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DIRITTO PENALE I

Tutto il diritto penale ruota intorno al fatto che le sanzioni che le norme del diritto penale prevedono è una
sanzione davvero particolare. Tutti i principi e le regole di questa branca del diritto hanno senso se muoviamo dal
presupposto che coinvolgono carne e sangue sia delle vittime sia dei condannati. Non possiamo astrarci
completamente dalla realtà dei fatti. Lama che incide in profondità nelle vite delle persone. Intriso di umanesimo,
questioni filosofiche. Rapporti tra poteri e individuo. Sanzione penale come massima espressione della violenza
dello stato verso l’individuo. Comporta questioni politologiche importanti. Comporta la negazione della vita. La
sanzione penale non è la stessa cosa del risarcimento. La privazione della libertà personale significa privazione
dell’esistenza, delle relazioni, dell’affettività, della sessualità. Non dovrebbe essere così, ma di fatto lo è e molto
facilmente lo è. Che questo corso offra degli occhiali nuove per guardare ed osservare l’istituzione del carcere.
Capire perché si va a finire in carcere, per quali scopi.
Principi di garanzia particolarmente stringenti in quanto la sanzione è molto incisiva sulla vita dei consociati.
Garanzia costituzionale in prima battuta. In seconda battuta la convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Perché si punisce? Che funzione ha la pena? Alla base di tali funzioni stanno appunto i principi.
Teoria e analisi del reato. Come è fatto un reato, quali sono le componenti fondamentali. Si compone di vari
requisiti. Fondamentalmente sono tre gli elementi del reato: tipicità, antigiuridicità e colpevolezza. Ognuna di
queste categorie da’ istituti più specifici.
Racconto di Dino Guzzati: c’è un ergastolano che stanzia in questo grande penitenziario. Questi detenuti sono
detenuti per la vita però ad ogni singolo detenuto è concessa una sola volta nella vita un’estrema e disperata e
unica opportunità di uscire da quel luogo, affacciarsi da un balcone e convincere una folla a concedergli la grazia.
Se il detenuto riesce a strappare l’applauso della folla il detenuto sarà libero. Se la gente risponde fischiando la
condanna resta convalidata. Il condannato non sa quando verrà autorizzato a parlare alla folla. Quindi i giorni si
consumano in una faticosa attesa. Nessuno dice agli altri cosa andrà a dire alla folla. La preparazione di questo
sermone che non si sa quando sarà tenuto è viziato da dubbi, affanni e atteggiamenti di sfiducia e avversione
verso i propri compagni. La maggior parte dei detenuti dicono delle cose ovvie e banali. Ma le persone che
compongono la folla arrivano solo per sfogarsi, atteggiamento non di comprensione. Sono là per spasso. Però il
narratore trova la soluzione: l’ergastolano tace di fronte ai fischi e alle offese. La folla allora inizia ad incuriosirsi
e tace. “Perché dovrei parlare? Sono venuto qui solo perché è il mio turno. Io qui sono più felice. Vi supplico
fischiate questo povero ergastolano felice”. Le persone iniziano ad applaudire.
Ci sono degli studi psicanalitici sulla pena. Il destino dei detenuti della storia è rimesso alle emozioni e i
sentimenti della folla. La folla è composta da tutti i consociati, sono rappresentati tutti i livelli della società,
quindi il fenomeno non è legato al tipo di astrazione sociale, culturale legato per esempio al censo o al livello di
istruzione. L’idea che chi stia scottando la pena sia un criminale e che sia un soggetto non umano, a cui si deve
negare qualsiasi diritto alla dignità. Chi di noi non ha mai avvertito una pulsione vendicativa? Gli studi quando
analizzano a livello sociale questi pulsioni sono connaturate al genere umano. Nel momento in cui mi accanisco
contro un soggetto io sottolineo la mia diversità rispetto a quest’ultimo. Pulsione a tracciare una distinzione tra
noi e loro, distinzione tracciata dalle mura del carcere. Tutto questo è rassicurante. Affermando che tizio è un
cattivo cittadino io mi identifico e sottolineo la mia appartenenza nella categoria dei bravi cittadini. Approccio
emozionale nei confronti del delitto. Approccio che tende a radicarsi in chi decide di non approfondire la
questione. Questione del delitto e della pena. Come approfondisci la questione hai bisogno di un qualcosa in più
rispetto a meri giudizi assoluti, viscerali, emozionali. Se un giudizio proveniente da un ordinamento ha
qualificato un soggetto come condannato in modo definitivo, allora non c’è dubbio alcuno che ti meriti
esattamente quella pena. Impostazione acritica.
Il retribuzionista è colui che sostiene che il senso della pena è che quest’ultima sia la giusta retribuzione del
danno causato. Ad un reato deve corrispondere una pena perché è giusto così. Si punisce punto.
Il retribuzionista critico si pone domande. Il retribuzionista acritico non si pone domande. Nel retribuzionismo di
Hegel è inteso come puramente dialettico. C’è la legge, il delitto è la negazione della legge. La pena è la
negazione del delitto che è la negazione della legge. Data una trasgressione deve esserci una pena senza sapere
perché c’è la pena. Tutto questo ha un senso? L’unico senso è perché è giusto perché è giusto.
Della giustezza della pena si potrebbe già dubitarne in astratto. La pena non rimedia a niente. Quando ci sono
altre conseguenze giuridiche ripristinatorie si cerca di rimediare a ciò che è successo. La pena si limita ad
aggiungere sofferenza ad altra sofferenza. Condannando l’omicida io non riporto in vita la persona uccisa.
Violenza sia del reato sia della pena. Perché dovrebbe essere giusto visto che in questo modo non si rimedia in
alcun che? Inoltre, le istituzioni che propongono le pene sono umane e quindi possono sbagliare,
strumentalizzare. Come possiamo quindi affidarci ciecamente in modo acritico? La storia è costellata di uso
ingiustificato, eccessivo, arbitrario del potere punitivo.
Se non razionalmente governato il potere punitivo può essere peggiore del crimine che mirrerebbe a
contrastare. Ad esempio, repressione penale della libertà di pensiero, interventi punitivi in nome di Dio, la santa
inquisizione, la repressione di comportamenti peccaminosi, crimini eugenetici, stregoneria. Risposte penali se pur
magari compiute per conto di crimini effettivi sono sproporzionati, giustizia penale applicata senza il controllo di
un giudizio penale regolato mirata spesso a colpire innocenti. Oggi noi possiamo fidarci in modo
tendenzialmente acritico perché abbiamo limitato il potere punitivo. E il potere punitivo può essere limitato solo
se manteniamo un atteggiamento critico nei confronti del diritto penale. L’approccio critico a partire
dall’illuminismo possiamo affidarci al potere punitivo in modo tendenzialmente acritico. Certo è che non bisogno
mai abbassare la guardia. Il diritto penale ha una sua naturale tendenza a trasformarsi in arbitrio se sbrigliato a
quei limiti razionali imposti al potere punitivo. Perché la nostra natura umana ci spinge ad agire in modo
viscerale ed emozionale. Il diritto penale e la giustizia penale non è solo una tecnica per reprimere, ma è anche un
pericolo. È un’arma a doppia lama. L’approccio critico comporta porsi delle domande, come ad esempio: Perché
punire? Quando punire? Come punire? Chi decide cosa punire? Chi punire? Quale pena?
Togliendo il diritto penale si evita le risposte private. Serve per evitare che le persone si facciano giustizia da
sole. Il diritto penale supera la logica della vendetta. Il diritto penale ti manda un monito, ma ti lascia libero.
Affida alla tua responsabilità se seguire quella norma o violarla e andare in contro al rischio di una sanzione.
Sistema meno invasivo. Non ci sentiamo oppressi dal Codice penale.
Vantaggio è costituito dal fatto che gioca sulla prevenzione e motivazione dei consociati. Non sul loro
costringimento o controllo. Comunicare con i consociati lasciandoli liberi di decidere.
Quale funzione giustifica il diritto penale? Cosa giustifica il diritto penale nella nostra società? L’idea che il
diritto penale abbia una giustificazione assoluta si rischia che ogni irrogazione sia legittima, ci si espone al
rischio di un approccio retribuzionista acritico. Ancora oggi fortissimo è l’istinto sociale verso il linciaggio.
Giustizia c.d. autogestita. Del resto, il linciaggio era ancora una pratica tollerata negli stati uniti fino a qualche
anno fa. Logica della vendetta applicata su scala umanitaria. Altra alternativa è lo stato di polizia, ovvero
reprimere le libertà ai fini di evitare il crimine.
Gestire, governare una reazione al crimine. Il diritto penale orienta i comportamenti affinché il tutto funzioni in
chiave preventiva e non repressiva. Minaccia alla pena, quindi una comunicazione che ha per oggetto i limiti
oltre i quali si rischia di essere puniti. Noi siamo liberi di agire, ma lo stato fissa un tariffario. In questo modo si
orienta il potere punitivo in termini preventivi e non repressivi. Operare in anticipo. Funzione general
preventiva del diritto penale. Si utilizzano comunicazioni e non controlli. Ma nel momento in cui il reato è
commesso, il diritto penale interviene nel controllo del comportamento, della reazione. La pena però è inutile
perché in realtà ormai il fatto è commesso. Nonostante ciò, la pena deve essere comunque applicata, altrimenti
non si crederebbe più alla minaccia e quindi non sarebbe più garantita la funzione general preventiva del diritto
penale. E’ un buon diritto penale che giustifica la pena. Noi non vogliamo violenza nel reato e violenza nella
pena.
Garantire il bilanciamento tra funzione preventiva e contenimento della portata repressiva dell’irrogazione della
pena. Proteggere i diritti delle persone che subiscono il reato, ma evitare di ledere troppo il reo. Equilibrio tra
queste due istanze. Il diritto penale migliore è quello che garantisce una pena pubblica, pronta, necessaria,
minima delle possibili nelle date circostante, proporzionata e dettata dalla legge. Queste sono le
caratteristiche che Cesare Beccaria aveva intuito. La nostra Costituzione, il nostro diritto riprende queste
caratteristiche. La soluzione non è aumentare le pene di fronte a un problema, ma quello che conta è punire
bene. Sistema in cui una pena anche più ridotta trova applicazione certa ed immediata. C’è chi dubita della
funzione preventiva. Ci sono tanti precetti che noi rispettiamo perché abbiamo paura della sanzione.
Punire in se per se non ha senso perché se siamo arrivati a punire vuol dire che è fallita la funzione general
preventiva. Ridurre la portata meramente punitiva. Cercando di attribuire alla pena una funzione rieducativa.
Tale funzione è già prevista in Costituzione, art 27 cost con cui si dice che la pena deve “tendere” alla
rieducazione. Funzione rieducativa della pena. Prevenzione speciale è quella funzione speciale che consiste nel
dissuadere il singolo reo al commettere di nuovo il reato. Risocializzare il reo. Tale funzione però non giustifica
la pena. La pena detentiva in realtà è un modo pessimo per rieducare allo stare nella società poiché li estranei
dalla società. La funzione preventiva giustifica la pena. La funzione rieducativa serve solo per ridurre la
portata del potere d’imposizione della pena. Dal momento che io la pena devo applicarla, quanto meno
riempiamo la privazione della libertà personale di contenuti. È un limite quindi non un fondamento alla pena.
Il concetto però di rieducare il reo è un po’ inquietante… la rieducazione vista ad esempio in chiave costrittiva.
Ma è questa la rieducazione di cui parla la nostra Costituzione? La nostra rieducazione non può essere di tipi di
emenda. Il nostro è un ordinamento laico, non possiamo parlare di morale. Lo Stato è un’istituzione umana e non
divina. Non è competenza dello Stato di scuotere l’anima. Costituzione laica e secolarizzata, abbiamo il diritto di
pensare cose bruttissime e turpi. Basta che la persona non faccia male agli altri. Rieducazione si intende di dare
la possibilità alla persona di ritornare in società senza più delinquere. Ci sono però tipologie di rei, detenuti che
francamente hanno poco bisogno di interventi di risocializzazione. Nei confronti di questi concetti il concetto di
rieducazione e risocializzazione è una vera intimidazione al non commettere devianze. La rieducazione ha
sempre collegamento la funzione general preventiva.
Possono tutte le pene detentive assolvere a questa funzione rieducativa? Ad esempio, l’ergastolo, la condanna ad
una pena senza fine. Non si rientra più in società, quindi come può esserci una rieducazione. La Corte
costituzionale ha sempre ammesso la legittimità di tale punizione purché si garantisca sempre il c.d. diritto alla
speranza. Possibilità anche per l’ergastolano di uscire. Condizioni stringenti, ma purché non sia puramente
astratta. Possibilità di fatto, ma non di mero diritto. Liberazione condizionale, misura alternativa alla detenzione.
Può essere applicata anche all’ergastolano dopo 26 anni di detenzione. Ergastolo quindi conforme alla
Costituzione. Ma esiste anche un particolare tipo di ergastolo detto ostativo. Istituto tipico del nostro
ordinamento che trova applicazione nei confronti della criminalità organizzata. Per contrastare questo tipo di
crimine. Si resta all’ergastolo senza la libertà condizionale in caso di mancata collaborazione. In caso di
mancanza di collaborazione perdi il diritto alla speranza. Fanno eccezioni ipotesi di collaborazione irrilevante o
impossibile. Tutto ciò non è molto lontano dalle logiche della tortura: “o ci dai i nomi o muori in galera”. La
Corte ha acquisito di recente una certa consapevolezza. Diritto in concreto e quindi senza ricatti. L’ergastolo
ostativo non va bene così com’è. La corte rimette tutto al legislatore. La pena invece detentiva che ha un termine
invece si presta alla funzione rieducativa. Quando il carcere diventa la pena per eccellenza? Nel periodo
dell’illuminismo. La pena detentiva è uguale per tutti, è determinata in termini temporali e quindi è possibile
proporzionarla e riempirla di contenuti rieducativo disciplinare. Le pene sono tali perché limitano la libertà
personale. E quindi le pene pecuniarie? Tali, infatti, possono essere convertite in pene detentive. Anche quindi
sanzioni pecuniarie possono essere considerabili sanzioni penali come le altre che sono limitative della libertà
personale dei soggetti coinvolti. Laddove la sanzione pecuniaria abbia la potenzialità di trasformarsi in vario
modo come privativa della libertà personale richiede tutte le attenzioni e le garanzie tipiche delle sanzioni penali.
Tali sono la multa e l’ammenda. Il vigile non fa la multa! Fa la sanzione amministrativa! La multa ha
un’accezione diversa nel linguaggio parlato. Per un giurista la multa è un termine tecnico, ci riferiamo ad una
delle due tipologie di sanzioni penali pecuniarie. La riforma Cartabia riformula e modifica completamente la
disciplina delle pene pecuniarie. Come può operare in termini rieducativi una sanzione pecuniaria? Per
rieducazione può tranquillamente tendere fino alla logica della deterrenza, ammonimento. In questi termini la
pena pecuniaria può operare come disincentivo. Vedo smarrire un guadagno. Funzionale verso alcune tipologie
di criminalità come i reati legati ai bilanci, bancarotta ecc. La rieducazione non ha un beneficio solo per il
singolo, ma anche e soprattutto per l’intera società.
Sussistono un’altra tipologia di sanzioni che sono le c.d. pene accessorie. Sono come tali pene che
accompagnano la pena principale. Valenza di carattere special preventiva perché mirano a sottrarre il reo da
quelle condizioni e relazioni che lo hanno spinto a delinquere. Misure di carattere sospensivo ed interdittivo. Non
sono privative della libertà personale, ma infatti sono accessorie. Scopo di interdire al reo l’accesso di operare o
rivestire ruoli in alcuni ambiti (amministrativi – economico finanziari – familiari).
Perché l’art 27 terzo comma parla di tendenza alla rieducazione? Sembra imprimere uno scopo alla pena che può
anche non essere raggiunto come obbiettivo. Si mette in conto il fallimento. La Costituzione imprime a coloro
che hanno il compito di gestire la fase dell’esecuzione della pena un’obbligazione di mezzi, ma non di risultato.
Ci dobbiamo impegnare affinché la pena vada verso quella direzione. È un indirizzo. Nella prima giurisprudenza
della Corte costituzionale si riteneva che se doveva soltanto tendere lo scopo rieducativo può esserci, come non
esserci. Non è necessario. La pena, quindi, può essere puramente punitiva. Con questo orientamento era
impossibile portare a buon fine una questione di legittimità in merito all’ergastolo. Unica funzione che la
Costituzione espressamente nomina quindi necessariamente deve sussistere nella pena almeno un orientamento a
questo fine rieducativo. La rieducazione, quindi, non è un obbligo, ma un’opportunità. Il sistema propone
opportunità. Se il condannato decide di non aderire non può essere costretto. Spontaneità nella rieducazione.
C’è una logica di proporzione, la rieducazione deve essere proporzionata al livello di ciò che hai fatto: hai rubato
o hai ucciso, oppure ancora hai rubato per sfizio o hai rubato per sfamare i tuoi figli. Cosa hai rubato: una
bicicletta o un quadro di valore. Proporzionare la pena. Ad esempio, nella pena pecuniaria proporzionare la pena
è importante in quanto una stessa somma di denaro può essere diversamente afflittiva sulla base delle condizioni
economiche e patrimoniali del reo. Art 132 e 133 Codice penale, criteri utili per graduare la pena. Inoltre, rispetto
ad ogni reato si prevede un minimo e un massimo, si parla di limiti edittali. La proporzione della pena è
corollario della funzione di rieducazione. Se la pena è proporzionata viene avvertita dal reo come giusta e quindi
il reo è propenso alla rieducazione. Non può esserci rieducazione se subisco una pena sproporzionata rispetto a
ciò che ho fatto, mi sento vittima delle istituzioni e del sistema penale. Convinzione di non aver bisogno di
essere rieducato. Abuso, sopruso. Ma non è solo la quantità di pena che dobbiamo tenere in considerazione ai
fini della proporzionalità, ma anche della tipologia di pena. Ecco che il nostro sistema è costituito da una
pluralità di sanzioni penali, una serie di strumenti tra i quali scegliere e selezionare quello migliore per il caso. È
opportuno quindi avere una gamma di opportunità. Alcuni esempi di pene sostitutivi delle pene detentive brevi:
semilibertà sostitutiva, detenzione domiciliare sostitutiva, lavoro di pubblica utilità sostitutivo, pena pecuniaria
sostitutiva. Il carcere è un ambiente paternalistico ed enfatizzante. C’è il rischio di contagio criminale. Il
carcere non è il luogo adatto per la rieducazione. Anzi, il carcere è de socializzante. Inoltre, è possibile applicare
ed effettuare la sospensione condizionale della pena. In merito alle pene sostitutive è intervenuta la riforma
Cartabia. Misure direttamente o potenzialmente limitative della libertà personale, ma non di carattere carcerario.
Se il carcere è in sé per sé de socializzante, tanto più lo è se il periodo in carcere è breve. In tal caso non hai
abbastanza tempo per il percorso rieducativo, ma tempo sufficiente per il contagio criminale. Tali misure
alternative possono addirittura essere applicate laddove sussiste il carcere. È un modo per restituire il reo alla
società in modo graduale, questo raggiunge l’obbiettivo di risocializzazione. Per evitare che il reo venga sbattuto
da un momento all’altro nella società. La stranezza della sensazione aumenta più è lungo il tempo in cui si è stati
in carcere. C’è anche una logica di ricompenso: se in carcere ho maturato e dimostrato un miglioramento mi
guadagno e vengo ricompensato con un ritorno, se pur limitato, alla libertà. In caso si chiamano misure
alternative alla detenzione che non sono applicate dal giudice di cognizione, ma dal magistrato o tribunale di
sorveglianza soggetto che accompagna il reo nell’esecuzione della pena. Permesso premio, affidamento in prova,
detenzione domiciliare, lavoro all’esterno, semilibertà, liberazione anticipata.
Esiste una giustizia riparativa? La c.d. giustizia senza spada, che muove da un presupposto opposto a quello
Kantiano. Una sorta di aspirazione cristiano-cattolica. Invece di punire il reo, farlo soffrire e che non ripara il
reato, forse sarebbe più opportunità che la società si prenda in carico il compito di restaurare i legami e i rapporti
intersociali che il reato ha distrutto. Si cerchi una riparazione del conflitto. Riconciliare e non punire. Capire cosa
ha portato al reato. Riparare e non aggiungere dolore al dolore. Offrire alla vittima la possibilità di renderla
protagonista di un percorso di riconciliazione, riparazione, perdono. Quasi non è più diritto penale. Negazione
del diritto penale. Ma sicuramente frontiera di grande fascino e che presenta possibili scenari davvero
interessanti. Attivare percorsi di riflessione anche a fronte di vicende fortemente traumatiche.
Prevenire i reati e contenere il diritto penale. Duplice esigenza. Limitiamo i danni della pena, facciamo sì che la
pena abbia un senso, possa quindi servire a prevenire la commissione da parte del medesimo soggetto dello
stesso reato. La logica di Kant quella retributiva, al male deve corrispondere una pena che arrechi male al
condannato. La logica cristiana, quella di Gesù, va ad esempio in una prospettiva completamente opposta. Logica
del perdono. Questa prospettiva cristiana è già alla base ed è arricchita insieme ad altre prospettive, fondamento
empirico, a quegli studi che vanno ad indagare in merito al grado di soddisfazione da parte dei familiari della
vittima di fronte all’inflizione della pena nei confronti del reo. Uno stato che si accanisce contro il reo non rientra
nelle esigenze delle vittime, tali esigenze vanno ben oltre tale fatto. Far incontrare il reo e la vittima, tentativo di
comprensione reciproca. La giustizia riparativa non è semplicemente un risarcimento del danno. Sono
chiaramente dei percorsi che non possono conoscere costrizioni. Che spazio c’è nel nostro ordinamento? Da
adesso molto di più grazie alla riforma Cartabia. Se riescono le pratiche riparative alleggeriamo il sistema
giudiziario ed esecutivo della pena. Se c’è stato un buon esito del processo riparativo, tutti gli indicatori dell’art
133 c.p. spingono la pena verso il minimo edittale. Al di la di questa riforma sussistono già degli istituti nel
nostro Codice penale che corrispondono a logiche di giustizia riparativa. Es sospensione del procedimento
connessa alla prova consiste in una decisione del giudice che decide di sospendere un attimo il procedimento
penale per concedere all’imputato la possibilità di mettersi alla prova. Progetto rieducativo, percorso verificato e
giudicato dai servizi sociali. Quindi un percorso esterno. Viene concesso all’imputato la possibilità di estinguere
le conseguenze penali della propria condotta attraverso un percorso di rieducazione e deve dimostrare con i fatti
una propria rieducazione. Il progetto di messa alla prova può avere vari contenuti: attività di volontariato e lavoro
di pubblica utilità. Non tutti i reati consentono questa possibilità, solitamente per quei reati il cui massimo
edittale corrisponde ad una pena detentiva non più lunga di quattro anni. All’esito di questa messa alla prova si
decide e si valuta se proseguire con il procedimento penale oppure se estinguere tutto. Le leggi che attribuiscono
competenze in ambito penale al giudice penale prevedono percorsi di riconciliazione tra le parti. C’è un ulteriore
istituto che è l’estinzione del reato per condotte riparatorie art 162 ter c.p. laddove ci sia reato procedibile a
querela e c’è possibilità di rimettere a querela il reo può dire di riparare e ripagare il danno fino all’ultimo
centesimo il reato si estingue. Non è vera giustizia riparativa perché non c’è un dialogo. È un vero e proprio
acquisto dell’estinzione del reato. Il nostro ordinamento è molto lontano da un sistema di giustizia riparativa
intesa in senso alto come l’abbiamo descritta inizialmente.
Una volta stabilito quali siano le implicazioni del potere punitivo e quindi ciò che lo giustifica, dobbiamo dire chi
stabilisce cosa è reato e cosa non lo è. Come lo stabilisce e in che misura. Quali organi, quali fonti del diritto. Chi
elabora la norma incriminatrice? Quali limiti deve rispettare per normare il crimine? Fonte o organo che da un
lato garantiscono la migliore efficacia preventiva della norma penale e dell’altro garantiscano che si abusi il
meno possibile. Nei sistemi di common law i giudici sono considerati i soggetti più adatti nella gestione del
potere punitivi. Ma nei sistemi di civli law, come il nostro la tradizione è diversa. È il Parlamento l’organo più
adatto. Ed è la legge ordinaria la fonte più adatta. Art 25 cost. si stabilisce la c.d. riserva di legge assoluta. Il
Parlamento offre maggiori garanzie in ottica di contenimento del ricorso abusivo al potere punitivo. Nel
Parlamento c’è una maggioranza che è controllata da una minoranza. Le sedute del Parlamento sono pubbliche.
La legge si espone al controllo della Corte costituzionale, si espone ad un referendum abrogativo. Organo
direttamente rappresentativo della popolazione, esigenze non calate dall’alto. Fonte scritta, la norma penale
affinché funzioni la devo necessariamente comunicare nel migliore dei modi. Solo comunicando in anticipo e
bene si ottiene la funzione di prevenzione. Fonte che esprime orientamenti politici di un organo direttamente
rappresentativo della società. Gli orientamenti interni al Parlamento si presumono essere rappresentativi
dell’orientamenti di valori presenti nella società. Il giudice non rappresenta nessuno, rappresenta solo sé stesso. Il
presidente della repubblica o il governo non sono direttamente rappresentativi della popolazione.
Come si fa in una legge a riconoscere una norma penale? Intanto il Codice penale è un decreto legislativo, quindi
primo problema. Ma poi tutto ciò che è contenuto nel codice non è penalmente rilevante. Non è la collocazione
che da rilievo penale alle norme. Precetto, descrizione di ciò che si può fare e ciò che non si può fare e poi c’è la
sanzione, ovvero qual è la risposta sanzionatoria se si trasgredisce alla regola. Cosa fare e cosa rischia se non si
fa ciò che la norma prescrive. Il reato lo si riconosce dalla tipologia di sanzione. Se la disposizione predispone
come risposta sanzionatoria delle sanzioni che hanno un nomen ben preciso allora siamo di fronte ad una norma
penale. Altrimenti magari siamo di fronte ad un illecito amministrativo se la risposta sanzionatoria è una
sanzione amministrativa. Riconoscimento attraverso il nome della sanzione prevista dalla disposizione. Sono
delle vere e proprie etichette questi nomi. Due tipologie di reato: delitti e contravvenzioni.
Quella del parlamento non è una facoltà, ma un potere in quanto la riserva di legge prevista dalla Costituzione è
assoluta. Il motivo della riserva però non è prevista per attribuire al Parlamento un potere, ma perché questo
costituisce una garanzia in ottica di abuso del ricorso al potere repressivo. Si ritiene che solo il Parlamento sia in
grado di fornire soluzione adeguate per tenere in piedi l’equilibrio tra le due esigenze: quella di prevenire il reato
e quella di contenere il potere punitivo. Allora come fa il Codice civile ad essere un decreto legislativo?
