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Principi architettonici dell’età dell’Umanesimo.

Parte prima. La chiesa a pianta centrale nel Rinascimento.

Le moderne interpretazioni dell’architettura rinascimentale ne sottolineano la qualità


profana.
Essa era caratterizzata da una scala di valori che culminavano in quelli assoluti
dell’architettura
sacra.
In particolare si sottolinea il valore simbolico delle forme della chiesa rinascimentale.
Gli architetti del Quattrocento italiano si discostano dalla pianta a croce latina (lunga navata,
transetto e coro)e patrocinano in sua vece chiese a pianta centrale (ritenute l’apice
dell’espressione architettonica rinascimentale ma anche la pietra di paragone del
paganesimo, dello spirito profano del rinascimento).
Esse sono tuttavia poco funzionali dal punto di vista liturgico ed è proprio per questo aspetto
vengono criticate poiché sono subordinate le esigenze del servizio divino alla finalità estetica.

1. Il programma dell’Alberti per la chiesa ideale.

Il De re Aedificatoria dell’Alberti (scritto intorno al 1450) è il primo programma completo della


chiesa ideale del Rinascimento.
Il settimo libro infatti tratta della costruzione e della decorazione dei templi(edifici sacri,
chiese).
Le forme del tempio. La rassegna delle forme consigliabili per i templi si apre col panegirico
del cerchio, forma austera e assoluta(implicitamente preferita poiché è la stessa natura che
ispirandosi alla perfezione assoluta cioè a iddio tende alla forma circolare), accompagnato
dalle figure ad esso annesse e da esso ricavate come il quadrato, l’esagono, l’ottagono, il
decagono e il dodecagono e ne indica come costruire le lunghezze dei lati partendo dalla
circonferenza.
Le cappelle. Suggerisce inoltre per le piante ricavate dal quadrato di apporre una cappella
all’estrema parete dell’edificio o in aggiunta ad essa una cappella per ogni lato del tempio o
un numero dispari di cappelle per ogni lato. Quanto alla forma di ciascuna cappella essa
dovrebbe essere rettangolare o semicircolare con la possibilità di alternare i due tipi.
Influenze. Gli edifici antichi a pianta circolare erano adibiti a cerimonie paleocristiane.
Infatti gli architetti quattrocenteschi e con essi lo stesso Alberti erano fortemente influenzati
dalla Roma costantiniana perché in quell’epoca l’antico spirito pagano si era fuso con l’anelito
di purezza e di fede della chiesa primitiva.
La chiesa ideale. L’A. è esplicito nel delineare la chiesa ideale che dovrebbe essere
l’ornamento più nobile della città, caratterizzata da un immane bellezza dovuta all’armonia
delle forme e delle proporzioni, in modo che ogni parte dell’edificio abbia dimensioni
assolutamente definite e nessun locale possa essere rimosso o aggiunto senza che vi sia
compromessa l’armonia dell’insieme. Questa bellezza e armonia suscita quindi pietà religiosa
nel popolo ed ha un effetto purificatore. Senza questa armonia la divinità non potrà rivelarsi.
Nel trattato l’A. specifica le varie dimensioni e proporzioni che si conformano alla legge
universale dell’armonia. Queste proporzioni non sono avvertite dal fedele ma unicamente da
un occhio esperto.
L’edificio deve essere costruito in un luogo elevato e isolato da ogni lato in una nobile piazza,
e dovrà essere distaccato per mezzo di un basamento dal flusso quotidiano.
Non si debbono usare archi che sono consigliati per basiliche(sede in antico
dell’amministrazione della giustizia e in stretta relazione con il tempio e per questo rientra nel
campo religioso) e teatri.
Devono essere edificati colonne trabeate, soffitti a volta, materiali preziosi finestre tanto alte
da impedire il contatto con la vita esterna e far si che null’altro si veda che il cielo, per quanto
riguarda l’ornamento delle volte e delle cupole sono consigliati i cassettoni(a modo di
Pantheon) e muri candidi, poiché il bianco è il colore dei templi e la purezza e la semplicità del
colore sarebbe stato gradito a Dio. Prediletti i quadri agli affreschi, le statue ai quadri,
iscrizioni ammonitrici.
L’architettura dell’Alberti può essere considerata un arch. serena filosofica e quasi puritana.
Aneddoto Santissima Annunziata. E’ una famosa disputa tra l’Alberti e un famoso critico
contemporaneo che vedeva come oggetto la chiesa di Santissima Annunziata a Firenze. Le
opinioni sugli edifici classici centralizzati non erano concordi. Alberti riprese il coro
incompiuto (di Michelozzo) che sarebbe stato tinteggiato di bianco senza benchè minimo
ornamento. Secondo questo critico così facendo la chiesa sarebbe rimasta “povera e
spogliata”.

Filarete. F. mostra di aver letto attentamente l’Alberti, egli scrisse che i cristiani costruirono
chiese di grande altezza perché chi vi entra si sente portato in alto e l’anima può contemplare
Dio. Parla anche dell’effetto rasserenatore del cerchio.

Francesco di Giorgio. Secondo F. di G. le chiese possono essere ricondotte a tre tipi


fondamentali:
 Lo schema circolare (il più perfetto: appartengono tutte le forme poligonali).
 Il tipo rettangolare (chiesa a navata: tutte le figure che derivano dal rettangolo).
 Una combinazione tra i primi due (combina la navata con una soluzione centralizzata a
crociera del coro e del transetto. Ciascuna delle sue parti segue le regole del tipo a cui
appartiene).

Francesco di Giorgio ripropone le idee dell’Alberti, vi sono infatti tra i suoi manoscritti
istruzioni circa la simmetria e la commensurazione dell’impianto planimetrico generale fino ai
dettagli delle porte e delle finestre. Ritroviamo anche il postulato sulla cupola emisferica e
una lunga trattazione sulla posizione dell’altare nella chiesa centralizzata.
1. Perifericamente: manifesta l’infinita distanza di Dio da noi, l’altare deve essere posto il
più possibile lontano dall’ingresso principale e quindi all’opposto sulla circonferenza.
2. Il centro: luogo unico e assoluto dove tutte le linee dell’edificio si incontrano. Il cerchio
e il suo centro così assumono il significato di simboli divini.

2. Le chiese a pianta centrale nella teoria architettonica postalbertiana.

Nessun trattato di architettura è stato condotto a termine. Di Bramante non è rimasto alcuno
scritto.
Sulle intenzioni degli architetti del tempo è gettata una luce grazie al loro interesse per
Vitruvio.
Cesariano, allievo di Bramante, afferma che qualunque tipo di architettura residenziale è da
considerarsi semplice, in confronto al compito di erigere un edificio sacro (gerarchia
architettonica).
Vitruvio affermava che le proporzioni umane dovevano riflettersi nelle proporzioni di edifici
sacri.
A prova della perfezione del corpo umano illustra come un uomo dal fisico armonioso, con
gambe e braccia allargate si iscriva esattamente nelle figure geometriche più perfette, il
cerchio ed il quadrato.
Questo semplice disegno ebbe una grande importanza per gli architetti rinascimentali.
Per mezzo di Vitruvio è possibile “commensurare” ogni cosa terrena. L’uomo vitruviano così
diviene simbolo della corrispondenza matematica tra macrocosmo e microcosmo.
L’Alberti è molto influente anche in questo periodo infatti secondo la notizia del Vasari,
Leonardo pensava di sollevare il Battistero fiorentino per sottoporvi un basamento (esigenza
albertiana di isolare e sollevare la chiesa rispetto alla vita quotidiana). La prova definitiva
dell’aderenza di Leonardo ai principi albertiani sono i suoi vari disegni che possono essere
interpretati come raffigurazioni delle teorie albertiane. (vi sono chiese a pianta centrale, che
mostrano ogni possibile sviluppo del quadrato e del cerchio).
Serlio riflette le concezioni romane dell’inizio del Cinquecento. L’opera di Serlio è manualistica
e sciatta e consiste in una serie di esempi. Serlio elenca dodici forme fondamentali partendo
dalla forma rotonda dalla quale tutte le altre hanno inizio.
Le dodici piante non sono altro che sviluppi del cerchio e del quadrato e solo tre hanno forma
longitudinale.

3. Realizzazioni: Santa Maria delle Carceri.

Le chiese a pianta centrale cominciarono ad apparire intorno alla metà del xv secolo.
(1434 Brunelleschi. Santa Maria degli Angeli a Firenze; 1451 Michelozzo. Santissima
Annunziata a Firenze).
Nell’ultimo venticinquennio del xv secolo si registrano moltissime chiese a pianta centrale.
Il primo edificio a pianta centrale è stato edificato a Prato ed è la chiesa di Santa Maria delle
Carceri di Giuliano di Sangallo.(1485)
La chiesa è formata da 4 bracci corti ed uguali si congiungono in uno spazio centrale che è
fondato sulle due figure elementari del quadrato e del cerchio.
I rapporti sono semplici:
 La profondità dei bracci è la metà della loro larghezza;
 Le quattro pareti di fondo della croce sono di larghezza pari all’altezza, vale a dire
costituiscono un quadrato perfetto.
 La superficie è piatta e liscia(pareti) e degli archi è incorniciata da lesene e da semplici
fasce modanate sulle giunture dell’edificio.
 Scheletro strutturale è in pietra serena.
 Sulle pareti vi è un intonaco bianco in tal modo le scure linee di articolazione esaltano
la limpidezza dello schema geometrico.
 Cupola a sezione semicircolare(sembra sospesa e priva di peso poiché l’anello scuro del
tamburo non tocca le modanature degli archi)
 L’intera chiesa è sopraelevata grazie ad un basamento e rivestita di lastre bianche di
albarese scompartite in unità geometriche da strisce verde scuro.
Giuliano da Sangallo vuole evidentemente soddisfare appieno i principi architettonici
dell’Alberti.
Semplicità maestosa, l’effetto pacato delle sue geometrie, la purità del candido colore mirano
a suscitare nella folla dei fedeli la consapevolezza della presenza di Dio.

