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La prima

dimostrazione
della selezione
naturale data
da HW Bates
(1862) per le
farfalle
mimetiche
Papilio
dardanus
SELEZIONE SESSUALE

Darwin fu colpito dalla selezione sessuale,


cui dedicò anche un libro, e che egli vedeva
come un processo selettivo differente, il cui
prodotto era il dimorfismo sessuale
(differenziamento tra le caratteristiche sessuali
secondarie maschili e femminili).
Molte caratteristiche sessuali secondarie
non sembrano, tuttavia, adattative. Ad esempio,
il piumaggio vistoso di un pavone maschio può
attrarre un predatore. Se però certi attributi
possono favorire la conquista di un partner
sessuale, come quello esemplificato, essi
saranno favoriti dalla più darwiniana delle
ragioni: l’aumento del successo riproduttivo.
Esempi di selezione sessuale
Il successo di DARWIN
Il successo a lungo termine delle
ipotesi di Darwin deve essere attribuito
alla forma scientifica (ipotesi con
predizioni falsificabili) con la quale
furono presentate.
Inoltre, Darwin considerò
seriamente anche le ipotesi alternative,
quali le creazioni separate e ripetute di
Cuvier, il trasformismo senza
ramificazioni di Lamarck, ecc., e se esse
potevano spiegare i fatti nuovi, che egli
aveva studiato e presentato.
Le “difficoltà” nella
spiegazione Darwiniana
- I tempi: il meccanismo con cui opera la selezione
naturale è, in genere, molto lento (gradualismo) e gli
effetti possono essere avvertiti dopo un notevole
periodo di tempo. Su basi scientifiche Lord Kelvin
“dimostra” che l’età della Terra non è tanto estesa
quanto servirebbe a Darwin.
- L’innesco del processo selettivo: la selezione
naturale “premia o punisce un carattere” a seconda
dei vantaggi o degli svantaggi che manifesta sul
momento e non in prospettiva di una sua utilità
futura. Che valore adattativo può avere “lo stato
incipiente di una struttura utile”, un rudimento di
organo, ad esempio, un’ala all’inizio della sua
trasformazione?
Rappresentazione grafica del
gradualismo
L’ASSENZA DI UNA VALIDA
TEORIA GENETICA
• Un’altra importante difficoltà della teoria darwiniana è
data dal fatto che, se i processi selettivi eliminano gli
individui meno adatti, la variabilità della popolazione si
riduce nel tempo ed essa non è più in grado di
rispondere ad ulteriori cambiamenti dell’ambiente. Lo
stesso Darwin propose alcuni meccanismi per risolvere il
problema, quale una nuova teoria, della pangenesi, per
la quale gli organi avrebbero prodotto speciali gemmule,
che sarebbero confluite negli organi della riproduzione
ed avrebbero fornito un’immagine completa
dell’organismo da trasmettere, fornendo così anche una
base biologica all’ereditarietà dei caratteri acquisiti.
• La teoria, che prevedeva un mescolamento dei caratteri
ereditari nelle generazioni successive, ebbe breve vita.
Weismann provvide pochi anni dopo a falsificarla sulla
base di esperimenti ben pianificati.
L’evoluzionismo dopo Darwin
• Nell’ultimo Darwin (1872), come già detto, c’e una
maggiore considerazione del lamarckismo, inteso come
ereditarietà dei caratteri acquisiti.
• Tuttavia, Weismann e gli altri evoluzionisti rigettano
completamente questa posizione (neodarvinismo). Con
