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4.

Un italiano comprensibile

4.1 “Sapere” l’italiano


4.2 Un esempio negativo: l’antilingua
4.2.1 Il lessico dell’antilingua
4.2.2 La sintassi dell’antilingua
4.2.3 Timbrate i biglietti!
4.3 Un esempio positivo
4.4 Pratica della semplificazione linguistica
4.4.1 Semplificare il lessico
4.4.2 Semplificare la sintassi
4.5 La comprensibilità dal punto di vista del destinatario
38 Capitolo 4

C
omunicare in italiano è importante. Anche se l’inglese è ormai la lingua
in cui si svolgono le comunicazioni internazionali, nessuno si serve del-
l’inglese o di altre lingue straniere per le comunicazioni tra cittadini
italiani. Per questi scambi informativi, a qualunque livello, ci si serve dell’italia-
no o di un dialetto.

4.1 “Sapere” l’italiano


La percentuale di cittadini italiani in grado di esprimersi nella lingua nazionale
è oggi molto elevata. Secondo l’indagine Istat I cittadini e il tempo libero, realiz-
zata nel 2000,

il 92,3% degli italiani (rispetto al 91,5% nel 1995) parla italiano esclusiva-
mente o alternandolo con il dialetto in almeno uno degli ambiti relazionali
esaminati

cioè con i familiari, con gli amici o con estranei1. Sempre secondo la stessa
indagine,

parla esclusivamente o prevalentemente dialetto in tutti e tre i contesti il 6%


della popolazione di sei anni e più, mentre lo 0,7% parla esclusivamente
un’altra lingua; queste percentuali sono sostanzialmente stabili rispetto al
1995.

L’indagine non si occupa della capacità di comprensione, ma è evidente che


il 92,3% di cittadini in grado di esprimersi in italiano è anche in grado di com-
prendere la lingua. Si può inoltre ritenere che la capacità di leggere e scrivere
sia un buon indizio della capacità di comprendere almeno semplici frasi in
italiano, e nel 1991 solo il 2,1% della popolazione italiana era considerato anal-
fabeta, secondo i dati del censimento nazionale realizzato in quell’anno. Quin-
di, dal punto di vista statistico, si può ritenere che almeno il 97,9% della popo-
lazione italiana sia oggi in grado di comprendere a qualche livello l’italiano.
Tuttavia, c’è molto da dire sul tipo di italiano che viene effettivamente com-
preso. La lingua di cultura di una grande nazione economicamente progredita
ha moltissimi livelli di impiego. Un conto è conoscere la lingua al livello neces-
sario per comprendere “buongiorno” e “grazie”, un conto conoscerla al livello
necessario per leggere un testo specialistico o una poesia antica.
Questa divaricazione, se messa a confronto con quanto accade per altre
lingue europee, nel caso dell’italiano risulta particolarmente ampia. È uno stato
di cose determinato soprattutto da ragioni storiche. La lingua di cultura della
nazione italiana ha preso infatti la sua forma definitiva nel Cinquecento, quan-

1 Dati riportati sul sito Istat: <http://www.istat.it/Comunicati/Fuori-cale/allegati/Lingua-


ita/ver3.doc>. Le percentuali si riferiscono ai cittadini con età superiore ai sei anni.
Un italiano comprensibile 39

do l’editoria e la comunicazione ad alto livello adottarono e diffusero la lingua