4. Bramante a Palladio.
Palladio è uno dei grandi architetti rinascimentali, fedele seguace dell’Alberti e delle sue
teorie.
Egli riesce a formulare con precisione idee che nell’Alberti erano soltanto vagamente
implicite.
Egli accetta la definizione albertiana di bellezza che consiste come abbiamo visto in simmetria
e armonia delle forme.
Secondo Palladio ascendere al tempio per mezzo di gradini ispira devozione e reverenza.
Tali costruzioni dovrebbero toccare la più alta perfezione ed essere edificati in modo tale che
nulla di più bello possa essere costruito, affinché coloro che entrino siano trasportati in una
sorta di estasi ammirandone la grazia e la bellezza.
Gli edifici debbono essere solidi, perenni, e devono essere utilizzati gli stili più appropriati e i
più preziosi materiali, inoltre deve essere utilizzato il colore più vicino a Dio, il bianco.
Per Palladio le forme più appropriate alle chiese sono “la Ritonda et la Quadrangulare” e tra
queste sceglie la Rotonda poiché tra tutte è la sola figura semplice, uniforme, uguale, forte,
capace.
Vitruvio diceva che la forma dovesse essere fatta corrispondere al carattere stesso della
divinità e Palladio lo segue dicendo che i templi dedicati al sole e alla luna erano rotondi
perché girano intorno al mondo. Anche il tempio dedicato a vesta(dea della Terra) era
rotondo perché il simbolo dell’elemento è tondo.
Palladio preferisce quindi la forma rotonda perché non vi è né principio né fine, che ogni parte
corrisponde ad un tutto.
La chiesa a pianta centrale era agli occhi degli architetti del tempo un eco dell’immagine
umana dell’universo divino.(La concezione di chiesa perfetta ha radici nella cosmologia
platonica).
Mediatore cronologicamente parlando tra l’Alberti e Palladio è Bramante, egli rappresenta
l’apice di questa triade di architetti.
Palladio affrontò il tema della pianta centrale al termine della sua vita.
Il tempietto Maser segue il modello del Pantheon. In pianta è un cerchio perfetto con
cappelle sui quattro assi, volumetricamente è un cilindro sormontato dalla cupola emisferica,
le mura sono candide, non vi sono dipinti infatti la decorazione è esclusivamente scultorea.
Il progetto della chiesa di San Pietro a Roma da parte di Bramante rispecchia i principi fino ad
ora elencati. Bramante combinò il simbolo della croce greca con i valori simbolici della
geometria centralizzata. La pianta inoltre si differenzia dalla semplice croce greca di Santa
Maria delle Carceri infatti la figura della croce greca e la cupola che domina su di essa sono
accompagnate sugli assi diagonali da piccole iterazioni della stessa figura, a cui sono aggiunti
quattro ambienti di forma quadrata. Il tutto viene inscritto in un quadrato dal quale sporgono
le quattro absidi. L’unica memoria di questo alzato è la famosa medaglia di Caradosso per la
fondazione. La chiesa doveva essere caratterizzata da una delle più nobili cupole. Questa
pianta inoltre è stata sottoposta ad innumerevoli alterazioni ma non smise di costituire uno
dei più profondi stimoli per gli architetti di tutta Italia.

5. Simbolismo religioso delle chiese a pianta centrale.

Secondo l’Alberti a renderci consapevoli della bellezza e quindi dell’armonia è un sentimento


innato.
Da ciò se una chiesa è stata costruita secondo i canoni dell’armonia matematica essenziale noi
vi reagiremo istintivamente senza ricorrere all’analisi razionale.
Senza tale simpatia tra macrocosmo e microcosmo la preghiera non potrà avere efficacia.
Pacioli afferma che le funzioni sacre avrebbero ben poco valore se la chiesa non sia costruita
“con debita proportione”.
Come abbiamo affermato la figura più perfetta è il cerchio e per intendere il significato di
questa forma bisogna tornare a Niccolò Cusano il quale affermava che Dio era la figura
geometrica meno tangibile, egli è centro e circonferenza del cerchio, poiché in una sfera
infinita centro diametro e circonferenza sono una medesima cosa.
Ficino identifica Dio come il vero centro dell’universo, ciò che di più intimo c’è nell’universo e
anche come circonferenza dell’universo che travalica ogni cosa incommensurabilmente.
L’origine dell’idea di Dio per mezzo del simbolo del cerchio può essere fatta risalire ai poeti
orfici.
Tutte le idee strettamente interconnesse di cerchio centro e sfera ,che avevano origine
nell’antichità e che facevano parte dei principi indiscussi della filosofia e della teologia
medievale, acquistarono vita nuova nel Rinascimento, e trovarono nella chiesa rinascimentale
la propria espressione visuale.
Vi è quindi un mutamento nello stesso spirito religioso che è evidente nel trapasso dalla
chiesa basilicale a quella centralizzata simbolo della metamorfosi della concezione di Dio e del
mondo.
La pianta a croce latina era espressione simbolica del cristo crocifisso, nel Rinascimento Cristo
viene inteso nella sua perfezione(croce greca o pianta rotonda).

Osservazioni. Le chiese a pianta poligonale o su croce greca sono assai più frequenti di quelle
a pianta circolare(1490-1530). La croce greca esercitava sugli architetti un’attrazione
particolare.
Inoltre gli architetti del primo Rinascimento erano più realizzatori dato che non curavano
molto la teoria.
E’ da notare inoltre che la maggior parte delle chiese del tempo in questione sono dedicate
alla Vergine.

La contestazione della nuova interpretazione dell’architettura religiosa è incarnata da due


principali esponenti:
I. Carlo Borromeo, il quale affermava che la forma circolare era puramente pagana e
intimava di tornare alla croce latina
II. Tommaso Campanella il quale parlava di un tempio rotondo non cintato ma circondato
da grandi colonne “grosse e belle assai”, costituito da una cupola nel mezzo e da una
cupoletta con uno spiraglio, l’altare nel centro e sopra di esso vi dev’essere un solo
mappamondo raffigurante la volta celeste e la terra.
Malgrado la Controriforma le chiese a pianta centrale ebbero un ruolo di primo piano
nell’architettura del Seicento e del Settecento.

Parte seconda. L’Alberti di fronte all’architettura antica.

I. La colonna nella teoria e nella pratica architettonica albertiana.

Secondo l’Alberti l’aspetto estetico di un edificio riposa su due elementi: la bellezza e


l’ornamento.
La bellezza è quindi un’armonia insita nell’edificio che risulta da un obbiettivo ragionare.
L’ornamento consiste per L’Alberti nell’abbellimento dell’edificio nel più ampio senso della
parola, esso infatti interessa ogni elemento, dalle pietre usate per la muratura fino alle
lampade dell’edificio.
Il principale ornamento (elemento decorativo) dell’edificio secondo Leon Battista è la
colonna che ha un posto di primordine nella sua teoria.
L’Alberti non conosceva i templi greci nei quali la colonna rappresenta l’elemento edilizio
fondamentale.
L’architettura romana quindi può essere intesa come a mezz’asta tra la Grecia e il
Rinascimento. Essa è un’architettura muraria.
L’Alberti si contraddice quando parla della colonna come “Una certa ferma e perpetua parte
di muro, ritta a piombo, dal piano del terreno all’alto” e osserva che “essi ordini di colonne
non sono altro, che un muro aperto e fesso in più luoghi” concezione questa opposta a quella
dell’architettura greca secondo la quale la colonna rimaneva un elemento plastico
autosufficiente.
L’Alberti non accetta inoltre la combinazione arco-colonna, cioè uno dei motivi chiave
dell’architettura rinascimentale introdotto dal Brunelleschi e dopo di lui generalmente
adottato.
Dunque egli prescrive sopra la colonna la trabeazione dritta e afferma che l’arco debba essere
sostenuto da pilastri.
Volutamente L’Alberti evita negli edifici sacri questa combinazione. Il primo motivo colonna-
trabeazione è di origine greca il secondo arco-pilastro è strettamente romano.
Nel Colosseo i pilastri che sostengono gli archi possono essere interpretati come residui di
muro traforato.
Col tempo l’Alberti si accorge dell’incoerenza tra la qualità tridimensionale e plastica della
colonna e il carattere bidimensionale del muro. Per risolvere questo problema egli ricorse alle
lesene in quanto la lesena è la trasformazione logica della colonna utilizzata per la
decorazione di una parete, che può essere definita una colonna appiattita che ha perso il suo
valore tridimensionale e tattile.
L’Alberti così nell’ultima parte della sua vita ornò se sue ultime facciate con un sistema di
lesene.
Riuscì quindi a tradurre logicamente l’architettura classica in architettura muraria senza
compromessi.
Questo processo si articola in quattro fasi perfettamente distinguibili le cui pietre militari
sono le quattro facciate: San Francesco a Rimini, Santa Maria Novella a Firenze, San
Sebastiano e Sant’Andrea a Mantova.

