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Per quanto riguarda questa tecnica

della Comet Assay deve seguire


diversi passaggi per far sì che venga
eseguita nel giusto modo:
come prima cosa si inizia con il
PRELIEVO DI UN CAMPIONE
DI CELLULE; ipotizzando di
utilizzare come cellule d’analisi i
linfociti, eseguo il prelievo ematico
dal paziente per poi isolarli.
Una volta ottenuto il mio campione
biologico inserisco la PROVETTA
CHE LO CONTIENE IN UNA
CENTRIFUGA in maniera tale da ottenere la divisione fra plasma, linfociti, lo strato di gel e lo strato di
cellule rosse.
Di nostro interesse è la parte contenente i leucociti, quindi i globuli bianchi.
Tramite una PIPETTA ASPIRO LA PARTE DI MIO INTERESSE e la pongo all’interno di un altro
contenitore che metterò nuovamente in centrifuga.
Tramite centrifugazione le cellule, che sono più pesanti, si depositano sul fondo, per cui si elimina il
tampone di lavaggio e si risospende nuovamente il pellet cellulare in modo tale da avere una sospensione
omogenea.
In questa tecnica, per essere sicuri del risultato, le cellule vanno contate utilizzando una camera di burker
che ci permette di quantificare il numero di cellule per ml.
Questo viene fatto perché è importante lavorare con una certa quantità di cellule evitando che queste siano o
troppo poche o troppe.
Nel primo caso non si avrà un’analisi con un risultato che non è ottimale, mentre, nel secondo caso, si
avranno troppe cellule che nel momento in cui si andrà a visualizzare il vetrino dopo averlo colorato con il
colorante fluorescente, le singole molecole di DNA non appariranno distinguibili ma si sovrapporranno
rendendo impossibile l’analisi.
Le cellule per essere opportunatamente analizzate con questa metodica devono essere INGLOBATE IN UN
GEL DI AGAROSIO.
Una volta fatto questo si stratificano le cellule in gel di agarosio su un vetrino.
Solitamente i vetrini utilizzati in questo tipo di metodica vengono preparati il giorno precedente perché
devono essere ricoperti da un sottile stato di agarosio.
La differenza fra l’agarosio con cui sospendiamo le cellule e quello utilizzato per ricoprire il vetrino è nel
punto di fusione.
L’agarosio è un polimero di natura polisaccaridica che fonde se viene riscaldato.
L’agarosio usato per i vetrini e che permette l’adesione fra le cellule ha un alto punto di fusione, quindi si
scioglie al di sopra dei 60°.
L’agarosio utilizzato per creare una sospensione delle cellule deve avere un basso punto di fusione, quindi
deve fondere ad una temperatura al di sotto dei 40° e di solito si mantiene allo stato fuso tra i 37° e i 36°.
Questo è fondamentale poiché essendo in diretto contatto con le cellule non può andare ad una temperatura
elevata di fusione, perché se così fosse o le cellule morirebbero per il forte shock termico o innescheremo un
danno termico cellulare che andrà ad impattare l’integrità del DNA.
Dunque, alla fine avremo dei dati non veritieri poiché il clinico ha sbagliato nella procedura.
Quindi deve esserci la PREPARAZIONE DI QUESTI VETRINI: l’agarosio essendo un polimero è una
polvere, va pesato e disciolta in un tampone fosfato in quanto è un tampone isotonico rispetto alle cellule
con cui andranno a contatto e perché hanno un pH 7.5 compatibile con le cellule stesse.
L’agarosio si scioglierà formando un gel liquido. Si mantiene a temperatura (di circa 60° per l’agarosio ad
alto punto di fusione) e si prendono i vetrini immergendoli in questa soluzione contenente agarosio e si
lasciano ad asciugare all’aria, ripulendo una facciata che verrà poggiata sul piano, mentre lo strato di
agarosio all’1% (concentrazione di utilizzo dell’agarosio), si troverà sulla parte superiore.
I vetrini presentano una parte trasparente e una parte terminale satinata su cui si può scrivere per identificare
i campioni deposti sul vetrino.
Una volta preparati i vetrini sarà necessario formare il GEL DI AGAROSIO A BASSO PUNTO DI
FUSIONE che ci serve per fare la sospensione con le cellule.
La preparazione di questo gel è uguale alla precedente.
Si prende una piccola quantità di agarosio, si immette in un piccolo tubicino che prende il nome di
Eppendorf e si aggiunge la sospensione di cellule iniziali ad una determinata densità, creando una
sospensione.
Questa operazione deve essere fatta piuttosto velocemente poiché l’agarosio diventa in fretta gel.
Si mette una goccia sul vetrino che contiene: i linfociti e agarosio in soluzione omogenea.
La goccia pe spargersi uniformemente sul vetrino prenderà dei vetrini copri oggetto che pressando la goccia
fanno in modo che questa si distribuisca uniformemente.
Poiché sappiamo benissimo che il risultato di un’analisi deve essere riproducibile, deve garantire
l’accuratezza di una misura, le misure su un campione devono essere almeno in duplicato: quindi ogni
campione per ogni sessione di analisi deve essere letto due volte in modo tale da fare una media ed essere
sicura sulla veridicità del dato. Inoltre, si lavora sempre a basse temperature.
Dopo aver messo i vetrini copri oggetto si spostano in un frigo in modo tale che la mia sospensione di
cellule con gel di agarosio riesce a gelificare più velocemente.
Si rimuove il vetrino copri oggetti e si vede la sospensione gelificata.
