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Mackay, 15/10
Introduzione al corso:
La lezioni di questo corso verranno dedicate specificatamente alla malattia del cancro,
è pertinente al mondo di oggi ed è una patologia complicata, prevede il
coinvolgimento di un ampio spettro di molecole il cui danno o cambiamento del ruolo
specifico è alla base dell’insorgenza della patologia. Prima di tuffarci dentro la
molecolarità del cancro, facciamo un’introduzione alla materia, tenendo conto della
storia della medicina e della biologia molecolare (grazie alla quale sappiamo ad oggi
che il cancro è considerata una “malattia dei geni”), illustrando quasi 200 anni nella
ricerca del DNA in maniera cronologica.
Storia introduttiva
- 1859 Charles Darwin Il primo a fare osservazioni sul meccanismo attraverso il quale
i caratteri possono essere trasmessi tra individui, con un ruolo fondamentale per
l’evoluzione della specie, fu Charles Darwin che nel 1859 pubblicò “L’origine della
specie” proponendo la teoria dell’evoluzione attraverso il processo di selezione
naturale. In questa teoria Darwin ha proposto che gli esseri viventi più adatti al loro
ambiente abbiano maggiore possibilità di sopravvivenza, e siano quindi in grado di
trasmettere alle generazioni successive le caratteristiche necessarie alla
sopravvivenza, portando così ad un cambiamento della specie graduale nel tempo.
- 1866 Gregor Mendel Poco dopo, il monaco agostiniano Mendel nel 1866 ha fatto
luce per primo sul modo in cui i caratteri vengono tramandati di generazione in
generazione. E’considerato il padre della genetica e ci sono voluti 30 anni per
accettare le sue teorie,come purtroppo spesso capita agli scienziati che si occupano
di questi meccanismi.
- Nel 1869 Friedrich Miesher fu la persona che identificò per la prima volta materiali
provenienti dal nucleo, che chiamò “nucleina”. Ha trovato questi materiali nei nuclei
di globuli bianchi , con insolite proprietà non proteiche, un alto contenuto di fosforo,
resistenza alla digestione delle proteasi. Furono da parte sua le prime identificazioni
di un materiale che noi sappiamo adesso essere riconducibile alla cromatina,
materiale composto da diverse sostanze, presente a livello nucleare. Ci sono voluti 50
anni perché la comunità scientifica apprezzasse il suo lavoro.
- 1887-90, Theodor Heinrich Boveri Ricercatore che è stato un po’ perso nella
letteratura, studiò il meccanismo dell’eredità, ha gettato le basi per la teoria
cromosomica dell’ereditarietà. E’ considerato il padre della citogenetica e descrisse
meticolosamente il comportamento dei cromosomi. Scoprì il centrosoma come un
organello particolarmente importante per il controllo dei movimenti cromosomali
durante la mitosi e meiosi e sulla base del quale ha fondato la base cromosomica
per il cancro. Sfortunatamente per lui e anche per noi morì prima della scoperta dei
geni. Egli infatti conosceva e analizzava i cromosomi, riuscì anche a capire che questi
immagazzinavano una quantità di materiale molto importante per l’organismo,
nonostante i geni vennero scoperti in seguito. Le sue teorie sulla formazione dei
tumori maligni andarono perse per quasi un secolo; sono state poi riidentificate e
plasmate sul modello teorico dello sviluppo e formazione di un tumore che vedremo
nelle prossime slide.
- 1900 il movimento eugenetico Le conoscenze sull’ereditarietà a livello
cromosomico vennero utilizzate per dare origine ad un movimento di “eugenetica”,
che utilizzava le teorie mendeliane per controllare “l’allevamento umano”
promuovendo l’idea che solo le persone con i migliori geni si potessero riprodurre e
migliorare la specie. Ovviamente adesso sappiamo che questo si trattava di vero e
proprio “razzismo scientifico”. E’stata una disciplina piena di supposizioni imprecise
e incoerenze che incoraggiavano il razzismo e l’odio, si diffuse soprattutto durante
la seconda guerra mondiale con gli orrori nazisti.
- 1902 Sir Archibal Edward Garrod associò la teoria mendeliana alla malattia umana,
studiando l’alcaptonurìa nelle famiglie. E’ una rara malattia metabolica genetica
caratterizzata dall’accumulo di acido omogentisico (acido 2,5-diidrossifenilacetico)
nel corpo, ha concluso che si trattava di una malattia recessiva ereditaria.
Rappresenta una pietra miliare nella comprensione delle basi molecolari delle
malattie ereditarie, da qui in poi si è andato sempre più a ricercare e dare peso alle
anomalie genetiche che continuano ad essere alla base di molte patologie.
- 1944 Oswald Avery identificò il DNA come il “principio trasformante” . A quel tempo
i geni erano considerati un’ unità discreta di informazioni ereditabili insieme agli
enzimi metabolici. Lavorava sul batterio che causava la polmonite e ha scoperto,
grazie ad un esperimento, che gli pneumococchi innocui mescolati con
pneumococchi letali divenivano presto letali anch’essi a causa del DNA che era
responsabile dell’ereditarietà. Durante questi processi non avevano le conoscenze
di base della biologia molecolare, ma ora si sa che i batteri hanno la possibilità non
solo di trasmettere geni verticali (= alle generazioni successive) attraverso la
replicazione batterica, ma possono anche scambiarsi geni fra di loro attraverso
diversi meccanismi.
- 1950 Erwin Chargaff Scopre che il DNA è specie specifico. Lavorando sulla chimica
degli acidi nucleici , ha determinato che il numero di unità di guanina era uguale a
quello delle unità di citosina e il numero di unità di timidina era uguale a quello delle
unità di adenina nel DNA a doppio filamento, da qui la “Regola di Chargaff” per
rispetto delle sue osservazioni. Ha anche determinato che la composizione del DNA
differiva tra la specie.
Passiamo poi verso osservazioni sulla struttura del DNA
- 1952 Rosalind Franklin usando la diffrazione dei raggi X, produsse 2 serie di
fotografie ad alta risoluzione del DNA da cui calcolò le dimensioni dei filamenti di
DNA e dedusse che i gruppi fosfato erano al di fuori di una probabile struttura
elicoidale.
- 1953 James Watson e Francis Crick, utilizzando dati a raggi X e la costruzione di modelli
hanno risolto il puzzle della struttura del DNA per il quale hanno ricevuto il premio
Nobel. I dati a raggi X utilizzati furono anche e soprattutto provenienti da Rosalind
Franklin che non ha ricevuto nessun premio per il suo lavoro alla base della struttura
del DNA e purtroppo è morta di un tumore poco dopo, nel 1959. E’stata effettivamente
messa da parte, come purtroppo accadeva spesso nell’epoca misogina degli anni ’50.
Grazie ai suoi studi ha aperto la porta a Watson e crick.
- 1959 ci fu il primo grande impatto della citogenetica sulla diagnosi della malattia, con
l’osservazione di una copia aggiuntiva del cromosoma 21 legata alla sindrome di Down.
Negli anni ’60 la colorazione giemsa dei cromosomi ha rivelato modelli di banding che
rendono possibile l’identificazione dei singolo cromosomi, base della diagnosi genetica
clinica precoce. Adesso si utilizzano diversi marcatori oltre a questo.
- 1965 Marshall Nirenberg analizzando l’ E-coli decifrò il codice genetico e determinò le
basi che costituivano i codoni, le tre basi responsabili durante la traduzione della
sequenza di amminoacidi. Per le sue scoperte fu insignito del premio Nobel.
- 1977 Frederick Sanger fece fare un passo in avanti con la capacità di sequenziare il
DNA in maniera molto più veloce grazie alla sua tecnica di sequenziamento rapido del
DNA. Partendo dal presupposto che le proteine sono molecole ordinate, ha dedotto
che anche il DNA doveva essere una molecola ordinata. La sua rivoluzionaria tecnica
di sequenziamento gli ha fatto vincere il premio Nobel nel 1980. Ci si stava muovendo
per la prima volta verso la capacità di “scrutinizzare” il DNA.
- 1983 La malattia di Hungtington è stata riconosciuta come una malattia genetica
legata al cromosoma 4, mappata utilizzando polimorfismi, il gene dell’hungtintina
venne poi isolato nel 1993. Progressi nell’identificare il malfunzionamento dei geni
alla base di patologie importanti.
- 1990 il primo gene associato alla suscettibilità al cancro al seno BRCA1 sul
cromosoma 17, poi BRCA2 sul cromosoma 13, mutazioni o delezioni che portano ad
accumuli di mutazioni e quindi al cancro, oltre che ad un aumentato rischio del cancro.
Sono momenti di grandi progressi in cui si analizzano e si identificano geni, ruolo dei
quali normalmente è di mantenere l’integrità del genoma e se vengono danneggiati
cominciano a facilitare errori nel genoma, in associazione con suscettibilità al cancro.
- 1990 nasce il progetto genoma umano, progettato per 15 anni, finalizzato al
sequenziamento dell’intero genoma umano di un individuo. Adesso dopo un’
ulteriore progressione tecnologica è possibile paragonare il genoma tra due individui
ma anche tra individui di specie diverse. Lo scopo era quello di identificare diversità.
Adesso è possibile sequenziare un genoma umano in pochi minuti, 4 o 5.
- 1996 primo animale clonato altro grande passo in avanti per quanto riguarda l’
utilizzo del DNA, clonazione della pecora Dolly che avevamo introdotto l’anno scorso.
E’stato facilitato con la conoscenza che il DNA contiene tutte le informazioni della vita.
La clonazione rappresenta la capacità di utilizzare e riprogrammare il DNA da una
cellula adulta e di fare sì che, una volta reimpiantato in una cellula uovo anucleata,
sia in grado di riformare un intero individuo proveniente ovviamente dagli stessi geni
che sono contenuti e sono stati qui riprogrammati. Non è stato facile. Dolly infatti è
stata clonata da una cellula adulta, fu l’unica su 277 a sopravvivere. Ha fatto inoltre
capire che anche la clonazione, anche di cellule adulte, può essere effettuata allo
scopo di creare nuovi individui.
- 1999 il primo cromosoma umano fu decodificato interamente, si trattava del
cromosoma 22, contenente 33,5 milioni di componenti. Ci si è resi conto della
grandissima quantità di atomi e molecole presenti nell’intero cromosoma che ha
dimensioni molto piccole, può essere infatti esclusivamente visualizzato solamente
durante la mitosi quando c’è condensazione dei cromosomi, visibile al microscopio. Il
22 è fra l’altro uno dei più piccoli tra i cromosomi.
- 2000 il codice genetico della drosophila è stato decodificato, contiene 13.601 geni
indipendenti, che è molto meno della quantità di proteine prodotte dall’organismo.
Nacque così un problema nelle menti dei biologi molecolari, come mai con così pochi
geni la drosophila può riuscire a produrre centinaia di migliaia di proteine? Questo
significava che la vecchia idea che un gene codifica per una proteina era sbagliata.
Sappiamo adesso infatti che i singoli geni possono codificare per tante e diverse
proteine, attraverso lo splicing alternativo, cioè la capacità di riorganizzare i “codici”
che codificano per proteine che sono chiamati esoni, eliminando i “codici” che non
codificano per amminoacidi o proteine, gli introni. lo splicing può formare diverse
composizioni esoniche allo scopo eventualmente di generare una grande diversità di
proteine. Infatti nella drosophila un singolo gene va a codificare per più di mille
proteine, quindi c’ è una capacità di un singolo gene di generare diverse proteine
tramite lo splicing alternativo degli esoni.
- 2002 il genoma di topo è stato decodificato e sono stati trovati approssimativamente
30.000 geni codificanti per proteine, stesso numero degli umani circa: i mammiferi
sono strettamente correlati per quanto riguarda la quantità di geni e anche per
quanto riguarda il funzionamento.
- 2003 il progetto sul genoma è stato completato sequenziando 2,8 miliardi di
nucleotidi, identificando 25.000 geni che codificano per proteine, geni simili con
funzioni simili trovati in specie diverse.
In meno di 200 anni dalla teoria dell’evoluzione di Darwin è notevole ciò che la
scienza ha raggiunto, un’ incredibile trasformazione di informazioni che non finisce
oggi.
Le ragioni includono ovviamente in primis una maggior durata della vita, ma non
dobbiamo dimenticare che l’inquinamento fa il suo effetto, più le popolazioni vivono
vicino a fonti di inquinamento, con agenti che danneggiano il DNA, più si rileva un’
aumentata casistica di tumori. Per esempio a Taranto l’inquinamento è associato a
molecole che mutano il DNA e non stranamente la casistica di tumori è aumentata.
Stesso destino per le persone che sono state direttamente coinvolte in radiazioni o
vivono vicino a fonti di radiazione come Chernobyl o Fukushima, la radiazione infatti
danneggia il DNA e non stranamente la quantità di tumori associati a questi individui
aumentano drammaticamente. Altro esempio ancora di aumentata frequenza di
insorgenza tumorale sono le persone con cute meno protetta dalla melanina che sono
emigrate in aree molto soleggiate come l’ Australia, quindi soggetti di carnagione
chiara subiscono gli effetti delle radiazioni in termini di quantità di tumori
drammaticamente aumentata in determinate sedi cutanee.
Il cancro comunque non stranamente solleva paura, perché non solo è una malattia
complessa in sé, ma anche le terapie che sono state sviluppate per tenerlo sotto
controllo e limitarne il più possibile i danni (chemioterapiche e radioterapiche) sono
toste, sono terapie mirate tradizionalmente ad uccidere cellule in divisione. Inoltre le
cellule dei tumori in divisione hanno anche una adattamento alla sopravvivenza
maggiore delle cellule normali, le quali subiscono un danno a livello del genoma.
Queste cellule quindi in determinate circostanze sopravvivono più delle cellule non
tumorali e i farmaci utilizzati contro le cellule tumorali comunque non risparmiano le
cellule normali in divisione. Per questo motivo i cicli chemioterapici sono tosti e
devono essere fatti in maniera appunto ciclica, con un occhio di riguardo sugli effetti
collaterali di uccisione delle cellule che normalmente sono quelle necessarie a
ripristinare elementi cellulari dell’organismo, per esempio le cellule staminali del
sangue in continua proliferazione a livello del midollo osseo, oppure i centri di
replicazione epiteliali anch’essi uccisi se la terapia è effettuata in maniera “generica”.
Ci si rende quindi conto che è una battaglia complessa in termini terapeutici con una
patologia molto complessa, che continua a sollevare paura. Ma non è tutto “doom
and gloom” perché ci sono tanti progressi molto importanti basati su nuove terapie,
che mirano a mantenere le cellule sane funzionanti, riducendo drammaticamente allo
stesso tempo la nocività del tumore. Comunque nel 2015 ci sono stati 14 milioni di
nuovi tumori nel mondo, con 8.8 milioni di morti, circa il 15% dei decessi totali nel
mondo. Fra 2008 e 2012 il cancro del seno è aumentato del 20%, con un aumento del
14% della mortalità correlato alla forma metastatica. Nel mondo si stimano 23.6
milioni di nuovi casi di cancro ogni anno entro il 2030 ed è anche previsto che nel
futuro prossimo ad una persona su due verrà diagnosticato un cancro. Questa
complessa patologia però sta diventando, è ad oggi e diventerà una delle più
importanti e studiate a causa della sua complessità e delle terapie ad essa associate.
Terminologia
Il tumore è la crescita di tessuto relativamente autonoma, alterata ereditariamente
(in seguito a danni che avvengono a livello genomico). Si tratta di una crescita
incontrollata di cellule somatiche, generalmente di tipo monoclonale (ovvero una
cellula che ha subito alterazioni genetiche che de-regolano proliferazione,
differenziamento e sopravvivenza, trasmette queste alterazioni alla progenie).
Il termine “crescita incontrollata” indica che il numero (e non la velocità di divisione,
che può anche essere diminuita!) delle cellule in proliferazione (frazione di crescita)
è aumentato notevolmente: vengono generate molte più cellule rispetto a quelle che
muoiono, in un dato tempo. Infatti gli esami diagnostici, mettono in evidenza anche
il tasso di proliferazione come riferimento rispetto alla gravità del tumore; questi
indici sono rilevati per mezzo di marcatori specifici, e sono utili anche dal punto di
vista terapeutico. Se il tasso di proliferazione è pari, per esempio, al 40% è più
probabile che il tumore risponda al farmaco; viceversa se si ha una frazione di
proliferazione dell’1%.
La trasformazione di una cellula da normale a cancerogena è dovuta all’alterazione
dei normali meccanismi di regolazione del ciclo cellulare a proposito della
sopravvivenza e della morte cellulare programmata, ovvero i geni coinvolti nella
crescita, differenziamento e sopravvivenza della cellula: distinguiamo (in forma
normale) geni proto-oncogeni, che se danneggiati producono proteine abnormi
definite oncogeni (possono indurre la formazione di tumori) e oncosoppressori, che
sopprimono la formazione di tumori producendo apposite proteine.
Tumore e neoplasia hanno lo stesso significato e si riferiscono sia a condizioni benigne
che maligne.
La grandezza di un tumore non è correlata alla gravità! Per esempio i melanomi sono
molto piccoli, ma decisamente maligni.
• Tumore = tumefazione, considera l’aspetto microscopico. È una massa rilevata
sul sito anatomico di origine.
• Neoplasia = neoformazione, ovvero cellule neoformate non esistenti prima.
• Cancro = tumore maligno.
• Metastasi = (da meta=al di là e stasi=stato, posizione) cambiamento di sede di
una materia morbosa, ovvero la distribuzione delle masse tumorali dalla sede
di origine ad altre sedi dell’organismo. Infatti i tumori possono accrescersi
anche nel parenchima di organi non di origine; è la forma più grave.
Il tumore sta diventando una delle malattie più importanti considerando che una
persona su due durante la sua vita avrà diagnosi di tumore. Tuttavia, negli ultimi anni, ci
sono stati alcuni importanti miglioramenti in quest’ambito. Riprendiamo il discorso
della scorsa lezione continuando ad analizzare questi miglioramenti.
Adesso c’è anche la possibilità di usare biopsie liquide (nelle vecchie procedure si
usavano quelle solide), sono state sviluppate nuove tecnologie per purificare cellule
tumorali o DNA tumorale circolanti nei pazienti oncologici. Queste cellule sono
importanti perché rappresentano, secondo molte teorie, le cellule che con più
probabilità andranno a formare metastasi. Quindi, la novità è che attraverso la
purificazione, per esempio, di un 50 ml di sangue preso da un paziente avremo un
monitoraggio più accurato della malattia tramite le tecniche di NGS (next generation
sequencing). Queste tecniche hanno velocizzato la capacità di avere informazioni a
livello del DNA, utili per rivelare cambiamenti nel carico tumorale e mutazioni associate
a resistenza alla terapia o anche alla progressione metastatica, importanti per la
decisione terapeutica di seconda e anche terza linea che possono essere utilizzate tra I
farmaci che sono in campo. (Le strategie terapeutiche per i tumori in prima linea sono
standardizzate, esistono dei protocolli che ad oggi possono essere anche elaborati da
siti, soprattutto americani ma utilizzati a livello globale, in cui inserendo diagnosi e
stadio del tumore riceviamo I protocolli aggiornati per quel tipo di tumore.)
Inoltre, un miglioramento nella conoscenza dei meccanismi attraverso i quali i tumori
progrediscono è dato dall’ identificazione di dipendenza o non dipendenza oncogenica
che è importante per la terapia mirata. Infatti vi sono tumori in cui i meccanismi
oncogenici dipendono direttamente dal ruolo dell’oncogene e tumori in cui i
meccanismi oncogenici non dipendono direttamente dal ruolo dell’oncogene e
coinvolgono meccanismi di stress. Per cui si può scegliere, in base a questa dipendenza
o non-dipendenza, la terapia adeguata. Un esempio di ciò è il recente utilizzo di un
farmaco contro una serie di oncogeni provenienti dalla fusione fra recettori tirosin
chinasici con altri geni (quindi uno dei meccanismi oncogenici coinvolge rottura e
risaldamento del dna in modo che geni nuovi vengono formati): una serie di studi ha
identificato nuovi oncogeni dalla fusione fra trk, un recettore per fattore di crescita
neuronale, e altri geni. In quel contesto è stato rivelato che i tumori dipendono da
queste fusioni quindi inibire l’attività di questi oncogeni può essere di importanza
terapeutica. Infatti tra gli inibitori degli oncogeni trk, che sono tirosin chinasi, un ottimo
farmaco è Larotrectinib che agisce in un range di tumori molto diversi che portano
oncogeni di natura trk-fusione perché questi tumori sono quasi sempre oncogene-
dipendenti (l’oncogene è quello che direttamente promuove il comportamento
oncogenico del tumore quindi la sua inibizione va direttamente ad avere un effetto in
termini di risposta alla terapia mentre altri tumori progrediscono usufruendo di
meccanismi che non dipendono direttamente dall’attività dell’oncogene ma
indirettamente dal danno causato dallo stress cellulare e quindi un’ inibizione diretta
dell’oncogene non necessariamente funziona in questo contesto).
L’analisi del dna per mutazioni cancro associate con l’identificazione di geni difettivi
nelle cellule tumorali nel sangue (biopsia liquida) e analisi di SNPs sono importanti per
conoscere quali sono le condizioni che possono predisporre a tumore e quali sono i
danni che si associano ai tumori una volta che si formano. Quindi, ciò fa si che ci sia un
miglioramento generale nell’istruzione con la capacità di prevenire determinate cose.
Un esempio dell’importanza dell’analisi degli SNPSs: se ci sono SNPs a livello dei
citocromi p450, che sono enzimi detossificanti che lavorano a livello del fegato a
diverse velocità, tali enzimi saranno più pigri nello svolgere la loro funzione per cui per
il soggetto è meglio stare alla larga da determinati agenti tossici che possono essere
ingeriti. In un soggetto in cui non ci sono SNPs, invece, gli enzimi lavorano più
velocemente per cui egli è meno a rischio di effetti tossici o nocivi. Questo tipo di
polimorfismi danno un aumentato rischio a tumore e sono coinvolti nella distribuzione
di cancro in popolazioni e anche in risposte individuali di persone a terapie quindi
rimane un’area importantissima per analizzare il dna e sicuramente nel futuro sarà
sempre più richiesta una documentazione degli SNPs individuali che sarà utilizzata per
stimare il rischio che ciascun individuo ha in determinate condizioni ambientali.
Introduzione di una nuova metodologia che permette l’ablazione del tumore tramite
il riscaldamento di microparticelle in oro. I tumori che uccidono sono principalmente
quelli che danno metastasi (cellule che lasciano le sedi primitive e vanno a colonizzare il
parenchima di organi distanti). Tali tumori hanno accumulato una serie di mutazioni che
li rendono particolarmente difficili da uccidere con la chemioterapia tradizionale poiché
diventano instabili e vengono selezionate sottopopolazioni resistenti alla terapia.
Questa nuova metodologia potrebbe offrire la possibilità di un trattamento più efficace
in questi casi, poiché non usufruisce dei classici agenti chemioterapici. Jennifer West e
Naomi Halas sfruttando le loro conoscenze sull’ infiammazione (perché determinate
caratteristiche dell’infiammazione si trovano anche a livello tumorale) e delle vecchie
tecnologie usate per identificare molecole che identificano vasi permeabili (ovvero
l’inoculazione di piccole particelle di carbonio, di inchiostro, nell’animale endovena
permetteva di identificare letti vascolari permeabili, di identificare i mediatori della
permeabilità vascolare) hanno pensato di usare nanoparticelle di oro, che sono in grado
fra l’altro di essere scaldate tramite laser, e inocularle in animali con tumori osservando
che quest’inoculazione andava a localizzare il letto vascolare permeabile del tumore.
Quindi, in seguito, usufruendo di una luce laser potevano effettuare l’ablazione del
tumore attraverso il riscaldamento delle particelle (in pratica, hanno cotto i tumori).
Questo aggira il problema della resistenza terapeutica perché ovviamente non c’è una
resistenza al riscaldamento (si raggiungevano 56-60° nella sede del tumore) e aggira
anche il problema delle metastasi grazie all’eliminazione di tutti i maggiori
oncosoppressori che sono quelli che rendono le cellule tumorali impossibili da uccidere
quando raggiungono uno stadio molto avanzato.
Quindi, lui con una scansione TAC illustrava questi punti focali che
invece non sono altro che artefatti.
L’avanzamento sul fronte delle terapie antitumorali è basato sul fatto che man mano
che la ricerca avanzava è stato possibile analizzare in maniera sempre più molecolare le
condizioni associate alla trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale e
come quelle cellule tumorali all’inizio acquisiscono I cambiamenti fenotipici che vanno a
creare la possibilità di progressioni verso la tappa ultima, cioè la formazione di
metastasi.
Il cancro e la sua progressione sono caratterizzati da dieci segni cardinali che sono resi
tali grazie a cambiamenti molecolari specifici:
1. Proliferazione incontrollata;
2. Angiogenesi;
3. Resistenza all’apoptosi;
4. Immortalità;
5. Blocco dei geni oncosoppressori;
6. Metastasi;
7. Infiammazione;
8. Metabolismo riprogrammato;
9. Evasione della difesa immunitaria;
10.Instabilità genomica.
Prima di trattare questi segni andiamo ad illustrare un’ importante osservazione fatta
da Theodore Boveri, padre della citogenetica, fece un’osservazione che è stata persa
per quasi 100 anni e poi ripresa, ciò che dedusse adesso è considerato un meccanismo
importante nella formazione di tumori maligni. Theodore Boveri fu zoologo e padre
dell’ ipotesi dell’eredità cromosomica dipendente, morto prima della scoperta dei geni.
Studiava la fecondazione dei ricci di mare, proprio questi animali perché erano
organismi che ben si prestavano allo studio del comportamento cromosomico in
condizioni di fertilizzazioni submicroscopiche. Studiava il comportamento cromosomico
in diverse sedi: mitosi, meiosi, e i movimenti tipici dei cromosomi durante la divisione.
