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Patologia molecolare 2, Prof.

Mackay, 15/10

Introduzione al corso:
La lezioni di questo corso verranno dedicate specificatamente alla malattia del cancro,
è pertinente al mondo di oggi ed è una patologia complicata, prevede il
coinvolgimento di un ampio spettro di molecole il cui danno o cambiamento del ruolo
specifico è alla base dell’insorgenza della patologia. Prima di tuffarci dentro la
molecolarità del cancro, facciamo un’introduzione alla materia, tenendo conto della
storia della medicina e della biologia molecolare (grazie alla quale sappiamo ad oggi
che il cancro è considerata una “malattia dei geni”), illustrando quasi 200 anni nella
ricerca del DNA in maniera cronologica.

Storia introduttiva
- 1859 Charles Darwin Il primo a fare osservazioni sul meccanismo attraverso il quale
i caratteri possono essere trasmessi tra individui, con un ruolo fondamentale per
l’evoluzione della specie, fu Charles Darwin che nel 1859 pubblicò “L’origine della
specie” proponendo la teoria dell’evoluzione attraverso il processo di selezione
naturale. In questa teoria Darwin ha proposto che gli esseri viventi più adatti al loro
ambiente abbiano maggiore possibilità di sopravvivenza, e siano quindi in grado di
trasmettere alle generazioni successive le caratteristiche necessarie alla
sopravvivenza, portando così ad un cambiamento della specie graduale nel tempo.
- 1866 Gregor Mendel Poco dopo, il monaco agostiniano Mendel nel 1866 ha fatto
luce per primo sul modo in cui i caratteri vengono tramandati di generazione in
generazione. E’considerato il padre della genetica e ci sono voluti 30 anni per
accettare le sue teorie,come purtroppo spesso capita agli scienziati che si occupano
di questi meccanismi.
- Nel 1869 Friedrich Miesher fu la persona che identificò per la prima volta materiali
provenienti dal nucleo, che chiamò “nucleina”. Ha trovato questi materiali nei nuclei
di globuli bianchi , con insolite proprietà non proteiche, un alto contenuto di fosforo,
resistenza alla digestione delle proteasi. Furono da parte sua le prime identificazioni
di un materiale che noi sappiamo adesso essere riconducibile alla cromatina,
materiale composto da diverse sostanze, presente a livello nucleare. Ci sono voluti 50
anni perché la comunità scientifica apprezzasse il suo lavoro.
- 1887-90, Theodor Heinrich Boveri Ricercatore che è stato un po’ perso nella
letteratura, studiò il meccanismo dell’eredità, ha gettato le basi per la teoria
cromosomica dell’ereditarietà. E’ considerato il padre della citogenetica e descrisse
meticolosamente il comportamento dei cromosomi. Scoprì il centrosoma come un
organello particolarmente importante per il controllo dei movimenti cromosomali
durante la mitosi e meiosi e sulla base del quale ha fondato la base cromosomica
per il cancro. Sfortunatamente per lui e anche per noi morì prima della scoperta dei
geni. Egli infatti conosceva e analizzava i cromosomi, riuscì anche a capire che questi
immagazzinavano una quantità di materiale molto importante per l’organismo,
nonostante i geni vennero scoperti in seguito. Le sue teorie sulla formazione dei
tumori maligni andarono perse per quasi un secolo; sono state poi riidentificate e
plasmate sul modello teorico dello sviluppo e formazione di un tumore che vedremo
nelle prossime slide.
- 1900 il movimento eugenetico Le conoscenze sull’ereditarietà a livello
cromosomico vennero utilizzate per dare origine ad un movimento di “eugenetica”,
che utilizzava le teorie mendeliane per controllare “l’allevamento umano”
promuovendo l’idea che solo le persone con i migliori geni si potessero riprodurre e
migliorare la specie. Ovviamente adesso sappiamo che questo si trattava di vero e
proprio “razzismo scientifico”. E’stata una disciplina piena di supposizioni imprecise
e incoerenze che incoraggiavano il razzismo e l’odio, si diffuse soprattutto durante
la seconda guerra mondiale con gli orrori nazisti.
- 1902 Sir Archibal Edward Garrod associò la teoria mendeliana alla malattia umana,
studiando l’alcaptonurìa nelle famiglie. E’ una rara malattia metabolica genetica
caratterizzata dall’accumulo di acido omogentisico (acido 2,5-diidrossifenilacetico)
nel corpo, ha concluso che si trattava di una malattia recessiva ereditaria.
Rappresenta una pietra miliare nella comprensione delle basi molecolari delle
malattie ereditarie, da qui in poi si è andato sempre più a ricercare e dare peso alle
anomalie genetiche che continuano ad essere alla base di molte patologie.
- 1944 Oswald Avery identificò il DNA come il “principio trasformante” . A quel tempo
i geni erano considerati un’ unità discreta di informazioni ereditabili insieme agli
enzimi metabolici. Lavorava sul batterio che causava la polmonite e ha scoperto,
grazie ad un esperimento, che gli pneumococchi innocui mescolati con
pneumococchi letali divenivano presto letali anch’essi a causa del DNA che era
responsabile dell’ereditarietà. Durante questi processi non avevano le conoscenze
di base della biologia molecolare, ma ora si sa che i batteri hanno la possibilità non
solo di trasmettere geni verticali (= alle generazioni successive) attraverso la
replicazione batterica, ma possono anche scambiarsi geni fra di loro attraverso
diversi meccanismi.
- 1950 Erwin Chargaff Scopre che il DNA è specie specifico. Lavorando sulla chimica
degli acidi nucleici , ha determinato che il numero di unità di guanina era uguale a
quello delle unità di citosina e il numero di unità di timidina era uguale a quello delle
unità di adenina nel DNA a doppio filamento, da qui la “Regola di Chargaff” per
rispetto delle sue osservazioni. Ha anche determinato che la composizione del DNA
differiva tra la specie.
Passiamo poi verso osservazioni sulla struttura del DNA
- 1952 Rosalind Franklin usando la diffrazione dei raggi X, produsse 2 serie di
