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OVIDIO

Con Ovidio raggiungiamo il culmine della perfezione tecnica. Continua a mantenere la visione come lusus, ovvero un
“gioco intellettuale”. La sua opera di maggior successo è il poema ”metamorfosi” appartenente al genere dell’epica-
mitologica, non ancora presente, prima di Ovidio, nella letteratura latina.

Ovidio nasce a Sulmona nel 43 a.C. da una famiglia equestre, studiò presso le scuole più prestigiose di Roma e Grecia,
ma poi intraprese la carriera politica per compiacere il padre, ma l’abbandonò presto per dedicarsi alla poesia. Ovidio
facilmente fece conoscente dei più importanti poeti di Roma, infatti entrò nel circolo di Corvino e fin da giovanissimo
iniziò a pubblicare (leggere pubblicamente) i suoi versi di elegia amorosa, che le raccolse tutte in una raccolta, l’Amores
(20 a.C.). Dopo gli Amores compone le Heroides (dopo il 15 a.C.), appartenenti allo stesso genere e l’Ars amatoria (tra
1 a.C. e l’1 d.C.), poi Ovidio dall’1 a.C. fino all’8 d.C. si dedicò ad una poesia più complessa, come ad esempio i Fasti
(rimaste incompiute) le Metamorfosi (compiute ma non revisionate a causa dell’esilio nell’8 d.C.).

Non sappiamo la causa dell’esilio di Ovidio, nelle sue poesie ne parla in modo molto vago, sappiamo che potrebbe
essere a causa di una poesia (l’Ars amatoria) e un errore commesso e di aver visto cose che non doveva vedere. Venne
esiliato a Tomi, nel quale giunse nel 9 d.C. e ci rimase quasi 10 anni, fino alla morte nel 18 d.C.

GLI AMORES
Questa è un’opera appartenente all’elegia erotica soggettiva, il titolo lo riprende da Gallo, considerato l’iniziatore
dell’elegia amorosa romana. Parla della storia d’amore per Corinna, nel quale viene trattata la sofferenza per la sua
infedeltà, la gelosia, la contrapposizione tra ricchezza-amore e tra vita militare-milizia amorosa. Ci sono anche molti
richiami mitologici. Il poeta utilizza molto l’ironia e l’autoironia ed accentua alcuni aspetti dell’elegia. Non c’è una
partecipazione sentimentale, infatti per Ovidio l’amore è un esercizio di galanteria, un gioco stimolante e divertente.
Questa raccolta poetica è un’innovazione per i temi di cui tratta, infatti era solito dedicare tutte le poesia ad una donna
amata, Ovidio invece in una delle sue opere ci dice di amare contemporaneamente due donne, in un altro invece dice
di essere attratto da tutte le donne. Ci sono anche carme in cui il poeta tratta l’amore con serietà, come nella
rivisitazione di odi et amo; nonostante non usi l’ironia mantiene un distacco intellettuale.

LA MILITIA AMORIS Amores, I, 9

Questa elegia tratta dell’attività amorosa e della vita militare, presentate come molto simili tra loro. Vengono fatti dei
confronti tra l’amante ed il soldato. Ricorda grandi personaggi, forti in guerra come in amore (Achille, Ettore e Marte).
Dice che ogni amante è un soldato, dice che l’età per cui si è adatti alla guerra è la stessa per cui si è adatti all’amore,
entrambi devono affrontare degli ostacoli e delle battaglie, inoltre devono proteggere qualcuno. Sia il soldato, che
l’amante anche se sconfitti si rialzano.