Perché questa idea della riserva assoluta deve essere interpretata in ottica di fattibilità. In linea di principio
decreto-legge e decreto legislativo sono compatibili. Sottendono comunque ad un controllo del Parlamento, ed è
questo che a noi ci preme e ci interessa.
Analisi art 25 Costituzione, secondo e terzo comma
“Nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso.”
“Nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge”
Giustizia come la dea bendata che tiene in mano una bilancia. Invece noi dobbiamo immaginare il diritto penale
come una bilancia “sbilanciata”. Un diritto penale che quindi trova giustificazione nel nostro ordinamento. Sui
due piatti stanno la prevenzione generale e la portata repressiva, di cui la prevenzione generale è più pesante
della portata repressiva. Tutti i principi di fondo che consideriamo dobbiamo immaginarli e comprenderli per
come da un lato incrementano la funzione preventiva e dall’altro alleggeriscono la funzione repressiva. La riserva
di legge aumenta la funzione preventiva e limita e contiene la funzione repressiva. Il Parlamento come organo
più controllabile. Su questa bilancia sbilanciata si basano tutti i principi fondamentali di tutto il diritto
penale.
Per come è formulato l’art 25 cost si prospetta costituire una riserva di legge assoluta per la materia penale, in
realtà si deve dire è una riserva di legge assoluta in senso tendenziale. Tendenzialmente assoluta. Noi vogliamo
che la scelta politica criminale, la scelta di penalizzazione, stabilire cosa sia reato e quale sia la pena lo deve
scegliere il Parlamento. Una scelta il più possibile democraticamente controllabile. Si tratta di decisioni
gravissime, perché la pena colpisce una libertà fondamentale, colpisce la libertà personale dei soggetti coinvolti.
Finché si mantiene questo senso e queste garanzie allora possiamo aprire anche ad altre fonti che hanno
valore e forza di legge. Nel decreto legislativo in prima istanza il Parlamento adotta una legge delega, in cui si
definiscono i limiti e vincoli della disciplina oggetto della delega. Qui c’è un controllo effettivo del Parlamento.
Al Governo è delegata e demandata solo una stesura della disciplina da un punto di vista organizzativo e tecnico.
Ma la scelta politica di criminalizzazione viene comunque effettuata solo e soltanto dal Parlamento. In caso di
non conformità alla legge delega si ha eccesso di delega, comportamento censurabile dalla Corte costituzionale.
Una cosa è compiere la scelta politica, una cosa è confezionare la norma. Il Parlamento compie le scelte di fondo.
Miglior compromesso tra qualità tecnica e scelte politiche.
Il decreto-legge viene prodotto nell’immediatezza del Governo, di sua iniziativa politica. Presupposti di necessità
ed urgenza. Ipotesi in cui non è possibile attendere le tempistiche del Parlamento, è necessario intervenire subito.
Conversione entro 60 giorni da parte del Parlamento, altrimenti il decreto decade ex tunc, dall’inizio. È come se
non fosse mai esistita la norma.
Ma siamo davvero così sicuri che vadano bene? Partiamo dal decreto-legge che se non convertito decade ex
tunc. Immaginiamo che un decreto-legge incrimina l’aborto e di tornare indietro rispetto alla legge 78. Una scelta
politicamente molto impegnativa. Dopo 60 giorni, il Parlamento afferma di non essere d’accordo e si riapplica la
legge del 78. Ma se nel frattempo qualche medico e qualche donna fosse stato condannato o soggetto a misure
cautelari che si fa? Il medico esce di galera. Ma amici come prima? Ovviamente no. Il processo penale è una
pena quasi di per sé. Per il decreto legislativo i problemi sono comunque più contenuti, ma comunque ci sono. La
legge delega, se pur legge, viene chiaramente redatta in modo vago semplicemente andando ad indicare dei
principi. Il Governo effettua la disciplina di dettaglio, ed è nei dei dettagli che si nasconde il diavolo. Più è vaga
la legge delega più potere di scelta attribuiamo al Governo. La scelta del Parlamento non sarà mai tale da
contenere la scelta politica del Governo. Si dubita quindi anche del decreto legislativo. In realtà se nella prassi
dovessimo rinunciare anche del decreto legislativo il sistema sarebbe chiaramente affaticato.
Si creano problemi non soltanto sulla base delle tipologie di fonti utilizzate, ma anche per come le leggi stesse
sono formulate. Es art 650 c.p. con cui si delega una regola di condotta ad un provvedimento amministrativo. Si
potrebbe scavalcare il problema assumendo che la regola di condotta sia proprio quello di rispettare i
provvedimenti legalmente adottati, un provvedimento che tuttavia deve sottendere alla legge. Sono le c.d. norme
penali in bianco. È la norma penale che deve individuare la scelta politica della condotta incriminata, io devo
sempre sapere cosa posso fare e cosa no. Tale funzione però viene delegata ad un altro organo ad un'altra fonte.
Cosa che però il Parlamento non può fare. Le norme penali in bianco puro allora sono incostituzionali. Ma la
Corte costituzionale ha più volte detto che la norma può essere anche solo parzialmente in bianco, perché si può
sostenere che il messaggio stia ancora nella legge anche se sussiste un rinvio a fonti subordinate. Un es in tal
senso è il testo unico sugli stupefacenti. Si rinvia in questa disposizione ad una tabella ministeriale che va ad
elencare quali tipi di sostanze stupefacenti sono oggetto della norma incriminatrice. È tale tabella che completa la
norma, ma in realtà non c’è alcuna violazione della riserva di legge. Perché la scelta che compie il decreto
ministeriale non è una scelta politica, ma una scelta tecnica. Qualcosa in continuo mutamento. La legge sarebbe
incapace di rincorrere la fiorente inventiva dei produttori di droga. Necessito di una fonte snella e veloce che
aggiorni la lista delle sostanze stupefacenti. Quando si delega ad un altro organo una scelta, corrispondente
ad un aggiornamento tecnico (in questo caso scientifico), non si parla di scelta politica e quindi non è violata
la riserva di legge. Il Parlamento resta titolare della scelta di punire una serie di comportamenti che hanno per
oggetto sostanze stupefacenti. Quindi il caso dell’art 650 c.p. è una norma in bianco parziale. C’è una limitazione
di campo che ci porta a dire che il Parlamento non ha effettuato una delega completa. I provvedimenti
sottostanno alla legge. È una legge che rinvia indirettamente ad un'altra legge. Es art 529 c.p. non si da
definizione del comune sentimento del pudore. Si delega al giudice il compito di individuarlo. In questa casistica
è il giudice a fornire la nozione della fattispecie incriminata, cosa che non si può fare. È una violazione della
riserva di legge. Con questo fatto introduciamo il principio di determinatezza.
Sentenza della Corte costituzionale del 1966. La questione aveva a che fare con alcune disposizioni sul
riordinamento della legge forestale in cui fondamentalmente le norme denunciate rinviavano a fonti subordinate
la potestà di emanare norme di polizia forestale la cui violazione aveva rilevanza penale, norme penali totalmente
in bianco. Questo tipo di normazione è conforme all’art 25. Delega in questo caso ad un’autorità amministrativa.
La Corte ribadisce che la fonte del potere punitivo non può risiedere se non nella legislazione dello Stato. La
legge regionale può prevedere una norma penale? La legge regionale non può mai prevedere una disposizione
penale. Questo era già chiaro prima della riforma del Titolo V. Si dimostrava attraverso il principio di
uguaglianza. Non si può infatti immaginare che un cittadino ad es emiliano varcando il confine con la regione
toscana sia esposto a reati che non sono previsti nella sua regione di residente. Disparità di trattamento non
ammissibile in uno stato unitario. L’articolo fondamentale che dimostra che le leggi regionali non possano
contenere norme incriminatrici è l’art 3 della Costituzione. C’erano anche altri argomenti: se il senso della scelta
di incriminazione sta nella necessità che essa esprima orientamenti diffusi che caratterizzano la società di un
certo Stato, chiaramente solo il Parlamento può rappresentare il sentimento comune di un popolo. Anche se il
Consiglio regionale di fatto è organo rappresentativo, è solo rappresentativo di una porzione della popolazione. Il
Parlamento quindi rispetto al Consiglio regionale meglio garantisce la rappresentatività del popolo. In più
ricordiamo la distinzione fondamentale tra stato federale e stato regionale. Lo stato regionale, anche se suddiviso
in porzioni di territorio, resta comunque uno stato unitario in cui viene adottata un'unica carta costituzionale
valevole e applicabile in tutto il territorio. Pertanto, le competenze affidate alle singole regioni competenze
legislative e amministrative previamente delineate dalla costituzione. La materia penale non è competenza
demandata alle regioni.
Pur esistendo questo principio di riserva di legge, tuttavia, ha in diverse occasioni escluso la possibilità di rendere
incostituzionali norme penali contenute in disposizioni che non hanno forza di legge. La Corte costituzionale ha
riconosciuto in alcuni casi una non violazione della riserva di legge quando la fonte subordinata si limiti
meramente a specificare singoli elementi della fattispecie incriminatrice già disciplinata in modo generale
da un atto avente forza di legge. Si da semplicemente dettaglio, non si compiono quindi scelte politiche. Ma se
la legge rimanda completamente l’intera definizione del precetto a norme subordinate la riserva di legge è
chiaramente violata. Analizziamo la delega della definizione del precetto e delega per la definizione della
sanzione. Le norme di polizia postale, per quanto provengano da un organo amministrativo, viene delimitata
dalla legge il proprio ambito applicativo. Norme dirette a prevenire un danno. La legge ha sufficientemente
delimitato l’ambito entro cui le norme di massima possono espandersi. Entro questi limiti il rinvio non è
pienamente in bianco e quindi ancora compatibile con l’art 25 cost, Tutt’altra cosa invece è il rinvio della
definizione della sanzione. Per la definizione della sensazione vige in modo rigido la riserva di legge in senso
assoluto, così come emerge dalla lettera della Costituzione. La sanzione è l’elemento della norma penale che
incide sulla libertà personale, la limita; quindi, non è possibile che il Parlamento deleghi a qualcun altro la sua
definizione. Il rinvio in bianco vero e proprio è difficile averlo perché il legislatore sempre e comunque va ad
individuare un ambito di materia, i presupposti, i limiti.
In una sentenza più recente del 1990 ha nondimeno ristretto di nuovo la possibilità di delega a fonti subordinate.
Disposizione che puniva obbligati a munirsi di un certificato di prevenzione contro gli incendi qualora non lo
avessero fatto. Questa disposizione rimandava a fonti subordinate l’individuazione dei soggetti che erano
obbligati ad ottenere questo certificato. Riguarda me o non riguarda me? La norma penale non è quindi in grado
di funzionare in termini preventivi in ottica di conoscibilità da parte dei consociati. Il Parlamento deve
necessariamente individuare gli elementi della questione sanzionata, la deve esprimere attraverso la legge. La
Corte dice che non si può rinviare ad una fonte subordinata la definizione dei soggetti attivi del reato. Ma se la
norma penale rinviasse ad una fonte subordinata che già sussiste? Fonte ministeriale che stabilisce chi deve avere
quella certificazione, successivamente il Parlamento compie la scelta politica di incriminare quelle persone che
non rispettano quella fonte ministeriale. Già sapendo quindi il Parlamento a chi si sta rivolgendo. Di fatto non si
rimette a future scelte della fonte subordinata. Ma se il decreto cambia i propri contenuti, continuando il rinvio
della norma penale siamo di fronte al medesimo problema. Solo in potenza ci stiamo rimettendo ad una scelta
futura, quindi non è ammissibile. Diversa è l’ipotesi se la fonte subordinata è consolidata, ferma perché la norma
penale va a cristallizzare la norma del decreto così com’è stata formulata anche se dovesse essere modificata. Qui
si creerebbe un problema di coerenza del sistema.
Art 7 della Convenzione dei diritti dell’uomo che esprime un concetto di “legalità” un poi diverso da come lo definisce l’art 25 cost perché deve trovare
applicazione anche verso chi adotta un regime di common law quindi diverso dal nostro.

Il terzo comma dell’art 25 cost delinea il principio di irretroattività. In genere la legge dispone per il futuro, ma
possono esserci alcune derogare. Per quanto riguarda la disciplina e materia penale non è possibile derogare.
Perché non è possibile derogare per questa materia? Torniamo all’immagine della bilancia sbilanciata. Se io te lo
dico dopo che ciò che hai compiuto è reato, la funzione general preventiva ha portata zero. Diritto penale
incapace di qualsiasi valenza preventiva. Ed è invece pienamente repressivo. Per niente preventivo e
massivamente repressivo. Inoltre, può essere un diritto penale particolarmente arbitrario. Una norma che si
applica al passato è una norma di cui si sa già chi andrà a colpire. Il cittadino non può sfuggire al potere punitivo
perché il nostro passato è immodificabile. Principio che ha una fortissima valenza garantistica.
Nell’articolo 25 cost non ci stanno soltanto il principio di legalità e il principio di irretroattività. Principi che
implicitamente stanno in questo articolo. Ci sono perché se non ci fossero non avrebbe senso. Principi
implicitamente costituzionalizzati nell’art 25. Principio di determinatezza: una norma deve essere chiara,
precisa, deve ben stabilire tutti gli elementi. È inutile, infatti, prevedere la riserva di legge se poi la norma fosse
indeterminata. In tal caso non sarebbe più la legge a prevedere cosa sia reato o cosa no, ma sarebbe il giudice.
Una norma indeterminata non compie la scelta incriminatrice. La regola di condotta in tali casi si preciserà a
posteriori, nel momento del processo. Il giudice si pronuncia sempre dopo la commissione dei fatti. Una norma
indeterminata viola sia il principio di irretroattività e principio di riserva di legge. La determinatezza è umana
caratteristica della legge che deve sussistere affinché possano essere rispettati i principi espliciti dell’art 25 cost.
Ipotesi dell’interpretazione analogica. Laddove è presente una lacuna possibilità di estendere l’applicazione di
una legge a fattispecie che non sono state espressamente regolamentate. È possibile ricorrere all’estensione
analogica nell’ambito penale? La norma incriminatrice deve esprimersi in modo chiaro sul confine tra ciò che è
penalmente rilevante e ciò che non lo è. L’analogia è quello strumento che fa sfumare questo confine. I
consociati hanno diritto di arrivare fino a quel confine, spingersi il più lontano possibile e fare un passo indietro
solo quando si arriva vicini a intercorrere in una violazione della legge penale. Ma c’è un ulteriore fatto: il diritto
penale è privo di lacune. O una fattispecie è penalmente rilevante o non lo è. Laddove sussiste una “lacuna”
siamo di fronte ad un comportamento non perseguibile dalla legge e quindi siamo di fronte alla libertà del
consociato. Tu sei libero di mettere in pratica tutte quelle condotte che non sono penalmente rilevanti ai sensi di
una disposizione di legge. Non essendoci lacune manca lo stesso presupposto per ricorrere all’analogia.
Riassunto libro principio di determinatezza: Il principio di determinatezza risponde alla domanda inerente al
come una fattispecie criminosa debba essere formulata e redatta al fine di raggiungere l’esigenza che i consociati
percepiscano in modo corretto l’ambito di punibilità, i confini entro i quali compiere la scelta in merito alle
condotte da porre in essere. Rendere determinata la sfera di punibilità per quanto sia un compito arduo, resta
comunque molto più agevole nei sistemi, come il nostro, di civil law rispetto a quelli di common law. Si richiede
infatti che la legge nella sua redazione venga appunto redatta alla luce di questo principio. È possibile affermare
che la chiarezza e la certezza di una norma siano requisiti essenziali di ogni fonte normativa, ma nell’ambito del
diritto penale tali esigenze assumono un connotato più elevato. Innanzitutto la determinatezza della norma è
posta a garanzia del consociato, in quanto gli consentirà di aver ben presenti i confini della punibilità al di fuori
dei quali è libero di compiere le scelte che desidera. Inoltre tale principio va a supporto anche del giudice, al
quale risulterà più semplice accertare la sussistenza del reato ed andare a reprimerlo mediante l’irrogazione della
sanzione penale. Il principio di determinatezza non viene espressamente nominato e menzionato dalla
Costituzione, anche se si pone necessario per tutta una serie di principi costituzionale in materia penale. Ma
andiamo per ordine. Il principio di determinatezza si pone come necessario corollario del principio di
irretroattività. Se io non posso essere punito se non in virtù di un fatto che viene precedentemente previsto dalla
legge, il fatto che tale condotta venga descritta in modo vago, rimette nella mani del giudice la valutazione in
merito alla criminalizzazione di tale condotta. Non essendo possibile che la scelta di criminalizzazione sia
condotta ex post, necessariamente il legislatore deve descrivere la fattispecie di reato in modo chiaro. Un altro
richiamo a tale principio proveniente sempre dalla Costituzione è dettato dall’art 13 cost, in cui si afferma che le
limitazioni alla libertà personale possono essere effettuate nei soli casi previsti dalla legge. Essendo la reazione e
la risposta da parte dell’ordinamento nei confronti di reato la limitazione o privazione della suddetta libertà si
pone necessario che la norma penale debba espressamente individuare le casistiche in cui è possibile limitare tale
libertà. Ancora sempre dalla Costituzione evinciamo che il principio di determinatezza lo si ritrova anche nell’art
3 cost, nel c.d. principio di uguaglianza. Una norma scritta male ha come diretta conseguenza il progressivo
diffondersi di applicazioni diverse e contrastanti tra di loro. Questo non risulta essere possibile in quanto
situazioni uguali necessitano di essere trattate nello stesso modo, e situazioni diverse in diverso modo. Il
principio di determinatezza supporta e sostiene anche la funzione di general prevenzione della pena fissato
dall’art 25 cost. Come potrebbe una norma penale esercitare tale funzione se non comunica ai propri consociati la
condotta penalmente rilevante e quindi vietate? Infine il principio di determinatezza aiuta i soggetti sul piano
dell’onere probatorio: se una norma è scritta in modo determinato sarà molto più semplice portare di fronte al
giudice fatti concreti volti a dimostrare la realizzazione della condotta criminosa.
Per descrivere una fattispecie di reato il nostro legislatore ricorre a due tipologie di elementi: 1. Elementi
naturalistici, che consentono il passaggio dalla formula legale di un fatto all’esperienza comune fondata sulla
percezione dei sensi di quel fatto ad esempio la nozione di uomo nell’omicidio 2. Elementi normativi, elementi
che poter essere colti necessitano di un’ulteriore norma mediata e diversa, ad esempio nel reato di furto il
concetto di altruità deve essere desunto dalle norme del Codice civile che vanno a disciplinare il diritto di
proprietà per verificare che realmente il bene oggetto di furto fosse nell’altruità del reo. Tali elementi normativi
vengono chiamati “giuridici” per poterli distinguere dai c.d. elementi non giuridici collegati a norme appartenenti
al costume sociale esempio concetto di pudore. Per verificare che tali elementi siano determinati oppure no
dobbiamo andare ad effettuare due verifiche: l’elemento deve risultare idoneo ad esprimere un criterio di
valutazione sufficientemente sicuro e definito e se tale elemento è capace di adattarsi ad un insieme di situazioni
tipologicamente circoscritte.
Il principio di determinatezza non attiene soltanto alla parte della disposizione penale in cui si delinea la
fattispecie e condotta criminosa, ma si rivolge anche alla parte in cui la disposizione stessa configura la risposta
sanzionatoria da parte dell’ordinamento al verificarsi della condotta criminosa. La sanzione quindi deve essere
determinata. Alla singola ipotesi di reato deve corrispondere la sua precisa sanzione penale. l’individuazione
della pena applicabile risponde all’esigenza di rispecchiare quella tipicità mediante un trattamento conforme ai
significati di valore che vi si trovano racchiusi. Il disvalore della condotta stessa lo si determina in presenza di
quegli elementi espressamente richiamati dalla norma. Elementi che hanno un ruolo “orizzontale”, nel senso che
per far si che scatti la pena devono essere tutti presenti, ma che assumono anche un connotato “verticale” che
delinea una scala di gravità. Da ciò la necessità che la sanzione penale deve essere strutturata alla luce dei c.d.
termini edittali. Questi ultimi creano una cornice all’irrogazione della pena stessa che deve stare all’interno di un
minimo e un massimo previsto dalla legge stessa. Il legislatore nel delimitare la pena in questo modo non
consente al giudice di irrogare una sanzione al di sotto del minimo, ma nemmeno al di sopra del massimo.
Questo rientra nella logica che la scelta in merito alla gravità della condotta deve essere compiuta a monte dal
legislatore. Sarà poi il giudice, entro tali limiti forniti, a proporzionare la pena alla luce del caso e la condotta
concreta posta in essere dal reo. Il principio di determinatezza in relazione alla pena garantisce maggiormente il
principio di riserva di legge, senza quindi mettere nelle mani del giudice la scelta pura di criminalizzazione di
una condotta. Inoltre la previsione necessaria di termini edittali consente di escludere la possibilità di prevedere
una risposta sanzionatoria fissa, la quale confliggerebbe con il principio di uguaglianza sancito nell’art 3 cost
stavolta declinato nella veste in cui situazione diverse devono essere trattate in modo diverso. La determinazione
del minimo e del massimo deve essere chiara. Inoltre, la determinazione del massimo non può mai uscire dalla
logica della proporzione in quanto quel massimo edittale per il reato x potrebbe corrispondere ad un massimo
edittale previsto per il reato y qualitativamente più grave del reato x. Es il termine massimo edittale del reato di
furto deve necessariamente essere inferiore rispetto a quello dell’omicidio. Analizzando ancora i termini edittali,
ricordiamo che non deve sussistere tra il minimo e il massimo un gap troppo ampio, posto che in tal caso la
variazione della sanzione risulterebbe scollegata con gli elementi propri di quel reato, rimettendo quindi nelle
mani del giudice un potere di valutazione del disvalore della condotta stessa.
I ragionamenti in tema di principio di determinatezza ci portano ad affrontare il tema del divieto di
interpretazione analogica della norma penale. L’analogia è quello strumento utilizzato per fornire una disciplina
ad una fattispecie che ne è priva per il solo fatto che configura elementi di somiglianza con un’altra fattispecie
espressamente prevista. Si fa rientrare un caso concreto che in parte assomiglia all’interno di una determinata
fattispecie. Questo strumento chiaramente non può essere utilizzato per tutto ciò che abbiamo detto fin qui in
tema di principi costituzionali che reggono la norma penale. Non sarebbe possibile rispettare il principio di
riserva di legge assoluta se noi punissimo adottando un criterio analogico. Quando il diritto penale presenta una
lacuna, un vuoto, per il principio di tipicità della norma penale (la quale si riferisce ad fatto tipico), è perché tale
lacuna è stata espressamente desiderata dal legislatore. Qualora non sia così per superare la lacuna stessa, non
potremmo mai intervenire con l’analogia, ma mediante adozione di nuova legge penale. Il divieto di analogia
oltre ad essere logicamente conforme ai dettami costituzionali viene espressamente sancito dall’art 14 delle
preleggi, in cui si dice che le leggi penali non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. L’analogia
non può essere utilizzata nel settore penale come metodo di integrazione delle lacune dell’ordinamento. Gli
elementi di somiglianza non sono sufficienti per punire una condotta non espressamente richiamata dalla legge.
Le ragioni per cui non è possibile ricorrere all’analogia sono anche legate a caratteristiche naturali del diritto
penale. Questa branca del diritto che per sua natura ha come funzione quella di reprimere fatti lesivi, non si pone
adeguata per la promozione e lo sviluppo delle relazioni sociali. Questo obbiettivo di sviluppo delle relazioni
sociali è maggiormente raggiunto dal diritto privato. In ambito civilistico infatti la norma è volta a permettere a
ciascun consociato di muoversi in una rete di rapporti il più possibile ampia ed articolata. Ecco che allora
l’analogia in questo settore del diritto va a supporto di questa funzione e stimola e favorisce le occasioni di
esercizio di libertà. Il diritto penale limita la libertà delle persone, il diritto civile amplia. Il divieto di analogia se
applicato anche il diritto civile negherebbe al giudice di la possibilità di concedere alle parti la possibilità di dare
regolamentazione ai rapporti. Se Tizio e Caio hanno un determinato rapporto che decidono di regolamentare con
un caso non espressamente previsto dalla legge, sarà loro possibile rifarsi alla disciplina di un rapporto tipico
laddove sussistano tratti di somiglianza, questo per incentivare l’istaurazione di rapporti tra consociati.

VIAGGIO DEL PROF IN MESSICO

Città del Messico accoglie 22 mila persone residenti. Quello che è interessante passeggiando per
le strade di Città del Messico è che è una città edificata su un genocidio. Conquista spagnola.
Civiltà che avevano un forte sviluppo scientifico, artistico. Erano però civiltà guerriere, civiltà che
effettuavano i sacrifici umani. Enormi disparità in termini di ricchezza ed opportunità sociali. Una
società che presenta queste problematiche enormi. Una democrazia che giornalmente deve
essere conquistata. Un sottofondo continuo di violenza. Un governo che sta cedendo il potere di
polizia all’esercito. Ma è anche il Paese delle grandi proteste, di avvocati che riescono a
conquistare diritti umani. Tutto questo ha a che fare con l’esercizio del potere punitivo. Quello
che per noi è scontato in Messico non lo è. Di fronte al palazzo della corte suprema di giustizia,
simile a quella americana quindi che si occupa sia di questione di legittimità sia costituzionalità. Di
fronte a questo palazzo ci sono continuamente manifestazioni e proteste. Ci sono le sparizioni
forzate degli studenti. Premono tensioni sia sotterrane sia manifeste. All’interno di questo edificio
possiamo trovare murales bellissimi che lo ornano. Murales che rappresentano la storia di Città
del Messico. Il murales dei 7 crimini peggiori di Rafael Cauduro. Tema delle garanzie, tema della
legalità. I massimi giudici di tutto il Messico incontrano questo murales. Opera che cerca di tenere
sempre la mente ferma di questi magistrati sul potere di cui essi stessi dispongono. Grande visione
sulla violenza. Dietro i fogli e la burocrazia del ramo penale ci sono persone, storie umane di carne
e sangue. Il murales rappresenta anche le torture. Mattanza di studenti nel 1968.

Tema della legalità penale nel tempo. Già abbiamo visto e trattato il principio della irretroattività del diritto
penale. Divieto anche di ultrattività. La legge incriminatrice deve essere contemporanea al fatto che integra
reato. Il fatto, quindi, non può essere precedente alla legge, o successivo all’abrogazione della legge stessa.
