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MANUAL DE KITZINGER (DOS IGLESIAS DE RAVENA)

INTRODUCCIÓN SOBRE RAVENNA

È solo a Ravenna che ancora oggi è possibile vedere una successione di edi ci del V e
dell’inizio del VI secolo con decorazioni a mosaico. Ma queste decorazioni, lungi
dall’essere prodotto di una chiusa scuola regionale, ri ettono sviluppi molto più ampi.
Ravenna fu città senza importante tradizione culturale o artistica e che improvvisamente,
all’inizio del V secolo, si trovò imposto il ruolo di capitale. Non sappiamo nulla in merito
alle origini e alla formazione delle generazioni di mosaicisti che Ravenna lavorarono per
una sequela di potenti committenti, laici ed ecclesiastici. È una delle principali incertezze
della storia dell’arte dei secoli V e VI. I mosaici stessi, comunque, suggeriscono una
varietà di connessioni e relazioni esterne, come avremo occasione di vedere. D’altra
parte, nella produzione di Ravenna la continuità certo non manca. Ci sono legami del
tutto evidenti tra opere cronologicamente successive. Pertanto, concentrandomi su
Ravenna, sarò in grado sia di tracciare con qualche coerenza le linee del suo sviluppo
interno, sia di abbozzare un quadro più ampio del fenomeno in cui tale sviluppo rientra.

MAUSOLEO DI GALLA PLACIDIA

Costruito come cappella annessa alla Basilica della Santa Croce, la quale ora non
presenta più la sua conformazione originale. La basilica sembra essere stata eretta da
Galla Placidia, glia di Teodosio I e imperatrice d´Occidente dal 424 al 450; sebbene sia
pressoché certo che la cappella non fu il suo mausoleo, ci sono buone ragioni per credere
che sia stata costruita e decorata durante il suo regno. È in assoluto il più antico interno
che abbia conservati intatti i suoi mosaici parietali.

Alla base di tutta la sua concezione sta un´evidente distinzione tra bidimensionalità e
tridimensionalità, tra accettazione e negazione della super cie, tratto che abbiamo trovato
caratteristico delle decorazioni pavimentali rientranti nella tradizione dell´emblema.

Cie invero un elemento, in questo interno ravennate, che non può essere descritto
altrimenti che come vero e proprio emblema. Mi riferisco alla famosa ra gurazione del
Buon Pastore nella lunetta sopra la porta d’ingresso. Nonostante la pesante simbologia
del messaggio, l’abito regale, aureola e lo scettro a croce della gura mettono in chiaro a
prima vista che questo non è un normale guardiano di pecore, la rappresentazione
mantiene molti dei caratteri tipici di una scena bucolica secondo la tradizione ellenistica.
Lo sfondo roccioso, è vero, è formato da motivi convenzionali. Ma non è solo uno sfondo.
Il pastore sembra realmente assiso in esso e reagisce alla spaziosità dell’ambiente con
una complicata torsione delle braccia e delle gambe. Sebbene la distribuzione delle sei
pecore riesca appena a evitare una simmetria da stemma, nel suo complesso il mosaico,
con il suo orizzonte piuttosto basso, con gli alberi e le rocce proiettati contro un “cielo”
azzurro, evoca in modo convincente l’idea di uno spazio all’aperto che sfuma in una
distanza inde nita. L´impressione è vigorosamente ra orzata dalla soglia o gradino di
roccia crepare in primo piano, un antico espediente dei pittori di pannelli del periodo
tardo ellenistico e romano, che sottolinea la collocazione della scena benehal di là della
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cornice e nel contempo potenzia l’illusione che vi sia una base orizzontale al di sotto della
gura.

