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Terens Sotiri Analisi dei repertori per chitarra

“Tellur” di Tristan Murail

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Tristan Murail e lo “Spettralismo”


Tristan Murail è nato a Le Havre, in Francia, nel 1947.
Ha studiato presso il “Conservatoire National de Musique et Danse de Paris” con Olivier
Messiaen. Nel 1971 gli è stato assegnato il Prix de Rome, prestigioso premio assegnato ai
compositori dal governo francese, che gli ha permesso di risiedere e studiare per due anni a Villa
Medici a Roma. Tornato in Francia nel 1973 ha formato insieme a Gérard Grisey, Hugues Dufourt,
Roger Tessier e Michaël Lévinas l’ensemble L’itinérarie, uno dei più importanti gruppi di musica
contemporanea sul panorama europeo, che si focalizzava sul rapporto della performance
strumentale con la musica elettronica. La gura di Murail, insieme a quella di Gerard Grisey, viene
associata alla corrente musicale della "Musica Spettrale”, o “Spettralismo”, nonostante entrambi i
compositori si siano poi allontanati da questo termine attribuito alla loro musica.

Lo Spettralismo si basa sull’analisi e lo studio dei fenomeni del suono (nello speci co dello spettro
sonoro, da qui il termine), l’iterazione tra suono e rumore ambientale, con l’obiettivo di ottenere
dagli strumenti nuove possibilità sonore. Un altro fattore di importante rilievo nello Spettralismo è
quello della durata dei suoni e degli e etti che essi, sovrapposti o modi cati, possono avere
sull’ascoltatore (grado di preudibilità). Certamente i compositori spettrali hanno subito una diretta
in uenza dagli esperimenti eseguiti nelle decadi precedenti presso i nuovi studi di fonologia per la
musica elettronica nati alla ne degli anni ’50 in tutta Europa, come Lo studio di fonologia RAI
(dove operavano Nono, Berio, Maderna), L’IRCAM di Parigi (da cui hanno un in uenza diretta dallo
studio sulla "Musica Concreta" di Paul Scha er) e dello studio di Köln (dove operava Karlheinz
Stockhausen).
Si può dire che i compositori de L’Itinéraire abbiano idealmente proseguito e approfondito l’idea
alla base di “Kontakte” di Stockhausen, brano spartiacque della sperimentazione compositiva
elettronica, dove la performance strumentale si unisce a materiale musicale realizzato presso gli
studi di fonologia.

“Tellur” per chitarra


“Tellur” è stato composto nel 1977 su commissione del chitarrista francese Rafael Andia, docente
all’ “Ecole Normal de Musique Alfred Cortot”. La sua prima esecuzione è stata tenuta alla Salle
Cortot di Parigi nell’aprile dello stesso anno.
Il titolo “Tellur” in questo caso è fondamentale per capire l’opera nel suo processo compositivo e
per l’approccio all’interpretazione della composizione, il titolo si riferisce al tellurio, un elemento
della tavola periodica semi metallico che è in grado di assumere forme molto di erenti. Questo
suggerisce all’ascoltatore e all’interprete come il materiale musicale che si sviluppa all’interno
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dell’opera mantenga sempre lo stesso “elemento”, ovvero la stessa idea musicale di fondo,
nonostante le continue mutazioni al suo interno.
Murail descrive la composizione di un opera spettrale come “uno scultore davanti a un grande
blocco di pietra che nasconde una forma nascosta; uno spettro potrà così celare forme di
dimensioni diverse che possiamo rivelare secondo certi criteri... questa tecnica di composizione,
dall'insieme all'unità, si oppone alla classica tecnica di costruzione cellulare.”1
“Tellur” è l’unica opera per chitarra (“classica”) sola di Tristan Murail, nonostante Murail abbia
composto altre opere in cui è presente la chitarra elettrica e l’opera per chitarra elettrica
“Vampyr!"(1984). In un’intervista con Rafael Andia, Murail a erma che “Tellur è il frutto
dell’incontro di un vecchio desiderio - quello di scrivere per chitarra utilizzando tutte le tecniche di
quella che è per me la vera chitarra - e di un chitarrista che conosce queste particolari tecniche
tradizionali come il palmo delle sua mano.”2 Per “vera chitarra” Murail si riferisce alla duplice
natura dello strumento, quella popolare (che Murail predilige), e quella “colta” sviluppatasi a
partire dal XIX secolo, che raggiunge il suo apice con il noto interprete e committente spagnolo
Andrés Segovia.