fotografie ad alta risoluzione del DNA da cui calcolò le dimensioni dei filamenti di
DNA e dedusse che i gruppi fosfato erano al di fuori di una probabile struttura
elicoidale.
- 1953 James Watson e Francis Crick, utilizzando dati a raggi X e la costruzione di modelli
hanno risolto il puzzle della struttura del DNA per il quale hanno ricevuto il premio
Nobel. I dati a raggi X utilizzati furono anche e soprattutto provenienti da Rosalind
Franklin che non ha ricevuto nessun premio per il suo lavoro alla base della struttura
del DNA e purtroppo è morta di un tumore poco dopo, nel 1959. E’stata effettivamente
messa da parte, come purtroppo accadeva spesso nell’epoca misogina degli anni ’50.
Grazie ai suoi studi ha aperto la porta a Watson e crick.
- 1959 ci fu il primo grande impatto della citogenetica sulla diagnosi della malattia, con
l’osservazione di una copia aggiuntiva del cromosoma 21 legata alla sindrome di Down.
Negli anni ’60 la colorazione giemsa dei cromosomi ha rivelato modelli di banding che
rendono possibile l’identificazione dei singolo cromosomi, base della diagnosi genetica
clinica precoce. Adesso si utilizzano diversi marcatori oltre a questo.
- 1965 Marshall Nirenberg analizzando l’ E-coli decifrò il codice genetico e determinò le
basi che costituivano i codoni, le tre basi responsabili durante la traduzione della
sequenza di amminoacidi. Per le sue scoperte fu insignito del premio Nobel.
- 1977 Frederick Sanger fece fare un passo in avanti con la capacità di sequenziare il
DNA in maniera molto più veloce grazie alla sua tecnica di sequenziamento rapido del
DNA. Partendo dal presupposto che le proteine sono molecole ordinate, ha dedotto
che anche il DNA doveva essere una molecola ordinata. La sua rivoluzionaria tecnica
di sequenziamento gli ha fatto vincere il premio Nobel nel 1980. Ci si stava muovendo
per la prima volta verso la capacità di “scrutinizzare” il DNA.
- 1983 La malattia di Hungtington è stata riconosciuta come una malattia genetica
legata al cromosoma 4, mappata utilizzando polimorfismi, il gene dell’hungtintina
venne poi isolato nel 1993. Progressi nell’identificare il malfunzionamento dei geni
alla base di patologie importanti.
- 1990 il primo gene associato alla suscettibilità al cancro al seno BRCA1 sul
cromosoma 17, poi BRCA2 sul cromosoma 13, mutazioni o delezioni che portano ad
accumuli di mutazioni e quindi al cancro, oltre che ad un aumentato rischio del cancro.
Sono momenti di grandi progressi in cui si analizzano e si identificano geni, ruolo dei
quali normalmente è di mantenere l’integrità del genoma e se vengono danneggiati
cominciano a facilitare errori nel genoma, in associazione con suscettibilità al cancro.
- 1990 nasce il progetto genoma umano, progettato per 15 anni, finalizzato al
sequenziamento dell’intero genoma umano di un individuo. Adesso dopo un’
ulteriore progressione tecnologica è possibile paragonare il genoma tra due individui
ma anche tra individui di specie diverse. Lo scopo era quello di identificare diversità.
Adesso è possibile sequenziare un genoma umano in pochi minuti, 4 o 5.
- 1996 primo animale clonato altro grande passo in avanti per quanto riguarda l’
utilizzo del DNA, clonazione della pecora Dolly che avevamo introdotto l’anno scorso.
E’stato facilitato con la conoscenza che il DNA contiene tutte le informazioni della vita.
La clonazione rappresenta la capacità di utilizzare e riprogrammare il DNA da una
cellula adulta e di fare sì che, una volta reimpiantato in una cellula uovo anucleata,
sia in grado di riformare un intero individuo proveniente ovviamente dagli stessi geni
che sono contenuti e sono stati qui riprogrammati. Non è stato facile. Dolly infatti è
stata clonata da una cellula adulta, fu l’unica su 277 a sopravvivere. Ha fatto inoltre
capire che anche la clonazione, anche di cellule adulte, può essere effettuata allo
scopo di creare nuovi individui.
- 1999 il primo cromosoma umano fu decodificato interamente, si trattava del
cromosoma 22, contenente 33,5 milioni di componenti. Ci si è resi conto della
grandissima quantità di atomi e molecole presenti nell’intero cromosoma che ha
dimensioni molto piccole, può essere infatti esclusivamente visualizzato solamente
durante la mitosi quando c’è condensazione dei cromosomi, visibile al microscopio. Il
22 è fra l’altro uno dei più piccoli tra i cromosomi.
- 2000 il codice genetico della drosophila è stato decodificato, contiene 13.601 geni
indipendenti, che è molto meno della quantità di proteine prodotte dall’organismo.
Nacque così un problema nelle menti dei biologi molecolari, come mai con così pochi
geni la drosophila può riuscire a produrre centinaia di migliaia di proteine? Questo
significava che la vecchia idea che un gene codifica per una proteina era sbagliata.
Sappiamo adesso infatti che i singoli geni possono codificare per tante e diverse
proteine, attraverso lo splicing alternativo, cioè la capacità di riorganizzare i “codici”
che codificano per proteine che sono chiamati esoni, eliminando i “codici” che non
codificano per amminoacidi o proteine, gli introni. lo splicing può formare diverse
composizioni esoniche allo scopo eventualmente di generare una grande diversità di
proteine. Infatti nella drosophila un singolo gene va a codificare per più di mille
proteine, quindi c’ è una capacità di un singolo gene di generare diverse proteine
tramite lo splicing alternativo degli esoni.
- 2002 il genoma di topo è stato decodificato e sono stati trovati approssimativamente
30.000 geni codificanti per proteine, stesso numero degli umani circa: i mammiferi
sono strettamente correlati per quanto riguarda la quantità di geni e anche per
quanto riguarda il funzionamento.
- 2003 il progetto sul genoma è stato completato sequenziando 2,8 miliardi di
nucleotidi, identificando 25.000 geni che codificano per proteine, geni simili con
funzioni simili trovati in specie diverse.

