Sei sulla pagina 1di 8

La chitarra dalla seconda metà del Settecento

Il periodo storico che corrisponde al trionfo del barocco musicale, il XVIII secolo, non ci ha lasciato
un’immagine della chitarra altrettanto significativa rispetto a quella conservata sino alla fine del XVII
secolo: in quest’epoca infatti altri strumenti prendono il sopravvento e certamente quelli a tastiera
monopolizzano la scena con le opere di autori quali D. Scarlatti, J.Ph. Rameau e J.S. Bach solo per
fare i nomi più noti. Va anche detto che la prassi esecutiva degli strumenti a pizzico, essendo legata
a tanti piccoli dettagli tecnici, di stile e di lettura dell’intavolatura, noti a una cerchia piuttosto ristretta
di cultori, era forse più labile, più facilmente evanescente in momenti critici quali potevano essere la
morte di un maestro riconosciuto, i cambi generazionali e forse il più importante, i fatali cambi della
moda e del gusto.
Mentre in Italia la serie delle pubblicazioni a stampa per ‘chitarra alla spagnola’ si interrompe con i
Capricci armonici di Ludovico Roncalli del 1692, la presenza documentata della chitarra solista in
Spagna si protrae più a lungo, grazie alle opere di Santiago de Murcia, che arrivano fino al 1735 con
il volume manoscritto Passacalles y Obras.
Con l’opera di François Campion Nouvelles decouvertes sur la Guitare, (Parigi 1705, ma con
aggiunte manoscritto dell’autore datate fino al 1731), si chiude la letteratura solistica per chitarra
francese del periodo barocco.
Inizia a questo punto per la chitarra una fase in cui dobbiamo ricercarne l’utilizzo in ambiti diversi:
l’accompagnamento del canto, la realizzazione del basso continuo, l’uso nel teatro e nelle scene
della commedia dell’arte. Non è un caso ad esempio che le ultime opere sia di Santiago de Murcia
sia di François Campion siano degli importanti trattati dedicati all’insegnamento del basso continuo
sulla chitarra. e che quest’ultimo abbia fatto parte come continuista sulla tiorba e sulla chitarra, fino
al 1719, dell’orchestra dell’Académie royale de Musique.

1750-1769 La Spagna
Con l’ascesa al trono di Filippo V di Borbone nel 1701, nipote di Luigi XIV di Francia, la cultura
spagnola subisce una notevole influenza internazionale, mentre le forme di espressione spagnole
vengono osteggiate in quanto espressione di valori patriottici. In questo periodo anche la stampa
musicale locale subisce una battuta di arresto. La chitarra è relegata nei settori più umili della società,
mentre le danze ‘nazionali’ quali il fandango sono osteggiate sia perché ritenute licenziose sia
perché considerate un possibile pretesto di nazionalismo.
La pratica più in uso nella chitarra è quella dello stile rasgueado popolare, con bassi su 4-5 coro.
La scarsa trattatistica fa riferimento alle opere ormai datate di Minguet y Yrol (1774) Sanz, Andre de
Sotos (1760), e addirittura Amat.
Tuttavia si fa strada la chitarra a sei corde: esiste una chitarra del 1759 del liutaio Francisco
Sanguino di Siviglia; ha sei corde doppie e l’incatenatura a raggiera che diventerà una delle
caratteristiche delle chitarre spagnole dell’800 e che si consoliderà nella chitarra moderna.
L’aggiunta della sesta ha probabilmente lo scopo di ampliare le possibilità di sostegno armonico,
essendo lo strumento all’epoca destinato principalmente all’accompagnamento.

