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L’ELETTROFORESI-pg.

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Quando devo prelevare il plasmide dai batteri, quindi devo trasformare il batterio, devo creare sulla sua superficie
(oltre alla membrana plasmatica, il batterio ha la parete solitamente composta da peptidoglicano) dei pori che
serviranno a far entrare il DNA plasmidico ricombinante. Come vengono effettuati questi pori? Ci sono diverse
tecniche, ma le più utilizzate sono ELETTROPORAZIONE: si mette una sonda con due elettrodi e si da una scarica
elettrica che produce i pori nella parete dei batteri oppure si effettuano chimicamente incubando il batterio e il
plasmide in presenza di calcio cloruro (CaCl2) e l’ELETTROFORESI.

Il DNA ricombinante è il nostro plasmide che è stato prima linearizzato e poi è stato inserito il gene ampR(l’inserto):
bisogna ricordarsi che sia il plasmide che l’inserto sono stati tagliati con lo stesso enzima di restrizione perché le
sticky ends devono essere dello stesso tipo, altrimenti riconoscono sequenze diverse e le sticky ends non sono tra
loro complementari. Il legame fosfoesterico viene, poi, ristabilito dalla DNA ligasi (ligation); ora devo inserire il
plasmide nel batterio attraverso il processo di trasformazione. A questo punto abbiamo tre possibilità:

1. Il batterio che non ha assunto né un plasmide vuoto né uno ricombinato (li elimino con l’antibiotico a cui non
sono resistenti);

2. Ci sono DNA che non hanno l’inserto nonostante abbia ricucito il DNA;

3. Ci sono batteri che hanno incorporato il plasmide ricombinante.

Come posso selezionare le colonie che hanno preso il plasmide vuoto e quelle che hanno preso il plasmide pieno, in
quanto entrambe resistenti all’antibiotico, perché portatrici del gene ampR? Hanno pensato di ingegnerizzare il
DNA plasmidico: tagliando il plasmide in un punto, si distrugge una sequenza che codifica per un’altra proteina.
Questa proteina prende il nome di β-galattosidasi ed è codificata e prodotta solo da un plasmide vuoto perché se io
ho inserito il DNA per l’insulina, ho rotto quel gene e l’ho diviso in due parti—>questo plasmide, quindi, non codifica
più per la β-galattosidasi. A questo punto, nel terreno di coltura, cioè la piastra sulla quale far crescere i batteri,
metto una sostanza che si chiama X-gal (è uno zucchero molto simile al lattosio). Questo X-gal viene scisso e digerito
dalla β-galattosidasi, trasformandosi in colonia blu—>i batteri che hanno il DNA plasmidico vuoto (hanno integro il
gene lacZ’) sono quelli della colonia blu: questi non mi interessano perché non avranno il gene che mi interessa (in
questo caso l’insulina). Quelle di nostro interesse sono le colonie bianche perché hanno distrutto il sito che produce
l’X-gal, captando il sito dell’insulina, e ora, non avendo più la β-galattosidasi (lacZ’ non codifica più per essa), l’X-gal
non diventa più blu, ma resta bianco. Quindi ho due livelli di selezione:

1. Antibiotico per eliminare i batteri che non hanno plasmide;

2. Marcatore, in questo caso la β-galattosidasi, codificata dal gene lacZ’

La piastra di Petri ha un gel composto da un brodo di coltura, che al posto di essere liquido è gelatinoso, e da
liquido diventa solido. Su di essa, ora, devo far crescere i batteri, ma come? Essi vengono prelevati dalla provetta
dove è avvenuta la trasformazione e si strisciano in un incubatore a 37°, si fanno crescere overnight e il giorno dopo
possiamo vedere le colonie batteriche sulla piastra. Sono cresciuti i batteri senza plasmide? No, perché sulla piastra
ho messo l’ampicillina; se, invece, metto anche l’X-gal avrò sia colonie blu sia colonie bianche.

Ma, come ho preso proprio il DNA che volevo inserire nel plasmide? Ad oggi le tecniche sono tantissime, ma la più
importante è la PCR, cioè io vado in banca dati, conosco la sequenza del gene che codifica l’insulina e lo vado ad
amplificare. Quando però, all’inizio, hanno fatto il DNA ricombinante con l’insulina non si conosceva questa tecnica,
quindi, hanno dovuto estrarre e digerire (trattarlo con enzimi di restrizione) tutto il DNA a mano e separare i vari
frammenti del DNA così ottenuto su di un supporto. La tecnica che permette la separazione dei frammenti di DNA è
l’ELETTROFORESI. Com’è fatta questa tecnica? Prendiamo il nostro DNA cromosomico, quindi 46 cromosomi, li
vado a purificare, faccio le centrifughe varie, elimino le parti della cellula rotte che non mi servono più e ho estratto il
DNA. Il DNA che è stato purificato viene tagliato con enzimi di restrizione e ottengo un DNA tutto frammentato, ma
come posso separare tutti questi frammenti? Li posso separare se prendo questo DNA e lo sottopongo all’azione di
un campo elettrico, generato dalla differenza di potenziale. Per generare tale differenza di potenziale e per far
separare il DNA, ho bisogno di due elettrodi (un polo + e un polo -). Conoscendo la struttura del DNA, sappiamo
che ci sono degli atomi di Fosforo: il fosfato (PO4) è -, quindi il DNA è carico negativamente: se io lo sottopongo
all’azione di un campo elettrico, il negativo si sposterà verso il polo positivo, cioè andrà verso l’anodo (l’anione è
negativo—>sono due cose diverse). Il frammento che si sposta più velocemente è, ovviamente, il più piccolo: dopo