Centrosomi molteplici sono alla base di poliploidie o aneuploidie che correlano con
insorgenza del cancro
Theodore Boveri fu anche il primo a scoprire un incredibile organello necessario per la
divisione cromosomica durante meiosi e mitosi: il centrosoma. Sappiamo che la cellula
uovo matura possiede tutti gli elementi necessari per lo sviluppo, ad esclusione di un
“centro di divisione attivo”, il centriolo. Infatti durante il processo di formazione, il
centriolo scompare. E’ presente anche nello spermatozoo, dove viene utilizzato per il
movimento, a livello del flagello. Durante la fecondazione si è osservato che è lo
spermatozoo a depositare il centriolo nella cellula uovo fecondata, in cui questo
organello viene a mancare. Il centriolo presente nello spermatozoo si duplica, diviene
un “centrosoma” e cambia anche funzione. Il centrosoma quindi deriva dal centriolo
proprio dello spermatozoo, è un importantissimo organello alla base della funzionalità
cellulare.
Il centrosoma, in una cellula diploide non patologica, è quindi composto da due
centrioli, che risiedono in una matrice, una massa amorfa di oltre 100 proteine peri-
centriolari, preposte alla formazione, demolizione e organizzazione dei microtubuli
nella cellula. Queste proteine contengono numerosissime chinasi e fosfatasi, enzimi
che regolano fosforilazioni e defosforilazioni di substrati proteici che sono responsabili
del cambiamento di funzionalità del centrosoma in determinate fasi cellulari. Regolano
quindi l’attività del centrosoma e la sua duplicazione. Infatti in mitosi o meiosi ci sono
due centrosomi che regolano a loro volta la formazione del fuso mitotico. Il centrosoma
è solo uno durante l’interfase o in G0, quando la cellula non si sta replicando; in fase S
invece, nel momento di replicazione cellulare, abbiamo la replicazione anche del
centrosoma, avremo quindi complessivamente due centrosomi. A quel punto può
formare i bipoli di un fuso mitotico che è fondamentale per “pescare” accuratamente i
cromosomi duplicati durante la replicazione del DNA. Quando è sia in interfase o in G0
sia nelle cellule in proliferazione, il centrosoma agisce come uno dei più importanti
centri organizzativi dei microtubuli, infatti prende il nome di “microtubule organizing
centre”, MTOC.
Le funzioni degli MTOC sono molteplici. Innanzitutto quella di nucleare i microtubuli
che sono composti da polimeri di alpha e beta tubulina, importanti per la morfologia
cellulare complessiva e fondamentali per la distribuzione di organelli intracellulari, i
quali infatti vengono direzionati ad occupare uno spazio intracellulare specifico proprio
dai microtubuli che si comportano come “binari molecolari” per proteine motrici. Le
proteine motrici a loro volta, legandosi a molecole e organelli, li veicolano, facendo sì
che un determinato organello si trovi in una specifica posizione all’interno della cellula.
Durante la mitosi e la meiosi è utile per la formazione del fuso mitotico bipolare, che
rappresenta la struttura necessaria per la separazione accurata dei cromosomi, in modo
tale che ciascuna cellula figlia erediti un singolo centrosoma. Importante poi per l’
assemblaggio, il funzionamento e l’ integrazione del reticolo endoplasmatico e dell’
apparato di Golgi. Responsabile della formazione del fuso mitotico bi-polare, la
separazione accurata dei cromosomi e l’eredità di un centrosoma da ciascuna cellula
figlie.
Theodore Boveri, studiando la fertilizzazione aberrante di ricci di mare, ha creato un’
ipotesi sulla formazione di tumori maligni, senza nemmeno aver analizzato vere cellule
tumorali in nessun organismo. Avanzò l’ipotesi che l’instabilità genetica causata
dall’amplificazione dei centrosomi risultasse nella tetraploidia, poliploidia o anche
nell’aneuploidia cromosomica, cambiamenti che erano alla base della formazione di
tumori maligni, in grado di mantenere le cellule in proliferazione senza che andassero
incontro ad un differenziamento. Osservò direttamente la mal fecondazione, fenomeno
per cui due o tre spermatozoi per sbaglio fecondano una cellula uovo, depositando
quindi un numero superiore alla norma di centrioli che di conseguenza danno origine
ad un maggior numero di centrosomi nel contesto della cellula uovo mal fecondata. A
quel punto gli embrioni o non si formavano o, se le cellule non morivano, cominciavano
a proliferare in modo incontrollato, senza differenziare, senza quindi il fine ultimo di
formare un tessuto specifico di un individuo. Infatti osservando questi embrioni ha
evidenziato che oltre alla fertilizzazione aberrante, un semplice trauma poteva anche
promuovere la formazione di cellule diploidi o tetraploidi senza andare incontro allo
sviluppo embrionale. Inoltre manipolando il numero di cromosomi ha osservato che ne
bastavano 4 (sui 16 complessivi dei ricci di mare) per la proliferazione delle cellule
embrionali in vitro, senza una differenziazione embrionale. Ha quindi anche affermato
che la vita può essere mantenuta con pochi cromosomi. Nei suoi disegni illustrava che
quando sono presenti molteplici poli nelle cellule, ci può essere un cambiamento nella
distribuzione dei cromosomi. In particolari circostanze poi le cellule non si potevano
dividere in mitosi ma collassavano in una condizione che lui stesso chiamò “mitosi
collassata”, diventavano quindi tetraploidi o poliploidi a seconda del numero di
spermatozoi aberranti. Solo occasionalmente andavano a formare correttamente
centrosomi, riscontrando numerosissimi centrosomi che fungevano come un “semi
bipolo”. Dalla formazione di un fuso mitotico andavano poi a separare i cromosomi in
una maniera errata, ha così osservato cellule con caratteristiche di aneuploidia quindi
un corredo cromosomico aberrante per cui si può avere un cromosoma in più o in
meno; o di poliploidia, una moltiplicazione del corredo cromosomico globale.
Nelle cellule tumorali non assistiamo quindi alla presenza di due centrosomi, come in
una cellula in mitosi o meiosi, ma a molteplici centrosomi, almeno 6: diversi poli
centrosomici e una cromatina divisa fra i diversi centrosomi. Molti tumori aggressivi
esibiscono amplificazioni centrosomiche, per cui non riescono a legare accuratamente i
cromosomi. I meccanismi attraverso i quali le amplificazioni centrosomiche inducono un
tumore sono in fase di studio, sicuramente sappiamo grazie a Boveri che si associano ai
tumori e rendono le cellule tumorali instabili a livello cromosomico.
Fattori di crescita
Ci sono tanti fattori di crescita con caratteristiche in comune. Sono proteine presenti a
bassissime concentrazioni nei tessuti normali, con un’elevata attività biologica. Sono
responsabili del controllo delle funzioni essenziali all’interno della cellula, che
includono non solo la crescita in termini di proliferazione, ma anche la specializzazione,
quindi il differenziamento. E’ anche importante per la sopravvivenza, perché durante la
proliferazione, quando le cellule di un tessuto si staccano da altre cellule intorno a
queste e hanno un appoggio molto pericoloso sulle loro matrice, diventano tonde e
diventano in teoria molto potenzialmente danneggiabili, quindi parallelamente alle
segnalazioni di proliferazione, spesso i fattori di crescita inducono, mentre la cellula sta
proliferando, replicando il dna, distruggendo la membrana nucleare, formando il fuso
mitotico, inducono l’espressione di geni di sopravvivenza rendendo quindi la
sopravvivenza importante per la proliferazione. Proliferazione e sopravvivenza vanno
ovviamente mano nella mano.
Come segnalano? Agiscono localmente vicino alle cellule da cui sono prodotte. Siamo
animali multicellulari, e come tali le cellule devono comunicare tra loro, in modo da
poter agire in modo coordinato in risposta al microambiente. La base di queste
comunicazioni proviene dalla segnalazione cellulare, che rappresenta un assortimento
di fattori di crescita nel microambiente , aspetto più importante che regola il
comportamento della cellula. I fattori di crescita esercitano i loro effetti andandosi a
legare a recettori proteici sulla superficie della
cellula. Ogni fattore di crescita ha il proprio
recettore. Il legame del fattore di crescita al
suo recettore specifico innesca una reazione di
fosforilazione all’interno della cellula. La
fosforilazione o l’ aggiunta di un gruppo
fosfato ad una molecola proteica, è un passo
importante nella segnalazione cellulare.
C’è quindi un insieme di molecole,
conseguente al legame con il recettore, che
comporta segnali di fosforilazione che a loro
modo fanno sì che si scateni una reazione
progressiva. La fosforilazione è un passo fondamentale nella regolazione della loro
attività, gli enzimi che aggiungono i gruppi fosfato alle proteine sono conosciuti come
chinasi e gli enzimi che eliminano i fosfati sono noti come fosfatasi. L’estremità esterna
extracellulare dal recettore porta il suo sito di legame del fattore di crescita e l’altra
estremità che si proietta all’interno della cellula porta un sito di chinasi. Abbiamo quindi
recezione fuori e una chinasi dentro.
Il legame dei fattori di crescita attiva la chinasi sull’ estremità interna, cambiamento di
conformazione che facilita l’interazione che attiva un sito catalitico, che aggiunge gruppi
fosfato ad altre proteine all’interno della cellula, attivando le proteine a valle,
innescando una cascata di segnalazione che finisce infine con l’attivazione di geni che
portano alla crescita cellulare, specializzazione o sopravvivenza. Qui abbiamo segnato
proteine, fosfati, che eventualmente fanno sì che attivino fattori trascrizionali, legano
dna per trascrizione genica di geni che funzionano a promuovere questi cambiamenti
nel comportamento cellulare. E’ abbastanza complicato, ovviamente la descrizione che
abbiamo fatto è estremamente semplificata, in realtà non è un percorso lineare ma è
una rete intricata di segnalazione, con proteine promiscue, da molti percorsi diversi. In
questo contesto poi è ulteriormente complicato perché la cellula non deve mai essere
vista come una sacca di fluido, ma di compartimenti, dipende dove si trovano i
recettori, in quale contesto, quali sono i substrati contenuti nelle particolari regioni di
membrana che possono essere effettivamente fosforilati e come possono interagire,
quindi ha a che fare con la localizzazione dei componenti.
ONCOGENI
Gli agenti pro-tumorali agiscono sempre a livello del DNA: i tumori dipendono da
alterazioni genetiche; le alterazioni pertanto possono essere trasmesse alla progenie.
Possiamo considerare il fenotipo maligno dei tumori come una proprietà ereditaria da
cellula a cellula.
Fu Boveri il padre della citogenetica, che per primo descrisse l’ipotesi secondo cui alla
base delle trasformazioni vi fossero mutazioni a carico delle cellule somatiche.
Ciclo virale
· Il virus lega proteine di membrana della cellula ospite: in questo modo può
fondersi con la membrana e quindi attraversarla;
· Il genoma virale è in forma di mRNA: induce la trascrizione di geni che codificano
per la trascrittasi inversa (virale) potendo convertirsi in DNA a doppia elica pro-
virale;
· Il DNA pro-virale può quindi essere inserito nel genoma per mezzo delle
integrasi;
· Attraverso le RNA polimerasi della cellula ospite, il virus può riformare RNA virali
in numerose copie;
· In ultimo, la cellula può andare incontro a lisi oppure ricorrere ad altri
meccanismi che le permettano di liberare virioni.
Oncogenicità
· Proto-infezione il genoma virale, attraverso la trascrittasi inversa, è stato
modificato in DNA pro-virale che può depositarsi nel genoma cellulare; questo
avviene in prossimità del gene C-ONC (C proto-oncogene) che si occupa della
proliferazione nell’ambito della cascata di trasduzione del segnale;
· Il genoma virale durante la replicazione cattura questo gene e, secondo
meccanismi ancora non del tutto chiariti, lo imballa nel suo proprio genoma: la
fusione del genoma virale e di quello cellulare comporta la formazione di nuove
onco-proteine virali simili a quelle normali ma con funzionalità abnormi;
· Infezione trasformante si producono così pseudo-virus contenenti il gene (ora
definito V-ONC), con proprietà trasformanti, ma non in grado di replicare.
Trasduzione virale
Modello 2
Sulla scorta di questi due modelli, alcuni retrovirus contengono un gene in più mentre
altri sostituiscono un gene virale con un oncogene:
I V-ONC elencati originano tutti come C-ONC per cui è possibile osservarne la
controparte nelle cellule degli animali infettati con il virus in questione.
Inserzione virale
Esistono retrovirus cis attivanti (ovvero senza oncogeni) che inseriscono il DNA pro-
virale nel genoma ospite vicino ad un proto-oncogene, attivando quest’ultimo. Questo
comporta l’espressione abnorme (fuori luogo, fuori tempo -ovvero alcuni geni vengono
attivati/disattivati in momenti non opportuni- o fuori quantità), mediata dal promotore
virale, di geni posti in prossimità del punto di inserzione dello stesso.
I protoncogeni attivati tramite questo processo includono:
C-ONC RETROVIRUS TUMORE SPECIE
c-myc ALV o REV, MuLV, Linfomi Pollo, topo, gatto
FeLV
c-erbB ALV Eritroblastosi Pollo
c-myb Abelson, MuLV Leucemia Topo
c-fms MuLV di Friend Leucemia Topo
Punti importanti.
Sono stati identificati geni identici ad oncogeni virali nel DNA delle cellule normali.
Bishop e Varmus hanno identificato oncogeni virali di origini cellulari, quindi i v-onc
originano dai c-proto-onc. Questa scoperta è avvenuta anche perché la sequenza che
loro hanno identificato nel v-src è stata utilizzata in saggi di ibridizzazioni: utilizzando
dna a singolo filamento e una sequenza presente in v-src marcata con radioisotopi
avveniva l’ibridizzazione con i c-proto-onc del dna. Ovviamente la differenza che Bishop
e Varmus hanno osservato fra un v-onc e c-proto-onc è la mancanza nel v-onc di
sequenze introniche che nel genoma nel c-proto-onc sono presenti perché i geni
presenti nella cromatina dell’ospite sono organizzati in modo diverso e sono introni che
vengono eliminati con lo splicing durante il processo di maturazione dell’mRNA
proveniente da tali geni. Quindi, loro hanno evidenziato la mancanza di introni nel V e
la presenza degli stessi nella controparte c-proto-onc a livello del DNA dell’ospite e
hanno dedotto che ovviamente il c-proto-onc è stato rubato, ha subito splicing e una
volta maturato è stato incorporato nel retrovirus.
Sequenze trasformanti del genoma virale sono state trasdotte o catturate dal virus e
hanno acquisito la capacità di trasformare cellule in coltura o di causare neoplasie in
animali.
Le sequenze trasformanti dei retrovirus, chiamati oncogeni virali o v-onc, sono utilizzate
per identificare geni identici nel DNA di cellule normali tramite ibridizzazione.
Le sequenze omologhe nelle cellule normali sono altamente conservate
nell’evoluzione, ma non sono in grado di trasformare, sono geni normali, e sono quindi
proto-oncogeni cellulari o c-proto-onc.
I c-proto-onc devono subire danno al DNA per diventare oncogeni, tramite un processo
di attivazione. Quindi, nel contesto del retrovirus il danno è ovvio, sono rubati, fusi con
il retrovirus, cambiati ulteriormente con piccole delezioni e mutazioni (perché il virus
anche durante la replicazione del materiale non esibisce un grande livello di proof-
reading quindi se inserisce cambiamenti a livello di sequenze non le corregge, per cui ci
sarà un aumento di danno di potenziale attivazioni).
Nel caso in cui non c’è un virus a causare il tumore, esso può esser causato da
danneggiamento dovuto a radiazioni uv, diversi agenti cancerogeni. Quindi, l’attivazione
dei c-proto-onc ad oncogeni avverà attraverso il loro danneggiamento e una volta
danneggiati possono acquisire la capacità di trasformare cellule normali. Questo, nel
contesto genetico, è considerato come un danno dominante perché richiede la
mutazione (danneggiamento) di un solo allele del c-proto-onc.
I meccanismi attraverso i quali i geni possono essere attivati in oncogeni includono:
trasduzione virale (con cattura e sequestro e sovversione del c-proto-onc nel genoma
retrovirale), l’integrazione virale (dove gli elementi che promuovono trascrizione
possono indurre un’errata produzione anche di geni normali, fuori tempo, fuori
concentrazione, fuori luogo), mutazioni puntiformi (attraverso un cambiamento
nucleotidico si può alterare il funzionamento della proteina), inserzione o delezione
genica (se eliminano o alterano domini della proteina importanti per regolare
l’attivazione e lo spegnimento); amplificazione genica (possibilità attraverso
un’aberrazione nel numero di centrosomi che c’è una possinilità di avere di più o di
meno cromosomi attraverso poliploidie e aneuploidie secondarie); traslocazioni
cromosomiche ( determinate sequenze altamente ripetute rappresentano strutture
che possono essere facilmente rotte e quindi poi la cellula come metodo per
“aggiustare” il DNA andrà ad effettuare un risaldamento, ma c’è la possibilità che
questo avvenga in maniera errata) e formazione di nuove proteine chimeriche
(attraverso la formazione di geni ottenuti dal risaldamento che prima non esistevano).
Identificazione degli oncogeni. Più o meno allo stesso tempo sono stati isolati oncogeni
dai tumori umani non provenienti da virus: oltre 20 v-onc identificati nei retrovirus e
diversi c-onc identificati da DNA tumorale. Per farlo sono state utilizzate 3 tecniche:
• Trasfezione di DNA tumorale nelle cellule normali (solitamente di topo);
• Analisi delle sequenze di DNA prossime alle inserzioni di virus oncogeni di tipo
cronico;
• Caratterizzazione delle modificazioni cromosomiali associate con alcuni tumori
(analizzando le giunzioni cambiate a causa del risaldamento cromosomico).
La tecnica di trasfezione dimostra che DNA può essere introdotto in altre cellule
(traslocazione). Usa le cellule tumorali umane coltivate in vitro, effettua la purificazione
del DNA cellulare. Si procede poi con l’isolamento del DNA ad alto peso molecolare, la
frammentazione del DNA e la precipitazione con fosfato di calcio. Segue la trasfezione
di tale DNA tumorale nelle cellule murine NIH3T3. Le cellule coltivate trasformate a
questo punto cominciano a formare focolai di cellule diverse dalle altre, cellule atipiche
(trasfettanti primari). La ripetizione di questa procedura altre due volte usando i
trasfettanti primari poi secondari e terziari, è stata utilizzata per purificare da singole
cellule trasformate il DNA che ha causato il loro cambiamento. Attraverso la tecnica del
southern blotting, usando come sonde sequenze ALU (sequenza specifica che identifica
la specie umana) , è stato possibile identificare, nel genoma che ha trasformato le
cellule NH3T3, il DNA proveniente dal topo e quello dal tumore. Isolando e
sequenziando poi il DNA umano sono stati identificati i geni a causa dei quali avveniva
la trasformazione.
NB: L’amplificazione del DNA da analizzare è resa possibile dalla creazione di una
libreria di fagi con virus che contengono tutti i dna provenienti da cellule trasfettate,
Libreria di fago che può essere utilizzata su una piastra di batteri per purificare e
amplificare il DNA del fago con lo scopo di identificare i geni umani presenti nel fago
che è stato in grado di lisare i batteri. Il batteriofago è scelto per la sua facilità nella lisi
di batteri e nella creazione di piccole placche contenenti DNA (Dna quindi proveniente
da un batterio infettato con un fago contenente diversi pezzi di DNA proveniente dalle
cellule trasformate) che possono essere facilmente trasferite su una carta. Poi si utilizza
la sonda ALU.
Questa procedura è stata usata molto spesso per identificare geni provenienti da
tumori o cellule tumorali umane potenzialmente oncogeniche.
Riassumendo:
• mutazioni nella regione codificante:
- cambiamento amminoacido (attivazione dominio dipendente)
- introduzione di un codone di stop TAA, TAG, TGA (attivazione aberrante-
proteina tronca)
- nessun cambiamento (3° posizione detta “wobble”)
• mutazione nel promotore/enhancer:
- cambiamento nella velocità di trascrizione (splicing/attivazione)
- introduzione di un nuovo sito di trascrizione (espressione fuori tempo, luogo e/
o quantità aumentata)
- eliminazione di un sito di inibizione trascrizionale (fuori tempo,luogo e/o
quantità aumentata)
• mutazione alle giunzioni di splicing:
- inclusione o esclusione di esoni
- aberrante inclusione di sequenza intronica (attivazione, rilocalizzazione)
• mutazione nel 3’ UTR :
-introduzione o eliminazione di siti di legame per microRNA (fuori tempo, luogo
e/o quantità aumentata)
La traslocazione genica è dovuta ad uno strappo nel dna che può introdurre il
trasporto di un cromosoma su di un altro che va sotto il nome di traslocazione
reciproca o sullo stesso cromosoma, traslocazione semplice. Sono coinvolti siti
fragili, ad esempio il point cluster regionbcr 22q12, il quale è continuamente
strappato o risaldato.
Durante l’evoluzione dei mammiferi sono stati depositati nel genoma dei
genomi virali che con la loro azione di spostarsi e replicarsi hanno aumentato il
genoma, ad uso positivo per l’organismo.
I geni vengono sottomessi in seguito ad una traslocazione sotto il controllo di un
promotore straniero e ciò comporta un cambiamento nella sua espressione.
Di seguito nella tabella troviamo gli esempi dei geni attivati in seguito traslocazione:
LOXO-101 o VITRAKVI è un
farmaco approvato dalla FDA il
26/11/2018 per tumori
pediatrici e adulti solidi allo
stadio avanzato guidati da
fusioni Trk oncogeni, che sono
metastatiche o in cui la
chirurgia può provocare gravi
morbilità e che non hanno
trattamenti alternativi o che
hanno progredito dopo il
trattamento precedente.
Questo è un trattamento
orale con pochi effetti
collaterali importanti. LOXO-
101 è un inibitore orale
dell’autofosforilazione Trk-
dipendente, ha una IC50 a
basso nanomolare, inibisce il
98% dell’attività chinasica del
Trk e raggiunge
concentrazioni plasmatiche
massime entro 30-60 minuti.
Questo farmaco induce delle risposte di lunga durata e delle risposte complete in
adolescenti e adulti con tumori Trk oncogene associati a bassa tossicità.
Il rilevamento delle fusioni Trk deve essere considerato nei pazienti quando si
determinano le opzioni di trattamento sistemico, specialmente nel contesto di
recidiva. Il farmaco mostra attività contro oncogeni TrkA attivati dalla delezione.
Ad oggi, si spera di estendere l’uso di LOXO-101 per tumori che esprimono
l’oncoproteina TrkAIII (come neuroblastomi, Merkel cell carcinomi e melanomi).
- fps/fes (cromosoma 15): è l’omologo di v-fes del virus del sarcoma di Fujinami,
è attivato in seguito a traslocazione con la formazione di una proteina chimera
o mutazioni che inibiscono l’aggancio alla membrana plasmatica osservate nella
leucemia promielocitica acuta
STRUTTURA DEI RECETTORI TIROSINA-CHINASI NON RECETTORIALI
I recettori tirosina-chinasi non recettoriali, in particolare la famiglia SCR,
presentano dei domini diversi:
1. terminale NH-2 specifica
per l’acido miristolico che
può formare un legame con
la membrana plasmatica.
Quindi, una volta attivato,
può essere agganciato alla
membrana plasmatica
2. regione ad alta variabilità
che riconosce specifiche
proteine bersaglio
3. e 4. dominio maggiore,
costituito da circa 460
aminoacidi. Presenta
due sottodomini
(regione di
omologia e dominio responsabile dell’attività chinasica)
5. dominio terminale COOH, modula l’attività basale chinasi. La fosforilazione da
parte di csk ne inibisce l’attività.
c-Src
è una tirosina chinasi non recettoriale. Presenta tre domini:
- due domini Src homology (SH) chiamati SH2 e SH3
- un dominio chinasi
SH2 e SH3 legano
proteine in modo fosfo-
dipendente. Questi
domini interagiscono con
altre proteine e,
attraverso il
cambiamento dello stato
di fosforilazione,
controllano l’attivazione
(quando sono fosforilate
possono legarsi a
proteine) e
l’inattivazione.
Il residuo Y527 non viene fosforilato da c-Src (quindi non è un substrato che può
essere autofosforilato) ma viene fosforilato da chinasi esogene come Chk e Csk e
viene defosforilato da fosfatasi PTP12α, PTP1β e SHIP-1
Quando Y527 è fosforilato, c-Src viene inattivato questo perché può interagire con
il dominio SH2 complessando la proteina, mentre la fosforilazione di Y527 attiva c-
Src perché libera il Binding Pocket.
Gli sbilanciamenti che possono esserci tra fosforilazione e defosforilazione
possono portare ad un’attività anomala.
Il c-Src una volta che viene fosforilato e attivato non può più essere
disattivato. Quindi c-Src continua a indurre la proliferazione.
CLASSE 4: PROTEINE-G
Sono proteine associate alla membrana il cui nome “G” è dato dal legame con il
GTP/GDP. Queste proteine oscillano tra uno stato attivo in cui sono legate a GTP e
inattivo in cui sono legate a GDP.
Questi due stati (proteina+GDP/proteina+GTP) sono dovuti a delle proteine
accessorie che includono fattori, chiamati GEF, che facilitano la conversione
GDP/GTP e fattori attivanti, chiamati GAP, che facilitano la transizione GTP/GDP.
PROTEINE G ETEROTRIMERICHE
Sono una classe importante di proteine presenti nei tumori. Queste proteine
agiscono come intermediari tra recettori ormonali ed enzimi effettori. Inoltre,
regolano il metabolismo delle molecole in risposta a segnali ormonali.
Dopo il legame recettore-ormone, il GDP viene sostituito nella sua unità Gα
da GTP, questo promuove la dissociazione in GTP-Gα e Gβ/γ.
Le subunità Gβ/γ mostrano delle attività stimolatorie e inibitorie sull’adenilato
ciclasi, un enzima fondamentale per la formazione del segnalatore AMP-ciclico.
GTP-Gα lega adenilato ciclasi e catalizza la conversione di ATP in cAMP e
pirofosfato, inducendo un segnale c-AMP dipendente.
Le proteine G eterotrimeriche regolano effettori come gli enzimi che
producono messaggeri secondari e canali ionici che controllano flussi ionici
attraverso le membrane.
In seguito, GTP-Gα viene convertita in GDP-Gα, si dissocia dall’adenilato ciclasi e
si riassocia con Gβ/γ.
Ci sono 20 isoforme di α, 5 isoforme di β e 12 di γ, quindi possono esserci
diverse associazioni eterotrimeriche a seconda dell’isoforma.
Possono esserci delle mutazioni nei codoni 201 e 227 di Gsα o 175 e 205 di G2α
che si associano con adenocarcinomi endocrini.
