanti: la sesta corda
poteva essere veniva accordata al Fa, o anche al Sol e al Lab alla bisogna; segnala l’esistenza di una
stecca fissata al manico che serviva per cambiare l’intonazione della chitarra in caso di necessità di
trasporto armonico. C’è anche il riferimento ad un secondo e misterioso significato del termine
“capotasto” o “barrè”, che oltre a definire quello che è ancora oggi, indicava l’intervento della mano
sinistra nel pizzicare le corde in passi difficili.
Tale dizionario ci rivela anche che il gusto per lo strumento stava calando in Germania. Ma di ciò si
trova eco anche nel dizionario di Leon Escudier (1844, Francia), che ci descrive la chitarra come uno
strumento completamente abbandonato come fosse il più spiacevole e monotono di tutti; non da meno
il dizionario italiano compilato da M. Vissian a Milano del 1846, in cui l’uso va giornalmente
scemando. Questa triste situazione si trova già anticipata in alcune opere di Sor di una decina di anni
prima (opp.45, 48, 51, senza dimenticare il “bisogna pur vivere” del Metodo) dove il compositore
nella prefazione o nei titoli allude sardonico alle lamentele di pubblico ed editori davanti alle difficoltà
della sua musica. Pertanto, in questi brani propone strutture musicali sempre più facili, addirittura
richiedendo di usare il pollice della mano sinistra, cosa contro cui aveva tuonato nel Metodo del 1830.
Sono segni evidenti che l’affermazione della sensibilità Romantica non si riconosceva più
nell’espressività della chitarra e viceversa che la chitarra non riesce a tenere testa alle nuove esigenze
espressive del Romanticismo: bisognerà aspettare il bisogno novecentesco di suono intimo e armonie
essenziali per rinnovare i favori alle sei corde.
Alcuni sì e altri no
È infine utile domandarci come mai i metodi tradizionali siano rimasti nella memoria collettiva e
nell’uso generale, mentre tutti gli altri siano spariti. A studiare le biblioteche online e i file messi a
disposizione, si scoprono molte opere didattiche valide, che tuttavia non sono sopravvissute alla loro
epoca. Per fare due esempi tra i tanti, si può pensare alla valida raccolta di Studi op. 44 di Carl Blum,
o al puntiglioso Metodo di Franz Bathioli, di grande impegno musicale e di ricerca. Ma in tutti i casi
ci si rende conto che ciò che mancava era la capacità di proporre in modo compiutamente progressivo
il materiale, e di trovare un equilibrio tra teoria e pratica.
Carulli, Giuliani, Carcassi, Molino, Aguado spazzarono via i loro concorrenti coevi (e quelli del
futuro) proprio per la loro visione didattica chiara, dove il brano semplice non era banale e il brano
difficile era alla portata dell’allievo nei tempi giusti.
I Metodi, una classificazione
Potremmo identificare tre categorie in cui far rientrare i metodi:
A) Metodi che accompagnano l’allievo in modo famigliare passo per passo, forniscono ampie
spiegazioni anche di tipo musicale generale, propongono moltissimi esercizi e brani musicali
di ampio respiro. In questa categoria troviamo Carulli, Carcassi, Molino;
B) Metodi che dànno per acquisita la preparazione di base, propongono di perfezionare alcuni
meccanismi e impostano una didattica avanzata con poche osservazioni (Giuliani);
C) Metodi con particolare intendimento analitico e didascalico, come quello di Aguado.
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A parte va considerato il Metodo (Trattato) di Sor, basato su lunghe analisi e discussioni con pochi
esempi ed esercizi. La ragione ce la spiega l’autore stesso, in quanto egli intende spiegare non cosa
bisogna fare sullo strumento, ma perché, quindi, ha bisogno di fornire molte dimostrazioni delle sue
idee. Era chiaramente un’opera morta sul nascere, innanzi tutto a causa della naturale evoluzione
dello stile e gusto musicale nel tempo che rendeva inattuali le sue riflessioni, ma anche perché Sor
pensava esclusivamente alla propria musica. Non era dunque utilizzabile per una preparazione
generale, tanto che Napoleon Coste si sentì costretto a rielaborarlo profondamente, tagliando tutti i
vaneggiamenti pseudoscientifici di Sor, lasciano solo il minimo indispensabile, salvando quei pochi
esercizi possibili e integrando con brani propri e altri studi di Sor (da cui poi Segovia scelse la maggior
parte dei famosi 20).