2. San Francesco a Rimini.

La prima opera di architettura sacra dell’Alberti è San Francesco a Rimini che venne realizzata
per incarico di Sigismondo Malatesta il quale voleva trasformare l’antica chiesa duecentesca
in un grande monumento funerario.
Sigismondo fece aggiungere due cappelle sul lato sud della chiesa e poi volle rinnovare
completamente l’esterno e trasformare a fondo l’interno.
Non si sa con precisione a quale stadio dell’opera fosse intervenuto l’Alberti né quale fosse la
configurazione della cupola che Matteo de Pasti riprodusse nella sua medaglia.
Per la facciata L’Alberti riprese il motivo dell’arco trionfale. Attraverso l’arcone centrale si
accede alla chiesa, mentre sotto gli archi laterali sarebbero stati posti i sarcofaghi di
Sigismondo e della sua donna Isotta adornati con iscrizioni classicamente composte dando
l’idea di un tempio di eroi. Porre le sepolture sotto gli archi esterni della chiesa era di fatto di
tradizione medievale.
Entrando nel tempio il visitatore non può rimanere che stupito dall’idea di essere entrato in
una chiesa gotica e si presenta spontanea l’ipotesi che la stessa chiesa sia stata progettata da
due architetti differenti in due periodi lontani.
Egli schermò con i suoi archi romani le antiche muraglie e pose l’intero tempio su un alto
basamento.
San Francesco è la prima facciata col nuovo stile costituita dall’arco trionfale che è
caratterizzato da un solo piano mentre la facciata ne esige due, ed è per questo che non fu
mai portata a termine e una medaglia di Matteo de’ Pasti del 1450 la ricostruisce nelle sue
linee fondamentali.
Sulle campate laterali basse mura curve schermano il tetto, sulla campata centrale vi è
un’edicola conclusa da un arco e coronata da un ornamento floreale, sotto la quale, entro un
ampio nicchione si apre una trifora.
Sulle campate laterali disegnò due spioventi murali che avrebbero dovuto venir decorati da
volute ricurve mai eseguite.
Ma vi furono molti problemi di armonia tra il primo ordine medioevale e il secondo
classicheggiante voluto dall’Alberti.

3. Santa Maria Novella

Anche qui bisognava applicare una facciata a una chiesa medievale preesistente. Non era
attuabile però la soluzione applicata a San Francesco a Rimini( cioè quella di schermare
l’antico edificio per mezzo di una facciata del tutto nuovo ed indipendente).
Non era attuabile perché della facciata di Santa Maria Novella vi esistevano già alcune parti
che si dovevano conservare.
Facciata pseudo-protorinascimentale ne fa un grande esempio di euryrhmia classica del
rinascimento infatti le proporzioni e i rapporti tra i vari elementi denunciano il carattere non
medievale del fronte.
L’intento dell’Alberti era quello di far conciliare il passato col presente, creò invece
paradossalmente la facciata più importante dello stile nuovo.
Il suo scopo era quello di conseguire l’armonia e la concordia tra le varie parti dell’edificio.
“Vuolsi aiutare quel ch’è fatto, e non guastare quello ch’è s’abbia a fare” così intimava
l’Alberti nei suoi scritti dicendoci che non si doveva perdere di vista l’armonico accordo tra le
parti antiche e nuove.
L’Alberti si ispira al Battistero fiorentino(pilastri angolari e le applicazioni marmoree
orizzontali) e a San Miniato(disposizione della facciata su due piani) per progettare la
facciata.
Elementi della facciata. La facciata è costituita da un attico voluto dall’Alberti per formare una
barriera orizzontale ed ad neutralizzare l’andamento verticale del cornicione sporgente sopra
le colonne.
Essa è coronata da un timpano e da architravi classici, la differenza di profondità tra il piano
verticale e quello orizzontale è superata grazie alle due ampie volute in modo tale che le due
parti si leghino perfettamente.
Usò colossali colonne(in questa fase le colonne continuano a coprire il ruolo predominante di
ornamento fondamentale di qualunque architettura.
Vengono disposte due colonne esterne arditamente collegate ai due pilastri più esterni.
Le due colonne più interne incorniciano la parte più elaborata(il portale).
I pilastri più interni sorreggono un arco a tutto sesto, essi circoscrivono una nicchia all’interno
della quale vi sono altri due pilastri.
Si insiste spesso sulla somiglianza di questo portale con quello di San Francesco a Rimini ma
da un analisi più attenta è facile comprendere che quest’ultimo manca di compattezza e
matematica precisione che sono caratteristiche peculiari di quello di Santa Maria Novella.
Infatti Il portale di San Francesco è caratterizzato da qualcosa di vago, di impreciso nei
particolari, qualche cosa di gratuito nelle decorazioni e soprattutto la porta appare smarrita
nell’ampia nicchia che la contiene. La data d’inizio dei lavori rimane incerta, si pensa che la
facciata sia stata iniziata intorno al 1448 o 1456. L’iscrizione sul cornicione superiore fissa la
data di fine lavori nel 1470 ma nel 1478 il portale non era ancora terminato.
Significativa influenza dell’Alberti è sicuramente il Pantheon. Tutti i nuovi elementi introdotti
dall’Alberti in questa facciata sarebbero rimasti isolati se un’armonia non li avesse pervasi,
quell’armonia che era alla base dei principi architettonici dell’architetto.
Abbiamo già detto che la facciata è costituita da semplici rapporti di uno a uno o uno a due
ecc.
L’intero edificio della facciata infatti si inscrive in un quadrato e nei successivi rapporti uno a
due, vale a dire nella relazione musicale dell’ottava.

4. San Sebastiano e Sant’Andrea a Mantova.

San Sebastiano. L’assenza di colonne nelle facciate segna una svolta decisiva della concezione
architettonica albertiana. La colonna, un tempo ornamento fondamentale per l’Alberti viene
gradatamente abbandonata. L’Alberti quindi decide di respingere il compromesso tra colonna
e muro.
Dietro alle due facciate mantovane vi è un tempio classico, con le colonne, con il cornicione, il
frontone, ma il muro della cella si è avanzato e ho mutato le colonne in lesene. Nelle due
facciate si eleva davanti un vestibolo e in entrambe vi si notano le identiche proporzioni
fondamentali(proporzione uno a uno maggiormente favorita dall’Alberti).
San Sebastiano rappresenta la massima compattezza muraria(una trabeazione insolitamente
pesante sorretta da colonne sottili, campata centrale è notevolmente stretta e quelle laterali
notevolmente ampie) e Sant’Andrea la minima(rapporti invertiti). Ludovico Gonzaga signore
e committente dell’edificio scrive a Fancelli(architetto in carica) di seguire il consiglio
dell’Alberti di diminuire le colonne. La facciata odierna non rispetta per nulla i principi
albertiani perché a rovinare l’armonia della facciata vi è una rampa posta a sinistra dell’edificio
che non ha nessuna relazione con esso. Infine le arcate nascoste dalle scalinate dovevano di
certo vedersi. Possiamo ipotizzare che la chiesa secondo l’Alberti dovesse essere raggiunta
tramite una grande scalinata ampia quanto la facciata e quindi così facendo avrebbe dato un
senso alle 5 aperture. Di queste cinque oggi tre sono adibite a balconi non essendoci un
basamento.
La chiesa è stata indubbiamente terminata dopo la morte dell’Alberti e affidata all’oscuro
architetto Pellegrino Ardizoni il quale con poco gusto ha aggiunto la rampa sopracitata le
arcate aperte della parte inferiore, è ritenuto il fautore della pesante incorniciatura del
portale al centro che si sovrappone ai pilastri, la conclusione a squadro della finestra centrale,
prevista ad arco dal progetto iniziale, la rottura della trabeazione e il collegamento dei due
settori per mezzo di un arco ricavato nel timpano(influenzato arco di Orange, ben noto agli
artisti del ‘400).
Con queste ultime due facciate Alberti abbandona l’applicazione dogmatica del fronte del
tempio classico a una struttura muraria.

Sant’Andrea. La facciata di Sant’Andrea risente dell’idea del tempio classico ma anche di


quella dell’arco trionfale. L’Alberti per questa chiesa si rifà all’arco di Tito o all’arco di Traiano
ad Ancona costituito da un unico ampio fornice a due strette campate laterali. La cornice sulla
quale posa l’arco centrale prosegue al di sopra delle strette campate laterali e sembra
spezzata dall’ordine maggiore.
L’amalgama costituito dall’Alberti tra i pilastri è profondamente anticlassicistico e apre il
cammino alla concezione manieristica dell’architettura cinquecentesca.
All’interno di questo edificio vi è un’ampia navata con tre cappelle che si aprono su ciascun
lato deriva da impressioni che erano derivate dalle terme romane e dalla basilica di
Costantino. Le mura di questo edificio hanno decorazioni tutt’altro che romane. La facciata
privata del timpano. Inoltre la facciata della chiesa di Sant’Andrea è notevolmente più bassa
della copertura della chiesa poiché l’Alberti doveva tenere conto sicuramente di altri elementi
architettonici.