esperimenti si nega qualsiasi possibilità della
ereditarietà dei caratteri acquisiti.
• Con la teoria della completa separazione fra germen e
soma rese concettualmente addirittura impossibile che
l’ambiente influisse su queste cellule, che morivano alla
morte dell’individuo.
• Solo le variazioni relative alle cellule germinali
sarebbero riuscite a produrre le novità nelle cellule
somatiche, che sarebbero state a loro volta sottoposte a
selezione naturale.
L’eclisse dell’evoluzionismo dopo
Darwin
• L’idea dell’ereditarietà dei caratteri acquisiti
(neolamarckismo) ebbe grande seguito negli
anni a cavallo del secolo XX° come reazione
alla rigidità del darwinismo, alla impossibilità
di superare alcune difficoltà della teoria di
Darwin (età della Terra), al rifiuto di
considerare solo il caso come determinante del
mondo organico ed, infine, alle mutate idee
sociali e filosofiche (positivismo vs idealismo).
• Accumunate al neolamarckismo, sono anche
teorie che pensano come la filogenesi non
avvenga per caso, bensì lungo linee
predeterminate (ortogenesi).
L’evoluzionismo all’inizio del XX°
secolo
Paradossalmente, quando furono riscoperte le
leggi di Mendel, ai primi del ‘900, si diffuse l’errata
convinzione che l’evoluzionismo non fosse più
importante per spiegare i fenomeni biologici.
I due principi della genetica sono:
- i fattori ereditari sono particelle (i geni).
- lo scambio delle informazioni fra genotipo e
fenotipo è unidirezionale.
In queste condizioni viene contraddetta
l’eredità dei caratteri acquisiti, ma, grazie alla
scoperta delle mutazioni (H. de Vries), anche alla
selezione naturale non viene riconosciuta quella
posizione centrale, che le avevano dato Darwin ed i
neodarwinisti.
L’evoluzionismo all’inizio del XX°
secolo
Solo dopo il 1920 la genetica fu vista come una
base teorica utile per sostanziare i meccanismi
evolutivi darwiniani. Negli anni ’40 un gruppo di
biologi di varia estrazione, J. Huxley, T.
Dobzhanski, E. Mayr, G.G. Simpson e G.L.
Stebbins, ridefinì l’evoluzione ed i possibili
meccanismi alla luce delle nuove scoperte nel
campo biologico, che si erano tumultuosamente
aggiunte nella prima metà del secolo, gettando i
punti fermi di quella che viene chiamata la
“Sintesi moderna” o “la moderna teoria
Neodarwinista” o ancora “la teoria sintetica
dell’evoluzione”.
LA TEORIA SINTETICA
DELL’EVOLUZIONE
L’elaborazione della teoria si compie in 4 fasi temporali e
concettuali:
- fase naturalistica per la comprensione dei meccanismi
della speciazione (inizio secolo XX°).
- fase di genetica di popolazione, in cui viene stabilita
una nuova definizione di mutazione (Morgan) ed un
apparato matematico sofisticato, che permette di
studiare le frequenze geniche delle popolazioni (intorno
agli anni ’20 del secolo).
- fase di costruzione della teoria (1936-47).
- fase di rafforzamento e diffusione, con la definizione di
una nutrita serie di teorie sussidarie (neutralismo,
equilibri punteggiati, ecc.), che dura fino ai nostri
giorni.
LA FASE NATURALISTICA 1
Dalla fine dell’800 ai primi anni ‘30 si verificò un
notevole fermento nella sistematica, con il rifiuto
del concetto linneano di specie e l’introduzione di
una nuova sistematica basata sullo studio delle