“Tellur” e la tecnica chitarristica


Come anticipato la genesi di questo brano è profondamente legata alle diverse tecniche
strumentali che derivano dalla natura popolare della chitarra. Le tecniche più ricorrenti all’interno
di tutta l’opera infatti derivano dalla tradizione del amenco, musica popolare spagnola che dopo
la caduta del regime franchista viveva un momento di particolare popolarità sulla scena
internazionale grazie a grandi interpreti come Paco de Lucía e Camarón de La Isla.
Le due tecniche amenche all’interno di Tellur sono principalmente quelle del rasgueado, del
golpe e dell’alzapua. La tecnica del rasgueado, cioè quella di colpire le corde con il retro
dell’unghia, possiamo dire essere l’elemento tecnico prevalente nel brano.
La ricerca pratica fatta da Murail nella composizione di “Tellur” riguardo le possibilità esecutive e
tecniche della chitarra è curata ai massimi dettagli, cosa molto rara nella letteratura di questo
strumento, dove per secoli (a partire dalla letteratura per liuto) la maggior parte degli esecutori
eseguivano opere scritte da "chitarristi-compositori” proprio per la particolare di coltà che
comporta la scrittura per chitarra.
Nella postfazione all’edizione Murail fornisce una dettagliatissima legenda che divide in lettere
dalla a alla s, dove si spiega in dettaglio ogni tecnica non convenzionale a rontata all’interno della
composizione e le soluzioni semiogra che per esse. Queste lettere in minuscolo le troviamo
all’interno del testo musicale in concomitanza della tecnica in questione.

1 Je ery Brown, “Tellur: A Piece of Spectral Music […]”, Stanford University


2 Rafael Andia, “Tellur, un’analisi”, Cahier de la guitar, 1982
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Tra queste tecniche troviamo anche alcune tecniche tipiche della composizione spettrale, come la
scordatura dello strumento, spesso usata dagli spettralisti per ottenere e etti timbrici inaspettati
dallo strumento.

Analisi dell’opera
INTRODUZIONE ALL’ANALISI

Tristan Murail divide “Tellur" in sette sezioni che nomina dalla lettera A all lettera G.
Tuttavia, essendo Murail un compositore che compone “dall’insieme all’unità”3, questa divisione in
sezioni non rappresenta sezioni contrastanti ma la presenza punti di svolta all’interno dell’opera.
Secondo il chitarrista dedicatario Rafael Andia ed il compositore stesso, questi punti di svolta
hanno una duplice natura, quella di dare una progressiva direzionalità di calo o acquisizione di
tensione e quella dei passaggio tra suono “puro" e rumore.
Murail avverte nelle note in postfazione come l’esecutore debba prestare particolare attenzione a
non “rompere” il usso dell’opera.
Queste sezioni chiaramente riconoscibili all’ascolto, dove i picchi tensivi culminano con cluster e
dinamiche sui toni del forte e suoni rumorosi e metallici, mentre i cali di tensione spesso
coincidono con ritmi dilatati su dinamiche nel raggio del piano e suoni “puri”.

Possiamo integrare un disegno che esplica la struttura tensiva di “salite” e “discese” di tensione
all’interno delle sezioni che compongono “Tellur”:

Per compiere quest’analisi mi sono aiutato utilizzando delle schematizzazioni di processi


compositivi ed articoli di Gérard Grisey, caposcuola dei compositori spettrali, presenti all’interno
dei “Cahier della musica contemporanea” scritti per la Civica Scuola di Musica di Milano.
In particolare voglio so ermarmi sul concetto di “zoom”, che ritengo fondamentale per l’analisi di
quest’opera, dove il concetto visivo dello zoom, viene applicato al ritmo, alla dinamica e alla
presenza di materiale musicale e all’interno di una composizione.

3 Je ery Brown, “Tellur: A Piece of Spectral Music […]”, Stanford University


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Gerard Grisey spiega l’idea di questo termine applicato alla musica attraverso la celebre metafora
del “tempo dell’uomo”, “tempo delle balene” e “tempo delle formiche”, ovvero dove la percezione
del materiale musicale corrisponde alla percezione del tempo di erente del respiro o della
pulsazione vitale che questi di erenti esseri viventi hanno.