La Francia
Una parte fondamentale dello sviluppo della chitarra nel Settecento avviene in Francia, dove la vita
musicale è caratterizzata da un ritorno dello stile italiano, che all’epoca si identifica con lo stile
galante, esemplificato da opere di grande successo come La serva padrona di Pergolesi.
Compositori d'opera italiani lavorano alla Comédie Italienne e all Opéra: al loro seguito ci sono
strumentisti e chitarristi, la cui presenza contribuisce a far rivivere la chitarra, che era passata di
moda dopo l'epoca di De Visée e Campion.
Nell’Encyclopédye di Diderot e D'Alembert (1757) troviamo un accenno alla rinascita della chitarra:
«alcuni appassionati hanno ridato vita alla chitarra e alle brunettes, vaudeville e pastorali». La
notazione per chitarra fa ancora uso dell'intavolatura: «questo metodo, sebbene antico, è conservato
per questo strumento per [mostrare] la grazia della mano, l’arrangiamento delle dita, la bellezza del
suono, l'armonia e la facilità di esecuzione» [Encyclopédye 1757 ii 1012].
Il repertorio è costituito quasi interamente da brani vocali con accompagnamento arpeggiato che
riprendono le arie eseguite all’Opéra Comique.
Le chitarre francesi non sono molto differenti da quelle precedenti. Si utilizzano i bordoni sul 4° e 5°
coro ma non filati, perché il loro suono era considerato troppo predominante rispetto agli acuti.
Giacomo Merchi, italiano trasferitosi in Francia verso la metà del secolo, è il rappresentante più
importante di questa fase che vede il passaggio dalla scrittura in intavolatura a quella in notazione,
come i Quattro duetti a due chitarre del 1757. Inizia dunque ad affermarsi la notazione chitarristica
su un solo rigo e con i suoni all’ottava superiore. Merchi afferma che «Coloro che conoscono solo
l’intavolatura suonano e accompagnano meccanicamente e senza misura». Dunque l’introduzione
della notazione mostra l’esigenza di una formazione musicale più accurata e approfondita.
Probabilmente questa innovazione veniva dall'Italia (vedi anche la musica per arciliuto dei
manoscritti settecenteschi italiani, scritta alla stessa maniera) proprio attraverso Merchi.
In questa fase comunque esiste una stretta correlazione tra la nuova scrittura chitarristica e quella
per violino. Si potrebbe anche affermare che nel momento in cui la chitarra inizia ad uscire dal mondo
dell’accompagnamento arpeggiato di arie vocali, in cerca di un linguaggio solistico, prenda ad
esempio lo stile violinistico. Nelle opere di Merchi alcuni brani possono essere suonati da entrambi
gli strumenti.
Una delle ultime opere che fanno uso dell’intavolatura è quella di Michel Corrette, Les Dons
d’Apollon, méthode de guitare par musique et tablature (1762), dove tuttavia l’intavolatura è
sovrapposta alla nuova notazione. Corrette, musicista ancora autenticamente settecentesco,
giustifica la conoscenza dell’intavolatura affermando che può essere per poter suonare le opere del
passato (De Visée e Derosier). Spiega anche che la chitarra in passato veniva accordata ad un
corista più basso ma che uno più alto rende lo strumento più brillante. Il metodo di Corrette dà
precise informazioni sulle corde, confermando che esse provengono da Napoli, Roma, Firenze e
Lione. Suggerisce che il bordone sulla quarta abbia una filatura larga e quello sulla quinta una filatura
stretta; altrimenti consiglia di usare corde filate di seta, alla maniera cinese. Le corde di seta saranno
poi lo standard per la chitarra dell’Ottocento.
Durante gli anni 60 del Settecento vengono stampati numerosissimi libri di arie con
accompagnamento di chitarra ma inizia a farsi strada un repertorio solistico ancora semplice, basato
su variazioni di arie famose come la ‘Follia’, che propongono, certamente anche a scopo didattico,
le varie formule del campionario tecnico dell’epoca: arpeggi, diminuzioni ma anche gli abbellimenti:
questi (il trillo, l’appoggiatura, il mordente, il vibrato, etc.) sono decisamente un’eredità del passato
barocco ma, mentre gli arpeggi rappresentano il maggiore impegno per la mano destra,
contribuiscono senza dubbio a favorire lo sviluppo della tecnica della mano sinistra.
A Parigi in quest’epoca lavorano diversi liutai, per lo più nella zona di Rue de la Pelletterie: tra questi
si ricordano Gioseph Gaffino e Georges Cousineau.

La Spagna, 1770-1789
In Spagna la chitarra a sei cori soppianta quella a 5. Particolarmente importante si rivela la scuola
di liuteria andalusa: Francisco Sanguino a Siviglia, Juan Páges a Cadice. A Madrid, Lorenzo Alonso
(in seguito nominato da Sor). Gli strumenti di questi costruttori iniziano a essere conosciuti in Europa,
iniziando una nuova era di diffusione della chitarra spagnola.
In Spagna la chitarra torna ad essere uno strumento apprezzato dagli intellettuali spagnoli (come
rappresentato dal pittore Goya), tuttavia ancora la classe dominante preferisce essere esterofila e
coltivare lo stile italiano.
Fino al 1780 non ci sono metodi stampati il primo, oggi considerato perduto, è quello di Antonio
Ballestreros, Obra para guitarra de seis órdenes, 1780. Esiste anche un metodo per basso continuo,
messicano, del 1776: Vargas y Guzmán, Esplicatión para tocar la guitarra de punteado, por música
o sifra y reglas útiles para acompañar la parte del bajo dividida en dos tratados por Dn Juan Antonio
Vargas y Guzmán. Profesor de este ynstrumento en la Ciudad de Veracruz. Año de 1776.