popolazioni. Per evidenziare i meccanismi di
speciazione non era sufficiente studiare uno o
pochi esemplari, ma molti, in modo da cogliere la
variazione in natura.
I soli criteri morfologici (importanti ed i soli
disponibili per i paleontologi) perdono
d’importanza in favore del ruolo dell’isolamento
riproduttivo e della divergenza evolutiva
provocata dalla distribuzione geografica delle
diverse popolazioni della stessa specie.
LA FASE NATURALISTICA 2
Le ipotesi saltazioniste venivano ridicolizzate da chi
operava in natura e non in laboratorio.
In questo senso viene accettato e rafforzato il
concetto del gradualismo sostenuto da Darwin del
passaggio graduale da una specie all’altra,
attraverso una divergenza basata sulla
separazione geografica.
Permettendo una evoluzione lenta, con la graduale
acquisizione di nuovi meccanismi di isolamento, l’
ingresso in nuovi ambienti, in nuove nicchie
ecologiche, la speciazione geografica (in
allopatria) si presentava come lo strumento
esplicativo più idoneo alla spiegazione
dell’evoluzione darwiniana e come tale diverrà
una colonna della teoria.
LA FASE DELLA GENETICA
DI POPOLAZIONE 1
Una delle obiezioni avanzate contro Darwin era che,
se l’eredità si mescola ad ogni generazione, le
piccole variazioni, anche benefiche, si diluirebbero
rapidamente ed un processo di selezione dovrebbe
avere una efficienza estremamente elevata per
permettere l’evoluzione.
A questa obiezione si era risposto con la
constatazione che la segregazione mendeliana
perdurava nelle generazioni successive.
La dimostrazione matematica della non diluizione
degli elementi ereditari si ha con un articolo
pubblicato (1908) su Science da G.H. Hardy e,
pochi mesi più tardi, dagli studi di W. Weinberg.
LA FASE DELLA GENETICA
DI POPOLAZIONE 2
E’ fondamentale per lo sviluppo della trattazione
matematica della genetica di popolazione
applicata alla teoria dell’evoluzione il
consolidamento del nuovo concetto di mutazione
ad opera del gruppo di T.H. Morgan.
Morgan e Muller riescono a dimostrare che esiste un
solo tipo di mutazione e che l’accumulazione di
piccole varietà stabilizzate può essere la base dell’
evoluzione.
Da qui la successiva proposizione di modelli teorici
che spiegavano l’evoluzione in termini di
variazione della frequenza dei geni nella
popolazione, per effetto di mutazioni,
immigrazioni, pressioni selettive, ecc.
LA FASE DELLA GENETICA
DI POPOLAZIONE 3
Fondamentale per il riconoscimento del ruolo della
selezione naturale nel meccanismo di formazione
delle nuove specie e nell’evoluzione fu la
dimostrazione che la mutazione senza selezione
non riesce a cambiare le frequenze alleliche di una
popolazione in tempi ragionevoli da parte dei
genetisti di popolazione (Haldane e Fisher).
Fu soprattutto l’apporto del genetista T. Dobzhanski
importante per integrare genetica, paleontologia e
sistematica ai fini della formulazione della Teoria
sintetica.
La definitiva formulazione di questa teoria avvenne
in un memorabile congresso a Princeton (USA) nel
1947.
Le basi della teoria sintetica
dell’evoluzione
L’evoluzione viene definita come il
cambiamento progressivo, da una
generazione all’altra, delle frequenze
alleliche ad opera dei fattori evolutivi.