un certo tempo potrò discriminare i diversi frammenti di diversa lunghezza perché hanno corso in maniera diversa.
Vediamo realmente com’è fatta questa tecnica. Si utilizza un gel di agarosio, composto da polimeri di polisaccaridi
intrecciati tra di loro—>si formano delle maglie di agarosio con dei pori (chiamasi pozzetti, effettuati da un pettine) di
diversa grandezza. In questi pozzetti verrà inserito il DNA che voglio separare; poi, si prende il gel e viene messo in
un apparecchio apposito per l’elettroforesi, una celletta dove abbiamo sia l’anodo sia il catodo; successivamente,
attacco la corrente—>il DNA si muove verso l’anodo. Dopo un po' di tempo, tolgo la corrente, prendo la celletta
elettroforetica, tolgo la piastra di gel e la poggio su un supporto trans illuminatore (emette luce UV): poiché il DNA,
al suo interno, ha intercalato una sostanza che è visibile con i raggi UV, l’etidiobromuro, io vedrò i frammenti di DNA.
Se teniamo sempre in considerazione il nostro DNA, quello considerato all’inizio, vedrò infiniti frammenti e posso
anche definire la loro lunghezza, oltre alle dimensioni. Come? Siccome la direzione di avanzamento del DNA è verso
il basso, quelli più piccoli sono quelli che stanno sotto perché sono quelli che hanno corso di più. Se accanto a questi
ho caricato un marker, cioè dei frammenti di lunghezza nota, per comparazione posso individuare la lunghezza degli
altri frammenti di DNA.

LA PCR (Polymerase Chain Reaction)-pg.b141,142

Un’altra tecnica di separazione del DNA è la PCR, cioè l’acronimo di Polymerase Chain Reaction o reazione a catena
della polimerasi. Questa reazione a catena è una reazione che, partendo da un singolo frammento, permette di
amplificare il frammento di DNA attraverso numerosi cicli. Prendiamo in considerazione una strand di DNA (come? le
tecniche sono tante, ma in questo momento non ci interessano): se io la voglio amplificare, ne voglio due, sfrutto la
capacità della DNA Polimerasi di copiare le due strand del DNA. Noi abbiamo già visto, nella duplicazione, che la
DNA Polimerasi, sulla base del filamento stampo, ne fa uno identico e, l’altro filamento ancora, anche se con i
frammenti di Okazaki, viene ancora amplificato—>ha prodotto due molecole di DNA identiche rispetto a quelle di
partenza. Per questa tecnica, consideriamo la DNA Polimerasi del batterio Thermus aquaticus che vive a 95° e non fa
denaturare la proteina. Reazione della PCR si svolge in tre tappe:
1. Denaturazione: prendo, quindi, il DNA, lo metto in una provetta insieme ad altre sostanze (tra cui la DNA
Polimerasi che, in questo caso, si chiama Taq polimerasi) e la porto a 95° dove denatura, cioè apre la doppia strand
del DNA. Insieme a ciò, nella provetta, inserisco anche 2 primer (5’—>3’), creati a tavolino dall’azienda (posso
richiederli perché, dopo essere andata in banca dati, conosco le sequenze terminali dove devo inserire il primer) e le
dNTP.;
2. L’appaiamento (annealing) primer-filamento, però, non può avvenire a 95°, quindi devo abbassare la temperatura
a circa 50°-65°;
3. a 68°-72° la Taq polimerasi inizia il suo processo di sintesi o allungamento (elongation). Alla fine del primo ciclo
ottengo 2 molecole perché sono partita da una molecola e ho effettuato un solo ciclo. Questra reazione avviene in
un termociclatore o termal cycler dove, appunto, compio il ciclo. Dopo n cicli quante molecole avrò? 2^n.

Questa è stata una rivoluzione per le biotecnologie perché partendo da una singola molecola, amplificandola, ne
ottengo di più e su di queste ci posso lavorare. Terminata la fase di allungamento, il ciclo si ripete generalmente per
30 volte: partendo da una sola molecola avrò 2^n.

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