Principio fondamentale e superiore di civiltà. Io commetto un fatto che inizialmente non rientra nel concetto di
reato. Un giorno invece si ritiene, caso esempio, che la violenza nei confronti della moglie oggi rientra nel
concetto di stupro già incriminato da una legge penale. interpretazione del giudice che ex novo attribuisce il
valore di reato ad un fatto che rientra in una legge preesistente al fatto stesso. Si estende l’ambito applicativo. Si
può? Nella sostanza è una nuova incriminazione, ma nella forma no. Per la CEDU questo modus operandi è
corretto, ricordiamo che la CEDU si rivolge sia a common sia a civil law. Per la nostra Corte costituzionale non
si ritiene possibile. Quello che interessa la cedu è la consapevolezza del reo di comprendere che quello che stai
facendo non è corretto. Il reo poteva immaginare che ciò che ha fatto potesse essere incriminato grazie anche ad
elementi culturali e sociali. I giudici italiani si appellano a questa logica della prevedibilità. Sviluppo prevedibile
della legge, interpretazione che muove dal testo della legge penale, legge che deve essere precedente alla
condotta in modo inedito ritenuto reato.
Anche le modifiche sfavorevoli non possono essere applicate retroattivamente. E i mutamenti peggiorativi degli
istituti rieducativi ed alternative alla pena detentiva? Le misure alternative non sono un qualcosa che attengono
alla comunicazione preventiva. Possono quindi essere applicate in via retroattiva, salvo il caso in cui il soggetto
abbia già intrapreso il percorso per accedere alla misura alternativa. Quando l’orientamento giurisprudenziale si
concretizza successivamente al fatto commesso, in virtù di una norma generica, non era possibile per il reo,
quindi, prevede che la sua condotta fosse criminosa. Italia condannata per aver condannato un soggetto che ha
commesso un fatto rientrante in una norma penale pur si preesistente al fatto ma non interpretata nel modo in cui
tale fatto è reato. Ma nella stra grande maggioranza dei casi, e anche nel caso Contrada, in realtà abbiamo
contestato tale condanna in quanto il concorso esterno era già implicitamente contenuto nella norma. Era
prevedibile quindi in precedenza. La prevedibilità di un orientamento è sempre possibile per noi in quanto
l’interpretazione estensiva effettuata dal giudice dopo la commissione di un fatto si basa sempre e solo su una
legge scritta ed esistente. Siamo un paese di civil law non di common law.
Esaminiamo una modifica alla prescrizione in pejus. Quindi ipotesi in cui i tempi della prescrizione vengono
allungati dal legislatore. Caso Taricco. Secondo la Corte costituzionale le norme in tema di prescrizioni si
considerano non norme procedurali (principio tempis regit actum), ma una norma sostanziale, una norma quindi
che comunica la gravità del reato compiuto. Quindi la prescrizione comunica qualcosa in tema di funzione
general preventiva. Divieto di applicazione irretroattiva. In realtà non è una soluzione pacifica: in dottrina, infatti,
si sostiene che la prescrizione non ha niente a che fare con quella logica dell’aspettativa del cittadino se
commettere il fatto o no e quali conseguenze. Sostanzialmente si ritiene che la prescrizione possa essere un modo
per farla “franca” nel caso in cui non sia stato possibile essere condannati nei tempi previsti. Un tipo di
aspettativa, meccanismo con il perdurare con l’interesse pubblico che non c’entrano nulla con il grado di
disvalore del reato. Applicazione quindi retroattiva di modifiche peggiorative possibili secondo la dottrina, a
meno che i tempi per la prescrizione non siano già maturati. La Corte costituzionale invece sostiene che i tempi
di estinzione del reato comunicano ancora messaggi in merito alla gravità del fatto compiuto.
Corte costituzionale, 18 novembre 2020. Per il tempo della sospensione dei i processi a causa della pandemia si
prevedeva che fossero sospesi anche i termini di prescrizione. Di fatto quindi comportando un allungamento dei
tempi della prescrizione, effettuando un’applicazione retroattiva di una modifica peggiorativa dei tempi di
prescrizione. Si introduce una nuova ipotesi di sospensione del processo che ha avuto come conseguenza anche
la dilazione dei tempi della prescrizione. La corte su questo tema ha ribadito nuovamente il suo orientamento,
considerando ancora una volta la prescrizione come istituto sostanziale. Tuttavia ha detto che il caso della
pandemia è un caso diverso: si è introdotta una nuova ipotesi di sospensione del processo e nella disciplina
generale della prescrizione già è previsto che alla sospensione del processo si ha anche sospensione dei termini di
prescrizione. Quindi considerata corretta l’applicazione retroattiva. Il legislatore nel 2020 ha semplicemente
introdotto una causa di sospensione.
Esaminiamo adesso le modifiche migliorative. Nel caso di abrogazione di legge penale successiva al
compimento di un fatto considerabile reato in virtù della legge abrogata successivamente si applica l’art. 2 del
Codice penale “Nessuno può essere punito per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce reato;
e, se vi è stata condanna, ne cessano l'esecuzione e gli effetti”. Se invece la legge viene semplicemente
modificata dopo la commissione del fatto si va ad applicare al reo gli effetti più favorevoli a quest’ultimo. Quindi
abbiamo un’applicazione retroattiva della norma più favorevole, ma in questo caso se è già intervenuta la
sentenza definitiva questa non si tocca. Quindi la differenza tra abrogazione di una legge penale in senso
favorevole e modifica di una legge in senso favorevole sta nel fatto che nel primo caso l’abrogazione travolge
anche le sentenze definitive, nel secondo caso sono fatte salve. Sarebbe in ragionevole rimettere tutto in
discussione solo per una modifica ad una qualifica di comportamento che comunque si considera ancora reato.
Diversamente da un fatto che prima era reato ed oggi non lo è più. Il principio che sancisce l’applicazione
retroattiva delle norme di favore trova conforto nella Costituzione? No, tale principio è contenuto solo nel Codice
penale che è legge ordinaria che è abrogabile. Quale regola costituzionale potrebbe dare copertura all’art 2 del
Codice penale? Immaginiamo il caso dell’oltraggio. Tizio ha insultato un carabiniere. Al tempo dell’insulto tale
comportamento era reato. Successivamente viene abrogata la norma. Tizio va in galera, tutti gli altri in giro ad
insultare i carabinieri. Violazione del principio di uguaglianza. Disparità di trattamento irragionevole. Mi
rieduchi ad un valore che lo Stato stesso ha dismesso. La copertura all’art 2 c.p. sta nell’art 3 e 27 della
Costituzione. Ci sono delle eccezioni come il limite del giudicato.
L’abolitio criminis trova tutela anche nella CEDU nell’art 7. La corte europea dei diritti dell’uomo ha detto che
l’art 7, in quella logica per cui io cittadino posso essere punitivo solo se sussiste una qualifica di punibilità che
fosse conoscibile al tempo della commissione del fatto, è andata oltre. Questo diritto alla conoscibilità implica il
diritto a confidare ad un trattamento adeguato e proporzionato al fatto commesso secondo la regola vigente al
tempo del reato. Diritto a subire un trattamento considerato dall’ordinamento adeguato alla mia condotta.
Quindi se l’ordinamento cambia idea, introducendo un trattamento meno grave, io ho diritto ad accedere a quel
trattamento. Questo orientamento, poiché contenuto nella cedu, è come se avesse portata costituzionale grazie
all’art 117 cost.
Fino ad ora abbiamo visto che c’è differenza tra abrogazione della norma successiva al fatto commesso, diverso
dal caso della semplice modifica migliorativa. Molto spesso però non è così evidente a cosa ci troviamo di fronte.
Esempio facciamo che fino a ieri fosse punito chiunque accarezza un felino. E io ieri ho accarezzato un felino.
Oggi il legislatore, successivamente al fatto, ci ripensa. Abroga la legge e la sostituisce con una disposizione che
dice che è punito chiunque accarezza un gatto. Immaginiamo che un tempo fosse punita la corruzione di
minorenne, laddove il minorenne avesse meno di 16 anni e successivamente si modifica l’età considerando un
minorenne un ragazzo che ha meno di 14 anni. Altro esempio reato di sfruttamento della prostituzione puniva chi
viveva a carico dei guadagni della prostituzione, viene abrogata e viene introdotta una nuova legge che parla di
qualsiasi tipo di sfruttamento anche quindi occasionale. Prima è punito chiunque accarezzi un quadrupede,
successivamente chiunque fa i grattini ad un gatto. C’è un certo tipo di approccio che dice che ci sarà una mera
successione modificatrice quando c’è una continuità nell’illecito. Ma come faccio a capire quando sussiste o non
sussiste continuità. Criterio della norma speciale e norma generale. Andiamo ad analizzare se le modifiche
effettuate possono stare in una relazione di genus a species. Se da species si passa a genus c’è continuità
nell’illecito, quindi sussiste una successione modificatrice. Se invece dal genus si passa alla species si ha
abrogazione di tutte le ipotesi contenute nel genus ad eccezione di quella che coincidono con la species. E
quando c’è un intersezione tra ipotesi A e B? nell’area di intersezione c’è una continuità nell’illecito e quindi
successione modificatrice. Logica strutturale, dobbiamo interpretare le singole fattispecie.
Se vi è stata condanna a pena detentiva e la legge posteriore prevede esclusivamente la pena pecuniaria, la pena
detentiva inflitta si converte immediatamente nella corrispondente pena pecuniaria, ai sensi dell'articolo 135.
Eccezione introdotta recentemente nell’art 2 c.p. per cui si è detto va bene prevedere i limiti del giudicato, ma
laddove la legge successiva prevede una sola sanzione pecuniaria e la precedente prevedeva la pena detentiva
allora in questo caso il giudicato può essere toccato. La pena detentiva, quindi, viene convertita in pena
pecuniaria anche successivamente al giudicato. Modifica retroattiva favorevole.
Se la legge del tempo in cui fu commesso il reato e le posteriori sono diverse, si applica quella le cui
disposizioni sono più favorevoli al reo, salvo che sia stata pronunciata sentenza irrevocabile. Facciamo
alcuni esempi in merito all’applicazione di questo comma. Tizio commette il reato A. Successivamente alla
commissione del fatto viene modificata la legge che regolamenta il reato A nei termini edittali. Precedentemente
era da 6 mesi a 3 anni, successivamente da 1 anno a 2 anni. Cosa fa il giudice? Applicare una pena da 6 mesi a 2
anni, combinando i termini edittali, non può farlo perché tale reato non esiste nella legge. In questo caso non vi è
un palese favore o disfavore nei confronti del reo a seguito della modifica. Si ricorre in tal caso all’art 133 c.p.
norma che fornisce criteri al giudice per l’applicazione della pena in relazione alla gravità del fatto commesso.
Immaginiamo ancora che la valutazione del giudice si spinga verso il minimo edittale però nel nuovo reato il
legislatore ha previsto la procedibilità a querela, mentre in quello precedente la procedibilità è d’ufficio. Se la
querela c’è si applica la legge precedente, se la querela non c’è si applica quella successiva.
Riprendiamo il discorso in merito alla distinzione tra le mere successioni di norme penali oppure introduzione di
una nuova fattispecie incriminatrice. Prendiamo il caso in cui due norme hanno entrambe specificazioni di
dettagli. Non stanno in rapporto di genus a species. Possiamo avere una serie di casi concreti che stanno
nell’intersezione, fatti che erano rilevanti prima e continuano ad essere rilevanti oggi. Rispetto a questi casi
avremmo una continuità, una mera successione. Però in casi di specialità reciproca non si può parlare di
continuità. Si andrebbe ad affermare una continuità tra fattispecie che non lo sono. Noi dobbiamo guardare al
fatto tipico astratto, non al caso concreto. Secondo Padovani avremmo quindi abolitio della norma preesistente e
introduzione di nuova norma. Impariamo a convivere con il fatto che su alcuni temi non ci sono delle risposte
certe, bisogna quindi avere un senso critico.
Ci sono dei limiti e delle condizioni legate quindi con il passare del tempo. Quello che non è reato è frutto di
decisioni politiche contingenti. Possono addirittura esserci dei cambiamenti contingenti. Reati possono sparire,
reati possono emergere. Questo è un problema ulteriormente complicato. Modificazioni mediate della
fattispecie. Elementi normativi, sono quegli elementi che vengono utilizzati dal legislatore per descrivere la
fattispecie di reato. Elementi normativi naturalistici ed elementi normativi giuridici. Che succede se non cambia
la norma penale, ma cambia la norma extra penale a cui ci si riferisce? Sostanzialmente ipotesi in cui la norma
incriminatrice viene redatta utilizzando elementi normativi giuridici. Quindi la modifica dell’altra norma impatta
la norma incriminatrice. Facciamo l’esempio del reato di calunnia: chiunque con denuncia, incolpa di un reato
taluno che egli sa innocente, ovvero simula a carico di lui le tracce di un reato, è punito con la reclusione da due
a sei anni. Se io denuncio Tizio di aver lasciato la macchina in divieto di sosta, per far si che il mio
comportamento rientri nella fattispecie di reato di calunnia è necessario che si vada a controllare che lasciare
un’auto in divieto di sosta sia reato oppure no. È quindi necessario che il fatto commesso da Tizio che io ho
denunciato debba essere reato, altrimenti non è calunnia. Quindi si rinvia ad altra norma. Facciamo un altro
esempio Tizio denuncia Caio di abuso di ufficio per violazione di regolamento, pur sapendo che è innocente.
Oggi non è più delitto l’abuso di ufficio per violazione di regolamento. Che si fa se Tizio è stato condannato per
la calunnia? Una prima soluzione sarebbe affermare che non è intervenuta nessuna modifica, del resto l’art 368
c.c. non è stato modificato. Come il reato di abuso di ufficio. Niente è cambiato, non si può parlare di abolitio
criminis. Soluzione più rigorosa e a favore con il pubblico ministero. Soluzione del difensore quella di
interpretare l’art 368 c.c. utilizzando il metodo del combinato disposto. Se facciamo così la fattispecie criminosa
è cambiata e tu Stato mi hai condannato per ciò che oggi non è più reato. Se l’offesa precedente continua ad
esserci nonostante la modifica si parla di continuità della norma.
Cosa succede in caso di mancata conversione del decreto legge? Il governo stabilisce che se si compie A è reato.
Il parlamento non converte, non viene compiuta la scelta d’incriminazione. Tizio ha compiuto A dopo l’adozione
del decreto, ma non ancora punito prima del decorso dei 60 giorni. Sostanzialmente è un caso di abolitio dal
punto di vista del diritto penale. Dal punto di vista del diritto costituzionale è come se tale reato non fosse mai
esistito, quindi Tizio non può essere punito. Se invece Tizio ha compiuto A prima dell’adozione del decreto
assolutamente Tizio non può essere condannato. Facciamo il caso opposto: il governo adotta un decreto che
elimina A come reato, il parlamento non converte. Quindi da un punto di vista costituzionale è come se A avesse
continuato a persistere come reato. Se Tizio1 ha commesso A a seguito di adozione del decreto che si fa? Se noi
considerassimo solo le norme che disciplinano il decreto legge dovremmo considerare una mancata
depenalizzazione e quindi Tizio dovrebbe essere punito. Però dal punto di vista di Tizio, Tizio ha commesso un
fatto che non era considerato più penalmente rilevante ed è il Parlamento che dopo lo considera di nuovo
penalmente rilevante. Quindi potremmo avere o ultrattività delle norma penale (primo caso) oppure irretroattività
della norma penale). Tizio2 lo si considera assolto in quanto nel momento in cui sussisteva il comportamento
Tizio sapeva che non era più penalmente rilevante. Facciamo il caso in cui Tizio commette A prima
dell’intervento del decreto. Il decreto abolisce A, ma il \parlamento non converte. Che si fa? Qui di diverso c’è il
fatto che quando Tizio ha commesso A, A era reato. Siamo sicuri che sarebbe conforme al principio di
uguaglianza continuare a punire Tizio2 e Tizio1 libero?
Ipotesi di dichiarazione di incostituzionalità. Una norma penale o che incide sulla la responsabilità penale può
essere dichiarata incostituzionale. Un motivo per cui affidiamo proprio alla legge la disciplina penale è anche
quello di consentire un controllo di legittimità costituzionale da parte della Corte. Ancora una volta si può dire
che la dichiarazione opera ex tunc e quindi in ambito penale travolge anche il giudicato. Non è concepibile che
qualcuno continui a scontare una pena in virtù di un fatto che non è considerabile più reato perché la norma è
incostituzionale (art 2 c.p. e art 3 cost e art 27 cost). Ma è possibile dire che la Corte ha la competenza di definire
ciò che sia reato e ciò che non lo sia? Può quindi tale istituzione compiere la scelta incriminatrice? Nell’inerzia
del legislatore la Corte può decidere di introdurre delle fattispecie criminose. Chiaramente non può farlo. Non è
infatti un organo rappresentativo. Anche qualora sussistano degli obblighi sovranazionale, sono comunque
obblighi e moniti rivolti al Parlamento. Nessuno vota i giudici della Corte costituzionale. Ci sono anche questioni
più tecniche che negherebbero tale possibilità. Legata al tema dell’applicazione della legge penale nel tempo.
Vediamo come incidono le sentenze della Corte costituzionale. Entra in vigore una legge X che introduce A
come reato. Arriva la corte e dichiara incostituzionale la legge X o la dichiara incostituzionale in parte, riducendo
l’area applicativa di una norma. Questo ad esempio è il caso Cappato, nel caso di reato di aiuto al suicidio. Tale
articolo reso incostituzionale nella parte in cui non prevedeva l’esclusione di tutti quei casi rientranti nel
trattamento di suicidio medicalmente assistito. Quando Cappato ha commesso il fatto, il fatto era reato.
Successivamente la Corte rende incostituzionale la norma in quella parte che salverebbe Marco Cappato.
Processo sospeso. Sentenza emessa quindi Marco Cappato assolto. Ancora un altro caso: A è reato ed entra in
vigore una legge che abroga A, successivamente tale legge viene dichiarata incostituzionale. Caso che non può
accadere perché la corte si rifiuta di operare in questi casi. Ragioni tecniche che attengono alla rilevanza della
decisione della Corte costituzionale. Il giudice in via incidentale chiama la Corte ad esprimersi. La decisione è
rilevante per l’esito del procedimento da cui scaturisce la domanda? Se la corte dice che la legge che ha abrogata
è legittima Tizio è assolto. Se invece viene tale legge dichiarata incostituzionale e quindi ripristinando
l’incriminazione di A, Tizio non potrebbe essere incriminato. In qualunque modo si esprima la Corte la norma di
favore continuerebbe ad essere applicata e quindi non ha rilevanza la pronuncia della Corte in inerenza al caso
concreto.
Fino ad ora nei nostri esempi abbiamo sempre individuato la commissione del reato in una tempistica non
precisa. Abbiamo definito se il reato era stato commesso prima o dopo l’entrata in vigore di una legge, prima o
dopo l’abrogazione della legge, o ancora prima o dopo l’intervento della Corte costituzionale. Ma qual è il
tempo di commissione del reato? Come si individua? Come si può stabilire esattamente il momento in cui è
stato commesso il reato a livello temporale (anno, mese, giorno, orario)? Esempio Tizio spara a Caio il giorno X.
Caio muore due mesi dopo il giorno X. Immaginiamo diversamente da come è andata che Cappato accompagna
Dj Fabo il 3 agosto, ma il suicidio medicalmente assistito viene compiuto il 3 ottobre. Nel frattempo, interviene
la Corte costituzionale. Oppure l’incriminazione di una condotta interviene successivamente alla condotta, ma
prima che fatto realmente si concretizza. Se è precedente condanna, se successivo lo assolviamo. Ci interessa il
momento della scelta della condotta. È li che viene realizzata quella scelta di azione che deve essere
orientata dalla norma penale. Il momento da tenere in conto è il momento della condotta. Il problema è che a
volte la condotta ha uno sviluppo nel tempo. Tizio somministra a Caio una dose di veleno per ucciderlo. Caio
non muore perché in realtà c’è bisogno di un’altra dose. Tizio somministra a Caio un’ulteriore dose e Caio muore
dopo un mese. Quando sussiste il tempo del reato? Prima della prima dose non esisteva omicidio per
avvelenamento, introdotto tra la somministrazione della prima e la seconda. Unica condotta perché la condotta è
un insieme di atti volti alla realizzazione del reato. Fin tanto che c’è la possibilità della norma penale di
orientare la scelta del reo il fatto non è ancora compiuto. C’è ancora spazio per far astenere Tizio. Ci sono dei
casi chiamati c.d. reati permanenti, condotta che si protrae che il reo può interrompere. Se si interrompe la
condotta non è penalmente rilevante. Caso del sequestro di persona, privazione della libertà personale per un
periodo che protrae nel tempo. Periodo di tempo sufficiente per integrare il reato, senza c.d. soluzione di
continuità. Finché la condotta si protrae il reato non è ancora consumato. Reato abituale, permanente, continuato.
Il reato abituale è quello che prevede come condotta tipica una condotta composta da una reiterazione di una
pluralità di atti dal contenuto analogamente offensivo.
Il legislatore attraverso la legge è libero di incriminare tutto quello che gli pare solo perché lo fa attraverso la
legge? Oppure esistono limiti alle scelte di incriminazione? Quando e cosa incriminare? Il parlamento adotta
una legge incriminatrice che condanna con la reclusione da uno a due anni chiunque si vesta di giallo. Legge
adottata dalla maggioranza del parlamento, attraverso una legge ordinaria. Da un punto di vista di principio di
riserva di legge tutto è corretto. Altro esempio il parlamento decide di punire chiunque compia pensieri impuri.
Può farlo oppure no? Qui entrano in gioco tutta una serie di principi. Oggi principi costituzionali, ma che
affondano le loro radici nel pensiero degli Illuministi. Ad esempio, nei processi penali della santa inquisizione la
prova regina è la confessione. Per lungo tempo era normale punire queste cose. Sono i riformatori illuministi che
dicono che non tutto può essere oggetto di norme penali. Hanno trasformato con il loro pensiero il diritto penale e
il potere punitivo. Fornendo basi teoriche e filosofiche per le elaborazioni di principi contenuti nella nostra
costituzione. Principio di materialità e di offensività. Io posso punire solo un fatto, un comportamento, un atto.
Non un pensiero o un modo di essere. E tale fatto, atto, comportamento posso punirlo solo nella misura in cui sia
offensiva di beni altrui. Se io faccio qualcosa che riguarda solo me, che si esaurisce nella mia sfera privata non
posso punirlo. Anche il principio di offensività è implicitamente costituzionalizzato, mentre quello di materialità
contenuto nell’art 25 costituzione. Quali limiti incontra la legge penale a livello di contenuto. Principi
espressione della secolarizzazione del diritto penale. Il potere punitivo era il braccio armato di qualsiasi principe
e potere senza limiti. Quindi si poteva reprimere il dissenso, l’eresia, modi di essere, modi di vivere ritenuti
devianti e non accettabili. Serviva per garantirsi quei capri espiatori che sempre servono per consolidare assetti di
poteri in qualche modo per distrarre il potenziale reazione e riscossa delle masse verso tale potere assoluto. A
partire dall’Illuminismo si inizia a dire che tutto ciò non è più tollerabile. Processo di emancipazione del diritto
penale dalla religione, dall’etica. Percezione che il potere punitivo può essere ben più pericoloso dei reati o degli
illeciti che pretenderebbe di reprimere e quindi il potere punitivo deve essere oggetto di limitazione e
contenimento. Funzionali a questa logica, a queste nuove istanze, sono queste logiche di materialità ed
offensività. Nessuno può essere punito per ciò che è, ma solo per quello che fa. Nessuno però può essere punito
solo per condotte o scelte di azione (l’azione è quindi elemento essenziale, ma non sufficiente), ci deve
essere un offesa che scaturisce dalla condotta stessa (questo ragionamento sta alla base della tripartizione
del reato che vede distinti il giudizio in merito alla sussistenza del fatto tipico e quello dell’antigiuridicità
della condotta). Principio di materialità costituzionalizzato nell’art 25 costituzione dove si parla espressamente
di fatto commesso. Ma anche in altre parti della Costituzione possiamo trovare die principi che ci suggeriscono
l’inammissibilità della repressione del pensiero o dei modi di essere. Art 2 cost dove si parla di diritto al libero
sviluppo della propria personalità (lo Stato tutela il modo di essere di una persona). Ma anche art 21 cost dove si
parla di libertà di espressione e di pensiero (lo Stato tutela il pensiero). Se noi riprendiamo la nostra famosa
bilancia sbilanciata, il principio di materialità è essenziale per favorire la funzione preventiva e riduce la portata
repressiva. Non c’è funzione preventiva se io punisco un modo di essere. Io non prevedo e non scelgo ciò che
sono. Minaccia di una pena che opera solo in termini repressivi. Diritto penale meramente repressivo e non
preventivo. Lo stesso vale per il pensiero: noi non possiamo prevenire i nostri pensieri, i nostri gusti, desideri.
Non possiamo decidere di non pensare una cosa. In più se noi dovessimo punire per il solo fatto di essere
sapremmo a priori quali soggetti la norma penale va a colpire, sarebbe quindi un diritto penale meramente
arbitrario.
Come si è costruito il principio di offensività? In tale principio sta la quinta essenza di quelle ragioni che
possono giustificare il potere punitivo. Se si usa violenza di Stato per reprimere condotte non violente e quindi
non offensive, aumento la violenza nella società. Il principio di offensività va a braccetto con il principio di
proporzionalità. Il pensiero di una persona non ha un’offensività in quanto se io non lo esternalizzo resta un
qualcosa legato alla mia sfera d’intimità, si esaurisce nella mia interiorità. E’ nel momento dell’esternalizzazione
che forse quel pensiero può dirsi offensivo. Ma cosa è considerabile offensivo e cosa no? Quando ci troviamo di
fronte ad un fatto offensivo? Sul punto dobbiamo ripercorrere, per cercare di trovare una risposta, tutta la vicenda
teorica che ha portato poi a certe conclusioni. Kant è alla base dell’idea che il diritto è fondamentalmente un
criterio di regolamentazione tra individui, ognuno deve comportarsi liberamente ma fintanto che il proprio libero
arbitrio non vada a danneggiare il libero arbitrio altrui. La libertà finisce dove inizia quella degli altri. A
conclusioni analoghe si arriva anche con il pensiero di Hobbes, Pufendorf, Locke e Beccaria. Logica contrattuale,
il c.d. contratto sociale. Cedere una quota di libertà ad un organo superiore che garantisce che le libertà siano
rispettate. Quindi questo organo interviene solo quando c’è un’offesa, un danno. Contratto che tutela i consociati.