5. L’interpretazione albertiana dell’architettura classica: sua evoluzione.

Come abbiamo ben visto l’Alberti ha subito un evoluzione infatti nella prima facciata di San
Francesco egli aveva applicato un sistema classico senza evitare dei passaggi difficili, elementi
tradizionali e reminiscenze gotiche.
Egli ha un atteggiamento ben più emotivo che ortodosso.
Santa Maria Novella e San Sebastiano indicano un mutamento, il trapasso a un classicismo
castigato.
Le prime due facciate sono connesse perché appare un compromesso tra colonna e muro che
in San Sebastiano sarà abbandonato.
Nelle ultime due facciate è evidente che un atteggiamento purista verso l’architettura classica
viene lasciato e si passa ad una combinazione deliberata e autonoma dei suoi elementi.
Egli evolve da una visione emotiva a una combinazione archeologica subordinando quindi
l’autorità classica alla logica della struttura muraria considerando sempre l’architettura antica
come un tesoro a cui attingere.
Dopo l’Alberti per un secolo intero nessuno affrontò questo compito con uguale serietà fino a
Palladio.

Parte Terza. Principi dell’architettura palladiana.

PALLADIO

Andrea di Pietro denominato Palladio è forse l’architetto più elegante del tardo 500. Nato a
Vicenza nel 1508 ebbe una
influenza determinante nell’architettura inglese sia attraverso le sue pubblicazioni sia
con le ville da lui costruite.
Il suo più importante trattato è I QUATTRO LIBRI SULL’ARCHITETTURA del 1570. Era
correlato da illustrazioni degli ordini classici. Il suo trattato si presenta molto più esperto
e preciso di quello del Serlio. Le sue idee furono l’incentivo principale dell’architettura
seicentesca inglese.
Il suo stile che si presenta classicista, bramantesco in maggior parte fu anche influenzato
dalle opere del Michelangelo.
Gli elementi classici da lui riportati derivano da uno studio diretto delle rovine della
capitale anche se furono disegnate dal Palladio fin nei minimi dettagli e con un maggior senso
di grandiosità rispetto a quello reale. Gli elementi manieristi che possiamo
ritrovare nelle sue opere derivano da quelle michelangiolesche risalenti al 1540 circa.
Aveva una conoscenza vastissima delle rovine romane ma è difficile che avesse avuto
esperienze in prime persona per quanto riguarda le ville antiche.
Fu indotto a credere che i templi e gli edifici pubblici, di cui aveva una vastissima
conoscenza derivassero la loro forma dalle case private.
Da questo derivano i portici presenti nelle ville e che furono ripresi anche dagli architetti
inglesi non curanti del fatto che questo elemento non avesse molta funzionalità in un
clima nordico.

TEATRO OLIMPICO

La sua struttura si basa sul principio romano di uno scenario fisso e articolato preceduto
dal palcoscenico. La cavea ha un andamento semicircolare e a differenza di quella
romana che era scoperta, quella palladiana è coperta da un tetto il cui soffitto è dipinto
come un cielo con le nuvole. La parte più interessante dell’intero edificio è la scenografia
fissa dietro al palcoscenico.
Dalla sezione e dalla pianta possiamo notare come avendo dato una leggere pendenza al
retroscena e restringendo i passaggi si ottenga un complesso spazio prospettico anche
nel poco spazio a disposizione.

SAN GIORGIO MAGGIORE E DEL REDENTORE

Si trovano entrambe a Venezia. S. Giorgio fu iniziata nel 1566 mentre il Redentore dieci
anni dopo. In queste due opere il palladio raggiunge il massimo delle sue capacità. Come
nelle sue ville il Palladio utilizza un impianto perfettamente simmetrico.
Le facciate delle due chiese offrono soluzioni nuove al problema di disegnare un
frontone completamente classico su un impianto basilicale. Il problema sorgeva poiché il
tempio classico aveva una sola estremità sormontata dal timpano triangolare mentre la
basilica presentava tre diverse navate di cui quella centrale più alta. Gli architetti
paleocristiani non affrontarono il problema e si limitarono ad inserire un portico per
risolvere la questione.
La soluzione del Palladio invece sta nel pensare di sovrapporre due distinti fronti di
tempio, uno relativo alla navata centrale e uno alle navate laterali.
La navata centrale viene affrontata come un tempio stretto e lungo con 4 grandi
colonne di ordine gigante che poggiano su un alto basamento, queste sembrano
interrompere la continuità del frontone sottostante, quello delle navate laterali, sorretto
da numerose colonnine.
La facciata del Redentore addirittura di frontoni ne presenta tre. L’effetto che se ne
ricava è di forte compattezza e di ascesa verso la grande cupola anche se le parti laterali
non sono navate ma la parte terminale delle pareti contenti le cappelle.
Anche nella pianta queste chiese si differenziano da quelle loro contemporanee, infatti,
presentano una pianta a croce accorciata e allargata con il coro e il transetto che
terminano in absidi.
Le due chiese erano meta di una visita ufficiale da parte del doge una volta all’anno.
Quindi dovevano essere capaci di poter ospitare l’enorme folla che accompagnava la
visita.
Un altro fattore che determina la loro forma è che nel corso del 500 il coro di San Marco
si divideva in due parti separate per cantare, quindi la loro pianta risponde in maniera
efficace ai problemi posti dal posizionare due cori all’interno della solita chiesa ed a una
certe distanza l’uno dall’altro.
Dal punto di vista della struttura architettonica è bene notare come il Palladio abbia
costruito uno “schermo” al di là del quale il fedele potesse vedere il coro cantare. Così si
creava un effetto straordinario dato dalle voci del coro che filtravano attraverso il
colonnato. La struttura però non abbandono le linee semplici dell’architettura classica.
Nel Redentore questo aspetto viene affrontato in modo ancora più complesso perché la
forma semicircolare del colonnato da l’impressione al fedele di osservare la scena
attraverso l’abside.
Il tema della luce varia continuamente con il passare delle ore creando un flusso
continuo e ininterrotto di giochi spaziali nel semplice pallido interno.