La rappresentazione del Buon Pastore ricorda il mosaico dell´abside di Santa Pudenziana


e altre opere del volgere del secolo. Realizzato circa una generazione più tardi, il mosaico
di Ravenna testimonia della persistenza di un forte interesse per la creazione dell’illusione
di uno spazio che retroceda in profondità. Ancora una volta, l’artista raggiunge il suo
scopo con l’ausilio di espedienti privati da un periodo molto precedente. Innegabilmente
questa è un’opera ancora nello spirito della “rinascenza” del tardo IV secolo. La resa
stilistica del nostro pastore non ha niente in comune con quella delle poche gure del
mosaico romano che abbiano mantenuto il loro aspetto originale; e c´e una marcata
di erenza tra la grandiosa veduta che si dispiega in quell´ abside e intimità di questo idilio
pastorale, che non può non dare l’idea di un quadro del tipo “da cavalletto”.

In tutto e per tutto correlato con i componenti dell´architettura, tale gioco mette
sistematicamente e ritmicamente in risalto o in contrasto ora luna ora l’altra di queste
parti, evidenziando vigorosamente l’organizzazione strutturale dell´interno. In particolare, il
contrasto tra forme bi e tridimensionali viene usato per evidenziare le coperture di singole
partizioni contro le loro chiusure verticali, murarie. L´apertura della veduta che troviamo
nel mosaico del Buon Pastore non trova corrispondenza nella composizione della lunetta
sul braccio opposto della croce, che rappresenta San Lorenzo. Una nestra al centro del
pannello impedisce un´unitaria illusione di profondità. Nondimeno, i due oggetti con cui la
gura del santo spartisce lo spazio, un armadietto libreria aperto, con i quattro Vangeli
esposti sui ripiani; la graticola del martirio, presentati entrambi in una forzata veduta di
scorcio, creano accenti decisamente tridimensionali. Questi oggetti danno l’impressione
di essere esposti in una qualche sorta di scena all’aperto. San Lorenzo, con il libro in
mano e la croce sulla spalla, sta entrando in gran fretta dalla destra per adempiere la sua
missione. La sua immagine, come quella del Pastore, è del tutto contestuale, percepita
come se si trovasse al di là della cornice, mentre in alto i di onde il medesimo motivo a
stelle della volta a botte opposta.

Le lunette negli altri due bracci della croce non si aprono. Allo stesso modo. Occupate da
due composizioni identiche, coppie di cervi ai due lati di una fonte d’acqua, esse sono
chiaramente subordinate ai mosaici del Buon Pastore e di San Lorenzo, cui il loro
disegno, più geometrico, conferisce ancor maggiore risalto. Qui la profondità è esclusa
dal disegno del motivo a rinceaux che avvolge i cervi. Così le lunette con i cervi possono
condurre lo sguardo alle decorazioni delle adiacenti volte a botte, e tuttavia restano in
marcato contrasto con i mosaici di tali volte. Gli animali, collocati su strisce di terreno
verdeggianti contro lo sfondo blu, sono pienamente modellati, e lo stesso vale per il
fogliame che li circonda. Per contrasto i motivi a rincepux, egualmente ricci, che
decorano le volte a botte sono interamente resi come silhouette dorate, coerentemente
con le super ci che li. sostengono.

La forma tridimensionale si staglia contro il disegno essenzialmente bidimensionale delle


super ci parietali e del so tto della zona superiore. Qui, nella parte centrale, coppie di
apostoli stanno nelle quattro lunette, acclamando la croce che appare al centro della volta
stellata sovrastante. Come già nel caso del Buon Pastore e di San Lorenzo, esse hanno

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una scena reale per muoversi e agire. Da uno sfondo blu scuro emergono
misteriosamente gli strani supporti su cui sta ciascuna coppia. Per contrasto la visione
celestiale della volta sovrastante, la croce, le stelle e negli angoli i simboli apocalittici, è
ancora una volta resa con un monocromo disegno dorato su sfondo blu.

Le pareti sono ora più ora meno dissimulare mentre i so tti sono esteticamente accettati
in quanto so tti, persino quando rappresentano il cielo stellato. Alcuni degli elementi
portanti, veri o apparenti che siano, sono decorati con motivi fortemente tridimensionali
che in e etti dissolvono la loro consistenza sica. È nella decorazione di una camera
funerario el II secolo a Palmira che troviamo una lunetta in analogo contrasto rispetto a un
´adiacente volta a botte, in termini di negazione contro accettazione della super cie. Nell
´Oriente greco era stato seguito per molto più tempo e in modo ancora più tenace che
nell’Occidente latino. In ogni caso, quali che siano le sue precise radici geogra che, l’arte
della cappella di Galla Placidia si rifà al passato ellenistico.