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LE MANI
Mano destra
Primi decenni dell’800
• Il mignolo si appoggia sulla tavola armonica, secondo una consolidata tradizione che viene
dalla pratica liutistica e barocca. Lo si nota dalle tracce di consunzione sulla tavola armonica.
• Con il mignolo appoggiato, la mano destra è inclinata e il pollice può scorrere facilmente su
tutte le corde; il movimento dell’anulare invece risulta limitato. Aguado dice che con il tripode
la mano e il braccio sono stabili e quindi non è più necessario appoggiare il mignolo.
• Legnani usava il mignolo sul ponticello e l’anulare sulla cassa armonica, quindi, il suo modo
di suonare pirotecnico si basava su tre dita.
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E. Fernandez in “Fronimo” n. 186, Aprile-Giugno 2019, ipotizza che la nota venisse eseguita pigiando semplicemente
sulla corda (ossia senza che ci fosse bisogno di una aggiunta di tasti). Lo confermerebbe la indicazione “mezza voce”.
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• Sor è contrario all’uso dell’anulare per le melodie e lo usa solo per gli accordi a 4 parti. La
diteggiatura di Sor si struttura sulle note da accentuare e sulla condotta delle parti (vd esempi
nel Metodo). Gli altri autori utilizzano l’anulare, anche se non molto di frequente.
• Per le scale, si usavano in modo estensivo le legature (pizzicando col pollice che scivolava
sulle corde), suonando solo la prima nota della legatura. Uno dei pochi esempi di scale
interamente in staccato è in Carcassi, Studio n1.
• Nel pizzicare le note, si usava spesso lo stesso dito ribattuto: ad es. Giuliani, Studio n. 11,
dall’ op.1, terza parte. Per tale ragione, in Studio n. 3, op.1, terza parte, Giuliani indica stavolta
di usare due dita per fare il ritmo puntato, con velocità e senza stancarsi.
• Quando Carulli scrive una legatura tra due note da eseguire su due corde (ad esempio il Re
sulla seconda, seguito dal Mi a vuoto) non intende il legato odierno (entrambe le note sulla
seconda corda), ma indica di alternare indice e medio per pizzicare le due corde. Oggi sembra
ovvio, ma all’epoca si pizzicava frequentemente con lo stesso dito più volte in successione.
• Si utilizzava frequentemente l’alternanza p.i., cosa che portava a mettere in risalto in modo
naturale la nota eseguita col pollice; oggi invece curiamo l’uguaglianza delle dita.
APPENDICE
Da N. Coste, Studi op.38, n.14: la prima legatura indica il pollice che scivola in avanti sulle due
corde; la seconda, discendente, indica l’indice che scivola sulle due corde.
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Mano sinistra:
Primi decenni dell’800
• si usa talvolta il pollice per fare i bassi: l’indicazione è varia, pouce, daumen, un asterisco,
un apice
• Sor richiede che il pollice sia sempre dietro al manico, per poter condurre la polifonia in
modo corretto
• Sor utilizza il barrè in modo molto flessibile, anche solo per poche note, senza bloccare
tutta la mano in posizione.
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• Aguado utilizzava la mobilità del gomito per aprire e chiudere la posizione della mano su
e già la tastiera in modo da fare i passaggi di bicordi di terze sempre con 1-2 o 1-3 a
prescindere dall’ampiezza della terza.
• Legature: utilizzo delle legature vario e complesso
APPENDICE
FERNANDO SOR
Spunti riassuntivi tratti dalla prima parte dell’articolo di E. Fernandez su Fronimo 177, 2017
(la seconda parte dell’articolo va studiata direttamente su Fronimo 178)
• Predominanza del testo rispetto agli esempi ed esercizi: è più un trattato che un metodo. Il Metodo
spiega semplicemente come sonare; il Trattato spiega perché bisogna suonare in una certa maniera.