Qui, si può fare un’associazione con la tossina del colera perché lega recettore e
attiva la proteina G responsabile della risposta patologica. Successivamente, per
mezzo dell’adenilato ciclasi, viene attivata c-AMP che altera (attraverso la proteina
chinaci C) flussi ionici a livello intestinale. Questo
è alla base della perdita osmotica dei fluidi dell’epitelio che è caratteristico della
diarrea associata con la patologia Colera
CLASSE 5: SERINA/TREONINA-CHINASI CITOPLASMATICHE
In questa famiglia sono incluse le proteine RAF (le abbiamo già viste in relazione
alle proteine G perché fungono da substrato per Ras).
• c-Raf (cromosoma 3): è l’omologo di v-raf. È coinvolto nel tumore delle
parotidi tramite traslocazione (3;8), nel carcinoma dello
stomaco e nel glioblastoma.
Aumentano la protezione
contro l’apoptosi tramite bd2
(inibitore delle vie apoptotiche
intrinseche
• c-mos (cromosoma 8): è
l’omologo del v-mos del virus
Moloney della leucemia delle
scimmie
• c-pim (cromosoma 6): è
implicato nelle leucemie murine
ed umane. È attivato dalla sovra
espressione senza traslocazione
e amplificazione genica
Dipendenza oncogenica
Essendo necessario avere un danno a livello degli oncogeni e anche la perdita degli
oncosoppressori in termini di terapia è importante capire cosa fa l’oncogene attivato
nel contesto del genoma entro il quale è stato attivato. Infatti è stato introdotto il
concetto che gli oncogeni possono dare dipendenza o anche un meccanismo
chiamato non dipendenza, quindi quando sono attivati gli oncogeni la dipendenza è
stata caratterizzata da Bernard Weisteiner nel 2006 come effetto che alcuni tumori
dipendono da un singolo oncogene o via oncogenica (mostrato nella capacità
terapeutica di inibire molto i tumori guidati dalla fusione di Trk, ma è stato anche
osservato in altri contesti dove oncogeni come Myc e Ras sono stati attivati modelli
in vivo e in vitro) quindi l’identificazione a inibizione di oncogeni che sono guidatori
o vie oncogeniche possono avere un successo nella clinica, quindi identificando la
strada se è importante e bloccandolo può avere un effetto drammatico come è stato
visualizzato con (parola incomprensibile) e altri farmaci in altre sedi in altri tumori
come leucemia cronica mielogenica con Bcl-Abl , Erb2 nel carcinoma alla mammella
per il quale ci sono inibitori specifici e Trk fusioni in una vasta gamma di tumori
solidi.
In questo contesto gli oncogeni possono riprogrammare delle cellule tumorali
causando una “geentic streamlining”, inattivando vie non richieste causando iper-
dipendenza su questo stato.
Possono diventare “sinteticamente letali” con la morte quando l’oncogene viene
inattivato per esempio l’inattivazione del EGRF-mutata che induce la morte nella
presenza della fosfatasi PTEN nel genoma in cui si trova il gene attivato.
Possono riprogrammare le cellule con segnali sia di sopravvivenza e di morti, con la
morte inducibile quando i segnali di pro-sopravvivenza decadono più velocemente
di quelli apoptotici.
NON DIPENDENZA ONCOGENICA
C’è però un’altra via però di non dipendenza oncogenica che è stato descritto con
l’attivazione oncogenica che causa cambiamenti secondari stressando le cellule che
rispondono attivando meccanismi di stress resistenza alla base dei quali riescono a
formare i tumori.
Le proteine coinvolte sono essenziali ma non direttamente coinvolti nella
proliferazione tumorale. Possono essere bersagliati causando la morte. Quindi
riconoscere i meccanismi è molto utile perché tali oncogeni inducono uno scudo di
resistenza che può aprire la porta ad ulteriori terapie di bloccare quei meccanismi di
resistenza. Per esempio i recettori per i fattori di crescita epiteliali EGFR è critico per
la patogenesi di gliobastloma e iper-attivazione di EGFR produce ROS causando
danno al DNA. Le cellule tumorali attivano e selezionano meccanismi di riparo del
DNA che promuovano la sopravvivenza invece di uccidere la cellula. È stato trovato
che l’inibizione dei meccanismi di riparo del DNA promuove la morte delle cellule
offrendo la possibilità di una terapia alternativa bloccando i meccanismi di riparo in
quel contesto. Quindi la non-dipendenza oncogenica offre uno spettro più largo di
opzioni terapeutici quando i meccanismi di stress coinvolti nella sopravvivenza
riescono ad essere identificati.
Ci sono anche complicazioni di oncogeni che possono avere entrambi i meccanismi
però si deve veder se vengono identificati i meccanismi attraverso i quali gli
oncogeni inducono una non-dipendenza e ciò potrebbe aprire una porta terapeutico
attraverso il blocco del meccanismo di stress attivato in quel conteso. Quindi gli
adattamenti allo stress sono ben studiati e possono essere inattivati promuovendo
le cellule tumorali.
Patologia molecolare 2 12/11/2020
Scoperta degli oncosoppressori. Gli oncosoppressori sono gli inibitori della genesi del
tumore. Nella lezione precedente abbiamo parlato un po’ dei cambiamenti richiesti per
bloccare la segnalazione quindi la proliferazione (bloccare il ciclo cellulare) bloccando
l’azione della proteina del retinoblastoma. Comunque, l’inizio della caratterizzazione
degli oncosoppressori avvenne un po’ dopo la scoperta degli oncogeni, dovuta anche al
fortuito utilizzo di modelli che già si presentavano con alcuni oncosoppressori
danneggiati. In particolare, le cellule NH3T3 utilizzate per identificare oncogeni in vitro,
attraverso l’induzione della crescita atipica, già presentavano danno a livello del DNA
che le rendeva immortali in vitro. Normalmente, in cellule che non sono immortali in
vitro, la presenza degli oncosoppressori in teoria è sufficiente a bloccare la
proliferazione dovuta ad una attivazione oncogenica perché le cellule con un corredo
completo di oncosoppressori possono riconoscere il danno o lo stress a livello delle
cellule attivando geni oncosoppressori che hanno come scopo quello di bloccare la
replicazione delle cellule, limitando così la possibilità che esse vadano a dividersi e
passino il danno alle cellule figlie.
È stato visto che la crescita di cellule murine tumorali in animali singenici veniva
soppressa se le cellule maligne venivano fuse con le cellule normali, suggerendo quindi
che il materiale nelle cellule normali se introdotto in cellule tumorali può sopprimere la
loro capacità di generare il tumore. Inoltre, è stato anche osservato che i fenotipi
maligni di cellule in coltura provenienti da tumori ogni tanto venivano soppressi dopo
lunghi periodi di propagazione e la loro ricomparsa avveniva in seguito alla perdita di
cromosomi. In seguito, ricercatori come Stanbridge si dedicarono all’identificazione dei
cromosomi in grado di sopprimere i fenotipi neoplastici delle linee tumorali.
In basso vediamo elencati alcuni dei cromosomi che sono stati separati e utilizzati
attraverso transfezioni per cambiare il fenotipo maligno di alcune linee tumorali. Come
si vede, effetti soppressivi sono stati identificati in associazione con cromosomi 11 nelle
linee tumorali provenienti dal tumore della cervice uterina (HeLa). Invece altri
cromsomi non avevano alcun effetto. Insomma questo ha dimostrato che determinati
cromosomi contengono materiale genetico in grado di sopprimere il fenotipo
neoplastico in determinate linee.
Teoria “Two Hit”. Un grande passo in avanti nel campo degli oncosoppressori fu la
messa a punto della Teoria dei 2 colpi da parte di Alfred Knudson negli anni ‘70, sulla
base della quale lui ha creato un saggio per evidenziare loci genetici che
potenzialmente contenevano oncosoppressori.
Knudson ipotizzò che fossero necessarie due mutazioni genetiche per formare i tumori,
ed ha evidenziato il secondo tipo di mutazione come un danno recessivo al DNA che
apriva la porta alla trasformazione. Un danno definito recessivo perché entrambi gli
alleli devono essere coinvolti per eliminare completamente la capacità della cellula di
generare la proteina oncosoppressore (la mutazione dominante invece dipende dal
cambiamento di un singolo allele ed è quella che colpisce ed attiva gli oncogeni).
Insomma, egli ipotizzò che ci sono geni la cui funzione deve essere abrogata per aprire
la porta ad una proliferazione oncogene dipendente e questi geni li chiamò
oncosoppressori. Questi contrastano l’oncogene e se funzionano bene riconoscono il
danno oncogenico e lo stress promosso nelle cellule e va a bloccare il ciclo cellulare
rendendo impossibile la trasmissione del danno oncogenico alla progenie. I due “colpi”
subiti dagli alleli dell’oncosoppressore sono:
• 1°colpo-mutazione in una copia dell’oncosoppressore che non promuove la
trasformazione (eterozigosi)
• 2°colpo-elimina l’altro allele dell’oncosoppressore (avviene tramite
delezioni,ricombinazioni, mutazioni). A queusto punto la capacità funzionale è
abrogata e c’è la promozione della trasformazione.
Per confermare questa ipotesi Knudson studiò tumori ereditari, familiari, dei quali
individuò gli oncosoppressori grazie ad un saggio LOH (Loss of Heterozygosity; perdita
dell’eterozigosi). Usando marcatori di eterozigosi lui paragonava le cellule normali
provenienti dal sangue dell’individuo con le cellule tumorali dello stesso. La LOH nel
materiale genetico delle cellule tumorali indicava in quello delle cellule normali
potenziali loci oncosoppressori. Man mano che la ricerca andava avanti venivano
individuati i geni in tali loci e le loro funzioni come oncosoppressori. Analizzando nel
saggio LOH i loci danneggiati che predispongono alla formazione di tumori (in
condizioni, quindi, di familiarità) sono stati individuati importanti oncosoppressori come
pRb (proteina del retinoblastoma), p53 ed APC (adenomatous polyposis coli).
Danno recessivo a livello del DNA. È richiesto per inattivare gli oncosoppressori.
Ad esempio, se solo un allele è mutato nella pRb la produzione della proteina normale
continua grazie all’allele intatto. La proteina prodotta continuerà a legare E2F e potrà
così controllare il ciclo cellulare. Se entrambi gli alleli sono mutati non viene prodotta la
proteina funzionale, non c’è legame con E2F e la crescita continua incontrollata.
Mutazioni o delezioni degli oncosoppressori sono spesso trovate nelle linee germinali
associate a sindromi ereditarie che predispongono allo sviluppo di tumori specifici.
Mutazioni o delezioni negli stessi geni sono inoltre trovate nei tumori sporadici.
Attraverso di tumori ereditari e gli stessi tumori sporadici sono stati identificati tanti
oncosoppressori, alcuni dei quali troviamo elencati sotto.
APC, Beta-catenina e Wnt. Wnt (wingless-related integration site, pronuncia del prof.
“wint”) è un gene, osservato in origine in drosophila wingless, fondamentale nello
sviluppo degli organismi. Si tratta di una famiglia di fattori di crescita, per i mammiferi
costituita da 19 diversi geni, che regolano lo sviluppo embrionale attraverso la
produzione di fattori di crescita Wnt che si legano al recettore “Frizzled” (anche questo
nome si riferisce ai drosophila in cui fu scoperto). Il pathway di segnalazione
Wnt/Frizzled è altamente conservato e di fondamentale importanza nello sviluppo
embrionale, in particolare del cuore. Wnt legandosi ai recettori Frizzled regola la
crescita cellulare, la motilità e la differenziazione durante lo sviluppo embrionale. La sua
importanza la rende una via di segnalazione che se non funziona correttamente gioca
un ruolo nel cancro. La beta-catenina è fondamentale nella regolazione della
segnalazione Wnt ed è regolata dalla degradazione.
In uno stato inattivo (senza Wnt) la beta-
catenina è legata e regolata da un grande
complesso proteico citosolico che contiene:
axina, casein kinase 1 (CK1), glycogen synthase
kinase (GSK3), APC, dishevelled (Dvl), beta-
TrCP (beta-transducin repeat containing cioè
un E3 ubiquitin ligasi). Questo è un complesso
di distruzione, in quanto, come vediamo in
figura, porta alla fosforilazione della beta-
catenina, alla sua ubiquitinazione da parte di
beta-TrCP e alla sua degradazione tramite
proteasoma. La beta-catenina viene così mantenuta a bassi livelli.
Beta-catenina una volta che si accumula può traslocare nel nucleo perché contiene
sequenze nucleotraslocatorie. A quel punto interagisce con un fattore trascrizionale
TCF. Questo, in assenza di Wnt, si trova nel nucleo ed è mantenuto inattivo dal legame
con la proteina Groucho
(complesso inibitorio per il
legame al DNA). Il fattore TCF è
il vero protagonista nelle
segnalazioni Wnt dipendenti
perché quando si sgancia da
Groucho si lega alla beta-
catenina e facilita la
trascrizione di geni bersaglio di
Wnt. La beta-catenina entra nel nucleo, rimuove Groucho dal TCF, lega il TCF e co-attiva
la trascrizione mediata da TCF dei geni target di Wnt, portando alla crescita, alla
formazione dei microtubuli e alla migrazione. APC quando è mutato (è sufficiente la
perdita del dominio carbossilico) non può prendere parte al complesso di
degradazione, stabilizzando la beta-catenina, e di conseguenza c’è l’inibizione
dell’ubiquitinazione della beta-catenina anche in assenza di Wnt. Aumenta così il livello
di beta-catenina e si attiva la trascrizione dei geni bersaglio di Wnt senza la necessità di
Wnt. Quindi, riassumendo, la perdita dell’oncosoppressore ACP promuove un evento
proliferativo e , ad esempio attraverso c-myc, la progressione tumorale.
Aggiungiamo che : il danno può esser dato da UVA, radiazioni, agenti genotossici,
forcelle di replicazione bloccate. Questo fa formare complessi importanti per il riparo,
meccanismo chiamato NHEJ (non homologous end joining). I complessi che si formano
attivano chinasi come CHK2 e CHK1, anch’esse responsabili dell’inattivazione di membri
della famiglia di oncoproteine src attraverso il dominio 527 tyr che blocca l’attività .
Quindi non solo abbiamo l’attivazione di p53 ma anche il blocco dell’attivazione di
proteine che promuovono la proliferazione (come quelle della famiglia src).
E’ un fattore transcrizionale il p53 in essenza, che promuove l’arresto del ciclo cellulare
dell’apoptosi. Wt-p53 lega in condizioni normali non danneggiato, una proteina
chiamata Mdm2 (mouse double minute 2)minibendo l’attivita trascrizionale e
promuovendo la degradazione di p53 attraverso la ubitiquinizazione. In seguito al
danno al DNA, il p53 diventa fosforilato, dissoce da mdm2 e poi promuove l’arresto
della proliferazione e l’apoptosi. Avviene la perdita’ di p53, impedisce l’apoptosi e
favorisce la proliferazione abnorme. E’ quindi l’accumulo di mutazioni. Alcuni dei geni
attivati da p53 nel suo comportamento trascrizionale,includono geni dal DNA riparo:
GADD45, poi l’arresto del ciclo: p21WAF1, regolazione di p53: mdm2, e infine geni
coinvolti nell’apoptosi: Bax, IGF-BP3, Fas, DR5. ( gli ultimi due sono protagonisti nella via
estrinseca dell’apoptosi. Mentre Bax nella via intrinseca, quello che viene
prolimerizzato allo scopo di perforare la membrana mitocondriale.)
Abbiamo altre vie attraverso cui puo funzionare p53: peptdyl-prolyl isomerase. Puo
essere utilizzato ad acquisire la sua funzionalita’. P53 e’ un po strano come un fattore
trascrizionale, perche e’ fra i pochi che agisce come un tetramero. E’ un importante
comportamento che aiuta a spiegare dei momenti in cui il p53 puo mancare delle
funzionalita’ anche se uno dei due alleli, e’ mutato. Questo dipende dalla formazione
dei tetrameri. Ovviamente se un allele e’ danneggiato non nel dominio responsabile per
la tetramerizzazione, uno puo formare tetrameri contenenti proteine wild type e
proteine mutati di mancato funzionalita’. E questo per tanto tempo non e’ stato
realizzato, pero sono state sempre queste possibilita’ che possono mancare di
funionalita’ con un singolo mutazione di un allele. E infatti questo e’ uno delle
condizioni attraverso quali un singolo mutazione in un allele puo anche compromettere
l’attivazione.
Non stranamente la maggior parte delle mutazioni che colpiscono la p53, che sono
riscontrati tumori solidi? coinvolgono il core dominio, il quale e’ responsabile per il
legame al DNA. Questo e’ un dominio neccessario per la trascrizione genica.
Poi ci stanno i virus che mostrano meccanismi inibitori dell’attivita’ di p53. Abbiamo gia
parlato di papilloma virus, la proteina del quale lega e blocca l’attivita’ di p53. Anche le
proteine che provengono dal Epatite C bloccano l’attivita’ di p53. Riescono a degradare
la p53 rendendola inattiva.
Oncosoppressore p14ARF:
· E’ attivato da stimoli mitogeni mediati dagli oncogeni ma non dal danno al DNA o
da mitosi fisiologica.
· Il gene NF2 e’ stato isolato nel 1993, ed e’ localizzato sul braccio lungo del cr 22.
Oncosoppressore Wt-1:
· 3 loci genetiche. E’ localizzato sul braccio del cromosoma 11, posizione 11p13-15.
La delezione del 11p15 sembra di coinvolgere IGF-2 e C-Ha-ras
· Identificato tramite LOH del braccio lungo del Cr 18 (regione: 18q21- 18qter) nel
carcinoma del colon
E-CADERINA:
Altri meccanismi che si usano per inattivare i geni oncosoppressori, attraverso le loro
silenziamento, che viene indotto dalla metilazione di isole CpG da parte di enzimi come
Metiltrasferasi. I geni CpG sono frequentemente trovati nei promotori di geni sensibili e
ovviamente devono essere repressi quando vengono metilizzati, bloccando la
trascrizione. Perche hanno la capcita’ nella rna polimerasi ad interagire con i promotori
e quindi non possono essere trascritti quando sono ipermetalizzati. Allora abbiamo
come esempio i geni RASSF1A, VHL e TIMP-3 che vengono silenziati da CpG metilazione.
I siti di metilazione CpG sono concentrati vicino al promotore. La metilazione (5
metilcitidine) puo bloccare il reclutamento del complesso RNA Pol II e legami con fattori
trascrizionali come: AP-2, Myc, CREB, E2F, NF-kB o facilitare legami con le proteine
MeCP-2, MBD1-4 occupando siti trascrizionali.
Mentre RASSF1A (Ras associated domain containing protein 1A) stabilizza I microtubuli
e mantiene la stabilita’ genomica interagendo con il centrosoma. Modula i ciclo
cellulare al G1/S “checkpoint” regolando l’espressione delle cicline A2 e D1. Promuove
l’arresto mitotico in pro-metafase e l’apoptosi. Inibisce anche la motilita’ ed invasivita’
delle cellule tumorali.
>50% dei geni per miRNA vengono posizionate in siti genomici associati a Neoplasie
maligne o vicino a siti fragili. Agiscono potenzialmente sia come oncogeni che onco-
sopressori regolando negativamente l’espressione di oncogeni o onco-soppressori. Una
centinaia di miRNA sono stati identificati oltre 90% dei quali sono conservati fra le
specie, suggerendo suscettibilita’ a piccoli cambiamenti e sottoposti ad una
straordinaria pressione di selezione.
Come si formano i micro RNA? Sono espressi nel nucleo attraverso RNA pol II come
trascritti lunghi primari di RNA (Pri-RNA).
Ovviamente ci stanno dei polimorfismi nei siti genici di legame per i miRNA e possono
alterare l’espressione genica. Es. mir24-mRNA polimorfismo si trova nel gene
diidrofolato riduttase. Promuove cosi la resistenza al metotraxato *(chemoterapeutico).
Qui abbiamo la prova che un singolo polimorfismo puo cambiare la sensitivita’ in
individui per il chemoterapeutico(tipo il metotraxato). I miRNA sono tra l’altro dei
regolatori dei geni “master”. Sono in grado di regolare il ciclo cellulare, la proliferazione
delle cellule, l’apoptosi, il differenziamento e lo sviluppo. Rappresenta quindi una
novita’ nel mondo della espressione genica. Al livello del ciclo cellulare il miRNA e’
indotto dal fattore trascrizionale E2F. in contrasto alle proteine indotte dal E2F che
stimolano il ciclo, mantengono i livelli dei regolatori del ciclo cellulare e bersagli di E2F
bassi (es. ciclina E). questi miRNA quindi regolano il ciclo cellulare.
Il miRNA nello sviluppo: praticamente l’utilizzo del pesce zebra si usa molto
ultimamente, nel campo della biologia e della ricerca di basi delle medicine. Questo
perche offre la possibilita’ di utilizzare un animale che puo essere esperimentato in
maniera bilogica velocemente. Praticamente, con l’enzima “DICER” mutata ed inattiva
(DICERMZ) non producono miRNA maturi e non si sviluppano normalmente. I miRNA
esogeni ripristinano lo sviluppo. miR-430 esogeno ripristina lo sviluppo del cervello nei
Zebrafish DICER MZ.
Esempi di miRNA importanti nei progressioni tumorali includono il miRNA 145 *come
gene sopressore metastatico. Questo gene si localizza nel cromosoma 5 (5q32-33).
Rappresenta un sito fragile deleto in 11% dei carcinomi sporadici della mammella
suggerendo un meccanismo per la sottoregolazione di miRNA 145 in alcuni tumori. La
sua espressione viene indotta dal p53. L’espressione di miRNA 145 e’ bassa in numerosi
tumori. (es. tumori della mammella, colon, prostata, polmone, fegato, vescica, cellule B,
ovario e ipofisi).
Progressione tumorale: allora il miRNA-145 ha come uno dei suoi bersagli l’oncogene
Myc inibendo quindi non solo l’espressione di Myc ma anche l’espressione di geni Myc-
dipendenti (perche Myc e’ un fattore trascrizionale) coinvolti nella progressione
tumorale. MiRNA-145 inibisce l’angiogenesi abrogando la migrazione dei periciti,
inibendo l’espressione del fattore trascrizionale Fli-1. Inibisce anche l’espressione dei
geni metastatici come: MUC-1, MMP-11 e ADAM-17 coinvolti nel processo metastatico
dei tumori della mammella.
Anche i microRNA sono importanti nelle cellule tumorali staminali, rappresentano una
popolazione che mano mano viene sempre selezionato e esibiscono un
comportamento piu aggressivo nei tumori. Vengono selezionati in diversi ambienti e
attraverso diversi meccanismi. L’espressione di microRNA Hsa mir 371-373 sopprime la
differenziazione promuovendo un fenotipo staminale nelle cellule tumorali.
L’espressione del HERV-H, un RNA non-codificante, puo sequestrare miRNA pro-
differenziazione nelle cellule tumorali promuovendo la staminalita’. Quindi qui abbiamo
meccanismi di sequestrazione di miRNA, con rna lungo che non codifica, giocano ruoli
importanti sottratando i microRNA attraverso saturazioni legando a RNA in
abbondanza, con funzionalita’ normale, quindi promuovendo la staminalita’ .
Patologia Molecolare II Mackay (Lezione 19/11)
Sbobinatore: Piero Filopoulos
Revisore: Alice Marozzi
INTRODUZIONE
Nella lezione precedente è fatto un riferimento ad alcuni MiRNA che sono un nuovo concetto nella regolazione
dell’espressione genica. Attraverso geni specifici, vengono prodotte molecole di MiRNA, invece di proteina.
I Mi-RNA possono essere fondamentali nella regolazione della traduzione proteica, grazie alla loro capacità di
legare nucleotidi complementari nella regione 3’ non tradotta del filamento DNA. Più specificamente, queste
molecole hanno l’abilità di bloccare la capacità dei ribosomi di:
➢ leggere l’mRNA;
➢ tradurre l’mRNA in una proteina;
➢ indurre la degradazione del mRNA.
Mi-RNA-9 come un gene metastatico
• Il MiRNA-9 inibisce l’espressione dell’oncosoppressore E-Caderina. Passa la produzione di questi importanti
fattori di adesione di natura omeo-tipica, aumentando la capacità delle cellule tumorali di lasciare la sede
primitiva. Così, le cellule tumorali si attaccano alle cellule intorno, aumentando la motilità e l’invasività
cellulare;
• Inoltre, il MiRNA-9 aumenta l’espressione del mitogeno endoteliale VEGF. Il VEGF è un fattore determinato
a produrre un’angiogenesi promuovendo la mio-vascolarizzazione dei letti tumorali in una maniera E-
Caderina e b-catenina dipendente. Aumenta l’angiogenesi e quindi la capacità metastatica tumorale in
modelli sperimentali;
• L’inibizione dell’espressione MiRNA-9 riduce il processo metastatico in modelli metastatici;
• L’inibizione dell’espressione del MiRNA-9 è indotta dai geni pro-metastatici che includono i fattori di
trascrizionali Myc ed MycN (sono frequentemente attivati in associazioni con aggressività tumorale in
fenotipi metastatici).
MiRNA-9 e cellule tumorali staminali
I MiRNA giocano un ruolo importante anche nella staminalità tumorale. Dentro i tumori si trovano i MiRNA,
sottopopolazioni di natura “stamina-like”. Questo significa che iniziano ad avere un fenotipo più vicino alle
cellule staminali. Infatti, sono in grado di replicarsi per conto loro, di rinnovare la popolazione, ma anche di dare
luogo a popolazioni staminali ed altri popolazioni (attraverso una divisione asimmetrica: le due cellule figlie
diventano una staminale ed un’altra in grado di cambiare un po’ lo stato di differenziamento). Questo si associa
frequentemente con tumori di etero-genici: i tumori mai o raramente mostrano un singolo fenotipo, sono
invece etero-genici (possono contenere diversi fenotipi).
miRNA 371-373
• L’espressione miRNA Hsa mir 371-373 sopprime la differenziazione promuovendo un fenotipo
staminale nelle cellule tumorali;
• Ci sono prodotti di RNA nei retrovirus endogeni, in particolare HERV-H, che produce un grande RNA
non codificante. Questa specifica molecola di RNA rappresenta un 5% dei messaggi del mRNA
contenuto nelle cellule staminali. Si pensa sia una sorta di spugna che sequestra il miRNA, che è una
pre-differenziazione nelle cellule tumorali ed anche staminali, promuovendo un fenotipo staminale.