Per porre rimedio alla confusione tra delitto e peccato, Beccaria sostiene che il legislatore che tocca questioni di
Dio bestemmia in quanto si crede interprete di Dio, ritiene che Dio non sia in grado di farsi giustizia da solo. Ma
passiamo alla logica utilitaristica di Popper. Lasciare ai cittadini la massima libertà, fin tanto che non si arrechi
un danno, perché questo fa bene alla società. Arricchimento tramite il confronto di idee. Se si impone con la
violenza della pena un solo modo di pensare, di vivere, si perderà l’occasione di scoprire modelli migliori. In più
se si cerca di orientare i pensieri della gente tramite la minaccia penale c’è il forte rischio di creare l’effetto
opposto, poiché tale pensiero avvertito come un’imposizione. Sarà impossibile convincere la gente. La minaccia
penale fomenta i negazionisti. Parliamo di un altro autore Walter Block economista. Scrive il libro “difendere
l’indifendibile”. Non tutto quello che ci fa specie deve essere punito. Il terrore non è sufficiente per incriminare.
Questo è il background culturale che ha spinto verso la secolarizzazione del diritto penale. Il diritto penale
lavora in extrema ratio. A volte il diritto penale ci rassicura, se esiste la pena ci sentiamo tutelati e protetti. In
realtà se ne facciamo un abuso il diritto penale non opererebbe bene e allora non daremmo più sicurezza ai
consociati. Non deve essere caricato, smetterebbe di funzionare. Si interviene quando c’è un’offesa? Ma cos’è
un’offesa? Il diritto penale doveva salvaguardare i diritti naturali soggettivi. In questa prospettiva l’offesa a
questi diritti poteva giustificare l’intervento del diritto penale. Ci sia accorse subito che si trattava di una
categoria ristretta. Il diritto penale deve tutelare qualcosa che va oltre i diritti soggettivi, ma deve tutelare più in
generale beni giuridici. Birnbaum afferma che esistono dei beni che meritano la tutela penale, comportamenti che
vanno ben oltre i diritti soggettivi. Qui il problema è che il concetto di bene giuridico tende ad essere troppo
vago. Bene giuridico inteso come un bene che deve essere tutelato dallo Stato, affermazione tautologica.
Premesse per una degenerazione. Tutto ciò che il legislatore sancisce come bene giuridico è bene giuridico.
Totale arbitrarietà del legislatore. Il legislatore ha diritto di punire tutto ciò che gli pare. Logica di obbedienza
che impatta il cittadino. A inizio del 900 svolta spiritualistica e irrazionalistica della cultura giuridica. È reato
tutto ciò che costituisce violazione del dovere imposto da chi ha il potere politico. Il reato si esaurisce nella
fedeltà o infedeltà allo stato. Sistema che porta a dire che debba sussistere un limite al concetto di bene giuridico.
In Italia arriva un penalista Franco Bricola negli anni 60 che teorizzò la teoria del bene giuridico costituzionale.
Il diritto penale può intervenire solo laddove sussista un’offesa ad un bene giuridico riconosciuto dalla
Costituzione. Siccome la pena impatta e limita la libertà personale che è un bene tutelato dalla costituzione
nell’art 13 allora è possibile pensare di limitare tale bene solo per tutelare altri beni di ugual valore e quindi bene
costituzionali. Io rieduco solo quando offendo beni costituzionali perché io rieduco alla costituzione. Come
potrei incriminare per un pensiero? A cosa rieduco a non pensare più? Questo sarebbe incompatibile con la
costituzione che sancisce la libertà di pensiero. Bricola dice che può essere reato solo un comportamento che
offende significativamente un bene costituzionale. Questa teoria rischia comunque di non essere
sufficientemente limitativa in quanto i bene contenuti in costituzione sono ancora troppo vaghi. Da un lato ancora
è limitativa in quanto la costituzione non parla di tutti i beni che meriterebbero di essere salvaguardati con il
diritto penale. Accusato di ingenuità, come se avesse preteso un po’ troppo dalla costituzione. Infatti ci i sono dei
settori che ci pongono particolarmente in crisi. Serie di incriminazioni in cui è stato lo studio di Padovani che è
stato in grado di cogliere un elemento comune. Reati a tutela di funzioni vs. reati a tutela di beni. I primi sono
una tecnica di tutela penale che se prendessimo alla lettera l’impostazione di Bricola non potrebbe esistere. Ad
esempio, parliamo dei reati in ambito edilizio o urbanistico, illeciti a tutela dell’ambiente, alcuni delitti in materia
di aborto, alcuni delitti in materia di stupefacenti. I reati a tutela di funzioni sono quei reati che prevedono che
una condotta sia legittima, e quindi non penalmente perseguibili, nella misura in cui viene rispettata una
determinata disciplina richiamata dalla norma stessa. L’aborto non è penalmente perseguibile, nella misura in cui
viene rispettata la disciplina dell’interruzione di gravidanza. Esistono questi reati perché ci sono settori in cui
non è possibile capire a priori quale sia la condotta offensiva. Ci sono cose che non si possono stabilire una volta
per tutte. Ci sono situazioni che variano caso per caso (l’offensività deve essere accertata). Situazioni ponderabili
solo in concreto. Si chiamano in causa interessi confliggenti tra di loro che devono di volta in volta essere
bilanciati. Si suppone quindi che sia un pericolo il non rispetto della disciplina di settore. Ti punisco perché ti sei
sottratto dalla disciplina, l’ordinamento non può tollerare l’elusione di una disciplina di settore per tutelare i beni
in gioco. Beni di rilievo costituzionale. Ma tali norme possono colpire dei beni indirettamente collegabile a quei
beni costituzionalmente rilevanti. Non c’è offesa diretta a quel bene costituzionale, ma punisco la mancata
applicazione di quella disciplina che meglio garantisce il bilanciamento degli interessi inerenti a quel bene
costituzionale. Es costruisco una casa bellissima, conforme a tutti i requisiti idrogeologici, paesaggistici ecc. ma
non ho il permesso a costruire. C.d. strumentalità del diritto penale rispetto a programmi di tutela di
interessi costituzionali. Potremmo depenalizzare in questi casi applicando una sanzione amministrativa? Si
potremmo, ma facciamo il caso di un imprenditore che intercorre nel rischio di una mera sanzione amministrativa
se non rispetta la normativa in tema di smaltimento di rifiuti tossici. Se smaltire in modo illegale mi fa ottenere
un vantaggio economico e quindi mi posso permettere di pagare la mia sanzione amministrativa la tutela
dell’ambiente sarebbe rimessa ad una mera valutazione di costi-benefici. Il diritto penale interviene per
perseguire quegli scopi e quegli interessi costituzionali. I reati a tutela di funzioni sono reati di pericolo. C’è il
pericolo che violano dei beni perché non hanno rispettato la disciplina di settore. Bricola cambia il paradigma su
cosa si può punire, però la sua versione è ancora troppo rigidamente ancorata ai beni costituzionali. In realtà
dobbiamo acquisire una visione più duttile, più versatile. Quindi non è sempre possibile costruire delle norme
penali che in via generale e astratta sia direttamente a tutela di beni costituzionalmente rilevanti. Settori e
casistiche in cui è necessario fare delle ponderazioni, creare delle discipline ad hoc che orientino le condotte dei
consociati a tutela dei beni costituzionali. Il che significa che se il consociato non rispetta la disciplina di settore
allora si presume che si stia indirettamente danneggiando quel bene costituzionale penalmente tutelato in via
indiretta. Pensiamo ad una norma penale che reciti “Chiunque danneggi l’ambiente è punito”, ma cosa vuol dire?
Il diritto penale diventa servente rispetto a discipline extra penali. E questa idea della strumentalità la
possiamo estendere anche a quei beni che in realtà non sono citati direttamente dalla costituzione. La logica della
strumentalità amplia la visione di Bricola, fuoriuscendo dal campo strettamente legato alla tutela costituzionale.
Diritto penale come strumento per progetti di salvaguardia e di governo. Il problema è che estendendo in questo
modo la legittimazione del diritto penale per programmi anche extra penali il campo inizia ad allargarsi
parecchio. Quali sono i programmi extra costituzionali? Il tutto diventa liquido, fumoso. E allora tornano di
nuovo in gioco quei principi che vanno nuovamente a restringere la sfera di scelta del Parlamento. Infatti limite
all’intervento penale vero e proprio: principio di sussidiarietà (esiste una necessità dell’intervento penale),
principio di proporzione. Ma ancora logica della ragionevolezza. Si ricorre al diritto penale solo quando è
necessario. Il diritto penale non deve essere utilizzato quando altri strumenti del nostro ordinamento sono
migliori, come ad esempio la sanzione amministrativa. Il concetto di sussidiarietà in realtà si estende ad altre
valutazioni: in certi settori magari è più proficuo effettuare interventi sociali o culturali, invece di arrivare
all’intervento penale. E‘ chiaro che il diritto penale è più facile, più veloce. Più complesso è pensare e
progettare interventi sociali. Affrontare i problemi guardandoli in faccia. Il legislatore è sempre tentato
dal ricorrere al diritto penale. Diritto penale scorciatoia. Sembra di aver risolto, ma in realtà si creano
altri problemi: sovraccarico della giustizia, ingolfamento della burocrazia, carceri. E paga il contribuente.
Principio di proporzionalità mediante il quale il legislatore modera la risposta penale nei confronti dei consociati.
Principi costituzionali a supporto sono art 3, 13 e 27. Altro limite al diritto penale è la repressione di condotte
costituzionalmente tutelate. Altro limite ancora dimostrazione da parte del legislatore della necessità e della
proporzione. Se il legislatore è già intervenuto sul settore con il diritto amministrativo e poi intervieni con il
diritto penale non sei più coerente. Il legislatore nell’utilizzo del diritto penale deve essere coerente. Caso del
divieto di diagnosi da preimpianto, dei genitori portatori di malattia che volevano fare la fecondazione in vitro
per vedere se il bambino era sano prima dell’impianto. Abuso di divieti penalmente sanzionati. A quel punto la
Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale una serie di norme che vietavano questa pratica.
Arriviamo quindi a delle sintesi che ci permettono di categorizzare. Arriviamo quindi al concetto di reati di
pericolo. Si possono punire condotte che non immediatamente offendono beni costituzionali. Il pericolo è un
giudizio, una qualifica. Un qualcosa è pericoloso quando da quella cosa derivi la probabilità di un danno. Il
diritto penale può intervenire a reprimere condotte che potrebbero condurre all’offesa a un bene tutelato
costituzionalmente. Quali tipologie di reato di pericolo conosciamo? Reati di pericolo concreto, di pericolo
presunto, di pericolo astratto. Nei reati di pericolo concreto, la norma viene scritta nominando espressamente il
pericolo e quindi deve essere in concreto accertato dal giudice. Prendiamo ad esempio art 422 c.p. Elemento
espresso di pericolo. Senza questo elemento il reato non c’è. Il pericolo concreto può essere presupposto della
condotta, oppure come conseguenza della condotta (cioè l’evento). Nei reati di pericolo presunto il pericolo non è
elemento espresso della fattispecie, non c’è quindi l’accertamento in concreto da parte del giudice. In questi casi
è il legislatore che a monte presuppone che tale condotta sia pericolosa, il giudice deve solo accertare la
sussistenza della condotta. Sono i reati a tutela di funzioni. Esempio art 176 del codice della strada, guida in stato
di ebrezza e si presume che guida in stato di ebrezza sia pericoloso. Nei reati di pericolo astratto abbiamo un
requisito di pericolosità che però non può essere inteso come probabilità di offesa concreta, ma solo nella sua
generalità. Art 440 c.p. Si fa espressamente riferimento ad una condotta che è preliminare alla partecipazione del
consumatore. Siamo in una fase preliminare perché si parla di una condotta prima che l’alimento venga messo in
commercio.
Reati di pericolo: una volta considerato che solo nei reati di pericolo concreto il giudice è tenuto ad accertare
volta per volta la pericolosità, mentre nel caso di pericolo presunto il giudizio di pericolosità viene già svolto dal
legislatore. Nel pericolo astratto questo non si può dire, la pericolosità qui non è giudizio di nessuno. Valutazione
di astratta pericolosità. Come si svolge il giudizio di pericolosità in concreto? Causabilità, la possibilità di
provocare un danno. Il parametro per valutare questa possibilità sono le leggi scientifiche. Dato un antecedente è
scientificamente provato che possono derivare certi effetti. Spesso nei giudizi che hanno per oggetto reati di
pericolo in concreto viene chiesta una perizia, ovvero un intervento di un soggetto terzo e tecnico nel settore.
Giudizio di causabilità fondato su competenze scientifiche. Quali elementi considero per la valutazione della
causabilità di offesa? Il giudizio deve essere ex ante o ex post? Se facessimo un giudizio ex post, essendo il
giudizio di pericolo significa che io considero quegli elementi che hanno impedito il danno e quindi non ci sarà
pericolo. Allora il giudizio deve essere ex ante, tenere in considerazione gli elementi presenti al momento della
condotta. Devo tenere conto di tutte le circostanze o solo quelle conosciute o conoscibili dal soggetto agente? Si
scopre solo successivamente, senza che l’agente lo sapesse, che l’ordigno per qualche motivo non poteva
esplodere. Quindi non c’era causabilità ex ante. Il giudice dovrebbe assolvere perché non sussisteva pericolo in
concreto. Se noi ragioniamo partendo dal fatto che si possono punire solo i fatti e non le intenzioni, allora
dobbiamo affermare che dobbiamo tenere in considerazione tutti gli elementi indifferentemente che questi
fossero conosciuti dal reo oppure no. Anche perché ci sono elementi non conosciuti che potrebbero o diminuire
la pericolosità, oppure addirittura incrementarlo. Al massimo può crearsi un problema di colpevolezza in tema di
conoscibilità delle condizioni, ma è un problema successivo. Il giudizio di pericolosità essendo un giudizio di
causabilità tiene in conto delle probabilità. Spesso la scienza ha a che fare con leggi statistiche. C’era un 20% che
la bomba esplodesse. E allora quel 20% conferma la pericolosità in concreto. Perché ex post non è esplosa, ma ex
ante non potevamo sapere se quel 20% si sarebbe verificato. In certi casi quindi si affermerà il reato anche
laddove non si sarebbe potuto accertare ex post. Verifica ex ante sulla base di leggi scientifici. Quanta
percentuale serve per poter affermare il pericolo? Il codice non da indicazioni. Ragionare in termini di
proporzione. Art 244 c.p. comma 1, a reato di pericolo punito con una reclusione fino a diciotto anni, reato di
danno punito con l’ergastolo. La differenza tra le due pene è altissima, quindi vuol dire che il pericolo è basso. Al
comma due invece non c’è grande differenza di pena, sono praticamente puniti uguali, allora devo affermare che
il pericolo deve essere grande.
L’offesa può essere di due tipi: danno o pericolo. In che misura un reato di pericolo soddisfa il principio
costituzionale di offensività? Basta un pericolo astratto per giustificare la pena? Entro che limiti la mera
pericolosità di un’azione può legittimarne l’incriminazione? Nei reati di pericoli astratti o presunti mettono nel
conto che il pericolo potrebbe anche non verificarsi mai. Si rischia di andare a punire fatti che magari nella realtà
concreta non sono poi offensivi. In questi casi l’intervento penale trova la sua legittimazione in casi ancora più
residuali. Ci sono casi in cui la sanzione panale si pone come strumento utile per perseguire alcuni obbiettivi. Ci
sono in gioco beni costituzionali. E purtroppo ci sono casi in cui non è possibile prevedere in concreto il pericolo.
I reati ad esempio di pericolo concreto non può essere usato per tutti quei reati a tutela di funzioni, perché il
giudizio di bilanciamento di interessi non può essere condotto dal giudice, ma deve farlo ad esempio la pubblica
amministrazione. In altri casi ci sono condotte che se si attende il pericolo concreto è troppo tardi, dobbiamo
intervenire subito.
Una volta che una condotta sia stata legittimamente qualificata come reato da chi poteva farlo ed entro i limiti, se
un soggetto effettivamente realizza quel comportamento quanto quel soggetto è meritevole di risposta
penale? Il fatto merita di essere punito, ma il soggetto in quale misura merita di essere punito? Esempio un
medico, pur rispettando tutte le procedure, pur essendo intenzionato a salvare la vita al paziente, durante
l’operazione provoca però la morte del paziente. Oggettivamente il fatto è equiparabile al killer che uccide una
persona. Cosa cambia allora? La condizione soggettiva del reo. Profili psicologici, personali che possono far
ritenere il reo meritevole di pena. Iniziamo ad impostare la questione, partendo dal principio di colpevolezza. Nel
campo civilistico, non c’è un giudizio di meritevolezza vero e proprio, in quanto si tiene in considerazione uno
spostamento di ricchezza. Il diritto privato non vuole punirti, ma ha l’obbiettivo di ripristinare e rimediare. Nel
diritto penale invece l’obbiettivo è quello di prendere una persona, sbatterlo in galera, senza addirittura riparare a
niente. Quando quindi applichiamo il diritto penale un soggetto viene sottoposto a una limitazione della libertà
personale e come tale è necessario che se lo sia meritato. Questo significa che il soggetto deve essere
personalmente responsabile per quello che è accaduto. Si possono punire solo persone che possono reputarsi
soggettivamente meritevole di essere punito. Funzione preventiva, ma nei confronti di chi il diritto penale
esercita questa funzione? Solo nei confronti di chi può operare in termini preventivi. E laddove il diritto penale
non possa operare in via preventiva, non può intervenire in ottica repressiva. Nel caso del medico chirurgo,
addirittura questo soggetto stava rispettando il diritto penale perché se avesse lasciato morire il paziente allora sì
che la sua condotta sarebbe stata penalmente perseguibile.
Giudizio di colpevolezza e principio di colpevolezza. Si risponde alla domanda quanto il reo meriti di essere
punito. In ambito civile la colpa e il dolo sono criteri di imputazione. Rispondono alla domanda a chi tocca
risarcire il danno prodotto. Rimane un criterio di allocazione di un obbligo privatistico che ha a che fare con la
necessità di ripristinare la situazione di fatto così come era prima della realizzazione del danno e quindi prima
dell’illecito. Nel diritto penale invece il dolo e la colpa sono un qualcosa di più. E anche questo per questo tema
ci aiuta nuovamente l’immagine della bilancia sbilanciata, maggiore portata preventiva e minore portata
repressiva. Il reo deve dimostrare di aver bisogno di una rieducazione. Per tanto dobbiamo valutare il tipo di
partecipazione del reo nella commissione dell’illecito. Andare ad osservare la sua condotta, le motivazioni che lo
hanno portato a quelle scelte. Se da tale analisi deduciamo che non è meritevole di colpe, allora perché
dovremmo punirlo? Partecipazione personale all’illecito. Garantire che il diritto penale intervenga solo laddove il
diritto possa prevenire, e prevenire soltanto quei comportamenti che potevano essere oggetto di scelta del reo.
Come si può prevenire se il soggetto non si rende conto di commettere l’illecito? Se il diritto penale bastonasse
chiunque commetta un illecito, per qualunque motivo, le persone starebbero comunque più attente. Se punissimo
tutti nel medesimo modo, comunque, la funzione general preventiva sarebbe esercitata. Stare attenti al massimo
perché non ci sarà nessuna scusa. Se rinunciamo al principio di colpevolezza l’ordinamento non è più in grado di
scusare nessuno. Per una migliore prevenzione è logico rinunciare al principio di colpevolezza. Ma ci convince a
pieno questo ragionamento? Un diritto penale che rinunciasse al filtro della colpevolezza finirebbe per punire in
modo indiscriminato sia chi cerca di stare attento sia chi se ne sbatte. E gli effetti possibili di tale rinuncia
potrebbero essere due: 1. O tutti i consociati iniziano a fregarsene e di stare attenti e ponderare e conformare la
propria condotta ai comandi forniti dallo Stato. 2. Nessuno più si assumerebbe la responsabilità di perseguire
alcune condotte dato l’alto rischio a cui ci si espone. Es se il medico di fronte alla morte del paziente sarebbe
sempre e comunque ritenibile colpevole senza tenere in considerazione la sua posizione soggettiva, nessuno più
vorrebbe esercitare la professione del medico. Un diritto penale che prescinde dal principio di colpevolezza
avrebbe degli effetti preventivi, ma del tutto assurdi. Il principio di colpevolezza è essenziale per la funzione
della general prevenzione, della special prevenzione, della rieducazione.
Approccio storico del principio di colpevolezza, poiché tale principio è cambiato nel tempo. Un tempo quando il
reato e il peccato trovavano una sovrapposizione, la colpevolezza era tema principale dell’esercizio del potere
punitivo. Un fatto non veniva punito in relazione ai riflessi che poteva avere sulla realtà circostante, ma nella
misura in cui da quel fatto emergeva un animo cattivo da parte del reo. Oggi non sarebbe più possibile, il nostro
ordinamento non può costringerci al pentimento, non può influire sulla nostra coscienza. Il nostro diritto penale
non opera in questo modo. Tra il 700 e l’800 abbiamo il periodo in cui si cerca di superare queste logiche.
Carmignani e Carrara. Elaborano un concetto di colpevolezza nuovo, che si pone in superamento con quel tema
di colpevolezza vista in chiave religiose. Processo di laicizzazione del principio di colpevolezza. Si passa da una
logica classista ad una logica di uguaglianza formale. In più Carmignani e Carrara, nella ricerca della
legittimazione del diritto penale, affermano che tale diritto può intervenire quando sussiste un danno mediato. Se
Tizio uccide Caio perché lo stato dovrebbe intervenire se la questione riguarda apparentemente solo loro due. Al
massimo si pone un problema per le rispettive famiglie. Ma di fronte all’uccisione di un uomo, oltre ad aver
compassione per Caio la società ha paura che tale fatto possa ripetersi nuovamente. Tale timore giustifica
l’intervento penale.
Tutto questo porta al pensiero della concezione psicologica della colpevolezza. La colpevolezza è una relazione
psicologica con il fatto. Si parla di forza morale, profilo psicologico del reato. Che comprende o dolo o colpa. Se
noi puniamo solo in presenza o di dolo o di colpa noi siamo sicuri di punire soltanto quei soggetti che erano in
grado di controllare e di sapere che cosa stessero facendo. Quando non c’è un dolo o una colpa noi avvertiamo un
fatto come un accidente, come un fatto naturale. Abbiamo paura che un fatto criminoso possa ripetersi
quando viene o compiuto intenzionalmente o se avesse potuto evitarlo. Ricostruzione di un profilo
psicologico e non morale.
L’uguaglianza formale è però una finzione perché ci sono poveri e ci sono ricchi. Non siamo tutti uguali nella
sostanza. Non abbiamo le stesse possibilità e stesse opportunità. Il ricco che ruba per sfizio e della donna che
ruba la stessa cosa, ma per sfamare la sua famiglia. Davvero devono essere trattati nello stesso modo? In
entrambi i casi c’è dolo. Ma emerge lo stesso bisogno di pena? La stessa esigenza rieducativa? Bisogna quindi
differenziare, ma qual è il percorso motivazionale che ha portato alla realizzazione di quel dolo? Quali sono le
circostanze che hanno spinto quella persona a quelle scelte. Frank un penalista tedesco, sulla struttura di
colpevolezza psicologica fa nascere un nuovo principio di colpevolezza che viene inserito in tutti gli ordinamenti.
Anche nel nostro ordinamento. Era il reo capace di intendere e di volere? Era possibile per il reo mettere in
pratica il diritto penale? si era sincerato il reo che fosse nel giusto? Tutte queste domande portano a delineare a
tutta una serie di ipotesi in cui non si poteva pretendere dal reo un comportamento diverso da quello posto in
essere, anche se contrario a norme di diritto penale. circostanze che escludono la responsabilità c’è un fatto
criminoso e c’è il dopo o colpa; eppure, si assolve perché non c’è rimproverabilità, non c’è colpevolezza.
Anche se ci sono dolo o colpa devo tenere in considerazione del processo psicologico che hanno portato a tale
dolo o colpa. Questo permette la gradazione della colpevolezza. Art 133 del Codice penale. L’idea normativa di
colpevolezza rende graduabile la colpevolezza. Ciò quando c’è una norma, una legge, che espressamente
attribuisca al giudice la facoltà di orientare il proprio giudizio in una valutazione di gradazione della pena.
Altrimenti tali facoltà per il giudice rappresenta mera discrezionalità da parte di quest’ultimo. Solo dove tipizzate
le scusanti possono escludere la responsabile. Se siamo troppo propensi a scusare mino alla funzione general
preventiva. Devono essere tutelati i beni giuridici. Il legislatore compie un bilanciamento tra le ragioni scusanti e
gli interessi in gioco. Concezione psicologica vs concezione normativa di colpevolezza.
Come si svolge il giudizio di rimproverabilità? Nella misura in cui si dice che si poteva pretendere una scelta
diversa rispetto a quella criminosa. Si chiama questo giudizio di esigibilità, nella misura in cui dal soggetto si
può pretendere un comportamento diverso. Valutazione di esigibilità. Ma quando possiamo esigere un
comportamento differente? Dobbiamo valutare due aspetti: 1. Quanto si possa supporre che il soggetto abbia
subito una pressione psicologica, influenzato da fattori psicologici 2. Se il soggetto avesse avuto la percezione di
profili di disvalore in grado da capire di non compiere quella scelta. Nel dolo e nella colpa si può affermare che il
soggetto poteva compiere scelte diverse. Esigere e pretendere. Pretesa assoluta nel caso di dolo. Oppure non si
può formulare giudizio di esigibilità, quindi il soggetto non era né in dolo né in colpa, non era in grado di
intendere e di volere e in questo si esclude la responsabilità. Ci sono situazioni intermedie, in caso quindi di
esigibilità ridotta, il che si risolverà nella gradazione della pena verso il minimo edittale.
Ma esiste un principio costituzionale di colpevolezza? Si esiste, ma non lo nomina espressamente. Dobbiamo
tenere in considerazione un importante sentenza della corte costituzionale mediante la quale si è affermato il
principio di colpevolezza in senso normativo presente nel nostro ordinamento. Sentenza n 364/1988 su art 5 c.p.
L’art 5 c.p. era una norma in tema di errore sul divieto e stabiliva che l’ignoranza della legge non scusa. È
un’idea questa che si può giustificare solo in alcune prospettive. Il diritto penale potrebbe punire solo i c.d. reati
naturali, cioè dei fatti che il cui disvalore è talmente grande che chiunque può sapere che sono reati. In tali casi
quindi non è possibile utilizzare come causa di giustificazione l’ignoranza della legge. Ma il nostro diritto penale
non è così! Il nostro codice disciplina tutta una serie di fatti che palesemente non sono criminosi, è difficile
quindi che i consociati possano conoscere tutte le regole del nostro diritto penale. Caso del signore tunisino che
acquista in un supermercato francese un fucile giocattolo per il figlio, viene fermato in Italia e lo si considera
colpevole perché non ha il porto d’armi. In questo caso, così come altri simili, è scusabile l’errore sul divieto.