BATTISTERO DEGLI ORTODOSSI

Una struttura ottagonale costruita come battistero per il Duomo verso la ne del IV secolo
e decorata con mosaici dal vescovo Neone poco dopo la metà del quinto. La decorazione
Neone rientrava in un ripensamento radicale del battistero per cui l’originale copertura
lignea fu sostituita da una cupola. La scala qui è molto più piccola di quella della cupola
di Tessalonica; ma osservare la sontuosa decorazione di Neone serbando Tessalonica in
mente è assai istruttivo.

Senza dubbio il disegno del mosaico della cupola di Ravenna è anch’esso basato sul
concetto di due ampie bande concentriche intorno ad un medaglione centrale sulla
sommità, con la banda più esterna, ovvero più bassa, che presenta una “facciata”
relativamente consistente e la banda più interna, ovvero più alta, che si apre su un
distante spazio aereo. Anche qui candelabri oreali dividono la banda più esterna in otto
partizioni; anche qui tali partiti siano a un solo piano e non fungano da sfondo a gure
umane. La banda interna presenta un “cielo” blu scuro sovrastante una striscia continua
di terreno, paragonabile a quella che appare in corrispondente posizione nella cupola di
Tessalonica; anche qui, questo paesaggio aperto serve da base a gure in vivace
movimento, in questo caso gli apostoli, che reggono una corona e che sono disposti un
due le guidate rispettivamente da Pietro e Paolo. Ma a di erenza del coro delle gure in
movimento di Tessalonica, che si può presumere in rapporto sico ed emotivo con l
´apparizione celeste al centro, questa processione di apostoli, pur con tutto il suo e etto
dinamico, è conchiusa in se stessa e senza una meta evidente. La scena del Battesimo di
Cristo nel medaglione centrale, pur adeguata in termini di collocazione nell’apice del
battistero, sta del tutto a sé.

Pertanto la composizione è priva di quella unità drammatica che il mosaico della cupola
di Tessalonica indubbiamente possedeva. Analogamente, l´e etto visivo di veduta aperta
su una banda architettonica chiusa, che pure è presente anche a Ravenna, è lungi
dall’essere chiaro ed esplicito. Sebbene le otto vedute architettoniche che costituiscono il
registro esterno della cupola del battistero suggeriscano dimore soprannaturali e
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celestiali, come avviene nei loro paralleli di Tessalonica, comparate con quelle fantasie
oro su oro esse danno l’impressione di una assai maggiore consistenza. Sugli assi
diagonali sono rappresentati gli interni di quattro santuari, ciascuno dei quali con un
tavolo altare che mostra uno dei quattro Vangeli. Gli edi ci sugli assi principali, d’altronde,
servendo da sfondo a troni tempestati di gioielli che portano l’insegna imperiale del
dominio universale di Cristo, assumono la forma di padiglioni in giardini all’aperto. Dietro
di loro si intravede un cielo blu scuro. Pertanto, almeno in questi ultimi compartimenti, il
contrasto con la zona più alta è sostanzialmente negato. Ed è ulteriormente negato dal
fatto che qui le partizioni dei candelabri oreali si estendono anche alla zona più alta.
Poiché la processione degli apostoli richiedeva dodici di questi elementi oreali, i loro assi
non potevano essere in coincidenza con quelli dei candelabri della zona inferiore, assi che
a loro volta furono determinati dalla forma ottagonale dell’edi cio. Ma nonostante questo
scollegamento, è evidente che qui è intervenuto uno schema decorativo della cupola
completamente diverso, uno schema basato su partizioni radiali piuttosto che su bande
concentriche. Questo schema ha una sua tradizione, rappresentata, per esempio dalla
perdura decorazione musiva della cupola di Santa Costanza a Roma, della metà del IV
secolo. L´in usso di questo disegno radiale spiega anche il fatto che i candelabri oreali
che dividono le otto vedute architettoniche della banda esterna si estendono qui anche al
di sotto della banda stessa. Essi salgono dai pennacchi sottostanti e si connettono con il
sistema di supporti verticali che articola i muri dell’edi cio. Di fatto, dunque, il mosaico
della cupola del Battistero degli Ortodossi è il risultato di una fusione di due schemi
completamente diversi.