L’Italia
La situazione della chitarra in Italia è descritta in quest’epoca da Charles Burney, che la vede
suonata da musicisti di strada, confermando dunque l’uso popolare dello strumento e probabilmente
riferendosi anche ai modelli di chitarra battente che ancora oggi si trovano nelle collezioni dei musei.
Si tratta comunque di un periodo fecondo, del quale probabilmente abbiamo perso troppe
testimonianze, perché è proprio in questa fase che si sviluppa la chitarra a corde singole e si
affermano le importanti botteghe di liuteria, napoletane ma anche settentrionali.
Si iniziano a montare 5 corde singole: Merchi nel 1761 (Guide des ecoliers de guitare),pur
descrivendo l’incordatura tradizionale con corde doppie e bassi (quinta e quarta) ottavati, afferma
che con le corde singole è più facile trovare corde intonate, accordare lo strumento e suonare pulito,
senza gli inconvenienti delle corde doppie che se non sono perfette non mantengono gli unisoni
nelle posizioni più acute e tendono a urtarsi a vicenda. Inoltre le corde singole possono montate un
po’ più spesse in modo da dare, con la maggiore tensione, suoni puri e forti. Tuttavia questo
passaggio non fu netto.
Le prime apparizioni della chitarra a sei corde semplici sono spesso accompagnate dalla
denominazione chitarra francese, tuttavia manca ancora una spiegazione ragionevole per questo
termine, dato che in Francia la chitarra a sei corde si afferma relativamente più tardi che in Italia.
A partire dall’ultima quarto del secolo si trovano strumenti a sei corde singole della scuola napoletana
(Ferdinando Gagliano, Gaetano Vinaccia e Giovanni Battista Fabricatore, v. la dispensa sul XIX
secolo)
Dal 1786 Federico Moretti fa circolare manoscritte una serie di regole per la chitarra (a cinque corde),
stampate poi nel 1792 a Napoli. (Usa solo tre dita della m.d., mignolo e anulare poggiati sulla tavola).
In questa fase lo scopo dei metodi sembra essere quello di istruire l’allievo a a padroneggiare le
successioni di accordi, anche in posizioni e tonalità difficili, e alla realizzazione di svariate formule di
arpeggio su di essi (molte di queste formule saranno poi riprese da Giuliani nell’Op. 1). L’indirizzo è
dunque ancora quello dell’accompagnamento.

La Francia
La chitarra a sei corde fa la sua comparsa in Francia sotto forma di chitarra lira (la dispensa sul XIX
secolo): la prima conosciuta è del 1778 ma non è sicura l’autenticità.
La prima pubblicazione con la sesta corda è Estrennes de Polymnie (Parigi 1785) dove a pag. 148
si parla di una ‘guitarre portant une corde de plus’. Questa corda è in realtà un sol basso, non tastata,
forse corda volante aggiunta. Non fu da subito adottato il Mi perché probabilmente non c’erano corde
disponibili: il Sol poteva essere ottenuto da una quinta corda. Tuttavia la chitarra a cinque cori è lo
strumento più utilizzato fino all’inizio dell’800. Da questo momento si iniziano a trovare pubblicazioni
che richiedono l’uso facoltativo della sesta corda.
Nell’ultimo quarto del ‘700 dunque la chitarra a cinque corde semplici non soppianta quella a corde
doppie. Già Merchi nel 1777 aveva sostenuto l’utilizzo delle corde semplici, sulle chitarre predisposte
a corde doppie, ma diversi autori francesi continuano a preferire le corde doppie.
Nel 1773 Bailleux descrive una chitarra con cantino singolo e 4 doppie (usa anche l’intavolatura e
prescrive per la mano destra l’uso dei soli p-m-i).
Lo stesso fa Baillon nel 1781. Prescrive che il miglior metodo è un cantino semplice e quattro doppi
cori. I primi tre sono di budello, mentre i bordoni sono di seta rivestita, ognuno accompagnato da
un’ottava di budello. Questa ottava si ma mette al di sopra del bordone in modo che il pollice la
tocchi per prima, ancora secondo la tradizione barocca.
Non tutti i maestri adottano le due ottave che accompagnano la quarta e quinta corda. Alcuni
preferiscono corde singole filate, altri pensano che sia meglio raddoppiarle. Non biasimo nessuno di
loro ma osservo che qui seguo il sistema di M.M. Rodrigue, Paoir, Vidal, l’Abbé Espagnol, ed è come
viene incordata in Italia e Spagna. È senza dubbio non senza ragione che i grandi maestri hanno
preferito le due ottave. Inoltre ho osservato che se le due ottave possono costituire un inconveniente
allora le due all’unisono lo sono maggiormente. Essendo queste corde dello stesso spessore è
impossibile per il pollice pizzicarle tutte e due. Se se ne tocca una sola allora la seconda è inutile,
se si toccano tutte e due allora le vibrazioni si danno fastidio a vicenda nelle loro vibrazioni. Se uno
mette una corda sola sulla chitarra allora il suono è debole e non produce un’armonia così piacevole
come quando il bordone è accompagnato dall’ottava. La distorsione che spesso si attribuisce alle
due corde è quasi sempre dovuta a corde difettose, vecchie o scelte male, o dai tasti mal disposti o
consumati, o dalla maniera in cui vengono pizzicate. Si evita questa distorsione colpendo le corde
col pollice senza pizzicarle una dopo l’altra, in modo tale da farle vibrare in modo uguale [insieme].