DON GIOVANNI ANTE LITTERAM Amores, II, 4

Ovidio afferma di essere conscio del suo comportamento poco affidabile in amore, dice inoltre che è incapace di
cambiare e inizia ad elencare le caratteristiche che rendono una donna attraente ai suoi occhi. Ritroviamo caratteristiche
positive e negative, senza distinzione. Ovidio ammette le sue colpe ma, nonostante vorrebbe cambiare non ci
riesce. Ama tutti i tipi di donne, giovani e vecchie, more e bionde, pallide e scure, colte e rozze ecc…
LE HEROIDES
Le Heroides sono lettere d’amore che si immaginano essere scritte da eroine (da qui il titolo) ai loro amanti; non viene
quindi più trattato l’erotico-soggettivo ma si passa all’erotico-mitologico, i miti narrativi sono in forma epistolare e non
più narrativa. Abbiamo 21 lettere divise in 2 gruppi, le prime 15 sono di eroine mitiche: Penelope ad Ulisse, Briseide ad
Achille e così via. Nelle altre 6 opere, che sono state aggiunte in un secondo momento, è un personaggio maschile a
scrivere alla donna amata, che a sua volta gli risponde. Gli Heroides ricordano le suasoriae, discorsi fittizi rivolti a
personaggi mitologici. I monologhi ricordano i discorsi delle eroine euripidee per quanto riguarda la psicologia femminile
e la forma. Uno degli aspetti più caratteristici degli Heroides è la riduzione dei personaggi mitici ad una dimensione
quotidiana, tutt’altro che eroica.

LETTERE DI PARIDE ED ELENA Heroides, XVI

La seconda parte delle Heroides comprende 6 lettere, scritte da 3 uomini alle loro amanti, a cui esse rispondono. La
prima coppia è Paride ed Elena. Le parole di Paride rimandano alla suasoriae. Le pratiche di corteggiamento messe in
atto da Paride sono le stesse che Ovidio consiglia di utilizzare nell’Ars amatoria. Nell’opera è molto presente la psicologia
femminile; infatti vengono messe in risalto le emozioni ed i suoi sentimenti contraddittori: in conflitto tra il tradire il
marito con paride o rimanere fedele.

LE OPERE EROTICO-DIDASCAICHE
Con l’Ars amatoria, Ovidio scrive il suo capolavoro nel campo dell’elegia amorosa, sviluppando un atteggiamento
didascalico. L’Ars amatoria è un composto da 3 libri con più di 2000 versi. Ovidio si fa praeceptor amoris. Il termine Ars
rimanda alle artes, ovvero dei manuali contenenti nozioni di materie tecniche (grammatica, retorica ecc…). Ovidio punta
al mescolamento di generi diversi e ai riferimenti letterari. In pratica è un manuale sul come amare.

I primi 2 libri sono dedicati agli uomini. Dicono che una volta adocchiata la preda bisogna iniziare a sedurla seguendo i
passi del libro, nessuna donna potrà resistere ad una seduzione fatta nel modo corretto, poiché il libido della donna è
infinto e sfrenato (mito del toro e Pasifae), poi passa alle tecniche di seduzione: scrivere delle lettere alla donna amata,
seguirla ovunque, frequentare i banchetti a cui ella partecipa.

Dopo il I libro, dedicato alla conquista, il II ci illustra come fare in modo che la relazione sia durevole; più della bellezza
in una relazione contano l’intelligenza, il carattere mite e arrendevole e l’obsequium, ovvero il cedere a tutti i capricci
della donna amata. Bisogna essere infedeli segretamente, e se si scopre che la propria donna è infedele meglio far finta
di niente (mito di Vulcano). Il III libro si propone di dare insegnamenti anche alle fanciulle su come comportarsi con i
maschi; i precetti rivolti alle donne sono più che altro una sorta di galateo, il poeta ci dice che la donna che vuole piacere
agli uomini deve saper: cantare, danzare, conoscere la poesia, giocare, deve essere affidabile, allegra e sapersi far
desiderare ponendo piccoli ostacoli d’amore. Anche alle donne Ovidio dice di tollerare l’infedeltà. Alla fine quest’opera
ci illustra un quadro realistico della società del tempo.

L’opera non piacque ad Augusto, ma Ovidio pone le mani davanti, dicendo che gli insegnamenti della sua opera non
sono per le donne sposate o quelle “per bene” (non ancora sposate ma di alta classe sociale), infatti sono per le donne
libere, di bassa estrazione sociale. Anche se poi in realtà gli atteggiamenti descritti nell’opera erano diffusi in tutti i
ranghi, anche dalla stessa nipote di Augusto. Quello esposto da Ovidio non è un amore basato sui sentimenti, ma basato
solo sull’inganno, cosa poco decorosa, ma viene trattata tutta l’opera con una grande ironia, ciò la rende più accettabile.

