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I meccanismi

dell’evoluzione

Se l’adattamento è il fenomeno principale dell’evoluzione ogni teoria evoluzionistica deve ovvia-


mente partire dalla sua interpretazione. Nel concetto di adattamento è compreso anche il miglioramento
dell’idoneità di un organismo al proprio ambiente e quindi l’evoluzione deve essere vista come una risposta
ad un cambiamento ambientale. Di conseguenza, il punto fondamentale di ciascuna teoria evoluzionistica
deve essere costituito dalla spiegazione del modo in cui l’ambiente possa informare l’organismo dei cam-
biamenti avvenuti e di come l’adattamento raggiunto possa venir poi trasmesso alla discendenza. Esistono
fondamentalmente due diversi modi per realizzare questo trasferimento di informazioni, che corrispondono
alle due principali teorie evolutive che hanno rivaleggiato tra loro per decenni: il lamarckismo e il darwini-
smo. Vediamole brevemente.

LAMARCKISMO
Le difficoltà che Lamarck incontrò per classificare e per identificare le diverse specie delle disordi-
nate collezioni di animali conservate al museo di scienze naturali di Parigi, presso il quale era stato nominato
professore, lo indussero a pensare che le specie non fossero state create individualmente con organizzazione
e caratteristiche costanti, ma che ciascuna specie avesse subito l’influenza dell’ambiente in cui si era trovata,
tanto da ricevere modificazioni anche notevoli. La trasformazione dell’ambiente determinava nuovi bisogni e
gli animali contraevano nuove abitudini, «durevoli quanto i bisogni che le avevano fatte nascere». Il cam-
biamento di abitudini comportava il cambiamento di azioni e di movimenti e ciò provocava nell’animale
modificazioni della forma che si trasmettevano ereditariamente. In sostanza il cambiamento dell’ambiente fa
nascere nuovi bisogni e nuovi comportamenti per i quali l’animale sviluppa gli organi adatti, mentre gli or-
gani che non gli servono più non vengono adoperati e finiscono con lo scomparire. Le nuove caratteristiche
così acquistate passano ai discendenti e questi, pur assomigliando ai loro genitori, sono sempre più diversi
dai loro antenati quanto più questi sono antichi. Alla base della teoria evoluzionistica di Lamarck ci sono
quindi due punti essenziali:
il primo è che il bisogno crea l’organo necessario mentre l’uso lo rende forte e lo fa cre-
scere; viceversa il difetto d’uso comporta l’atrofia e la scomparsa dell’organo inutile
(principio dell’uso e del non uso)
il secondo è che questi caratteri, una volta acquisiti, sono trasmissibili ereditariamente
(principio dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti)
È basandosi su questi principi che Lamarck immaginò, nel corso del tempo, lo sviluppo degli organi
utili e la scomparsa di quelli inutili. Egli illustrò la sua teoria con numerosi esempi: molti rettili non hanno le
zampe perché anticamente presero a strisciare e così, non adoperandole più, le zampe scomparvero; le giraffe
hanno il collo lungo perché si trovarono nella necessità di mangiare le foglie degli alberi sempre più in alto,
perciò allungarono il collo e col passare delle generazioni nacquero giraffe col collo sempre più lungo; allo
stesso modo uccelli e mammiferi acquatici, sforzandosi di allargare le dita durante il nuoto, hanno acquisito
la palmatura interdigitale e la talpa, per la sua vita sotterranea, ha perso la vista; e così di questo passo…
L’intera teoria si basa sull’ipotesi dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti e spiega l’evoluzione con un proces-
so assai semplice, composto da un’unica fase: gli organismi percepiscono le proprie necessità, acquisiscono
gli adattamenti loro necessari nell’arco della propria esistenza e infine trasmettono queste modificazioni alla
discendenza. Se l’evoluzione operasse in questo modo sarebbe eccezionalmente rapida ed efficiente.