In meno di 200 anni dalla teoria dell’evoluzione di Darwin è notevole ciò che la
scienza ha raggiunto, un’ incredibile trasformazione di informazioni che non finisce
oggi.

La straordinaria molecola del DNA


Se stiamo parlando del DNA alla base delle patologie tumorali, dobbiamo renderci
conto della sua natura straordinaria. DNA è acido desossiribonucleico. Come
abbiamo già visto con il sequenziamento di un qualsiasi cromosoma, contiene un
insieme di molecole che immagazzinano informazioni. Adesso c’è un matrimonio fra
diverse discipline scientifiche e non, per analizzare e identificare le molecole che
possono essere utili ad altri scopi, a risolvere altri problemi. Per quanto riguarda nello
specifico il DNA, una delle osservazioni salienti è che immagazzinano un’enorme
quantità di informazioni in poco spazio, non si può vedere ad occhio nudo ma
contiene abbastanza informazioni da poter formare un individuo multicellulare, un
organismo. Queste informazioni negli anni ‘50 sono state anche sviluppate da
Richard Feynman, il quale ha proposto che 50 atomi nel DNA possono memorizzare
1 bit di informazione, riferendosi alla tecnologia informatica. Questa idea è stata
sviluppata nel corso degli anni in cui avevamo il boom della tecnologia informatica.
Si è elaborato il fatto che pochi microgrammi di DNA sanno immagazzinare
moltissime informazioni: nella nomenclatura della tecnologia informatica, nelle
computerizzazioni, si sa che pochi microgrammi di DNA sono sufficienti per
memorizzare 10 TERABYTE, vale a dire 10 alla 12 byte di informazioni, più o meno
come un disco rigido di un grande computer. Pochi microgrammi che sono invisibili!
1 exabyte (10 alla 18 byte) di informazioni può essere memorizzato in 1 cm cubo di
DNA. Come noi sappiamo, anche grazie alle analisi tecnologiche e biologiche
molecolari, il DNA può essere immagazzinato per centinaia di migliaia di anni in
natura, e con esso ovviamente l’informazione se le condizioni di mantenimento sono
corrette.
Sia in natura sia in vitro le informazioni nel DNA possono essere copiate. Sappiamo
avviene con appaiamento delle coppie purine - pirimidine in una struttura elicoidale,
rappresentano una forma di informazione che noi sappiamo essere in grado di essere
trasdotto in altre molecole come mRNA, micro rna, eventualmente anche in proteine
che hanno funzione in vitro e in natura e possono essere copiate. Una piccola
quantità di DNA può memorizzare tante informazioni quanto un iper data center.
La capacità di archiviazione delle informazioni del DNA ha reso questa molecola un
materiale ottimale per l’archiviazione dei dati a lungo termine: l’era dell’interazione
della tecnologia informatica con la biologia è appena iniziata. Avremo uno sviluppo
sempre crescente nella capacità di analizzare DNA usando macchine, scegliere una
sequenza specifica per uno specifico dato per poi immagazzinare l’informazione;
sequenziare DNA e ritrovare la specifica informazione che abbiamo voluto archiviare.
Microsoft venderà questo come deposito di informazioni a lungo termine. Una volta
immagazzinato il dato a livello del DNA deve esserci la possibilità di sequenziarlo. La
possibilità di immagazzinare informazioni in poco spazio è alla base della vita di
organismi.

La correzione di errori nella replicazione del DNA


Il fatto che il DNA abbia la straordinaria capacità di contenere informazioni e
trasmetterle, implica che dobbiamo in natura avere la capacità di correggere errori
che possono capitare durante la trasmissione del codice nella vita, nello specifico
all’interno di un gene ereditato da una cellula attraverso la proliferazione. Per
trasmettere i codici della vita alla cellula successiva, il DNA deve essere copiato.
Sembra un po’ banale ma è un processo incredibilmente complesso e deve per forza
avere un insieme di meccanismi che controllino il processo, facendo sì che non
vengano introdotti errori nel DNA, oltre certi limiti. Il DNA si replica attraverso il
processo di “replicazione del DNA”. Ciò che è tuttavia più caratteristico del DNA non
sono i suoi errori, ma la sua accuratezza, il sistema deve quindi funzionare in modo
impeccabile. Ci sono molti livelli di correzione di bozze ed errori, che garantiscono
una fedeltà quasi perfetta nella replica. Questo è indice del fatto che nel DNA ci sono
un insieme di geni responsabili non solo della replicazione, ma anche dei meccanismi
di proofreading e correzione di errori. Il mal funzionamento dei processi di
proofreading rappresenta un’ ipotetica fonte di mutazioni ed errore genetico, quindi
di potenziale patologia. Prendendo in considerazione la dna polimerasi, questa
replica ciascun filamento di DNA, ha un tasso di errore di 101 su 100 000 basi, che è
relativamente alto. Analizzandola in vitro, senza normale complesso proteico che
corregga un eventuale errore, notiamo l’altissimo livello di errore: è innato nella dna
polimerasi e nella sua capacità di replicare il DNA introdurre errori. Dobbiamo però
considerare la dna polimerasi in un contesto ambientale, in cui a volte l’errore può
essere utile in termini evolutivi, soprattutto per questo è concesso l’errore. La DNA
polimerasi inoltre rileva irregolarità, per esempio una distorsione strutturale tramite
meccanismi non conosciuti e interrompe la replicazione, successivamente giungono
altre molecole a correggere l’errore, rimuovendo la base sbagliata e sostituendola
con quella corretta. Usufruiscono della catena di DNA corrispondente per identificare
l’eventuale errore, in caso non ci sia corrispondenza di basi. Dopo la correzione la
polimerasi procede, questo meccanismo di correzione aumenta la precisione, da 100
a 1000 volte, si riduce già attraverso questo primo processo il numero di errori. C’ è
poi un secondo ciclo di correzione di bozza, che fa in modo di correggere qualsiasi
errore che sia sfuggito al primo meccanismo. Questo complesso è in grado di attirare
altre proteine che riconoscono queste anomalie. Il primo complesso riconosce
anomalie nella forma dell’elica del DNA, perché se le basi non si appaiano
giustamente non possono formare la tipica struttura elicoidale; il complesso poi si
lega ai nucleotidi sbagliati, introducendo un secondo complesso di attacco che porta
a sua volta un terzo complesso per eliminare gli errori su entrambi i lati del DNA,
questo viene contrassegnato con un gruppo metilico. C’è anche un evento biochimico
per identificarlo quindi. Un altro filamento parziale di DNA viene creato per la regione
in questione e un altro complesso proteico elimina la quantità esatta di DNA
necessario per colmare il vuoto. L’etichetta di metilizzazione, viene riconosciuta da
un ulteriore complesso proteico, la nuova sezione corretta viene trasferita e aggiunta
al filamento di DNA originale.
Tutti questi geni coinvolti illustrano la quantità in termini di genetica proteica
necessaria per far sì che il DNA si replichi accuratamente in vivo. Questo secondo
meccanismo di correzione di bozza è più o meno efficace al 99% e aumenta la
precisione complessiva della replica di dna di oltre 100 volte, già il primo meccanismo
aumenta l’accuratezza tra 100 e 1000 volte, questo ulteriormente 100 volte. Ci si
rende conto della quantità del materiale in termini di proteine e DNA necessario per
il proofreading (=correzione di bozza) durante la replicazione del DNA per far sì che i
geni che vengono accoppiati vengono accoppiati in una maniera accurata. Questi
sono i meccanismi che portano al mantenimento di una salute in termini genetici.

Mutazioni a carico del DNA possono causare cancro


Le mutazioni del DNA quindi l’incapacità di replicare il DNA in maniera accurata e l’
introduzione di cambiamenti provenienti dall’ambiente sono implicati
nell’insorgenza della malattia. Le mutazioni che sono proprie iditutte le cellule del
corpo, quindi che sono ereditarie in un umano, causano malattie importanti, ci sono
diversi studiosi che vanno a vedere il genoma di nuovi individui, è sempre più
possibile correlare problemi a livello di determinati geni con malattie particolari, la
malattia di Huntington coinvolge la mutazione di geni come l’huntingtina; fibrosi
cistica geni mutati CFTR, codificano per i canali degli ioni cloro mutati causando
malattia grave come fibrosi cistica. X fragile; anemia falciforme; SLA, associato a
mutazioni nei geni ossidanti come superossidasi, dismutasi 1. Le mutazioni che si
verificano comunque quando le cellule si accoppiano in diversi tessuti come il sangue,
nella cute, nel sistema immunitario, nell’intestino e in altre sedi epiteliali anche in
una certa misura nel cervello possono portare a cambiamenti che portano
eventualmente ad una trasformazione tumorale, quindi sfociare nella
manifestazione del cancro. Ovviamente ci sono tanti agenti che possono danneggiare
il DNA: sigarette che contengono un insieme di molecole che danneggiano il DNA ed
in un ambiente di replicazione causano mutazioni.