Entrambi gli schemi sono in grado di produrre un e etto di illusione spaziale. Abbiamo
visto come, date due bande concentriche, quella esterna o più bassa, possa servire come
sorta di repoussoir per una composizione più aperta spazialmente nella banda interna, o
più alta. La resa oreale dei raggi riusciva, infatti, a dare alla cupola la parvenza di una
sorta di padiglione aperto o di pergolato, caratterizzato, negli interstizi, da
rappresentazioni che retrocedono a distanza. Tale, invero, deve essere stato l’e etto della
cupola di Santa Costanza. Ma nella cupola del Battistero degli Ortodossi, in cui i due
schemi sono combinati, le implicazioni spaziali di entrambi sono seriamente ridotte.
L’e etto a pergolato non è unitario, dato l’intervento di un cerchio concentrico e data la
discontinuità dei supporti oreali. D’altro canto, il contrasto tra la banda esterna e quella
interna è in certa misura neutralizzato poiché le forme solide tridimensionali e il cielo blu
scuro creano e etti spaziali indebitamente forti nella zona più bassa mentre nella zona
superiore la composizione dorata dei supporti fronzuti accentua il primo piano piuttosto
che la profondità. Sono chiaramente presenti gli elementi di speci ca illusione spaziale
impliciti in entrambi i modelli di base, ma sono in con itto, e ciò che predomina alla ne è
la complicata con gurazione bidimensionale che risulta dalla loro sovrapposizione. Lo
schema viene vigorosamente ra orzato dalla resa degli apostoli nella zona “libera”. È vero
che essi sono in movimento, ma ogni gura trova posto adeguato in uno scomparto
uniforme per disegno e dimensioni. Le teste sono relativamente piccole mentre i contorni
delle vesti si allargano verso il bassi, per rispondere alla forma cuneiforme degli
scomparti. E, signi cativamente, gli apostoli non introducono accenti cromatici diversi da

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quelli degli elementi che li incorniciano; le loro tuniche e i loro manti sono
alternativamente dorati e bianchi.

Si tratta pertanto di un e etto bidimensionale, di uno schema ricco e mosso che prevale
sugli elementi che suggeriscono profondità e illusione spaziale. L’equilibrio che era
esistito nella cappella di Galla Placidia è andato perduto. Qui c´e tensione e con itto tra le
forze di negazione e quelle di accettazione della super cie, un con itto signi cativo anche
perché documentato dall’impiego simultaneo di due concetti di decorazione della cupola
sostanzialmente incompatibili tra loro.

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MANUAL DE CHIESE E MOSAICI DI MADABA
INTRODUCCIÓN
Madaba occupa un posto modesto nella storia del Moab all’epoca biblica, ma senza la
scoperta della Carta le opere di divulgazione e i manuali specializzati non ne avrebbero
conservato neanche il nome. Il monte Nebo, che la morte di Mosè ha situato per sempre
nella storia universale, sarebbe rimasto un punto astratto nell´atlanté geogra co senza gli
scavi di padre Saller e le qualità organizzative di fra Girolamo Mihaic. L´archeologia prova
qui, meglio ancora che su altri siti citati più sovente dagli antichi autori o più spettacolari
per le rovine conservate, che il suo apporto è essenziale.

Per i mosaici delle sue chiese e degli edi ci pubblici e privati nora scoperti, Madaba è
stata giustamente indicata come un centro importante dell’arte del mosaico in Giordania,
tanto da far scrivere di una Scuola di Madaba operante in città e nella regione.

L´abbondante materiale di epoca bizantina riguardante la città di Madaba e la regione


circostante è stato diviso in due parti distinte ma complementaria ai ni della ricerca. La
prima parte è dedicata esclusivamente alle antichità cristiane di epoca bizantino-
omayyade della città episcopale. Nella presentazione dei monumenti abbiamo seguito più
l’ordine di importanza dei risultati ottenuti durante gli scavi che un rigido percorso
topogra co.