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2 I meccanismi dell’evoluzione

La teoria di Lamarck sollevò subito critiche molto serie. L’ambiente esercita incontestabilmente un’
azione sull’organismo, ma Larmarck sosteneva che l’organismo risponde sempre all’azione con una modifica
utile. In realtà le modifiche sono spesso non provocate e di nessuna utilità. Quanto al secondo principio, tutte
le esperienze per mettere in evidenza l’ereditarietà dei caratteri acquisiti hanno avuto esito negativo. La con-
statazione della non trasmissibilità ereditaria delle risposte di adattamento toglieva, quindi, loro ogni valore
evoluzionistico. È proprio questo il maggior punto debole della teoria di Lamarck: nell’arco della propria e-
sistenza un organismo può benissimo adattarsi all’ambiente in cui vive attraverso il continuo esercizio o il
completo disuso di un organo, ma questi cambiamenti non hanno alcun effetto sul programma genetico
dell’individuo stesso e quindi non possono venir ereditati (il figlio di un fabbro ferraio non nasce con l’iper-
trofia del braccio destro a causa del continuo martellare del padre).

DARWINISMO
La teoria evoluzionistica proposta da Darwin è simile alla selezione che gli uomini provocano artifi-
cialmente negli animali e nelle piante: in ogni specie vi sono differenze tra gli individui e ogni specie produ-
ce più individui di quanti ne potranno sopravvivere, l’ambiente seleziona allora quegli individui che hanno
caratteristiche più utili alla loro sopravvivenza e questi caratteri vengono trasmessi ai discendenti, mentre gli
individui che hanno caratteri sfavorevoli vengono eliminati. Questa teoria parte dunque dal presupposto che
tra gli individui esista una sorta di concorrenza per la conquista del cibo e di migliori condizioni di vita; le
differenze tra di essi vengono allora viste come variazioni di caratteri atte a conferire un vantaggio più o me-
no importante nei confronti di quelle cause naturali che altrimenti tenderebbero alla distruzione della specie.
In queste condizioni l’ambiente opera dunque una selezione tra i diversi varianti naturali, assicurando la so-
pravvivenza dei più adatti. Possiamo riassumere brevemente la teoria in tre punti fondamentali:
1. tutti gli organismi di una specie nascono diversi l’uno dall’altro e queste variazioni sono,
almeno in parte, ereditarie;
2. tutti gli organismi producono più prole di quella che può sopravvivere fino al momento
della riproduzione, nonostante questo, però, il numero di individui delle popolazioni, pur
fluttuando stagionalmente, tende a mantenersi stabile negli anni;
3. se non tutti gli organismi possono sopravvivere, coloro che ci riescono saranno quelli che
possiedono le variazioni più adatte all’ambiente in cui vivono.
La possibilità che gli individui di una popolazione aumentino a un ritmo esponenziale è intuitiva se
si pensa a quegli animali che depongono molte uova o alle piante, che producono una grande quantità di se-
mi, ma può valere anche per le specie meno prolifiche. Darwin stesso sottolineava che in venticinque anni la
popolazione umana, che si riproduce lentamente, era raddoppiata e, continuando a quel ritmo, in meno di
mille anni sulla Terra non ci sarebbe stato più posto per la discendenza. Calcolava inoltre che il potenziale
riproduttivo di una coppia di elefanti, che reputava gli animali più lenti a riprodursi (un elefante genera in
media sei figli nell’arco del proprio periodo riproduttivo), è tale che una sola coppia di elefanti potrebbe ge-
nerarne ben 19 milioni circa nel giro di 700-750 anni! In natura, però, ci sono fattori che contrastano l’accre-
scimento delle popolazioni: predatori, epidemie, limitatezza delle risorse alimentari o idriche, presenza di
specie competitrici. Le popolazioni non si accrescono a dismisura perché non tutti i nuovi individui riescono
a sopravvivere e a riprodursi a loro volta.
Ma il punto centrale della teoria di Darwin è ammettere che in tutte le specie vi sia una variabilità in-
trinseca sulla quale possa far presa il meccanismo della selezione naturale. Darwin, cercando di spiegare la
fonte di questa variabilità sulla quale doveva far presa la selezione naturale, suppose prima di tutto
l’esistenza di una variabilità dovuta ai caratteri acquisiti per modificazione dell’ambiente che anch’egli,
come Lamarck, riteneva erroneamente ereditabili. Altra fonte di variazione egli la intravedeva in fluttuazioni
casuali del materiale ereditario che egli chiamò sports, dal nome dato dagli allevatori alle varianti che
insorgevano naturalmente nelle pratiche di allevamento del bestiame. Nel complesso, Darwin riteneva che la
variabilità rappresentasse tutto sommato un fenomeno raro e destinato a durare poco.

