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Elettroforesi bidimensionale

Le proteine si separano sfruttando due dimensioni


ortogonali: si farà una separazione orizzontale e una
in verticale.
Questa doppia separazione su due dimensioni
permette di avere una separazione su un’area molto
più grande su cui separare le proteine aumentando la
risoluzione.

In particolar modo:
 Nella Prima Dimensione (ORIZZONTALE) le proteine si separano in base al loro punto isoelettrico (il PI è
il punto in cui la proteina ha carica elettrica neutra).
La prima dimensione utilizza solitamente un gradiente di pH ottenuto grazie a molecole anfotere che sono
fatte migrare all'interno di un supporto, costituito in genere da un gel di poliacrilammide, posto in un campo
elettrico.
La mobilità delle proteine varierà in funzione del valore di pH di un preciso punto che si ha in questo
sistema.
Il primo passo di questa separazione è la focalizzazione isoelettrica (IEF), dove la separazione delle proteine
viene fatta su delle strisce di poliacrilammide all’interno delle quali si trovano deposte delle sostanze
chiamate anfoliti, o poli-elettroliti, che creano un gradiente di pH che va da 3 e 10 e viceversa, che permette
alle proteine che si muovono in queste strisce sotto l’azione di un campo elettrico di migrare fino a quando
si trovano in valori di pH in cui sono cariche e di fermarsi quando raggiungono quel valore di pH che
coincide con il loro punto isoelettrico.
In particolar modo le proteine che sono cariche positivamente vengono bloccate, quindi il suo punto
isoelettrico corrisponde, a pH inferiori e si muovono verso l’anodo (-);
le proteine cariche negativamente migrano verso il catodo (+).
La proteina si blocca poiché al suo punto isoelettrico la proteina ha carica neutra e non risente dell’azione
della corrente elettrica.

 Nella Seconda Dimensione (VERTICALE) la striscia con le proteine, già separate, si separano in funzione
del loro pero molecolare. La striscia viene posta orizzontalmente.
Durante la seconda dimensione il campione viene trattato con SDS (sodio dodecilsolfato) per conferire a
tutte le proteine una carica elettrica netta negativa.
Segue quindi una classica SDS-PAGE in cui le specie proteiche si dividono in funzione del loro peso
molecolare.
Questo processo è quello che avviene da western Blot.
Le proteine sono infine evidenziate mediante colorazione, utilizzando ad esempio il blu di Coomassie o
il nitrato d'argento.

Accoppiare pH e massa permette di avere una diversificazione maggiore di proteine rispetto a Western Blot.
Una volta ottenute le proteine potranno essere identificate tramite la spettrofotometria di massa.

Proteomica Comparativa
Una delle applicazioni delle tecniche di separazione delle proteine, per verificare variazioni nel pool di
proteine, è la Proteomica comparativa.
La proteomica consiste nell'identificazione sistematica di proteine e nella loro caratterizzazione rispetto a
struttura, funzione, attività, quantità e interazioni molecolari.
Considerando delle mappe proteomica che derivano da due diversi campioni, uno derivante da un soggetto
che ha un’ulcera e un soggetto che presenta gastrite.
Per vedere se ci sono differenze di proteine tra i due campioni bisogna omogenare il tessuto, quindi rompere
le cellule del campione dentro opportuni campioni che ci permettono di preservare delle proteine,
aggiungendo quindi conservanti, inibitori dell’idrolisi delle proteasi, si crea un ambiente favorevole alla
normale struttura della proteina creando ambienti con pH neutri.
Si centrifuga quello che ho ottenuto per avere una separazione di tutti gli elementi che ho ottenuto e si
recupera il contenuto di nostro interesse, per esempio il contenuto citoplasmatico se devo analizzare il
proteoma intracellulare.
Proseguo con un’elettroforesi bidimensionale e quello che ottengo sono due mappe proteiche:
-una mappa per il tessuto ulceroso
-una mappa per il tessuto del soggetto con gastrite.

Dopo aver colorato le mappe con degli opportuni coloranti che si legano alle proteine.
Dopo aver colorato e reso visibili le proteine li confronto tramite un software su un computer che mi
permette di fare una sovrapposizione delle immagini.
Il fatto di fare due separazioni aumenta il margine d’errore commettibile dall’operatore.
Per ovviare a questa situazione, oggi, vengono utilizzate sonde o molecole fluorescenti in modo tale da fare
una Proteomica comparativa detta Proteomica differenziale o DIGE che mi permette, a differenza della
precedente, di modificare la preparazione del mio campione.
Questa modificazione consiste nel marchiare tutte le proteine di un campione di un colore tramite una sonda
fluorescente (rossa), e marchio il secondo campione con una soda fluorescente di un altro colore (blu), li
metto insieme e faccio avvenire l’elettroforesi bidimensionale sullo stesso gel.
In più bisogna aggiungere il nostro controllo interno standard a concentrazione proteica nota che ci serve
per monitorare l’andamento della separazione, verificare che non ci siano stati errori di caricamento etc.
marchiandolo con un’altra sonda di un altro colore.
Dal gel tramite uno scanner che ha dei filtri di fluorescenza, a seconda dei filtri inseriti si acquisiscono tre
immagini di tre colori differenti che corrispondono ai nostri due campioni più lo standard inserito.
Il computer sovrappone le tre immagini mettendo in evidenza le differenze tra un campione e l’altro,
eseguendo un’analisi qualitativa e quantitativa.