Anche Francesco Alberti (Faenza 1750 ca,), trasferitosi a Parigi nel 1783 e attivo fino al 1796, nel
Nouvelle méthode de guitarre dans laquelle on y trouve differentes variations, une sonate, 12
menuets et 6 ariettes (Parigi 1786) propone il cantino singolo e quattro doppie con bassi ottavati.

Un’altra importante figura di chitarrista attivo a Parigi è un certo Vidal, che inizia ad insegnare la
chitarra verso la fine degli anni ’70. Pubblica arie con accompagnamento di violino ma anche diverse
collezioni di arie ed ariette vocali. Pubblica anche un periodico, il Journal de guitarre composé de
sonates, de pièces d’airs arrangés d’ariettes et romances avec accompagnement de guitare et
violon ad libitum (1786-7).
Un periodico di più lunga durata fu quello pubblicato da Pierre Jean Porre dal 1784 al 1797. Journal
de guitarre, ou choix d'airs nouveaux de tous les caracteres avec preludes, accompagnements, airs
varies, &c...pincé et doigté marques pour I'instruction . . . par Mr. Porro.

I liutai francesi
Cousineau rimase uno dei più importanti costruttori e commercianti di chitarre della capitale. Due
altri costruttori significativi sono J. Henri Nadermann e Jacques Pierre Michelot. Un importante liutaio
del nord fu Gerard Deleplanque.

1790-1800: Il trionfo della chitarra a sei corde


Spagna e Portogallo
Già dal 1790 la chitarra a sei cori (doppi) stava diventando la forma più comune, mentre le vecchie
a cinque cori iniziano ad essere modificate, con l’aggiunta di un pirolo.
Tra le conseguenze positive della Rivoluzione Francese, con le aspirazioni nazionalistiche
legittimate dall’ideale di uguaglianza e libertà, si rinforza l’identità culturale nazionale spagnola,
Madrid si trasforma in un centro culturale ed artistico. In musica si affermano la Zarzuela e la
Tonadilla, con il fandango e il bolero che vengono adottati da compositori seri. La chitarra, che era
stata dimenticata dalla società alla moda, torna ad essere uno strumento rappresentativo di questa
identità.
La prima figura che compare sulla scena è quella di Miguel Garcìa, noto come Padre Basilio. Monaco
cistercense, fu organista al convento cistercense di Madrid. Fu maestro di vari esponenti della corte
reale e di Aguado, Moretti e Ferandiere. Sviluppa lo stile punteado e la tecnica con le unghie
(verificare fonte). Suonava il fandango che tanto impressionò Luigi Boccherini, il quale lo
introdusse in un celebre quintetto. Ed è proprio questo autore il rappresentante più noto al giorno
d’oggi della chitarra tra Sette-Ottocento, grazie ai ben noti quintetti per archi e chitarra, che in realtà
erano arrangiamenti fatti da Boccherini su richiesta di vari nobili dilettanti di chitarra.

Nel 1799 escono quattro opere didattiche per chitarra. La prima è: Fernando Ferandiere Arte de
tocar la guitarra con musica, per una chitarra con sedici tasti e sei cori. L’autore afferma che la
chitarra ha un difetto, suona piano, ma ha tanti pregi: può realizzare gli abbellimenti, è dotata di
naturale cantabilità, ha una buona estensione e differenti registri che le conferiscono la potenzialità
di imitare gli altri strumenti: il flauto, la tromba, il fagotto; ha anche il merito di poter di accompagnare
la voce come se fosse un pianoforte; è uno strumento autosufficiente, non ha bisogno del supporto
di nessun altro. Come si è visto in Moretti anche Ferandiere sostiene che è necessario imparare a
suonare in tutte le tonalità, ma ammette che c’è ancora ignoranza sulla chitarra e che c’è ancora
molto da scoprire. Ferandiere scrisse molta musica da camera con chitarra, purtroppo perduta.