L’insieme più piccolo di organismi


soggetto all’evoluzione è la popolazione,
intesa come un gruppo di individui della
stessa specie, che vive nello stesso luogo
e nello stesso periodo di tempo.
Il concetto di specie biologica
(BSC)
Secondo la definizione di Mayr (1942):
“La specie biologica è costituita da
gruppi di popolazioni naturali
effettivamente ed illimitatamente
interfecondi e riproduttivamente
isolati da altri gruppi”.
Ogni specie costituisce, quindi, una
singola comunità di riproduzione, il cui
patrimonio genetico è protetto mediante
opportuni meccanismi, detti di isolamento
riproduttivo.
Come si originano le specie?
Il processo della
speciazione

Le modalità di
speciazione
Esempio di speciazione
allopatrica
Meccanismi di isolamento
riproduttivo
Classificazione dei meccanismi di
isolamento riproduttivo
I fattori evolutivi

- Mutazione e variabilità genetica


- Selezione naturale
- Flusso genico
- Deriva genetica
effetto collo di bottiglia
effetto del padre fondatore
- Accoppiamento non casuale
Mutazione e variabilità
genetica
Il concetto di variabilità genetica è al centro
della teoria darwiniana, poiché essa rappresenta
la base su cui opera la selezione naturale.
E’ importante comprendere:
a) come nasce la variabilità (per
mutazione) e come si diffonde (attraverso la
ricombinazione)
b) la natura e la consistenza della
variabilità nelle popolazioni naturali
(polimorfismo, variabilità geografica)
c) come si mantiene la variabilità genetica
(grazie alla diploidia e al polimorfismo bilanciato)
Consistenza della variazione
genetica
A partire dagli anni ’70 un notevole
numero di specie animali e vegetali sono
state indagate nella loro struttura genetica
fine a livello di allozimi, proteine ed acidi
nucleici (RNAs e DNA). Fra l’altro, questo
tipo di ricerche ha permesso la scoperta
inaspettata di un alto livello di variazione
genetica: fra il 15 ed il 50% dei loci sono
polimorfici, mentre la frequenza di
eterozigoti (eterozigosità) è compresa fra
il 4 ed il 15% in un largo spettro di
organismi.
Il
mantenimento
della
variabilità
genica: il
polimorfismo
bilanciato
La teoria neutralistica
dell’evoluzione
L’alto tasso di variazione genica ha provocato un
acceso dibattito centrato sull’importanza della selezione
naturale nel determinare le frequenze alleliche nei loci.
La teoria neutralistica fu formulata dal Kimura.
Secondo il genetista nipponico, molti degli alleli varianti
per un certo locus potevano essere considerati ininfluenti
e, quindi, neutrali ai fini della selezione e variare solo per
l’effetto della deriva genetica.
E’ assai difficile dimostrare che un certo allele non
ha alcuna conseguenza sull’organismo e in un certo
ambiente per un lungo periodo di tempo. Tuttavia, è certo
che l’ampia variazione genetica rappresenta un’ampia
fonte di materia prima per la selezione naturale.
Oltre la SINTESI
NEODARWINIANA
La teoria più affermata per la spiegazione dei
processi evolutivi sembra però incompleta. Essa nella
sua essenza afferma che il processo evolutivo implica
la produzione di novità organismiche soprattutto per
mutazione e che queste sono vagliate dalla selezione
naturale. D’altra parte, a livello di popolazione, di
specie e di gruppi di specie (microevoluzione),
sono stati studiati casi come quello della Biston
betularia e dei molluschi del lago Turkana, che
provano la realtà di questi meccanismi evolutivi al di
là di ogni dubbio. Ma questi sono gli stessi per i quali
si originano le alte gerarchie tassonomiche, classi e
phyla? E’ possibile che a forza di piccole mutazioni e
piccoli effetti fenotipici si possa passare dal rettile al
mammifero, in una parola, spiegare anche la
macroevoluzione?
I diversi processi evolutivi

Microevoluzione: avviene in grandi o


medie popolazioni, con velocità evolutiva
media, attraverso la selezione naturale e la
deriva genetica si ha l’evoluzione filetica e la
speciazione

Macroevoluzione: avviene in piccole


popolazioni, con alta velocità evolutiva,
attraverso processi casuali si ha l’evo=
luzione quantica (evoluzione delle categorie
superiori alla specie).
TEORIA DEGLI EQUILIBRI
PUNTEGGIATI
I due modelli speciativi:
gradualismo ed equilibri
punteggiati
Come si sviluppano i piani
strutturali degli organismi?