degli scrittori fiorentini di due secoli prima. La base dell’italiano contemporaneo
è quindi il fiorentino usato nel Trecento da Dante, Petrarca e Boccaccio. Nel
corso del Cinquecento questa lingua venne presentata come modello da gram-
matiche, vocabolari e opere letterarie scritte in tutta Italia, ed è tuttora alla base
del nostro modo di scrivere e parlare.
Fino all’Ottocento, però, l’italiano letterario diffuso in questo modo aveva
impieghi molto ridotti. Veniva usato per opere letterarie e testi di alto livello, ma
era parlato solo dalle persone più istruite – che erano una piccola minoranza –
e solo in determinate circostanze. L’italiano è quindi stato, per una buona parte
della sua vita, soprattutto una lingua scritta. Un celebre studio di Tullio De
Mauro, la Storia linguistica dell’Italia unita, basandosi sui dati indiretti forniti
dal censimento del 1861 arriva a stimare che a quella data solo il 2,5% degli
abitanti della penisola italiana fosse in grado di parlare “italiano”. Per tutti gli
altri era possibile esprimersi solo in dialetto (De Mauro 1970); queste interpre-
tazioni sono state successivamente rettificate, ma non modificate nella sostanza:
anche le stime di Arrigo Castellani, più ottimistiche, arrivano a una percentuale
di persone capaci di parlare in italiano non superiore al 10%).
Negli anni successivi la situazione si è trasformata radicalmente, anche se
solo nell’Italia democratica e industrializzata del secondo dopoguerra il diffon-
dersi dell’istruzione e dei mezzi di comunicazione di massa avvicina l’uso della
lingua ai livelli attuali. L’italiano però conserva ancora oggi uno stretto rapporto
con le sue origini di lingua nata dall’uso scritto di gruppi ristretti, che ha avuto
una grande espansione dell’uso solo nel Novecento.
Inoltre, la scuola ha contribuito a diffondere un modello di lingua scritta
molto “letterario”, conservando usi che sono spesso diversi da quelli del parlato
corrente. Cosa ancor più importante, è stato incoraggiato un tipo di lingua che
manteneva la propria validità in quanto diverso dal parlato.
Ne risulta una marcata suddivisione dell’italiano in livelli, a seconda dell’uso
e degli strati sociali (in linguistica questo genere di differenze viene definito
“variazione diastratica”). Gli schemi usati per classificare i diversi livelli variano,
e devono tenere conto di molti fattori, tra cui il rapporto tra questi modi di
esprimersi e la scrittura. Uno schema proposto da Gaetano Berruto vede co-
munque ai livelli più bassi l’“italiano gergale” e l’“italiano informale trascurato”,
ai livelli più alti l’“italiano formale aulico” e l’“italiano tecnico-scientifico”. Il
centro del sistema viene invece individuato nell’“italiano standard letterario” e
nell’“italiano regionale colto medio” (Figura 4.1).
Molti italiani sono naturalmente in grado di esprimersi attraversando più di
un livello o, uscendo dalla lingua nazionale, possono passare ai dialetti e alle
lingue straniere. Molti italiani sono però vincolati ai livelli più bassi e non sono
semplicemente in grado di capire l’italiano aulico o quello burocratico. A questi
tipi di lingua, indicati come “varietà diastratiche alte”, viene associato inoltre da
Berruto un massimo di complessità (Figura 4.2), in contrapposizione alle varietà
“basse”, definite come più semplici (le varietà alte si contrappongono anche
all’italiano semplificato usato per parlare con i bambini e gli stranieri).
40 Capitolo 4

Figura 4.1 Schema delle varietà linguistiche dell’italiano secondo Gaetano Berruto
(1987, p. 21).
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Figura 4.2 Schema dei gradi di semplificazione/complicazione dell’italiano secondo Berruto (1987, p. 46).
42 Capitolo 4

