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Termini fondativi del lessico politico contemporaneo provengono da Roma: libertà, impero, proprietà, diritti, guerra
civile, essendo stati i primi a definire il concetto di ‘civile’, vale a dire fra concittadini. Il sintagma guerra civile
compare nel I secolo in occasione della guerra civile tra sillani e mariani, ma stando alle fonti antiche il conflitto civile
comincia già prima con i Gracchi. Il conflitto dell’88 è un momento spartiacque perché in precedenza (nonostante il
fatto graccano), i conflitti politici si verificano nel rispetto delle forme giuridiche e il ricorso alla violenza non è
generalizzato. A partire dall’88, invece, per la prima volta l’esercito romano marcia sulla città.
Le caratteristiche del conflitto civile secondo Armitage: 1) conflitto armato; 2) due parti in lotta, adozione di
convenzioni militari; 3) controllo politico delle comunità.
Termini come discordia, dissenso, sono peculiari del conflitto civile. Se utilizzati prima della guerra civile indicano dei
conflitti in cui l’obiettivo è la ricomposizione dell’ordine iniziale, se utilizzati nell’ambito della guerra civile, invece,
designano un punto di non ritorno, in cui si mira a raggiungere la pace ma al fine di restaurare un nuovo ordine che non
coincide più con quello di partenza.
Cicerone nella Pro legge Manilia inserisce la prima attestazione della ‘guerra civile’. Civile viene da civis «civile» e
mette in discussione l’aspetto civile. È un conflitto tutto interno che niente riguarda con la realtà esterna.
Il compito a Cicerone gli viene ordito da Manilio, che vuole concedere a Pompeo il comando della spedizione contro
Mitridate. L’orazione è a sostegno di questa attribuzione di poteri. Il conflitto tra mariani e Sillani è definito il primo
esempio di guerra civile: si fa riferimento a quando a Silla è stato tolto il potere.
Appiano nell’incipit della sua opera sulle guerre civili si riferisce ai gracchi e alla crisi del sistema repubblicano.
Cicerone nel De Repubblica 1, 31 dice che la crisi ha inizio con il tribunato di Tiberio nel 133, definito un tribuno
pericoloso. Già il II secolo mostrava delle questioni: problemi della cittadinanza, preponderanze del senato. Tiberio
presenta una rogatio che consiste nella riforma agraria, che disciplina la misura dell’ager publicus che il cittadino può
possedere.
Mette mano al latifondo dicendo che non si può occupare una superficie maggiore di quanto ha stabilito la legge).
Proposta osteggiata dall’aristocrazia senatoria, percepita come un attacco alla proprietà privata (che è un diritto
inalienabile). In realtà Tiberio si muove nel solco della tradizione, perché vuole preservare il ceto di piccoli contadini e
le politiche agrarie sono tradizionali. Tuttavia, la sua rogatio è percepita rivoluzionaria, contro la consuetudine, anche
perché lui si candida per un secondo tribunato, si intromette in politica estera e propone la rogatio senza passare per il
senato.
Varrone nel De vita populi romani crede che la crisi dell’ordinamento repubblicano sia stata causata da Gaio Gracco e
dalla legge sui tribunali, che voleva giudici i cavalieri per evitare il contrasto di interesse; quindi, senatori che giudicano
senatori; quindi, inseriva il ceto equestre nei tribunali, modificandone la forma.
Quello che capiamo dalle testimonianze di Varrone e Cicerone è L’ELEMENTO DELLA SPACCATURA, la discordia.
[9] Discorso con cui Tiberio tenta di convincere il popolo della validità della proposta, ricorre ai presupposti della
filosofia stoica: Tiogene. Occorre ripristinare l’ordine cosmico, passare da uno stato di ferinità a uno stato di umanità, il
modo più giusto è attraverso il diritto.
[12] Si richiama la responsabilità politica del magistrato nei confronti del popolo che lo ha eletto (procedimento ab
actis).
[21] Il popolo alla morte di Tiberio è risentito, vede in Nasica la figura del vero tiranno, per cui Plutarco è dalla parte di
Tiberio (e non solo, non tutti sono contro di lui: Appio Claudio, Iginio Crasso il pontefice massimo lo difendono).
Cicerone, invece, appoggia Nasica e dice: «NESSUNO PUO’ DIRSI PRIVATO SE LO STATO E’ IN PERICOLO».
Cicerone legittima l’azione di un privato, non parlando volontariamente delle modalità e dell’irritualità dell’atto,
aprendo la strada alla nuova ‘consuetudine’ dei privati che organizzano eserciti personali e agiscono in autonomia.
Le Res gestae Augusti sono un testamento politico di Augusto, un resoconto redatto dall’imperatore prima della sua
morte, riguarda le opere che compì nella sua carriera politica. Nell’incipit dice che all’età di 19 anni ha organizzato un
esercito privato da privato cittadino privo di ruolo politico per restituire la libertà allo stato.
Cic. De Legibus 3, 20
Lasciamo da parte Gaio Flaminio. Prendiamo in considerazione un fatto accaduto cinque anni prima, cioè lo scontro tra
i magistrati (tribuno della plebe e console) che ha portato all’imprigionamento dei consoli D. Bruto e P. Scipione.