Federico Moretti pubblica in Spagna una versione ampliata del suo metodo del 1792, Principios
para tocar la guitarra de seis ordenes... and Elementos generales de la musica ... (Madrid, 1799).
Afferma che «sebbene io utilizzi la chitarra “di sette ordini semplici” mi è sembrato più appropriato
accomodare il metodo alla chitarra a sei ordini, essendo quella generalmente suonata in Spagna;
questa stessa ragione mi obbligò a pubblicarlo in Italia nel 1792 adattato per la chitarra di cinque
ordini; perché a quel tempo quella a sei non era conosciuta in Italia». Ci informa anche sul fatto che
«I francesi e gli italiani usano corde singole, e con questo mezzo riescono ad accordare più
rapidamente, le corde durano più a lungo prima di diventare false, perché è difficile trovare corde
uguali che abbiamo esattamente la stessa altezza. Io seguo questo sistema, e dò lo stesso consiglio
a coloro che si applicano allo strumento, avendo conosciuto la sua utilità»
Moretti è il primo ad utilizzare la scrittura polifonica per chitarra, distinguendo le voci. Più tardi
Aguado e Sor gli renderanno atto di questa invenzione.
Moretti sostiene che la chitarra è principalmente uno strumento d’accompagnamento. In realtà le
sue composizioni più tarde comprendono anche musica solistica.

Juan Manuel Garcia Rubio: Arte, reglas armonicas para aprehender a templar y puntear la guitarra
española de seis órdenes (ms datato 1799, Madrid). Utilizza la notazione musicale e una chitarra a
sei ordini con sesto ottavato, 17 tasti.

Antonio Abreu Escuela para tocar con perfection la guitarra de cinco y seis ordenes (Salamanca,
1799). Si tratta dei principi raccolti da Victor Prieto, organista del Monastero Reale di Salamanca e
ammiratore di Abreu.
Consiglia di usare corde di violino sulla chitarra: una prima sottile va bene come seconda sulla
chitarra. Una prima grossa va bene come terza. I bassi vanno ottavati suonando punteado,
all’unisono per suonare il basso in orchestra. Dà anche istruzioni su come limare le unghie. Utilizza
l’intavolatura e una forma semplice di notazione. Più tardi Aguado o inserisce tra quei chitarristi le
cui doti non potevano essere apprezzate solo in base alla poca musica che avevano lasciato.
«Essi non sapevano come scrivere le cose che suonavano con così gran successo. Si può vedere
la prova di ciò nelle composizioni che ci rimangono di Laporta, Ferandiere, Arizpacochaga, Abreù, il
mio maestro Padre Basilio e altri; si può a mala pena intuire il grande talento esecutivo di questi
maestri così dotati, tuttavia si può percepire che essi avevano scoperto una parte del carattere dello
strumento: ma siamo lontani dal poter riscoprire sulla carta ciò che avevamo ascoltato da loro».

Fernando Sor nella Encyclopédie pittoresque de la musique (Ledhuy 1835) racconta come aveva
incontrato la musica di Moretti (Sor aveva imparato da ragazzo la chitarra, ma aveva studiato con lo
scopo di diventare un compositore, pianista e violinista).