La produzione erotico-didascalica del nostro poeta si conclude con i Rimedia amoris, un libro di circa 800 versi, nel quale
spiega come liberarsi di un amore non corrisposto: con lo sport, l’agricoltura, i viaggi e la ricerca di un nuovo amore.
Restano inoltre qualche centinaio di versi di un’operetta incompiuta, Medicamina faciei femineae (i cosmetici delle
donne).
L’ARTE DI INGANNARE Ars amatoria, I

Ovidio in quest’opera dice che la fides deve valere in ogni campo tranne che nell’amore, è lo stesso Giove a darne
l’esempio. Nonostante l’argomento osé, riesce ad associare con disinvoltura la religione. Spiega come ingannare le
donne. Dice di promettere senza timori, poiché le promesse attraggono le donne. “ingannate loro, che ingannano”

I FASTI
Ovidio si cimentò anche nell’elegia eziologica con i Fasti. Con quest’opera Ovidio tentò la strada della poesia celebrativa.
I “Fasti” indicano l’elenco dei giorni. Il poeta si sofferma sulle ricorrenze e festività, illustrando i fatti della leggenda e
della storia di Roma; l’opera era stata concepita in 12 libri (uno per ogni mese dell’anno), ma ne compose solo 6 perché
poi dovette abbandonare Roma. Con quest’opera impartisce lezioni di astronomia, , spiega usanze, tradizioni e credenze
popolari e episodi della storia di Roma. Anche in quest’opera ci sono evocazione agli dei e usa i miti. Hanno però una
struttura monotona e sono appesantiti dall’eccessivo materiale didascalico, senza un obbiettivo chiaro.

LE METAMORFOSI
Quando venne esiliato, aveva da poco finito di comporre le metamorfosi, un poema in esameri, in 15 libri e circa 12.000
versi. In quest’opera utilizza molti miti epici e parla delle trasformazioni. L’epos mitologico, di cui tratta Ovidio in questa
composizione, non ha precisi limiti di tempi.

LIBRI I-II Miti sull’origine del mondo (cosmogonici). Spesso questi miti riguardano storie d’amore di
divinità con delle mortali
LIBRI III-VI Dal III libro si aprono i miti di eroi (e anche divine)
LIBRO VII Età degli argonauti, vengono narrate le imprese di Medea
LIBRO VIII Si sviluppano le storie di Minosse, Dedalo e Icaro ecc..
LIBRI IX-X Si incentrano nelle figure di Ercole e di Orfeo
LIBRO XI Peleo ed il suo contemporaneo Ceice, con la vicenda della moglie Alcione
LIBRI XII-XIV L’età della guerra di Troia, si collega il viaggio di Enea, col quale apre l’inizio delle vicende di
Roma
LIBRO XV Viene introdotto un discorso di Pitagora che rivolge al re romano Numa Pompilio, dove espone
la teoria della metempsicosi. Il finale del poema è dedicato agli ultimi discendenti di Enea,
Giulio Cesare ed Augusto.
Quest’opera è vastissima, ospita più di 250 miti. L’impostazione cronologica la troviamo solo all’inizio del poema (origine
del mondo) e nella conclusione (la storia di Roma). In tutti i miti e argomenti che vengono affrontati, troviamo il tema
della metamorfosi. Trasforma i personaggi narrati in narranti, il racconto nel racconto. Troviamo anche l’epica-
didascalica; viene affrontata anche la continua mutazione dell’universo, il poeta crede che il mutamento permetta il
continuo della vita. Le divinità vengono presentate antropomorfe, con sentimenti, gelosie e amori. L’unico personaggio
sempre presente è il narratore epico, che racconta dall’inizio alla fine le vicende di metamorfosi in modo personale,
commentando il racconto. Ha una forma limpida e armoniosa, ha grandi oscillazioni di registri stilistici. In generale nelle
metamorfosi si ha una lingua e uno stile elevato ma allo stesso tempo facile e fluido