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I meccanismi dell’evoluzione 3

Riprendiamo ora l’esempio della giraffa precedentemente citato e cerchiamo di interpretarlo secondo
la teoria di Darwin. Un gruppo di giraffe si trovano in una zona dove l’erba viene a mancare e per sopravvi-
vere occorre che si cibino delle foglie degli alberi. Le giraffe col collo più lungo sono favorite perché posso-
no sfamarsi e sopravvivono, le altre muoiono. Le nuove giraffe che nascono assomigliano ai genitori, hanno
il collo lungo, e tra queste sono favorite quelle che lo hanno più lungo delle altre perché possono mangiare
più in alto. Come conseguenza della selezione, nasceranno altre giraffe col collo ancora più lungo e così via.
Non sono le singole giraffe che allungano il collo e, per così dire, lasciano in eredità ai loro discendenti colli
sempre più lunghi, ma sono i colli già lunghi delle giraffe che costituiscono caratteri privilegiati in conse-
guenza dei quali esse vengono selezionate, sopravvivono e hanno dei figli che assomigliano ad esse.
La teoria di Darwin, oltre a rivoluzionare tutto il settore delle scienze biologiche, ebbe grande influ-
enza in campo culturale e filosofico e rese possibile il graduale superamento del principio della creazione e
del fissismo. La conseguenza più sconvolgente della nuova teoria era comunque la discendenza dell’uomo da
un progenitore affine alle scimmie: l’uomo non era più il fine della creazione, ma il prodotto di quelle stesse
forze naturali che avevano generato anche gli altri esseri viventi.

LAMARCKISMO E DARWINISMO A CONFRONTO


A questo punto è necessario un confronto tra le teorie evolutive di Lamarck e di Darwin. Al di là dei
meccanismi che determinano l’evoluzione i quali, come abbiamo visto, sono sostanzialmente diversi, le due
teorie hanno altri aspetti divergenti che vale la pena di sottolineare.
Innanzitutto il modello di evoluzione proposto da Darwin è più lento, più sprecone e meno
efficiente di quello proposto invece da Lamarck, che è molto rapido nei tempi e mirato,
nel senso che le modificazioni delle specie sono sempre indirizzate verso un miglioramen-
to delle condizioni di vita.
Il darwinismo ha però in sé una concezione sostanzialmente corretta del funzionamento
dei programmi genetici, cosa che invece manca completamente nel lamarckismo.
Un altro aspetto importante del darwinismo consiste nella possibilità di spiegare alcune
modificazioni che non possono semplicemente rifarsi al principio dell’uso e del non uso.
Per esempio com’è possibile, con il lamarkismo, spiegare variazioni delle dimensioni (co-
me fa un organismo a sforzarsi di essere più grande o più piccolo?) o del colore? (come si
fa a diventare più verdi o più rossi?).
Ma la differenza forse più importante tra le due teorie evoluzionistiche sta soprattutto nel
ruolo che l’ambiente ha in esse. In Lamarck l’ambiente ha un ruolo che potremmo definire
“passivo”: le modificazioni dell’ambiente spingono sì gli organismi a modificarsi, ma so-
no loro che attraverso l’uso e il non uso determinano le modificazioni; qui l’evoluzione è
vista come una spinta interna agli organismi, quasi come una loro “volontà” ad evolversi.
In Darwin, invece, l’ambiente ha un ruolo “attivo”: le modificazioni, anche se minime,
sono già presenti negli organismi e sta all’ambiente selezionare quelle che sono più adatte
alla sopravvivenza degli individui.

A. Belli Evoluzione meccanismi.doc

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