Dato per scontato che i processi microevolutivi sono


quelli che portano alla formazione delle nuove specie,
cosa è possibile supporre per spiegare i cambiamenti
di ordine superiore, la macroevoluzione, quelli che
fanno distinguere una pianta da un animale, ecc.?
Per risolvere questo problema sono state proposte
due soluzioni: il preadattamento, che rappresenta
un approccio gradualista, e le transizioni rapide,
che abbandona la spiegazione gradualista e conserva
nello stesso tempo l’azione creatrice della selezione
naturale
Il
preadattamento
Il principio del preadat=
tamento, secondo cui,
negli stadi intermedi della
loro formazione, le principali
novità evolutive svolgono
spesso funzioni diverse da
quelle degli stadi finali,
permette di postulare una
transizione graduale per
quelle strutture, che non
possono funzionare fino a
quando non sono comple=
tamente formate.
Le transizione
rapide
Le transizioni rapide,
invece, considerano i piccoli
cambiamenti genetici, che
possono tradursi talvolta in
grandi differenze della forma
del corpo.
Questi possono essere i
cambiamenti nella
velocità dello sviluppo
embrionale prodotti da
geni regolatori oppure dalla
pedomorfosi, inteso come
quel fenomeno, per il quale
gli stadi giovanili dei
progenitori divengono gli
stadi adulti dei discendenti.
La
eterocronia
Le transizione rapide riguardano
anche l’evoluzione umana
I cambiamenti nella velocità dello sviluppo
embrionale hanno riguardato le forma del cranio (vedi la
tavola precedente) e dello scheletro in generale, nel quale
lo scheletro dell’adulto è più simile a quello fetale rispetto
alle altre scimmie antropomorfe.
Ma il cambiamento della velocità ha riguardato anche la
lunghezza della fase embrionale: nello scimpanzè essa
dura 2 settimane, mentre nell’uomo ben 8 settimane. E’
solo durante questa fase che avviene la moltiplicazione
delle cellule nervose, il che permette all’uomo di arrivare
a circa 100 miliardi di neuroni. Si ha, quindi, in questo
caso un allungamento del periodo, in cui questi geni
entrano in azione ed il risultato per l’uomo è quello di
avere un cervello ipertrofico.
EFFETTI DELLE
MUTAZIONI SUI GENI
I geni possono essere strutturali e
regolatori.
Se una mutazione colpisce i primi influenza
direttamente il carattere, mentre se agisce su un
gene della seconda categoria può influenzare un
intero sistema di geni a cascata. Tanto più il
gene regolatore sarà a monte nello sviluppo di
un piano organizzativo di un organismo, tanto
maggiore potrà essere l’effetto fenotipico.
Un esempio di questo genere è costituito dai
geni omeotici.
GENI HOMEOBOX (=OMEOTICI)
Questi geni controllano l’identità dei vari
segmenti del corpo negli organismi pluricellulari.
Quando mutano causano la trasformazione di una
struttura o di una regione nella forma propria di
un’altra struttura o regione (esempio: la formazione
di una zampa là dove si doveva formare un’antenna in
Drosophila).
La categoria dei geni che contengono homeobox
(tratti di DNA di circa 180 nucleotidi, che codificano
per prodotti proteici, gli omeodomini, capaci di
riconoscere e legarsi ad una specifica sequenza di
DNA) è abbastanza larga da essere presente sia nei
regni delle Piante, Funghi e Animali. Tuttavia, se
viene considerato il gruppo dei geni HOX, questo
sembra caratterizzare i soli Bilateria.
GENI OMEOTICI
Il valore delle estinzioni
I trasferimenti laterali di geni fra organismi diversi
Il trasferimento laterale (od orizzontale) di geni è un processo, per il quale
l’informazione genetica può essere trasferita da una specie all’altra, dove essa può
essere integrata entro il genoma della cellula ospite.
Questo fenomeno è ben documentato fra i procarioti e gioca un ruolo molto importante
nella loro evoluzione. Tuttavia, questo fenomeno avviene anche fra procarioti ed