Quindi, ci sono diversi meccanismi che possono essere indotti durante il percorso tumorale. Essi formano una
nicchia entro la quale cellule staminali o più staminal-like rappresentano una sottopopolazione dentro ciascun
tumore transitorio (si chiamano transitori perchè possono differenziarsi e poi ritornare ad essere più staminal-
like attraverso meccanismi non ben conosciuti).
Però, quando arrivano a questo stadio diventano cellule difficili da uccidere, perché entrano in uno stato G0
quiescente, aspettando un segnale di proliferazione. Di conseguenza, queste cellule diventano una popolazione
a parte, che non risponde a terapie antitumorali, il cui compito è quello di bersagliere cellule in proliferazione.
Le popolazioni resistenti possono essere indotte a formare tumori che entrano in uno stato di differenziamento
parziale e forniscono diversi fenotipi, anche pro-metastatici.
Quindi, la staminalità nei tumori è un importante concetto e la ricerca è concentrata ad analizzare:
• i meccanismi attraverso i quali la staminalità arriva
• i marcatori
• gli ipotetici bersagli terapeutici: utilizzando questi bersagli si può eradicare cellule staminal-like, invece
di far sì che sopravvivano (cioè che si ripresentino in popolazioni colpevoli relapse, tumori ricorrenti
post-terapeutici [ndr: relapse= ricaduta, recidiva])
La macchina apoptotica può essere suddivisa in due grandi categorie: Regolatori ed Effettori.
I regolatori si occupano di monitorare il microambiente interno ed esterno alla cellula, decidendo così se quella
cellula deve continuare a vivere o se deve morire (anomalie includono danni al DNA, segnalazione di squilibrio
causato dall’attivazione degli oncogeni, la mancanza o l’insufficienza di fattori di crescita). In base alle condizioni del
microambiente si occupano poi di stabilire la via da intraprendere: l’apoptosi può infatti verificarsi attraverso
• Un percorso intrinseco, proveniente dall’interno della cellula
• Un percorso estrinseco, proveniente dall’esterno della cellula
È chiaro quindi che questi fattori sono dei punti cruciali per la prevenzione al cancro: anche in questo caso è tutta
una questione di equilibrio fra meccanismi pro-apoptosi e anti-apoptosi.
• Le cellule tumorali possono anche produrre eccessive quantità delle proteine anti-apoptosi, Bcl-2, Bcl-XL e
Mcl-1 o possono produrre meno delle proteine pro-apoptosi Bax e Bak.
• Possono anche cortocircuitare il percorso apoptotico, alterando le componenti che associano e regolano
l’attivazione dei recettori della morte estrinseca. I tumori più aggressivi hanno spesso mutazioni di entrambi
Retinoblastoma e P53 ed esibiscono una rapida crescita con livelli estremamente bassi di apoptosi ed
estremamente alti di divisione. Sono i tumori che formano metastasi più frequentemente.
Quindi, le cellule tumorali inattivano le macchine di morte ed evadono dell’apoptosi, che rappresenta una violazione
fondamentale della difesa anticancro.
Meccanismi che hanno a che fare con la via estrinseca in sedi tumorali
Questo è l’esempio di un forte meccanismo pro-apoptosi.
• TRAIL: Tumor Nercrosis Factor Related Apoptosis Inducing Ligand
• Apoptosi delle Cellule tumorali
TRAIL: citochina trans-membrana pro-apoptotica, rilasciata anche in forma solubile. Ci sono due meccanismi
attraverso i quali TRAIL può uccidere le cellule: si lega alla superficie delle cellule Natural Killer e Cellule T (CD8 +e Th)
tramite i recettori Dr4 e Dr5 in forma trimerica, inducendo l’apoptosi attraverso
1. la via estrinseca nelle cellule di tipo I
2. vie intrinseca nelle cellule di tipo II.
La differenza fra le due cellule è dovuta alla quantità di Procaspase 8. Se manca una grande quantità di procaspase-8
(o in una scarsa quantità di procaspase 8), può essere attivata la polimerizzazione di Bax, attraverso una
degradazione caspase 8-dipendente sull’intermedio Bid, formando TBid: questo trasloca nei mitocondri facilitando le
perforazioni attraverso la via intrinseca.
La P53 induce l’espressione di Dr4 e Dr5 nelle cellule con danno al DNA, esponendo le cellule danneggiate al sistema
immunitario: DR 4/5 attivati da TRAIL reclutano FADD e le caspasi 8 e/o 10, formando il complesso DISC (DEATH
INDUCING FACTOR). Questo meccanismo, rappresenta una “morte tumor specifica”, perché le cellule normali
esprimono bassi livelli di DR 4/5 e più alti livelli di recettori “decoy” di TRAIL DcR1 e DcR2.
Trail è tumor-specifica e raramente uccide cellule normali. (ndr: ma le cellule tumorali riescono ad evadere questo
meccanismo pro-apoptosi: per questo si parla di resistenza a TRAIL)
Resistenza a TRAIL
Strategie di resistenza:
• Equilibrio anti-apoptotico tra i recettori pro-apoptotici DR 4/5 ed i recettori decoy DcR1, DcR2 e
l’inibitore di TRAIL l’osteoprotegerina. Le cellule tumorali possono sovra-esprimere i “decoy”, anche se
possiedono i DR4/5 sulla loro superficie, aumentando la competizione in favore dell’ apoptosi;
• Ridotta espressione sulla superficie cellulare di DR4 e DR5;
• Perdita dell’espressione di Caspasi 8 e/o 10, attraverso la metilazione del promotore di Caspasi 8 ed
inibizione post-trascrizionale di caspasi 10;
• Fosforilazione inibitoria della tirosina Y380 di caspase 8;
• L’espressione di Cellular FLICE (FADD- like IL-1β-converting enzyme)-Inibitory Protein (cFLIP), l’omologo
inattivo di caspase 8 che compete con caspase 8 nella formazione di DISC;
• L’espressione elevata delle proteine della famiglia Bcl-2 (Bcl-2, Bcl-XL, Mcl-1) che protteggono il
mitocondrio dalla pereabilizzazione Bax/Bak-dipendente;
• Segnalazione inibitoria attraverso Ip3K/Akt/Nf-kB;
• Nelle cellule resistenti al TRAIL, TRAIL può indurre l’espressione di geni pro-infiammatori e pro-
metastatici, come altri membri della famiglia TNF;
Come conta una cellula le sue divisioni e come “sa” quando fermarsi?
La risposta è la presenza di “telomeri” - regioni del DNA altamente ripetute che non presentano alcun gene
codificante e che hanno il compito di proteggere l’estremità del cromosoma dalla degradazione o dalla fusione
con un altro cromosoma.
Senza i telomeri, infatti, ad ogni divisione il genoma perderebbe informazioni, perché i cromosomi si
accorcerebbero. Si stima la perdita di circa 50-100 nucleotidi di DNA telomerico ad ogni divisione. Questa perdita
progressiva alla fine causa la perdita dei telomeri, che di conseguenza non proteggono le estremità del
cromosoma che vengono così danneggiate.
Un eventuale danno del DNA attiva la trascrizione del gene P53 che porta all’arresto della crescita, alla
senescenza e all’apoptosi della cellula in cui si verifica.
L’eventuale fusione tra le estremità dei cromosomi rappresenta un danno irreversibile che promuove l’apoptosi
P53 dipendente.
Le cellule tumorali presentano un’elevata attività proliferativa “raggirando” l’emivita dei telomeri, questo però
provoca l’accumulo di mutazioni che diventano dannose nel tempo: ecco perché il cancro è principalmente una
malattia della terza età.
Angiogenesi
L’angiogenesi consiste nella modificazione della rete primaria vascolare (formata dalla vasculogenesi)
promuovendo la ramificazione dei vasi formando una rete collegata, caratteristica del sistema vascolare maturo.
Le pareti dei vasi maturano e, quindi, si stabilizzano, grazie all’interazione tra cellule endoteliali, cellule di
supporto (cellule muscolari lisce e periciti) e matrice extracellulare (ricca in fibre, glicoproteine,
glicosamminoglicani, proteoglicani ed acqua).
Angiogenesi del tipo ‘Sprouting’
L’Angiogenesi del tipo ‘Sprouting’ è responsabile della formazione di nuovi vasi da vasi esistenti tramite
‘sprouting’ (=germogliare) dentro tessuti avascolari. Questo accade in seguito alla destabilizzazione vascolare,
dovuta ad una condizione di ipossia, che porta alla formazione di vasi immaturi che devono stabilizzarsi. Tale
meccanismo si ha durante lo sviluppo e la formazione dei vasi del tubo neurale e la maggior parte dei neo-vasi
formati negli adulti (durante il processo di guarigione dei tessuti danneggiati).
Le cellule coinvolte nell’angiogenesi sono cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, piastrine, leucociti.
l meccanismi principali per la neovascolarizzazione tumorale, in particolare dei tumori epiteliali, si svolgono in
questo modo:
-i tumori iniziano come piccole masse muscolari, che inducono una risposta angiogenica nei vasi vicini
-i vasi diventano dilatati e permeabilizzati e le giunzioni vascolari mature intercellulari diventano stabili
- la membrana basale viene degradata localmente
- le cellule endoteliali producono pseudopodi, proliferano e migrano fuori dai vasi
- formano dei cordoncini cellulari che diventano vacuolizzati e canalizzati
-nuovi vasi maturano con la formazione della nuova membrana basale e reclutamento dei periciti e cellule
muscolari lisce
- i nuovi vasi sono mantenuti da fattori che facilitano la sopravvivenza delle cellule endoteliali contro l'apoptosi
I fattori che mediano e modulano l’angiogenesi comprendono fattori che regolano la plasticità delle cellule
endoteliali, importanti all’inizio del processo angiogenetico.
I fattori dell’angiogenesi, che facilitano la sperimentazione in vitro e che aiutano a capire quali sono i fattori
angiogenetici, sono gli enzimi che promuovono la degradazione della membrana basale, la proliferazione
cellulare, la migrazione e la formazione di tubi canalizzati.
Per quanto riguarda l’uso di cellule endoteliali, sono stati utilizzati diversi tipi di popolazioni nei saggi in vitro, tra
cui cellule derivanti dai grandi vasi (come vene ombelicali e aorte di animali e uomo) isolate dopo digestione di
parete vascolare con collagenasi trispsina ecc.
Oggi si usano molto anche cellule endoteliali microvascolari. prelevate da organi specifici quali fegato, derma,
cervello purificati con l’uso di anticorpi specifici o trattati con lectine che legano specificatamente cellule
endoteliali.
Queste cellule possono essere usate in saggi di proliferazioni per identificare mitogeni e inibitori di angiogenesi.
Nell’immagine sopra riportata si vede il paragone di proliferazione tra diversi tipi di cellule usando cartilagine di
squalo. In particolare la cartilagine non ha vasi e infatti contiene inibitori forti di angiogenesi e contro
proliferazione delle cellule endoteliali.
Per quanto riguarda la locomozione, la camera di Boyden oltre che per lo studio di chemiotassi può essere usata
per identificare molecole che promuovono il movimento di cellule endoteliali, angioblasti. Fu costruita negli anni
60.
È utile per distinguere molecole che inducono la locomozione direzionale (chemiotassi) o movimento
randomizzato (chemiochinesi). Tutte le cellule possono muoversi verso molecole chemioattraenti se possiedono
dei recettori per tali molecole.
Si può effettuare il saggio di migrazione per visualizzare la locomozione delle cellule endoteliali, così come si
possono effettuare colture di aorta e trattarle con sostanze da analizzare.
Qui si vede un espianto e la formazione in poco tempo di tubi endoteliali che formano reti in condizioni
stimolanti di angiogenesi.
I saggi angiogenetici includono anche quelli effettuati sulla
membrana coreoallantoica dell’embrione di pollo, una
membrana vascolarizzata. Questa è usata dopo 4-6 gg,
dopo che si sono formati i primi vasi. Trattandola con una
sostanza si può vedere se questa può influenzare la
struttura vascolare in modo stimolatorio o inibente.
Uno dei fattori mitogeni più importanti è il VEGF, importante fattore di vascologenesi e angiogenesi.
Quando i vasi sono instabili, VEGF induce la proliferazione. La famiglia di VEGF include PIGF e VEGFA.
In condizioni tumorali le cellule possono esprimere recettori per VEGF.
i recettori per VEGF sono:
-VEGFR1
-VEGFR2
-VEGFR3
• Prima della nascita la retina cresce in modo avascolare e in seguito alla nascita è considerato un tessuto
ipossico che provoca l’induzione dell’espressione di vegf che promuove angiogenesi e vascolarizzazione. In
casi di nascita prematura, per cui i neonati sono destinati all’incubatrice con iperossigenazione
dell’ambiente, c’è crescita della retina senza aver bisogno di neovascolarizzazione, perché le condizioni di
iperossia bloccano il sistema di vegf. Questo fa sí che la retina pensi di avere ossigeno a sufficienza. Quindi
c’è un periodo post nascita (per i neonati prematuri) in cui c’è crescita della retina avascolare. Quando il
neonato poi è spostato in ambiente di normossia, il tessuto della retina diventa ipossico per mancanza di
struttura vascolare. Inducendo vegf si crea la condizione per neoangiogenesi al momento sbagliato. La retina
diventa vascolarizzata in modo abnorme, producendo retinopatia. Processi angiogenetici inappropriati si
verificano spesso nel prematuro. L’ipossia quindi non sempre induce una risposta angiogenetica utile.
26/11/2020 Mackay/ PATOLOGIA MOLECOLARE II
…quindi, cosi si rappresenta una cascata di natura angiogenetico. Per quanto riguarda il sistema del
plasminogenoSerino-Proteasi, le reazioni sono complessi. I componenti che sono coinvolti nella formazione
della PLASMINA includono: urochinasi (uPA, che puo essere trovata sia in singola che doppia catena), t-PA
che sarebbe un attivatore tissulate, uPAR-recettore per uPA, Anexin II o Anfoterina che sono dei recettori
per t-PA, l’actina-recettore per plasminogeno, PAI-1 e 2 che sono gli inibitori di uPA e t-PA.
Evidenza di un Ruolo per il sistema del Plasminogeno nell’Angiogenesi:
gli inibitori di plasmina e degli attivatori del plasminogeno inibiscono invasione delle cellule endoteliali e la
capacita’ di formare tubi endotelializzati in vitro e angiogenesi in vivo. Topi uPA (Urochinasi) knockout
mostrano inibizione della vascolarizzazione tumorale. Il Plasminogeno stimola l'invasione e la capacita’ delle
cellule endoteliali di formare tubi in vitro dipendente sugli attivatori del plasminogeno. Gli Attivatori sono
espressi dalle cellule tumorali endoteliali e tumori angiogenetici in vivo. La Plasmina degrada i componenti
della membrana basale, attiva le MMPs coinvolte nell’angiogenesi e rilascia dei fattori angiogenetici dalla
membrana basale (FGF-2 e TGFA) e attiva alcuni fattori angiogenetici (FGF, TGFB). Mentre uPA attiva il fattore
angiogenetico HGF (fattore di crescita degli epatociti).
Interazione fra MMP ed il sistema del plasminogeno : ruolo del plasminogeno e domini Kringle
La loro interazione è ulteriormente complessa per il fatto che , come si vede nella slide, tumore & stroma,
attivatori del plasminogeno, sono in grado di attivare il plasminogeno sistemico in plasmina, che può attivare
pro metallo proteinasi m(PRO-MMP) in metalloproteinasi attive(MMP-AT) provenienti da tumore allo
stroma. Questo crea una condizione per la degradazione della membrana basale e della matrice
extracellulare, promuovendo l’ invasione in termini non solo di tumori ma anche dell’endotelio durante il
processo di angiogenesi. Però le metalloproteinasi attivate possono anche effettivamente agire con un
meccanismo di feedback negativo nel sistema pro angiogenetico, ed infatti in determinate circostanze le
metalloproteinasi come MMP-3 ma anche MMP-7 e MMP-9 possono degradare il plasminogeno in domini
Kringle.
Il ruolo del plasminogeno allora, come precursore inattivo della plasmina, è particolarmente importante.
Infatti esso è composto da una serie di 5 domini Kringle, che assomigliano ai loop, cerchi molecolari con
associato un dominio catalitico. I domini Kringle del plasminogeno (che sono presenti anche nella plasmina
in 5 copie), sono fondamentali per l’attivazione del plasminogeno in plasmina ,ma anche nella condizione di
plasmina sono fondamentali per la “substrato specificità”: gli stessi domini Kringle infatti sono quelli che
legano il substrato e senza il quale la plasmina non può effettivamente degradare il substrato. E’ inoltre
presente un meccanismo attraverso il quale l’attivazione delle metalloproteinasi, provenienti da un plasmina
attivata, può andare incontro ad un feedback negativo degradando la plasmina e il plasminogeno, separando
così il dominio Kringle dal dominio catalitico. A quel punto si crea un ambiente fortemente inibitorio per
l’angiogenesi. Questo è stato fondamentale perché l’angiostatina,che è stata identificata come dominio
Kringle del plasminogeno, fu il primo esempio di una molecola anti-angiogenetica prodotta durante la
progressione tumorale, è stata quindi purificata e approvato dall’FDA come primo inibitore dell’ angiogenesi
tumorale utilizzato in clinica.
Ovviamente è importante dire che il cambiamenti nell’equilibrio tra proteasi e i loro inibitori sono
fondamentali nell’ organizzare l’ambiente proteolitico.
Ovviamente queste interazioni tra integrine e i loro ligandi sono fondamentali per controllare il luogo in cui
le cellule devono crescere: se si trovano fuori luogo in un contesto estraneo alla mitosi, muoiono spesso.
Questo meccanismo fa sì che i tessuti non si mischino tra loro: ciascun tessuto ha delle specifiche componenti
integriniche, cellulari e della matrice cellulare che sono sufficienti per bloccare i segnali pro apoptotici, sono
guai se le cellule si trovano fuori luogo. Ovviamente in un contesto tumorale le cellule (tumorali) sono in
grado di superare anche questo, vanno infatti in apoptosi anche quando le loro integrine non vengo
accuratamente legate. L’evasione dall’apoptosi, una morte programmata e bne regolata, rientra negli
hallmarks che abbiamo già visto, le cellule tumorali non esibiscono un tessuto di specificità: migrano e vanno
dove possono.
Poi ci sono le immunoglobuline, una grande famiglia di molecole che includono i CAMs (“cellular adesion
molecule”), molecole di adesione cellulare come: ICAM-1, V-CAM, CEACAM, PECAM, e N-CAM che regolano
l’ adesione intercellulare e legano le
integrine.
Le Selectine (E,P e L selectine)
legano strutture correlate agli
antigeni come specifici carboidrati. I
carboidrati importanti in questione
sono antigeni sialati come Lewis X e
Lewis A che regolano le interazioni
intercellulari. Tutte sono importanti
molecole.
Topi “knockout” (=privati) di Ephrina B2 o del recettore Eph-B4 mostrano difetti nel rimodellamento
angiogenetico. L’espressione di Ephrina B2 è tipico delle cellule delle arterie primordiali; così come
l’espressione del recettore Eph-B4 lo è per le cellule delle vene primordiali; inoltre questo continua a marcare
le arterie nell’adulto. L’ephrina B2 è ri espressa dalle cellule endoteliali angiogenetiche nei tumori.
Enzimi importanti includono ciclossigenasi (COX) 2 , che produce prostaglandine dall’acido arachidonico
durante le infiammazioni; regola l’espressione di MMP-9 e stimola l’angiogenesi e la produzione di fattori
angiogenetici come VEGF; spesso associato spesso con cancro del colon.
Quindi riassumendo un po’ questa incredibile orchestrazione dell’angiogenesi (vedi slide seguente), la fase
di destabilizzazione è effettuata da angiopoietina 2 e angiopoietina 1, a seguito del loro legame con Tie-2
(pronuncia T -AI- I all’inglese), il suo recettore. Quest’associazione crea in seguito condizioni per esprimere
inibitori Id1 e Id3, i quali promuovono uno stato di plasticità assieme all’attivazione endoteliale dovuta
all’interazione tra VEGF con il suo recettore VEGFR2, che è attivatorio e promuove la degradazione della
membrana basale. Questo agisce attraverso l’induzione dell’ espressione di metalloproteinasi e di attivatori
del plasminogeno i quali,interagendo con recettori, creano delle condizioni per l’attivazione di metallo
proteinasi e della plasmina. Le interazioni regolano la progressione dell’ angiogenesi e possono
eventualmente anche produrre inibitori dell’angiogenesi. Anche qui quindi c’è un equilibrio da superare.
Ancora le eperinasi promuovono il rilascio della membrana basa le di importanti molecole
proangiogenetiche. Segue la fase di proliferazione: dopo aver prodotto endoteli, pseudopodi, plastiche, la
cellula comincia a proliferare attraverso l’effetto mitogenico indotto dalle interazioni fra VEGF con i recettori
VEGFR2 e altri fattori di crescita che promuovono in modo recettoriale dipendente sia direttamente sia
indirettamente la proliferazione dell’endotelio.
La fase di migrazione è regolata dalle chimochine, molecole chemoattraenti che promuovono il movimento
verso un determinato luogo; VEGF ed FGF, presenti che sono utilizzati a scopo di migrazioini; integrine che
legano i componenti della matrice che permettono il movimento; attività proteolitica necessaria per
degradare le componenti della matrice permettendo un movimento; matrice plasmatica proveniente dalla
aggregazione piastrinica nel luogo della “germogliazione” attraverso il quale le cellule possono orientarsi e
muoversi.
Poi c’ è una fase di vacuolizzazione, che dipende dall’espressione di PECAM, VE-caderina, collageno IV:
durante questa fase, i componenti della matrice possono anche essere prodotti, però la vera deposizione di
una matrice definitiva dipende da altri cambiamenti, inibitori dell’attività proteolitica e promotori dell’azione
depositrice.
Dopo aver seguito questi
processo di vacuolizzazione, c’è
la formazione di un tubulo che si
associa con la deposizione di una
nuova membrana basale, dove
l’equilibrio fra: metallo
proteinasi e i loro inibitori TIMP
da un lato, e fra gli attivatori di
plasminogeno e i loro inibitori
PAI dall’altro, va verso un
ambiente depositore invece di
proteolitico, creando così le
condizioni per la deposizione,
con espressione della laminina e
collageno IV, entactina e
perlecano. Questi ambienti sono
rigorosamente controllati dal
TGF Beta,che è una
mastrocitochina. Abbiamo già
trovato il TGF-beta nella fase di
guarigione per esempio durante l’infiammazione, è una citochina ad attività pro guarigione, ha tante funzioni
ma in quel contesto riesce, attraverso un cambiamento dell’equilibrio a favore dell’ inibizione proteolitica, a
rendere un ambiente depositore per la membrana basale: questo è fondamentale per sigillare la potenziale
perdita di fluidi da nuovi vasi, e per introdurre un forte stimolo differenziativo, che fa sì che i canali e vacuoli
forati durante la fase di migrazione effettivamente formino tubi canalizzati. Interazioni fra cellule endoteliali,
cellule di supporto e la matrice vengono effettivamente promosse, interazione tra PECAM, VE -caderina,
integrina, AlphaVbeta3, tutti importanti in queste fasi. La canalizzazione di nuovi vasi viene promosso dalla
presenza delle molecole di divisione PECAM, VEcaderina, collagene IV depositato in forma della membrana
basale. In seguito c’ è la formazione di giunzioni tra arterie e vene che viene identificata attraverso
l’espressione delle Ephrine e recettori Ephb.
Ci si rende conto di quanto in termini fisiologici è complesso il comportamento angiogenetico, e quante sono
le potenziali possibilità di dirottare e cambiare queste in sedi tumorali o patologiche.
Quindi abbiamo cellule endoteliali che non sanno dove stanno, non hanno una appoggio adeguato,
prendono contatto con una matrice che è malformata, non possono funzionare come devono e sono
frequentemente soggette ad eventi permeabilizzanti: ricevono tante cose dal plasma che normalmente in
condizioni di mancanza di permeabilità non arrivano. La permeabilità e la dilatazione vascolare influenza fra
l’altro la pressione idrostatica che è altamente elevata nei tumori e inibisce l’effetto della farmacoterapia.
C’ è una forte pressione per eliminare la terapia che non è legata quindi bersagliata specificamente a livello
tumorale e che quindi dà un problema terapeutico. Le concentrazioni necessarie per uccidere le cellule
tumorali mai raggiungono una sufficienza a livello in vivo. Infatti devono ovviamente adottare altre strategie
per circumnavigare questi problemi, alcune delle quali sono utilizzare una particolare terapia dove le
strutture vascolari fanno un cappio attorno a tumori, attraverso i quali si può aumentare la concentrazione
senza avere un’esposizione sistemica ad un elevata concentrazione di agenti chemioterapeutici, che
altrimenti non possono essere utilizzati, per motivi legati ad effetti collaterali.
Ovviamente è un problema grave a livello terapeutico il fatto che i tumori a causa di una permeabilità alta ed
una essudazione forte a livello dei tumori eliminino agenti molto più velocemente di tessuti normali. La
formazione di una matrice plasmatica che stimola l’angiogenesi e promuove l’invasione tumorale è un altro
aspetto. Un tumore ha necessità di essere vascolarizzato per fare sì che possa crescere in maniera
esponenziale, introduce così una struttura vascolare che non funziona bene, promuove quindi la
progressione tumorale attraverso la resistenza terapeutica per motivi di una permeabilizzazione e pressione
idrostatica elevata e una facile via di disseminazione dovuta ad una mancanza di una maturazione vascolare.
(??)
Per quanto riguarda la strategia antigenetica, possiamo dire che ci sono tanti diversi contributi che possono
essere utili e vengono utilizzati per eliminare o rallentare drammaticamente la progressione tumorale,
bloccando l’angiogenesi. Il fatto che un tumore continua a crescere in presenza di inibitori dell’angiogenesi,
supporta l’ipotesi che fattori angiogenetici tumorali eccedano in concentrazione sugli inibitori. Quindi
l’equilibrio può essere ri-indirizzato. L’idea terapeutica è chiaramente in favore degli inibitori, allo scopo di
inibire l’angiogenesi e
quindi di rallentare
drammaticamente sia la
crescita tumorale sia la
sua capacità metastatica.