L’ex art 5 c.p. però non affondava le sue radici nella visione illuministica. Era una mera impostazione autoritaria
ed imperativista. Subordinazione del cittadino alla legge penale. Legge penale come ordine che lo Stato rivolge
al cittadino. Un sistema che è incompatibile con i nostri dettami costituzionali. Principio di determinatezza e
principio di riserva di legge sanciscono l’onere in capo allo Stato di farsi conoscere. Principio di necessaria
conoscibilità della legge penale, nel senso che la legge penale deve farsi conoscere. Non che il cittadino ha il
dovere di conoscere la legge stessa. Ma perché il cittadino che non conosce o non poteva conoscere la legge deve
essere scusato? Caso del tunisino, il soggetto era consapovole di detenere un fucilino quindi dolo. Non importa
che se lui sapesse o no che era reato. Ragionamento frutto di colpevolezza psicologica. Allora la Corte rifiutò
questa concezione aprendo alla colpevolezza normativa, desumendolo dall’art 27 cost. Nel reato deve
manifestarsi la personalità del soggetto. L’imputazione del reato non può riguardare solo il fatto, ma anche la
persona. Pretesa che la responsabilità penale venga subordinata al giudizio sulla persona che ha commesso quel
fatto. Se leggiamo il primo e terzo comma insieme (combinato disposto) viene fuori che il soggetto può
considerarsi penalmente responsabile nella misura in cui ha dimostrato di aver bisogno di essere rieducato
ai valori del diritto penale. Colui che pur conoscendo le regole penali, ha scelto di allontanarsi dalle regole
stesse e quindi necessità di essere rieducato a quei valori del diritto penale. E allora chi non necessita di questa
rieducazione non può essere punito e quindi il suo comportamento è scusabile. Ecco che la Corte costituzionale
ha dichiarato incostituzionale l’art 5 c.p. nella parte in cui non scusa l’errore sul divieto. In questo principio di
colpevolezza normativa rientra: dolo, colpa, conoscibilità o conoscenza sul divieto, cause scusanti, colpevolezza
graduabile.
Come si applica la legge penale nello spazio? In Italia il divieto di surrogazione materna è previsto da una norma
penale. Alcune coppie italiane però vanno a svolgere questa pratica all’estero, dove è possibile praticare la
maternità surrogata. I genitori tornano in Italia con il bambino: che si fa? Fino a che punto il giudice penale
italiano può spingersi nel giudicato? Fino a dove si estende la capacità del giudice penale di intervenire? Questo
chiaramente è un limite all’applicazione delle norme penali a livello spaziale. Le tematiche sottese a questo
macro tema sono: 1. Reato commesso sul territorio dello stato ovvero il criterio normale di collegamento 2.
Esercizio della giurisdizione penale al di fuori del territorio dello stato 3. Cooperazione tra Stati 4. Diritto
internazionale penale.
Criterio territoriale che viene espresso dall’art 3 e l’art 6 del codice penale. Criterio di ubiquità quando il reato si
perfezione in tutti i suoi elementi nel nostro territorio. Ma è sufficiente per legittimare la giurisdizione italiana
che anche un solo elemento del reato si svolga nel nostro territorio italiano. Non solo quando c’è l’evento
naturalistica, ma anche quando le conseguenze ulteriori si verificano nel territorio italiano questo è stato ritenuto
sufficiente per l’intervento della giurisdizione italiana. Si parla quindi non solo di perfezione del reato, ma anche
della c.d. consumazione del reato o esaurimento del reato. La legge penale italiana obbliga tutti coloro, italiani e
stranieri, che si trovano sul nostro territorio. Criterio dell’ubiquità ha un espansione molto forte. Art 4 del codice
penale sancisce che sulle navi italiani, ovunque esse si trovino, sono territorio italiano.
Quando invece ci troviamo al di fuori del territorio italiano? Entra in gioco l’art 7 del codice penale.
Applicabilità incondizionata. Reati integralmente commessi all’estero. Questi vengono sempre puniti a
prescindere da altre condizioni. Reati che per legge vengono considerati delitti contro lo Stato italiano dal
numero 1 al 4. Il numero 5 invece, sorta di clausola generale. Principio di difesa e principio di personalità passiva
e attiva. Sono reati che possono essere perseguiti ovunque e da qualunque Stato.
Art 8 c.p. disciplina i delitti politici commessi all’estero. Necessaria presenza di condizione di procedibilità
richiesta dal Ministro della Giustizia. In più se si tratta di reato a querela, si necessità oltre alla richiesta del
Ministro anche della querela del soggetto offeso.
Art 9 c.p. delitto comunque del cittadino all’estero e art 10 c.p. delitto comune dello straniero all’estero.
Istituto dell’estradizione. La disciplina è abbastanza variegata e c’è un intreccio di diverse fonti. Tuttavia si tratta
di una disciplina che ha funzione residuale. Fonti di rango internazionale, ci si rifà in prima battuta a quello che
viene sancito dai trattati e accordi tra Stati. Concedere l’espatrio, trasferire un soggetto da uno Stato richiesto ad
uno Stato richiedendo per sottoporlo alla giurisdizione dello stato richiedente o per sottoposizione ad esecuzione
della pena. Istituto di collaborazione tra Stati. Non esiste un obbligo di estradare, a patto che non sussista un
trattato internazionale che prevede tale obbligo. Lo strumento dell’estradizione entra in gioco in casistiche di
doppia incriminazione. Per richiedere l’estradizione ci deve essere una concreta motivazione, lo stato richiedente
deve dimostrare la sua sovranità su un determinato fatto. Questa è anche una garanzia per l’estradato.
L’estradizione viene chiesta per un fatto specifico, principio di specificità.
Chiudiamo il capitolo dei principi e passiamo…
ANALISI DEL REATO
Ragionare passo per passo con modalità analitica. Tizio spara e Caio muore. Siamo di fronte a un reato di
omicidio, ma ne siamo sicuri? Es Caio poco prima di ricevere lo sparo muore di infarto. Tizio spara, ma Caio lo
stava aggredendo. Non ogni volta che muore qualcuno, qualcun altro debba rispondere di omicidio. Quali sono
quindi gli elementi costitutivi del reato? Visione bipartita: forza materiale e forza morale. Era una visione
limitata. Prospettiva tripartita (tre macro-elementi): 1. Fatto tipico accertamento in merito alla presenza di tutti
gli elementi che il legislatore ha utilizzato nella descrizione del reato 2. Antigiuridicità obbiettiva espressione
del principio di offensività, andare a verificare che ci sia un’offesa. Quali beni hai offeso con il fatto tipico? Ma
nel caso concreto hai salvato quel bene → es legittima difesa. Ma come faccio a sapere quando questo
bilanciamento non comporta l’offesa? Bisogna che ci sia una norma presente nell’ordinamento che mi dice che
quello che ho fatto ha in realtà valore positivo. Perché oggettiva? Perché non ci importa niente di quello che
pensava il soggetto. Il giudizio soggettivo non influisce sul giudizio di bilanciamento tra beni 3. Colpevolezza.
Tizio ha commesso un fatto tipico e antigiuridico, c’è reato? No, dobbiamo accertare la colpevolezza sulla base
del principio di colpevolezza. Ci si sposta dal dato oggettivo, al dato soggettivo. Esposti in questo ordine perché
è anche lo schema processuale che si utilizza. Ordine di accertamento del reato che si basa su tre giudizi. Il fatto
tipico e l’antigiuridicità sono i due elementi del reato che attengono a profili oggettivi. La colpevolezza invece è
quell’elemento che attiene all’ambito soggettivo, ragiona sulla persona che ha posto in essere la condotta. Tanto
è vero che il giudizio di colpevolezza è personale e in relazione ad un medesimo reato in cui intercorrono più di
un soggetto tale giudizio varia. Mentre ad esempio il giudizio di ingiustizia della condotta si estende a tutti i
soggetti, è uguale per tutti i soggetti. Nel giudizio di antigiuridicità il panorama si estende oltre il diritto di passo.
Mantovani adotta invece una visione bipartita moderna, facendo rientrare il giudizio di antigiuridicità all’interno
del giudizio di fatto tipico. Si va a valutare se il fatto tipico, una volta accertato, è stato commesso con o senza
causa di giustificazione. Cause di giustificazioni sono diverse dalle cause scusanti. Le cause scusanti rientrano
nel giudizio di colpevolezza. Due elementi: 1. Fatto tipico in cui ci facciamo rientrare gli elementi positivi (che
sono quelli che descrivono il reato) ed elementi negativi (cause di giustificazione) 2. Colpevolezza. In realtà
questa visione bipartita moderna ha dei problemi. Es immaginiamo due persone: Tizio uccide un uomo in
legittima difesa e Caio uccide una mosca. Per Mantovani questi due casi sono uguali da un punto di vista
penalistico perché in nessuno dei due sussiste il fatto tipico. Ma nell’uccisione di un uomo, rispetto ad una
mosca, c’è un offesa al bene giuridico della vita e quindi penalmente significativa anche se è stata bilanciata da
una causa di giustificazione. Come potremmo pensare che lo Stato si disinteressi dell’uccisione di un uomo? Si
aprirà un processo, che magari porterà ad un’assoluzione per legittima difesa, ma va accertato. Questi due livelli,
valutazione del fatto tipico e dell’antigiuridicità, devono essere tenuti distinti. E questo viene garantito dalla
visione tripartita. Il giudizio di colpevolezza è un giudizio strettamente penalistico. Mentre il giudizio di
antigiuridicità riguarda tutto l’ordinamento, coinvolgendo altre branche del diritto.
Quali sono gli elementi del fatto tipico? Ce ne sono due che non possono mai mancare: 1. Condotta umana 2.
Soggetto attivo. Poi ci sono altri elementi non necessariamente presenti: 3. Evento 4. Nesso causale tra la
condotta e l’evento 5. Soggetto passivo 6. Presupposti
Il soggetto attivo è una persona e possiamo distinguere tra reati propri e reati comuni. I reati comuni sono quei
reati che possono essere commessi da chiunque. I reati propri sono quei reati che pretendono una particolare
qualifica del soggetto attivo (la qualifica può essere naturale oppure normativa)
Nei reati propri c’è un elemento in più da valutare, da verificare. Reati propri esclusivi si hanno quando la
qualifica del soggetto attivo è essenziale perché di quella condotta si possa rispondere in sede penale. I reati
propri non esclusivi, sono reati che richiedono la qualifica, ma qualora non sussista il fatto resta penalmente
rilevante ad altro titolo. Si è già nell’area del penalmente rilevante, ma se si possiede quella determinata qualifica
accedo a un reato diverso. Il reato proprio può essere o non essere di mano propria, significa che ci sono reati
propri in cui la condotta deve essere realizzata esattamente da quella persona in possesso della qualifica. Nei reati
propri non di mano propria il soggetto dotato della qualifica faccia realizzare il reato a un soggetto che non
possiede la qualifica, ma comunque la condotta sussiste. Questa distinzione è fondamentale per analizzare il
concorso di persone nel reato.
Facciamo una distinzione nell’ambito della condotta. Reati a forma libera e a forma vincolata. Nei reati a
forma vincolata la descrizione legale del fatto tipico pretende alcune specifiche modalità della condotta. Nei reati
a forma libera va bene qualsiasi condotta purché si realizzino certi effetti. Omicidio reato a forma libera. Reato di
truffa prevede l’artifizio quindi reato a forma vincolata. Il legislatore utilizza i reati a forma libera quando
sussiste un disvalore tale che non importa in quale modo in cui tu ha provocato il disvalore stesso. I reati a forma
vincolata vengono utilizzati per criminalizzare condotte che stanno al confine con il diritto civile. Per cui si
prevede una particolare modalità di condotta per delineare quale tutela applicare. Il confine, quindi, è
rappresentato dalla modalità della condotta. Se ci sono offese al patrimonio solitamente si applica il diritto civile,
ma laddove l’offesa al patrimonio è messa in atto con particolari modalità allora si applicherà il diritto penale.
Altra distinzione tra condotta attiva e condotta omissiva. Il fatto tipico può essere costruito su un facere altre
volte può essere costruito su un non facere. La condotta attiva è solitamente un movimento corporeo, ma in realtà
può essere anche un mero stato, posizione, atteggiamento esteriore che posso decidere se tenere o non tenere. Ci
si chiede se l’omissione violi l’art 25 cost che impone la presenza di un fatto? L’articolo non è violato perché nei
reati di omissione sussiste comunque una scelta fattuale che il soggetto attivo non ha fatto. Necessità di un fatto
nell’accezione della decisione di fare oppure decidere di non fare. Il nostro ordinamento ha un’impronta
solidaristica e quindi prevede doveri di intervento a salvaguardia e protezione degli altri. Non è sufficiente non
recare danno agli altri, in alcuni casi è necessario intervenire a favore degli altri. I reati omissivi vanno
ulteriormente analizzati: reati omissivi propri o impropri. Nei reati omissivi propri sono reati di mera condotta
ovvero che tale condotta non deve necessariamente creare un evento, vengo punito per la sola mancata condotta.
Richiedono ovviamente un termine entro il quale io mi sarei dovuto attivare. I reati omissivi impropri la cui
mancata condotta deve comportare un evento. Non aver impedito l’evento che non doveva realizzarsi. I reati di
omissione impropri non sono codificati, ma li ricaviamo dai combinati disposti. Clausola dentro il codice che
consente di crearli art 40 c.p. Non impedire un evento, che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a
cagionarlo. Sussiste un nuovo fatto tipico di reato che nasce dal combinato disposto di un articolo che delinea il
reato x con il secondo comma dell’art 40 c.p. Per il diritto penale laddove hai un obbligo di impedire un evento è
come se tu avessi provocato l’evento stesso. Questo ovviamente non è vero sul piano naturalistico, ma
penalmente sì. Sforzo di astrazione normativa. Ci sono alcuni reati che però non si prestano ad essere trasformati
in forma omissiva. I reati a forma vincolata non si prestano ad essere trasformati in omissione. Non sussiste
un particolare modo di non fare niente. Si presuppone l’elemento dell’obbligo di impedire di un evento per cui
potrà rispondere di reato omissivo improprio solo colui che era obbligato di impedire l’evento. Quindi dal punto
di vista del soggetto attivo i reati omissivi impropri sono reati propri, solo un soggetto che possiede una
determinata qualifica può essere obbligato ad impedire l’evento. Per il principio di legalità l’obbligo di impedire
l’evento non può essere morale, ma solo legale e quindi previsto dalla legge o riconducibile alla legge (in virtù di
un contratto intercorrente tra le parti). Le fonti dell’obbligo possono essere varie, pur sempre rispettando un
vincolo di legalità. Ma tutti gli obblighi imposti dalla legge si prestano a fondare quel tipo di responsabilità? Sul
punto la dottrina e la giurisprudenza sono orientate nell’affermare che laddove sussiste un obbligo si possa
sempre fondare una responsabilità per mancata attivazione in virtù di un obbligo. Es contratto di assicurazione,
l’assicurato ha un onore nei confronti dell’assicuratore di cercare il più possibile di evitare il danno. Questo tipo
di obbligo potrebbe fondare responsabilità per mancato impedimento dell’evento? Io assicurato mi accorgo di un
incendio nel mio magazzino assicurato, non intervengo a spegnerlo e prende fuoco tutto. Nel codice sussiste un
reato di mancato impedimento di incendio art 423 c.p. In un caso del genere l’obbligo di impedire l’incendio in
realtà è un obbligo puramente contrattuale e non un obbligo nei confronti dell’ordinamento. Il diritto penale può
attribuire una responsabilità omissiva impropria solo nella misura in cui aveva preventivamente affidato al
consociato un obbligo di salvaguardare un bene giuridico. Obbligo che si inserisce in una c.d. posizione di
garanzia. Ci vuole un nesso tra l’obbligo e la tutela di beni giuridici che l’ordinamento affida al consociato
personalmente. Non un qualunque obbligo che sorga per una qualunque motivazione, come ad esempio un
obbligo contrattuale. Altro es se io cammino per strada e incontro una persona che sta male. Se io non la soccorro
risponderò per omissione di soccorso. Ma poiché io non sono garante di quella persona, e non avendo
l’ordinamento affidato a me personalmente l’obbligo di salvaguardare quella persona, se poi la persona muore io
sicuramente risponderò di omissione di soccorso, ma non potrò essere dichiarato responsabile per la morte di
quella persona. Non risponderò per omicidio a seguito dell’evento morte della persona che io non ho soccorso.
Difetta un sufficiente disvalore penalistica. Diverso altro esempio è il caso del rapporto intercorrente tra genitori
e figli. I genitori sono garanti dei figli, l’ordinamento affida in via preordinata ai genitori la tutela e la
salvaguardia dei loro figli e quindi risponderò in caso di mancata attivazione, impedimento dell’evento, e
conseguenze dell’evento stesso. Nelle posizioni di controllo, diverse da quelle di garanzia, mi è stato affidato il
ruolo di controllare il verificarsi di un pericolo che potrebbe andare a deperimento di terzi. Ad esempio,
l’imprenditore nei confronti dei suoi dipendenti. Obbligo di controllare una fonte di pericolo che mi viene
preaffidato dall’ordinamento. Dobbiamo aggiungere poi che il soggetto oltre a trovarsi in una posizione di
garanzia e di controllo deve trovarsi inoltre nella materiale possibilità di potersi attivare. Deve disporre degli
strumenti adeguati. Le posizioni di garanzia, entro certi limiti, si possono anche delegare ad altre persone, ma
solo nella misura in cui il delegato si trovi nella posizione effettiva di gestire tale delega. E anche laddove la
delega sia effettiva, corretta, il delegante mantiene comunque una posizione di garanzia che una volta avvenuta la
delega si risolverà in un dovere di controllo. Il delegante resta responsabile. La delega quindi: 1. Formale 2.
Effettiva 3. Non liberatoria del delegante.
Ricordiamo che il diritto penale si occupa scelte in merito a condotte umane. Laddove la condotta umana non
sussista, non c’è fatto tipico. Quindi il giudizio in merito alla sussistenza del reato si ferma alla valutazione del
fatto tipico. Questa ipotesi si chiama difetto di suitas. Es sono alla guida e improvvisamente svengo per una causa
legata ad una malattia, sbando con l’auto e ferisco qualcuno. Altro es sono sonnambulo e mentre ho lo stato di
sonnambulismo picchio qualcuno. La suitas è il requisito minimo di attribuibilità psicologica per il quale io
avevo dominio della situazione concreta. Ci sono ipotesi tipiche di esclusione di suitas, come ad esempio il
caso di forza maggiore. Forza naturale soverchiante che mi coinvolge come corpo e non come essere umano. La
forza maggiore potrebbe anche essere forza umana. Quando io non agisco, ma vengo agito da un’altra persona.
Alcune ipotesi in merito al difetto di suitas, che fanno escludere il fatto tipico, possono far emergere comunque il
fatto tipico spostando il giudizio sulla colpevolezza. Ad esempio soffro di forte stress, vado dal medico e mi
viene diagnosticata la narcolessia. Decido comunque di mettermi alla guida e compiere un lungo viaggio. Faccio
male a qualcuno sbandando con la macchina quando mi addormento. In tal caso si può affermare mancanza di
suitas? No, perché io avrei potuto preventivamente prevedere questa conseguenza. Ero nella posizione di poter
comunque controllare il pericolo.
Soggetto passivo del reato è il titolare del bene offeso dal reato. Nel furto si discute se il soggetto passivo sia il
proprietario o il detentore del bene. L’individuazione del soggetto è molto importante perché è colui che potrebbe
prestare consenso, e quindi colui che concretizza una causa di giustificazione, oppure è colui legittimato a
procedere a querela. Per individuare il soggetto passivo è necessario individuare il bene giuridico offeso. A volte
il soggetto passivo può essere una persona diversa dal danneggiato in senso civilistico. Ad esempio, reato di
omicidio, soggetto passivo colui che è morto i danneggiati la famiglia. Normalmente ci sarà coincidenza tra
danneggiato e soggetto passivo, ma non necessariamente.
Due concezioni di evento: 1. Evento in senso naturalistico, qualsiasi mutamento o cambiamento che si realizza
nell’effettività della realtà che si percepiscono con i sensi conseguente dalla condotta 2. Evento in senso giuridico
è l’offesa al bene giuridico tutelato dalla norma ed es atti osceni in luogo pubblico. Nei reati di mera condotta
non c’è evento in senso naturalistico. Es nel furto l’evento in senso naturalistica è lo spoglio del detentore del
bene oggetto del reato, l’evento in senso giuridico è l’offesa al diritto di proprietà che il soggetto passivo vanta
nei confronti del bene. Prima distinzione da fare: 1. Reati di evento 2. Reati di pura condotta. L’evento può
essere: 1. Naturalistico 2. Giuridico.
L’evento naturalistico può essere costitutivo, ma non offensivo (ipotesi in cui tale evento rientra nel fatto tipico,
se l’evento non c’è non c’è fatto tipico). Evento naturalistico non costitutivo, ma non offensivo (rappresentano
circostanze aggravanti, elementi accessori/accidentali quindi possono anche non esserci e il fatto tipico c’è).
Dobbiamo distinguere tra evento del reato in quanto elemento costitutivo del reato dalle c.d. Condizioni
obbiettive di punibilità sono una categoria, un istituto disciplinato dall’art 44 c.p. profili del fatto che si
imputano oggettivamente. Profili senza i quali il fatto tipico non sussistono, ma che si imputano oggettivamente.
Rispetto ad essi non è richiesta un’adesione psicologica del soggetto. Basta che ci siano; non è necessario che il
soggetto li volesse, li abbia preveduti ecc. Tutti i profili oggettivi rientrano nelle valutazioni da compiere nel
giudizio del fatto tipico. L’offensività è data dalla presenza di tutti gli elementi del fatto tipico. I profili
invece soggettivi vanno analizzati nel giudizio di colpevolezza. Le condizioni obbiettive di punibilità sono
estranee al dolo. Fanno scattare una sorta di responsabilità oggettiva del reo. Sono quindi profili in cui non si
sostanzia l’offesa specifica di quel fatto. E allora se non incidono sull’offesa perché si richiedono? Perché in loro
assenza, il fatto anche se offensivo e meritevole di essere punito nondimeno è un fatto che non è opportuno
punire. Sottintendono un giudizio di opportunità. Ci sono ragioni per cui è opportuno che l’ordinamento non
punisca. Es reato di incesto, rapporto sessuale tra consanguinei. Ma nondimeno la norma sull’incesto richiedo
che da questo rapporto sessuale derivi un pubblico scandalo. C’è un evento in senso naturalistico che condiziona
la punibilità del rapporto sessuale stesso. Pur stando l’offesa stando nel rapporto sessuale stesso. È opportuno non
intervenire in quanto l’intervento penale metterebbe “in piazza” il fatto, quindi l’intervento peggiorerebbe la
situazione stessa. Sarebbe l’ordinamento stesso a creare pubblico scandalo. Quindi si dice che il pubblico
scandalo è una condizione obbiettiva di punibilità. Ricordiamo che le condizioni obbiettive di punibilità sono
diversi dagli elementi costitutivi del fatto tipico, ecco perché essendo diverse le condizioni sono sottratte dal
giudizio di colpevolezza. Gli elementi invece costituitivi del reato se ci sono, devono sottostare a profili di colpa
o dolo.
Evento in senso giuridico nasce dall’idea dell’art 43 c.p. che alla lettera dice che sussiste dolo quando il soggetto
attivo desidera tramite la condotta l’evento dannoso e pericoloso. Siccome l’art 43 è l’unica norma che definisce
il dolo e lo definisce per tutti i reati vuol dire che l’elemento dell’evento dannoso e pericoloso è presente in tutti i
reati. Altrimenti come faremmo a punire un reato di mera condotta in caso di dolo se noi considerassimo solo
l’evento naturalistico, posto che i reati di mera condotta non hanno per definizione eventi naturalistici. Quindi
possiamo dire che: tutti i reati hanno un evento giuridico, ma non tutti anche un evento naturalistico.
Problema dei fatti inoffensivi conformi al tipo. Sono tutti fatti in cui sono presenti tutti gli elementi del fatto
tipico, ma non sussiste l’offesa perché non è presente un evento in senso giuridico. Es faccio una passeggiata e
prendo un acino d’uva di una pianta non mia e lo mangio. A livello di fatto tipico, adottando una concezione
puramente formalistico, è reato di furto. Ma capiamo bene che se adottassimo tale approccio il diritto penale
dovrebbe occuparsi di una miriadi di questioni ed episodi. E allora che cosa si dice: l’evento in senso giuridico è
elemento costitutivo del fatto tipico di reato. Elemento senza il quale non può dirsi reato. Si arriva a tale
conclusione con una complessa interpretazione dell’art 49 c.p. Si parla del reato putativo e del reato impossibile.
Il reato putativo è il caso opposto al tentativo di delitto. È il caso di chi commette un fatto convinto che sia reato,
ma in realtà non è reato. Ad esempio, commetto adulterio convinto che sia reato, ma non lo è più. Qui manca
proprio il fatto tipico in toto perché non c’è una legge incriminatrice. Il reato invece impossibile è il caso in cui
l’evento pericoloso e dannoso pur voluto non si verifica o perché non sussiste l’oggetto (tizio entra in casa di caio
per uccidere caio, gli spara ma caio era già morto) oppure inidoneità dell’azione (tizio vuole uccidere caio ma gli
spara da 4 km di distanza). In questi casi il soggetto non sarà punito, ma al massimo gli si potrà applicare una
misura di sicurezza. L’art 56 c.p. che parla di tentativo di delitto parla invece di atto idoneo a commettere reato,
ma alla fine non lo si commette. Autorevole dottrina ha detto che la lettura dell’art 49 come rovescio dell’art 56 è
un po’ limitativa. (guardare la slide per le differenze tra i due articoli). L’art 49 quindi vuole dirci qualcosa di
più: la punibilità è altresì esclusa quando l’azione è inidonea a produrre il danno o il pericolo per il bene
tutelato dalla norma incriminatrice, cioè l’evento in senso giuridico. Il fatto tipico è costituito anche da
un’effettiva offesa al bene giuridico e deve essere oggetto anche del dolo.
Uno dei principali critici di questa lettura è Padovani. Dice che l’art 49 non fa riferimento ai fatti inoffensivi
conformi al tipo, ma nondimeno non è nemmeno un rovescio del tentativo. E a cosa fa riferimento questo art 49?
Si riferisce a tutte quelle fattispecie che si formano sulla struttura del tentativo. Si riferisce a quei reati in cui il
dolo va oltre il fatto tipico. Ad es i reati con dolo specifico. Ci dice che non può essere punito chi compie furto
nei confronti di un bene senza valore patrimoniale. Il disvalore soggettivo va troppo oltre il disvalore oggettivo.
Interpretazione teleologica degli elementi del fatto tipico ci aiuta a superare il problema dei fatti inoffensivi
corrispondenti al fatto tipico. Es se dalla sottrazione del bene nel furto io ne vada a trarne profitto significa che
necessariamente la cosa mobile debba avere un valore patrimoniale altrimenti io come potrei trarne profitto.