eucarioti, come è dimostrato dall’abilità dei plasmidi batterici coniuganti di provocare
il movimento di DNA fra batteri e lieviti oppure fra batteri fitopatogeni e molte piante
superiori ospiti. Addirittura questo meccanismo sarebbe all’origine dell’evoluzione del
tabacco (Nicotiana sp. ).
Questo fenomeno sembra, comunque, essere abbastanza raro; del resto esistono delle
barriere di incompatibilità, che inibiscono le ecllule di una specie a fondersi con quelle
di un’altra (sesso transpecifico) e, dunque, raramente i geni possono muoversi fra una
specie e l’altra attraverso questi meccanismi. Tuttavia, i geni possono muoversi fra una
specie ed un’altra attraverso virus o altri parassiti (acari, ecc.) oppure durante l’intima
associazione che avviene fra organismi coinvolti in un rapporto simbiotico (ipotesi
endosimbiontica per spiegare l’origine della cellula eucariote oppure fra i Protisti
dinoflagellati, Peridinium balticum).
Questi fenomeni riguardano anche l’uomo: si calcola che il 7% del genoma umano
silente abbia questa origine.
Meccanismo
di
inserzione
del DNA
virale nel
DNA dell’
ospite
L’endosimbiosi, un meccanismo di
innovazione evolutiva
L’endosimbiosi, un meccanismo
usuale nel mondo degli organismi
Il caso di un protozoo
dinoflagellato, Peradi=
niun balticum, prodot=
to dalla endosimbiosi di
un dinoflagellato e di
un crisoflagellato.
IL CREAZIONISMO
MODERNO
Ancora oggi, specialmente in America, il
creazionismo scientifico tende ad inficiare la
valenza scientifica della teoria dell’
evoluzione, riducendola a semplice credenza,
da mettere sullo stesso piano del
creazionismo.
Viene sostenuto che l’evoluzione non è mai
stata osservata, che essa viola la seconda
legge della termodinamica, che non esistono
fossili che documentino stati di transizione
fra specie, che, infine, l’evoluzione è solo una
“teoria”, utilizzando il termine nel senso
deteriore di ipotesi non provata.
IL CREAZIONISMO
MODERNO: LE ORIGINI
L’INTELLIGENT DESIGN
L’INTELLIGENT
DESIGN
VA IN
TRIBUNALE
LA RELIGIONE E’
COMPATIBILE CON
L’EVOLUZIONE?
La posizione ufficiale di partenza della Chiesa
Cattolica è quella espressa nel 1950 da Pio
XII nell’enciclica Humani Generis: “Alcuni,
senza prudenza né discernimento,
ammettono e fanno valere per origine di tutte
le cose il sistema evoluzionistico…… Di
quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del
comunismo per farsi difensori e propagandisti
del loro materialismo dialettico e togliere
dalle menti ogni nozione di Dio.”
SCIENZA E FEDE SONO
COMPATIBILI?
• La Chiesa, almeno quella Cattolica Romana, ha ormai riconosciuto i suoi errori,
così come il teologo C. Molari (Pontificia Università Urbaniana di Roma)
sottolinea nel 1984 nel libro “Il Darwinismo nel pensiero scientifico
contemporaneo” (Guida Editore), tanto che l’attuale Santo Padre ha
recentemente dichiarato (ottobre 1996): “…E’ da sottolineare che la teoria
dell’evoluzionismo darwinista si è progressivamente imposta all’attenzione dei
ricercatori dopo una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La
convergenza, per nulla provocata o ricercata, dei risultati dei diversi lavori
condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce essa stessa un
argomento importante a favore di questa teoria.”
• Tuttavia, egli precisa:”Questa pluralità è dovuta, da una parte, alla diversità delle
spiegazioni che sono state proposte del meccanismo dell’evoluzione, e dall’altra,
alle diverse filosofie alle quali ci si riferisce. Esistono letture materialiste e
riduzioniste e delle letture spiritualiste. Le teorie che considerino lo spirito come
prodotto della materia sono evidentemente incompatibili…..”
LE ULTIME SVOLTE
LE ULTIME SVOLTE
SCIENZA E…POLITICA SONO
COMPATIBILI?