TUTTO PUÒ TRASFORMARSI IN NUOVE FORME Metamorfosi I, vv 1-20

Questo è il proemio che ci fa intendere quale sarà l’argomento affrontato nell’opera, ovvero la trasformazione,
troviamo l’evocazione agli dei che sono causa delle mutazioni. Il poeta inizia il suo racconto dall’origine del
mondo, ovvero dal chaos primordiale, fino ad arrivare ai miti legati alla storia romana.
IL MITO DI ECO – mito eziologico, spiega la nascita dell’eco Metamorfosi III vv 356- 401

Eco è la ninfa che può ripetere solo le ultime parole di una frase, questo perché inizialmente aveva il compito di dover
intrattenere con le chiacchere la moglie di Giove, Saturnia, ma quando ella ne viene a conoscenza le da questa punizione;
quindi non potrà nemmeno più iniziare un discorso. Eco, in seguito alla punizione, vede Narciso che si è perso e se ne
innamora, così cerca di intraprendere un discorso e inizia a ripetere le ultime parole che Narciso dice, il dialogo sembra
prendere una piaga erotica; ma Narciso alla vista di Eco scappa impaurito, allora Eco a causa di questa vicenda si ritira
nelle campagne e nei monti, il suo corpo inizia a rovinarsi: la pelle si screpola, dimagrisce e i suoi umori spariscono, fino
a rimanere di lei solo la voce, che possiamo ancora oggi sentire.

PIRAMO E TISBE Metamorfosi, IV, vv 55-166

È un tipico racconto nel racconto, fa parte di una serie di canti. Ci sono due giovani innamorati, che abitano in due case
separate solo da un muro divisorio (come nelle vecchie commedie), è ambientata in Babilonia. La tragedia muore con
la morte dei due amanti (Shakespeare si ispira a quest’opera per Romeo e Giulietta). A tentare di impedire l’amore tra
i due furono i loro padri, ma senza riuscirci, infatti il muro confinante delle due case aveva una crepa, dalla quale i due
innamorati comunicavano, arrivando a darsi un appuntamento, nel luogo stabilito ci arriva prima Tisbe, ma una volta
arrivata e seduta in attesa di Piramo arriva una leonessa, allora Tisbe scappa perdendo il suo velo, che verrà trovato
insanguinato da Piramo, che allora pensa sia stata divorata dalla leonessa e si suicida, quando Tisbe torna nel luogo
stabilito trova il corpo esangue di Piramo insieme al suo velo, capendo il motivo per cui si suicidò, allora a sua volta si
suicida. Gli dei commossi ascoltano la richiesta di rendere i frutti del gelso sempre scuri in segno del loro lutto.

ORFEO ED EURIDICE

Orfeo è il sommo poeta infelice, vincitore della morte ma non del destino, dominante delle forze della natura ma non
le proprie passioni, che piega alla sua volontà quella degli dei. Nella figura di Orfeo sono presenti molti complessi nodi
emotivi.

LE ELEGIE DALL’ESILIO
In seguito all’esilio a Tomi, Ovidio compone delle opere basate sul lamento, il lamento della sua condizione da esiliato,
dal quale nacque un corpus con circa 100 componimenti, raggruppati in 5 libri chiamati trista e nei 4 delle Epistulae ex
Ponto. Le elegie dei Trista non hanno un destinatario, a causa della paura di mettere nei casini gli amici; le Epistulae
sono invece destinate a diverse persone: parenti, amici, la terza moglie; in esse il poeta espone la sua umiliante
condizione da esule; con la speranza di ottenere dall’imperatore almeno uno spostamento di “sede”.

Le elegie del I libro dei Trista vennero scritte nel viaggio dall’Italia a Tomi, nella quale il poeta ci racconta della sua ultima
notte a Roma. Nel II libro Ovidio implora clemenza ad Augusto, dicendo che le sue colpe non meritano una simile
punizione. Nel IV libro Ovidio, a conoscenza della sua fama (presente e futura), racconta le sue vicende rivolgendosi ai
posteri. Ovidio trova nella poesia la sua unica ragione di vita, cerca sfogo per la sua pena, in essa ripone la consolazione.

LETTERA A UN AMICO POETA Epistulae ex Ponto, IV

Dal Ponto Eusino (Mar Nero), Ovidio scrive a Severo. Elogia l’attività letteraria del destinatario. Ovidio inizia a lamentarsi
della sua vena poetica, ormai quasi inaridita.

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