Quanto il diritto penale può occuparsi di bagatelle? Lo prevede l’art 131 bis del Codice penale. Norma introdotta
nel 2015. Logica di questa figura. Si fa riferimento al caso in cui il danno e il pericolo c’è, ma è esiguo e l’offesa
è di particolare tenuità ma comunque l’offesa è presente. Es un furto di un prodotto al supermercato. Affida al
giudice di dichiarare non punibile un fatto, laddove per modalità della condotta e per l’eseguità del danno e della
condotta ai sensi dell’art 133 c.p. con i criteri per graduare la gravità della condotta. Fatti poco offensivi che si
caratterizzano per modalità della condotta meno significative. Quindi un’ipotesi diversa rispetto a fatti inoffensivi
conformi al tipo. Concretizzazione di un giudizio inerente alla funzione della pena. Giudizio in concreto caso per
caso su tutte le funzioni della pena che si valutano tutte insieme per valutare che ci sia un bisogno di pena. Come
tali meritano di essere puniti, ma può darsi che in concreto il legislatore scorga che nel caso concreto sia possibile
fare a meno di irrogare la pena. Il fatto ha dimostrato un disvalore sufficiente sia oggettivo che soggettivo. Ma ci
si interroga in merito all’opportunità. Logica deflattiva: liberare il sistema penale di occuparsi di tutta una serie di
situazione bagatellari in modo tale che il sistema penalistico possa essere in grado di stare dietro a reati davvero
importanti. Esigenza di non sovraccaricare il sistema penale. Evitare l’utilizzo del diritto penale. Minima non
curat praetor. Questa è una causa di non punibilità, sono delle esimenti che non escludono il fatto tipico, non
sono cause di giustificazione e non escludono profili di colpevolezza. In questi casi ci sono tutti i profili oggettivi
e soggetti del reato. Però manca l’opportunità di punire. Magari punendo si creano problemi in tema di
proporzione, trasformando il reo da colpevole a vittima del sistema. Es se il figlio ruba dal portafoglio di uno dei
genitori il figlio per legge non è punibile. Ci si domanda quanto sia opportuno intervenire con la forza del diritto
penale all’interno di una bega familiare? Magari rischiando di rovinare un rapporto che l’ordinamento reputa
importante. Uno dei requisiti per l’applicazione del criterio di mancata opportunità è che il reato non sia abituale.
Oppure abbia commesso reati della stessa indole art 101 c.p. Indole oggettiva quando si offendono beni analoghi,
indole soggettiva quando la motivazione dei vari reati sono analoghe. Oppure reati che abbiano ad oggetto
condotte plurime, abituali o reiterati. Recentemente la Corte costituzionale ha affermato che i reati che non
fissano un minimo edittale, non si prevede un minimo, vuol dire che il legislatore già ha compiuto una
valutazione in merito all’opportunità di punire. In astratto si ammette che nei fatti concreti possano rientrare
condotte e situazioni bagatellari. Deve essere tenuto conto nel giudizio di opportunità anche l’intensità del dolo e
della colpa. Istituto che si basa su logiche di buon senso.
Nesso causale: rapporto di nesso di causalità previsto dall’art 40 c.p. Si parla anche di concorso di cause all’art
41 c.p. Nel 1878 un tizio tedesco ha introdotto la c.d. teoria condizionalistica. Fissa il principio della condicio
sine qua non. Fino a quel momento si ragionava sulla base di criteri qualitativi, senza fare un ragionamento in
merito alla capacità di quella condotta di influenzare quell’evento. Principio che si applica anche a condotte
omissive. In tali casi dobbiamo domandarci cosa sarebbe successo se quella condotta fosse stata realizzata. C’è
un altro principio da tenere in considerazione ovvero l’equivalenza causale. Principio grazie al quale si tengono
in considerazione tutte le cause che possono comportare l’evento, si analizzano tutto il complesso delle cause.
Ma a noi non interessa sapere quanti fattori hanno inciso sull’evento. Ci interessa sapere se la condotta del
soggetto passivo abbia influito sulla condotta. Tale principio ci dice che anche se oltre alla condotta del reo ci
sono altre cause che hanno influenzato il verificarsi dell’evento, comunque la condotta del reo la si considera
causa. Anche se ci sono altre cause, quella condotta la si continua a considerare causa.
Primo problema quello della causalità complessa. Noi dobbiamo immaginare cosa sarebbe successo senza quella
condotta. Come facciamo a immaginarci cosa sarebbe successo senza quella condotta? Tenendo soprattutto
in considerazione il fatto che il posizionamento temporale delle situazioni non implica che una situazione
precedente abbia provocato una successiva. Se ad A segue B non vuol dire che A ha causato B. Su quali
parametri costruiamo il giudizio di causalità? Un altro problema è quello del condizionalismo cieco ed
avalutativo. È il rischio del c.d. regressusus in infinitum.
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Come affrontare il nesso causale, cioè qual è il parametro e il criterio mediante il quale si può dire che senza
quella condotta l’evento non si sarebbe verificato. Il criterio è quello della causalità scientifica. Il giudice non
può ideare i parametri di valutazione del nesso causale. Il giudice ha il compito di interrogare la scienza.
Interrogare ovviamente periti, ovvero esperti del settore scientifico inerenti al caso portato di fronte al giudice.
Giudizio fondato quindi su dati scientifica. Art 40 c.p. fissa che il giudice è fruitore di leggi scientifiche e non
creatore di leggi scientifiche. Il giudice deve compiere valutazioni in merito al problema della c.d. scienza
spazzatura. Leggi scientifiche universali sono quella che affermano che dato A si ha B. Queste sono rarissime. La
maggior parte delle leggi scientifiche sono leggi probabilistiche (coertis paribus) ovvero leggi che dicono es se
dato A nell’80% dei casi è causa di B. Tale legge sa che A provoca B, ma non sa quando. Sussiste un fattore
sconosciuto, un black box. Es il medico ragionerà ed agirà solo ed esclusivamente su leggi probabilistiche.
Es Tizio sieropositivo ha avuto un rapporto sessuale con Caia e Caia ha contratto l’aids. Possiamo dire che è
Tizio ad aver contagiato Caia? Per impostare il ragionamento parliamo del caso di Porto Marghera. Nel 98 parte
un maxiprocesso. Una parte della giurisprudenza affermava che per accettare il nesso causale bastava dire che
c’era una mera probabilità che A causasse B. Un’altra parte affermava che sulla base della presunzione di
innocenza, il nesso causale doveva essere provato oltre ogni ragionevole dubbio; quindi, si necessita di una legge
universale per provare il nesso causale e non una legge probabilistica. Il tribunale di Venezia risponde dicendo
che avevano torto e ragione entrambe le parti, quindi, sia accusa che difesa.
Nel caso di porto Marghera c’era una legge scientifica probabilistica che faceva ipotizzare che effettivamente le
persone si fossero ammalate proprio a causa di quelle sostanze rilasciate nelle acque del porto. Ma essendo la
possibilità meramente probabilistica come facciamo ad accertare che effettivamente quelle persone si siano
ammalate esattamente a causa di quella sostanza? Come affrontiamo il problema? Ricordiamo che Sono
situazioni in cui chi ha subito morte e lesioni vuole giustizia, si presentano storie che coinvolgono la pubblica
opinione e poi si arriva ad una assoluzione e la gente rimane delusa. Magari non è stato possibile accertare un
nesso di causalità. Non è possibile pensare che ci sia bisogno di trovare necessariamente un responsabile per
placare le sofferenze dei cittadini. Noi non siamo qui a fare spettacolo, ma stiamo facendo un giudizio penale.
Dobbiamo essere sicuri oltre ogni ragionevole dubbio. L’accusa affermava che è sufficiente una legge
probabilistica, mentre la difesa richiede la presenza di leggi causali universali che però non ci sarebbero mai.
Tutta la responsabilità per attività industriale ecc sarebbe estromessa dal diritto penale perché sono settori
spiegabili solo con leggi probabilistiche.
La decisione dice che hanno ragione e torto entrambe le parti. Non è vero che serve necessariamente una legge
universale, ma non è vero nemmeno che è sufficiente una legge probabilistica. Per accertare il nesso causale
dobbiamo effettuare un percorso delineato su due profili: 1. Individuare delle leggi scientifiche che mi
consentono di individuare una legge causale valida se pur probabilistica. La legge scientifica deve esserci
perché altrimenti non potremmo nemmeno partire. Causalità generale recuperare una legge scientifica che da
quel tipo di condotta possa derivare un tipo di evento. Accertamento necessario in prima battuta, ma non è
sufficiente. È solo un’ipotesi che deve essere comprovata rispetto al caso concreto 2. Causalità individuale,
tenendo conto di tutte le evidenze di fatto riusciamo a dimostrare che quella legge scientifica, anche se
probabilistica, ha effettivamente operato nel caso concreto. Con questo approccio anche se siamo di fronte ad una
legge scientifica universale, sicura e certa al 100%, non è comunque detto che sia stata proprio quella legge
scientifica universale che ha operato nel caso concreto. Questa è una regola generale che muove dalla
presunzione di innocenza del reo stabilita dalla Costituzione. Accertamento della causalità in concreto
necessario e d’obbligo. Se non riusciamo ad accertare dobbiamo assolvere. Da dove il giudice attinge le leggi
scientifiche? Il giudice ha il compito di selezionare quelle leggi scientifiche che non corrispondano alla c.d.
scienza spazzatura. Legge scientifica valida che proviene da una ricerca scientifica fatta bene, con le procedure
giuste. Andiamo a vedere se esistono nel fatto concreto gli anelli causali così come descritti astrattamente
dalla legge scientifica valida. Per accertare ogni ragionevole dubbio dobbiamo andare ad accertare l’esclusione
dei decorsi alternative. Se A e B causano C e solo A corrisponde dalle condotte sulla base di una legge
scientifica anche probabilistica, se noi escludiamo che non hanno operato nel caso concreto B allora l’unica
ipotesi che rimane è che sia stata la nostra condotta A. Nel caso della donna che ha contratto aids a seguito di
rapporto sessuale con un sieropositivo. Non è possibile dire che sicuramente quella donna ha contratto la malattia
a causa del rapporto sessuale perché potrebbe aver avuto altri rapporti sessuali con altre persone, potrebbe aver
ricevuto delle trasfusioni. Se questi decorsi alternativi non ci sono stati e la donna ha avuto solo quel partner
sessuale, nessuna trasfusione ecc allora sicuramente la donna ha contratto aids dal quel rapporto sessuale. Nel
caso di porto Marghera fu riscontrato nella realtà concreta che effettivamente quella sostanza aveva causato i
tumori accertati casi per casi, persona per persona. In realtà però in moltissimi di questi casi però le malattie
tumorali erano stati causati da life style non adeguati (fumatori e appassionati di vino). Logica di Sherlock
Holmes.
Ci sono dei casi però più complicati. Ci sono situazioni in cui la scienza ci dice che C è provocato da A e da B,
ma sappiamo anche che esiste un fattore X che provoca C, ma che ancora non conosciamo. La legge scientifica ci
dice che in una certa probabilità di casi l’evento nasce da fattori ignoti. Per cui non è possibile fornire una legge
scientifica probabilistica. E allora come si fa ad adottare la logica dell’esclusione dei decorsi causali?
Accertamento del nesso causale in caso di reati omissivi impropri (propri da un punto di vista di soggetto
passivo). In che cosa deve consistere in questi casi il nesso causale? Nei reati di azione ci chiediamo, cioè nei
reati a condotta attiva, la domanda che ci facciamo è se non ci fosse stata quella condotta che c’è stata l’evento si
sarebbe comunque verificato. E rispondiamo grazie alla legge scientifica che in concreto riesce a spiegare la
relazione tra la condotta e l’evento. Nel caso dell’omissione parliamo di una condotta che non c’è stata, e quindi
ci domandiamo se quella condotta ci fosse stata l’evento si sarebbero verificato o no? Se nel caso del medico ad
es il paziente non fosse morto, allora si il verificarsi della condotta mancata l’evento non ci sarebbe stato (nel
caso della mancata attivazione del medico l’evento è la morte del paziente). Anche nei casi di reati omissivi per
ricostruire il nesso causale si fa riferimento alle leggi scientifiche. Le leggi causali non sono ideate volta per volta
dal giudice, ma è il giudice che fa appello a leggi scientifiche che danno la garanzia di certezza e di
uguaglianza. Non possiamo basarci su intuizioni. In ambito omissivo operano le stesse garanzie costituzionali. Il
giudice chiamerà un perito e gli domanderà la spiegazione del caso concreto. La spiegazione scientifica di quel
caso. Nella causalità attiva ci confrontiamo con un mondo reale, cerchiamo di descrivere il reale. Nella causalità
omissiva ci immaginiamo un mondo ideale in cui il garante ha fatto ciò che nella realtà concreta non ha fatto. Ma
le leggi causali che spiegano qualcosa con certezza assoluta sono merci rare. Noi ci confrontiamo sempre con
leggi scientifiche probabilistiche. Escludere i decorsi alternativi non dice niente rispetto all’ipotesi causale
omissiva. La causalità omissiva è e rimane un’ipotesi. È qualcosa che ha a che fare con qualcosa che in concreto
non c’è stato. Nei reati di azione l’esclusione dei decorsi causali fa emergere proprio quella causa che ha
determinato l’evento. Dobbiamo trasformare una legge scientifica probabilistica in legge scientifica universale
attraverso un metodo valido. Aiuta concretizzare il più possibile le peculiarità del caso concreto. Es esiste una
legge scientifica probabilistica che afferma di fronte al medico che non somministra un farmaco, che qualora lo
avesse somministrato nel 70% dei casi il paziente sarebbe sopravvissuto, nel 30% sarebbe morto ugualmente. E
allora come si fa in questi casi? Proviamo ad escludere i decorsi causali alternative come nel caso
dell’accertamento causale del reato attivo. Per quante spiegazione alternative rimane comunque a supporto della
dimostrazione del nesso causale di una legge scientifica probabilistica. Ma il nesso causale deve essere provato
ogni ragionevole dubbio. C’è il rischio che la causalità nei reati omissivi sia impossibile accertarla. Non è
possibile con le leggi probabilistiche, deve essere dimostrato con legge scientifica. La giurisprudenza si
accontenta allora di una dimostrazione di nesso causale compiuta in via probabilistica. Selezione della legge
causale e descrizione del caso concreto. Spiegazione causale di pratica certezza. Se il paziente sarebbe morto lo
stesso più avanti da un’altra morte, comunque la morte è stata causata dal medico hic et nunc a causa della
condotta non tenuta. Se affrontiamo il problema con questa impostazione possiamo arrivare più frequentemente
all’accertamento del nesso causale. Specificando le caratteristiche della legge scientifica probabilistica trovando
analogie con la situazione concreta fa emergere una legge universale. E attenzione per il diritto penale non
importa se il paziente poi sarebbe guarito, non siamo medici. Ci interessa che quella condotta abbia provato
quella morte, anche se poi la morte si sarebbe verificata comunque successivamente. Si risponde di quella morte
hic et nunc.
Problema del condizionalismo cieco. Art 41 comma 2 c.p. se la condotta umana antecedente all’evento è stata
sorpassata da altre concause da sole sufficiente a spiegare l’evento allora la condotta umana non potrà più dirsi
causa di quell’evento. Una sorta di causalità sorpassante. Si delinea un concorso di cause che non è un concorso
di cause. Cause successive che escludono cause precedenti. Andando a sintetizzare le migliaia di pagine per
cercare di spiegare questa ipotesi possiamo distinguere due ipotesi. 1. Cause potenziali e causalità effettiva
riscontrabile ex post. Pluralità di cause potenziali che potevano produrre quell’evento, ma con il senno di poi ci si
rende conto che cause sopravvenute hanno realmente formato l’evento. Serie causali autonome. Eventi successivi
alla condotta offrano spiegazioni alternative dell’evento rispetto a quelle offerte dalla condotta antecedente
all’evento. 2. Quella norma ha senso perché si distingue tra condizioni in senso naturalistico e imputazione
oggettiva orientata da criteri normativi. Sia la condotta antecedente sia le cause sopravvenute sono tutte
condizioni dell’evento ex post. Dal punto di vista naturalistico sono tutte concause. Tuttavia, si afferma che quel
tipo di evento non merita di essere considerato riferito a quella condotta. In realtà le serie causali autonome
escludono la causalità dell’evento sempre e comunque sia quando si verifichino prima, in concomitanza o
sopravvenuta alla condotta.
Teoria causalità adeguata non potrebbero essere legate alla condotta tutti quegli eventi che risultano eccezionali
secondo quello che accade normalmente. Quod plerumque accidit. Es Tizio ferisce Caio con un coltellino, Caio
finisce in ospedale. Nel reparto scoppia un incendio e Caio muore. Concretamente possiamo dire che Tizio ha
provocato la morte di Caio perché se non lo avesse ferito, non ci sarebbe stato bisogno del soccorso in ospedale e
non sarebbe stato presente al momento dello scoppio dell’incendio. Ma questo è un caso del tutto eccezionale,
cose che non accadono con frequenza. In questi casi opera l’art 41 c.p. decorso causale eccezionale tale per cui si
è verificato un evento che normalmente non segue la condotta. Concause eccezionali.
Teoria causalità umana quello che conta è valutare se il decorso causale era dominabile dal soggetto agente. Es
io metto paura ad una persona affetta da una malattia cardiaca grave e innesco un infarto e la persona muore.
Secondo la teoria adeguata dovremmo escludere il nesso causale in quanto è abbastanza improbabile ed è un
evento eccezionale che una persona muoia se la si spaventa per scherzo. Ma se io conoscevo la malattia della
persona? Ecco che allora quella causa eccezionale poteva essere da me governabile. Conta anche e soprattutto
valutare quanto quel soggetto fosse in grado di dominare il decorso causale. Dobbiamo far lavorare il concetto di
dominabilità del rischio non sul fatto tipico, ma nella colpevolezza.
Teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento afferma che una condotta può dirsi causa di un evento non solo
quando ne è condizione, ma anche quando c’è corrispondenza tra il rischio incrementato dalla condotta e il
rischio che dà luogo all’evento. Ci domandiamo quale rischio ex ante possiamo imputare ad una condotta? Quale
rischio ex post è nato dall’evento scaturito dalla condotta? Es Il rischio del ferimento non c’entra niente con il
rischio di incendio nell’ospedale. Bisogna anche che se c’è corrispondenza bisogna che il rischio non sia
consentito. Esempio è il rischio che si assume il medico nel somministrare un farmaco che l’ordinamento
ammette che possano esserci degli effetti collaterali. Manca un rapporto di rischio tra la condotta e l’evento.
Questa teoria dell’imputazione oggettiva dell’evento ha trovato poi un suo riconoscimento nella nostra
giurisprudenza in quella teoria secondo la quale la responsabilità penale di ognuno andrebbe circoscritta dentro
un’aerea di competenza per rischio. Influenzando le sentenze della quarta sezione della corte d’appello. Ognuno
potrebbe essere ritenuto responsabile per quei rischi affidati alle sue competenze e al suo ruolo, sia per
condotte attive sia condotte omissive. In sostanza prima ancora di un giudizio di colpevolezza che è un giudizio
strettamente ancorata alle caratteristiche del soggetto attivo, ci sarebbe questo giudizio che atterrebbe al piano
della tipicità. Bisognerebbe domandarci se il suo ruolo giuridico-sociale o ruolo professionale quali tipi di rischi
sono affidati alla sua gestione. Laddove fosse espressione di un concretizzarsi di un rischio che non corrisponde a
quei rischi rientranti nella gestione professionale del soggetto attivo, bisognerebbe affermare di negare il fatto
tipico. Mancata congruenza tra il rischio affidato alla competenza di quel soggetto e il rischio che si è creato
nell’evento. Il rischio che si è tradotto nell’evento rientrava tra le competenze del soggetto? Teoria molto legata
all’imputazione oggettiva dell’evento. Uno sviluppo della teoria della competenza per il rischio. Tutto questo non
attiene a un profilo di colpevolezza. L’ordinamento non può considerare penalmente tipico quello stesso
comportamento che impone ad un soggetto, un comportamento che comporta dei rischi. Per spiegare che non si
tratta di un qualcosa legato al giudizio di colpevolezza facciamo l'esempio del medico che intraprendendo una
certa operazione essendo un professionista e consapevole degli eventuali rischi che tale operazione può avere.
Ehi se considerassimo tali rischi sempre governabili dal medico proprio perché conosciuti e prevedibili
dovremmo pensare che se quei rischi si verificassero avremmo un reato di lesione o di omicidio con dolo. Ehi al
tempo stesso se il medico per tali rischi non intraprendesse la cura medica o l'operazione per salvare la vita del
paziente risponderebbe di fatto tipico di omissione. vediamo allora come in entrambi i casi l'ordinamento
considererebbe reato sia avere agito sia essersi astenuti dalla condotta. saremmo quindi di fronte ad un
ordinamento impazzito e scellerato. se il medico agisce fatto tipico se si astiene fatto tipico ugualmente.
Avremmo le galere piene di medici. Il problema allora è tipicità e non di colpevolezza. Altro sarebbe se il medico
non ha fatto tutto il necessario per evitare dei rischi. Si fa riferimento quindi ad ipotesi di rischi rari che non
potevano essere evitati. Questa teoria si ricollega all’art 27 cost, nella misura in cui nella condotta deve emergere
la personalità del soggetto attivo. È possibile dire che questa teoria è contenuta anche nell’art 41 comma 2 c.p.
Questa lettura dell’art 41 c.p. comma secondo comporta dei rischi. Questo articolo parla solo di concause
sopravvenute. Ma queste teorie parlano di concause di qualunque tipo da un punto di vista temporale quindi sia
antecedente, contemporanea e successivamente alla condotta. Secondo le teorie appena riportate dovremmo
sempre escludere il fatto tipico. Queste teorie, quindi, non possono considerarsi letture dell’art 41 c.p. Es un
ingegnere sbaglia nel programma un complesso macchinario per la radiochirurgia introducendovi in questo modo
dei rischi che al chirurgo che userà quel macchinario sfuggono. Rischio occulto estraneo alla competenza del
medico. Il medico utilizzando quello strumento ammazza il paziente. A quale ruolo è attribuibile il governo e la
responsabilità di questo rischio? A quella dell’ingegnere. E infatti la teoria dell’imputazione oggettiva ci
porterebbe ad escludere la responsabilità del medico non avendo egli stesso realizzato il fatto tipico. Ma
comunque l’art 41 non sarebbe applicabile perché il rischio introdotto è precedente alla condotta del medico.
Non è necessario distinguere tra concause antecedenti da quelle susseguenti, ciò che conta è che il rischio abbia
spezzato il legame logico tra la condotta e l’evento.
La teoria della competenza per il rischio fa si che tutti quei rischi che sono prevedibili ed evitabili per il soggetto
agente gli possono poi essere attribuiti se si traducono in un evento. Ma questa prevedibilità dovrebbe essere
intesa in termini soggettivi od oggettivi? Oggettivo perché attiene al giudizio di tipicità. Il problema è che
oggettivamente tutto è prevedibile. I comportamenti umani oggettivamente umani sono sempre prevedibili.
Anche gli eventi naturali sono tutti prevedibili da un punto di vista oggettivo. Se in settori in cui l’ordinamento
attribuisce a questi soggetti una posizione molto ampia, non limitata da certi strumenti. Il medico deve fare tutto
quello che è nelle sue possibilità. Se il limite di questa competenza per il rischio fosse collegato a requisiti di
prevedibilità, questo limite non esiste perché tutto è prevedibile. Se ragioniamo in termini di prevedibilità
soggettiva possiamo dire che il fatto tipico di reato di omicidio c’è essendo realizzato il fatto tipico. A quel punto
il giudizio si sposta da quello di tipicità a quello di colpevolezza (ricordiamo che il giudizio di atipicità è uguale
per tutti quindi se un fatto viene considerato atipico allora lo è sia per il soggetto attivo sia per gli eventuali
soggetti che hanno concorso, mentre il giudizio di colpevolezza è personale e varia da soggetto a soggetto)
dovremmo dire che il medico risponde di omicidio ma senza colpa l’ingegnere in colpa. Ergo assolveremo il
medico sarà punibile per omicidio colposo l’ingegnere. Quindi nel caso delle concause naturali non è
fondamentale distinguere tra antecedente o successivo. Sono concause invece sopravvenute solo quelle umane.
Solo in relazione a quelle umane ha senso distinguere tra antecedente e sopravvenute. Quindi l’art 41 comma 2 fa
riferimento al caso in cui es Tizio tiene una condotta A con cui motiva Caio a tenere la condotta B che causa
l’evento C. Tizio istiga Caio a sparare a Sempronio e ucciderlo. Sia la condotta dell’istigatore sia quella dello
sparatore sono concause ovvero condizione dell’evento morte di Sempronio. Ma quale di queste condotte è legata
all’evento da una legge scientifica? La condotta di sparare e non di istigare. Nelle relazioni umane non c’è un
rapporto di causalità scientifica. Tutte sono condizioni dell’evento, ma solo quella sopravvenuta è capace di
causare l’evento. Per cui grazie all’art 41 possiamo dire che Tizio non ha commesso il reato di omicidio. E allora
non risponderà di niente? Si invece, di concorso di reato di omicidio. La norma serva a distinguere i casi di
realizzazione monosoggettiva del fatto tipico rispetto a quelli che coinvolgono più soggetti. Ipotesi
monosoggettive e ipotesi di cooperazione soggettiva del fatto tipico. Criterio per capire se siamo nell’uno o
nell’altro ambito. Se prendiamo il caso della successione dell’intervento di medici nell’ipotesi di trapianto di reni
metastatici. Questa ipotesi è un convergere di condotte monosoggettive. E ogni condotta è condizionale
all’evento. È il chirurgo che ha condotto alla morte di un uomo, che ha realizzato il fatto tipico collegato
all’evento da una legge scientifica. L’anestesista ha invece indotto altri a realizzare la fattispecie.
Art 45 c.p. disciplina il c.d. caso fortuito che va ad escludere la tipicità di tutti quei fatti rari. Io posso rispondere
delle conseguenze della mia condotta solo nella misura in cui queste conseguenze siano espressione di un
decorso causale ordinario e quindi non condizionato da elementi singolare che normalmente non ci sono. Quindi
es nel caso io ferisca qualcuno e all’ospedale scoppia un incendio che cagiona la morte, io risponderò solo per la
lesione. Tutto quello che è accaduto dopo è anomalo rispetto a quelli che sono gli sviluppi causali ordinari. Causa
di limitazione del fatto tipico opera fintanto che queste concause eccezionale non le conosco. Allora possiamo
dire in questi casi che la sussistenza del fatto tipico dipende dalla posizione soggettiva del soggetto attivo,
inquinamento tra il profilo oggettivo e soggettivo. Se conoscevo c’è fatto tipico, se non lo conoscevo non c’è
fatto tipico e quindi caso fortuito.