L´esplorazione del territorio di Madaba ebbe luogo indipendentemente dall’esplorazione


del tell della città, che solo dal 1880 riprese la sua centralità e divenne punto di partenza
per la conoscenza approfondita della regione. Inizialmente gli esploratori seguirono due
direttrici principali per i loro spostamenti nella regione. Da nord, lungo la Strada dei Re,
giunse Seetzen che da Madaba proseguì per et-Teym sulla strada di Ma´in; scese a Libb,
dirigendosi verso Dhiban e si informò sulle località dei dintorni come Um er-Rasas, Ma´in
e Mekawer. Suller sue tracce, Burchardt sali no ad Ataruz e a Qurayat.

Nel 1984 la spedizione francescana al Monte Nebo ha iniziato l’esplorazione archeologica


delle chiese nel wadi´Ayoun Mousa e ripreso lo scavo in profondità sotto la cappella del
Prete Giovanni al villaggio di Nebo. Un saggio, sempre del 1984, nella chiesa di en-Nitl fu
forzatamente interrotto. Nell’estate del 1986 la stessa spedizione, in collaborazione con il
Dipartimento delle Antichità, ha iniziato l’esplorazione delle rovine di Um er-Rasas con lo
scavo del complesso di Santo Stefano.

LA CATTEDRALE DI MADABA
Con il nome di “cattedrale”, padre Sèjournè volle caratterizzare un edi cio ecclesiastico
bizantino dalle dimensioni insolite, identi cato tra le rovine di Madaba. Con i lavori
condotti in collaborazione con il Dipartimento delle Antichità di Giordania dal 1979 al
1981, ho tentato di precisare la sionomia reale di tale complesso che, se non è la
“cattedrale”, è certamente unico a Madaba per le dimensioni e per i dati storici e artistici
che conserva.

A sud dell´acropoli, in un´area pianeggiante del pendio scosceso del tell di Madaba, tra le
case ricostruite qualche anno prima dalle famiglie dei Masarweh e dei Ghishan,
Schumacher rilevo nell’ottobre 1891 i resti di una grande basilica. L’ingegnere si limitò a
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misurare e a riportare in neretto quanto aveva visto: i resti di due absidi, il giardino del
presbiterio con il pavimento decorato a marmi policromi, alcune basi delle colonne che
dividevano la navata centrale da quella meridionale, quest´ultima rialzata com un doppio
pavimento mosaico. A ovest, due muri che potevano aver fatto parte del nartece della
basilica.

L’anno seguente padre Sèjournè provò a dare una sionomia unitaria all´edi cio. Da te le
dimensioni inconsuete della basilica, ricostruita con tali elementi, l’edi cio venne
battezzato come “la cattedrale di Madaba”.

Nel 1895 vi ritornò Bliss che, ,malgrado le di coltà incontrate, presentò una pianta
regolare che de nì “accurata”. La chiesa fu rivisitata nel 1897 da Musil, che aggiunse alla
sommaria descrizione una pianta anch’essa ricostruita sui pochi elementi visibili. Nel
1899 don Manfredi pubblicò una pianta schematica dell’edi cio molto simile a quella del
Bliss, con gli stessi elementi che ritroviamo nella pianta di Pauloskij-Kluge, ripresi a sua
volta da Metaxakis. La descrizione dell´archimandrita è accompagnata da una foto della
zona abissale.

Nel 1911 padre Savignac potè fotografare e pubblicare l’iscrizione di un mosaico


pavimentale scoperto in un ambiente a nord dell´abside, datato al tempo del vescovo
Leonzio nel 603 d.C.

Nell’ottobre del 1968 il Dipartimento delle Antichità condusse dei lavori di scavo nel
cortile dei Masarweh, nell’area occidentale del complesso. Sul lato orientale del cortile fu
rimessa in luce una soglia di porta in marmo, in relazione con un pavimento mosaico a
grosse tessere bianche.