«[Sor] aveva compreso le qualità di certi effetti strumentali, ma privato del pianoforte, non aveva
ancora sognato di riprodurre sulla chitarra questi effetti che tanto gli piacevano. A quell’epoca egli
udì il fratello del General Solano suonare sulla chitarra un pezzo in cui era possibile distinguere una
melodia ed un accompagnamento. Il compositore del pezzo era Moretti, un ufficiale delle guardie
Valloni, che fu il primo a capire la vera natura della chitarra. La musica di Moretti diede a Sor una
nuova direzione, e con poco lavoro e applicando la sua conoscenza dell’armonia, arrivò ben presto
a comporre e suonare musica in più parti. I chitarristi gli chiedevano le sue composizioni, ma
cambiavano i valori delle note, in modo da scrivere –così dicevano– secondo la vera natura della
chitarra».
Sor racconta anche che aveva scritto molti pezzi nel primo decennio dell’800, quando si trovava
ancora in Spagna, che furono successivamente pubblicati in Francia. Tra questi la Fantasia Op.7,
stampata nel 1814 a Parigi da Ignaz Pleyel.
L’influenza di Moretti si fece probabilmente sentire anche nell’uso della chitarra a sei corde semplici.
Diversi liutai spagnoli iniziano quindi a seguire l’esempio italiano.
La prima chitarra spagnola a sei corde di cui si ha conoscenza fu fatta da Augustin Caro di Granada
nel 1803; presenta diverse caratteristiche che poi divengono comuni nelle chitarre spagnole dell’800.
Incatenatura a raggiera, catene sopra e sotto la buca, tastiera rialzata, tasti di metallo. Le
caratteristiche ancora tradizionali sono il golpeador, e i piroli tradizionali.
Entro pochi anni i liutai andalusi iniziano a fare chitarre a sei corde, così come quelli di Madrid e
quelli catalani. Chitarre a sei doppie corde vengono comunque costruite fino al 1815. Aguado nel
Methode compléte pour la guitarre (Parigi 1826) le menziona, e il suo traduttore Da Fossa aggiunge
in nota che sono ancora in uso in Spagna.
Secondo Aguado (edizione 1826 del Metodo):
«Ho detto che preferisco la chitarra con le corde singole e ho delle buone ragioni per questo: 1) è
difficile trovare due corde che mantengano l’unisono da un capo all’altro della tastiera; 2) dato che
sulla chitarra a corde doppie si usa il cantino singolo, nel passare da questa corda alle altre si sente
una inuguaglianza di suono; 3) si usa ancora appaiare la sesta corda con una all’ottava: un’usanza
ridicola che impedisce di sentire i bassi; 4) se uno ha difficoltà a padroneggiare lo strumento quando
c’è una corda sola da toccare, a maggior ragione sarà più problematico toccarne due; 5) è un errore
immaginare che si possa ottenere più suono da due corde che da una, a parte quelle a vuoto, perché
il suono è prodotto dalla durata delle vibrazioni, ed è molto più facile ottenerlo da una corda che da
due; 6) per concludere, i cori doppi rappresentano un ostacolo all’agilità e accrescono la difficoltà di
mantenere l’accordatura».
Un anno dopo lo scrittore Geoge Hogarth dice che la chitarra spagnola ha le corde doppie accordate
all’unisono tranne la sesta che è all’ottava. Si tratta molto probabilmente di una persistenza nell’uso
folcloristico.

È questa l’epoca in cui, grazie allo sviluppo di varie scuole nazionali la prassi esecutiva della chitarra
comincia a differenziarsi riguardo al modo di concepire lo strumento, il suo ruolo e il suo stesso
suono. I francesi sono quelli che si attribuiscono la prerogativa del buon gusto chitarristico anche a
rischio di apparire sprezzanti nei confronti degli altri modi di suonare.
Guillaume Gatayes nel suo metodo del 1802 afferma:
«La gente assicura che è agli spagnoli che dobbiamo la chitarra. Non voglio contraddire questa
opinione: ma oso affermare che questo paese non è quello che ha migliorato lo strumento. In
generale, suonare la chitarra alla maniera spagnola non è la maniera più gradevole. Usualmente la
fanno ‘ribollire’, poiché la suonano solo passando e ripassando il pollice sulle corde, senza
discrezione, senza varietà e senza principi. Potrebbe dire qualcuno che è in Italia che questo
strumento ha raggiunto la perfezione? Ma non saranno tutti d’accordo che gli italiani sacrificano il
loro strumento alla loro voce? Loro cantano, e lo fanno in maniera divina, possiedono una grande
sensibilità nel percepire l’arte musicale, poiché si rendono conto che un accompagnamento pesante
non si sposerebbe con gli abbellimenti del loro canto, dunque si accompagnano con rasgueadi e
batterie giudiziosamente applicati. Ma è solo in Francia che questo strumento manifesta tutto il suo
fascino, la sua grazia, la sua purezza e la sua tenerezza».

Trille la Barre, Nouvelle Méthode, 1799:


Qual’è il metodo più sicuro per cavare il suono dallo strumento? È quello di pizzicare la corda con la
carne del polpastrello, evitando soprattutto di prenderla con le unghie, cosa che produce suoni
secchi e acri; è per questo che raccomandiamo di evitare di lasciar crescere le unghie ad imitazione
dei contadini italiani e di qualche maestro francese di cattivo gusto.

Italia, inizio Ottocento


A causa delle scarse occasioni di lavoro, dovute alle precarie condizioni economiche e alle
incertezze politiche, ma anche al progressivo affermarsi dell’opera sulla musica strumentale e da
camera, vari virtuosi italiani iniziano ad emigrare nelle capitali europee.
Uno dei primi, oggi praticamente sconosciuto, è Giuseppe Anelli, il quale dovette possedere delle
doti speciali. Si legge infatti in un resoconto di un concerto tenuto a Torino nel 1809, con l’orchestra.