1. L’architetto come “uomo universale”: Palladio, Trissino e Barbaro.

Trissino scrisse “L’Italia liberata dai Goti; Sofonisba; I Simillimi; Ars Poetica e altri scritti”.
Nel quinto libro della “Italia liberata” vi è una descrizione di un palazzo che ci fa
comprendere il modo di ragionare.
Dopo un discorso sulle parti esterne e sull’ingresso parla del cortile che è circondato
tutt’intorno da larghe logge, colonne rotonde che son alte quanto son larghe, esse
hanno capitelli argento alti quanto lo è colonna e sotto hanno spire di metallo che sono
grandi la metà del capitello.
La descrizione della struttura lascia intravedere una sorta di proporzionalità modulare,
perifrasi di Vitruvio. La descrizione preliminare del luogo è riconosciuta al Palladio.
Il nome Palladio era stato affidato da Trissino al giovane scultore Andrea di Pietro da
Padova quando quest’ultimo entrò nel suo circolo culturale secondo la moda dei circoli
umanistici, la cui associazione a Pallade indicava quanto egli tenesse all’artista. Quel
nome quindi venne scelto per l’angelo del poema epico tanto tergiversato in
architettura.
Egli nato a Padova nel 1508 si trasferì a Vicenza alla fraglia di muratori e scalpellini infatti
ancora nel 1542 viene chiamato “lapicida”.
Trissino impegnato a costruire la sua casa a Cricoli scoprì il talento del giovane che si
operava come garzone.
Egli infatti non solo ebbe un’influenza determinante nella vita ma fu responsabile del
mutamento di professione e del suo atteggiamento rispetto architettura di Palladio.
La villa di Cricoli in precedenza attribuita al Palladio è stata quasi sicuramente progettata
dallo stesso Trissino (ci sono infatti pervenuti alcuni suoi disegni).
Trissino inoltre scrive un manoscritto (pervenutoci senza data) dove si interessa dei
problemi architettonici, infatti aveva iniziato a scrivere un trattato di architettura,
essendosi reso conto che in quel campo si aveva bisogno (era indispensabile) di una
chiarificazione.
La VILLA DI CRICOLI era stata costruita per realizzare il suo sogno di costituire un accademia
erudita, l’”Accademia Trissiniana”.
Le stanze erano decorate da iscrizioni greche e latine e sulle porte era scritto (genio et
studiis, otio et musis, virtuti et quieti; parole chiave che raccolgono in sé l’intero
programma dell’accademia).
Gli studiosi vivevano nella villa e la loro giornata era regolata dall’alba al tramonto.
Trissino infatti desiderava fondere la vita monastica con le tradizioni filosofiche greche,
erano di rigore una condotta morale e la nettezza fisica.
Attraverso lo studio del latino e del greco lo studioso doveva desumere un perfetto stile
italiano e attraverso questo metodo egli infondeva nella nuova generazione virtù
civiche.
Gli argomenti di studio comprendevano la filosofia, l’astronomia, la geografia e
soprattutto la musica. Sembra che introno al quarto decennio del ‘500 Le giornate di
Cricoli erano frequentate da tutti i giovani nobili di Vicenza e anche da Palladio sebbene
non più giovanissimo.
Circa l’intimo rapporto tra Palladio e Trissino non vi è nessun dubbio perché vi sono
numerose testimonianze scritte del Palladio stesso e dal contemporaneo Gualdo.
Egli scrive che Palladio andò tre volte a Roma con Trissino e altri due (Palladio, Maganza,
Thiene).
L’edificio di Cricoli era stato costruito secondo il tipo tradizionale del castello, (mantenne
di fatto le torri, collegandole con un portico di tipo raffaellesco, e applicò nella pianta
quei principi di simmetria e proporzionalità che il Palladio svilupperà a fondo).
Gli studi classici rimasero l’occupazione preferita del Palladio infatti la sua architettura
non può essere considerata dissociata dai principi umanistici a cui attinge, essa rimase
sempre dogmatica, scientifica e dotta.
Gli scritti palladiani infatti possono essere considerati il risultato dell’educazione
inculcatagli da Trissino.
Per natura il Palladio era di carattere riservato e laconico infatti era restio a usare parole
laddove i fatti erano eloquenti (come è il caso degli artisti creativi).
Primi frutti dei suoi viaggi a Roma furono due guide, esse furono pubblicate ambedue
nel 1554.
La prima “Le Antichità di Roma” riporta brevi descrizioni dei ruderi classici e la loro storia
a scopo informativo per i turisti.
Il libro venne così a sostituire altri libri che secondo il Palladio erano pieni di menzogne e
di strani racconti.
I ruderi classici erano così descritti con esattezza e vi erano raccolte di essi notizie attendibili.
Egli si avvalse dei moderni antiquari romani ma anche di autori classici come
Dionigi di Alicarnasso, Livio, Plinio, Plutarco e altri.
Verso il 1750 l’opera di Palladio era stata ristampata per altre trenta edizioni.
Il secondo libro “ Descrizione de le Chiese, Stationi, Indulgenze et Reliquie de Corpi
Sancti che sonno in la città de Roma”, che nasce anche esso da le Mirabilia descrive le
chiese romane sotto l’aspetto puramente religioso ad uso e consumo dei pellegrini.
Quest’opera per la prima volta costituì un modello a cui attinsero fino al settecento la
maggior parte delle guide Romane, essa comprendeva per la prima volta una valutazione
artistica degli edifici.
Palladio pubblicò i Commentari di Cesare con 41 tavole.
Egli studiò Cesare con i suoi due figli che gli prepararono le illustrazioni.
Essi morirono prematuramente e il Palladio gli dedicò il volume.
Tutti i libri citati in precedenza del Palladio passano in second’ordine rispetto ai
“ Quattro libri dell’Architettura” pubblicati nel 1570 nei quali egli si prefisse di trattare
tutti i temi dell’architettura.
- Il primo libro: tratta degli ordini e delle questioni elementari.
- Il secondo :tratta degli edifici domestici.
- Il terzo: tratta degli edifici pubblici e dell’urbanistica.
- Il quarto: tratta dell’architettura religiosa.
Misura costante degli eterni valori erano per lui i ruderi dell’antichità.
Palladio considera l’Architettura come una disciplina fondamentale sia delle arti che delle
scienze, un obbligo morale.
I progetti editoriali del Palladio vennero interrotti dalla sua morte.
Nel suo primo libro avrebbe dovuto parlare di teatri, anfiteatri, archi, le terme, gli
acquedotti, le fortificazioni ed i porti.
Di questo incredibile materiale vennero pubblicate solo le terme romane 150 anni dopo
da Lord Burlington dopo la morte del maestro.
Palladio affermò che per scrivere il suo libro aveva studiato a fondo le opere dei suoi
predecessori tra cui non poteva mancare l’Alberti, la cui influenza fu profonda.
Al di sopra di tutti i libri moderni poneva Vitruvio che aveva scelto come maestro e guida
infatti riteneva che quest’ultimo detenesse i segreti più profondi dell’architettura antica.
Daniele Barbaro apparteneva alla generazione del Palladio e come Trissino incarnava
l’ideale rinascimentale di un’educazione fondata sull’erudizione classica.
Matematico eminente, poeta, filosofo, teologo, storico, diplomatico, fondò l’orto
botanico a Padova, sicuramente dunque una delle figure emergenti del ‘500, e
sicuramente un modello di chiarezza e precisione.
Le sue pubblicazioni coprono un campo vastissimo tra cui vi è un trattato sull’eloquenza,
e uno sulla prospettiva. Egli come Trissino era un aristotelico e per questo pubblicò
numerosi scritti attinenti all’argomento.
Egli morì nel 1570 e lasciò a Palladio un legato simbolico di 15 ducati(terre).
Per lui e per suo fratello Marcantonio Palladio costruì la famosa Villa di Maser presso
Asolo che può essere considerata una delle più perfette creazioni rinascimentali del tempo.
Il commento di barbaro a Vitruvio. Il metodo adottato da Vitruvio è puramente logico e
deduttivo, il suo pensiero inoltre è profondamente platonico. Inizia col definire
filosoficamente l’arte e l’architettura. L’arte si fonde nelle 5 virtù intellettuali di
Aristotele (arte, scienza, prudenza, sapienza ed intelletto).
Scienza ed intelletto si occupano del vero necessario e cioè del vero degli oggetti in sé
ma mentre la scienza si acquista l’intelletto è innato e riflette il potere e la virtù
dell’uomo.
La matematica e la geometria e altre discipline affini hanno vita dall’intelletto, esse
hanno quindi carattere di grandezza ed è qui che sta la dignità dell’architettura.
Nasce quindi ogni arte dall’esperienza e questa riposa sui sensi mentre l’arte riposa su
principi universali sebbene debbano essere anche essi scoperti dall’esperienza (secondo
i principi aristotelici).L’arte perciò si avvicina alla sapienza.
L’architettura quindi è più di ogni altra arte vicina all’idea platonica, essa infatti è vista
come una delle innumerevoli manifestazioni della mente umana che seguono tutte le
medesime leggi.
Caratteristico ed ancora aristotelico il commento nel quale Vitruvio tratta delle sei
caratteristiche nelle quali consiste l’architettura (Ordinatio, dispositio, eurythmia,
symmetria, decor, distributio).
Agli occhi di Barbaro dunque sembrava che Palladio avesse centrato il suo ideale di
un’architettura scientifica, matematica.
Dall’Alberti in poi l’architettura veniva concepita in termini di matematica applicata ma
mai prima di Barbaro si arrivò ad un’analisi attenta, serrata e concatenata.
I Quattro libri del Palladio sono similmente caratterizzati da acutezza e precisione.
Palladio quindi aspirò ad una lucidità di progettazione architettonica come sempre
ispirata a principi classici.
Nel 1555 venne fondata a Vicenza l’Accademia Olimpica, della quale Palladio fu uno dei
principali promotori, il programma dell’accademia era formare un uomo universale.
L’accademia si segnalò ben presto per le sue notevoli attività teatrali.
Dopo la morte di Barbaro Palladio fu incaricato di costruire un teatro permanente ma sei
mesi dopo l’inizio della costruzione morì.

3. Geometria palladiana: le ville.

“Il Palladio non fu il primo a costruire ville nel territorio veneto, vi erano esempi del
Sansovino e del Sanmicheli.
Fu la villa del Trissino costruita intorno al 1536-1537 che ebbe la sua maggiore
influenza sull’architetto vicentino.

VILLA CRICOLI

È basata sulle descrizioni del Vitruvio. Presenta una doppia loggia contornata da due
torri leggermente sporgenti. Vi è una rigida simmetria e gli ambiente sono distribuiti
in modo tale che non solo ognuno di essi ha una sua proporzione matematica ma
insieme fanno parte di un’armonia matematica generale.

VILLA GODI

Fu il primo tentativo di villa palladiana. Risale al 1538 c.a.


Il principio di collegare la casa padronale alla fattoria è realizzato tramite muri e
colonnati.
La parte di mezzo è rientrata e composta da una scalinata che porta all’ingresso con
tre archi della loggia. Nella facciata opposta il settore di mezzo sporge nella stessa
misura di quanto rientra quella davanti.
La forma è cubica ed è assente la sovrapposizione del fronte di un tempio classico con
la casa di campagna, elemento invece caratteristico dei lavori successivi.

LA ROTONDA

È la villa più simmetrica tra quelle del Palladio. Costruita nel 1567-1569. Essendo una
villa suburbana, secondo le idee palladiane doveva presentarsi con un aspetto molto
più formale. Gli ambienti sono distribuiti in maniera perfettamente simmetrica
attorno alla sala centrale.
Fu completata dal discepolo Scamozzi dopo la morte del Palladio, che però alterò la
forma della cupola e costruì l’attico.