Sul lato meridionale fu scoperto, ma sol parzialmente, un pavimento mosaico datato al


562, al tempo del vescovo Giovanni. Il mosaico e l’iscrizione vennero pubblicati da padre
Saller, il quale sottolineò l´importanza storica della scoperta, per la datazione di altri lavori
già noti, eseguiti al tempo del vescovo Giovanni.

Ulteriori ricerche vennero condotte nella primavera del 1973 nel cortile dei Ghishan, nella
zona orientale del complesso, riscoprendo quanto era già stato visto nel secolo scorso.
L’abbondanza di tessere in pasta di vetro. Sparse nell’area, rimandava ad un mosaico
parietale che decorava la conca absidale. Della ceramica incontrata, fu conservata
soltanto una lucerna. Delle due campagne di scavo del 1968 e del 1973 manca,
purtroppo, la documentazione gra ca. Per la ricostruzione d’insieme abbiamo dovuto
aiutarci con le foto e con quanto era ancora possibile vedere nell´area. Nel frattempo il
medaglione con l’iscrizione di Leonzio era stato rimosso e trasportato nel deposito della
chiesa degli Apostoli.

Con l’intenzione di chiarire la natura di questo importante monumento di Madaba


cristiana, nel 1979 chiesi al Dipartimento delle Antichità di riprendere i lavori nel cortile dei
Masarweh. La continuazione dello scavo ha prima di tutto chiarito la natura dell’ambiente
al quale apparteneva il pavimento mosaico, pubblicato da padre Saller, che è risultato
decorare una cappella dedicata al “glorioso martire San Teodoro” orientata verso
occidente. Provedendo con lo scavo oltre il muro nord della cappella ci siamo trovati in un
cortile mosaico a grandi tessere bianche, con al centro la bocca di una cisterna
accompagnata da iscrizioni. L´area è chiusa sul lato nord da una seconda cappella in

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posizione speculare rispetto a quella di San Teodoro che è risultata il battistero del
complesso sacro. Verso est il cortile è ancheggiato da un corridoio pavimentato a marmi
policromi ancora in buono stato di conservazione. Lo scavo venne interrotto, nella
primavera del 1981, da un atto gratuito di vandalismo provocato dall’edilizia selvaggia,
che ha impedito ulteriori ricerche e distrutto il doppio battistero del complesso
ecclesiastico.

La cappella, allungata e stretta, ancheggia dall’interno il lato meridionale di un grande


muraglione, che probabilmente chiude tutta l´area della “cattedrale”. Alla cappella,
orientata verso ovest si accedeva attraverso una porta sulla parete nord che apriva sul
cortile. Verso ovest un gradino di 30 cm di altezza divideva l’aula da un’area sopraelevata
di 5,10 m di lato. L’iscrizione dedicatoria nei pressi del gradino e le quattro basi di un
altarino, inserite in un secondo tempo nel mosaico, sottolineano ulteriormente
l’orientamento anomalo della cappella. L´aula è decorata con un pannello rettangolare
chiuso in una fascia di acanto animata con scene di caccia e di pastorizia. Quattro aquile
ad ali spiegate occupano gli angoli della fascia. Le due aquile sul lato occidentale recano
un campanello appeso al collo. Il lato ovest della fascia, parzialmente danneggiato dalle
basi dell´altarino, reca una scena di caccia sviluppata in tre medaglioni: un cavaliere
tra gge un orso inseguito da un cane. Una seconda scena di caccia grossa,
accompagnata da girali con cervi e pecore, è ra gurata sul lato nord: un cacciatore,
sceso da cavallo e armato di arco e faretra, saetta un leone. Due galli a rontati a un
cantaro decorano lo spazio interno della porta. Sul lato meridionale, il più danneggiato,
riprendono le scene di caccia con un segugio che insegue una lepre e un giovane
impegnato con la lancia contro una leonessa.

Il tappeto entrale è spartito da una composizione ortogonale di croci di scusa, dalle


estremità concave tangenti, formanti cerchi e losanghe, decorate on pesci, uccelli e cesti
con frutti. I quattro ottagoni d’angolo originati dall´intreccio recano le personi cazioni, in
parte danneggiate dei quattro umi del Paradiso.