«Il successo di Anelli di ieri sera è stato a dir poco completo. Tutti rimasero deliziati dalla sua
stupefacente esecuzione sulla chitarra e dalla sua peculiare maniera di cantare. Canta con grande
gusto ed espressione, e la sua voce accoppiata con i toccanti suoni della chitarra produceva una
sensazione non comune in una sala affollata che chiese il bis più volte. Ma la sua esecuzione sulla
chitarra fu ancora più sorprendente; nessuno si era fatto un’idea delle potenzialità della chitarra
finché il Signor anelli provò senza ombra di dubbio di possedere la capacità di produrre i più grandi
effetti. Egli suona veramente la chitarra in uno stile mai sentito prima e il suo concerto di proprie
composizioni accompagnate da una grande orchestra ha provocato l’ammirazione generale e fu
ricevuto con entusiasmo».
Anche Fetis fu un ammiratore di Anelli, una volta che questi si trasferì in Francia:
«Ci eravamo lamentati del fatto che i suoni che Sor cavava dalla chitarra non fossero
sufficientemente curati; ci era sembrato che egli avesse trascurato lo studio questo aspetto
essenziale di uno strumento che per sua natura non è molto armonioso. Joseph Anelli al contrario
ha compreso che il fascino della chitarra consiste nel produrre bei suoni, e dobbiamo confessare
che i suoni che produce sorpassano in qualità tutti quelli che abbiamo ascoltato. Sono allo stesso
tempo chiari, sonori e pastosi. Sembra che, essendo abituato ad essere accompagnato da una
grande orchestra il Signor Anelli abbia acquistato quella potente qualità di suono nella quale è così
particolarmente capace. Nelle sue brillanti esecuzioni sembra completamente a suo agio: la
posizione e la tenuta dello strumento sono molto eleganti, esegue i passaggi più difficili senza alcuno
sforzo apparente, ciò che prova che egli abbia studiato su un piano le cui parti agiscono insieme in
perfetta unità col sistema, senza distrarre o contraddire le sue azioni. Le sue mani sono
evidentemente ben disposte sulla chitarra, particolarmente la destra che assume una posizione del
tutto differente rispetto a quella degli altri professori, cosa che ci induce a pensare che ciò abbia la
più grande influenza sulla qualità dei suoni che estrae dallo strumento».

Napoli era la città più importante per la manifattura delle chitarre (vedi sopra e la dispensa
sull’Ottocento). Moretti, Giuliani e Carulli sono tutti originari del Regno di Napoli, ma quasi nulla di
questi autori fu pubblicato in Italia a quest’epoca. Tuttavia il livello doveva essere piuttosto alto, come
è testimoniato da questo articolo dell’Allgemeine musikalische Zeitung (1805), 569-70.
«La pratica della musica strumentale qui normalmente è secondaria. Ma nessuno strumento è
coltivato come la chitarra. Inoltre, è un dato di fatto che qui ci siano buoni compositori per questa
piccola creatura, e virtuosi di prim’ordine, in un senso più elevato di quanto ci si possa aspettare
dalla chitarra. Allo scopo di venire incontro alla domanda degli amatori, ci sono innumerevoli
insegnanti e due botteghe di liutai che costruiscono chitarre di tutti i tipi. È poi ben risaputo che qui
ci sono diverse aziende che fabbricano le migliori corde del mondo e le esportano in tutte le nazioni».
Tuttavia lo sviluppo della chitarra ad opera degli italiani non avverrà nel loro paese d’origine ma nelle
capitali europee in cui per forza di cose dovranno stabilirsi: Giuliani a Vienna, Carulli e Molino a
Parigi.