Si immerge il vetrino in una soluzione di lisi che contiene una miscela di Sali e di detergenti con un pH di
circa 10, per un’ora in modo tale da digerire la struttura delle cellule; in particolar modo viene digerita la
membrana cellulare, avviene la disgregazione degli organelli cellulari, eliminando tutto il contenuto della
cellula che non sono essenziali in quanto a noi interessa analizzare DNA.
Quindi, fondamentalmente, questa operazione di lisi mi permette di liberare il DNA dalle proteine istoniche.
Dobbiamo effettuare la rimozione delle proteine istoniche poiché in un momento di questa tecnica il DNA
deve essere posto sotto l’azione di un campo elettrico. Se questo risulta essere legato alle proteine non può
risentire dell’azione del campo elettrico.
Lo step che segue è una variante della metodica base della comet assay: questo step prevede l’utilizzo di un
ENZIMA che riesce a riconoscere la base ossidata 7-idrrossi-Guanosina; questo ci permette di fare una
quantificazione diretta del danno ossidativo.
La Comet assay ha quindi diverse applicazioni: ci permette di valutare, in generale, lo stato di
frammentazione del DNA in risposta ad insulti che può subire, oppure come in questo caso, ci permette di
avere una quantificazione diretta dello stress ossidativo, o come nel caso dell’esperimento sui leucociti dei
fumatori ci dà una quantificazione indiretta dello stress ossidativo.
Questo step prevede lo sciacquo dei vetrini che provengono dalla soluzione di lisi e si mette sopra i
quadratini di gel, una soluzione in tampone fosfato dell’enzima.
Normalmente all’interno delle nostre cellule esiste un enzima o un gruppo di enzimi che sono in grado di
riconoscere diverse tipologie di danno.
Questo enzima in presenza della base 7-idrossi-guanosina genera un taglio per rimuoverla.
Se stiamo osservando l’azione dell’enzima che esegue il taglio all’interno della cellula seguiranno dei
passaggi con delle reazioni catalizzate da delle polimerasi e delle ligasi che andranno a riformare la base
persa con una corretta e sarà cucita al DNA.
In questo caso, invece, il DNA è fuori la cellula, e quindi dopo la rimozione della base ossidata il vuoto non
viene colmato.
Quindi se io ho un danno di tipo ossidativo ed utilizzo questo enzima mi dovrò aspettare solo ka rottura e
non il meccanismo di riparazione.
L’enzima va lasciato a 37° per un certo periodo di tempo che dipende da diversi fattori.
Lo step successivo prevede che i VETRINI CON IL DNA FRAMMENTATO verranno posti su in una
vaschetta e si ricopre con un tampone di elettroforesi.
In questa fase verrà attivato un campo elettrico.
Quando si pongono i vetrini in questa vaschetta, prima di attaccare il generatore, si devono lasciare, per un
tempo che va dai 10 ai 20 minuti, i vetrini in soluzione di elettroforesi.
Questa soluzione è fortemente alcalina on un pH che va dai 12 in su.
Il pH è così elevato perché questo ci permette di rimuovere le eventuali proteine che sono rimaste attaccate;
comincia a rompere i legami ad idrogeno presenti nella molecola di DNA e lo fa rilassare.
Questo rilassamento è detto awinding del DNA.
Trascorsi questi 20 minuti si attacca la corrente elettrica e il DNA libero potrà essere sottoposto all’azione
del campo elettrico.
Dopo i 40 minuti di elettroforesi i vetrini devono essere trattati con una SOLUZIONE DI
NEUTRALIZZAZIONE per abbassare i pH ed un ultimo passaggio in acqua.
I vetrini vengono messi ad asciugare in verticale per passare alla fase successiva.
La fase successiva prevede la COLORAZIONE DEI VETRINI con degli agenti intercalanti del DNA che
sono fluorescenti e anche tossici per l’operatore.
A questo punto il DNA può essere visualizzato attraverso un’apparecchiatura.
Il software ci permette, cliccando sopra l’immagine del DNA a cometa, di fare una quantificazione, quindi
trasformare l’immagine fluorescente in numeri.
Poiché, inizialmente, abbiamo detto che il campione viene almeno duplicato per poter svolgere un’analisi
corretta, in un primo campione di GEL si mette l’enzima, nel secondo NON si mette l’enzima.
Quindi poi verrà sottratto al valore numerico che noi abbiamo acquisito per il campione che è stato posto
sotto l’effetto dell’enzima che darà una percentuale di danno x, il valore del gel senza enzima; la differenza
mi darà la percentuale del danno ossidativo.
Quindi io per ogni campione ho due vetrini: uno esposto all’enzima e uno no.
Se io ottengo lo stesso valore numerico non ho un danno di tipo ossidativo poiché l’enzima non ha causato
una maggiore frammentazione del DNA.
Se ancora io osservo una maggiore frammentazione del DNA del campione che è stato esposto all’enzima
rispetto al campione che non è stato sottoposto all’enzima allora io portò dire che ho un danno di fondo e
che a questo danno di fondo di diversa natura ho una parte di natura ossidativa poiché il mio enzima ha
riconosciuto delle basi ossidate.
Ovviamente il DNA essendo una molecola carica negativamente che presenta dei gruppi fosfato, per cui
posto in un campo elettrico migrerà verso il polo positivo.
L’entità della migrazione, quindi di quanto quel DNA frammentato viene trascinato dalla corrente dipende
da diversi parametri come la dimensione dei frammenti.