2004
DARWIN NELLA SCUOLA
ITALIANA
DARWIN
NELLA
SCUOLA
ITALIANA
BIBLIOGRAFIA
• www.darwinday.org
• www.aboutdarwin.com
• www.darwinfoundation.org
• www.eversincedarwin.org (italiano)
• www.darwinitalia.blogspot.com (italiano)
• www.talkorigins.org
• www.marcellosala.it (didattica)
• www.unipv.it/webbio/labweb/primantr/news/riformas
cuola.htm
• www.nap.edu/html/creationism/index.html
• Intelligent design. HA Orr. Le Scienze, ottobre 2005
• Darwin. Il genio fra passione e sofferenza. S Agostini.
Alpha test, 2004
ASPETTI DIDATTICI DELLA
PRESENTAZIONE
MODELLO DI UNITA’ DIDATTICA

1. Obiettivi

5. Verifica 2. Prerequisiti

4. Metodi 3. Contenuti
PREREQUISITI E
OBIETTIVI
OBIETTIVI DELLA
PRESENTAZIONE
Il tema:
E’ il più importante ed unificante concetto delle
scienze della natura.
Promuove l’interdisciplinarietà, in quanto
l’esposizione del concetto coinvolge diversi
aspetti del mondo naturale, quali la biologia,
l’ecologia, la geologia, la chimica, la fisica, ecc.
Rende consapevoli della storicità delle teorie
scientifiche e permette collegamenti con la storia
del pensiero umano.
Consapevolezza che la scienza sulla base di dati di
fatto sempre più precisi emette teorie
interpretative, ma che queste debbono essere
sottoposte a verifica e discussione.
OBIETTIVI DELLA
PRESENTAZIONE
Acquisizione del concetto di evoluzione per capire la
storia della vita.
Conoscere le tappe essenziali del pensiero
evoluzionistico, le teorie, gli autori, gli aspetti
salienti e gli eventuali difetti di ciascuna di esse.
Conoscere le prove a sostegno dell’evoluzione.
Comprendere l’importanza dell’ambiente e della
selezione naturale nel determinare il
cambiamento.
Conoscere i più recenti sviluppi della teoria
evoluzionistica e gli apporti delle varie discipline
per determinare i meccanismi del cambiamento
evolutivo.
STRUMENTI DIDATTICI
• Sempre più spesso viene adottato anche
nei libri di testo il metodo storico, cercando
di contestualizzare le idee (e le scoperte)
che vengono man mano definite nel tempo.
• Questo è utile perché fa capire come il
processo di acquisizione di idee innovative
sia profondamente integrato con il
pensiero sociale e filosofico (e scientifico-
tecnologioco) dell’epoca.
• Questo permette anche l’introduzione di
elementi discorsivi, che allargano i confini
culturali, ma allentano anche l’impegno
richiesto per l’acquisizione cognitiva di
certi argomenti “aridi” ed anche
concettualmente “difficili”.
DIFFERENZE FRA I METODI
PER LA 59 E LA 60
• Classe 59
Metodo storico più discorsivo, spiegando
le idee essenziali ed i ragionamenti da
fare per arrivare a quelle conclusioni.
· Classe 60
Metodo storico più analitico e
approfondito, insistendo sui collegamenti
con altre discipline e fornendo le
dimostrazioni sperimentali su quanto si
va spiegando.
OSTACOLI COGNITIVI
• Concetto fortemente “ideologico”. Possibile
contrasto fra idee religiose e scienza.
• Difficoltà a collegare teoria ed osservazioni.

Per questo è necessario:


• Chiarire bene quali sono i termini (anche dal
punto di vista della nomenclatura) del
problema senza evitare gli aspetti più
ideologici.
• Capire quali sono i punti scientifici in
discussione.
• Chiarire che la teoria interpreta i fatti reali.
EVITARE

MISCONCETTI
NOMENCLATURA
Evoluzione: processo di trasformazione degli
organismi, per cui le specie viventi derivano da
forme preesistenti.
Selezione naturale: insieme di meccanismi che
consentono ad alcuni individui di una popolazione
di riprodursi e di sopravvivere in maniera
differenziale rispetto alla generalità.
Popolazione: è l’unità di evoluzione, cioè un gruppo
di individui della stessa specie che vivono nello
stesso luogo con eguali probabilità di incrocio.
Microevoluzione: è l’evoluzione che produce al
massimo specie e sottospecie nuove.
Macroevoluzione: è l’evoluzione che ha come effetto
l’origine di nuovi piani organizzativi o, comunque,
delle alte categorie sistematiche.

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