Il rapporto con l’italiano “formale” o “burocratico” è un rapporto con varietà


complesse e dotate di particolare prestigio. Queste varietà, inoltre, di solito si
esprimono in forma scritta – e a sua volta una buona percentuale di quanto
viene scritto in Italia si serve di questo tipo di lingua. Se quasi tutti gli italiani
sono in grado di esprimersi in italiano a qualche livello, quanti italiani si trovano
a proprio agio con questo tipo di comunicazione?
Una serie di statistiche Censis del 2000, basata sui dati di associazioni scola-
stiche, fornisce cifre meno rassicuranti di quelle generali sull’alfabetismo. L’in-
dagine definisce “analfabetismo funzionale” quello di chi abbia una “competen-
za alfabetica molto modesta, al limite dell’analfabetismo” per quanto riguarda le
“capacità e abilità necessarie per leggere testi in prosa quali: articoli di giornale,
annunci, lettere, racconti ecc.”. Rientra in questa categoria, secondo il Censis,
addirittura il 34,6% della popolazione italiana (Tabella 4.1). La percentuale varia
poi molto nei diversi gruppi, soprattutto in base all’età (con punte massime per
i cittadini sopra i 65 anni) e alla collocazione geografica (con punte massime
per il sud Italia e le isole)2.
Le cose non vanno meglio per le statistiche che riguardano altri tipi di
abilità. Per esempio, rientra nello stesso livello di competenza “molto modesta”
il 36,5% degli italiani per quel che riguarda le “capacità e abilità necessarie per
comprendere documenti quali grafici, schemi, tabelle e riempire formulari”. Lo
stesso vale per il 32% in relazione alle “capacità e abilità necessarie per fare
calcoli, operazioni aritmetiche, risolvere problemi, calcolare percentuali ecc.”
E infine, cosa ancora più importante dal nostro punto di vista, la situazione
non migliora di colpo nelle fasce più alte. Limitandoci alla lettura di testi, se
nella fascia più bassa di comprensione rientra il 34,6% degli italiani, il 30,9% si
trova nella fascia immediatamente superiore, cioè possiede “un limitato patri-
monio di conoscenze di base”. Un 26,5% possiede un patrimonio di conoscen-
ze di base definito “sufficiente”, e solo l’8% della popolazione rientra nel livello
“avanzato”.
L’esperienza quotidiana conferma queste ricostruzioni: molti tipi di comuni-
cazione effettuati con testi complessi e in italiano burocratico o formale si rive-
lano alla portata solo di una minoranza dei cittadini italiani. In queste circostan-
ze, cercare di mantenere comprensibili tutte le forme di comunicazione rivolte
a un pubblico non caratterizzato è particolarmente importante. Semplificare la
comunicazione è di solito:

• un gesto di cortesia nei confronti del lettore;


• un obbligo per la comunicazione pubblica;
• un importante fattore di successo commerciale per le aziende.

2 Le statistiche sono in linea all’indirizzo <http://www.censis.it/censis/ra/2000/


03sintes.html#3-2>, nella sezione “I pericoli di impoverimento alfabetico”. Fonte dichiarata:
elaborazione Censis su dati Ials/Sials sulle competenze alfabetiche degli adulti, Cede 2000.
Un italiano comprensibile 43

Tabella 4.1 Competenze alfabetiche della popolazione italiana adulta, per classi di
età secondo il Censis.

Livello 1 Livello 2 Livello 3 Livello 4/5


competenza possesso possesso di un possesso
alfabetica di un limitato sufficiente di un elevato
molto modesta patrimonio di patrimonio di patrimonio di
Classi al limite competenze competenze competenze
di età dell’analfabetismo di base di base di base Totale
Capacità e abilità necessarie per leggere testi in prosa quali: articoli di giornale, annunci,
lettere, racconti ecc.
16-25 15,4 32,2 37,6 14,6 100,0
26-35 21,9 34,4 32,3 11,4 100,0
36-45 32,2 32,8 28,2 6,7 100,0
46-55 46,9 28,9 20,3 3,9 100,0
56-65 63,5 24,1 10,5 1,9 100,0
Totale campione 34,6 30,9 26,5 8,0 100,0
Capacità e abilità necessarie per comprendere documenti quali: grafici, schemi, tabelle e
riempire formulari
16-25 18,2 35,5 36,8 9,6 100,0
26-35 27,2 32,8 31,6 8,4 100,0
36-45 35,2 33,9 24,8 6,0 100,0
46-55 46,5 30,5 19,7 3,3 100,0
56-65 61,0 27,2 10,3 1,5 100,0
Totale campione 36,5 32,2 25,3 6,0 100,0
Capacità e abilità necessarie per fare calcoli, operazioni aritmetiche, risolvere problemi,
calcolare percentuali ecc.
16-25 19,0 34,1 35,4 11,4 100,0
26-35 23,5 30,2 35,4 10,9 100,0
36-45 30,5 31,3 27,7 10,6 100,0
46-55 39,4 32,0 22,5 6,2 100,0
56-65 52,3 29,5 13,4 4,8 100,0
Totale campione 32,0 31,4 27,6 9,0 100,0

Alcuni tipi di comunicazione sono per propria natura particolarmente


complessi. In particolare, i tecnicismi sono importanti. Ma è caratteristica
della situazione italiana la presenza di un margine molto ampio di migliora-
mento.
44 Capitolo 4

4.2 Un esempio negativo: l’antilingua


Lo scrittore italiano forse più letto del dopoguerra, Italo Calvino, ha scritto nel
1965 un celebre pezzo giornalistico dedicato a quella che definiva come
un’“antilingua”. Il modo in cui si apre il pezzo è uno dei passaggi più citati in
assoluto per quanto riguarda le descrizioni dell’italiano contemporaneo:

Il brigadiere è davanti alla macchina da scrivere. L’interrogato, seduto da-


vanti a lui, risponde alle domande un po’ balbettando, ma attento a dire
tutto quel che ha da dire nel modo più preciso e senza una parola di troppo:
“Stamattina presto andavo in cantina ad accendere la stufa e ho trovato tutti
quei fiaschi di vino dietro la cassa del carbone. Ne ho preso uno per berme-
lo a cena. Non ne sapevo niente che la bottiglieria di sopra era stata scassi-
nata”. Impassibile, il brigadiere batte veloce sui tasti la sua fedele trascrizio-
ne: “Il sottoscritto essendosi recato nelle prime ore antimeridiane nei locali
dello scantinato per eseguire l’avviamento dell’impianto termico, dichiara
d’essere casualmente incorso nel ritrovamento di un quantitativo di prodotti
vinicoli, situati in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento
del combustibile, e di aver effettuato l’asportazione di uno dei detti articoli
nell’intento di consumarlo durante il pasto pomeridiano, non essendo a
conoscenza dell’avvenuta effrazione dell’esercizio soprastante”.

L’esempio è inventato e, come è stato notato (Mortara Garavelli 1985, p. 81),


contraddice la pratica italiana del verbale in prima persona, in cui la persona
che stende il verbale, cioè l’unica che può scrivere “il sottoscritto”, è il pubblico
ufficiale. Un verbale italiano vero sarebbe quindi del tipo:

L’anno 2003, avanti a noi Brigadiere XY, è presente il nominato in rubrica...


il quale denuncia quanto segue: Mi sono recato nelle prime ore antimeridia-
ne del giorno X nei locali dello scantinato....

Tuttavia la caratterizzazione è efficace, e ha avuto fortuna. Il modo di scrive-


re del brigadiere veniva chiamato da Calvino appunto antilingua, cioè una
lingua caratterizzata da un “terrore semantico”, dalla repulsione “di fronte a
ogni vocabolo che abbia di per se stesso un significato, come se ‘fiasco’ ‘stufa’
‘carbone’ fossero parole oscene, come se ‘andare’ ‘trovare’ ‘sapere’ indicassero
azioni turpi. Nell’antilingua i significati sono costantemente allontanati, relegati
in fondo a una prospettiva di vocaboli che di per se stessi non vogliono dire
niente o vogliono dire qualcosa di vago e sfuggente” (Calvino 1980, pp. 122-
123).
Gli italiani spesso sono condizionati (anche dalla scuola) a tradurre la loro
lingua di tutti i giorni in questa “antilingua inesistente”. Questo modo di espri-
mersi, dotato di particolare prestigio (paragrafo 4.1) non si trova infatti solo nel
linguaggio burocratico. Viene usato anche nelle aziende private, nella corri-
Un italiano comprensibile 45

spondenza degli utenti e così via. Per vedere se effettivamente l’antilingua ha


una qualche utilità dobbiamo però esaminarla in base a due aspetti che vedre-
mo qui di seguito: lessico e sintassi.

4.2.1 Il lessico dell’antilingua


Una prima domanda è: la burocrazia deve effettivamente esprimersi in questo
modo? In fin dei conti, tutte le professioni si servono di una terminologia spe-
cialistica, essenziale al loro funzionamento ma poco comprensibile agli estra-
nei. La chimica non potrebbe funzionare se i chimici non potessero parlare tra
di loro in termini di “base”, “pH”, “ossidoriduzione” e così via.
Dal punto di vista linguistico questi modi di esprimersi vengono chiamati
“lingue speciali” e si basano soprattutto sull’uso di termini caratterisitici, legati a
una disciplina precisa. In alcuni casi i termini specialistici possono essere sosti-
tuiti con altri della lingua comune, in altri no. Per esempio, nel foglio di avver-
tenze che accompagna un antibiotico possono comparire espressioni come:

1. posologia;
2. gram-negativo.