• Esercizi = una sola regola; Lezioni = più regole e qualche eccezione; Studi = sulle eccezioni e le regole
più difficili;
• Bisogna mantenere una corretta condotta polifonica delle parti, il pollice della mano sinistra si sposta
dietro, come si usa oggi;
• L’intero apparato del braccio sinistro, avambraccio, polso e dita funziona come un’unità (anticipando
la didattica di Carlevaro);
• La mano destra appoggia il mignolo, la mano è inclinata, per cui p i m si trovano sulla stessa linea,
mentre l’anulare è escluso. Il pollice scivola sulle quattro corde basse, e l’anulare viene usato solo in
accordi di 4 note e solo se tra bassi e acuti si salta una corda;
• Sor non usa le unghie, perché pensa che esse non favoriscano la bellezza del suono e i cambi di timbro;
• È contrario agli arpeggi, perché sono monotoni, autoreferenziali e sono poco più che un
accompagnamento;
• La sua diteggiatura non si basa sulle posizioni (= mano tenuta longitudinalmente alla tastiera) ma
basandosi sulle terze e sulle seste;
• Sor insiste sull’imitazione degli strumenti e sulla trascrizione perché vuole legittimare la chitarra,
dimostrare il suo valore musicale, le sue risorse equivalenti agli altri strumenti;
• Quando richiede l’imitazione di strumenti orchestrali, non pensa solo ad imitare il timbro, quanto a
seguirne le caratteristiche melodico-compositive. Per gli ottoni richiede ad esempio di seguire la
successione degli armonici; per il timbro del corno consiglia di diteggiare e pizzicare in modo da
ottenere suoni chiusi, per la tromba di pigiare il tasto lontano dalla sbarretta (per ottenere il frizzio);
• Le scale: non fa le note sciolte ma in legatura, pizzicando solo la prima nota in ogni corda. Si nota
un’eccezione nel caso di scale tra prima e seconda corda;
• Note ribattute con p i (cfr Studio n.10 numerazione Segovia)
• Etouffés: pigiare la corda meno del solito (quindi non si fa come oggi, con la mano destra appoggiata
di taglio sulle corde all’altezza del ponticello);
• Staccati: smettere di premere la corda;
• No agli armonici ottavati (artificiali); o si usano quelli “naturali” oppure, ma con grande cautela, quelli
alla doppia ottava, (con 4 tasti vuoti tra il primo dito che pigia il tasto e il quarto che sfiora la sbarretta).
COSTE SU SOR
da Ari van Vliet, Sor and Coste, in “Soundboard” vol.42 n.4, dicembre 2016, p.17
• Le notizie sono tratte dal carteggio di Coste con Hallenberg nel 1877;
• Al momento di arrivare a Parigi, Sor aveva una Rada di Malaga, uno strumento mediocre,
massiccio e col manico largo;
• Sor aveva una mano sinistra splendida e flessibile che gli consentiva posizioni allargate, quasi
impossibili;
• Sor si compiaceva di scrivere brani che solo lui poteva suonare;
• Coste scrive di aver suonato uno dei brani più difficili scritti da Sor (Fantasia op.7) con la
chitarra terzina, perché egli (Coste) aveva la mano piccola;
• Generalmente i brani di Sor, pur contenendo passaggi bellissimi (specie nelle introduzioni),
terminano in modo mediocre e quasi sempre contengono passi praticamente ineseguibili;
• Sor ha danneggiato la chitarra più di quanto le abbia fatto del bene. Tuttavia, i suoi studi
rappresentano il vertice di questo genere;
• Coste scrive che fino all’età di 24 anni suonava solo Giuliani, ma quando si imbatté nell’opera
di Sor – continua – si rese conto della pochezza e vacuità della musica di Giuliani.
Giuliani e Sor, in B. Jeffrey, Fernando Sor, the new complete works for guitar, vol.1, p.XV
In Giulianad del 1833 si può leggere che se Giuliani aveva inventato un nuovo modo di suonare la
chitarra, Sor aveva inventato un nuovo metodo di comporre per chitarra.