Io però non so quali sono queste proteine che cambiano tra i campioni, so che ci sono e che sono individuate
ma non posso associarle ad una funzione.
Per sapere quali sono gli spot che variano li devo analizzare tagliando il gel, prelevare lo spot, preparare il
campione ottenuto tramite una digestione, dunque utilizzando delle soluzioni con enzimi che mi liberano le
proteine dal gel in cui si trovano intrappolate, si mettono ad incubare con delle proteasi che frammentano la
proteina in piccoli peptidi.
Quando il mio campione sarà pronto dovrò procedere con un’analisi dei frammenti con metodologie come la
cromatografia liquida accoppiata all’elettrospray massa-massa.
Un’analisi proteomica che si conclude con una spettrometria di massa mi dà delle informazioni di tipo
qualitativo, capendo quale tipo di proteina è cambiata.
Per fare una quantificazione io posso esprimere la variazione in una quantificazione assoluta in mg/ml
(un’unità di misura) o fare un’abbondanza relativa, cioè posso dire di quante volte è cambiato in espressione
la proteina di un campione rispetto ad un campione di riferimento.
Le proteine possono avere un fold change positivo, quindi vengono espresse maggiormente o un fold
change negativo, hanno diminuito la loro espressione.
Le prime vengono siglate in rosse, le meno espresse in verde.
La graduazione di rosso o verde indica le concentrazioni di aumento o diminuzione.
Potrebbe essere presente un colore nero che rappresenta l’assenza della proteina.

La Spettrometria di massa viene utilizzata per l'identificazione delle proteine, ma non solo.
Lo spettrometro di massa separa le proteine in base al loro rapporto massa-carica (m / z).
Viene utilizzato per determinare le masse di particelle, per determinare la composizione elementare di un
campione o di una molecola.
La molecola viene prima ionizzata, il che si traduce nella formazione di particelle cariche.
Gli ioni sono separati in base al loro rapporto (m/z) in un analizzatore da campi elettromagnetici.
Il campo elettromagnetico influenza il tempo di passaggio delle particelle cariche in un analizzatore e tanto
più sono piccole e cariche maggiore sarà la loro velocità dando l’immagine sullo spettro.
Attraverso l’unione di questi picchi possiamo ottenere il nome della proteina a cui appartengono i frammenti
formati da quest’analisi.

Tutti questi dati vengono raggruppate in dei database dove si vanno a depositare i dati di proteomica poi resi
disponibili agli altri ricercatori.
Il software ci darà il risultato finale, ossia di quale proteina si tratta.
Le applicazioni della proteomica sono svariate: dal campo della nutrizione, al diabete, alle malattie
autoimmuni, al cancro etc.

Un esempio specifico dell’applicazione della proteomica è nella patologia di Alzheimer.


Questa malattia neurodegenerativa deriva dalla deposizione di placche di beta amiloide, la proteina associata
all’insorgenza di questa malattia, che a causa di un’azione aberrante di un’altra proteina che è una segretasi,
crea dei frammenti di beta amiloide che sono placche che si depositano al di fuori dei neuroni che
condizionano la corretta funzionalità del tessuto nervoso.
A causa di queste placche il tessuto nervoso va in sofferenza fino all’istaurazione di una condizione di danno
tissutale che poi si riflette su una serie di sintomatologie cliniche.
Il danno tissutale è quasi del tutto irreversibile e il tessuto viene danneggiato molti anni prima
dell’insorgenza dei sintomi della malattia.
Si cerca dunque d trovare dei biomarcatori precoci che possono dare indizi per la presenza della malattia.
Nel corso degli anni ci sono stati degli studi che hanno evidenziato come la presenza di diversi tipi di
proteine come la beta amiloide, la proteina tau, sembrano essere responsabili della patogenesi della malattia.
Queste proteine sono state riscontrate nel liquido cefalorachidiano che rappresenta la base di partenza per lo
studio di questa malattia, in quanto rappresenta il distretto più vicino alla sede di lesione.
Diversi studi hanno riportato delle proteine che vengono up- e down- regolate nei soggetti affetti da questa
patologia.
Questo approccio ha portato alla selezione di 16 proteine che possono essere utilizzate come un saggio
multiplex si vanno a determinare tutte queste proteine per avere una diagnosi di malattia di Alzheimer.

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