VILLA BARBARO

Risale al 1560 c.a. è un esempio ben conservato della tipologia della fattoria.
Il maggior vanto di questa villa non è tanto l’architettura palladiana ma gli affreschi
del Veronese che rappresentano uno dei primi esempi di pittura paesaggistica fine a
se stessa su vasta scala. L’incontro tra questa grande pittura e una grande
architettura come quella del Palladio rappresenta uno dei momenti più felici del
Rinascimento italiano.”
Palladio aveva osservato che gli antichi pur variando nelle loro creazioni rimanevano
invariati su alcune norme precise, dalle quali non si allontanavano mai. Palladio per
questo non si discostava mai da alcuni dogmi architettonici, infatti esigeva la perfetta
simmetria e proporzione. Vi introduceva una sala al centro (posta cioè sull’asse centrale
dell’edificio), e una perfetta simmetria tra gli ambienti ai lati.
“E si deve avvertire, che quelle stanze della parte destra rispondano, e siano uguali a
quelle dalla sinistra: a ciò che la fabbrica sia così in una parte come nell’altra”.
La simmetria quindi era considerato un requisito teoretico della progettazione, ma
raramente nella pratica questa veniva rispettata.
La sistematicità planimetrica divenne quindi l’elemento caratteristico delle ville e palazzi
palladiani.
Trissino quindi aveva già anticipato le piante Palladiane che possono essere considerate
uno sviluppo di quell’archetipo.
Il primo edificio attribuibile a Palladio è la villa Godi Porto a Lonedo, che rispetto la villa a
Cricoli segna un regresso dovuto a una semplice asimmetricità delle finestre sulla
facciata, la pianta appare semplificata rispetto a quella di Cricoli, ma i quattro ambienti di
uguale dimensione su ciascun lato dell’asse centrale perseguono strettamente i principi
di simmetria.
Questa pianta inoltre nella sua semplicità contiene in germe tutti gli elementi
caratteristici dell’evoluzione palladiana.
I caratteri locali e tradizionali scompaiono dopo il soggiorno del Palladio a Roma.
Divenuto architetto di moda a Vicenza Palladio costruì altre ville dal 1550 in poi sotto il
medesimo schema con piccole variazioni.
Le ville italiane. Il loro schema è costituito da logge e un’ampia sala sull’asse centrale,
due o tre soggiorni o stanze da letto di diverse dimensioni ai fianchi. Tra quest’ultimi
ambienti e la sala centrale vi sono i servizi e le scale.
Sono tutte derivate da un’unica forma geometrica e sono state realizzate nel corso di 15
anni circa.
Villa Thiene a Cicogna costruita tra il 1550 e il 1560 illustra lo schema in modo molto
chiaro.
Gli ambienti e i portici sono divisi da due linee longitudinali e da quattro linee trasversali.
Variazione dello stesso tipo è la villa Sarego a Mantegna dove il portico si estende per
tutta la larghezza delle scale.
La pianta della Rotonda inoltre è la realizzazione più perfetta dello schema geometrico
fondamentale.
Una volta trovato lo schema geometrico fondamentale dell’edificio Palladio lo adattava
alle esigenze di ciascun incarico.
Questo comporre e ricomporre apparentemente semplice diveniva complicato nel
momento in cui ci si ritrovava la necessità di armonizzare gli ambienti di per sé e tra di
loro.
Le facciate delle ville palladiane. Le facciate vengono concepite in termini di solido
blocco tridimensionale al contrario dell’architettura francese ed inglese.
Vi è un rapporto stretto tra altezza larghezza e profondità di un edificio, caratteristica
peculiare delle ville palladiane.
Alle facciate delle ville Palladio applicò il frontone del tempio classico associato ai
caratteri di nobiltà e dignità.
Secondo questo grande architetto il frontespizio della villa dava maestosità e
magnificenza dell’opera facendo così la parte anteriore più imponente delle altre parti.
Le facciate degli edifici classici erano sconosciute ma Palladio applicando il frontone del
tempio classico pensava di averle ricreate nelle forme e nello spirito(facciata con ampio
portico e con 8 colonne).
Tale conclusione si basava su 2 errori:
. La teoria dello sviluppo della società secondo la quale l’uomo dapprima abita poi
per ritrovare la felicità(sempre ammesso che sulla terra ci sia) inizi ad abitare con
altri e si creino così i borghi e poi le città e da qui la società-
. Nelle case private vi sono in germe gli edifici pubblici. Secondo il Palladio quindi il
tempio riflette l’aspetto esteriore della casa antica. Egli individua unità elementari
che in determinate condizioni possono essere trasferite dall’una all’altra. Fu il
primo quindi ad innestare coerentemente il frontone del tempio classico e quindi a
riprendere un motivo sacro e a trasporlo in una villa aristocratica nobilitando così
il motivo che si diffuse così ad ampissimo raggio. Esempio eclatante è la Rotonda.
Si deduce quindi che nel costruire queste ville secondo principi di simmetria,
proporzionalità e geometria l’architetto abbia profuso una fecondità inesauribile di idee
che sono generate tutte dal medesimo schema.
3. Palladio e l’architettura classica: palazzi ed edifici pubblici.

