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C. W.

Gluck - Vita

Nasce a Erasbach nel 1714 (Germania) da famiglia tedesca tuttavia nel 1717 si trasferisce in
Boemia in quanto parte dell’Impero e culturalmente vicina a Vienna (Austria).
Si scontra con il padre che non voleva facesse il musicista e conseguentemente nel 1731 scappa
di casa e si trasferisce a Praga e poi a Vienna nel 1734 dove termina la propria formazione
musicale e, come la maggioranza dei compositori che operano nel contesto viennese, viene a
contatto con una delle famiglie aristocratiche più influenti dell’epoca: i Lobkowitz.

Essendo la società del tempo antecedente alla rivoluzione francese ed essendo quindi basata
sull’influenza di poche e ricchissime famiglie aristocratiche che concentravano il potere politico ed
economico attorno ad esse, ciò portava quindi alla creazione di un “clima di corte” presso le
famiglie, “obbligate” dall’etichetta a sfoggiare e sviluppare la cultura svolgendo il ruolo di mecenati,
molti artisti quindi collaborarono con le suddette famiglie (Beethoven per esempio eseguì sonate e
musica da camera per la prima volta nelle camere di queste famiglie), Gluck quindi, pagato e
mantenuto, suona e compone per i salotti di “corte” Lobkowitz.

Nel 1937 si sposta a Milano per studiare con il compositore Giovanni Battista Sammartini (il quale
successivamente fu anche insegnante di Mozart), qui Gluck compone la sua prima opera,
Artaserse inscenata per la prima volta nel 1741.
Gluck fu quindi principalmente un compositore d’opera, scrisse opere in francese (a Vienna) e
italiano e qualcuna addirittura in tedesco, facente parte, parzialmente, del gruppo di compositori
dell’epoca che componevano in tedesco.

Essendo molto apprezzato nel periodo del 1745-1746 (anche per essere uno dei primi a musicare
libretti di Metastasio, il più importante poeta della corte viennese dell’epoca) e forte del proprio
successo di operista, gira l’Europa per comporre e inscenare i propri lavori di opera italiana
(genere di teatro interamente cantato diffuso in tutta Europa) che vennero rappresentati a Londra,
Napoli, Vienna, Copenaghen e Praga.

Nel periodo del 1758-1760 vede l’esecuzione delle proprie operàs comiques: l’isle de Merlin
(1758), Le diable a quatre (1759) e L’ivrogne corrigé (1760).

Nel 1767 si trasferisce a Vienna e inizia a scrivere delle opere serie, Orfeo e Euridice grazie alla
collaborazione con Calzabigi (1761) e Alceste (1767).

Nel periodo del 1773-1778 vede l’esecuzione delle proprie opere serie durante il periodo parigino,
che altro non sono che addattamenti di opere risalenti al periodo trascorso presso la corte
viennese: Iphigéne en Auline (1774), Orphée et Euridice (1774) e Alceste (1776).

Fu principalmente compositore di opera italiana tuttavia non mancano nel suo catalogo opere
comiche in francese (prodotte durante il periodo trascorso a Vienna e metà del ‘700) e opere serie
in francese risalenti al periodo trascorso a Parigi.

Orfeo ed Euridice - l’opera

L’opera, manifesto della riforma gluckiana nata nel 1962 a Vienna dalla collaborazione di
Calzabigi, Gluck, Angiolini e Durazzo, riprende il soggetto già incontrato nelle Metamorfosi di
Ovidio e successivamente ripreso da molti operisti e librettisti del 1600, nella versione gluckiana il
mito risulta ridotto e ridimensionato (il matrimonio risulta mancante, come pure l’incursione delle
baccanti o l’ascesa al cielo) per consentire l’applicazione dei principi riformatori esposti da Gluck
nella prefazione della partitura di Alceste, arrivando a durare solamente 90 minuti circa con tre atti.

Atto I
Poco prima di sposarsi, Euridice viene morsa da un serpente e muore, l’amato, Orfeo, un cantore
mitico figlio di Apollo (personaggio dalla personalità debole, dipendente da Beatrice e succube del
proprio amore per lei) dotato di un’abilità canora divina, riceve l’apparizione dell’angelo Amore che,
impietosito dal dolore di lui decide di dare la possibilità all’eroe di recarsi nell’Ade e di riportare
indietro l’amata, a condizione di non rivelarle nulla dell’accaduto e di non guardarla in volto fino
all’arrivo in superficie.

Atto II

Arrivato alle porte dell’Ade, Orfeo ammansisce le bestie infernale contempla la visione che gli si
prospetta davanti(Orribile Sinfonia), poi, accompagnata da un coro di Eroine, Euridice viene
condotta a fianco dell’amato, che, con estrema premura e senza gurdarla, la conduce via.