COLPEVOLEZZA
Il primo gradino del giudizio di colpevolezza è rappresentato dall’imputabilità. L’imputabilità è il requisito e
presupposto di qualunque giudizio di rimproverabilità, capacità del soggetto di rendersi conto di quello che fa.
Dell’impatto sociale di quello che fa. Capacità di scegliere il comportamento da tenere, di governare i propri atti,
contenere gli impulsi, orientare i propri comportamenti. Siamo in una fase successivo del giudizio, ma in ambito
per così dire anteriore. Anormalità dei processi psichici (patologia, immaturità) rispetto a quei processi psichici
che consentono di capire le situazioni in relazione al rapporto con gli altri consociati. Il giudice penale deve
affondare il proprio sguardo nella psiche umana. passaggio che può essere pericoloso, proprio perché non può il
giudice sindacare l’animo del reo. Il giudice necessita del supporto della scienza della psiche. Una scienza come
sappiamo un po’ controversa. Esistono oggi delle neuroscienze che sono in grado di descrivere la nostra psiche in
modo dettagliato ed oggettivo, che stanno veramente mettendo in discussione tante acquisizioni. Ad esempio, si
inizia a mettere in discussione la capacità dell’essere umano di autodeterminarsi. Le nostre condotte non
sarebbero quindi frutto di scelte, ma frutto di presupposti intorno a noi che ci portano ad atteggiarci in un certo
modo. Il tema dell’imputabilità, se pur conosciuto poiché frutto di un ragionamento intuitivo, era difficile da
inserire nella logica della colpevolezza psicologica che ragionava sullo schema della sola colpa e del solo dolo.
Può darsi che un soggetto attivo sia perfettamente in dolo, ma si può essere fuori di testa. Chi non è in grado di
comprendere il senso di quello che fa, la percezione sociale o non è in grado di contenere gli impulsi in modo
conforme al valore non può essere considerato rimproverabile. La questione dell’imputabilità, prerequisito della
capacità di intendere e di volere per essere penalmente responsabile.
Ci sono delle scuole penali alternative a quelle classiche che affermano che le nostre condotte non sono frutto di
scelte, ma frutto di presupposti, elementi esterni a noi. Si fa riferimento alle questioni ereditarie. Scuola del
positivismo criminologo. Del tutto privo della capacità decisionale. E quindi non avrebbe senso punirli, ma
trattarli. Ci sarebbero dei soggetti strutturalmente e geneticamente pericolosi e il diritto penale neutralizza la
pericolosità. Bisogna individuare i presupposti che sono sintomo di pericolosità e laddove sussistono bisogna
evitare che tali soggetti compiano quegli atti. Questa opzione muove dal presupposto che non è intuitivo: noi
abbiamo la percezione di scegliere e percepiamo gli altri come soggetti che compiono scelte. Teoria totalmente
illiberale. Giudizio sul loro modo di essere, caratteristiche sociali, origine etniche e sociali. Questa scuola però ha
lasciato delle tracce, quella delle misure di sicurezza. Che sono strumenti che gestiscono la pericolosità. Il nostro
sistema è orientato su un doppio reato. ci potrebbe non essere colpevolezza, ma potrebbe esserci pericolosità.
Che sono strumenti detentivi.
Qual è la psiche umana? Quando c’è o non c’è imputabilità? Ci sono delle presunzioni che la legge penale
introduce. Si può sostenere che ci sono dei casi in cui si prevede un accertamento in concreto dell’imputabilità,
poiché si presume per legge che il soggetto sia non imputabile. Tuttavia, ci sono dei casi di presunzione di
imputabilità, anche laddove in concreto si potrebbe accertare una mancata capacità di intendere e di volere.
Fenomeni di alterazione patologica degli equilibri psicologici e fenomeni di immaturità.
Vizi di mente art 88 89 e 90 c.p. Art 88 qui l’imputabilità la si ricollega ad un accertamento in concreto. Si parla
di infermità, ma di qualsiasi tipo di infermità. Situazioni in cui il soggetto non ha delle malattie, ma presenta
nelle sue caratteristiche dei profili ricorrenti le caratteristiche di non sapersi modulare rispetto a ciò che è atteso
socialmente, i c.d. disturbi della personalità. La personalità è il modo con cui si imposta la nostra vita sociale,
pensiamo, ragioniamo. Dipende da fattori genetici, ambientali, da esperienze. Una personalità ordinaria ha
capacità adattativa. Ci sono dei soggetti che pur non avendo patologie non godono di questa capacità. A volte
queste situazioni sono così radicate e strutturate che influiscono sulla capacità di intendere e di volere della
persona stessa e sulla capacità di comportarsi diversamente. Necessario considerare il fatto. Queste norme
devono essere lette alla luce del principio di colpevolezza. Prescindendo quindi dalla presenza di una vera e
propria malattia scientificamente comprovata per parlare di imputabilità. Con infermità ci si riferisce a qualcosa
di più di una semplice malattia.
Figura della semi-imputabilità. Categoria che viene molto contestata, la valutazione della psiche non si presenta
a misure. La capacità o c’è o non c’è. Figura che può comportare sia una misura di sicurezza sia l’irrogazione
della pena. Comunque nella prassi questa figura è una figura che viene utilizzata un po’ per conciliare delle
situazioni in cui non è del tutto provata l’incapacità di intendere e di volere. Ad es caso di disturbo della
personalità. Riuscire a dimostrare il nesso causale tra il vizio di mente e l’atto, in questi casi il nesso causale è più
difficile da dimostrare. Rimediare ad approssimazione probatorio.
Il codice assimila stati in cui il vizio di mente è determinato da un alterazione cronica della psiche dovuta ad
alcool o sostanze stupefacenti. Es chi ormai chi è radicalmente dedito all’assunzione di alcool e stupefacenti che
ormai ha prodotto dei danni corrispondono ad una patologia psichica. Laddove un soggetto commetta un reato la
cui motivazione po' essere ricondotta da questa psiche ricondotta da eccesso di alcool si applica la disciplina dei
vizi di mente e quindi non lo so considera imputabile.
Ci sono poi invece i casi di non imputabilità legati a profili fisiologici quindi legati all’età. Si fa riferimento alla
presenza di maturità ed immaturità. Capacità di inibire gli impulsi che ti consente pienamente di intendere e di
volere. In particolare il codice fa questa scelta per motivi di certezza del diritto: il nostro ordinamento presume
che fino al compimento dei quattordici anni non si è imputabili. Sopra i diciotto anni c’è una presunzione
opposta, cioè si presume che al compimento dei diciotto anni siamo tutti maturi e quindi imputabili, salvo
ovviamente casi in cui si accerti che nel concreto non si goda per motivi legati a vizi della mente di incapacità di
intendere e di volere? Come trattiamo i consociati che vanno dai quattordici ai diciotto anni? In questi casi, non
essendo questa fascia di età coperta da una presunzione legale, dobbiamo il ricorrere da un accertamento in
concreto da compiere di volta in volta. Rispetto a questo giudizio di maturità in concreto è necessario tenere
conto anche del tipo di reato posto in essere. Se un ragazzo di sedici anni commette un omicidio, è difficile non
considerarlo imputabile. Ma laddove lo stesso ragazzo commette un reato informatico, un reato in cui non è
lampante comprendere il disvalore di ciò che si è fatto magari lo considereremmo non imputabile. Es problemi
legati alle pratiche sataniche, ci sono dei minorenni che hanno partecipato a questi riti e in seno ad essi possono
aver commesso reati come di violenza, stupro ecc. In relazione alla capacità di comprendere il disvalore sociale
di certe condotte viene difficile non considerare tali soggetti maturi. Ma qui il problema è legato al fatto che
spesso questi ragazzi aderivano alle suddette pratiche in virtù di plagi e convincimenti di personaggi carismatici.
Per cui ci si domanda se, nonostante la capacità di comprendere il disvalore sociale dell’evento, fossero dei
minorenni effettivamente maturi a sufficienza per sottrarsi alla soggezione di alcuni soggetti. La misurazione
poiché in concreto deve tenere conto: del reato commesso, ma anche della capacità di volere dei ragazzi.
Tutti questi ragionamenti muovono da una premessa fondamentale: si è in grado di orientare le proprie condotte
alle indicazioni impartite dall’ordinamento mediante le norme penali solo nella misura in cui si è capaci di
comprendere le situazioni circostanti a noi.
Ci sono dei casi in cui l’ordinamento prevede e presume con legge casi imputabilità, pur riscontrando e sapendo
che il soggetto stesso non godeva di capacità di intendere e di volere. Facciamo riferimento alla disciplina dettata
dall’art 87 c.p. (che si contrappone all’ipotesi dell’art 86). Ancora ipotesi art 92 c.p. (che si contrappone all’art
91). Situazioni in cui il codice fa attenzione alla causa della non imputabilità, cioè alla responsabilità del
soggetto delle motivazioni della non imputabilità. Come mai il soggetto attivo si trovava in un ostato di
incapacità di intendere e di volere al momento del fatto? Spingono il giudizio del giudice in modo retroattivo alla
condotta stessa. Ipotesi di utilizzo di stupefacenti e di alcool o di altri strumenti/sostanze che hanno procurato al
soggetto uno stato di incapacità di intendere e di volere. Actio libera in causa. Il soggetto attivo è colpevole
nella misura in cui si è posto in questa situazione. Retrocediamo quindi all’evento rispetto al giudizio di
colpevolezza. Preordinazione dell’incapacità di intendere e di volere ai fini di commettere un reato. Es mi sono
ubriacato a posta per commettere un reato per poi potermi scusare in sede difensiva. E in questi casi il codice non
solo non esclude l’imputabilità, ma aggrava la situazione di colpevolezza del soggetto. Prima del fatto il soggetto
attivo era in grado di governare la propria capacità. La pena viene aggravata anche nei c.d. casi di ubriachezza
abituale. Ci sono casi a contrario ipotesi in cui una persona si trova in stato di incapacità per ubriachezza per caso
fortuito o forza maggiore. Es ordino in discoteca una coca-cola analcolica e senza che mi fosse detto viene
aggiunto alcool. In ogni caso anche se la legge, nonostante la tua incapacità, la legge presume l’imputabilità tale
presunzione non è sufficiente per il giudizio di colpevolezza. Per chiudere il ragionamento dobbiamo comunque
andare a verificare la presenza di colpa o dolo e quindi se il soggetto è o no rimproverabile.
Nonostante la non imputabilità bisogna a volte accertare il dolo e la colpa rispetto al fatto, perché per poter
applicare la misura di sicurezza deve comunque sussistere la realizzazione di un reato. La legge subordina la
misura di sicurezza a un fatto previsto con legge come reato e quindi qualificato anche in virtù dei suoi profili
soggettivi. Ma come si accerta un dolo o una colpa rispetto a persona che non imputabili? L’imputabilità in realtà
non ha niente a che fare con il dolo e la colpa. Es un bambino picchia un compagno di classe, il bambino sapeva
e voleva percuotere taluno, ma il problema è che non si poteva pretendere da lui un comportamento diverso in
quanto immaturo e quindi non in grado di comprendere la portata del disvalore della sua condotta. C’è un dolo
certo, ma che non esprimere colpevolezza dovuto all’incapacità di intendere e di volere. Un dolo accompagnato
da una serie di alterazioni psichiche. Questo dolo mantiene il significato di garantire comunque un legame
minimo personale tra il reato e il soggetto e i problemi psichici di questo soggetto. Per applicare misure di
sicurezza dobbiamo accertare la sussistenza di un reato quindi questo dolo ha il compito di ricollegare
effettivamente la condotta a quella persona.
Esistono dei casi di non imputabilità non codificate? Sussiste una norma generale ovvero l’art 85 c.p. clausola
generale di non imputabilità. Anche l’art 87 c.p. si riferisce a stati di incapacità di intendere e di volere in cui è
necessario andare ad accertare di volta in volta andare a vedere la motivazione. Intese a casi diversi a cui si
riferiscono le altre norme. Es Tarzan.

Dolo può esserci o può mancare nei casi in cui il soggetto è imputabile. L’ordinamento può pretendere nei
confronti del soggetto nella misura in cui il soggetto fosse in grado di rendersi conto di commettere un fatto
tipico di reato. Requisiti necessari: soggetto, condotta. Requisiti non necessari: evento naturalistico, nesso
causale, presupposti della condotta, qualifica del soggetto attivo. Questo è il fatto tipico. Per essere
rimproverabili è necessario che io sapessi di realizzare il fatto tipico. Immaginiamo uno specchio il dolo è
consapevolezza e volontà di commettere un fatto in presenza di certi presupposti sapendo di mie eventuali
qualifiche sapendo di realizzare una condotta e in una certa modalità. Il dolo è lo specchio del fatto tipico.
Oggetto del dolo sono gli elementi costitutivi del fatto tipico. Ricordiamo che ci sono elementi del fatto tipico
che ci devono essere affinché ci possa essere reato, ma non devono essere oggetto del dolo ovvero le condizioni
obbiettive di punibilità. Hai agito nonostante la tua consapevolezza di tutti i profili che integrano
l’offensività della condotta. L’ipotesi colposa è l’ipotesi in cui io non mi rappresentavo e non volevo tutti gli
elementi del fatto tipico; tuttavia, se fossi stato più attento gli avrei previsti e li avrei evitati. Nel dolo c’è anche
un requisito superiore di oggettiva pericolosità. Abbiamo un soggetto che con piena consapevolezza e volontà
governa i fattori causali, i fatti, le circostanze, verso la realizzazione del reato. profilo aggiuntivo di
organizzazione dei presupposti causali che rende la condotta particolarmente pericolosa. Il dolo viene meno
quando c’è l’errore sul fatto tipico. Significa che un elemento del fatto tipico non si riflette nello specchio. Ad
es non ho previsto l’evento. Ho commesso un’appropriazione indebita, ma non sapevo di essere un pubblico
ufficiale. Quindi non avevo il dolo del reato di peculato. Quello che esclude il dolo è quando io non mi
rappresento nei profili tipici del fatto. È in questi casi quindi che interviene la colpa.
Funzione di definizione del confine tra punibile e non punibile del dolo. Il nostro ordinamento sceglie di
punire quando c’è il dolo sempre e quando punire quando c’è la colpa solo in alcuni casi. In relazione alla
diversità di gravità delle due ipotesi. Art 42 c.p. comma secondo scopriamo che per il nostro ordinamento
laddove si commette un delitto si può rispondere solo se si è commesso con dolo, salvo i casi eccezionali in cui la
legge prevede la responsabilità per colpa anche. In relazione alle contravvenzioni si risponde sia per dolo sia per
colpa, la colpa quindi è un requisito sufficiente di responsabilità (ecco perché i reati a tutela di funzioni sono
sempre formulati come contravvenzioni). Ad es se guardiamo il reato di omicidio, è un delitto perché è punito
con la reclusione. Non si precisa l’elemento psicologico e quindi il delitto di omicidio è doloso. Tuttavia, art 589
c.p. troviamo l’ipotesi di omicidio colposo. Rispetto all’omicidio l’ordinamento ha sentito la necessità di
prevedere la casistica particolare di omicidio colposo. Se tale espressione non ci fosse stato, di omicidio ne
avremmo risposto solo se doloso, negli altri casi colposi avremmo risposto a livello di sistema civilistico e quindi
ci saremmo esposti ad un mero risarcimento del danno arrecato alla vita. Perché nelle contravvenzioni è sempre
sufficiente la colpa perché c’è una ragione storica/teleologica. Le contravvenzioni sono gli eredi dei c.d. illeciti di
polizia. Intervento della polizia su situazioni fisiologiche. Antenati dei reati a tutela di funzioni. Forma
penalistica pensate per i reati a tutela di funzioni. In questi casi il disvalore sta nel mancato rispetto di una
disciplina prevista dall’ordinamento. In sé per sé potremmo dire una sorta di disvalore neutro, non è importante
la motivazione per cui non ti sei conformato alla disciplina. È sufficiente affinché ci sia l’offesa ad un bene
giuridico che il soggetto attivo non abbia rispettato la disciplina di settore, prescindendo quindi da valutazioni e
profili psicologici del soggetto stesso. Potrebbe eventualmente incidere sulla gradazione della pena. Ma non fissa
il confine tra il punibile e il non punibile.
Ci sono degli elementi che al momento della condotta non ha senso domandarsi se fossero voluti o no perché non
dipendono dalla volontà del soggetto, tipo ad es i presupposti. Il problema si concretizza soprattutto legato
all’evento. È sulla volontà sull’evento che si sta consumando una diatriba, distinzione tra dolo e colpa in
particolare tra l’ipotesi minima di dolo e l’ipotesi più grave di colpa. Tracciare il confine tra dolo eventuale e
colpa cosciente. Importanza pratica enorme della questione. Anche perché in caso di pena e stigmatizzazione
sociale c’è una bella differenza tra l’aver commesso un reato con dolo o con colpa. Tutto dipende da come noi
strutturiamo il dolo e la colpa in rapporto alla condotta e all’evento. Frank affermò che la volontà possa essere
affrancata soltanto alla condotta. Teoria della rappresentazione, rispetto a tutto ciò che va oltre la condotta ci
potrebbe essere solo rappresentazione, previsione e conoscenza. Ma non più volontà. La volontà si concretizza
solo nella condotta. Secondo invece la teoria della volontà, sarebbe configurabile volontà anche ad accadimenti
successivi alla condotta e quindi alle conseguenze della volontà. È volontario tutto ciò a cui io appunto
volontariamente ho dato causa. La prima prospettiva appare molto estensiva da un punto di vista di confine tra
dolo e colpa. Tutto ciò che è previsto è dolo. Nella seconda prospettiva si reputa non sufficiente che io abbia
previsto, ma anche che io abbia acconsentito ed accettato interiormente che l’evento si verificasse. Tutte e due le
teorie illustrano il dolo come elemento che può assumere gradi intensità. Accezione massima dolo intenzionale,
dolo diretto, dolo eventuale (a confine con la colpa) che si ha quando io mi rappresento l’eventualità dell’evento
non avendo intenzione ma mi rendo conto della probabilità che verificherò l’evento con la mia condotta. Non ho
la certezza di provare ad es la morta, non era il mio scopo, ma accetto il rischio. Realizzo qualcosa di
pericoloso, rappresentando il rischio, accettando i rischi. Il dolo in questa prospettiva mangia la colpa. La teoria
della volontà cerca di arginare questa estensione del dolo. Ma il problema è che cosa si intende con accettazione
dell’eventualità che l’evento si verifichi? Se intendiamo accettazione del rischio un qualcosa che attiene a profili
caratteristici della persona cioè es io accetto il rischio di uccidere perché sotto sotto mi piace uccidere. Questo
significherebbe compiere una valutazione in merito al modo di essere di una persona, i suoi desideri, pensieri,
estrazione sociale e culturale ecc. Approccio che il nostro diritto penale rifiuta (principio di materialità). Lo
possiamo risolvere tenendo conto di due cose. Art 43 c.p. descrive il dolo come previsione e volontà della
realizzazione del fatto tipico di reato come conseguenza della propria azione. Il soggetto governa tutte le
situazioni del caso per produrre il reato. Nella misura in cui c’è volontà di realizzare le premesse causali in modo
tale che esse sfocino nel reato. Art 47 invece segna la distinzione tra dolo e colpa grazie all’errore sul fatto. E
allora dove possiamo individuare la distinzione tra dolo e colpa: il limite è dato dall’errore sul fatto e in
particolare un errore sul nesso causale. Quando il soggetto ritiene che non si rappresenta il nesso causale e
quindi neppure governa le premesse causale per verificare l’evento avremmo la colpa. Saremmo ancora
nell’ambito del dolo eventuale tutte le volte in cui il soggetto non ha un errore sul nesso causale, cioè si renda
conto che ci sono delle premesse all’evento che non trovano degli ostacoli. Avremo colpa cosciente quando il
soggetto ha voluto la condotta ha previsto l’evento, ma ritiene per errore che tra questa condotta e l’evento non ci
sia nesso causale. Il soggetto è in colpa se è convinto di gestire il nesso causale.
Il dolo può essere escluso in due ipotesi: 1. Errore sul fatto 2. Errore sul diritto (viene meno la rappresentazione
dell’elemento normativo del fatto tipico). Attenzione che l’errore sul diritto non è errore sul divieto. Caso del
ragazzo africano validamente sposato in africa che decide di contrarre matrimonio in Italia, ma non sapeva che in
Italia esisteva reato di bigamia.
Qual è l’oggetto del dolo nei reati omissivi impropri? Laddove si ha l’obbligo giuridico di intervenire
assumendo una posizione di garanzia. Oggetto del dolo tutti i fatti costitutivi del reato. Reati omissivi propri?
Parliamo di intensità del dolo. Dolo intenzionale, diretto, eventuale. Ma la gradazione dell’intensità del dolo può
dipendere anche dal livello di maturazione e di consolidamento della volontà. Es una persona mi taglia la strada
mentre sta guidando passando con il rosso. Suono il clacson, mi manda a quel paese e allora io con una mazza da
baseball spacco la testa della persona che mi ha provocato. Diversamente io decido di seguirlo con la macchina e
quando arriva a casa gli spacco la testa. Altra ipotesi ancora decido di attendere il momento più opportuno per
attaccarlo con la stessa mazza da baseball, indago ed individuo i suoi orari, i luoghi che frequenta ecc. In tutti
questi casi io commetto un omicidio con dolo. Ma ciò che cambia è il modo con cui io arrivo alla condotta che
integra reato. Sulla base di questa formazione dell’intenzione possiamo distinguere: dolo d’impeto, dolo di
proposito, dolo di premeditazione.
Come si prova il dolo? Prima di tutto dobbiamo escludere la possibilità di prevedere un dolo presunto. Lo si
prova su valutazioni esperienziali che ci consentono di dire che normalmente le persone sono consapevoli di
quello che fanno. Tre indici oggettivi e indici soggettivi, ovvero dati esteriore in presenza dei quali normalmente
si può supporre il dolo; ma non basta ci devono essere anche gli indici soggettivi. Modalità della condotta,
strumenti utilizzati, svolgimento prolungato dell’attività, quanto più la regola di condotta si allontana da quanto
preteso tanto più probabile ci sarà dolo. Movente, biografia del reo. Formula di Frank: se il soggetto avesse
saputo che sicuramente se avesse saputo che si sarebbe verificato l’evento non lo avrebbe fatto. Altri profili come
la maturità e l’esperienza.
Esaminiamo il caso di dolo alternativo, quando il soggetto realizza una condotta prevedendo che questa
condotta può realizzare reato, ma non è sicuro che tipo di reato sarà. Es tizio spara e ha un solo colpo in canna e
non sa se ucciderà caio o sempronio. Caso di dolo indeterminato, il soggetto si rappresenta la possibilità di
offendere una o più persona o di realizzare o non realizzare un reato. Es entro in una stanza piena di gente e
inizio a sparare a caso. Non sono forme autonome di dolo, ma sono peculiarità di dolo intenzionale.
Parliamo del dolo specifico. Quando il fatto tipico è formulato in modo che il soggetto attivo commette la
condotta con una determinata intenzione, anche se poi non raggiungo effettivamente l’obbiettivo comunque
commetto reato. Ipotesi di sequestro di persona. In aggiunta il codice prevede delle forme specifiche di sequestro
di persona. Come, ad esempio, l’art 630 c.p. in questo caso abbiamo un dolo specifico. Sarebbe il caso del
sequestro di persona per ottenere il riscatto. La presenza del dolo specifico in questo caso ha una funzione di
distinzione, nel senso che non si va ad applicare la disciplina base del sequestro di persona. Con notevole
incremento di pena. Art 416 c.p. scopriamo che se tu ti associ allo scopo di commettere delitti realizzi un reato
associativo e plurisoggettivo punito con pene molto severe. Se ci riunisce con dolo specifico quello che s
solitamente è un diritto costituzionalmente rilevante diventa un reato. In questo caso quindi la presenza del dolo
specifico trasforma una casistica lecita in reato. Questo crea problemi a livello di principio di materialità ed
offensività. Dolo specifico che ha funzione fondativa.
COLPA come requisito alternativo al dolo. In realtà la concezione psicologica della colpevolezza risulta essere
contraddittoria ed accomunava due profili completamente diversi. La colpa ha una sua autonomia rispetto al
dolo. Requisito puramente normativa, è qualcosa che avrebbe dovuto essere ma non lo è stato. La colpa è
incentrata di requisiti psicologici potenziali. Giudizio incentrato su ciò che si poteva pretendere dal soggetto, e
che non ha compiuto. Potevi astenerti, ma non lo hai fatto. Tutto si normativizza. La pretesa nei confronti del
soggetto è meno intensa, colpevolezza meno grave. La colpa è sempre fondata sul giudizio di esigibilità. Un tipo
di rimprovero molto più blando. La colpa incide spesso su attività lecite, es guidare la macchina è lecito ma se
superi certi limiti e procuri un incidente risponderai a titolo penale. Ma alla base c’è una scelta del soggetto di
compiere delle condotte leciti. La colpa, quindi, vincola il soggetto a comportarsi in un certo modo, a tenere certe
condotte. Meglio dire limita l’esercizio di una condotta lecita. Per questo motivi i reati colposi sono molto diffusi
e comuni.
Teoria normativa della colpevolezza, considerare che non siamo tutti uguali. Possono essere circostanti differenti,
possono esserci motivazioni differenti. Diversi livelli di rimproverabilità. Quando i rischi erano nelle mani di
pochi soggetti e dotati di qualifiche per gestire tali rischi è chiaro che si poteva pretendere che seguissero tutte le
cautele del caso. Oggi potenzialmente ognuno di noi è esposto a responsabilità colposo, ma ognuno nella misura
in cui ha delle caratteristiche, ha delle capacità ecc. Il livello di esigibilità varia in maniera significativo al variare
della platea dei soggetti responsabilmente in colpa. Il giudizio di colpa, quindi, non deve svolgersi solo sulla base
del dovere, ma anche del potere. Quanto si poteva pretendere dal soggetto? Le regole cautelari non sono uguali
per tutti.