Ci sono diverse strategie
allo scopo anti
angiogenetico che
includono: 1)il blocco
nella produzione di
fattori angiogenetici,
bloccando la produzione
di VEGF si possono
utilizzare gli
oligonucleotidi
(antisenso, ribozimi) allo
scopo di bloccare la
produzione di fattori
angiogenetici. 2) si
possono neutralizzare
fattori angiogenetici in
transito attraverso l’utilizzo di recettori solubili e anticorpi neutralizzanti o attività proteolitica. 3) Si possono
bloccare dei recettori endoteliali con competitori. Si bloccano recettori con VEGF, o con anticorpi
neutralizzanti. 4)Si può arrestare la degradazione della membrana basale con inibitori proteolitici o 5) inibire
la proliferazione delle cellule endoteliali, con inibitori di cicline, in grado di bloccare il ciclo cellulare.
Bisogna dire che esperimenti fatti in molteplici modelli, illustrano che in modelli tumorali l’angiogenesi è dove
si trovano cellule endoteliali in proliferazione, non nelle strutture vascolari stabili. I vasi stabili inoltre
mancano di endoteli in proliferazione, quindi identificando markers si possono anche bersagliare
specificamente cellule endoteliali in proliferazione. 6) Gli inibitori della migrazione dell’endotelio inibiscono
le integrine che possono essere neutralizzate o 7) effettuano uccisione diretta delle cellule endoteliali,
usando molecole che bersagliano cellule endoteliali in proliferazione. 8) blocco della stabilizzazione vascolare
(inibizione del reclutamento dei periciti e cellule musolari liscie) si riferisce ad un modello di vasi che irrorano
i tumori, sono molto instabili, potrebbe esserci anche la possibilità di stabilizzare i vasi allo scopo di renderli
meno permeabili e anche meno invadibili dal punto di vista tumorale.
I metodi per bloccare l’angiogenesi di questi punti sono diversi, non sono mutualmente esclusivi e possono
essere combinati. Gli nibitori endogeni sono da favorire, perché esibiscono effetti limitati in termini di effetti
collaterali e di resistenze. Il vantaggio dei fattori endogeni è della specificità dell’azione di ricrescita vascolare.
Per esempio c’ è una molecola come l’endostatina che spegne la crescita vacolare, mentre TNP-470, analogo
di fumagillin (che non è endogeno) inibisce le cicatrizzazioni in gravidanze dando quindi eventuali problemi
collaterali. I potenziali problemi che si possono presentare con gli inibitori proteolitici e la produttività
industriale, possono essere anche superati utilizzando tecniche endogene come quella dell’uso di Captoprill
farmaco e attivatore di plasminogeno tissutale, che possono essere utilizzati per indurre la formazione di
angiostatina in pazienti. Si può quindi superare e promuovere un’attività angiogenetica attraverso tecniche
endogene.
Inibitori dell’angiogenesi
● Inibitori dell’azione di VEGF, (legame e/o attività): includono recettori come VEGFR1, forme solubili
di VEGFR e neuropeline NRP-1 (cofattori che legano e annullano l’attività di VEGFR perché sono
solubili), PF4, prolattina e frammento di una proteina chiamata SPARC, sono tutti in grado di inibire
l’attività legando o inibendo l’attivazione di VEGF.
● Inibitori delle MMPs: TIMP-1, TIMP-2, domini Hemopexin delle metallo proteinasi (“MMP’s”). Quindi
andando a degradare le metalloproteinasi, (così come la degradazione del plasminogeno produce
plasmina) separando il dominio hemopexin dal dominio catalitico, assume funzione anti
angiogenetica. Ci sono quindi possibilità di usufruire di molecole provenienti da macromolecole allo
scopo di ridurre l’angiogenesi.
● Inibitori del plasminogeno: Angiostatina e Maspin;
● Inibitori della migrazione endoteliale e produzione di FGF: INF (=interferoni) alpha, beta e gamma,
IL4, IL-12, IL-18 (interleuchine);
● Inibitori della migrazione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali: TSP-1 e TSP-2
(trombospondine 1 e 2), endostatina che sono domini globulari del collagene 18, frammento di
osteopontina, Vasostatina, protrombina, domini Kringle I e II, antitrombina III frammento;
● Altri inibitori includono: Ang2 (angiopoietina 2 antagonista di angiopoietina 1) che destabilizza vasi
già esistenti, non è valida come un inibitore a livello dell’ angiogenesi tumorale, perché è già presente
e già i vasi sono destabilizzati. Poi ci sono proteine come Meth 1 e 2 che contengono domini
metalloproteinasici, disintegrine e TSP trombospondine, che inibiscono l’angiogenesi; molecole che
provengono da macromolecole in particolare da collage di tipo 4 degradato, che sono sul mercato
come agenti anti angiogenetici come Canstatina, Arresten e Tumstatin (che non è ben conosciuto
come funzionano ma sono anti angiogenetici) queste molecole spesso vengono da macromolecole
endogene e quindi sono più tollerabili
Però abbiamo ovviamente un altro campo da considerare, è stato sviluppato in America principalmente dove
il costo di farmaci è drammaticamente elevato. Succede che una vasta percentuale della popolazione non è
in grado di essere sufficientemente assicurata per una terapia oncologica e spesso si viene a creare una
condizione per cui è eliminata la possibilità di finanziare una medicina. Se una persona presenta quindi una
patologia tumorale e ha bisogno di una determinata terapia, l’esito della scelta dipende dall’assicurazione.
In questo contesto si sviluppa un mercato alternativo. Il grafico ci fa vedere che tante persone non riescono
ad accedere a farmaci antiangiogenetici, da aggiungere nelle loro strategie terapeutiche per motivi
economici. Sono state individuate fonti “dietarie” a scopo anti angiogenetico. Il motivo inoltre non è solo
economico. In uno studio sono state prese in considerazione persone morte in incidenti stradali, di età
compresa tra 30 e 50 anni. In queste, sottoposte ad autopsie, oltre il 50% presentavano nei geni “malattie da
espansione”: i difetti genetici rilevati a livello autoptico, potevano andare a creare problemi già tardivamente
nella vita, è probabile ma non si sa. La probabilità però sussiste illustrando che già durante la vita, in maniera
asintomatica, i tumori spontaneamente sarebbero arrivati e sarebbero potuti andare oltre. Sapendo che
l’angiogenesi è necessaria per promuovere l’espansione clonale, si è sostenuta l’ ipotesi che tanti piccoli
tumori possono essere ad un livello pre-angiogenetico, in attesa di una crescita esponenziale dipendente
dall’angiogenesi. Quindi questo ha stimolato l’idea che nella dieta vada bene aumentare o utilizzare agenti
anti angiogenetici, anche precocemente nella vita, prima della conoscenza di avere un tumore o no.
Quindi aggiungendo questo al discorso
economico, dell’economia delle
medicine, ha spinto una ricerca per
identificare quali sono le “componenti
dietarie” con attività più angiogenetica.
Sono paragonati a farmaci. E facendo il
paragone con determinati modelli, si è
visto quali sono i componenti dietari
che sono ad alta attività anti
angiogenetica e a minor attività anti
angiogentica. Qui sono elencati:
Vitamina E, captopril,ecc. Poi estratto
di soia, prezzemolo,frutti di bosco,
toxoviclina, carciofi che contengono
tamoxifen, presentano più o meno lo
stesso livello di fattori anti
angiogenetici di un farmaco anti
tumorale. Ci si rende conto che alcuni
componenti della dieta sono molto anti angiogenetici, anche in modelli in vivo in animale. E’ quindi una buona
idea durante la vita aggiungere alcuni di questi tipi di componenti dietarie alla dieta. Infatti se ci sono tumori
che insorgono in forme piccole, aspettando di crescere in maniera angiogenetica, possiamo
drammaticamente rallentarli anche usufruendo di componenti dietarie. Ciò significa che uno può avere una
medicina naturale dietaria allo scopo di rallentare tumori e informazioni che hanno bisogno di una risposta
angiogenetica.
Nei tessuti normali, le comunità delle cellule si istruiscono tra loro per cmrescere attraverso percorsi di
segnalazione. Nel microambiente del tumore questi stessi percorsi di divisione e crescenza sono resi
incontrollabili. Una cellula tumorale non può funzionare in isolamento ma dipende dalle cellule circostanti,
che rispondono fedelmente ai segnali anche malevoli dalle cellule tumorali per raggiungere la crescita
incontrollata. L’angiogenesi nel contesto di un tumore è una versione tormentata, convoluta e
eccessivamente ramificata. I vasi sono distorti, ingranditi e permeabili con flusso sanguigno irregolare e
perdite ematiche, risultando in tumori disordinati e sanguinosi. L’angiogenesi tumorale è una perversione
del normale processi ed un requisito essenziale per lo sviluppo e la progressione tumorale.
PATOLOGIA MOLECOLARE 2 ( MACKAY) 3/12/2020
Introduzione
Nella lezione precedente è fatto un riferimento sull’angiogenesi. L’angiogenesi è un evento importante per
la progressione tumorale. Senza quella le cellule tumorali non riescono ad entrare nella fase di crescita
esponenziale, a causa della mancanza di ossigeno e di nutrienti.
L’ipossia avviene a capo di un evento angiogenetico. Può essere indotta dall’attivazione degli oncogeni e
attraverso la stabilizzazione di fattori trascrizionali ipossia-inducibili.
A livello del tumore è tutto disgregato dal fatto che vengono prodotti in maniera errata diversi agenti pro-
angiogenetici. Di conseguenza, viene facilitata la maturazione di nuovi vasi che a livello tumorale risultano
irregolari, aberranti, permeabili. Inoltre, perdono il loro contenuto plasmatico e nel contesto di metastasi
sono fonte di facile invasione da parte delle cellule tumorali.
Queste cellule sono contenute in un microambiente tumorale chiamato “nicchia”. La nicchia è importante
perché regola il numero, la capacità di replicazione e la divisione asimmetrica delle cellule staminali sia
normali che tumorali ed è regolata da condizioni di stress tumorale (ad esempio da ipossia o mancanza di
nutrienti). La staminalità è regolata dai fattori trascrizionali pro-staminali (SOX2, NANOG, KLF4) e
mantenuta da retrotrasposoni come HERV-H nelle cellule arrestate nella loro capacità di differenziare.
Riassumendo le metastasi iniziano con trasformazioni cellulari creati da danno a livello genetico.
La cosa più importante che spinge la cellula a dividersi in maniera incontrollata è l’attivazione degli
oncogeni con l’eliminazione degli oncosoppressori.
Espansione clonale
Questo evento è seguito dall’espansione clonale, cioè la
proliferazione abnorme che porta all’espansione del
tumore attraverso la proliferazione della cellula trasformata che supera il fenomeno dell’apoptosi
formando cosi i tumori.
Caso clinico
In caso di operazione per asportare un tumore bisogna prima identificare i “linfonodi
sentinelle” che raccolgono i fluidi da sedi tumorali. Questo avviene grazie ad un marcatore
radioattivo a breve emivita che sparisce in qualche ora, per marcarli e orientare il chirurgo
per asportarli. Se il tumore è benigno il tempo di cui ha bisogno il marcatore per giungere
alle sedi linfoidali è di qualche minuto, se è aggressivo e in uno stadio già avanzato il tempo
diminuisce a qualche secondo.
L’espansione clonale dipende dall’equilibrio fra proliferazione, apoptosi ed angiogenesi.
Inoltre ha bisogno anche di un componente infiammatorio generato dai neutrofili che infiltrandosi
in queste sedi aumentano l’espansione clonale e rilasciano i loro contenuti come MMP-9 che
sembrerebbe molto importante per l’infiammazione e per la progressione tumorale.
Distacco
Il distacco è un fenomeno importante perché fa si che cellule di un certo tipo (epiteliali p.es) che
nella loro sede originale hanno diverse interazioni con le cellule circostanti, comincino a migrare
dopo essersi distaccate grazie all’azione di sostanze che alterano le interazioni della cellula.
Diverse sono le famiglie che possono operare per il distacco:
e. Molecole di adesione omeotipico le CADERINE… slides
f. Molecole di adesione eterotipico le INTEGRINE (per il 3° anno ricordate le lezioni delle
infiammazioni). Queste rappresentano una famiglia larga dimerica fra sub-unità alfa(18) e
beta(8)… slides
g. Le IMMUNOGLOBULINE rappresentano una famiglia di… slides
h. Le SELECTINE (E, P, ed L; le stesse molecole usate per comportamenti (1° incomprensibile),
infiammatorio, immunologico. E sono utilizzate da qualsiasi popolazione cellulare;
regolano…slides
Per quanto riguarda le CAMs coinvolte nel distacco quelli importanti sono:
Per quanto riguarda il ruolo delle CADERINE nell’inibizione di proliferazione da contatto, una fitta
interazione di e-caderina di 2 cellule diverse (calciodipendente) attiva l’oncosoppressore PTP-LAR
(quel strano Tirosin fosfatasi di cui ne ha parlato durante la lezione di onco soppressori) che
defosforala i recettori per la Tirosin chinasici egfr innattivandoli.
Quando queste caderine vengono mutate/delete (p.es. nei tumori) queste non riescono ad
attivare l’oncosoppressore e di conseguenza comincia la proliferazione/motilità/invasività.
L’invasione della membrana basale è quello che segue; transizione fondamentale dal carcinoma in
situ ad carcinoma invasivo.. questa transizione può essere sia estremamente veloce che lenta.. ciò
dipenda dalla natura del tumore (se proteolitico o meno).
La membrana Basale come
sappiamo è una membrana
importante che divide sia il
sangue dal tessuto che
l’epitelio dal sotto epitelio,
intorno ai neuroni ecc..
Struttura altamente
complessa composta da una
rete di laminina collagene e
fibrillina.
È ipospesso ma
assolutamente impermeabile
se non degradato.
Attraverso queste un interazione integrinica con un ligando, si può andare sia ad innescare o
indurre una motilità, si può promuovere sopravvivenza cellulare, proliferazione e
differenziamento.
Quindi queste sono molecole che una volta che si legano, le cellule diventano stabilmente
differenziate. Dipende tutto dal ligando che legano.
EMT
In questo contesto passiamo a discutere di questi cambiamenti a monte dei quali le cellule
epiteliali tumorali, derivati dall’epitelio, passano verso un fenotipo capace di staccarsi e muoversi.
Questo avviene con cambiamenti a livello delle molecole di adesione e viene conosciuto come un
evento chiamato EMT (epitelio mesenchimale transizione).
Questo processo è un processo di differenziamento dove avviene la conversione delle cellule
epiteliali polarizzate e immobili (con tutte queste giunzioni in azione) in cellule mesenchimali che
acquisiscono mobilità, ciò significa che questa è una specie di metaplasia indotta nelle sedi
tumorali.
L’EMT si trova durante lo sviluppo, guarigione e trasformazione metastatica, quindi ci sono 3 tipi.
Durante lo sviluppo, per esempio, c’è un EMT che corrisponde all’eliminazione della cresta
neurale. La cresta è una struttura che fornisce cellule in tutto l’organismo durante lo sviluppo che
vanno a formare per esempio lo scheletro, i melanociti, sistema periferico nervoso e così via.
Questo transitorio abbozzo durante lo sviluppo embrionale sparisce durante un evento di EMT che
fa si queste cellule che derivano dal neuroepitelio, ad un tratto diventano in grado di staccarsi da
dov’erano e di muoversi e migrarsi in tutto l’organismo. Questo è un esempio. I miofibroblasti che
si formano nelle guarigioni è un altro esempio di EMT. Il carcinoma derivato dall’epitelio affetto
dalle metastasi è dovuto a questi processi.
Ci sono altri meccanismi di gruppi di cellule che si staccano, per esempio a causa di una struttura
vascolare adiacente, ed entrano nel circolo senza avere bisogno solo di movimenti meccanici.
Però nel contesto di una progressione, la maggior parte dei carcinomi cambiano fenotipo durante
queste fasi che permettono il cambiamento dell’espressione genica. Questo permette loro di
staccarsi, perdere il loro contatto di adesione omotipica e di cominciare ad essere in grado di
muoversi usufruendo di recettori di natura integrinici. Durante un processo metastatico, EMT può
esser transitorio ritornando al fenotipo più o meno epiteliali come abbiamo dimostrato
istologicamente nel percorso metastatico.
Il processo è regolato da diversi fattori che includono fattori trascrizionali che vengono chiamati
Slug, Snail,Twist, TGF-β (quindi citochine capaci di promuovere una parte di espressione genica in
associazione con tumori in espansione, promuovendo e facilitando queste transizioni) e anche
metallo proteasi come MMP3, MMP9 (che attraverso degradazione dei loro substrati rendono
l’ambiente meno promotore del differenziamento che facilita una differenziamento cellulare). C’è
anche fattore KLF8 ed è uno dei componenti del sistemi FAK.
Questo evento si associa con la riduzione dell’espressione delle molecole che mediano adesione
omotipica cellula-cellula, es: E-caderina che può formare una forma molto meno adesiva, la N-
caderina.
Con l’incremento di markers mesenchimali come vimentina e molecole come N-CAM, cioè più
embrionali e meno adesive. Quindi ci sono cambiamenti nell’interazione cellula-cellula che
permette alle cellule di fondersi o di staccarsi l’una dall’altro. Questo evento promuove l’invasione
tumorale e il processo metastatico e spesso questo tipo di fenotipo si associa con l’espressione di
Markers di staminalità e può essere una sottopopolazione di cellule tumorali.
Le cellule che si muovono indipendentemente, che rappresentano la maggioranza dei tumori, non
sono in proliferazione, quindi sono insensbili a fattori chemioterapeutici, perché non si stanno
dividendo. Ti rendi conto che in proliferazione assumono una forma rotonda, solubilizzano le
membrane nucleari e quindi l’invasione lo avverti in cellule fuori dalla sede. Significa che queste
popolazioni hanno adottato uno stato di quiescenza e quindi sono insensibili a farmaci.
Integrine importanti nell’EMT guidati da Ras
Per quanto riguarda alle integrine che sono state identificate troviamo: α2, β1, α5β1, α V β 1, α 2
e così via. Sono stati trovati di essere importanti nell’IMT e nella capacità adesiva e motile di
cellule tumorali invasive. Sono associate con determinate molecole
α6β4, β1, α3β1, α6β1 sono recettori per la laminina
α2β1 per collagene
α5 β1 e αVβ 1 e αVβ3 sono tutti in grado di legare RGD che sono recettori per qualsiasi
molecola che contiene una sequenza RGD
Il Plasminogeno è fondamentale in questa fase, è uno zimogeno circolare che viene convertito
nella plasmina attraverso l'attività di due principali meccanismi di attivazione quello del urochinasi
e l'altro del tipo tessutale (attivatori di plasminogeno) e cellule tumorali spesso possiedono
recettori che legano plasminogeno urochinasi e anche attivatori del plasminogeno tessutale sulle
loro superfici dove quindi possono attivare la plasmina in una maniera cellula-dipendente.
Alternativamente, le cellule tumorali secretano sia uPA che TPA che insieme ai cofattori. Il
plasminogeno tissutale ha bisogno di collageno di tipo 4 e la lamina per aumentare la sua capacità
attivatoria, tuttavia si può avere comunque l'attivazione in sedi tumorali in forme solubili non
membrano-associato detta attivatore di plasminogeno e generano la plasmina.
L'evidenza di un ruolo nel sistema del plasminogeno nell’invasione include che l’inibitore della
plasmina o gli attivatori del plasminogeno inibiscano l'invasione e metastasi. Il plasminogeno
stimola l'invasione tumorale dipendente dall’attivatore di plasminogeno, quindi aumentando le
quantità di plasminogeno le cellule invadono di più.
Attivatori del plasminogeno sono sovraespressi in tumori maligni in vivo ed espressi anche in
cellule tumorali in vitro.
La plasmina degrada le componenti della membrana basale e attiva i metallo proteinasi e
l’inibizione dell'interazione fra urochinasi con il suo recettore UPAR. Un plasminogeno inibisce la
capacità di formare metastasi quindi oltre che alla metallo proteinasi ha un ruolo fondamentale il
plasminogeno nel processo di metastasi.
Interazione tra MMP ed il sistema del Plasminogeno
Il plasminogeno sistemico viene ad incontrare attivatori del plasminogeno proveniente sia dallo
stroma che dal tumore e PRO-MMP, quindi metallo proteinasi viene rilasciato in forma inattiva
dallo stroma del tumore.
Gli attivatori inducono l’alterazione della plasmina (quindi c'è una forte attività serina proteasica) ,
questa è in grado di attivare lo zimogeno metalloproteinasi in forma attiva che va a degradare
componenti aderenti e rendere l'ambiente pro-invasione attraverso l'eliminazione di barriere della
matrice e l'attivazione di componenti che formano un ambiente proEMT ed invasione. Però c’è
anche un feedback negativo che fa sì che la plasmina può essere degradata una volta che è attivata
MMP3, per esempio, che degrada la plasmina in domini Kringle Angiostatina.
L’angiostatina che rappresenta un frammento della plasmina plasminogeno, separa il sito catalitico
dei domini kringle, essi rappresentano i componenti necessari sia per l'attivazione del
plasminogeno sulle superfici delle cellule anche in soluzioni, sia anche a livello della plasmina da
substrato-specificità, perché i domini che legano i substrati devono essere degradati dalla
plasmina come la fibrina.
Una volta che quei domini Kringle vengono forniti al sistema, questo blocca l’attivazione del
plasminogeno e inibisce l'attività della plasmina, si tratta quindi di un feedback negativo che
blocca l'attività di plasmina quando c'è una sufficienza di angiostatina.
Questo spiega l'osservazione fatta da Volkman il quale notò che durante l’ eliminazione di un
tumore primitivo nel suo modello animale, le metastasi crescevano a causa dell’eliminazione del
angiostatina prodotto nelle sedi primitive attraverso la degradazione del plasminogeno e plasmina
che bloccava in sedi periferiche la crescita metastatica.
Eliminandola, le cellule metastatiche micro-metastasi avevano l'opportunità nella mancanza di
angiostatina domini Kringle di plasminogeno ad attivare una crescita dovuta ad un angiogenesi
indotta.
Alterazione nell’equilibrio fra proteasi e inibitori
Le alterazioni nell'equilibrio sono uguali a quelli dell’angiogenesi la degradazione della membrana
basale e le invasioni tumorali ed angiogenesi dipendono dal cambiamento nell'equilibrio fra
inibitori TIMP e PAI, TIMP per metalloproteinasi e PAI per gli attivatori di plasminogeno, e gli
enzimi MMP attivatori plasminogeno e plasmina.
Una volta che quell’equilibrio viene sregolato c'è la potenzialità di andare in avanti ma questo
viene controllato quando diventano espressi in maniera differenziale di proteasi e inibitori. Quindi
ci sono oncogeni attivati che cominciano a sregolare l’espressione fra proteasi e i loro inibitori
squilibrando e aumentano quando l'espressione in una maniera aberrante delle proteasi senza
inibitori.
con i meccanismi che includono per esempio metallizzazione del gene e inibitori e neuroblastoma,
per esempio, c'è una IMT verso uno stato staminale che aumenta l'espressione di MP 9
proveniente dalle cellule tumorali in condizioni dove gli inibitori delle metalloproteinasi TIMPA i
geni sono repressi quindi c'è una forte stimolo di attività proteolitica.
Degradazione inibitori
C'è anche la capacità di degradare gli inibitori in un ambiente infiammatorio nella stasi
proveniente dai neutrofili degradano inibitori delle metalloproteinasi TIMP 1 .
Protezione contro inibitori
Come urochinasi ed è protetta contro il suo inibitore quando si lega al recettore UPAR quindi
l'attività può andare in avanti anche della presenza di inibitori e tante cellule tumorali esprimono
UPAR.
Inattivatore degli inibitori
ci sono meccanismi che inattivano inibitori espressi, i TIMPs ma non le metalloproteinasi, sono
inibiti da sistemi redox e questi si possono anche trovare nell’ambiente extracellulare, spesso sono
pensati per essere esclusivamente intracellulari però ci sono sistemi redox che sono simili nel loro
comportamento di citochine pro infiammatorie o come interleuchina 1β che vengono secreti in
una maniera anomalo attraverso l’apparato di Golgi , la tirodossina è un esempio, è un’ enzima
redox che viene anche segreto in sedi tumorali in una maniera simile all’ interleuchina 1β
rendendolo un ambiente sensibile all'esterno della cellula a cambiamenti nello stato di
ossidazione.
sequestrare gli inibitori.
È il processo mediante cui cellule epiteliali, normalmente immobili e polarizzate, si convertono in cellule
mesenchimali mobili e non polarizzate; acquisendo motilità, queste cellule sono in grado di abbandonare la
sede d'origine e diffondersi nell'organismo: ovvero, creano metastasi.
• Durante lo sviluppo embrio-fetale, nel contesto della cresta neurale (EMT di tipo 1);
• Durante i processi di guarigione (tipo 2);
• Durante la metastatizzazione (tipo 3). In questo caso, può anche rappresentare un fenomeno
transitorio: alla fine del processo, la cellula coinvolta subisce il processo inverso, tornando epiteliale.
La regolazione dell’EMT coinvolge i seguenti fattori trascrizionali:
• Slug;
• Snail;
• Twist;
• TGF-beta (una citochina);
• MMP-3, MMP-9 e KLF8 (metalloproteasi);
• Un componente dei complessi adesivi delle chinasi.
EMT comporta anche alterazioni a carico dell’espressione di alcune molecole:
1. Adesione cellulare alla membrana basale, per mezzo di recettori integrinici (per esempio alfa-5-
beta-3, alfa-5-beta-1) e non;
2. Degradazione della membrana basale: essa è normalmente impermeabile alle cellule;
3. Migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice stromale.
• Il legame della sequenza RGD con le integrine alfa-5-beta-3 e alfa-5-beta-1, inibisce l’adesione e
promuove l’invasione tumorale in vitro, nonché la capacità di formare metastasi in modelli animali
sperimentali in vivo;
• Le sequenze IKVAV e YIGSR legano la laminina, inibendo la capacità di invasione tumorale e la
formazione di metastasi sia in vitro che in vivo.
Stadio 2: Degradazione della membrana basale
Dipende da una cascata proteolitica che coinvolge metalloproteinasi e il sistema del plasminogeno.
Metalloproteinasi
Le metalloproteinasi appartengono ad una famiglia di 25 membri, -Zn++ dipendenti, tra cui gelatinasi,
collagenasi, stromalisine, membran-type MMP…
Secrete in forma inattiva, vengono attivate in seguito alla rimozione del frammento N-terminale.