Ho deciso di a rontare un’analisi descrittiva, che sento la più e cace per la natura di quest’opera
cangiante e uida.

SEZIONE A

L’inizio della sezione A si presenta con un suono della chitarra ebile e leggero, dove l’e etto del
rasgueado della mano destra è misto a quello dell’etou é (il palmo della mano destra compie la
funzione di una sordina ottenendo un e etto di pizzicato), mentre la mano sinistra, con il dito
indice non pone la pressione necessaria sul tasto per generare né un suono né un armonico, ma
solamente quello di un “rumore”, dove potremmo percepire delle sorte di armonici di altezza
inde nita.
Mentre il rasgueado continua, il dito della mano sinistra aggiungendo pressione si evolve in un
armonico naturale per poi diventare un suono e ettivo a quasi 40 secondi dall’inizio della
composizione. Possiamo dire che questo esordio ha un sentore particolarmente spettrale, dato
che inizia immediatamente con la speculazione dello spettro sonoro che può generare una singola
corda a vuoto.

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L’indicazione di crescendo che ci si presenta dal primo rigo trova il suo culmine al quinto dove
raggiungiamo il primo cluster di suoni in FF, attraverso il passaggio senza soluzione di continuità
dal rasgueado con cellule cicliche di quattro, tre, cinque note ecc.
Questo ci dà la prima sensazione di zoom-in del materiale musicale, in un processo compositivo
che secondo Grisey potremmo de nire dinamico-continuo.
Si ha un improvviso decrescendo a metà del quinto rigo, con ritorno della tecnica dell’etou è, gli
armonici indeterminati di mano sinistra culminano al rigo 6 in un improvviso SFFF. Questo
processo dal piano improvviso al FF si ripete alla ne della prima pagina dandoci una sensazione
di concitazione.
Al F alla ne della prima pagina si ripresenta l’armonio naturale di LA (sentito all’inizio del brano)
insieme alla tecnica dell’arpeggio discontinuo, con conseguente rottura dell’ordine del rasgueado
continuo, e presenza per la prima volta del trillo di mano sinistra, elemento molto importante
all’interno del brano.
L’armonico di LA all’inizio della seconda pagina, inizia a ripetersi a distanza sempre minore,
complice in un accelerando indicato dall’autore, che ci dà ancora una volta una forte sensazione
di zoom-in.
Trovo curioso come questo processo dinamico-discontinuo abbia un crescendo agogico
inversamente proporzionale a quello dinamico. (accelerando e descrescendo verso PP,
“lontano”). Da qui un’accumulo di cluster con arpeggi discontinui e trilli di mano sinistra si
muovono in crescendo verso un rasgueado continuo e ordinato che fa con uire la sezione A in B.

SEZIONE B

La sezione B, come precedentemente anticipato, si mostra come un progressivo calo di tensione


rispetto ad A. Inizia con la continuazione senza soluzione di continuità del rasgueado “pulito”
(suono e ettivo) presente alla ne di A.
Qui vi appare dopo 25 secondi il primo e etto percussivo (golpe) sulla chitarra, che rompe la
continuità del suono, questo e etto percussivo ripetuto da qui in avanti si dimostra il primo
elemento fautore di un processo di zoom-out che percorre la sezione B.
Alla ne del quarto rigo compare nuovamente l’armonico, questa volta sono due (LA e RE),
elementi di suono “puro”.
Questo elemento va in contrapposizione al nuovo e etto di “rumore” che compare al rigo 5, dove
la mano sinistra provoca una serie di rumori di “altezza indeterminata” (come speci cato l’autore
nel testo musicale) di gruppi di trentaseiesimi.
Questa sezione in rallentando si muove verso una nuova gura di suoni in sordina di mano sinistra
che Murail speci ca essere di “altezza precisa”.
Il rallentando, la transizione da suoni pizzicati che passano da indeterminati a determinati, in
contrapposizione con la cellula di armonici LA-RE che si dilatano a livello ritmico, danno

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complessivamente un e etto di zoom-out, con quella che sembra essere una rarefazione del
materiale musicale.