Atto III

In una “oscura spelonca infernale” Orfeo si appresta a condurre l’amata verso la luce, senonché
questa inizia ad insospettirsi del comportamento dell’innamorato, si arrabbia e inizia a porre
domande sempre più incalzanti, intonando un duetto con l’amato e successivamente un aria
tripartita (Che fiero momento), Orfeo (personaggio debole) cerca di evadere le domande tentando
di tener fede al patto stipulato con Amore, tuttavia alla fine cede e guarda l’amata in volto
perdendola.
Disperato, dopo un recitativo, intona un’aria (Che farò senza Euiridice) e, successivamente, tenta
di togliersi la vita invocando l’amata, viene fermato da Amore che comunica che gli Déi, avendo
pietà di lui, concederanno ad Euridice di tornare in vita.

Riforma gluckiana

In linea con le teorie illuministe e la volontà di “servire la poesia”, Gluck tenta di rendere l’intreccio
dell’opera il più scorrevole possibile, diminuendo quindi il numero di recitativi e arie che secondo lui
contribuivano ad appesantire lo scorrimento della trama e la percezione del pubblico e attuando
una serie di modifiche:

• limitazione di “abusi virtuosistici” nelle arie con da capo;

• eliminazione delle discontinuità temporali “saldando” le arie ai recitativi che andranno a


costituire un’unica unità formale, la scena che comprende oltre ad arie e recitativi,
comprendeva balli, cori, duetti (introducendo l’estetica del tableaux) con un aumento del
numero di cori, duetti e balli fino ad allora molto rari, in modo da impiegare al meglio
l’organico disponibile e interazione tra pezzi solistici e pezzi di gruppo e una diminuzione
del materiale drammaturgico presente nella scena;

• sostituzione nelle fiorite arie di paragone il linguaggio sentenzioso, freddo e superfluo,


pregno di fredde moralità e ridondanti paragoni con linguaggio passionale, lirico,
sentimentale, vero e autentico, che descrivesse sensazioni realistiche ed interessanti (la
lirica dell’epoca andava verso l’abbandono dei soggetti mitici e richiedeva sempre più
situazioni realistiche e mondane), che tuttavia comportava una sorta di “sospensione” del
tempo nello spettacolo;

• oltre alle arie in forme ABA, introduzione di altre architetture musicali (es. Rondò) che si
adattavano alle varie situazioni della scena;

• collegamento della sinfonia al resto dell’atto (fino ad allora utilizzata solo come
“divertimento”, contenente vari elementi musicali senza che venissero approfonditi),
inserendo in essa i principali elementi tematici musicali dell’opera, in modo da iniziare lo
spettatore al resto dell’opera introducendo vari temi e leit motif utilizzati
dall’accompagnamento;
• impiego della strumentazione in modo espressivo nell’accompagnamento del recitativo,
abolendo la “sterilità” del basso continuo e utilizzando l’orchestra in modo creativo
(recitativo accompagnato);

• maggiore attenzione alle strutture formale in modo da raggiungere una coerenza che aiuti
l’enunciazione della vicenda per adempiere alla cosiddetta “bella semplicità” auspicata
dagli illuministi che aveva come scopo la massima elevazione dell’oggetto poetico (poche
vicende e riduzione della trama);

generalmente possiamo asserire che, seppur la riforma gluckiana fosse effettivamente “riformante”
solo dal punto di vista musicale, la concezione avanzata dell’opera di Gluck si rifa all’estetica e alla
sensibilità di Russeau e quasi ad un linguaggio pre-romantico (Sturm un DrangI, mito del buon
selvaggio, folklore, popolarismo, i dolori del giovane Werther).

Atto II - scena 1

Orfeo cerca di ammansire le bestie infernali.


La scene comprende una sinfonia, belli, coro, un aria nella quale si intervallano Orfeo e il coro

Chi mai dell’Erebo

coro e orchestra
quinario (accento sulla quarta sillaba)
tempo veloce, concitazione

Deh placatevi con me

Orfeo - contralto (castrato)


solista e intermezzi dell’orchestra e coro che dice “no”
aria cantabile, stile molle e affettuoso

Atto III – scena 1

duetto seguito da Che fiero momento


Orfeo, maschio effemminato con atteggiamento debole, succube di Beatrice, poi si girerà verso
Beatrice e dimostrerà debolezza
Beatrice si arrabbia e, secondo la concezione latina, è un personaggio forte

Che fiero momento

tonalità minore, Allegro


aria ABA con ripetizione non letterale di A

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