Mutazione è un termine che adesso è utilizzato per identificare cambiamenti nella


sequenza del DNA del genoma di una cellula confrontando che cosa succede in una
piccola percentuale delle popolazioni osservate e ci sono molti casi di mutazioni nel
dna che provengono da diverse fonti. Noi abbiamo ovviamente meccanismi evoluti
per limitare le loro capacità di mutare il DNA, sono i meccanismi che ci difendono. Le
mutazioni quindi sono incorporate in tutte le cellule del corpo di un umano e causano
malattie importanti, ereditarie, si sviluppano malattie a seconda del gene mutato di
malattie come Huntington, fibrosi cistica, X fragile, anemia falciforme e molte altre.
Aumentando la nostra capacità diagnostica e introducendo numerosissime nuove
malattie per le quali i geni adesso sono riconoscibili, le mutazioni che si verificano
quando le cellule si copiano nel sangue, nella pelle, nel sistema immunitario,
nell’intestino e in una certa misura anche nel cervello, possono portare a
cambiamenti che portano al cancro. Ci sono molte sostanze che possono indurre
mutazioni: sostanze cancerogene presenti a centinaia nelle sigarette che danneggiano
il DNA e inducono una reazione chimica che promuove mutazioni, gas di scarico
dell’auto, elementi inquinanti, luce ultravioletta, quindi radiazione ultravioletta e
ionizzante, virus, trasposoni, ossidanti e un’ampia varietà di agenti cancerogeni tossici
che sono tutti in grado di danneggiare il DNA in vari modi, mettendo in pericolo la
capacità del DNA di replicarsi in maniera fedele. Infatti il cancro è quindi una malattia
dei geni.

Longevità e fattori ambientali correlano con la frequenza di insorgenza tumorale


Però storicamente il cancro non fu considerato così importante. Questo perché la
maggior parte delle persone morivano di altre malattie storicamente prima della
morte dovuta a tumori : peste bubbonica, vaiolo, tetano, tubercolosi, polmonite e
tante altre infezioni causavano la maggior parte della mortalità di ieri. Ovviamente
l’eliminazione della maggior parte di queste malattie attraverso grandi progressi nella
salute pubblica e nella medicina ha aumentato la possibilità di longevità.
Sfortunatamente, il lato negativo di vivere a lungo è avere un aumento nell’incidenza
del cancro, perché il tempo che noi passiamo con gli agenti che danneggiano il DNA
aumenta sempre più, creando così condizioni favorevoli al danneggiamento non solo
del DNA ma anche di geni che sono alla base della sua replicazione in maniera fedele.
L’ossigeno è una sostanza senza cui non possiamo vivere, però è uno degli agenti più
tossici che esiste, perché quando viene metabolizzato crea condizioni per generare
specie reattive dell’ossigeno, radicali liberi e altri non radicali liberi ma comunque con
capacità ossidativa in grado di danneggiare le molecole.
Soprattutto durante la terza età - guadagnata attraverso una grande miglioramento
della medicina tramite la patologia generale e anche grazie alle informazioni sui geni-
assistiamo ad un incremento del danno di molecole di DNA, le quali sono però
prontamente riparate, finché non vengono danneggiati geni che promuovono i
tumori. Questo è illustrato dal fatto che l’incidenza di tumori nella terza età aumenta
più o meno in maniera esponenziale, mentre ovviamente durante i primi periodi della
vita, quando tutti i geni se non sono già danneggiati a priori funzionano bene, il rischio
di tumori è decisamente basso. Fa parte di un discorso che approfondiremo dal punto
di vista molecolare. Nell’occidente in particolare abbiamo guadagnato un’ aumentata
longevità di vita, cosa che però correla con l’incidenza del cancro, sempre più in
aumento. Sono elencati in ordine di percentuale le forme di tumori che colpiscono
femmine e maschi.

Le ragioni includono ovviamente in primis una maggior durata della vita, ma non
dobbiamo dimenticare che l’inquinamento fa il suo effetto, più le popolazioni vivono
vicino a fonti di inquinamento, con agenti che danneggiano il DNA, più si rileva un’
aumentata casistica di tumori. Per esempio a Taranto l’inquinamento è associato a
molecole che mutano il DNA e non stranamente la casistica di tumori è aumentata.
Stesso destino per le persone che sono state direttamente coinvolte in radiazioni o
vivono vicino a fonti di radiazione come Chernobyl o Fukushima, la radiazione infatti
danneggia il DNA e non stranamente la quantità di tumori associati a questi individui
aumentano drammaticamente. Altro esempio ancora di aumentata frequenza di
insorgenza tumorale sono le persone con cute meno protetta dalla melanina che sono
emigrate in aree molto soleggiate come l’ Australia, quindi soggetti di carnagione
chiara subiscono gli effetti delle radiazioni in termini di quantità di tumori
drammaticamente aumentata in determinate sedi cutanee.
Il cancro comunque non stranamente solleva paura, perché non solo è una malattia
complessa in sé, ma anche le terapie che sono state sviluppate per tenerlo sotto
controllo e limitarne il più possibile i danni (chemioterapiche e radioterapiche) sono
toste, sono terapie mirate tradizionalmente ad uccidere cellule in divisione. Inoltre le
cellule dei tumori in divisione hanno anche una adattamento alla sopravvivenza
maggiore delle cellule normali, le quali subiscono un danno a livello del genoma.
Queste cellule quindi in determinate circostanze sopravvivono più delle cellule non
tumorali e i farmaci utilizzati contro le cellule tumorali comunque non risparmiano le
cellule normali in divisione. Per questo motivo i cicli chemioterapici sono tosti e
devono essere fatti in maniera appunto ciclica, con un occhio di riguardo sugli effetti
collaterali di uccisione delle cellule che normalmente sono quelle necessarie a
ripristinare elementi cellulari dell’organismo, per esempio le cellule staminali del
sangue in continua proliferazione a livello del midollo osseo, oppure i centri di
replicazione epiteliali anch’essi uccisi se la terapia è effettuata in maniera “generica”.
Ci si rende quindi conto che è una battaglia complessa in termini terapeutici con una
patologia molto complessa, che continua a sollevare paura. Ma non è tutto “doom
and gloom” perché ci sono tanti progressi molto importanti basati su nuove terapie,
che mirano a mantenere le cellule sane funzionanti, riducendo drammaticamente allo
stesso tempo la nocività del tumore. Comunque nel 2015 ci sono stati 14 milioni di
nuovi tumori nel mondo, con 8.8 milioni di morti, circa il 15% dei decessi totali nel
mondo. Fra 2008 e 2012 il cancro del seno è aumentato del 20%, con un aumento del
14% della mortalità correlato alla forma metastatica. Nel mondo si stimano 23.6
milioni di nuovi casi di cancro ogni anno entro il 2030 ed è anche previsto che nel
futuro prossimo ad una persona su due verrà diagnosticato un cancro. Questa
complessa patologia però sta diventando, è ad oggi e diventerà una delle più
importanti e studiate a causa della sua complessità e delle terapie ad essa associate.