SEZIONE C

Alla quarta pagina si giunge alla sezione C della composizione.


Questa sezione giunge dal calo di tensione della sezione B e n dal principio si presenta in
totalmente diversa rispetto al materiale musicale presentato in precedenza.
A colpo d’occhio possiamo vedere che in questa sezione si inizia a utilizzare un aspetto della
chitarra lontano da quello della chitarra popolare (prediletta idealmente da Murail), ovvero quello
della polifonia.
Qui compare per la prima volta anche la parola “dolce” e sui toni del piano inizia una
presentazione di suoni “puri”.

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Al terzo rigo troviamo il primo elemento che ci fornisce l’idea dell’inizio di un’acquisizione di
tensione, il trillo, che subito si contrappone ad un altra sezione polifonica, per poi trovare un altro
trillo al quinto rigo, che ci lascia intendere ancora una volta un e etto di “zoom-in”.
Al sesto sistema abbiamo il terzo trillo, questa volta presentato con una particolare tecnica della
mano destra che a mo’ di plettro coinvolge un’altra sovrapposizione polifonica tra i doppi trilli di
mano sinistra, coincidente alla lettera e della “legenda tecnica” in postfazione.
Alla ne del sesto rigo inizia un vorticoso arpeggio che in crescendo ci porta ad u nuovo accordo
di cluster, con annessi trilli, a creare un picco tensivo, che viene ampli cato dall’annessione del
rasgueado ad un secondo cluster con trilli.

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Lo sfruttamento di questa tecnica ci dà l’illusione di avere uno strumento che può ottenere più
suoni da quanto si possa generalmente generare da una sola chitarra a sei corde, nonché si
dimostra coerente alla natura polifonica della sezione C.
All’inizio della quinta pagina possiamo notare come ci sia un terzo cluster dove il rasgueado si
rompe temporaneamente verso un arpeggio libero, per tornare ad un quarto cluster,
improvvisamente piano, questa volta senza trilli, ma “pulito”.
Vi è in questo quarto cluster, una dinamica a forcella che allude a quella che potrebbe essere una
manipolazione del suono tipica della composizione elettronica.
Al secondo rigo di pagina 5 si giunge ad un secondo momento apice della sezione C, dove
compare la descrizione “violento” con SFFF più volte.
Alla ne di questo secondo rigo compare un altro elemento, che si contrappone in
un’anticipazione di zoom-out della successiva sezione, ovvero la presenza della ripetizione a
intervallo sempre più dilatato di un cluster di armonici, che svolge una funzione analoga a quella
della percussione nella sezione B.
Al quarto rigo della quinta pagina vi è un altro elemento che ci porta ad un terzo culmine tensivo
verso la sezione D, anche questo di natura polifonica, dove in concomitanza del rasgueado di
mano destra, la sinistra pizzica i bassi a vuoto, in modo sempre più concitato.

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SEZIONE D

La sezione D è la più corta tra le sezioni che compongono la composizione, tuttavia è una delle
più interessanti per quanto riguarda la sperimentazione di produzione sonora che i compositori
spettrali tipicamente applicano sugli strumenti a partire dagli studi eseguiti negli studi fonologici.
A detta di Rafael Andia, il chitarrista dedicatario dell’opera, in questo FFFF dell’inizio di D, si
vorrebbe imitare l’e etto di illusione acustica del glissato continuo di Sheapard-Risset.
Infatti mentre la mano destra svolge un rasgueado su tutte e sei le corde (quindi cogliendo sempre
delle corde a vuoto), la mano sinistra esegue un cluster in glissando discendente da altezze
sempre più acute, creando così i due elementi fautori dell’e etto Sheapard-Risset.
Al secondo rigo della sezione D, coincidente alla ne della simulazione dell’e etto Sheapard-
Risset, vi è un’altra sperimentazione tipicamente spettrale, ovvero la scordatura della sesta corda
da FA a a DO#.
Da qui si passa ad un altro utilizzo irregolare del rasgueado che ci porta lentamente ad allargare
ritmo, sempre sui toni del forte, verso alla nuova singola nota di DO#, sempre più dilatata,
terminando nella sezione D con un nuovo e etto, quello del pizzicato bartòk, che avrà molto
rilievo nella sezione E.