Gli altri ottagoni erano decorati con elementi di scene di caccia e vendemmia. Restano in
parte visibili: un salutista, un giovane con lazo, un asino carico d’uva.

L’e etto cromatico generale è arricchito considerevolmente dal disegno e dalla varietà dei
motivi delle fasce che formano intreccio geometrico, trattate ad arcobaleno, a nastro e a
diamanti. L’area sopraelevata è invece decorata con il motivo dei quattro alberelli con
animali a rontati, chiuso in una fascia a meandro. Gli alberelli sono posti al centro del lato
rispettivo. Due leoni a rontati sul lato est e due cervi sul lato ovest. Restano isolati gli
alberelli dei lati nord e sud.

Negli elementi essenziali, l’iscrizione dedicatoria fu studiare attentamente da padre Saller


che già ne era riuscito a integrare su cientemente le parole ancora coperte da un muro. Il
nostro contributo risiede nella riscoperta del nome del martireTeodoro, al quale la
cappella era dedicata.

Elementi architettonici d’epoca romana e bizantina furono visti e descritti dagli esploratori
anche prima degli scavi recenti. Con Schumacher noviamo la base ancora in situ tra la

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navata centrale e quella meridionale, frammenti di plutei di balaustra con croci in rilievo,
pilastrini e colonne in marmo.

Ricordiamo che due isrizioni navate provenienti da Madaba furono scoperte in relazione
un altarino in basalto con un fregio a meandro in cui si alterano alcuni animali: una lepre,
due volatili e un grifone. L’oggetto è da identi care come un altarino per incenso, di cui
sono stati martellati i bassorilievi sui quattro lati del lungo piedistallo e abrasa l’iscrizione
in greco incisa tra il fregio e la cornice.

Sempre di epoca classica, e perciò di riutilizzo, sono i capitelli corinzi decorati on teste di
putto, resti di architravi e il timpano a conchiglia di un’edicola.

Tra gli elementi sicuramente bizantini notiamo due capitelli a canestro, decorati con una
croce in cerchio tra due colombe, con una croce tra due grappoli d’uva, due capitelli
corinzi con croce e una croce scolpita su una chiave d’arco. Inoltre nel museo di Madaba
è conservata una pietra arenaria riccamente ornata di foglie di acanto con al centro una
croce scolpita, dipinta in rosso.

CHIESA DEL PROFETA ELIA E LA CRIPTA DI SANT´ ELIANO


La chiesa del profeta Elia fu l’ottavo edi cio sacro identi cato tra le rovine di Madaba. Le
iscrizioni, copiate nel giugno 1897 da don Manfredi, furono ben presto conosciute e
commentate dagli studiosi, con un notevole contributo per la chiari cazione della storia
ecclesiastica della città. L´edi cio sorgeva di fronte alla chiesa della Vergine sul lato
meridionale della strada lastricate. Del monumento resta oggi solo la cripta, anch’essa
abbastanza danneggiata. Per una descrizione della chiesa superiore e della sua
decorazione bisogna ricorrere alle note degli esploratori e alle rare foto dell’inizio del
secolo.

La pianta accurata del monumento fu rilevata dai padri Séjourné e Vincent nell’agosto
1897. Era ancora visibile il tracciato dei muri perimetrali della chiesa: la facciata con la
porta centrale, quasi tutta la parete meridionale, buona parte della parete orientale e la
fondazione del muro nord ancora in situ.

Dell´interno del corpo centrale della chiesa si conservavano alcune basi del colonnato e la
decorazione a mosaico del pavimento che, secondo don Manfredi, era di 1m più basso
rispetto al livello del presbiterio. Questo si prolungava no all’altezza della seconda la di
colonne. Del motivo decorativo del mosaico, con il posizionamento in pianta
dell’iscrizione che circondava il medaglione aniconico, restano alcune foto del reticolo
della navata centrale con gli scomparti decorati da una serie di calici, la foto della tabula
ansata dell’iscrizione dedicatoria e alcuni elementi della navata meridionale. Addossato al
muro sud, come nella chiesa della Carta, esisteva un doppio ambiente mosaico. Resta la
foto di un alberello del vano orientale di questa cappella di servizio.