Terminologia
Il tumore è la crescita di tessuto relativamente autonoma, alterata ereditariamente
(in seguito a danni che avvengono a livello genomico). Si tratta di una crescita
incontrollata di cellule somatiche, generalmente di tipo monoclonale (ovvero una
cellula che ha subito alterazioni genetiche che de-regolano proliferazione,
differenziamento e sopravvivenza, trasmette queste alterazioni alla progenie).
Il termine “crescita incontrollata” indica che il numero (e non la velocità di divisione,
che può anche essere diminuita!) delle cellule in proliferazione (frazione di crescita)
è aumentato notevolmente: vengono generate molte più cellule rispetto a quelle che
muoiono, in un dato tempo. Infatti gli esami diagnostici, mettono in evidenza anche
il tasso di proliferazione come riferimento rispetto alla gravità del tumore; questi
indici sono rilevati per mezzo di marcatori specifici, e sono utili anche dal punto di
vista terapeutico. Se il tasso di proliferazione è pari, per esempio, al 40% è più
probabile che il tumore risponda al farmaco; viceversa se si ha una frazione di
proliferazione dell’1%.
La trasformazione di una cellula da normale a cancerogena è dovuta all’alterazione
dei normali meccanismi di regolazione del ciclo cellulare a proposito della
sopravvivenza e della morte cellulare programmata, ovvero i geni coinvolti nella
crescita, differenziamento e sopravvivenza della cellula: distinguiamo (in forma
normale) geni proto-oncogeni, che se danneggiati producono proteine abnormi
definite oncogeni (possono indurre la formazione di tumori) e oncosoppressori, che
sopprimono la formazione di tumori producendo apposite proteine.
Tumore e neoplasia hanno lo stesso significato e si riferiscono sia a condizioni benigne
che maligne.
La grandezza di un tumore non è correlata alla gravità! Per esempio i melanomi sono
molto piccoli, ma decisamente maligni.
• Tumore = tumefazione, considera l’aspetto microscopico. È una massa rilevata
sul sito anatomico di origine.
• Neoplasia = neoformazione, ovvero cellule neoformate non esistenti prima.
• Cancro = tumore maligno.
• Metastasi = (da meta=al di là e stasi=stato, posizione) cambiamento di sede di
una materia morbosa, ovvero la distribuzione delle masse tumorali dalla sede
di origine ad altre sedi dell’organismo. Infatti i tumori possono accrescersi
anche nel parenchima di organi non di origine; è la forma più grave.

Storia dei tumori


Si sono osservate evidenze rispetto al fatto che i tumori esistevano anche all’epoca
dei dinosauri (circa 70 milioni di anni fa) e coinvolgono tutte le specie, sia vertebrati
che invertebrati; la risposta dipende comunque dalla struttura stromale: per esempio,
negli elefanti pare vi sia una resistenza maggiore rispetto alle forme tumorali maligne.
La paleopatologia ha messo in evidenza segni di masse neoplastiche per esempio nel
cervello di un Tirannosauro Res, e un osteosarcoma in un Centrosaurus apertus.
Il primo tumore umano che è stato identificato è un carcinoma metastatico presente
in un frammento di mandibola trovato in Africa e risalente a 3200 anni fa; i primi
riferimenti ai tumori risalgono ad un papiro del 3000-2500 a.C. attribuibile ad un
leader e medico-architetto egiziano (Imhotep), che descriveva una sintomatologia,
definita incurabile e riconducibile al tumore alla mammella: grossi rigonfiamenti nel
petto, diffusi e duri, toccarli è come toccare una palla di stracci, fresca al tatto, gonfia
e diffusa su tutto il seno, trattata con il trapano di fuoco (tecnica oggi definita con il
termine cauterizzazione). Sarcomi e carcinomi sono stati inoltre trovati in mummie
egiziane e descritti in alcuni papiri.
Greci e romani erano a conoscenza delle principali caratteristiche dei tumori, pertanto
ricorrevano a procedure curative chirurgiche radicali, ancora praticate.
Ippocrate intorno al 400 a.C. utilizzò per primo il termine karkinos (che significa
granchio), sottolineando l’analogia tra le chele del granchio e i vasi che irrorano il
tumore; ad oggi utilizziamo ancora il termine cancro, traduzione italiana della parola
karkinos.
Galenus nel 130 a.C. invece utilizzò la parola onkos, che significa massa, per
descrivere un tumore.