Francia, primo Ottocento


Nel Nouvelle methode de lyre ou guitarre a six cordes (Paris, 1810), Charles Doisy afferma con più
decisione la preferenza per le corde singole riferendosi ancora ad uno strumento a cinque corde. In
Francia la sesta corda si manifesta prima nella chitarra-lira, lo strumento a forma di lira greca che
godette di un breve ma intenso periodo di popolarità a cavallo tra i due secoli e in concomitanza con
la moda classicheggiante conseguente alle campagne napoleoniche. La lira fa la sua comparsa fin
dal 1780, ma poca musica fu pubblicata in questi anni. Acquista grande popolarità all’inizio dell’800:
la maggior parte di quelle sopravvissute, alcune delle quali preziosissime, sono degli anni 1800-
1810. Nello stesso periodo molta musica, specialmente canzoni con accompagnamento di chitarra,
è proposta come ‘de guitarre ou lyre’ o ‘arrangé pour la lyre ou guitarre’.
La chitarra a sei corde che già si usava in Italia dunque tarda ad affermarsi, sia perché nel primo
decennio si usa la lira, sia perché quella a cinque era considerata un forma perfetta da non cambiare.
Il cambiamento è esposto chiaramente nel metodo di Gatayes del 1807:
Guillaume Gatayes, Seconde methode de guitare a six cordes (Paris, c. 1807): «la chitarra aveva
solo cinque corde. Una sesta è stata aggiunta, rendendo lo strumento interamente differente da ciò
che era, sia per il modo con cui viene suonata sia per il nome e la forma; il nome perché non si dice
più ‘chitarra’ ma ‘lira’: la forma, perché veramente aveva la forma della lira con cui Orfeo veniva
rappresentato. Si pensava questa forma avrebbe reso ideale l’armonia dello strumento; ma le ha
dato solo grazia; durante un certo periodo la seduttiva lira si trovava in tutte le case dei nostri piccoli
gentiluomini. Il buon gusto e la ragione l’hanno finalmente rimpiazzata. Nel senso che la chitarra è
riapparsa con la sesta corda, che in verità aggiunge difficoltà allo strumento; ma anche più possibilità
nell’armonia e nella melodia. Oggi si dice “la chitarra a sei corde”; ma tra un po’ di tempo sarà
chiamata solamente chitarra e la lira non sarà che uno strumento ‘ideale’, finché un’immaginazione
ingegnosa non troverà il mezzo di renderla uno strumento ‘reale’».
La musica di questo periodo è scritta in modo che possa essere suonata sia sulla chitarra a cinque
che sulla lira a sei (le note da fare sulla sesta corda sono scritte all’ottava sopra con l’8)
In questo periodo rimangono attivi esecutori e insegnanti già incontrati alla fine del 700. Francesco
Alberti. Pierre Porro, attivo anche come editore di altri chitarristi: Charles Lintant (sonate per chitarra
e violino e molte canzoni con accompagnamento di chitarra); François Guichard (l’Abbé Guichard,
che aveva perso i titoli ecclesiastici durante la rivoluzione);
Durante gli anni della rivoluzione gli sviluppi della chitarra in Spagna e Italia sembrano avere poco
effetto sui chitarristi francesi. Gli inventari dei beni relativi alle vittime del Terrore contengono dozzine
di chitarre Michelot e Cousineau, ma molto poche chitarre straniere.
Per notare l’influenza della liuteria italiana bisognerà aspettare l’arrivo di Ferdinando Carulli, ma
anche di Giuseppe Anelli, di cui si è già detto.

Germania e Austria
Anche i paesi di lingua tedesca hanno un ruolo importante nello sviluppo della chitarra tra Sette-
Ottocento. Al contrario dell’Italia in questi paesi esisteva una forte tradizione strumentale che aveva
visto il liuto, nella forma del liuto barocco tedesco in re minore, arrivare ad essere suonato fin quasi
alle soglie dell’Ottocento. È il caso di Chrstian Gottlieb Scheidler, liutista alla corte di Mainz e poi
trasferitosi a Francoforte, che fu liutista (Theme de Mozart variée par Scheidler) e chitarrista. È
possibile dunque che una parte dell’esperienza tecnica e musicale dei liutisti sia stata utilizzata sul
nuovo strumento.
La tradizione compositiva strumentale tedesca e austriaca è evidente nelle opere per chitarra degli
autori che coltivano la chitarra in quest’epoca e particolarmente nella produzione di sonate per
chitarra, un genere che poi verrà poco praticato dai compositori per chitarra. Chrstian Gottlieb
Scheidler, Anton Diabelli, Simon Molitor, Wenzel Matiegka, sono tutti autori di notevoli sonate per
chitarra. Anche la tradizione didattica austriaca è molto significativa e mostra da subito l’intento di
sistematizzare i vari aspetti della tecnica con le opere di Molitor, Diabelli e Bathioli e di adottare la
scrittura polifonica per chitarra. Un aspetto che meriterebbe uno studio a parte.
In mancanza di una tradizione settecentesca significativa la Germania e l’Austria adottano da subito
la chitarra a sei corde di derivazione italiana: i primi modelli di chitarre austriache mostrano infatti
una forte influenza da parte delle chitarre napoletane. Ciò avviene in concomitanza con l’arrivo degli
italiani a Vienna ai primi dell’800; Matteo Bevilacqua e Bartolomeo Bortolazzi (che pubblica musica
per chitarra e mandolino) fino ad arrivare a Mauro Giuliani nel 1806.

Bibliografia:
James Tyler, Paul Sparks: The Guitar and its Music From the Renaissance to the Classical Era,
Oxford Univ. Press)

Potrebbero piacerti anche