Possono essere inibite mediante inibitori naturali (TIMP), agenti chelanti e farmaci quali batismastat e
mermistat, sebbene non sempre funzionino dal momento che le cellule tumorali si avvalgono di potenti
meccanismi di “protezione”.
La loro induzione avviene invece ad opera di oncogeni, fattori di crescita e promotori tumorali, talvolta
forniti dalle stesse popolazioni leucocitarie (TAMs, TANs).
Quando il plasminogeno è presente in quantità di saturabilità, offre un substrato per attivatori urochinasici
(uPA) e attivatori tissutali (tPA). L’attivazione può avvenire secondo due modalità: attivazione pericellulare
e attivazione in soluzione.
Nel primo caso, si stabilisce, sulla superficie della cellula tumorale, un'interazione tra gli attivatori suddetti e
i recettori corrispondenti:
E’ un saggio che coinvolge una camera più o meno costruita come la camera di Boiden, la quale viene
utilizzata come analisi per l’attività chemoattraente, la sola differenza in quel set up dell’ invasione è che la
camera di Boiden è utilizzata “senza invasione”, non utilizza cioè una membrana di matrice sopra il filtro; per
quanto riguarda i saggi con invasione invece, come in questo caso, viene applicato uno strato di membrana
basale composto da laminina, entactina e collagene di tipo IV che offrono una barriera che le cellule tumorali
devono obbligatoriamente attraversare, raggiungendo un terreno sottostante con o senza chemoattraenti.
A quel punto si possono marcare le cellule e andare ad analizzare la quantità di cellule che hanno attraversato
la membrana. Tale membrana ha lo scopo di identificare gli agenti e le condizioni che promuovono l’invasione
tumorale.
Una volta che le cellule tumorali provenienti dall’epitelio hanno superato la membrana basale, c’è la
possibilità che usufruiscano di attività proteolitica ma non necessariamente. Attraverso l’analisi di inibitori di
proteasi, ci si è resi conto che anche se le cellule non invadono in presenza di un inibitore della proteinasi,
alcune migrano in maniera proteoliticamente indipendente. Trovano un modo più facile per muoversi: se ci
sono difetti nella matrice extracellulare, si può avere un’invasione proteoliticamente indipendente. Al
contrario una rigidità nella matrice extracellulare dovuta al “cross-linking” covalente riduce l’invasione
proteasi indipendente.
Recentemente è stato osservato un fenomeno interessante negli elefanti. Essi hanno una struttura nella
matrice extracellulare molto abbondante ed un fenomeno di cross-linking molto molto forte, il risultato è
che per le cellule è molto più difficile migrare, raramente infatti subiscono tumori primitivi e quasi mai
metastatici. Adesso la ricerca si sta focalizzando anche sugli elefanti per vedere esattamente qual è la
componente nella loro matrice extracellulare che può bloccare per i processi tumorali umani. E’stato
evidenziato che la matrice è particolarmente importante in quel contesto. La matrice offre strutture più
facilmente invadenti rispetto ad altre, rendendo sempre una possibile migrazione di una sottopopolazione in
maniera proteoliticamente indipendente.
Nella circolazione. Una volta che le cellule tumorali hanno raggiunto la circolazione ematica, sia attraverso la
via linfatica oppure direttamente, il processo di metastatizzazione non è ancora finito. Esse incontrano altre
barriere che fanno in modo che meno di 1 su 10.000 cellule tumorali circolanti formino metastasi. In realtà
anche meno di 1 su 10.00 perché gli studi utilizzano cellule tumorali selezionate appositamente per essere
metastatiche che vengono poi iniettate sia nel sistema venulare che arteriolare o iniettandole direttamente
nel cuore. Quindi, le cellule devono: evadere dapprima le difese dell’ospite presenti a livello della circolazione,
arrestarsi nella microcircolazione dell’organo dove possono formare metastasi, extravasare, crescere nel sito
metastatico (non sempre facile perché spesso le metastasi sono organo-specifiche quindi ci sono determinate
strutture entro le quali le cellule metastatiche non si dividono bene perciò non si formano metastasi, altri
organi invece vengono colonizzati più facilmente).
Meccanismi di evasione dell’ospite a questo livello includono:
- Aggregazione e/o formazione di trombi tumorali (costituiti da cellule tumorali, leucociti e piastrine;
solitamente le cellule tumorali più in superficie vengono distrutte ma quelle più centrali sono protette)
- Sotto regolazione delle proteine dell’MHC e/o rilascio di vescicole di membrana per
evadere la rivelazione, così che le cellule dell’immunità vengano dirottate verso queste vescicole piuttosto
che verso la cellula stessa (similmente a quanto avviene quando, in guerra, un aereo rilascia particelle
metalliche/magnetiche per dirottare i missili)
- Inattivazione delle componenti del sistema del complemento (ad esempio, le metalloproteinasi MMPs
hanno specificità per componenti del complemento come C1q che viene degradata e non può dare inizio alla
via classica del complemento); inoltre le cellule tumorali come le cellule normali dell’ospite tendono a
produrre molecole che inibiscono, se il complemento viene attivato in sede tumorale, la formazione del MAC
(complesso di attacco alla membrana), usufruiscono di molecole fisiologiche come CD59, CD46 ed altre, per
bloccare l’attività del complemento e spesso sono sovraespressi nelle cellule tumorali bloccando il
complemento attivato
- MMP9 degrada il recettore dell’IL2 (IL2R) sulle cellule T. L’IL2 promuove la proliferazione e l’espansione
clonale delle cellule T che possiedono il T cell receptor. Quindi, se il recettore per l’IL2 viene degradato
L‘espansione clonale è impossibile. Inoltre MMP9 degrada ICAM1 impedendo il reclutamento leucocitario e
degrada l’integrina beta2 (CD18) inibendo il reclutamento dei macrofagi
- Protezione contro l’apoptosi mediata da citochine come fas e TNFalfa dovuta all’attivazione oncogenica (es.
sovraespressione Bcl-2 antiapoptotico) o inattivazione degli oncosoppressori (es. p53)
Arresto specifico
- Peptidi come RGD sintetici (presenti in molecole come fibronectina, entactina e diverse molecole della
matrice extracellulare), YIGSR e IKVAV (della laminina) inibiscono l’adesione fra cellule tumorali e matrice
extracellulare in vitro (inibizione recettoriale) e metastasi polmonare in vivo, dimostrando che l’arresto
specifico integrinico dipendente dai recettori della laminina è importante.
- AlfaVbeta3 sulle cellule tumorali prostatiche o della mammella e osteopontina e bonesialoproteina della
matrice dell’osso arresta le cellule tumorali a livello dell’osso. Quindi, se le cellule tumorali sono in circolo e
poi entrano nel microcircolo dell’osso possono incontrare molecole che le intrappolano e ciò aiuta a spiegare
perché cellule tumorali prostatiche o della mammella spesso danno metastasi a livello dell’osso.
- ICAM1 e/o le selectine (es. ELAM) sulle cellule endoteliali possono legare LFA-1 (integrine) o carboidrati sulle
cellule tumorali regolando la preferenza metastatica ai siti di infiammazione o altri siti. Quindi, è stato
scoperto in modelli anche umani che i tumori spesso danno metastasi in luoghi in cui c’è infiammazione
(chemoattrazione).
- Usufruendo di metodologie molecolari come “Phage display”, cioè una libreria di molecole di adesione
provenienti dal cDNA, sono stati identificati peptidi che legano specificamente cellule endoteliali del
microcircolo del cervello e del rene sostenendo la possibilità che cellule tumorali possano interagire
specificamente con cellule endoteliali in maniera organo specifica. Quindi, molecole di adesione che marcano
determinati letti endoteliali e non altri possono permettere un’interazione specifica.
Extravasazione specifica
- HGF (fattore di crescita degli epatociti) e Activin B prodotti dal fegato, promuovono metastasi tramite il
recettore c-met (che abbiamo visto essere amplificato in associazione al carcinoma del colon) delle cellule
tumorali stimolando extravasazione e motilità senza effetti sulla proliferazione (spesso questo tipo di cellule
provenienti dall’intestino vanno a colonizzare il fegato).
- TGF beta rilasciato dall’osso promuove l’invasione e la motilità delle cellule tumorali prostatiche e della
mammella promuovendo metastasi all’osso (quindi, oltre a un’interazione con la matrice dell’osso in termini
di bonesialoproteina e osteopontina che contengono sequenze RGD c’è anche il rilascio di citochine che
attirano specifiche popolazioni tumorali).
La crescita metastatica dipende da cambiamenti nell’equilibrio fra proliferazione, angiogenesi ed apoptosi.
[Il professore inizia riprendendo gli ultimi argomenti della scorsa lezione, in particolare si sofferma sulla EMT]
La EMT -transizione epitelio-mesenchimale- rappresenta la conversione di cellule epiteliali polarizzate ed
immobili (ricordiamo che circa l’80% delle neoplasie ha origine epiteliale) in cellule mesenchimali, mobili e senza
polarità apicale/basale. La EMT non è un fenomeno tipico soltanto della trasformazione metastatica del tumore,
ma la si ritrova anche durante lo sviluppo embrionale, in particolare durante la formazione della cresta neurale,
e durante alcuni processi riparativi dell’organismo.
Nel corso della EMT il fenotipo neoacquisito dal tumore non è necessariamente permanente, bensì può essere
transitorio e può tornare epiteliale dopo l’evento di metastatizzazione.
Da una vasta gamma di fattori trascrizionali (tipici di particolari ambienti, come quelli infiammatori) come Slug,
Snail e Twist, da citochine come il TGF-beta, da metalloproteasi che degradano la matrice extracellulare come
MMP-3, MMP-9 e KLF-8, quest’ultima coinvolta nelle adesioni focali. Questi fattori trascrizionali “settano” un
percorso di differenziamento verso il fenotipo mesenchimale.
La EMT quindi si associa a cambiamenti complessi nell’espressione delle molecole di adesione omotipica, (che
mediano l’adesione tra cellule di uno stesso tipo) importanti per l’interazione con componenti della matrice
extracellulare e coinvolte nel movimento cellulare, come le E-Caderine di tipo 1 (E-Caderine ed N-Caderine, che
inducono una forte adesione e inibiscono la mobilità) e le Caderine di tipo 2 (Caderine 6, 7, ed 8, che al contrario
inducono una adesione più blanda e favoriscono quindi il distacco e la mobilità delle cellule). Nello specifico
diminuiscono le Caderine di tipo 1 e aumentano le Caderine di tipo 2; aumentano inoltre specifici markers
mesenchimali (come Vimentina ed N-CAM). Questo è un cambiamento complesso, che ha bisogno di una matrice
extracellulare rimodellata. Attraverso queste modifiche, la EMT promuove l’invasione tumorale e il processo
metastatico.
In seguito alla EMT, le cellule interagiscono con componenti della matrice extracellulare, e poiché si sono dotati
di meccanismi di locomozione autonoma (attraverso meccanismi di segnalazione autocrina e paracrina che gli
consentono di riconoscere molecole a distanza), si muovono verso specifici stimoli, fino alla membrana basale.
(ndr. il professore fa un cenno di rimando all’embriogenesi, in cui durante la differenziazione di cellule e tessuti si
verificano eventi che sono riconducibili alla EMT. Ad esempio, i tessuti che derivano dalle creste neurali subiscono
dei cambiamenti simili a quelli che possiamo osservare nei tumori metastatici. Le creste neurali infatti degradano
la membrana basale dell’endoderma, esibendo quindi una EMT, e migrano in varie direzioni, invadendo le
strutture dove poi andranno a formare i vari tessuti. Questo meccanismo riscontrabile nell’embriogenesi viene
appunto conservato anche nel comportamento delle cellule tumorali, il cui comportamento può essere
paragonato a quello delle creste neurali).
1) Adesione cellulare alla membrana basale. (Ricordiamo che la membrana basale è formata da una serie di
glicoproteine, proteoglicani, proteine adesive come la fibronectina e la laminina, collagene di tipo IV, entactina).
2) Degradazione della membrana basale per facilitare il passaggio grazie ad una serie di enzimi.
3) Migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice stromale dopo la degradazione della membrana basale,
servendosi di recettori integrinici e non, che riconoscono componenti della membrana basale degradata. Le
cellule riescono a muoversi sia in maniera randomica che direzionale (chemotattica). Ciò fa sì che le cellule
possono muoversi in modi diversi: ad esempio può anche succedere che delle cellule “pilota” guidino altre cellule
che non hanno completamente acquisito la capacità di muoversi, facilitandone lo spostamento; altre volte, le
cellule possono crescere e proliferare formando “tubi” di cellule che invadono in questo modo la matrice.
Possono anche esserci aree della matrice in cui, attraverso degli inibitori della locomozione, la migrazione delle
cellule è impedita e di conseguenza queste ultime sono costrette a seguire strade diverse.
Dunque, questo fenomeno mostra un certo grado di variabilità sia nei modi in cui può avvenire (ne sono stati
identificati diversi) sia nei tempi che possono occorrere affinchè avvenga l’intero processo; il risultato definitivo
è però sempre lo stesso: le cellule tumorali possono spostarsi dal loro sito primitivo di insorgenza ad un
connettivo, e da qui possono raggiungere le strutture vascolari e linfatiche.
Le vie usate dalle cellule tumorali per raggiungere il circolo sistemico sono:
1) Via Linfatica: è la via più frequentemente utilizzata. Attraverso i capillari linfatici giungono ai linfonodi dove
possono dare metastasi, ed entrano nel circolo sanguigno attraverso la linfa o dal microcircolo linfonodale. La
distanza percorsa dalle cellule tumorali metastatiche può essere determinata tramite una “stadiazione” in cui si
prendono in considerazione proprio i linfonodi interessati da metastasi tumorali, che rappresentano
fondamentalmente la strada seguita dalle cellule tumorali. I linfonodi sono infatti tra le prime sedi interessate da
metastasi tumorali. Durante gli interventi chirurgici oncologici, è importante ricercare la presenza di cellule
tumorali nei linfonodi sentinella attorno al tumore. A tal proposito, prima dell’intervento, si inocula nella sede
tumorale un isotopo radioattivo a breve emivita, così da poterne osservare l’accumulo nelle sedi linfatiche
linfonodali. Questi linfonodi vengono marcati prima dell’intervento, poi rimossi e successivamente sottoposti a
biopsia e analizzati dall’anatomopatologo per ricercare cellule tumorali. A quel punto il chirurgo può decidere se
evitare l’escissione chirurgica del linfonodo (nel caso in cui la biopsia non rilevi la presenza di cellule tumorali),
oppure, in caso contrario, procedere alla linfoadenectomia dei linfonodi invasi da cellule tumorali per rimuovere
la rete linfonodale metastatizzata.
2) Via Ematica: attraverso la linfa o direttamente dalla penetrazione vascolare. Coinvolge gli enzimi proteolitici
che degradano la sottile membrana basale dei capillari. (nds. nel video della lezione è presente un’animazione
che mostra la cellula tumorale che tenta di penetrare il vaso sanguigno)
3) Via Canalicolare: interessa i dotti escretori delle ghiandole esocrine nelle quali ha sede il tumore primario
(p.e. negli adenocarcinomi papilliferi delle pelvi renali alcune metastasi raggiungono la vescica attraverso
l’uretere).
4) Via Trans-celomatica: disseminazione attraverso le cavità sierose (tumori polmonari, dell’esofago, o della
mammella possono muoversi attraverso la cavità pleurica; tumori dello stomaco, ovaie e intestino possono
muoversi attraverso la cavità peritoneale).
Tramite diversi esperimenti su animali è stato osservato che, raggiunto il circolo sistemico, meno di una cellula
su 10000 può formare metastasi. Questo basso rapporto è dovuto ad una serie di fattori, come l’eliminazione
dovuta alle cellule circolanti del sistema immunitario e alle varie difese dell’organo. A questo punto la cellula
deve arrestarsi all’interno della microcircolazione dell’organo distante, extravasare (anche se l’extravasazione
non è sempre necessaria, specialmente nel caso in cui la cellula presenti meccanismi di proliferazione; in questo
caso la cellula prolifera fino a far scoppiare il vaso) e crescere nel parenchima dell’organo colonizzato. Non tutti
i tessuti consentono lo sviluppo di metastasi e ciò è un ulteriore motivo che riduce il rapporto tra cellule tumorali
che raggiungono il circolo ematico e quelle che effettivamente danno metastasi.
I meccanismi di evasione di queste cellule dalle difese dell’organismo sono:
• Aggregazione e formazione di trombi tumorali con leucociti e piastrine: coaguli che fanno sì che le
cellule tumorali all’interno della massa del trombo possano sopravvivere, mentre le esterne vengono
invece sottoposte all’attacco linfocitario
• Sotto-regolazione del MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) e/o rilascio di vescicole di
membrana che confondono le cellule anti-tumorali; è un comportamento che ad esempio si riscontra
nei tumori dell’ovaio, che rilasciano appunto queste vescicole, per fare in modo che le cellule anti-
tumorali attacchino queste anziché le cellule tumorali vere e proprie
• Inattivazione del sistema del complemento (p.e. MMPs -metalloproteasi- degradano la componente
C1q del sistema del complemento, limitando il coinvolgimento dell’interazione C1q/C1Qr02 nella
risposta immune al tumore)
• Degradazione da parte della MMP-9 del recettore per la IL-2 localizzato sulla membrana dei linfociti T,
di ICAM-1 (e conseguente inibizione del reclutamento leucocitario), e dell’integrina beta-2 (e
conseguente inibizione del reclutamento dei macrofagi). MMP-9 è spesso espresso dalle cellule
tumorali.
• Inibizione della trasduzione dei segnali estrinseci dell’apoptosi, attraverso le citochine Fas e TNF-alpha,
dovuta ad attivazione di specifici oncogeni (come BCL-2) o inattivazione di oncosoppressori (come p53,
necessario e fondamentale per l’integrità del genoma): quest’ultimo meccanismo è spesso riscontrabile
nei tumori più aggressivi.
• Degradazione della proteina Surfactante D, conseguenze limitazione della sorveglianza SP-D
dipendente ed aumento della suscettibilità all’infezione.
• Aumento della quantità di cellule dendritiche tollerageniche in grado di aumentare il numero dei
linfociti T-regolatori che sopprimono intorno a loro i linfociti T-citotossici CD8+
• L’ematopoiesi iperattiva VEGF-mediata aumenta il numero delle cellule mieloidi soppressori della
proliferazione ed attiva i linfociti T, riducendo la sorveglianza immunologica.
La maggior parte delle cellule tumorali circolanti (aggregate o in trombi) si arrestano meccanicamente nel primo
letto microcircolatorio che raggiungono (polmone per numerosi tumori o fegato per i tumori intestinali). Tuttavia,
alcuni tumori esibiscono preferenze d’organo non spiegabili con questo meccanismo, come osservato
dall’oncologo Paget, che si occupava in particolare di tumori della mammella. Qui sono elencate le differenze tra
le sedi di origine e le sedi metastatiche di alcuni tumori, che mostrano un’organospecificità della
metastatizzazione le cui motivazioni non sono del tutto chiare.
Alcuni meccanismi proposti per spiegare questo comportamento, per questa organospecificità in termini di
metastatizzazione, sono:
-Arresto: potrebbe esserci una certa affinità tra cellula tumorale e cellule endoteliali nella microcircolazione o
nella matrice extracellulare dell’organo interessato. Non tutte le cellule endoteliali sono uguali; ci sono marcatori,
ad esempio proteine, espresse da cellule endoteliali dei vasi di determinati microcircoli e non di altri, che possono
essere riconosciuti in maniera specifica da alcuni tumori. In questo modo il tumore bersaglia solo quel
determinato distretto microcircolatorio (e gli organi da esso interessati).
-Extravasazione: alcune molecole prodotte dall’organo interessato stimolano la motilità o l’invasività delle
cellule tumorali circolanti, e di conseguenza le attirano. Un esempio è dato una particolare chemochina prodotta
dal midollo osseo, SDF-1, importante durante l’emopoiesi, che è riconosciuta da recettori come CXCR4 o CXCR7
espressi dalle cellule tumorali, spesso nel tumore della mammella e della prostata.
-Crescita (Ipotesi ‘Seme e Terreno’ di Pagett, oncologo francese attivo nello studio del tumore della mammella):
la crescita delle metastasi in una maniera organo-specifica è dovuta alla capacità delle cellule metastatiche (in
questa metafora il seme) di crescere nel tessuto appropriato (il terreno), un terreno che quindi può mostrare una
sorta di “preparazione” ad accettare metastasi tumorali anche a prescindere dall’evento metastatico, ancor
prima che questo avvenga. Questa teoria risulta essere supportata da una serie di evidenze:
Queste
osservazioni hanno di fatto dimostrato che esistono tessuti ‘prediletti’ da specifiche classi di cellule tumorali e
rappresentano quindi un valido supporto alla teoria di Pagett.
Ad esempio, il primo punto evidenzia come esistano ambienti che favoriscono un cambiamento nell’equilibrio
tra il tasso di proliferazione e di apoptosi. Ciò ovviamente dipende dalla natura delle cellule, in quanto non tutti
i terreni sono uguali; i terreni più adatti sono quelli in cui il rapporto tra proliferazione e apoptosi delle cellule si
sposta in favore della prima (eventi di metastasi). Ci sono anche tessuti dove accade l’opposto: c’è un
cambiamento che non facilita la crescita di cellule tumorali perché prevalgono gli eventi di apoptosi.
Il secondo punto illustra come ci siano appunto ambienti e terreni specifici che aumentano la crescita di un tipo
tumorale e non di altri in determinate sedi. Ciò ha a che fare con la presenza di fattori di crescita specifici, o una
matrice extracellulare che promuove un’angiogenesi più forte (facilitando quindi il nutrimento e l’ossigenazione
dei tumori, dunque la loro crescita).
Il terzo punto sottolinea come non tutti i tessuti siano propensi a sostenere la crescita metastatica. Il quarto
punto, sostenuto da evidenze sperimentali (cellule tumorali marcate in animali) dimostra come le cellule
metastatiche si distribuiscano effettivamente a tutti i tessuti; ma una volta raggiunto un determinato tessuto,
crescono solo in alcune condizioni e non in altre. Sicuramente, il fattore saliente riguarda la capacità delle
micrometastasi di dare luogo, in determinati distretti tissutali, ad angiogenesi, requisito essenziale affinchè esse
possano crescere e diventare metastasi vere e proprie.
Judah Folkman, oncologo statunitense noto per le sue ricerche sull’angiogenesi tumorale, attraverso degli
esperimenti illustrò quanto la capacità angiogenetica della sede metastatica possa essere controllata a livello
della sede tumorale primitiva; infatti, in animali che presentavano tumori sia in sedi primarie che secondarie, la
capacità angiogenetica delle cellule metastatiche diminuiva sensibilmente se si asportava il tumore posto nella
sede primaria. Quindi le sedi tumorali primitive controllano la crescita metastatica inducendo angiogenesi.
→ alcuni peptidi contenuti in specifiche proteine (RGD nella fibronectina, YIGSR e IKVAV nella laminina) legano
recettori di natura integrinica e non, responsabili dell’arresto di alcune cellule tumorali in alcuni tessuti
→ l’integrina aVb3 espressa sulle cellule tumorali prostatiche o della mammella, interagendo con osteopontina
e bonesialoproteina della matrice extracellulare del tessuto osseo inducono l’arresto della cellula tumorale
nell’osso;
→ ICAM-1 e/o le selectine (come ELAM) espresse sulle cellule endoteliali possono legare LFA-1 o specifici
carboidrati sulle cellule tumorali regolando la preferenza metastatica ai siti di infiammazione o altri siti;
→ metodologie di biologia molecolare come il Phage Display hanno identificato peptidi che legano
specificatamente cellule endoteliali della microcircolazione del cervello e del rene, sostenendo la possibilità che
cellule tumorali possono interagire specificatamente con cellule endoteliali organo-specifiche. Quindi durante il
loro viaggio nella circolazione sanguigna, le cellule tumorali vengono arrestate da questi meccanismi di adesione
e si fermano in letti vascolari specifici. (nds: Phage display è una tecnica di laboratorio per lo studio delle
interazioni proteina–proteina, proteina–peptide e proteina–DNA che usa dei batteriofagi (virus che infettano
batteri) per collegare le proteine con le informazioni geniche che codificano per esse).
L’obiettivo è di arrivare a conoscere bene questi meccanismi, per bersagliarli e rallentare la progressione
tumorale in termini metastatici.
EXTRAVASAZIONE SPECIFICA
HGF e activin B prodotti dal fegato promuovono metastasi c-met, stimolata dai cambiamenti
genetici associati alle metastasi. C-met è una delle molecole maggiormente espresse dalle cellule
che causano metastasi.
TGF BETA rilasciate dall’osso promuove l’invasione e la motilità delle cellule tumorali prostatiche e
della mammella nell’osso. Le metastasi dell’osso (osteolitici)compromettono la funzionalità
dell’osso stesso e le varie funzioni ad esso associate, possono essere utilizzati degli inibitori
chemioattraenti rallentando il corso di diffusione tumorale, ma possono crearsi altri modi per
permettere la metastatizzazione.
MODIFICA EQUILIBRIO TRA PROLIFERAZIONE, ANGIOGENESI E
APOPTOSI
I tumori possono alternare fasi di ipossia a fasi di ossigenazione cambiando le espressioni geniche;
possono attivare anche delle reazioni di ossido-riduzione, importanti per stimolare alcuni fattori di
trascrizione acquistando una capacità di tipo invasivo che permetteranno i processi di
metastatizzazione.
Micro RNA 9, tra i 18 e 24 nucleotidi, adottano strutture particolari a livello del nucleo, sono
organizzati come geni normali ma questo RNA non va a codificare una proteina, ma interagisce con i
fattori di trascrizione e blocca la produzione di E-caderine,
Myc e MycN sono geni oncogeni, amplificati nei tumori di natura neuroblastoma, sono altamente attivi in
condizioni metastatiche
Le cellule tumorali tendono a fornire delle cellule sempre più indifferenziate che arrivano addirittura ad uno
stato che prende il nome di cellule “staminali like”. Queste popolazioni sono molte pericolose in quanto
mostrano un’attività fenotipica reversibile, sono multipotenti, auto-rinnovabili, metastatiche e resistenti
alla terapia.