Come abbiamo visto gli edifici palladiani posso essere considerati come variazioni di un
unico schema geometrico, espressioni diverse dell’idea platonica della villa, è errato però
pensare che l’idea stessa non subisce un cambiamento.
Il primo grande successo pubblico di Palladio fu il restauro del palazzo medievale della
Ragione a Vicenza per mezzo di una struttura di legno esterna.
Qui rese monumentale la concezione di seguito volgarizzata da Serlio delle “Basiliche dei
nostri tempi”.
Esiste quindi un rapporto , un tertium comparationis tra le basiliche antiche e nuove in
quanto queste sono entrambe sedi giurisdizionali.
Palladio considerava l’edificio moderno come un adattamento al tipo basilicale e il mezzo
per arrivare a ciò erano le forme antiche e classiche nell’interpretazione bramantesca.
L’apice del palazzo rinascimentale tra il 1515 e il 1520 è costituito dai palazzi edificati da
Bramante e da Raffaello a Roma.
Questi sono caratterizzati da un bugnato al piano terra e dal piano nobile liscio,
sequenze maestose di semicolonne raddoppiate, l’uso di poche e grandiose forme, la
sobrietà dei particolari, la compattezza del muro e l’armonioso aggettare delle masse;
tutto ciò conferì un senso di grandezza imperiale.
Questi palazzi vennero ben presto presi come modello in tutta Europa da architetti di
inclinazione classicista.
Palladio si attenne agli edifici del Sanmicheli ma conferì ai suoi edifici un’apparenza più
opulenta e geniale aggiungendo figure stagliate contro il cielo, statue, festoni e
decorazioni alle finestre. Inoltre trasformò il greve ordine doppio delle colonne doriche
in una sequenza singola e più elegante ionica conferendo al pesante bugnato romano
un alone di leggerezza e raffinatezza.
La pianta di Palazzo Porto. Questa non ha precedenti nel ‘500, consiste in due blocchi
simmetrici ai lati di una corte ( ne è stato costruita solo una parte).Egli si inspirò ad una
residenza greca dove gli ambienti dei famigliari erano separati da quelli degli ospiti. Ogni
spazio è diviso da un asse centrale in due gruppi simmetrici di stanze e in ciascun blocco
vi è l’elemento fondamentale è un’ampia sala con quattro colonne, il Tetrastilo che vi si trova
nella parte centrale e dominante della casa, esso è una caratteristica permanente
nei palazzi del Palladio.
Il tetrastilo era formato da colonne cosiddette “quadre” ovvero quadrate per rendere
più stabile la parte superiore che era aperto ma difficilmente una simile soluzione poteva
essere accettata da un architetto moderno.
Palladio adottò la sala tetrastila per il suo atrio (menzionato da Vitruvio). Questa
preferenza era dovuta oltre che alla solidità della struttura anche alla forma quadrata
che secondo Palladio rappresentava la forma perfetta.
E’ significativa inoltre la posizione della scala posta assai scomodamente sotto il portico
su uno dei due lati della corte mosso dal desiderio di costringere chiunque volesse salire
al primo piano ad ammirare per prima la parte più bella dell’edificio(la corte-peristilio-
elemento più importante della casa)
Barbaro afferma che si dà prima un occhio al cortile perché è questa la parte più
importante della casa poiché è a questo che confluiscono tutte le parti della casa.
Il cortile del Palladio riuscì di una grandiosità insorpassata con il suo colonnato gigante
composito.
E’ del tutto chiaro che mentre la facciata risulta ancora bramantesca la pianta assume
uno sviluppo del tutto nuovo.
E’ evidente che Palladio costruiva le sue ville sulla base di descrizioni vitruviane.
Un passo ulteriore è rappresentato da Palazzo Thiene, costruito probabilmente dopo al
1550. Il gruppo costituito dall’atrio con gli ambienti annessi, stanze ottagonali sugli
angoli e vicino ad esse stanze a chiocciola, corrisponde esattamente alla casa romana.
Elemento della villa sconosciuto del tutto nelle case antiche è l’ala estrema opposta
all’ingresso, consiste di piccole stanze ottagonali e rettangolari sui due lati di una lunga
sala centrale conclusa da due absidi.
Si tratta di composizioni riprese da Palladio quando studiò le terme romane e villa
Adriana a Tivoli che egli riteneva fossero proprie dell’antica casa residenziale. Egli sapeva
quindi cogliere l’aspetto dinamico di questa sequenza di ambienti.
Nel 1561 Palladio ricostruì la casa romana nel convento della Carità a Venezia, questo
edificio fu subito avvertito dalla critica infatti il Vasari affermò che lui avesse imitato la
casa che solevano fare gli antichi e lo stesso Palladio confermò questo aggiungendo che
però aveva aggiunto l’atrio corinzio ( atrio vero col soffitto aperto).Dall’atrio si penetra
nel chiostro che essendo troppo grande per un solo ordine fruì di un sistema triplice
come di Colosseo, all’estremo di esso il refettorio.
Così mentre le planimetrie assumevano un carattere sempre più romano, le facciate
tendevano a rompere il classicismo semplice del Bramante.
Palazzo Chiericati progettato poco dopo palazzo Porto presentava un problema
particolare: doveva essere costruito sul lato di una piazza e non in una stretta strada.
Così Egli concepì la facciata nei termini della visione tipica di un palazzo romano e
disegnò lunghi colonnati su due piani.
Il colonnato del piano nobile è interrotto dalle cinque campate centrali.
Qui rese evidente la sua concezione teorica nell’illustrazione dell’intera facciata, infatti
lasciò bianchi gli ordini e configurò i muri alla stessa maniera conferendo alla facciata un
disegno simile a quello della piazza. Per la piazza concepì un grande colonnato con ricchi
ordini ionici e corinzi, mentre per palazzo Chiericati scelse un casto dorico per la parte
inferiore e uno ionico disadorno per quella superiore. Il dorico serba ancora qualcosa
della semplice grandiosità del tempietto di Bramante.
Gualdo racconta che Palladio dopo la visita a Roma del 1554 attuò una metamorfosi dello
stile delle facciate e delle sue piante.
Ne è primo documento la facciata di palazzo Thiene che presenta ancora il rustico nella
parte inferiore e un ordine unico nella superiore. Il rustico del basamento non ha più
carattere decorativo al contrario i blocchi rozzamente sbozzati danno un impressione di
massa e di potenza simile a quella delle mura di Augusto dei fori.
L’arco di ingresso fu un altro motivo molto presente nel manierismo italiano dopo che fu
usato da Raffaello nel palazzo Pandolfini a Firenze. Il muro del piano nobile consiste in
un bugnato piatto e a taglio netto al quale si sovrappone l’ordine.
La contradditorietà della combinazione delle pareti a contrasto attrasse gli architetti
manieristi del tempo predisposti al non finito di un simile ordine sfruttandone le
molteplici virtualità, lo stesso Palladio fece di questo contrasto il tema fondamentale.
Nel palazzo Thiene ricorre il tema di un ordine minore alternato ad un ordine maggiore,
questo è il motivo ricorrente nell’architettura manieristica.
Il ricorso orizzontale del fregio dell’ordine minore, correndo lungo tutta la lunghezza
della facciata interferisce con la consistenza del muro bugnato, tagliandolo in due.
Lo stimolo dei palazzi capitolini appare nell’uso combinato di un ordine gigante e di uno
minore.
Nel palazzo Valmarana inoltre il muro è pressoché eliminato, la cornice delle finestre del
piano nobile tocca il cornicione superiore ed è chiusa ai lati da enormi capitelli. Un
contrasto ulteriore sorge tra le modanature svelte e i volumi massicci dei pilastri.
Il trattamento del pian terreno è estremamente complesso poiché il piccolo ordine
corinzio si addossa a un muro bugnato, infatti le strisce ai lati delle finestre sono stati
trattati in modo da apparire pilastri toscani con propri capitelli( il che da l’impressione di
un terzo ordine).
Al di sopra delle finestre si hanno delle formelle a rilievo esse si trovano in un piano più
profondo rispetto al bugnato e quest’ultimo fa da cornice per esse.
Palladio seguiva la propria strada senza alcun riguardo ai modelli antichi.
Il sistema di questo Palazzo non è coerente mentre lo erano gli edifici descritti prima di
questo.
Il sistema è interrotto da un portale di stravagante altezza e dalla completa diversità di
trattamento delle due campate terminali, le finestre hanno un intelaiatura dissimile e
sono di altezza differente.
In nessun edificio azzardò così tanto da abbandonare e determinare una rottura tanto
deliberata delle autorevoli convenzioni classiche.
Il cornicione è di aggetto più pronunciato al di sopra di ciascun pilastro dell’ordine
maggiore , l’architrave è tutto su un solo piano, ad eccezione degli angoli.
Il più importante edificio del Palladio è a Vicenza ed è la Loggia del Capitanio, della quale
vennero erette soltanto tre campate nel 1571.
Questo palazzo si colloca tra i palazzi comunali che presenta sempre le logge aperte a
uso del pubblico al di sotto euffici nella parte superiore.
Palladio conferì alla facciata di grande potenza per mezzo di semicolonne giganti, le
finestre tagliano il cornicione e pesanti balconi posano su pezzi del cornicione con triglifi.
La facciata laterale forma un’unità particolare fondata sul motivo trionfale.
Arco di Settimio Severo: mostra anche il contrasto tra i rilievi minuti e la qualità massiccia
dei membri architettonici.
Arco di Orange: è decorato su tutta la superficie con trofei, simboli di vittoria.
I rilievi della Loggia di Capitanio rappresentano trofei classici rappresentando così un
simbolo di vittoria.
Sulla facciata laterale vi sono così sei figure allegoriche che rappresentano la Pace e la
Vittoria che sembra che alludano alla battaglia di Lepanto e tutti gli altri elementi
decorativi alludono all’elemento acqueo.
Costruita con straordinaria rapidità infatti fu iniziato e terminato nel 1571.Alcune decisioni
furono prese in corso d’opera. La sfera artistica fu sottoposta a quella politica.
Secondo Palladio esisteva un’affinità profonda tra la loggia monumentale e l’arco
trionfale.
In occasione della solenne visita di Enrico III di Francia Palladio allestì un arco trionfale
simile a quello di Settimo Sereno dietro al quale sorgeva un loggiato di dodici colonne
corinzie uguali in altezza alle colonne dell’arco.
Nella loggia quel carattere fondamentale appena visibile nel palazzo Valmarana è
divenuto un aspetto dominante ed eclissa gli elementi manieristici.
Egli era quindi fortemente affascinato dai ruderi delle antiche terme romane ed era
arrivato a riprodurre un architettura per lui ignota che era quella ellenica.
La loggia del Capitanio e la Basilica palladiana si trovano sulla medesima piazza e
trasfigurano l’evoluzione architettonica del Palladio. Infatti il primo edificio è fondato su
esempi Bramanteschi e cioè su una interpretazione contemporanea di un’architettura
classica.
L’ultimo edificio invece è l’impressione di un atteggiamento strettamente personale
infatti in esso appare una trasfigurazione libera ed emotiva dei modelli antichi.

4. Genesi di un’idea: le facciate delle chiese palladiane.

Già avanti negli anni, Palladio costruì a Venezia due grandi chiese e la facciata per una terza.
La facciata appartiene a San Francesco della Vigna , mentre le due chiese sono San Giorgio
Maggiore e il Redentore.
Le tre facciate si basano su un unico schema: un fronte colossale di un tempio classico che
chiude la navata centrale, mentre un ordine minore, che sostiene un settore di timpano,
chiude le navate laterali. Uno schema generale di questo prospetto può essere descritto
come una sovrapposizione di due fronti di tempio uno maggiore e l'altro minore.
Per gli architetti rinascimentali la facciata di una chiesa solleva uno dei problemi più complessi
che potessero essere chiamati a risolvere. C'erano due modi per affrontare i problemi:
1 c'erano quelli che pensavano in termini classici e vedevano la chiesa cristiana come l'erede
legittima del tempio antico e quindi si battevano per applicare la facciata dei templi alle
chiese
2 c'erano quelli invece che puntavano al sistema basilicale, un'alta navata centrale e due
laterali più basse.

All'opposto del manierismo michelangiolesco, che turba e sconvolge profondamente,


quello di Palladio è sobrio e accademico, e quasi non tocca i dettagli costruttivi: capitelli,
ornamentazioni e fregi mantengono tutto il significato, la forma, i rapporti classici.
Gli edifici palladiani obbediscono hai principi vitruviani, poiché in essi si rispettava la congruità
tra tutte le parti, la cosi detta “dispositio”, e poi la “symmetria” ovvero quel rapporto
matematico fisso delle parti fra loro e fra le parti e il tutto, ad esempio la facciata di San
Francesco della Vigna rappresenta benissimo quanto detto.
Venne applicata un'unità di misura, il modulus, a tutte le dimensioni della facciata. L'unità di
base, un modulo, è il diametro delle piccole colonne, di due piedi, e l'altezza è di venti piedi,
vale a dire dieci moduli. Il rapporto tra il diametro e l'altezza è di 1 : 10, sia per l'ordine minore
che per quello maggiore, mentre il rapporto tra i due ordini è di 1 : 2.
Senza dover riportare tutte le misure, come in Santa Maria Novella dell' Alberti, agiscono qui
come in tutto l'edificio rapporti semplici fondati sul medesimo modulo.
Tutta la parte centrale della facciata,corrispondente alla navata maggiore, è ampia 27 moduli.
La scelta del numero 27 da parte di Palladio può essere chiarita inizialmente parlando di come
il maestro considerava la symmetria, ovvero una relazione significativa di numeri,
corrispondente a quell'ordine cosmico che Pitagora e Platone avevano rivelato.

Le facciate palladiane rappresentano l'apice di un'evoluzione alla quale, hanno contribuito i


grandi architetti legati al mondo classico: Bramante, Alberti, Peruzzi.
Lo schema di Palladio ebbe un gran successo e inoltre fu adattato e trascritto per
duecentocinquant'anni.