Nessuna di queste espressioni fa parte dell’italiano normalmente usato da


chi non è medico. Tuttavia, la prima può essere rimpiazzata da parole di uso
normale. Per esempio, in moltissimi casi “Posologia” può essere sostituita per-
fettamente da “Quantità consigliate” (anche se è opportuno che sia un medico
a controllare di volta in volta la scelta delle parole!).
La seconda espressione, “gram-negativo”, non ha invece nessun equivalen-
te nel linguaggio quotidiano e può essere rimpiazzata solo da lunghe perifrasi
che ne spieghino il significato. Per esempio, il dizionario Zingarelli spiega l’ag-
gettivo come “detto di un tipo di batterio che, sottoposto a una particolare
tecnica batteriologica basata sul trattamento con un colorante basico, reagisce
non trattenendo il colorante stesso”. Ovviamente, sostituendo sul foglietto illu-
strativo dell’antibiotico questo discorso a “gram-negativo”, la comprensibilità
del discorso verrebbe peggiorata, non migliorata.
I linguisti etichettano le espressioni di tipo 1 come tecnicismi “collaterali”:
fanno parte del modo in cui si esprimono gli specialisti di un settore, ma posso-
no essere sostituite con espressioni del linguaggio comune senza che l’esattezza
del discorso ne risenta. Le espressioni di tipo 2 sono invece considerate tecnici-
smi “specifici”: indicano effettivamente nozioni note solo agli specialisti di un
determinato settore.
Dal punto di vista linguistico, è interessante notare che la lingua della buro-
crazia impiega pochissimi tecnicismi reali. Al suo interno si trovano spesso
termini del linguaggio giuridico, ma si nota una “quasi assoluta assenza di tec-
nicismi specifici”. In compenso, “il linguaggio burocratico è il regno dei tecnici-
smi collaterali” e proprio per questo offre “larghi margini d’intervento alla sua
riscrittura” (Serianni 2003, p. 127).
46 Capitolo 4

La lingua della burocrazia è insomma una traduzione dalla lingua comune a


una sua variante. Dopodiché, al destinatario del messaggio tocca fare lo sforzo
opposto: ritradurre in lingua comune quello che è stato detto in “antilingua”.
Questo non solo produce difficoltà, ma spesso crea anche imprecisioni. Rara-
mente infatti nelle traduzioni si riesce a conservare tutto il senso dell’originale:
chi traduce da una lingua all’altra deve adattarsi alla gamma di parole e di
espressioni che conosce, non a tutto l’uso teoricamente possibile. Chi scrive in
antilingua spesso impiega quindi espressioni generiche al posto di termini pre-
cisi.

4.2.2 La sintassi dell’antilingua


Un’altra caratteristica dell’antilingua è l’uso di frasi complesse. Anche in questo
caso, tuttavia, si tratta di una scelta che non ha motivazioni funzionali. Le frasi
complesse di solito esprimono cose che potrebbero essere espresse allo stesso
modo con una sequenza di frasi semplici.

Frase unica
Visto che la rimozione degli oggetti ingombranti non è stata completata, e in
considerazione delle necessità igieniche dell’area, si stabilisce che venga
eseguito un nuovo intervento d’urgenza.

Frasi spezzate
Gli oggetti ingombranti non sono stati rimossi completamente. Tuttavia, per
motivi igienici, l’area deve essere ripulita. Ordiniamo quindi un nuovo inter-
vento d’urgenza.

In questi esempi, il contenuto informativo è praticamente lo stesso. In un


caso viene espresso attraverso un’unica frase, in un altro attraverso una sequen-
za di frasi, molto più comprensibili e, nel complesso, più brevi.
Un procedimento caratteristico della lingua della burocrazia e della sua
tendenza a creare frasi inutilmente lunghe è la “nominalizzazione”. Si indica
con questo termine un modo di esprimersi in cui al posto di un verbo viene
messa una coppia verbo + sostantivo. Di solito il verbo “nominalizzato” è già di
per sé significativo, ma viene sostituito da un verbo vuoto di significato. Per
esempio, “verificare” diventa “effettuare una verifica”.
Ma quanto deve essere lunga una frase? La comprensibilità delle frasi inse-
rite in un testo scritto non dipende solo dalla loro lunghezza. Tuttavia, di solito,
più una frase è breve più è comprensibile. Secondo gli studi di leggibilità, 25
parole sono una soglia oltre la quale la capacità dei lettori di seguire il ragiona-
mento cala in modo vistoso. È quindi consigliabile spezzare tutte le frasi che
superano questa soglia.

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