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Il ‘900
Una considerazione a integrazione del testo d’esame di Dall’Ara
Dopo la presenza nella prima parte del ‘900 di opere didattiche ampie e complete che derivano dalla
riflessione sulla tecnica di Tarrega (Pujol, Roch, Sagreras), due sono gli aspetti più interessanti
dell’insegnamento dello strumento di questi ultimi decenni: le pubblicazioni dedicate esclusivamente
ad aspetti specifici della tecnica (quindi non più metodi completi) e la didattica per i bambini/ragazzi.
Pascal Roch,
• scuola di Tarrega, 3 voll. Pubbl. a partire dal 1921. Metodo interessante che mette in
ordine la tecnica di Tarrega, introducendo spiegazioni pratiche e integrando con i brani
e le trascrizioni del Maestro, oltre che con qualcosa di suo.
Emilio Pujol
• Escuela, scuola di Tarrega, 4 voll. Pubbl. dal 1934 al 1971; un quinto volume sul suo
pensiero estetico, sulla trascrizione, interpretazione, pedagogia ecc non fu mai
realizzato. Cfr. articolo di Dall’Ara sul Manuale della Chitarra EDT. Interessante il
confronto con il metodo di Aguado di cui riprende l’impostazione.
Mario Gangi
• Metodo di impianto tradizionale, con influenze Jazz e Sud-Americane,
Dodgson e Quine / Bettinelli
• Studi dodecafonici con un senso vivo e concreto della melodia.
• Dogson e Quine scrivono anche un Trattato per leggere a prima vista
Abel Carlevaro: analizza e scompone ogni aspetto tecnico e meccanico
• Quaderni di meccanismo: cuaderno 1 sulle scale: n.2 sugli arpeggi
• Quaderni di meccanismo applicati a Villa Lobos, Bach, Sor; di cui analizza e
scompone ogni aspetto tecnico e meccanico.
• Escuela della Guitarra
Angelo Gilardino
• Trattato: si parte da come si deve muovere il dito per ottenere un buon suono e poi si
costruisce a ritroso la postura più funzionale.
• Studi con implicazioni tecnico-meccaniche
Smith-Brindle Reginald
• Microcosmos (3 voll.)
Mauro Storti
• Bisogna impostare una tecnica “neutra” (ossia non legata ad un meccanismo tecnico,
specifico del proprio momento storico): è necessario mettere in evidenza le diverse
funzioni della musica (ritmica, polifonica, melodica).
Dusan Bogdanovich
• polimetria e poliritmia Studio dell’indipendenza
• improvvisazione derivata dalle tecniche Jazz delle mani, della ritmica
Luigi Biscaldi e della polifonia
• Esercizi speciali di virtuosismo
Metodo Gordon
• per imparare la musica fin dai primi mesi di vita
Metodo Suzuki
• per imparare lo strumento fin da bambini (vd spiegazioni dettagliate più avanti)
Segovia
• il “Metodo” mai scritto: tratto da Andreas Stevens, Andres Segovia’s unfinished
method, in “Soundboard Scholar”, n. 3, 2017 pp. 13 sgg
Segovia voleva realizzare un metodo che permettesse uno studio coerente della tecnica chitarristica,
esattamente come nei metodi del primo Ottocento e soprattutto come vedeva realizzarsi in quelli per gli altri.
In quest’ottica, nascono le famose scale.
Nel 1928 Segovia propone a Ponce di realizzare un metodo, e gli invia delle formule per gli studi; scrive che
non deve necessariamente limitarsi a comporre un solo studio per formula e ipotizza che ci siano 3 volumi
progressivi, con studi per la mano destra, sinistra e una serie di brani ad hoc. Gli studi più avanzati tratteranno
di velocità e polifonia, con preludi e fughe.
Per gli studi non vuole spiegazioni prima di ogni brano (cosa che detesta) ma una spiegazione generale
all’inizio. In tal modo lo studio della chitarra si avvicinerebbe a quello degli altri strumenti. Ma il progetto non
si realizzò.
Nel 1937 Segovia ci riprova, ipotizzando come mercato gli Stati Uniti (che stava conoscendo una grande
diffusione della chitarra) e dove ci si poteva aspettare un buon guadagno.
Dice a Ponce di scrivere degli studi progressivi, lui li avrebbe revisionati e diteggiati e poi avrebbero pensato
ad esercizi preparatori: si sarebbero divisi a metà il guadagno.