Le cellule tumorali staminali sono state trovate in tanti tumori solidi in determinate nicchie tumorali
ipossiche e necrotiche. In queste aree, c’è un elevato stress ossidativo ed una maggiore difficoltà a far
arrivare sostanze nutrienti data dalla mancanza di ossigeno. Inoltre tali cellule tumorali sono fondamentali
nell’evoluzione del tumore stesso.
I primi esperimenti, hanno rilevato la loro importanza nella proliferazione e nell’eterogeneità del tumore.
Inoltre si è visto come queste cellule tumorali staminali siano altamente resistenti a:
• Farmaci, poiché in ambienti privi di ossigeno non c’è un letto vascolare adeguato grazie al quale i
farmaci riuscirebbero a penetrare nel tessuto bersaglio.
• radiazioni ionizzanti, poiché la citotossicità delle radiazioni ionizzanti è minore in assenza di
ossigeno
La plasticità delle cellule staminali tumorali le rende capaci di modificare il loro stadio di differenziamento.
Queste si dividono mediante una divisione asimmetrica, grazie alla quale si avranno due tipi cellulari
differenti: una nuova cellula staminale tumorale ed una cellula che invece andrà incontro a
differenziazione.
Nei tumori degli adulti le cellule tumorali staminali possono derivare da:
• modificazione delle cellule staminali (si trovano in ogni tessuto). Quando il tumore è innescato
direttamente dalle cellule staminali, sarà già in uno stadio molto aggressivo. Questo accade per
esempio nel microcitoma, ovvero il carcinoma polmonare a piccole cellule.
RESISTENZA AI FARMACI
Sebbene nessun singolo marker sia specifico per le cellule tumorali staminali, i pattern di espressione dei
marker possono distinguere cellule tumorali staminali dalla sottopopolazione non staminale e pertanto
essere utilizzati per il bersagliamento terapeutico. Le cellule staminali tumorali sono una popolazione molto
difficile da eliminare ma devono essere i veri bersagli dei farmaci.
La resistenza ai farmaci è dovuta a :
1. frequente stato di pseudo-senescenza, nel quale le cellule staminali tumorali si trovano in fase G0.
Ciò può avvenire anche nelle cellule staminali normali di tessuti, che rimangono in quiescenza fino
allo stimolo di proliferazione. Per questo motivo gli agenti chemioterapici, che hanno come
bersaglio le cellule con elevata proliferazione, possono non sortire effetto.
2. ciclo cellulare lento
3. maggiore espressione di inibitori dell’apoptosi
4. repressione di p53
5. metabo-tipo glicolitico flessibile: metabolismo particolare di tipo flessibile che dipende dal danno
genetico che contiene il tumore. Il fatto che sia glicolitico porta ad un’aumentata produzione di
anti-ossidanti ed un’elevata espressione di trasportatori di membrana, deputati all’efflusso di
farmaci. Il metabolismo glicolitico attenua l’espressione di ROS, aumenta la produzione di
antiossidanti che detossificano dai metaboliti di O2 ed ha un’elevata capacità di eliminare i farmaci
grazie ai trasportatori di membrana
Determinate condizioni all’interno del tumore possono generare cellule tumorali giganti poliploidi. Queste
cellule sono prodotte da mitosi aberranti indotte frequentemente dall’amplificazione del centrosoma
(riprende la teoria di Bovary).
Le cellule tumorali giganti poliploidi sono considerate l’origine dell’aneuploidia del cancro, con conseguente
instabilità cromosomica, dovuta ad un meccanismo di transizione da diploide a poliploide attraverso degli
eventi che rendono aberranti le mitosi.
Queste cellule possono dividersi anche se presentano un numero elevato di centrosomi, quindi anche una
cellula errata può dividersi formando cellule aneuploidi. Le cellule giganti che presentano polinuclei di
diversa grandezza si riorganizzano in tanti diversi nuclei e possono scoppiare attraverso un meccanismo
definito “blebbing”. Nel “blebbing” i nuclei lasciano i corpi delle cellule giganti formando una progenie
secondaria altamente tumorogenica, instabile, metastatica e resistente ai farmaci.
Queste cellule sono considerate delle potenziali fonti di cellule tumorali e sono promosse da:
• attivazione di oncogeni:
-TrkAIII
-polo-chinasi
-Chk chinasi= Chk1 e Chk2 sono chinasi attivate da ATM/ATR in seguito a danno del DNA. Queste
chinasi possono amplificare i centrosomi creando più centrosomi nella stessa cellula e
promuovendo poli-mitotoci multipli. Questo mette in difficoltà il processo mitotico
• perdita della funzione di oncosoppressori:
-APC: si è visto come i topi knockout per il gene APC sviluppano cellule poliploidi a livello intestinali,
ovvero precursori di tumori se gli animali vengono posti in ambienti ostili (serve un promotore
infiammatorio insieme alle cellule poliploidi per formare polipi e tumori attraverso aneuploidia)
-BCRA1
-p53
• nicchie tumorali acide e ipossiche
• virus oncogeni: attraverso le modulazioni delle membrane nelle quali si replicano, i virus inducono
fusione tra cellule creando cellule multinucleate
• varietà da agenti chemioterapici
Le cellule tumorali giganti poliploidi sono presenti in quasi tutti i tipi tumori e rappresentano circa il 5/20%
della massa tumorale (percentuale che aumenta nel caso di recidiva post-terapia). In un primo momento si
riteneva che queste cellule fossero senescenti e non influenzassero l’aggressività del tumore, al contrario si
è scoperto ora come le cellule tumorali giganti siano fondamentali per fornire cellule con cariotipo molto
aggressivo di natura staminale.
Eliminare le cellule tumorali staminali è molto difficile per tutte le caratteristiche che possiedono
(staminalità, plasticità fenotipica, capacità di rinnovamento, resistenza ai farmaci); tuttavia solo la loro
eliminazione ci avvicinerà ad una vera cura per i tumori recidivi aggressivi post-terapeutici.
1)prendere di mira marcatori funzionali di superficie specifici (oncogeni, percorsi di segnalazione con
anticorpi e inibizione di piccole molecole): è molto difficile fare ciò poiché non sono attualmente molto
conosciuti oppure sono gli stessi marcatori espressi delle cellule staminali normali, anche se in
concentrazioni differenti.
2)inibire HIF-α e HIF-β , responsabili della risposta ipossica che promuove la formazione di staminalità
3)riossigenare il microambiente tumorale, per esempio utilizzando nuove molecole carrier che trasportano
ossigeno all’interno della cellula oppure fornendo una struttura vascolare più matura che dia maggior
apporto di ossigeno
4)ridurre l’espressione delle proteine trasportatrici per diminuire l’efflusso dei farmaci
5)la progettazione di nuove molecole CAR per mirare ed infiltrare nicchie staminali tumorali. Un esempio
sono le cellule CAR-T.
7)inibire i sistemi antiossidanti redox per aumentare la sensibilità ad agenti tossici e ridurre la loro farmaco-
resistenza
Patologia molecolare 2
14/01/2021
Mutazioni diverse si formano anche in maniera famigliare, in modo specifico in diverse popolazioni.
Studi importanti sono stati fatti, mostrano a livello clinico quali mutazioni sono da ricercare nei diversi
popoli, nel contesto di una medicina preventiva.
Possono già essere presenti tanti “semi di cancro” dentro il nostro genoma, già presenti e in attesa di
essere attivati e coinvolti. E’ importante sapere che il nostro genoma contiene materiale proveniente
non solo dalle nostre origini batteriche, ma anche altro materiale che è giunto tramite infezioni durante
l’evoluzione, che ha permesso il passaggio di materiale orizzontalmente e verticalmente attraverso
altri organismi. Che cosa significa avere queste sequenze geniche? Introduciamo il termine “DNA
mobile” quindi geni che possono “saltare” e muoversi dentro i genomi. Ci sono diverse sequenze nel
nostro genoma che contengono geni che se si svegliano possono danneggiare il DNA attraverso
transposizionamento.Si parla di presenza di “trasposoni a DNA”. Essi rappresentano sequenze di
DNA che facilitano (attraverso l'utilizzo di enzimi come transposasi ma anche enzimi che vengono
codificati entro tali sequenze) lo spostarsi ricombinando il genoma batterico, che è in forma
plasmidica. Ricordiamo infatti che i batteri presentano un genoma che non è incapsulato e organizzato
come i nostri cromosomi, ma è in forma circolare. Questi DNA possono essere, una volta “attivati”,
fonte di un’aumentata diversità genomica e il risultato di un aumento alla resistenza contro gli
antibiotici, per cui solo quelli che presentano determinati genomi in grado di riconfermarsi riescono a
sopravvivere.
Questi DNA mobili sono in grado di “tagliarsi” separandosi dal trascritto di DNA e riposizionarsi nei
batteri e anche in altri contesti senza un RNA intermedio, facilitati da elementi genetici riconoscibili
con il nome di trasposasi. Questi elementi genetici codificano per gli enzimi trasposoni. Alcuni
trasposoni sono aspecifici e legano qualsiasi sito del DNA; i terminali possono legarsi a siti aspecifici o
specifici e nel rilegarsi le trasposasi tagliano il dna liberando i trasposoni. (Essi contengono sequenze,
risultando nell’overhangs 3’-5’ chiamato “adesivi” che vengono rilegati in un nuovo sito del DNA). E’ un
operazione che coinvolge la dna polimerasi che riempie il sito del taglio e la ligasi che può risultare
anche nella duplicazione del sito bersagliato.
I siti che contengono trasposoni a DNA si riconoscono perchè presentano sequenze corte e ripetute. I
trasposoni a DNA possono replicarsi durante la fase S del ciclo, quando il sito donatore ma non il sito
accettore è stato replicato. Nei batteri, i trasposoni possono trasferirsi da un plasmide ad altri plasmidi
o da un cromosoma ad un plasmide e viceversa, e causare la trasmissione di geni di resistenza agli
antibiotici, fenomeno che si vede in particolare in batteri che promuovono la resistenza agli antibiotici.
E’ un esempio di movimento di geni in maniera orizzontale, dove i plasmidi possono essere
trasmessi e i geni possono essere mossi attraverso i fagi in altri batteri. Alla base dei genomi batterici
c’è la capacità di muovere il DNA, importante per facilitare la ricombinazione in ambienti diversi e
promuovere la sporavvivenza tramite l’adattamento.
Trasposasi e cancro
Nel cancro, l’attività della trasposasi DNA RAG1 / 2 e PGBD5 è stata implicata in riarrangiamenti
genetici nelle leucemie infantili, come il medulloblastoma e il neuroblastoma. Recentemente sono stati
trovati anche in tumori adulti. Queste sequenze di DNA mobili possono quindi essere riattivate, a
causa di oncogeni, dell’enzima trasposasi. Ricordiamo che sono “spenti” in tutti i tipi di cellule,
lasciando un ruolo fisiologico nella produzione di anticorpi specifici e recettori T-cell specifici durante
l’immunità.
Nel nostro genoma sono anche presenti sequenze retrovirali endogene, formano parte del nostro
genoma e si sono evolute allo scopo di aumentarlo enormemente. Allo stesso tempo si sono formati
elementi importanti che bloccano la capacità potenziale propria di queste sequenze retrovirali di
diventare attive, il che causerebbe una instabilità genomica dovuta al fatto che potrebbero duplicarsi e
reinserirsi nei genomi.
Potrebbe essere un meccanismo coinvolto nella genesi dei tumori, è stata avanzata come ipotesi
originariamente nel 1936, da un certo Joseph Bittner che analizzando un ceppo di topi che
sviluppavano carcinomi alla mammella in ambito famigliare, ha scoperto il Bittner virus, anche
conosciuto come MMTV, “Mouse Mammary Tumor Virus”. E’un virus presente nel genoma dei
mammiferi e particolarmente nel ceppo dei topi ha subito una modificazione, è stato infatti trovato un
fattore presente nel latte in grado di indurre tumore della mammella nei topi. Fu caratterizzato come
un Bittner retrovirus con la presenza della trascrittasi inversa ed elementi sensibili agli ormoni
femminili per aumentare la replicazione durante la gravidanza. E’ stato trovato nel latte e così veniva
trasmesso ai cuccioli. MMTV virus, come sequenza, è stato identificato per poi poter identificare
un’equipollenza nel genoma umano, la sua controparte insomma, corrispondente al retrotrasposone
HERV-K. Avvenne nel 1986,
nacque così l’analisi dei
retrotrasposoni non solo nei
topi ma anche negli umani, da
prendere in considerazione
come una ipotetica fonte di
malattie genetiche.
Retrotrasposoni.
I Retrotrasposoni che sono
stati trovati nei genomi dei
mammiferi durante
l’evoluzione possono essere
classificati in diverse forme:
LTR-retrotrasposoni
(retrovirus endogeni);
Elementi lunghi intervallati
nucleari (LINEs); Elementi
corti intervallati nucleari
(SINEs); Pseudo-geni
processati (Pseudo-geni).
Questi ultimi rappresentano
geni che codificano per proteine quando
sono legati con un promotore, “pseudo” geni
proprio perché non possono essere
espressi come proteine (non portano
l’informazione di una proteina), ma
rappresentano geni che sono stati duplicati
e ripresentati al genoma.
LTR-retrotrasposoni (Retrovirus
endogeno 4,7% del genoma umano)
Per quanto riguarda i retrotrasposoni che contengono i Long Terminal Repeat, presenti nei retrovirus
oncogeni, possiamo dire che occupano quasi il 5% del genoma umano, sono stati fondamentali per
l’amplificazione del genoma, quindi fondamentali in chiave evoluzionistica. Contengono domini “LTR”
(Long Terminal Repeat) considerati essere retrovirus endogeni, presenti nel genoma in seguito ad
infezioni retrovirali precedenti. Pur essendo altamente mutati, sono stati ritrovati nei topi sono con la
capacità di riformare retrovirus infettivi (MMTV) anche in seguito alla ricombinazione. Ci sono 31
famiglie di LTR retrotrasposoni nel genoma umano, ma nessuno fino ad ora è stato in grado di
formare virioni infettivi, anche se la possibilità esiste. Stanno verificando. Sono attivi come retrovirus
endogeni, sanno esprimersi e regolare l’espressione di altri geni: sono spesso trovati come regolatori
trascrizionali in altri geni. La loro espressione è correlata con l’invecchiamento e patologie come: SLE,
lupus eritrematoso sistemico; sindrome di Sjorgen; malattia di Jakob Cruetzfeld; SLA; schizofrenia;
sclerosi multipla e tumori diversi. Le riattivazioni di tali sequenze, per danno a livello del DNA, può
apparire in determinate circostanze con conseguenze drammatiche.
Per quanto riguarda i meccanismi attraverso il quale I HERV_k possono essere coinvolti in processi
oncogenetici,c’ è la possibilità di mutazioni inserzionali, ovviamente quando riattiva la trascrrittasi
inversa basata sul prodotto di mRNA proveniente deal retrovirus...…...
HERV-K ed esosomi
Vi è una sorta di equipollenza tra l’attività degli esosomi e la replicazione retrovirale: alcuni meccanismi
di replicazione retrovitale si adattano infatti nel contesto di una cellula eventualmente provvista di HERV
difettosi, utilizzando gli esosomi in luogo dei retrovirus. Questo fenomeno si spiega sulla base di queste
evidenze:
● L’m-RNA d HML-2 è imballato negli esosomi, quasi come nei virioni, e può essere trasferito nelle
cellule normali;
● Anche gli esosomi contengono c-MYC, a sua volta riattivato da Np9 e Rec;
● HML-2 negli esosomi non ha bisogno della proteina Env per infettare, quindi gli esosomi
possono rendere infettivi gli HERV difettosi.
Possiamo considerare il nostro organismo come il prodotto di una guerra molecolare, combattuta anche
a livello del nostro genoma. Nel genoma, l’8% di HERV presente ha una plasticità ed una flessibilità
fisiologica, ma può causare effetti HERV-mediati patologici in termini di induzione o promozione di
processi tumorali, auto-immuni o di altro genere. Non vi sono ancora evidenze rispetto al fatto che gli
HERV possano indurre la trasformazione direttamente attraverso mutazione inserzionale, si ritiene
piuttosto che tale funzione sia svolta tramite le onco-proteine Rec e Np9 o tramite proteine che
influenzano l’immunità e l’infiammazione.
In conclusione, è come se i “semi” del cancro fossero già dentro di noi, in forma retro-virale;
chiaramente, questi si attivano qualora vi siano delle lacune nei meccanismi di repressione dei retro-
virus. Se il tumore è indotto invece da fattori esterni, il ruolo del retrovirus si inserisce nei meccanismi
di progressione di tale tumore.
L1 nel cancro
L1-ORF-1p si osserva nel 50% delle neoplasie L1 immunoreattive.
I tumori L1 positivi sono:
● Carcinoma invasivo della mammella: il 97 % di questo tumore mostra L1 positività;
● Carcinoma ovarico di alto grado, 91.5 %;
● Carcinoma duttale pancreatico, 89 %. L’inserzione di L1 e la conseguente espressione di
ORF1p in questo tumore si trova sia in fase primitiva che metastatica;
● Tumori endometriali, biliari, dell’esofago, della vescica, della testa e del collo, e del
polmone, 22.6 – 76.7 %.
Nei tumori epiteliali, l’inserzione di L1 promuove i meccanismi di EMT, con conseguente
disseminazione metastatica.
L’inibizione della trascrittasi inversa di L1, riduce la proliferazione e promuove il differenziamento
delle cellule tumorali della mammella: bersagliando le trascrittasi inverse, è dunque possibile limitare
il ruolo di L1 rispetto alla promozione tumorale.
In diversi tumori è stata riscontrata una ipometilazione a carico del promotore di L1, associata alla
trascrizione e all’espressione di L1 stesso: è stato pertanto dedotto che, in condizioni fisiologiche, la
metilazione del promotore di L1 lo silenzia, impedendo dunque l’espressione di L1. I meccanismi,
fisiologici, attraverso cui avviene la regolazione dell’espressione delle proteine codificate dal genoma di
L1, sono i seguenti:
● L’iper-metilazione, a livello di L1 5’ UTR CpG, inibisce l’espressione di L1 e riduce il danno
genomico; al contrario, l’ipo-metilazione del promotore di L1 si associa a tumori epiteliali con
danno genomico.
● Bersagliando l’intermedio a RNA di L1 con HnRNPL (una nucleo-proteina), si inibisce
l’inserzione di L1 stesso; HnRNPL infatti interagisce direttamente con l’RNA di L1, inibendone
la trasposizione, e quindi riducendo i livelli di RNA L1 a disposizione per la retro-
trascrizione.
● RNAsiL riduce l’espressione ORF1p e ORF2p provenienti dal genoma di L1, attraverso la
degradazione del mRNA; sotto regolazione di RNAsiL, aumenta la trasposizione di L1 nelle
cellule tumorali ovariche.
● Il recettore per la melatonina-1 (MT-1) riduce l’espressione di RNA L1 e della proteina ORF1p.
● Meccanismi di autofagia inibiscono la retro-trasposizione di L1, attraverso la degradazione del
RNA intermedio.
● L’elicasi del RNA MOV10 si associa con L1-RNP promuovendo la formazione di granuli di
stress citoplasmatici che inibiscono la trasposizione di L1.
● La proteina anti-virale ZAP lega L1-RNP inibendo la trasposizione, attraverso il sequestro, nei
granuli citosolici.
● La citosina deaminasi APOBEC3, bersagliando il DNA di L1 (e di retrovirus in genere)
promuove la conversione delle citosine ad uracile, sottoponendo il DNA L1 a meccanismi di
degradazione endonucleasica.
● Le endonucleasi TREX1 ERCC17XPF degradano il cDNA di L1.
Esistono dunque meccanismi di repressione dei retro-trasposoni, “intrinseci” nel genoma; solo in
alcune circostanze le proteine coinvolte possono essere utilizzate a scopi fisiologici. Se le molecole
implicate in questi meccanismi vengono danneggiate, possono svilupparsi tumori.
In conclusione
● L1 può causare mutazioni e riarrangiamenti a carico del genoma, compromettendo la stabilità
genomica;
● Poiché l’inserzione di L1 interferisce con il normale processamento del RNA, l’espressione di L1
promuove lo sviluppo tumorale;
● Nei tumori umani, sequenze L1 sono frequentemente ipometilate;
● Inoltre, L1 promuove la progressione metastatica, eludendo progressivamente tutti i
meccanismi di repressione.
Poste queste considerazioni, è chiaro che l’elevato numero di scambi comporta un’importante instabilità
genetica, sottoponendo più facilmente il DNA ad eventuali mutazioni in senso tumorale; questo spiega
perché si registrano alte percentuali di insorgenza precoce di tumori:
● 15-20 % di pazienti con leucemia presentano sotto i 30 anni;
● 30 % di pazienti con carcinoma presentano sotto i 20 anni;
● …
Oltre ad indurre tumori, queste condizioni di instabilità genetica promuovono anche la crescita del
tumore in questione.
Patologia molecolare
Prof. Mackay
Sbobinatori: Aurora Ledda e Giada Ragusi
Revisori: Gianmarco Chiacchia e Aurora Ledda
Data: 21.01.2021
Il ruolo dell’in ammazione nelle progressioni tumorali o nelle protezioni contro il tumore.
L’in ammazione a livello di cellule presentanti danno genomico può essere coinvolta nella genesi
di tumori.
Infatti dobbiamo ricordare che in seguito a eventi in ammatori o durante in ammazioni croniche vi
è il ripristino di rigenerazioni tessutali tramite un turnover continuo e quindi una continua
proliferazione cellulare.
In mancanza di oncosoppressori si crea un ambiente favorevole a trasformazioni.
I leucociti sono osservati da tempo nei tumori e hanno fornito i primi indizi riguardo la correlazione
tra cancro e sistema immunitario.
Solo negli ultimi anni abbiamo ottenuto prove evidenti che l’in ammazione svolge un ruolo
fondamentale nello sviluppo del cancro e stiamo iniziando a capirne i meccanismi molecolari
coinvolti.
L’infezione cronica, l’obesità, il fumo, il consumo d’alcol, gli inquinanti ambientali, le diete ricche di
grassi sono riconosciute come fattori di rischio maggiori per i tipi più comuni di cancro e sono
legati ad esso mediante l’in ammazione.
Sappiamo come i tessuti e le cellule rispondono all’in ammazione acuta: dolore, calore, gon ore,
arrossamento e perdita della funzionalità.
La risposta in ammatoria acuta generalmente è acuta e protettiva. Tuttavia se gli agenti che la
provocano persistono essa evolve in cronica.
L’in ammazione cronica aumenta il rischio di insorgenza di tumori, in particolar modo se
associata a mutazioni a carico del genoma.
I neutro li sono le prime cellule che rispondono alle in ammazioni e rilasciano specie di ossigeno
reattivo che uccidono i patogeni.
Nell’in ammazione cronica c’è una prevalenza di macrofagi con conseguente danno tessutale e
cicatrizzazione.
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I tumori appaiono come ferite croniche che non guariscono. Sono caratterizzate dalla
sopravvivenza e migrazione cellulare, fattori di crescita, angiogenesi e molecole attive nelle vie di
segnalazione.
Sono circondati da cellule immunitarie coinvolte nella guarigione che secernono citochine e fattori
di crescita che promuovono le progressioni tumorali invece di placarlo e ridurlo.
Le prime osservazioni che l’hanno visto correlato a in ammazioni associate a tumori è avvenuta
con l’identi cazione dell’oncogene retrovirale V-Rel.
V-Rel oncogene (reticuloendotheliosis virus oncogene) responsabile dell’induzione di tumori fatali,
principalmente linfomi e leucemie, negli uccelli.
Attraverso la procedura con la quale sono stati identi cati i protoncogeni normali, utilizzati dai
retrovirus e convertiti in oncogeni, utilizzando la complementarità delle sequenza oncogeniche
virali V-Rel sono state individuate delle “controparti” C-Rel.
C-Rel è una subunità della famiglia Rel che eterodimerizzano con le famiglie delle P50 formando i
fattori i fattori trascrizioni NF-kB.
Infatti le attivazioni di NF-kB è riscontrata in diverse tipologie di tumori, nello speci co nelle
leucemie e nei linfomi.
Esiste un cross-talk reciproco, quindi interazioni reciproche, tra NF-kB e l’autofagia nel cancro,
nella quale può promuovere o reprimere la cancerogenesi a seconda dello stimolo e del contesto.
Un esempio è dato dalla mancata fusione dei lisosomi e fagosomi che comportano un aumento di
tossine a livello intracellulare.
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La segnalazione pro-in ammatoria NF-kB è a valle dell’attivazione di RIPK1/RIPK3 richieste per
l’immugenicità delle cellule necrototopiche nei microambienti tumorali.
Promuove anche l’espressione delle citochine che promuovono tumorigenesi, alcuni dei quali
includono interleuchine 6 e TNF-alpha se quest’ultimo non promuove la morte cellulare.
Promuove anche un pattern dell’espressione genica proangiogenica.
NF-kB promuove direttamente lo sviluppo di cellule T regolatrici e le loro in ltrazioni nei tumori
promuovendo l’evasione immunitaria. Infatti se le cellule T regolatrici fossero presenti
bloccherebbero le popolazioni linfocitarie che andrebbero a eliminare le cellule tumorali.
L’inibizione di NF-kB può comportare cambiamenti nel fenotipo dei macrofagi attivi nel tumore (i
TAM).
Questi passano da un fenotipo M2 che promuove il tumore a un fenotipo M1 che è un fenotipo
antitumorale.
Infatti in condizioni inverse, quindi quando NF-kB è attivo, sono presenti le varianti M2.
I ROS causano danni ai tessuti circostanti aumentando l’in ammazione locale e rilasciando
citochine in un ciclo di attivazione NF-kB positivo.
Infatti più è presente in ammazione e più NF-kB è attivo.
Un livello alto di metaboliti provenienti dalla glicolisi, caratteristica propria delle cellule tumorali
maligne, è in grado di attivare NF-kB ottimizzando l’e etto Warburg bloccando la respirazione
mitocondriale.
Infatti i cambiamenti metabolici in genere sono condivisi da ambienti tumorali e in ammatori.
Sono necessari nella fase di rigenerazione tessutale che ha bisogno dei carboni per l’anabolimo
per la sintesi di nuove proteine, nucleotidi, lipidi ecc.
Lo stesso vale per i tumori che devono crescere e dunque necessitano di carbonio.
Ecco perché un metabolismo che sfrutta la fosforilazione ossidativa non è conveniente: perché è
un metabolismo che utilizza troppi carboni per generare energia.