Oncologia nella linea del tempo


1. 167 d.C., Paulo di Egina → medico bizantino, scrive nel suo libro “Epitomia della
Medicina” che la chirurgia sia meglio della cauterizzazione per eliminare i
tumori al seno.
2. 1190, Rambam → filosofo ebreo sefardita medievale, suggeriva di togliere
tutto il tumore fino al tessuto sano, se non è vicino a grandi vasi od organi.
3. 1839, Recamier → descrive per primo la disseminazione di cellule tumorali nel
sistema vascolare, introducendo il termine metastasi per descrivere tumori
secondari. È una scoperta importante perché il 90% delle morti dipendono da
tumori.
4. 1838-1863, Muller e il suo studente Virchow → con il microscopio descrivono
la cellularità dei tumori in rapporto con l’irritazione cronica, suggerendo
un’associazione infiammazione-tumori.
5. 1889, Paget → studiando 1000 autopsie di donne con tumore al seno, osserva
che le metastasi hanno una tessuto-specificità e si sviluppano quando il terreno
è adatto: introduce la teoria del “seme e terreno”, dove il seme corrisponde
alla metastasi e il terreno all’organo specifico: il seme si sviluppa se il terreno è
adatto, come la metastasi si sviluppa se l’ambiente è favorevole.
6. 1909, Ehrlich → suggerisce che la deregolamentazione del sistema
immunitario è il principale responsabile del cancro: il sistema immunitario se
agisce in maniera ottimale rappresenta un sistema oncosoppressore, ma se
viene danneggiato apre la strada ai tumori; infatti i soggetti immunodepressi
hanno una propensione rispetto allo sviluppo di tumori.
7. 1911, Rous → isola per primo un retro-virus oncogeno in animali (retrovirus
Sarcoma di Rous), che apre un capitolo di ricerca sui meccanismi attraverso cui
diversi virus possono essere oncogeni.
8. 1914, Boveri → identificando il centrosoma, introduce la teoria dell’origine
cromosomica del cancro: la comparsa del cancro dipende dalla presenza di
cromosomi abnormi e ad una certa instabilità genetica.
9. 1931, Warburg → descrive i problemi metabolici associati ai tumori (effetto
Warburg: indica il metabolismo come fermentazione di zuccheri, meccanismo
fondamentale per l’accrescimento dei cancri).
10. 1936, Bittner → identifica il virus proveniente dal genoma del topo, il virus
MMtv: prima evidenza che nel genoma del topo vi è materiale genetico, simile
a quello presente nell’uomo, proveniente da interazioni retrovirali (Bittner
virus) che causa il tumore della mammella.
11. 1971, Nixon → dichiara guerra al cancro con un piano noto come National
Cancer Act, stanziando 100 mln di dollari per la ricerca in questo campo. Questa
posizione gli vale il declino nella sua carriera politica. Ad oggi, il fondo per
questa ricerca è aumentato e risulta ancora in aumento grazie ai numerosi
stanziamenti, in quanto il tumore è diventata la patologia più “temuta” nella
società odierna; inoltre si stanno sviluppando delle tecniche terapeutiche che
siano mirate e tengano conto di tutte le “variabili”.
12. 1971, Knudson → introduce l’ipotesi dei “due colpi” a proposito del
retinoblastoma (tumore pediatrico della retina, ricorrente nella sua famiglia):
è necessario danneggiare entrambi gli alleli di un gene oncosoppressore per
promuovere il cancro. Ha aperto la strada alla ricerca sugli oncosoppressori.
13. 1976, Varmus e Bishop → analizzando il Sarcoma di Rous, scoprono l’origine
cellulare degli oncogeni retrovirali.
14. 1979, Lane → scopre l’oncosoppressore p53 nominato, “il guardiano del
genoma”: se compromesso, il genoma è instabile e più suscettibile di
alterazioni neoplastiche molto aggressive.
15. 1986, Friend → scopre l’oncosoppressore pRb, nel retinoblastoma.
16. 1986, Ono → usando le sequenze dell’MMtv, scopre il retrovirus endogeno
umano HERV-K; usando la complementarietà del DNA dimostra che ne esistono
numerosi nel nostro organismo, che però sono stati inattivati al fine di evitare
problematiche: quando vi sono danni al DNA, tali retrovirus possono riattivarsi
e indurre la formazione di tumori ad elevata gravità.
17. 1988, Volgestein → studiando tumori in famiglia, dimostra che si accumulano
mutazioni geniche che promuovono la progressione dall’adenoma al carcinoma
metastatico del colon; studiando singolarmente ciascun caso clinico, si rende
conto che esiste un “minimo comune multiplo”, in termini di mutazioni, tra
tutti: la progressione di un tumore si associa all’accumulo di mutazioni che
promuovono la capacità metastatica.
18. 1990 → il Progetto Genoma Umano attraverso le nuove tecniche del nuovo
sequenziamento veloce: permette di genotipizzare i vari tipi di tumore; questo
permette di “classificare” i tumori aprendo la strada alla terapia preventiva e
soprattutto individuale, prevedendo anche quale tipo di risposta si potrebbe
sviluppare ad una determinata terapia.
19. La FDA (Federazione di Approvazione dei Farmaci) approva il primo vaccino anti
cancro, il “Gardasil” contro il papilloma virus HPV, principale causa del
carcinoma della cervice, malattia sessualmente trasmissibili. Uno studio
scozzese lungo 10 anni coinvolgendo 140 mila donne, ha osservato un 90% di
riduzione nel rilevamento delle cellule pre-cancerose in seguito al ricorso al
Gardasil. Il principio di base è che conoscendo le cause, si possono evitare i
tumori: è meglio prevenire il tumore piuttosto che sottoporlo a terapia, perché
se si è formato troverà comunque un’altra strada per svilupparsi!

Sviluppo di tecniche terapeutiche contro i tumori


I vaccini non rappresentano l’unico approccio terapeutico-preventivo.
• Terapia T-cellula adottiva per il cancro → I tumori aggressivi, attraverso
alterazioni a livello genetico, possono bloccare il sistema immunologico.
Conoscendo questo meccanismo, si può bloccare il processo attraverso terapie
immunologiche. Tale terapia coinvolge l’arricchimento ex-vivo e l’espansione
di cellule immunitarie specifiche per il trasferimento adottivo; è una modalità
efficace per il trattamento di pazienti con tumore avanzato refrattario alla
terapia convenzionale.

• Immunoterapia → utilizzo di farmaci che inibiscono gli immunosoppressori.


La ricerca è ancora in corso, perché in alcune condizioni tumorali non
producono risultati positivi.

• La ricerca si muove anche per comprendere l’interazione tra l’infiammazione


dello stroma e lo sviluppo tumorale (TAF’s, TAMs e PMNs): si è osservato che
non tutti i tumori sono formati da cellule modificate, e in alcuni casi sono
formati da cellule dell’infiammazione. Gli studi condotti in questo senso hanno
dimostrato che le cellule tumorali sono in grado di indurre la riprogrammazione
di cellule normali per sfruttare la loro capacità di promuovere la gravità dei
tumori.

• Si sta studiando il ruolo dell’epigenetica nella regolazione e progressione


tumorale e nella resistenza terapeutica, così da “sfruttarla” a fini terapeutici
attraverso la staminalità e l’attivazione di retrotrasposoni. Il microambiente
infatti favorisce la formazione di nicchie di cellule staminali tumorali,
differenziate e molto aggressive, fonte per altro di fenomeni recidivi.

• Anche il precedente citato effetto Warburg può essere utilizzato a fini


diagnostici e terapeutici nell’ambito dei tumori: la scansione PET ci permette di
individuare le regioni in cui è presente quel metabolismo glicolitico aerobico
particolarmente sviluppato nei tumori; in realtà, questo tipo di tessuto, lo si
può confondere con un tessuto in rigenerazione che mostra lo stesso
meccanismo: la PET viene preferibilmente associata alla biopsia diagnostica.
[L’ultimo tratto della registrazione, probabilmente per problemi di linea, si sente a
tratti: quest’ultima parte potrebbe essere incompleta!]
Patologia molecolare 2 22/10/2020

Il tumore sta diventando una delle malattie più importanti considerando che una
persona su due durante la sua vita avrà diagnosi di tumore. Tuttavia, negli ultimi anni, ci
sono stati alcuni importanti miglioramenti in quest’ambito. Riprendiamo il discorso
della scorsa lezione continuando ad analizzare questi miglioramenti.