5. Concezioni ottiche e psicologiche di Palladio: il Redentore

La sua ultima chiesa, il Redentore, rientra in una categoria particolare; ma persino la


precedente chiesa di San Giorgio Maggiore presenta alcune caratteristiche non comuni, che
possiamo riassumere cosi:
1) la pianta consiste in tre parti nettamente differenziate, la croce latina, con la breve
navata e una grandiosa cupola; il presbiterio, rettangolare con colonne isolate negli
angoli rientranti; e il coro, separato da presbiterio per mezzo del diaframma di un
imponente colonnato.
2) Queste tre unità sono differenziate anche altimetricamente: il pavimento del
presbiterio è posto tre gradini più alto rispetto alla navata e il pavimento del coro si
trovo quattro gradini più in alto a confronto al presbiterio.
3) L'altare è disposto di fronte alle due coppie di colonne che aprono una prospettiva sul
coro
4) c'è anche una differenziazione cromatica; le semicolenne di pietra grigia sono
contrapposte ai candidi pilastri
5) nel coro l'ordine architettonico cambia, Palladio crea una sequenza di nicchie e
edicole alternate, derivante dai modelli classici

Nel redentore, Palladio adatta tutti gli elementi sopra indicati ad un tipo planimetrico
diverso. La navata presenta tre profonde cappelle su ciascun lato, ma non ha navate laterali,
richiama la sala delle terme romane. Nel Redentore Palladio affronta nuovamente l'antico
problema del tipo “composito” di edificio sacro, nel quale cioè un impianto centralizzato a
cupola è collegato a una navata longitudinale. Per risolvere la questione Palladio scelse la via
opposta agli architetti rinascimentali e separò nettamente la navata longitudinale dall'area
centrale con le sue tre absidi a semicerchio.
Guardando dalla navata verso la parte centralizzata, dal punto di vista dei fedeli, entra in
gioco una ripetizione diversa e nuova. Qui l'unificazione degli spazi è ottenuta per mezzo
della predisposizione di vedute di vedute analoghe su spazi lontani.
Altro elemento rivoluzionario è l'esedra (In architettura è un incavo semicircolare) di colonne
libere, derivata dalle terme romane è già realizzata anche se in maniera meno sviluppata in
San Giorgio Maggiore. Queste colonne hanno una triplice funzione: anzitutto, deve costituire
uno sfondo potente, soprattutto nei pressi dell'altare ove le semicolonne della navata
appaiono liberate dalla connessione con il muro; in secondo luogo, servono a mantenere
l'uniformità della parete. Inoltre, lo schermo di colonne ci invita a far vagare l'occhio nello
spazio che si estende al di là di esse, uno spazio dove i fedeli non sono ammessi.
Queste colonne costituiscono una barriera tanto ottica che psicologica.

Parte Quarta. Il problema della proporzione armonica in architettura

La convinzione che l'architettura sia scienza, e che ciascun parte dell'edificio debba integrarsi
in un unico e identico sistema di rapporti matematici, può essere definita l'assioma degli
architetti del rinascimento. I rapporti devono armonizzarsi con concezioni di ordine superiore,
un edificio dovrebbe rispecchiare le proporzioni del corpo umano (autorità vitruviana).

1. Il programma platonico di Francesco Giorgi per San Francesco della Vigna

Giorgi all'interno del memorandum platonico sulle proporzioni di San Francesco suggerisce di
fissare la larghezza della navata di 9 passi e la lunghezza di 27, ovvero il quadrato e il cubo di
3, numero primo e divino. Questa proporzione viene persino definita in termini musicali
ovvero in un ottava e in una quinta naturale (diapason e diapente).
Fu proprio Pitagora a scoprire come i toni si possono misurare spazialmente e proprio questa
scoperta fece pensare di aver ritrovato la legge armonica, sulla quale fu in gran parte
costruito il simbolismo e il misticismo numerico.
L'armonia del mondo si esprime nella serie di sette numeri 1, 2, 3, 4, 8, 9, 27, che contiene in sé
il ritmo segreto del microcosmo e macrocosmo: i rapporti tra questi numeri racchiudono le
armonie musicali, la musica inaudibile dei cieli e la struttura dell'anima umana.
Giorgi infine richiede che sulla facciata vengano ripresi i rapporti dell'interno.

2. i medi proporzionali in architettura

Palladio fornisce norme generali sulle proporzioni dell'altezza degli ambienti rispetto alla
lunghezza e alla larghezza, vale a dire circa il rapporto tra le tre dimensioni che definiscono la
forma di un ambiente. Per ciascuna di queste tre dimensioni egli indica un metodo di calcolo
dell'altezza in base alla larghezza e alla lunghezza, sia per mezzo di un procedimento
geometrico che di uno aritmetico. Come abbiamo già detto i tre medi, che determinano le
armonie musicali, occupano la posizione centrale nella scelta delle proporzioni compiuta da
quegli architetti rinascimentali che avevano fatto proprie le idee umanistiche e
neoplatoniche.
Palladio quando costruiva le chiese puntava, non alla suggestione dell'occhio, ma ad
armonizzazioni spaziali prodotte per mezzo di rapporti universalmente validi.

3. il sistema proporzionale fugato di palladio

Per quanto mi è noto, la guida più pratica per un coerente sistema proporzionale è costituita
dalle tavole dei “Quattro Libri” di Palladio, che se interpretate correttamente esse sono una
chiave al problema della proporzione armonica. L'applicazione di moduli non significa
necessariamente che i rapporti in tutto l'edificio debbano essere armonici; ma il modo di
legare sistematicamente l'una stanza all'altra per mezzo di proporzioni armoniche costituì la
novità fondamentale dell'architettura di Palladio.
Questi rapporti proporzionali , che altri architetti avevano usato in corrispondenza delle due
dimensioni di una facciata, o delle tre dimensioni di un singolo ambiente, furono da lui
impiegati per integrare un intero edificio. L'esigenza che le parti corrispondono al tutto venne
soddisfatta maggiormente nelle chiese, dalla relazione tra navata centrale, navate laterali e
cappelle. La convinzione che le proporzioni dei suoni e quelle dello spazio sono in stretta
relazione, appartiene al bagaglio intellettuale del Rinascimento, e non occorreva alcun
particolare intellettualismo per tradurle in pratica.

4. rapporti palladiani e lo sviluppo della teoria musicale nel Cinquecento

I rapporti fondati sui piccoli numeri interi della scala musicale greca (1: 2: 3: 4) non sono
affatto gli unici che si possono ritrovare nelle piante palladiane. Palladio mostrò una certa
predilezione per le stanze che misurassero 18x 30 o 12x20, vale a dire un rapporto di 3:5.
Il primo che protestò contro gli accordi pitagorici fu Ludovico Fogliano che sosteneva che
anche altri potevano essere accordi validi, in seguito Zarlino, grande teorico veneziano, che
con atteggiamento rigorosamente scientifico classificò tutto il materiale armonico
tramandato dall'antichità.
Per risolvere ogni incertezza circa le intenzioni di Palladio, è quello di leggere gli importanti
capitoli del commento a Vitruvio di Daniele Barbaro.
Barbaro si volge a trattare della “proportionalità” che dichiara di contenere in sé l'essenza di
ogni opera d'arte, esclamando < tutto il segreto dell'arte sta nella proportionalità> . Egli
definisce il termine proportione come il rapporto tra due grandezze, e la proportionalità
come il rispetto e comparazione da una proporzione all'altra; in seguito spiega i rapporti
compositi, che considera della massima importanza.

“ I numeri hanno un divino potere quando le proporzioni sono armoniche”


pensiero di Barbaro

La teoria e la pratica della proporzione rinascimentale non divorziarono l'una dall'altra, né la


proporzione negli edifici rinascimentali dev'essere considerata isolatamente.
Sotto una cupola rinascimentale Barbaro poteva percepire un debole eco dell'inaudibile
musica delle sfere.

5. la rottura delle leggi della proporzione armonica in architettura

L'opera palladiana rimase canonica per quegli architetti accademici che si erano mantenuti
fedeli all'idea dei rapporti armonici. Ma quest'idea, nei luoghi e nei momenti in cui vi si fece
ricorso in architettura, man mano venne a perdere la sua applicabilità universale; anzi assai
presto le concezioni rinascimentali sulla proporzionalità vennero completamente rovesciate.
La critica di Tommaso Temanza (scrittore della biografia di Palladio) nell'applicazione
generale delle consonanze musicali all'architettura, si fonda su due obiezioni che rivelano un
punto di vista interamente nuovo. La prima è che l'occhio non è capace di percepire
simultaneamente i rapporti di lunghezza, larghezza e altezza di una stanza; l'altra, che le
proporzioni architettoniche devono essere giudicate in base all'angolo di visibilità sotto il
quale è osservato l'edificio. In altre parole, le proporzioni architettoniche non possono essere
assolute, ma relative. Qui l'accento si è spostato dalla verità oggettiva dell'edificio alla realtà
soggettiva della proporzione individuale di esso. E' questo il motivo per cui Temanza
considera l'uso dei medi proporzionali come più misterioso che ragionevole.
Nel quadro di una concezione interamente nuova del mondo, la proporzione divenne un
fatto di sensibilità individuale, e sotto questo riguardo l'architetto acquistò una libertà
completa dai vincoli dei rapporti matematici. A riguardo potremo far riferimento a Ruskin:

“Le proporzioni possibili sono infinite come infinite sono le possibili arie melodiche, e che si
deve lasciare all'ispirazione dell'artista di inventarle.”

L'argomento è oggi di nuovo molto vivo nei giovani architetti contemporanei.

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