(imitazione dell’e etto Sheapard-Risset)

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SEZIONE E

La sezione E è la più estesa all’interno dell’intera composizione.


Anche qui, come nella sezione C troviamo presenti degli aspetti che potremmo descrivere come
“polifonici”, questo se non solo a colpo d’occhio data la presenza di un sistema di due
pentagrammi con chiave di violino.

Ma forse la cosa più importante a livello analitico (pur essendo la mia un’analisi descrittiva) è
l’innesto di processi di zoom che si sovrappongono.
I primi due sistemi della sezione infatti presentano dei bassi (in particolare la nuova nota di DO#
ottenuta tramite scordatura) con pizzicati bartòk mentre la mano sinistra svolge un crescendo su
due riprese.
Gli accordi della mano destra diventano sempre più ravvicinati, come quelli della mano sinistra,
innescando così due processi di zoom sovrapposti.
Nel terzo e quarto sistema della sezione avviene lo stesso processo di sovrapposizione, ove la
destra compie un nuovo rasgueado mentre la sinistra compire dei trilli sempre più lunghi in
crescendo.
A pagina 7, oltre alla rottura improvvisa del rasgueado nora continuo in virtù di un arpeggio
inde nito, si presenta un terzo e nuovo elemento che ci fa percepire un nuovo e etto di zoom in
aggiunta a quelli già innestati.
Viene presentato un primo tra i cluster che si ripeteranno nel corso dell’intera pagina a distanza
sempre più ravvicinata, in rottura ai trilli di mano sinistra e i rasgueadi di mano destra.
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Tutto questo con uisce un un massimo accumulo tensivo dove questi tre elementi si fondono,
verso un FFF indicato dall’autore come “rumoroso e metallico”, che termina con un secco cluster
che rompe la continuità e ci fa con uire alla sezione F.

(sovrapposizione dei processi di zoom-in)

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SEZIONE F

La sezione F inizia con un vorticoso arpeggio in FFF, dinamica raggiunta tramite l’acquisizione di
tensione della sezione E.
La sezione F, oltre alla solita e già anticipata funzione di calo di tensione zoom-out, si concentra
sull’idea del passaggio da un suono rumoroso (“rotto”), ad un suono puro in maniera graduale.
Al secondo rigo della sezione F troviamo anche una tecnica nora inutilizzata, quella del tremolo
su una singola nota, tipica della chitarra.
Qui troviamo nuovamente gli armonici naturali, che a distanza sempre più dilatata innescano un
nuovo “zoom-out”.
Al primo rigo di pagina 10 troviamo un nuovo tremolo che tramite glissando va verso un armonico,
in rallentando, che ci o re nuovamente l’impressione di una progressiva “puri cazione” del suono.
Dal secondo rigo di pagina 9 no alla sezione G, inizia un processo di rarefazione del materiale
compositivo attraverso l’utilizzo di armonici, in rallentando, ma pur sempre sui toni del forte.
Alla ne della sezione F troviamo per la prima volta anche una corona dopo l’ultimo armonico,
elemento del tutto inedito all’interno dell’opera che si mostrava nora come un usso continuo.

(tecnica del tremolo)

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SEZIONE G

La sezione G è l’ultima della composizione.


Inizia proseguendo il rallentando della sezione F.
Al secondo rigo della sezione è di particolare interesse come l’autore indichi di cambiare l’attacco
del suono da quello dell’unghia a quello della polpa del dito pollice.
A pagine 10 inizia il vorticoso zoom-in che porta al nale dell’opera.
Al primo rigo troviamo il primo elemento di zoom, dove ritroviamo i suoni di altezza inde nita
pizzicati, che si ripetono sempre più dilungati no a fondersi con il trillo al secondo rigo,
muovendosi verso un F “sordo”.
Alla ne del secondo rigo inizia l’ultimo processo che ci conduce verso il nale, dove un subito
piano di rasgueado si degli armonici ci conduce verso dei cluster ripetuti in crescendo che
raggiungono in loro culmine nel FFF del rigo 4, subito contrapposto ad una percussione, per poi
continuare in un subito PPP in un nuovo cluster che attraverso un rasgueado che cresce verso il
massimo FFFF e SF di un ennesimo cluster, susseguito da una percussione, un ultimo cluster di
corde a vuoto, sforzato e metallico, a cui si sussegue un cluster di armonici in P che crea, come
voluto e descritto dall’autore un e etto di eco.