I neutro li sono fondamentali nei processi in ammatori e anche altamente coinvolti in quasi tutti
gli hallmarks tumorali.
Arrivano attraverso molecole in ammatorie, ma nel contesto tumorale il loro fenotipo può
cambiare e diventano capaci di promuovere la progressione tumorale attraverso diversi
meccanismi.
Regolano l’entrata all’interno dei vasi sanguigni di cellule tumorali.
Una delle capacità dei neutro li è quella di in ltrazione nei tumori con rilascio di agenti
angiogenetici e la metalloproteinasi 9 contenuta nei loro granuli.
Sia nei neutro li che nei macrofagi MMP-9 viene espressa priva del suo inibitore TIMP-1.
TIMP-1 è un inibitore che in altre sedi cellulare viene espressa con MMP9, così che venga attivato
solo per breve tempo con lo scopo di controllare la sua potente attività di rimodulazione della
matrice.
Nel contesto tumorale questo meccanismo è squilibrato.
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C’è una tendenza attraverso diversi meccanismi di cambiare l’equilibrio in favore della proteolisi.
I neutro li e il loro contenuto di MMP-9 è molto importante in questo.
Esiste un asse tra un recettore chemochimico (CCR7) e MMP-9 implicato nelle disseminazioni
linfatiche che promuove le metastasi linfonodali, soprattutto a livello colico.
Un ambiente entro il quale MMP-9 favorisce la progressione verso un evento metastatico.
Attraverso questo schema qui sotto possiamo vedere come MMP-9 (che provenga da fonti
tumorali o in ammatorie) promuova progressioni tumorali in diverse fasi.
Inoltre fattori che si formano (e includono MMP-9) col crescere del tumore diventano
autosu cienti dal punto di vista endocrino. Vengono rilasciati a livello del circolo sistemico e
modi cano il parenchima di altri organi generando metastasi o generano una su cienza di
inibitori dell’angiogenesi (tipo angiostatina) che possono limitare la crescita metastatica in organi a
distanza.
Per quanto riguarda il funzionamento dei neutro li nel cancro, anche se hanno la possibilità di
essere citotossici e quindi uccidere le cellule tumorali, il tumore è capace di convertirle e
promuovere un fenotipo meno aggressivo pro-tumorale.
È un fenotipo immaturo.
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È promosso da TGF-beta, citochina con molte funzioni tra le quali quella di indurre la
cicatrizzazione durante l’in ammazione.
TGF-beta è molto implicato nelle N2. Promuove l’espressione di geni che depongono matrice
anche se l’ambiente è proteolitico.
Le N2 facilitano la cancerogenesi e inibiscono l’apoptosi.
Sono pro-angiogeniche.
Non stimolano le cellule T e sopprimono le attività immunitarie.
È associato alla progressione tumorale.
I fenotipi considerati importanti nel compartimento dei TAMs sono i fenotipi M1 e M2.
M1 è un fenotipo antitumorale proin ammatorio nel senso che attivo si trova in fasi di
adattamento quando persistono agenti lesivi nell’in ammazione cronica.
Esso ha diverse interazioni che possono modi care il comportamento di cellule come T-helper, NK
e secernere IL come IL-12, IL-10 e IL-23.
Promuovono le risposte T-helper anti tumorali.
Quindi è associato con in ammazioni e meno con tumori in progressioni.
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Il fenotipo M2 è il fenotipo pro-tumorale.
Si associa più spesso con la cicatrizzazione e viene promosso da citochine antin ammatorie e
molecole che inibiscono l’attività delle citochine proin ammatorie come IL-1.
Ha un ruolo importante nel bloccare le popolazioni leucocitarie che vogliono entrare a distruggere
il tumore attraverso la formazione di granulomi di tipo epiteliale. Dunque Linfociti T e B vengono
limitati attraverso interazioni M2-fenotipomacrofagio-dipendenti.
Si notano cambiamenti che promuovono risposte T-helper 2.
Si promuove il rimodernamento dei tessuti.
E etto “Warburg”
Il metabolismo peculiare dei tumori è stato identi cato da Otto Warburg con gli esperimenti che
fece tra il 1920 e il 1950.
Ha descritto un cambiamento metabolico nelle cellule tumorali a ermando che “La causa
principale del cancro è la lesione alla respirazione e la sua sostituzione con la fermentazione dello
zucchero […] a questo punto le mutazioni e gli agenti cancerogeni non sono alternativi, ma parole
vuote se non speci cate metabolicamente”.
Quindi individuò che le basi di questi cambiamenti consistono nel cambiamento metabolico che
rende possibile possibile la crescita tumorale fornendo materiali in termini di carboni che possono
essere riutilizzati a formare nuove sostanze.
Tra l’altro notiamo come i vasi neoformati sono abnormi, permeabili, non e ettivi e immaturi.
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O o Warburg a ermò che la causa principale del cancro fosse la lesione della respirazione e la sos tuzione
di questa con la fermentazione dello zucchero, ossia che il cambiamento metabolico era causa della crescita
delle cellule tumorali.
I vasi che irrorano i tumori sono di grande portata essendo un microambiente stressante.
Ci troviamo in presenza di:
•Ipossia con re-ossigenazione u uante, ipossia da perfusione, ipossia di perfusione e ipossia anemica;
•Deprivazione dei nutrien ;
•Microambiente riducente ed acidosi – e e o ‘Warburg’.
Nelle cellule tumorali, è uno spostamento metabolico verso la glicolisi aerobica che non è causato da danni
ai componen della respirazione.
Inizia con lo splicing alterna vo, ipossia indo a e HIF dipendente del gene piruvato chinasi producendo 1
molecola di piruvato e 1 molecola di ATP.
L’iso-forma alterna vamente splicata PKM2, promossa dall’ipossia, ha un’a vità bassa e provoca l’accumulo
di grandi concentrazioni di intermedi glicoli ci, u li per la sintesi biomolecolare.
PKM1 e PKM2 di eriscono di 22 aa e hanno proprietà regola ve dis nte.
Lo splicing alterna vo è promosso anche da segnalazione RTK, oncogeni a va e oncosoppressori ina va ,
a ribuito a fa ori di trascrizione HIF e cMyc e PKM2 è l'isoforma nella maggior parte dei tumori.
L'ipossia ina va l'enzima mitocondriale piruvato deidrogenasi, che collega e controlla il usso tra glicolisi
nel citosol ed il ciclo di respirazione ossida va TCA mitocondriale ed è responsabile dell'ossidazione del
piruvato in ace l-coenzima A in presenza dell'ossigeno, che entra nel ciclo TCA, generando l'energia dai
carboni in forma NADH, NADPH e ATP.
Oncogeni RTK localizza ai mitocondri possono a vare la glicolisi a raverso la fosforilazione del piruvato
deidrogenasi chinasi, che inibisce il complesso PDH promovendo la conversione del piruvato in la ato.
Cara erizza un metabo- po plas co che de nisce uno stato di cellule staminali normali e cancerogene,
quindi, è una componente necessaria per la generazione delle cellule staminali cancerose, progressione
metasta ca e recidiva terapeu ca.
Questo metabo- po cara erizza so opopolazioni di cellule staminali umane pluripoten riprogramma che
formano teratomi.
LA GLICOLISI AEROBICA: L'EFFETTO WARBURG
La glicolisi è il processo in cui le cellule metabolizzano il glucosio in piruvato, il primo passo nella formazione
di ATP.
Le cellule tumorali incassano più glucosio e secernono la ato durante i periodi di crescita rapida in un
fenomeno conosciuto come e e o Warburg (glicolisi aerobica).
Le cellule tumorali consumano più di ven volte la quan tà di glucosio rispe o alle cellule normali, ma
secernono l’acido la co invece di romperlo completamente in anidride carbonica.
Perché le cellule tumorali scelgono questo percorso metabolico ine ciente quando potrebbero o enere 16
volte più ATP per la molecola di glucosio scegliendo la respirazione normale?
La risposta è duplice:
1.Anche se producono molto meno ATP per molecola di glucosio, le cellule tumorali producono energia
quasi 100 volte più velocemente delle cellule normali, un vantaggio economico dove i bene ci della
rapida produzione di ATP superano i cos associa alla disgregazione del glucosio ine ciente.
2.Diro ano il carbonio per la sintesi proteica, lipidica e dei nucleo di necessario per la crescita tumorale
invece di u lizzarlo per l'energia.
Circa il 50% del la ato prodo o a raverso la glicolisi viene rilasciato promovendo l'acidosi nel
microambiente.
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L'acidosi nel microambiente è tossico per le cellule normali, seleziona cellule tumorali più resisten ,
promuove la nicchia e staminale tumorale, l'invasione e la metastasi.
TRKAIII E L'EFFETTO WARBURG
Un meccanismo oncogenico essibile e regolato dallo stress per promuovere la glicolisi aerobica.
TrkAIII localizza i mitocondri: in confronto al TrkAIII non mitocondriale, TrkAIII mitocondriale è ina vo in
condizioni non stressan .
TrkAIII mitocondriale è a vato da H2O2 e dall'inibitore della proteina rosina fosfatasi, sodio ortovanadale,
ma non dal NGF.
TrkAIII mitocondriale si associa con la PTPassi SHP-2 e PTP1B ed è a vato in condizioni che inibiscono la
proteina rosina fosfatasi.
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1.In condizioni normali TrkAIII si accumula
anche nelle membrane mitocondriali esterne.
2.TrkAIII viene internalizzata nelle membrane
mitocondriali interne in condizioni di stress
ER.
3.I metaboli ossida vi, prodo nei
mitocondri in condizioni di stress,
promuovono la scissione di TrkAIII con
conseguente a vazione, promossa anche
dall’inibizione ossida va delle PTPasi
mitocondriali.
4.l'a vazione di TrkAIII omi-dipendente
indo a dallo stress provoca l'a vazione
dell’inibitore di PDH e PDK1 che porta alla
glicolisi.
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Patologia molecolare 2
28/01/2021
Immunità tumorale
Già dal XIX secolo Virchow riconobbe l’importanza del sistema immunologico sia nel bloccare la
progressione del cancro sia nel permettere al cancro di formarsi (poiché questo succede quando c’è
un abbassamento delle difese immunologiche).
L’importanza del sistema immunologico nel prevenire l’induzione di tumori è stata inoltre dimostrata,
in laboratorio, tramite l’utilizzo di topi a-timici, topi nudi, ovvero che sono privi di sistema
immunologico almeno per quanto riguarda le cellule T. Trapiantando su questi animali cellule
tumorali provenienti anche da altre specie (quindi xenotrapianti), come l’uomo, si verifica la crescita
del tumore.
Durante la nostra vita siamo sottoposti a oscillazioni nelle nostre capacità immunologiche che
offrono l’opportunità a cellule trasformate di iniziare a crescere. Quando siamo giovani, con un
genoma intatto, il nostro sistema immunologico è in forma ottimale ed è più che sufficiente per
proteggerci dai tumori che presentano attività oncogenica (a meno che non vengano danneggiati
gli oncosoppressori, che hanno il ruolo di promuovere la morte di cellule danneggiate). Abbiamo già
detto che quando il DNA delle cellule viene danneggiato, o quando la cellula è infettata da oncovirus,
vengono esposti sulla sua superficie dei marcatori, antigeni, che saranno riconosciuti specificamente
dalle popolazioni cellulari del sistema immunologico per facilitarne l’eliminazione. Un caso eclatante
che dimostra l’importanza del sistema immunologico nel prevenire i tumori: Ragazzo malato di AIDS
il cui sistema immunitario era talmente sottotono da permettere prima un’infestazione intestinale da
parte di nematodi e poi la crescita delle metastasi di un tumore verificatosi nel nematode nel corpo
del paziente. Queste, raggiungendo i polmoni, hanno provocato la morte del paziente.
Ovviamente anche il sistema immunologico risente della senescenza. Questo è uno dei motivi per
cui il COVID-19 è così temibile nella terza età ed è anche legato al problema della vaccinazione
perché persone con l’immunità senescente sono difficili da vaccinare. Infatti, quando nei trials clinici
per COVID-19 le persone sono vaccinate con diversi vaccini, i dati ci dimostrano che le persone
sotto 60 anni in generale sviluppano un’immunità entro una settimana dalla prima dose, mentre nelle
persone sopra i 60 anni sono necessari anche 30 giorni per raggiungere lo stesso risultato.
Quindi, il sistema immunitario nel cancro è un’arma a doppio taglio che può prevenire l’iniziazione
del tumore, ridurre, eliminare o promuovere la crescita tumorale.
Effetti anti-tumorali includono:
- una risposta immunologica anti-tumorale
- utilizzo dell’immuno-terapia anti-tumorale (una buona conoscenza dei tipi cellulari che si dedicano
ad eliminare il tumore permette la loro ingegnerizzazione o comunque è possibile renderli più attivi)
- vaccinazione anti-tumorale
Effetti pro-tumorali includono:
- tipo di infiammazione che si associa al tumore e ne favorisce la progressione (viene eliminata la
possibilità di avere infiltrati di popolazioni linfocitarie importanti e antitumorali)
- promozione dell’angiogenesi tumorale (sia da parte dell’infiammazione che del tumore)
- promozione della disseminazione tumorale attraverso l’evento infiammatorio (vengono degradati
componenti della matrice e si ha l’Epithelial Mesenchimal Transition che fa si che le cellule ,
principalmente epiteliali, adottino un fenotipo molto indifferenziato in grado di staccarsi e muoversi
- inibizione della risposta immunologica anti-tumorale (sono mandati segnali per l’abrogazione del
reclutamento di popolazioni linfocitarie che normalmente avrebbero identificato la cellula
trasformata)
- I tumori possono essere non immunogenici (ovvero possono esprimere bassi livelli di mutazioni e
di antigenicità tumore specifica) o tumori che inducono editing immunologico quindi riescono
attraverso un accumulo di mutazioni a far si che dopo una fase di iniziale eliminazione esse entrino
in equilibrio col sistema immunologico, dove alcune cellule cominciano a non essere identificate ed
eliminate fino a una piena fuga dal sistema immunitario quando dopo cicli di replicazioni cominciano
a esser selezionati i ceppi che non possono essere eliminati (hanno accumulato un gran numero di
mutazoni e perso gli oncosoppressori, fondamentali per l’apoptosi, e il riconoscimento da parte di
popolazione linfocitarie o citotossiche provenienti dal sistema immunologico).
- Inoltre, le cellule T possono avere un fenotipo anergico in seguito a segnali inibitori, quindi pur
essendo potenzialmente in grado di riconoscere le cellule trasformate non lo fanno (sul fronte
terapeutico si sta lavorando per intervenire a questo livello, cercando di rendere i linfociti più attivi)
o possono essere senescenti o possono anche trovare difficoltà ad arrivare all’interno dei tumori.
Sappiamo già che tra i leucociti la popolazione con la maggiore motilità sono i neutrofili. Anche i
monociti macrofagi possono muoversi ma a velocità più bassa rispetto ai neutrofili poiché non
possiedono la quantità di citoscheletro necessaria. Invece, I linfociti T hanno una bassa capacità di
muoversi, infatti nel contesto di un’infiammazione è stato osservato che essi riescono ad extravasare
ma restano vicini ai vasi. Questo è uno dei motivi per cui quando si va ad effettuare il test per la
tubercolosi sono necessari alcuni giorni per rilevare la positività del paziente. Quindi le cellule T sono
piuttosto impotenti per quanto riguarda l’invasione e sono ulteriormente ostacolate da barriere
rappresentate dalla matrice extracellulare. Ciò rende il sistema immunologico meno potente
nel’ambito di tumori già formati.
Immunosorveglianza
Per quanto riguarda l’immunosorveglianza abbiamo la grande capacità, quando siamo in condizioni
ottimali, di eliminare le cellule trasformate. Ci sono, però, tanti fattori che regolano questa nostra
capacità.
Regolatori extra-tumorali dell’immunosorveglianza includono:
- Terapia (chemio-, radio-, ormonale, chirurgia) rendono il sistema immunitario meno efficace,
soprattutto quando vanno ad attaccare cellule in proliferazione poiché colpiscono anche le cellule
staminali per cui si deve sempre tenere d’occhio gli indici tossici a livello della produttività e quantità
di cellule appartenenti al nostro sistema infiammatorio immunologico;
- Condizioni associate (infezioni, auto-immunità, allergie e infiammazioni) che settano uno stato
infiammatorio immunologico che può avere effetto infiammatorio anti-tumorale;
- Immunosenescenza (invecchiamento);
- Stress fisico e mentale (acuto e cronico);
- Malnutrizione;
- Attività fisica.
Regolatori ambientali includono:
- Inquinamento;
- Nanoparticelle;
- Radiazioni;
- Condizioni climatiche.
Regolatori intra-tumorali:
- Fattori delle cellule tumorali, che possono modificare il comportamento delle popolazioni
leucocitarie (questi fattori dipendono dalla natura degli oncogeni attvati e gli oncosoppressori
mancanti);
- Elementi stromali che insieme ai tumori vengono manipolati in modo che anch’essi sopravvivano
al sistema immunologico;
- Regolatori del sistema immunologico.
Regressione-dormienza-progressione tumorale. Più è attivo il sistema immunitario più i tumori
regrediscono. Periodi di stasi immunologica, inibizioni del sistema immunitario, danno una possibilità
di entrare in uno stato dormiente in cui ci sono cellule che muoiono ma altre che sopravvivono.
Quando il sistema immunitario non funziona, insieme all’accumulo di mutazioni a livello tumorale,
c’è una maggior possibilità di avere la progressione.
L’asse CXCL12/CXCR4
Un primo meccanismo è stato identificato sulla base del fatto che i tumori appaiono come ferite che
non guariscono; fibroblasti presenti nei tumori epiteliali esprimono infatti la glicoproteina FAP
(fibroblast activating protein F19), associata a processi di guarigione: sono quindi simili ai fibroblasti
presenti nelle lesioni infiammatorie croniche, e sopprimono l’immunità secondo meccanismi analoghi
a quelli di repressione immunologica associata al riparo del danno tissutale. Il loro ruolo rispetto alla
repressione immunologica, trova evidenza nel fatto che, eliminando i fibroblasti FAP+ nei modelli
murini del cancro ovarico e pancreatico, si osserva una ridotta crescita tumorale.
Il meccanismo di repressione avviene secondo le seguenti modalità:
1. Fibroblasti tumorali secernono la chemochina SDF1/CXCL12, promotrice della crescita e
dell’angiogenesi tumorale;
2. CXCL12 lega CXCR4 sulle cellule tumorali, inibendo il reclutamento delle cellule T nel
tumore.
AMD3100, farmaco antagonista del recettore CXCR4 ancora in via sperimentale, favorisce invece
l’accumulo di cellule T nel tumore riducendo la tumorigenesi. Tuttavia, si osserva che i fibrosarcomi
primari con stroma tumorale si accrescono nonostante l’induzione di una risposta immunitaria (che
effettivamente neutralizza le singole cellule tumorali prive di stroma): è dunque evidente che lo
stroma tumorale sia immunosoppressivo, ovvero sopprime l’accumulo di cellule T in prossimità delle
cellule tumorali.
L’asse PD1/PDL1
Il recettore PD1 lega i ligandi PDL1 e 2 su macrofagi, cellule dendritiche, cellule T o cellule B; il
complesso che si viene a formare ha quindi vari risvolti:
1. Regola negativamente la risposta immunologica cellule T-dipendente;
2. Inibisce l’attività antitumorale delle cellule T;
3. Induce da parte dei monociti l’espressione di IL-10, che inibisce il funzionamento delle cellule
T.
In genere, l’espressione di PDL1 si associa a prognosi infauste nei tumori all’esofago e al pancreas,
nel melanoma, nel neuroblastoma...
Questo asse rappresenta un valido bersaglio terapeutico da parte di anticorpi monoclonali:
● Nivolumab anti-PD1 🡪 induce risposte nel melanoma, carcinoma polmonare, cancro renale;
● Prembrolizunab anti-PD1 🡪 melanoma metastatic;
● Anti-PD-L1, equipollenti 🡪 anticorpi che includono Avelumab (carcinoma), Atezolizumab
(carcinoma polmonare e della mammella), Durvalumab (carcinoma alla vescica e al
polmone).
Per quanto riguarda la terapia, si possono combinare gli inibitori anti PD-1/anti-PDL-1 con AMD3100.
E’ stato riscontrato che questo abbinamento è in grado di eliminare i tumori in modelli murini, in
particolare quelli con un modello di fibroblasti fap+ (pronuncia “fap positivi”) con la presenza dell’asse
PD1-PDL-1. Come abbiamo già visto, i fibroblasti fap+ secernono CXCL1 e SDF1 che attiva
CXCR4 sulle cellule tumorali, le quali iniziano a produrre una sostanza bloccante la proliferazione.
Allo stesso modo fanno anche i PD-1 e PDL-1, attenuando così le segnalazioni TCR dipendenti,
annullando quindi l’attività delle cellule T. Inoltre, si possono bloccare fibroblasti fap+ utilizzando
cellule CAR-T, una novità nella terapia immunologica. Esse sono in grado di esprimere una porzione
FC anticorpo variabile, che riconosce uno specifico bersaglio espresso su una superficie di un
determinata cellula. La superficie rappresentata da un dominio transmembrana che è in grado di
legare l’antigene riconoscibile dal CAR ed attivare le cellule che vanno così ad eliminare le
popolazioni cellulari bersagliate. In
questo contesto si possono
utilizzare CAR per individuare
cellule fap+, allo scopo di eliminarle
a livello tumorale.
Si possono anche
utilizzare CAR-T per
bersagliare le cellule
tumorali. Si fa
utilizzando fap+
appositamente
programmati per
essere eliminati dopo
un evento
terapeutico, tramite
l’utilizzo di molecole
attivanti come le
caspasi 9, la quale
può eliminare le
cellule CAR-T una
volta che hanno fatto
il loro lavoro.
Sono tutte
segnalazioni
considerate tra i progressi nella ricerca e nel trattamento del cancro; sappiamo anche che l’utilizzo
di tipologie di cellule come linfociti CAR-T o TIL non è più limitato alle cellule T, ma si possono anche
utilizzare per i NK CAR; i NK comuni o gli Induced Natural T killer (I-NTK) CAR, tutte cellule che
offrono effettivamente meccanismi in più per rendere il tumore più eliminabile.
Le cellule CAR-T bersagliano più di un marcatore tumore specifico: gli antigeni presenti sulle cellule
tumorali possono essere anche espressi in cellule normali, pur essendo ad un basso livello. Bisogna
quindi evitare che le cellule CAR-T che possiedono un recettore specifico per uccidere una cellula
particolare non vadano ad attaccare le cellule sane, al fine di evitare effetti collaterali. In generale
comunque si è osservato che le cellule normali con una normale espressione dell’antigene non sono
bersagliate, mentre le cellule tumorali che hanno un’alta espressione di tale antigene sono
bersagliate.
Ci sono ulteriori meccanismi attraverso cui le cellule T possono essere spente (per esempio quando
non raggiungono un antigene), o uccise (per esempio in caso di risposta aberrante) o ancora
possono essere “programmate” in modo da mirare la barriera stromale del tumore, al fine di
bersagliare i fibroblasti fap+. Possono anche venire abbinate con i farmaci che aboliscono l’immuno-
soppressione, infatti un'interruzione dell’interazione PD-1/PDL-1 (= ”programmed Death Ligand”),
CXCR4/SDF-1 o CTLA4/CD80/86 può aumentare la loro infiltrabilità.
Quindi adesso siamo in grado di utilizzare sia i bloccanti dei meccanismi di immunosoppressione,
sia il CAR- T o il CAR-NK o il TIL o CAR induced NK T cell, utilizzate insieme al fine promuovere un
bersagliamento più efficace.
Questo nel contesto della staminalità tumorale diventa veramente importante.
CD47: “non-Mangiarmi”
Un altro meccanismo tramite cui le cellule
tumorali riescono a sfuggire al sistema
immunologico e infiammatorio, è quello di
esprimere una molecola che si chiama CD47,
altrimenti chiamata “non mangiarmi per
favore”. CD47 è un segnale antifagocitario (o
anti-fagocitico) che distingue le cellule vive
dalle cellule morenti, ha un singolo dominio
extracellulare simile alle Ig e cinque regioni di
copertura della membrana. CD47 “non-
mangiarmi” lega, sulla superficie cellulare,
Signal Regulating Protein α (SIRPα) sui
fagociti, e deve essere annullato quando le cellule si stanno preparando a morire. Durante l’apoptosi
le cellule normali esprimono fosfatidilserina (PS) che lega il primo componente del complemento, e
la calreticulina (CRT), che si complessa con CD91 sui fagociti promuovendo la fagocitosi. Le cellule
tumorali non immunogeniche esprimono alti livelli di CD47 sulla loro superficie ed evitano la
fagocitosi, mentre le cellule tumorali immunogeniche hanno un’elevata espressione della CRT sulla
loro superficie promuovendo il segnale “mangiami”.
Ovviamente questo
sistema tramite cui T-reg,
Th1 e Th17 funzionano, nel
regolare il sistema
immunologico, sappiamo
che T-reg da un lato
sopprimono le risposte
immunitarie contro gli
antigeni tumorali, dall’altro
controllano le risposte
immunologiche auto-
reattive, è quindi un
popolazione immunologica
che funziona inibendo il
differenziamento delle
cellule Th17, che altrimenti
risulterebbe in una
sovrapproduzione. I T helper 17 nell'ambito tumorale stimolano mediatori pro- infiammatori e pro-
angiogenici; in chiave immunitaria però sono implicati nel feedback negativo soppressivo per IL-10
e IL-22.
Quindi l’equilibrio è fondamentale. In altre parole, il prezzo che si paga per una risposta
immunologica tumorale forzata, nel momento in cui si modifica l’equilibrio tra i T regolatori ed altri
componenti, è la possibilità di mancare di una immunità verso sé stessi. E’ il potenziale prezzo da
pagare al momento dell’immunoterapia.
Quindi ci sono tanti diversi meccanismi attraverso cui i tumori si rendono tollerabili al sistema
immunologico , ed un’ identificazione di tali meccanismi sarebbe importante per lo sviluppo di nuovi
fronti terapeutici, caratterizzati dalla riattivazione del sistema immunologico. L'obiettivo sarebbe
quello di far infiltrare i protagonisti immunologici a livello tumorale, specificatamente per quei tumori
che esibiscono meccanismi di blocco del sistema immunologico e che non sono arrivati all'evasione.
Si agirebbe quindi attraverso “l’immune editing”.