I noti Preludi (già composti) erano secondo Segovia troppo difficili per un metodo e prega il compositore di
semplificarli, ma Ponce non se ne dette per inteso. Nel 1938 Segovia insiste, dicendo che se il metodo non
fosse andato avanti sarebbe stata colpa di Ponce.
Nel 1939, Segovia propone un LP didattico di 20 studi alla Voce del Padrone, che però non era convinto del
ritorno economico.
John Williams su Segovia
su “Guitar Review” n.91, 1992
JW: Segovia era il suo [del padre] grande idolo, e fu grazie a Segovia che si sviluppò l'amore di mio padre per
la chitarra classica (mio padre era un jazzista). E così sono stato cresciuto in quell'atmosfera. In realtà,
l'incontro con Segovia non ha davvero aggiunto alcuna dimensione musicale profonda. Penso ora, con il
senno di poi, che questo argomento debba essere precisato.
Direi, in retrospettiva - e l'onestà mi fa esprimere questo - che Segovia non era un grande insegnante;
probabilmente a conti fatti come insegnante ha fatto più male che bene. Penso che sebbene avesse un
atteggiamento disponibile e benigno ed era piuttosto infantile in un certo senso (era molto generoso con gli
studenti), lo stile generale del suo insegnamento era di esempio e ispirazione (il che, ovviamente, era buono)
ma anche di paura. Non ci sono mai state spiegazioni illuminanti di ciò che un brano musicale poteva essere,
o stava cercando di essere in termini di potenziale espressivo complessivo. Ogni esempio che riesco a
ricordare, in classe o individualmente, si riduceva a isolati consigli di diteggiatura o dove fare il rubato,
sapendo che più copiavi il suo stile, più lui sorrideva e si sentiva felice.
Guardando indietro non ricordo nessuno, me compreso, che abbia suonato al suo meglio, perché era
sottinteso che si dovesse copiare ciò che facesse. Non ti incoraggiava ad espanderti e svilupparti, e quindi ci
si sentiva sempre più inibiti dall'esprimere ciò che provavi - perché potrebbe essere diverso da quello che
avrebbe fatto lui stesso: questo non è buono in un insegnante.
Devo dire che un'intera generazione di noi è stata inibita da Segovia, e non siamo stati davvero aiutati.
(…) ma gli insegnanti oggi non sono più così, sono in grado di fare un lavoro molto migliore di quello che ha
fatto Segovia; sono più illuminati e più progressisti, anche se ce ne sono ancora alcuni della vecchia scuola,
con una concezione didattica autoritaristica, ma questo sta cambiando.
Ma l'ispirazione principale per me in quel momento era incontrare il grande maestro ed essere in presenza
del bellissimo suono che faceva. Il suono che si conosceva dai dischi era improvvisamente lì davanti a te.
GW: Era un grande personaggio tradizionale, naturalmente.
JW: Sì. E frequentare i corsi estivi a Siena è stata anche l'occasione per stare in mezzo a molte altre persone
che si trovavano nella mia stessa posizione, persone che adoravano il grande uomo e che volevano che la sua
inspirazione si riversasse su di loro.
SUZUKI
metodo per bambini
Lezioni di gruppo
È uno strumento molto efficace per imparare e per la motivazione. Gli studenti fanno notevoli progressi e si
divertono durante le lezioni di gruppo. Il dott. Suzuki raccomanda che le lezioni di gruppo si tengano una volta
a settimana o almeno un paio di volte al mese.
Il repertorio
Il repertorio di questi volumi è stato scelto con cura per predisporre un percorso piacevole che porti ad una
tecnica efficiente. È importante che l’allievo tenga sempre in esercizio tutti i brani, senza tralasciare i brani
precedenti quando si passa a nuove composizioni: ripassare e raffinare in continuazione i pezzi già studiati
porta a sviluppare in modo più alto le abilità.
Genitori e allievi dovrebbero sempre essere presenti alle lezioni singole degli altri allievi. Le lezioni devono
variare con le necessità dei ragazzi: può quindi succedere talvolta che la lezione sia corta, poi il ragazzo osserva
la lezione di un altro allievo e infine riprenda la lezione per ulteriori istruzioni.