Questo dimostra che già prima dei Gracchi ci sono stati degli scontri tra i consoli e i tribuni, ma erano stati sotterranei,
esplodono con i Gracchi.
Dieci anni dopo la morte di Tiberio c’è il tribunato di Gaio Gracco. La madre, Cornelia, avrebbe dissuaso il figlio dal
candidarsi con lo scopo di vendicare la morte del fratello, considerandolo un gesto deleterio per la salus rei publicae.
Cornelia nella lettera rappresenta la ragion di stato, perché comunica un messaggio politico, cioè che l’inimicitia
privata non deve confondersi con l’inimicitia pubblica, bisogna archiviare l’istinto vendicativo finché i tempi dello stato
non ci consentiranno di riesumarli. Il bene dello stato deve valere più di ogni altra cosa; pertanto, il magistrato non deve
essere cieco perché in questo caso condurrebbe lo stato alla sua morte. Deve essere providens, veggente.
Varrone in De Vita populi romani dice che la magistratura è scaduta perché chi si candida alla magistratura è animato
dall’amore per il potere piuttosto che dall’amore per la salute dello stato.
In ogni caso, la vendetta di Gaio circa l’assassinio del fratello avviene attraverso due leggi:
- Vieta che un magistrato al quale l’assemblea ha privato di una magistratura, ne rivesta un’altra;
- Il magistrato che bandisce un cittadino romano senza processo deve essere giudicato.
Anche Gaio si ricandida, tuttavia negli anni è passata una legge per cui se non c’è un numero di candidati pari al
numero di posti da ricoprire, il tribuno della plebe in carica può ricandidarsi. Inoltre, è passata un’altra legge che affida
al senato la facoltà di dichiarare nemico pubblico per mano del console, il tutto «affinché non porti un che di dannoso
allo stato» e ristabilire la concordia. Per cui: 1) la famiglia non ha diritto alle esequie; 2) i suoi beni possono essere
confiscati.
MUTATIO VESTIS
Quando ritorna dall’esilio riveste i panni del DUX TOGATUS, i panni del console che ha salvato la res publica, quasi si
dimentica di queste affermazioni nelle orazioni pronunciate dopo il suo ritorno in patria, in cui definisce quella legge di
Clodio una legge nociva AD PERSONAM, destinata a rovinare LUI, il salvatore dello stato al tempo della congiura di
Catilina e con lui la res publica. Tra il 57 e il 54:
Tornato dall’esilio, Cicerone sta cercando di ricostruire la propria immagine pubblica e di ristabilire il suo peso politico.
[26] In seguito alla derisione dei consoli, si raduna sul Campidoglio una folla di gente per iniziativa personale (privato
consilio) che affianca la causa di Cicerone. Intanto, al tempio della Concordia (dove si sono tenute le riunioni del
senato nel 63 in occasione della questione di Catilina) si sta tenendo una riunione del Senato, durante la quale viene
fatta richiesta ai consoli di agire (il “riccioluto” Gabino uno e l’insipido e austero l’altro). Tuttavia, i consoli non
ascoltano le richieste del senato (repudiavit). Cicerone fa riferimento al fatto che tutti, cavalieri, senato, popolo romano
si siano vestiti a lutto e lo abbiano fatto per lui. Fa riferimento alla fides, uno dei valori più importanti e allude poi a
Lucio Ninnio, tribuno del 58, personaggio politico solido e caratterizzato da magnitudine animi e costantia.
Ad senatum de re publica rettulit è una espressione tecnica (come apprendiamo da Gellio, Notti Attiche 14, 7, in cui è
riportato uno scritto varroniano sul funzionamento del senato).
Un’altra espressione tecnica è senatus frequens, che vuol dire che le decisioni prese in senato sono le più legittime.
Anche censuit è un altro termine tecnico. PRO MEA SALUTE: sintagma importante perché ci sono alcuni studiosi che
credono che questo senato consulto ultimo non dia mai stato fatto e che Cicerone sia bleffando in realtà.
[27] Cicerone mette in evidenza l’importanza del gesto del Senato, che si è vestito a lutto per un solo cittadino. A
memoria d’uomo, chi potrebbe ricordarsi di un gesto più illustre di quello in cui, a vantaggio di un unico cittadino, gli
uomini per bene, in virtù di un accordo privato e il senato tutto o attraverso una decisione pubblica presero il lutto? (il
linguaggio è tipico dell’iter istituzionale senatoria).
[29 – 32] Gabino lascia l’assemblea, è convocata la contio e vengono emanati degli editti dai consoli: 1) si vieta al
senato di vestirsi a lutto, 2) un amico di Cicerone, Lucio Lamia, viene relegato lontano da Roma, 3) Gabinio minaccia
di mandare a proscrizione tutti i cavalieri che hanno appoggiato Cicerone console nel 63.
L’azione dei consoli strappa il senato alla res publica, si mostra sprezzante alle suppliche dei cavalieri e calpesta il
diritto alla libertà di tutti i cittadini [30].
Cicerone sottolinea che la decisione del Senato è stata pubblica, ufficiale (publico consilio in [27]).