Le due iscrizioni del mosaico della navata centrale della chiesa del profeta Elia si
distinguono, per forma e contenuto, dalle normali e spesso stereotipe iscrizioni della città.

Lo stesso profeta con il suo zelo e la sua preghiera di intercessione coopera alla
costruzione della chiesa che, iniziata dal vescovo Sergio, che ne aveva raccolto i fondi, fu
terminata al tempo del vescovo Leoncio nel 608 d.C. Benefattori insigni furono Mena e
Teodosio che vengono chiamati “fratelli Aigiarii”. Il termine, secondo Gatier, può essere
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riferito, come etnico, alla città di Ege in Cilicia o avere un senso professionale, in relazione
con la tessitura del pelo di capra, il “cilicio”.

L´identi cazione di Mena con il benefattore ricordato nella chiesa della Vergine e un
esame parallelo dei due monumenti, costruiti l’uno di fronte all’altro, fanno pensare a un
programma comune di tutto il complesso ecclesiastico che comprendeva la chiesa del
profeta Elia e quella della Vergine. Su un frammento di pietra riadoperato nel pavimento
della chiesa fu letto il nome di Teodo(sio), preceduto da una croce, forse il benefattore del
santuario ricordato dell’iscrizione. L’iscrizione del medaglione. Il medaglione, già
aniconico al momento della scoperta, si trovava al centro della navata.

L´invocazione si rivolge direttamente al profeta, ricordandone la potenza di intercessione


presso Dio per chiudere e aprire il cielo per la pioggia, e la pietà che egli mostrò per chi
trovandosi nel bisogno si rivolse al suo aiuto. L’iscrizione continua e completa il ricordo
della gura di Elia, già in parte tratteggiata dell’iscrizione precedente.

La cripta occupa l´ area sotto il presbiterio della chiesa. È l’unica parte del monumento
ancora conservata e visitabile, con un ingresso sulla parete nord. Originariamente vi si
accedeva dalla chiesa attraverso una doppia scala ai lati del presbiterio, tra il primo e il
secondo pilastro. Su entrambi i lati la scala termina su un pianerottolo decorato a
mosaico: a sud con un alberello carico di frutti, a nord con un intreccio a otto, entrambi i
motivi inseriti in un medaglione. È l’unico ambiente sacro di Madaba bizantina conservato
in alzato. La caduta dell´intonaco permette di leggere la muratura fatta di ricorsi di piccoli
conci regolarizzati con inzeppature.

L´ambiente coperto a volta riceveva luce da una nestra al centro dell´abside, aperta sulla
parete della chiesa superiore. Ai lati dell´abside si aprono due armadietti a muro
di cilmente e identi cabili con sedili. Un gradino di 30 cm di altezza divide la zona
absidale dall’aula. Questa è decorata con una composizione ortogonale di croci di scusa
dalle estremità concave tangenti, formanti cerchi e losanghe, chiusa in una fascia a
nastro. I semicerchi sui lati sono decorati con mezze rosette radianti, mentre i due cerchi
centrali e due pannelli ortogonali della seconda la di esagoni recano dei volatili. L
´iscriione dedicatoria è suddivisa negli altri quattro ottagoni della composizione. La zona
absidale è decorata con un motivo a lunetta chiuso in una treccia. Accanto a un alberello
centrale carico di frutti sul quale sono appoggiati due tralci di vite con foglie e grappoli,
erano ra gurate due pecore, andate completamente distrutte negli ultimi anni.

La tecnica ad arcobaleno, con alternanza e la sovrapposizione delle diverse gamme di


colori nella ricca e variata architettura della composizione geometrica, fa di questo
piccolo ambiente un saggio della maestria tecnica decorativa degli artigiani mosaicisti di
Madaba.

Usato come cardine della porta moderna abbiamo recuperato un elemento in marmo con
una decorazione a canestro molto curata. La forma rimanda a un capitello, anche se non
è molto chiara la funzionalità.

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