Art 43 c.p. fornisce la definizione di reato colposo, e' colposo, o contro l'intenzione, quando l'evento, anche
se preveduto, non e' voluto dall'agente e si verifica a causa di negligenza o imprudenza o imperizia,
ovvero per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Evento preveduto, ma non voluto. Primo
requisito del reato doloso è negativo, ovvero non deve essere il soggetto in dolo. Non è che tutte le volte però che
non c’è dolo allora c’è colpa. Deve esserci qualcosa in più. Violazione di una regola cautelare. 1. Assenza di dolo
2. Violazione di regola cautelare. Una regola cautelare non è una regola che ti dice che non si può fare qualcosa.
Ma è una regola modale. Se tu vuoi prevenire alcuni eventi devi comportanti in un certo modo. Se non la si
rispetta è prevedibile la commissione di un fatto di reato. E se la si rispetta è prevedibile che tu possa evitare la
commissione di un reato. Come si costruisce una regola cautelare? Quando questa è cristallizzata in una
disciplina, la regola è scritta e quindi non sussistono problemi. Colpa generica e colpa specifica. La colpa
generica è quella riferibile alla violazione di regole cautelari che non stanno in nessun precetto, ad es regole di
diligenza, regole di perizia. Regole che però non sono contenute in una legge o in un regolamento. Colpa
specifica quando c’è violazione di una regola cautelare positivizzata. In ogni caso il problema sussiste in ugual
misura nei casi in cui la regola cautelare, se pur positivizzata, in realtà sia una regola a contenuto elastico. Sia in
caso di mancata positivizzazione della regola cautelare, sia una positivizzazione non determinata abbiamo il
problema di ricavare questa regola. La dottrina penalistica è d’accordo sul fatto che le regole cautelari le
ricaviamo dall’analisi che ruota intorno ad c.d. agente modello. Chi è questo personaggio? Quello che l’agente
modello avrebbe potuto fare e fatto per gestire una situazione di rischio è quello che l’agente concreto avrebbe
dovuto fare. Il parametro per misurare la nostra colpa ha come contenuto ciò che l’agente modello avrebbe fatto.
Laddove non ci sia corrispondenza tra il comportamento dell’agente modello rispetto a quello concreto, la
discrasia determina una situazione di imprudenza, imperizia. Ma come lo costruiamo questo agente modello? È
chiaro che se l’agente modello fosse super man saremmo sempre in colpa, in qualunque consociato paragonato a
super man verserà sempre in colpa a titolo di responsabilità penale. L’agente modello dobbiamo costruirlo sulla
base del fatto che noi non siamo divinità e non abbiamo esperienza infinita. Dobbiamo calarci nei panni del
soggetto attivo nella condotta. Dobbiamo costruire un agente modello che sta accanto all’agente concreto, quindi
calato nella situazione concreta. Ma l’agente modello deve essere necessariamente anche diverso dall’agente
concreto, altrimenti la persona non sarebbe mai in colpa. L’agente modello è qualcosa di astratto rispetto
all’agente concreto, ma avrà gli stessi limiti culturali, di possibilità, capacità, percezione, carattere fisiologico
dell’agente concreto. Mentre l’agente modello deve essere spogliato di tutti i limiti patologici riferibili all’agente
concreto. Es se un reato è commesso da uno specializzando di medicina non si può pretendere come agente
modello il primario. Se lo specializzando è ubriaco l’agente modello è uno specializzando sobrio. Non c’è il
rischio di soggettivizzare troppo il giudizio di colpevolezza? Limite rappresentato dalla c.d. colpa per
assunzione. Chi intraprende un’attività nella consapevolezza di non possedere le competenze e le esperienze
adeguate per gestire il rischio legato all’attività. L’agente modello in questo caso si sarebbe astenuto dall’attività.
Come si selezionano le regole cautelari? Sulla base del tipo di rischio che ha portato all’evento. Si richiede il c.d.
nesso di rischio. C’è colpa solo nella misura in cui il soggetto abbia violato una regola cautelare il cui scopo era
orientato a prevenire quel tipo di evento che effettivamente si è verificato. In certi casi si può riscontrare che il
soggetto ha violato una regola, ha realizzato un fatto tipico di reato e allora si può dire che c’è la colpa e quindi
dovrà rispondere. Ma non è detto. Se la regola cautelare violata non c’entra nulla con il caso concreto che si è
andato a realizzare. Il nesso causale di rischio è molto importanti in relazione ad alcune fattispecie che
puniscono in modo grave certe tipologie di omicidio o lesioni colpose. Reati di omicidio stradale o lesioni
stradali. Casi di omicidio o di lesioni provocati violando alcune regole stradali. Quel tipo di evento che si è
verificato sarebbe stato evitabile se la regola cautelare fosse stata davvero rispettata.
Oltre alla relazione di rischio un altro limite alla colpa è dato dalla norma sull’intervento del caso fortuito. Ci
possono essere situazioni che possono essere oggetto di un’imprevedibilità assoluta. Situazioni di rischio e
pericolo rispetto alle quali non sono immaginabili regole cautelari volte a governare quei tipi di rischio. Es
immaginiamo una situazione metereologica improvvisa che determina una formazione di ghiaccio in un luogo in
cui non c’è mai stato ghiaccio. Tizio frena sul ghiaccio, sbanda e provoca un incidente. Situazione anomala che
possiamo dire non è immaginabile nessun tipo di regola cautelare. In caso di dolo avrebbe escluso il fatto tipico,
nel caso di colpa esclude la possibilità che ci fosse violazione una regola cautelare da seguire. A meno che il
soggetto non avesse previsto l’evento. Immaginiamo che Tizio sia un bravissimo meteorologo. Per giudicare se
un evento risulta essere totalmente imprevedibile, rispetto al quale quindi non è possibile immaginare nessuna
regola cautelare da rispettare, dobbiamo indagare in merito alle conoscenze e capacità del soggetto attivo. Magari
in virtù di alcune sue caratteristiche peculiari e speciali sarebbe stato in grado di prevedere un rischio che altri
non sarebbero riusciti a prevedere.
Principio di affidamento ipotesi in cui la gestione del rischio dipende da un corretto coordinamento tra il
comportamento di più persone. Io posso attendermi che gli altri rispettino le regole cautelari che devono
rispettare. Questo principio è una regola cautelare. Regola funzionale ad una migliore gestione del rischio.
Ognuno pensa al suo. Ci sono delle eccezioni: quando l’altra persona a cui io mi sto affidando palesemente non è
più in grado di gestire il rischio. Quando quindi è in atto una violazione cautelare altrui. Un'altra eccezione è data
quando il soggetto deve sorvegliare sull’operato di un'altra persona per un compito istituzionale affidato
dall’ordinamento. Approfondiamo sul tema del principio di affidamento: le linee guida sono una fonte di
cognizione in ambito medico. Hanno la funzione di sintetizzare tutta la letteratura scientifica in modo tale che si
possano fornire raccomandazioni per il medico che deve operare urgentemente e che quindi non abbia il tempo di
studiare il caso. Raccomandazione che provengono da persona di cui io posso fidarmi. Il medico mettendo in
pratica le linee guida è come se avesse consultato tutta la letteratura scientifica. In tali casi io non posso essere
punito. Ma potrei essere punito comunque per imperizia, es il medico consulta delle linee guida non aggiornate.
Io però ho il diritto di confidare in quelle linee guida che mi sono state fornite, ma lo scudo penale non si applica
nel caso in cui io non rispetti le regole cautelari. Logica di affidamento. Perché sia abbia quel perfetto
coordinamento tra soggetti è necessario che il medico che consulti le linee guida lo faccia nel modo corretto e
quindi ad esempio andando a consultare quelle più affidabili, quelle più recenti. Nel caso in cui il medico decida
di conformarsi a delle linee guida, se pur accreditate, ma palesemente datate e superate non potrà discolparsi
appellandosi al principio di ordinamento. Ci sarà quindi reato essendo presenti tutti gli elementi di quest’ultimo,
compreso un giudizio di positivo di colpevolezza.
Teoria della doppia misura della colpa. Ci si domanda se la regola cautelare rientri nel fatto tipico. Ci vuole un
momento oggettivo valido per tutti. E poi ci sarà un giudizio soggettivo sulla regola cautelare in relazione al
soggetto che l’ha violata. Individuare prima la regola cautelare, poi ci domandiamo chi ha violato tale regola. La
misura oggettiva della colpa si ricava dalla consuetudine. Secondo un'altra impostazione la misura oggettiva si
ricaverebbe dalla migliore scienza ed esperienza.
Anche la colpa si misura. Si parla in tal caso di grado della colpa. Colpa più o meno grave, che comporterà
maggiore o minore pena in concreto rispetto ai termini edittali. Criteri per misurarla: 1. Quanto la condotta
concreta si è discostata dalla regola cautelare 2. Esame delle circostanze su cui si fonda il grado di esigibilità in
merito al rispetto della regola cautelare 3. Diversa esigibilità in relazione alle competenze o qualifiche del
soggetto attivo.
Ci sono dei casi in cui la responsabilità penale è subordinata ad un particolare grado della colpa, ovvero in caso
di colpa grave. C’è reato solo nella misura in cui sussiste questo grado di colpa. Viene applicata quindi la norma
del Codice civile nel caso in cui al professionista vengano affidati compiti di particolari difficoltà, in tali casi il
professionista non è responsabile salvo condotte poste in essere con colpa grave. Questo perché in relazione a
casi di particolare difficoltà anche l’agente modello si sarebbe trovato in particolare difficoltà. Limite della colpa
grave è stato codificato nell’ambito penale nel 2021 in riferimento all’emergenza covid.
Trattiamo adesso il tema della responsabilità oggettiva nell’ambito penalistico. Intendiamo quella responsabilità
fondata semplicemente sulla base della realizzazione del fatto tipico di reato senza che poi si vada a riscontrare la
colpevolezza. Responsabilità senza dolo e senza colpa. Forma di imputazione che crea dei problemi in virtù della
presenza del principio costituzionale di colpevolezza normativo che noi andiamo a ricavare con una lettura
profonda dell’art 27 cost. Si pretende che non si possa prevedere una responsabilità penale prescindendo da un
giudizio di colpevolezza. Tuttavia questa responsabilità oggettiva per quanto incompatibile con la nostra
Costituzione, il codice continua a prevedere questa ipotesi di responsabilità penale. Ricordiamo che la redazione
del codice è stata fatta in epoca pre-costituzionale. Art 42 c.p. al terzo comma dice che la legge determina i casi
in cui la condotta è posta a carico dell’agente altrimenti rispetto al dolo o colpa. Se andiamo a ricostruire
l’impostazione dottrinale di Rocco possiamo dire che questo terzo comma si riferisse a tutti quei casi in cui
l’evento criminoso fosse stato posto in essere come conseguenze di una condotta precedente deliberatamente
intrapresa. C’erano alcune concezioni secondo cui questa situazione creasse una sorta di dolo indiretto. Dolo
minore o presunto, come riferibile a qualsiasi evento che costituisse lo sviluppo di un rischio liberamente
intrapreso con una scelta precedente. Colui che deliberatamente intraprende un’attività illecita sarà ritenuto
responsabile anche di ciò che avvenga casualmente. Qui in re illicita versatur, tenetur etiam pro casu. Queste
logiche sono però incompatibili con il principio di colpevolezza. Che ci fosse un’idea di fondo di dolo presunto
lo si capisce dal fatto che questi tipi di responsabilità dal punto di vista della risposta sanzionatoria sono punite di
più rispetto al reato commesso con colpa, ma meno delle ipotesi punite per dolo. Perché è superiore? Proprio
perché dietro queste fattispecie c’erano delle considerazioni di dolo presunto o indiretto.
Dobbiamo compiere una lettura costituzionalmente orientata della responsabilità oggettiva. L’art 42 terzo comma
richiede che la legge debba determinare ecc... tutte le volte in cui la legge non dice chiaramente che quello è un
caso di responsabilità oggettiva, allora noi siamo autorizzato a non intenderlo come un caso di responsabilità
oggettiva. Parliamo allora della preterintenzione. Art 42 del Codice penale, criterio di imputazione di un evento
non voluto che costituisce uno sviluppo di un altro evento meno grave non voluto. Particolare elemento
psicologico che si ha quando l’ordinamento ti attribuisce la responsabilità di un evento non voluto che costituisce
sviluppo di un evento meno grave che invece era voluto e quindi coperto da dolo. Due segmenti: una prima parte
dolosa con cui il soggetto realizza dolosamente un evento meno grave, e un evento meno grave non voluto. Solo
quando espressamente previsto dalla legge. Interruzione della gravidanza preterintenzionale. Oppure omicidio
preterintenzionale quando un soggetto aggredisce un soggetto per lederlo e poi come conseguenza della lesione si
ha come conseguenza non voluta causata dalla condotta la morte della vittima di aggressione. Nessun particolare
problema per l’evento meno grave. Deve emergere nel giudizio di colpevolezza il dolo. L’evento più grave non
deve essere doloso. Ma l’evento più grave è responsabilità oggettiva o colpa? Cioè domandiamoci, la
preterintenzione è dolo più mera causazione di un evento oppure dolo più colpa? Esiste un ulteriore impostazione
giurisprudenziale con cui si prevede che il reato preterintenzionale prevede un dolo mixato con colpa, ma una
colpa data dall’inosservanza della legge penale. Questa impostazione in realtà è da rifiutare perché le norme
penali non sono regole cautelari e quindi norme che nulla dicono in merito a come operare per evitare che si
verifichi un determinato evento. Rispetto all’evento più grave deve essere riscontrato un requisito di colpa. Art
42 al terzo comma stabilisce che la responsabilità oggettiva è qualcosa di altrimenti. Quindi prevediamo un dolo
misto a colpa, anche perché si stabilisce che la responsabilità oggettiva è qualcosa di altro rispetto al dolo o la
colpa. Dolo misto a colpa.
Ma come si ricostruisce una colpa su una condotta illecita? Se noi intendiamo l’omicidio preterintenzionale
intendiamo un’ipotesi di dolo misto a colpa, dovremmo immaginare un picchiatore modello. Ovvero un
picchiatore che lesiona stando attendo a non uccidere. Ma come fa un picchiatore ad essere un soggetto modello?
Non è possibile ammettere un modello ideale di un soggetto che ha il divieto assoluto però di lesionare. Esistono
regole cautelari che incidono su condotte penalmente vietate? La risposta può essere affermativa, ipotesi
praticabile. Ragioni di principio. Art 3 cost non è possibile affermare che situazioni diverse vengano trattate nello
stesso modo. E in tali casi è possibile affermare che ci siano situazioni diverse pur l’agente modello praticando
una condotta illecita. In alcuni casi è possibile dire che picchiando in un certo modo una persona era prevedibile
che potesse esserci una morte. Ma in altri modi di picchiare (dare uno spintone). È come se l’ordinamento dicesse
“visto che già hai commesso un reato, stai attento a non provarne un altro addirittura più grave”. In tal senso
quindi comunque l’ordinamento continua a dare quel messaggio in termini preventivi di funzione generale
preventiva, indirizza ancora una volta il comportamento del consociato. Perché nonostante sia grave lesionare
una persona, ancora più grave sarà causarne la morte. Per cui l’ordinamento resta interessato a stoppare la tua
condotta prima della causazione di un altro reato. E’ necessario sempre adottare misure di cautela per evitare una
morte evitabile. Precetto complementare che operi nei casi in cui il primo precetto non sia stato rispettato.
Versare in re illicita. Ma allora come ce lo immaginiamo questo picchiatore modello? Noi non dobbiamo
costruire un picchiatore modello. Quello che ci interessa è capire se quel soggetto aveva le capacità per capire
che quella condotta lo avrebbe portato alla realizzazione di quello evento. Fattori di percettibilità degli elementi
di rischio. La qualifica di picchiatore non è rilevante per la costruzione dell’agente modello. Noi andiamo a
costruire una persona che si rende conto di tutti i fattori presenti al momento della condotta. La preterintenzione è
dolo dell’evento meno gravo e prevedibilità dell’evento più grave. L’ipotesi di preterintenzione è punita in
modo maggiore rispetto al reato colposo della condotta più grave. Anche rispetto a un cumulo tra le ipotesi di
reato meno grave e più grave. Resta comunque un’ipotesi che si si avvicina comunque di più all’ipotesi di dolo.
Questo crea dei problemi di costituzionalità e di proporzione.
Delitti aggravati dall’evento. L’ulteriore verificarsi di un evento comporta un aggravamento. C’è già un fatto
tipico rilevante presente in tutti i suoi elementi. Caso tipico dei maltrattamenti in famiglia. Si prevede come fatto
tipico i maltrattamenti in quanto tali, ma si stabilisce che laddove ci siano episodi di lesioni ci sono degli
aggravamenti di pena. Tre tipologie: 1. L’evento più grave non deve essere voluto dall’agente per ragioni di
sistema (es reato di maltrattamenti familiari) 2. Situazioni in cui è indifferente che l’evento sia voluto (es reato di
calunnia) 3. Evento ulteriore necessariamente voluto (es reato di attentato allo stato). Nei primi due casi l’evento
ulteriore non è coperto da dolo. Terza ipotesi si tratta di situazioni in cui l’evento è necessariamente doloso. I
primi due casi hanno la struttura di un reato preterintenzionale. In realtà questa riconduzione allo scopo di
recuperare un requisito di colpevolezza è un tentativo
Migliore soluzione è riconoscere quello che la legge ci dice. Queste sono fattispecie circostanziali. L’evento è
una mera circostanza aggravante. La categoria delle circostanze aggravanti sono elementi accidentali che non
sono necessari per la realizzazione del fatto tipico, ma se ci sono aggravano la situazione. Devono essere
imputate al soggetto quanto meno per colpa, se tali ipotesi di circostanze aggravanti sono espressamente
richiamate dalla norma.
Art 57 c.p. si prevedeva la c.d. responsabilità del direttore di pubblicazioni periodiche per i reati commessi per gli
autori in esse contenuti. Si usava la clausola “per ciò solo”. Direttore ha un ruolo di garante che si assicura che
ciò che viene diffuso a mezzo stampa non si pregiudizievole o offensivo per qualcuno. Per cui non si ritiene
comunque un’ipotesi questa vera e propria di responsabilità oggettiva in quanto è necessario comunque
riscontrare un nesso causale, quanto meno una causalità omissiva da parte del direttore. L’articolo è stato
modificato: si dice per “titolo di colpa”. Reato autonomo di agevolazione colposa. Reato a se stante distinto da
quello del giornalista, che consiste nell’aver colposamente agevolato il reato commesso da altri. Formulato nei
termini di una fattispecie colposa. Difficoltà di applicare tale norma a quei mezzi di diffusione che prevedono
un’organizzazione molto ampia, come i giornali nazionale, o le pubblicazioni che operano anche all’estero.

Disciplina dell’errore sul divieto. Erronea percezione dei meccanismi giuridici che incidono sul fatto, e fanno
venir meno la percezione della realizzazione del fatto tipico da parte dell’autore. Ad es mi impossesso e sottraggo
un bene mobile errando sull’altruità, quindi pensando di esserne il proprietario. In questo caso errore sulla
disciplina civilistica del diritto di proprietà. Il soggetto sa quello che fa, ma non sa che quello che fa è reato.
errore di diritto che ricade sulla qualifica penalistica di quel comportamento. Errore di diritto disciplinato dall’art
5 del codice penale. Nella vecchia veste dell’art 5 c.p. abbiamo un dovere del cittadino di conoscere gli
imperativi dell’ordinamento. Un sistema penale perfettamente conoscibile non è mai esistito. L’ex art 5 c.p.
aveva una forte portata autoritaria. Si pretende oggi a converso che lo Stato favorisca la conoscenza delle norme
penali. Dobbiamo riconoscere che può essere ricorrente questo errore sul divieto e che spesso tale errore sia
incolpevole. La colpevolezza deve essere negata se il soggetto non si rendeva conto di violare la legge penale, né
avrebbe potuto rendersene conto. Non c’è nessun motivo di rieducare chi non avesse la men che minima idea di
porsi in contrasto con la norma penale. La Corte costituzionale afferma che debba esserci spazio per scusare chi
ha agito senza sapere di commettere reato. Dovere di farsi conoscere imposto dalla CEDU. L’errore sul divieto
può scusare, ma solo se non rimproverabile. Solo se non si poteva pretendere dal soggetto uno sforzo per colmare
la sua ignoranza. Quando una legge non è conoscibile? Legge oscura, legge determinata ma che rinvia molte
volte ad altre volte rendendo difficile la ricostruzione della norma, leggi che operano in settori estremamente
complessi. Anche ipotesi in cui il soggetto viva delle situazioni di desocializzazione tale per cui gli sia
impossibile cogliere la determinatezza e conoscibilità della norma. Casi in cui l’errore sul divieto può ritenersi
scusabile in virtù di una situazione soggettiva ed oggettiva mista.
Perché la Corte ha detto che l’ignoranza sul divieto scusa solo se la non conoscenza non era inevitabile? L’errore
sul fatto esclude sempre il dolo. L’errore sul divieto invece di per non esclude il dolo, ed esclude la colpevolezza
solo nella misura in cui sia scusabile. Ma ci possono essere casi in cui il soggetto può essere perfettamente
rimproverabile anche a titolo di dolo. Pensiamo ad es ad un professionista che non compia mai aggiornamenti
nella sua disciplina di competenza. Non possiamo scusarlo perché la rimproverabilità sta nel suo atteggiamento
di menefreghismo e trascuratezza. L’errore sul fatto è diverso dall’errore sul divieto. L’errore sul divieto non ti
impedisce di capire quello che fai.
Nei delitti a condotta neutra o a tutela di funzioni, l’offesa sta tutta nella trasgressione di una regola imposta dallo
Stato. Anche se la condotta in se non è offensiva. Ad es la costruzione della casa, condotta inoffensiva che può
diventarle sulla base di dove viene costruita a seconda che ciò sia consentito o non consentito dalla disciplina di
settore. Il dolo in tali casi dovrebbe ricomprendere anche il profilo della trasgressione. Mi devo rendere conto
della trasgressione.
Il codice considera altre ipotesi di errore intellettivo. Art 49 primo comma fa riferimento al c.d. reato putativo.
Chi commette un fatto che non costituisce reato nella supposizione erronea che sia reato. In questo caso non si
risponde di niente entrando in gioco il principio di legalità. Solo la legge può stabilire cosa sia reato. Art 60 si
parla dell’errore sulla persona offesa. Chi realizza un reato convinto di offendere Tizio e invece offende Caio.
Forme in cui l’errore, comunque, si forma nella mente del soggetto attivo, interpretando male dati di fatto e di
diritto.
Parliamo ora del c.d. errore esecutivo, quando il soggetto commette un errore nell’esecuzione del reato. Il
soggetto si rappresenta tutti gli elementi del fatto tipico, ma commette un errore. Tizio vuole sparare a Caio, ma
colpisce e ferisce Sempronio. Fenomeno similare si ha nelle ipotesi di eccesso di legittima difesa. Viene indicato
tale errore con il termine aberratio, i. c.d. reato aberrante. Aberratio causae. Reato aberrante con riferimento allo
sviluppo causale. Il codice disciplina due ipotesi più specifiche: 1. Aberratio ictus (destinatario dell’offesa) 2.
Aberratio delicti (realizzazione di un reato diverso da quello che volevo realizzare). Ci sono però dei casi di
errore esecutivo che però non trovano conforto nelle due discipline previste dal codice. Ad es chi getta nell’Arno
il proprio nemico e questa persona muore non per annegamento, ma perché nel fiume viene punta da un
velenosissimo pesce. Tuttavia, il processo causale che ha portato alla morte è diverso da quello che avrei voluto.
In questi casi però il venir meno del normale nesso causale non esclude la presenza di fatto tipico e il mio dolo.
Diversa è la situazione per i reati a forma vincolata, in cui la condotta deve essere posta in essere con un
determinato modus operandi. La differenza fa venire meno il fatto tipico. Dobbiamo però precisare che però di
fronte a casistiche rarissime si ricorre alla disciplina del caso fortuito che scinde il nesso tra condotta ed evento.
Nell’esempio di prima, il pesce velenoso è rarissimo. Im tal caso chi ha spinto la persona nel fiume risponderà a
titolo di tentato omicidio.
Art 82 c.p. errore che attiene al momento esecutivo della condotta. In questo caso il soggetto risponderà
comunque di omicidio doloso. L’identità della vittima non è un requisito costitutivo del fatto tipico, dato
irrilevante per il fatto tipico. Ciò che ci interessa è che sia stata cagionata la morte di un “uomo”. Errore
indifferente al fatto tipico. E non si esclude nemmeno il dolo. Reato obbiettivamente realizzato e soggettivamente
rappresentato. Tutti gli elementi sono presenti. Qualcuno contesta questa soluzione, si parla ad es di
responsabilità oggettiva perché si attribuisce al soggetto attivo un reato che non voleva realizzare. Il senso della
norma qual è? Compiere una scelta. Tizio voleva colpire Caio e invece ha colpito Sempronio. In questo caso le
soluzioni possibili sarebbero state due: tizio non può rispondere di tentato omicidio e di omicidio perché Tizio
aveva proprio intenzione di uccidere Caio. Non si può utilizzare un unico dolo per fondare l’attribuzione di due
reati a danno di due persone differenti. Però sarebbe stato possibile affermare che Tizio doveva rispondere di
tentato omicidio e di omicidio colposo. Il legislatore sceglie la prima ipotesi facendo rispondere il soggetto di un
solo reato a titolo di dolo. Ma per far rispondere il soggetto di dolo nei confronti della vittima non voluta, ma
occasionale è necessario andare a verificare che effettivamente il soggetto attivo volesse offendere la vittima
designata. Allora potremmo dire che senza l’errore esecutivo sarebbe stato veramente reato doloso e allora
possiamo estendere la sua responsabilità nei confronti della vittima occasionale. Quello che serve è almeno un
tentativo della vittima disegnata.
Per le stesse ragioni laddove ci fosse una causa di giustificazione nei confronti della vittima disegnata l’art 82
non potrà essere applicato. Tizio vuole sparare a Caio in legittima difesa in realtà si sbaglia e spara a Sempronio
e muore. Aberratio ictus che si verifica nell’esecuzione di una condotta che si considera lecita. La causa di
giustificazione può estendersi allo sparo nei confronti di Sempronio? In questo caso mancano i presupposti
dell’art 82 perché manca un tentativo doloso nei confronti della vittima designata, anzi c’era la realizzazione di
un fatto perfettamente lecito.
Altro es tizio voleva uccidere caio ma per errore esecutivo uccide sempronio ma tuttavia realizza un reato anche
nei confronti della vittima disegnata, tuttavia minore di quello prefissato. In questi casi si opta per un aumento
della pena fino alla metà. Facendo comunque rispondere il soggetto attivo a titolo di dolo. Ma il reato minore nei
confronti della vittima designata il soggetto attivo risponde di cosa? A titolo di colpa.
Caso dell’aberratio delicti. Il realizzato è strutturalmente e qualitativamente diverso. In questi casi non si può più
trasferire il dolo tra il reato voluto e quello realizzato. In tali casi quindi si risponderà solo a titolo di colpa. Ma la
colpa deve essere di volta in volta accertata o sempre o comunque c’è responsabilità per colpa del reato non
voluto? Dobbiamo optare per la prima. Dobbiamo scegliere l’interpretazione che rende la fattispecie conforme al
principio di colpevolezza. Solo in quei casi in cui la colpa effettivamente sussista.

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