Se noi osservassimo una forma a nuvola del DNA potremmo affermare che il DNA proviene da una cellula
necrotica per cui il DNA si è spappolato. Quando un DNA subisce delle lesioni assume una forma a Cometa
con una porzione impaccata che viene chiamata TESTA della cometa che rappresenta un DNA integro senza
frammentazioni.
La CODA della cometa è rappresentata dalla frammentazione del DNA trascinato dal campo elettrico; più
lunga sarà la coda più sarà efflorescente. Quindi più danno c’è più grande sarà la coda.
Questa tecnica può essere applicata a diverse tipologie di studio.
Inoltre, ci sono una serie di facilitazioni per questa tecnica, per esempio ci sono dei vetrini diversificati per
l’agarosio per l’agarosio ad alto punto di fusione che mi permettono di saltare il passaggio del vetrino
ricoperto dall’agarosio, mi indicano l’area in cui depositare il mio campione senza mettere sopra il vetrino
copri oggetto.
Ci sono anche dei vetrini contenenti più posizioni dove posizionare la mia sospensione, fino ad arrivare a 96,
che mi permettono di avere un’ampia riproducibilità dei risultati.
Anche per quanto riguarda l’elettroforesi esistono diverse tecnologie di cui il metodo classico cui è
fortemente consigliato di aggiungere un’apparecchiatura di ricircolo del tampone, garantendo sempre i 4°C,
mentre nei sistemi più moderni garantiscono il lavoro in assenza di luce e sono disponibili in 4 differenti
formati: per 10, 20, 40 e/o 80 vetrini.
Abbiamo poi il microscopio a fluorescenza collegato con il computer che analizza i risultati tramite software
opportuno.
Abbiamo detto che possiamo avere due tipi di stima:
- Una prima stima data solo dalla Visualizzazione, quindi guardando l’immagine posso dire se c’è una
frammentazione delle molecole di DNA
- Una seconda stima data tramite dei software che quantificano la fluorescenza che viene visualizzata,
distinguendo l’immagine in diverse porzioni: la cellula (ossia il DNA) che presenta la Testa che è la
parte più compatta e la coda che rappresenta la frammentazione del DNA.
Viene misurata la percentuale di DNA presente nella coda, espressa in termini di fluorescenza.
Un altro modo per esprimere il danno è la lunghezza della coda.

Abbiamo differenti versioni della Comet Assay: solitamente la soluzione in cui viene condotta
l’elettroforesi è una soluzione alcalina con un pH dai 13 in su.
Questa soluzione può essere modificata utilizzando una soluzione neutra con un pH di circa 8, ma si avrà
una forza minore che mi rende disponibile il DNA e in elettroforesi quello che verrà trascinato dalla corrente
sarà un DNA che è fortemente danneggiato che solitamente presenta delle rotture a doppio filamento.
Si dice infatti che quando si utilizza una variante di questa tecnica utilizzando una soluzione neutra vado a
visualizzare un danno a doppio filamento.
Invece, per valutare il livello di siti alcalino-labili, dovrei esporre durante la mia elettroforesi il campione a
due diversi pH e fare la differenza tra i valori ottenuti a pH 13.1 con quelli ottenuti a pH 12.1.
Se c’è differenza del DNA che io ritrovo nella coda ai due diversi pH, questa sarà data dai siti alcalino-labili.
Se volessi misurare il danno ossidativo dovrei condurre un’elettroforesi a pH12.1 preceduta da un
trattamento con enzimi di tagli FPG o Endo III

VANTAGGI del COMET ASSAY sono:


-la necessita di minime quantità di campione;
- elevata sensibilità nel rilevare danni nel DNA;
-economico, rapido e relativamente facile da eseguire;
- applicabile a tutte le cellule/nuclei eucariotiche/ci.

SVANTAGGI del COMET ASSAY sono:


-Richiede attenzione per la riproducibilità del protocollo sperimentale;
-Per alcuni agenti genotossici (aneugenici) non è rilevabile il danno poiché non vanno a creare
frammentazioni del DNA, ma fanno variare il numero di cromosomi; quindi, il danno che visualizzo è pari a
zero perché non è genotossico per quel metodo.
- Necessità di esperienza per l’interpretazione dei dati sia qualitativa che quantitativa;
-Non esiste un unico sistema di valutazione.

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