Maggiore comprensione del metabolismo tumorale. Negli anni ‘30 fu descritto il


metabolismo associato ai tumori maligni sotto il nome di Effetto Warburg. Otto
Warburg descrisse che I tumori maligni usufruiscono di un metabolismo del tipo
glicolitico che in origine lui pensava essere anaerobico (come lo è la glicolisi) ma
successivamente è stato scoperto essere anche praticato in presenza di ossigeno nei
tumori e quindi divenne conosciuto come metabolismo glicolitico aerobico.
I meccanismi di questo metabolismo coinvolgono, come vedremo, diversi cambiamenti
a livello delle regolazioni dei partecipanti nel metabolismo che offrono al tumore la
possibilità di usufruire di un meccanismo energetico povero in termini di produzione
dell’atp per molecola di glucosio che però offre la possibilità di utilizzare il carbonio che
non è destinato a produrre atp ad uso anabolico. Quindi, attraverso l’analisi della
molecolarità, si potrebbe dire che se i tumori praticassero una respirazione aerobica di
natura fosforilazione ossidativa (attraverso ciclo di Krebs quindi coinvolgendo i
mitocondri) sicuramente la produzione di ATP per molecola di glucosio sarebbe
enorme rispetto alla glicolisi (36 ATP attraverso fosforilazione ossidativa contro 2 ATP
per molecola di glucosio tramite glicolisi). Tuttavia, dai tumori è stato selezionato un
metabolismo, la glicolisi aerobica appunto, che non produce una gran quantità di ATP
per molecola di glucosio ma che è in grado di fornire al tumore il materiale per
crescere. Infatti, in questo tipo di metabolismo, gli atomi di carbonio che non vengono
direzionati verso la produzione di energia sono utilizzati allo scopo di produrre sostanze
come amminoacidi, lipidi, acidi nucleici. Per questo motivo c’è tanto lavoro da fare con
l’analisi del metabolismo perché esso può essere cambiato in modo da ridurre la
crescita tumorale. Però questo tipo di metabolismo, è stato anche usato allo scopo di
sviluppare metodologie diagnostiche. Trattandosi di un metabolismo povero di energie
nei tumori cominciano a cambiare la quantità e l’attività dei trasportatori del glucosio: i
tumori maligni incassano più glucosio entrando in competizione con il tessuto
circostante.
L’utilizzo di molecole che sono isoforme del glucosio e non possono essere
metabolizzate (non possono fornire sostanze nutritive al tumore) marcate con isotopi
fosforescenti ha permesso, attraverso la PET (positron emission tomography) di
identificare tessuti che usufruiscono di un metabolismo del genere e quindi tumori. I
tessuti identificati se non sono tumori spesso sono tessuti in rigenerazione in seguito
ad un evento infiammatorio (anch’essi devono generare cellularità e usufruiscono di un
metabolismo misto con componenti glicolitici e di fosforilazione ossidativa). Tuttavia
questi dopo una diagnosi differenziale (le biopsie per esempio sono utili a diagnosticare
tessuti in rigenerazione o di natura infiammatoria) vengono distinti da un tumore vero e
proprio. La PET viene usata non solo per diagnosi ma anche per prognosi, per analizzare
il tumore in seguito ad una terapia perché le terapie che funzionano ovviamente
abbassano questo tipo di metabolismo.

Utilizzo di Tumor-OMICS. Una metodologia attraverso la quale si può sempre di più


caratterizzare ciascun tumore in maniera individuale ovvero avere la possibilità di
scegliere terapie personalizzate attraverso il sequenziamento del DNA tumorale per
identificare i geni difettosi o anche per analizzare: variazioni del numero di copie del
gene (indice di amplificazione genica), l’espressione di micro-RNA messaggeri , di mRNA
e anche delle proteine. Quindi, c’è una vasta gamma di arrays genici e micro-RNA delle
proteine che rappresentano importanti metodologie per analizzare i tumori in una
maniera sempre più individuale e permettono non solo di sviluppare adeguate strategie
terapeutiche ma anche di identificare nuovi bersagli e sviluppare nuove quantità di dati
che può essere anche utilizzata per trasferire queste informazioni in campo terapeutico
quindi di sviluppare nuove vie terapeutiche.

Adesso c’è anche la possibilità di usare biopsie liquide (nelle vecchie procedure si
usavano quelle solide), sono state sviluppate nuove tecnologie per purificare cellule
tumorali o DNA tumorale circolanti nei pazienti oncologici. Queste cellule sono
importanti perché rappresentano, secondo molte teorie, le cellule che con più
probabilità andranno a formare metastasi. Quindi, la novità è che attraverso la
purificazione, per esempio, di un 50 ml di sangue preso da un paziente avremo un
monitoraggio più accurato della malattia tramite le tecniche di NGS (next generation
sequencing). Queste tecniche hanno velocizzato la capacità di avere informazioni a
livello del DNA, utili per rivelare cambiamenti nel carico tumorale e mutazioni associate
a resistenza alla terapia o anche alla progressione metastatica, importanti per la
decisione terapeutica di seconda e anche terza linea che possono essere utilizzate tra I
farmaci che sono in campo. (Le strategie terapeutiche per i tumori in prima linea sono
standardizzate, esistono dei protocolli che ad oggi possono essere anche elaborati da
siti, soprattutto americani ma utilizzati a livello globale, in cui inserendo diagnosi e
stadio del tumore riceviamo I protocolli aggiornati per quel tipo di tumore.)
Inoltre, un miglioramento nella conoscenza dei meccanismi attraverso i quali i tumori
progrediscono è dato dall’ identificazione di dipendenza o non dipendenza oncogenica
che è importante per la terapia mirata. Infatti vi sono tumori in cui i meccanismi
oncogenici dipendono direttamente dal ruolo dell’oncogene e tumori in cui i
meccanismi oncogenici non dipendono direttamente dal ruolo dell’oncogene e
coinvolgono meccanismi di stress. Per cui si può scegliere, in base a questa dipendenza
o non-dipendenza, la terapia adeguata. Un esempio di ciò è il recente utilizzo di un
farmaco contro una serie di oncogeni provenienti dalla fusione fra recettori tirosin
chinasici con altri geni (quindi uno dei meccanismi oncogenici coinvolge rottura e
risaldamento del dna in modo che geni nuovi vengono formati): una serie di studi ha
identificato nuovi oncogeni dalla fusione fra trk, un recettore per fattore di crescita
neuronale, e altri geni. In quel contesto è stato rivelato che i tumori dipendono da
queste fusioni quindi inibire l’attività di questi oncogeni può essere di importanza
terapeutica. Infatti tra gli inibitori degli oncogeni trk, che sono tirosin chinasi, un ottimo
farmaco è Larotrectinib che agisce in un range di tumori molto diversi che portano
oncogeni di natura trk-fusione perché questi tumori sono quasi sempre oncogene-
dipendenti (l’oncogene è quello che direttamente promuove il comportamento
oncogenico del tumore quindi la sua inibizione va direttamente ad avere un effetto in
termini di risposta alla terapia mentre altri tumori progrediscono usufruendo di
meccanismi che non dipendono direttamente dall’attività dell’oncogene ma
indirettamente dal danno causato dallo stress cellulare e quindi un’ inibizione diretta
dell’oncogene non necessariamente funziona in questo contesto).