( nale di “Tellur”)

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Considerazioni personali
L’analisi di “Tellur” è stato il mio primo approccio alla musica contemporanea “sperimentale"
applicata alla letteratura del mio strumento.
La chitarra infatti, come ho anticipato nell’introduzione all’analisi, ha ininterrottamente avuto un
repertorio composto da opere scritte da chitarristi-compositori per più di cinque secoli. Una
tradizione questa, che risale alla musica per liuto e vihuela nel primo cinquecento per passare ad
una “epoca d’oro” nel primo ottocento con Fernando Sor e Mauro Giuliani ed avere un’ultima
gura (avvolta da leggenda e misticismi) nel tardo romantico Francisco Tàrrega.
Possiamo dire che la chitarra ha vissuto un alternarsi di successi e oblii nel corso del tempo no
all’arrivo di Andrés Segovia che, nel corso dell’intero novecento, portò la chitarra nelle grandi sale
da concerto e diede un fondamentale contributo per l'inserimento della chitarra nei conservatori.
Dobbiamo proprio a Segovia anche la rottura della tradizione dei chitarristi-compositori,
diventando egli il primo grande committente di opere scritte da parte di compositori non
chitarristi. Nacque così una nuova gura, quella del “chitarrista-committente”, il quale lavorando a
stretto contatto con il compositore riesce ad adattare alle composizioni alla grande complessità
tecnica della chitarra.
Tuttavia le nuove opere commissionate dal maestro spagnolo trovano un grande limite nel gusto e
nelle ambizioni dello stesso Segovia, il quale desiderava compiacere con queste nuove opere il
vasto pubblico delle sale in cui suonava e, allo stesso tempo, colmare il grande vuoto di repertorio
romantico e post-romantico nella letteratura chitarristica.
Noi chitarristi, per questo motivo, tendiamo a trovare nel repertorio “segoviano” una certa
comodità e facile compiacimento. Nonostante nel corso del novecento Segovia non fosse l’unico
grande committente è stato sicuramente il più autorevole e in uente. Poche sono le opere più in
linea con lo spirito compositivo novecentesco che hanno lo stesso rilievo di quelle commissionate
da Segovia nella letteratura per chitarra, delle quali sono gli esempi più fortunati il “Nocturnal” di
Benjamin Britten ed alcune opere di Hans Wener Henze, commissionate da un altro grande
chitarrista, l’inglese Julian Bream. Anche queste opere, in ogni caso, considerando che il
“Nocturnal” è del 1971 e “Tellur” del 1974, hanno una scrittura molto “classica” e non richiedono
al chitarrista (nonostante la complessità interpretativa) di uscire dalla propria comfort-zone.
Completamente diverso è il caso di “Tellur”, opera che a partire dalla sua concezione, non si
“piega” alle di coltà della composizione per chitarra e ai limiti tecnici dello strumento. Nel caso di
"Tellur” non si snatura l’intenzione e gli stilemi personali del compositore (cosa che avviene
spesso) al contrario si s da il chitarrista ad adattarsi ad essi, rendendolo partecipe della musica
del suo tempo e lo esorta a vivere la propria epoca al pari degli altri strumenti.
Un brano come “Tellur” costringe il chitarrista ad a rontare nuove tecniche e ricavare nuove
possibilità no ad allora spesso inesplorate e lo costringe a ri ettere sul come realizzarle non solo
da un punto di vista tecnico ed interpretativo, ma anche intellettuale.

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A rontare in dettaglio questo brano, seppur non suonandolo, mi ha portato a fare delle ri essioni
profonde sul repertorio del mio strumento, che troppo spesso come l’ottimista Candido si ferma a
“coltivare il proprio giardino” (“Il faut cultiver notre jardin”, Voltaire), concetto loso co che il
novecento post-bellico ha fortemente messo in discussione, se non addirittura scardinato. Un
novecento che, per i motivi citati in precedenza, nonostante abbia ormai cinquant’anni si dimostra
n troppo ignoto ed inaccessibile alla maggior parte degli studenti di chitarra d’oggi.

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