Miglioramenti in chirurgia oncologica. Ad oggi sono state sviluppate tecniche per


eliminare tessuto neoplastico che vanno al di là della chirurgia (di cui i primi
protagonisti furono Paolo di Egina e Mose Maimonides): non necessariamente si usa il
bisturi, si usano anche radiazioni. Il cosiddetto “bisturi delle radiazioni gamma” ha
portato a miglioramenti nella terapia dei tumori al cervello poiché permette di
focalizzare maggiormente l’energia utilizzata per distruggere i tessuti tumorali con
un’accuratezza mai vista prima, in questo caso usando raggi gamma provenienti
dall’isotopo 60 del cobalto altamente focalizzati.
Si è andati anche oltre, con le nuove tecniche di radiazioni basate sulla terapia
protonica che offre un ulteriore miglioramento dell’accuratezza della distribuzione di un
quantitativo di energie sufficienti per uccidere le cellule tumorali minimizzando effetti
collaterali. (I colori nella foto in basso a sinistra illustrano la quantità diversa di energia
che va utilizzata e che diminuisce alla periferia dell’area considerata).

Nella terapia protonica i protoni, rispetto ai raggi X o altri tipi di radiazioni,


rappresentano particelle cariche e non onde elettromagnetiche e possono quindi
essere energizzate a una velocità specifica che permette un’accurata determinazione
della deposizione massima dell’energia e ciò è dato dal fatto che i protoni rallentano
quando si avvicinano al loro punto di arresto mirato: l’energia massima viene rilasciata
all’interno del volume del cancro e non nel tessuto sano. Questo consente di
aumentare il dosaggio delle radiazioni protoniche con meno effetti collaterali e maggior
controllo del tumore. Il vantaggio rispetto all’utilizzo di radiazioni ionizzanti è che la
distribuzione di energia dei protoni può essere diretta e depositata in un volume di
tessuto designato in un modello tridimensionale da ciascun fascio utilizzato offrendo
molto maggior controllo, precisione e gestione della terapia. Il paziente non avverte
nulla con la lesione del tessuto normale ridotta e meno effetti collaterali come nausea,
vomito ecc. (nell’uso delle radiazioni invece l’energia delle radiazioni deve essere
diminuita proprio perché gli effetti collaterali devono essere minimizzati). Questa
tecnica ha dato una possibilità in più in caso di tumori inoperabili o tumori il cui
trattamento con raggi X era piuttosto difficile. Tuttavia, pochi centri in Italia
usufruiscono di questo tipo di terapia (Trento, Milano, Lazio) che, inoltre, è piuttosto
costosa.
Next Generation Sequencing è stato un grande passo avanti che permette una rapida
identificazione dei geni danneggiati associati al cancro. Questo porta ovviamente a
miglioramento in termini di diagnosi, prognosi e selezione terapeutica più accurata.
Infatti, ora sappiamo che in ogni tipo di tumore ci sono numerosi sottotipi che
dipendono da cambiamenti diversi a livello genomico ed è la ragione per cui non tutti I
tumori rispondono nella stessa maniera a determinati farmaci, anche quelli mirati. I
cambiamenti in ciascun sottotipo di tumore devono essere sempre di più conosciuti al
fine di permettere di individualizzare la terapia.
Nel campo della prevenzione l’identificazione degli agenti ed ambienti che causano
cancro è importante al fine di istruire le persone. Inoltre, l’analisi di SNPs sta diventando
molto importante. Gli SNPs rappresentano cambiamenti a livello della sequenza del
DNA di geni specifici non sempre in regioni codificanti, anche in regioni non codificanti
che regolano le espressioni, che fanno la differenza fra individui.

Man mano che vengono analizzati questi SNPs


vengono associati con patologie, e ci si sta
rendendo conto che determinati SNPs si
associano con cambiamenti nel rischio del
cancro. Un SNP non è una mutazione
patologica, sono cambiamenti a livello genico
che caratterizzano individualità e però
possono cambiare il rischio di avere malattie
in determinati ambienti e l’analisi del dna fa
focalizzare su questi SNPs sempre di più.

L’analisi del dna per mutazioni cancro associate con l’identificazione di geni difettivi
nelle cellule tumorali nel sangue (biopsia liquida) e analisi di SNPs sono importanti per
conoscere quali sono le condizioni che possono predisporre a tumore e quali sono i
danni che si associano ai tumori una volta che si formano. Quindi, ciò fa si che ci sia un
miglioramento generale nell’istruzione con la capacità di prevenire determinate cose.
Un esempio dell’importanza dell’analisi degli SNPSs: se ci sono SNPs a livello dei
citocromi p450, che sono enzimi detossificanti che lavorano a livello del fegato a
diverse velocità, tali enzimi saranno più pigri nello svolgere la loro funzione per cui per
il soggetto è meglio stare alla larga da determinati agenti tossici che possono essere
ingeriti. In un soggetto in cui non ci sono SNPs, invece, gli enzimi lavorano più
velocemente per cui egli è meno a rischio di effetti tossici o nocivi. Questo tipo di
polimorfismi danno un aumentato rischio a tumore e sono coinvolti nella distribuzione
di cancro in popolazioni e anche in risposte individuali di persone a terapie quindi
rimane un’area importantissima per analizzare il dna e sicuramente nel futuro sarà
sempre più richiesta una documentazione degli SNPs individuali che sarà utilizzata per
stimare il rischio che ciascun individuo ha in determinate condizioni ambientali.

Introduzione di una nuova metodologia che permette l’ablazione del tumore tramite
il riscaldamento di microparticelle in oro. I tumori che uccidono sono principalmente
quelli che danno metastasi (cellule che lasciano le sedi primitive e vanno a colonizzare il
parenchima di organi distanti). Tali tumori hanno accumulato una serie di mutazioni che
li rendono particolarmente difficili da uccidere con la chemioterapia tradizionale poiché
diventano instabili e vengono selezionate sottopopolazioni resistenti alla terapia.
Questa nuova metodologia potrebbe offrire la possibilità di un trattamento più efficace
in questi casi, poiché non usufruisce dei classici agenti chemioterapici. Jennifer West e
Naomi Halas sfruttando le loro conoscenze sull’ infiammazione (perché determinate
caratteristiche dell’infiammazione si trovano anche a livello tumorale) e delle vecchie
tecnologie usate per identificare molecole che identificano vasi permeabili (ovvero
l’inoculazione di piccole particelle di carbonio, di inchiostro, nell’animale endovena
permetteva di identificare letti vascolari permeabili, di identificare i mediatori della
permeabilità vascolare) hanno pensato di usare nanoparticelle di oro, che sono in grado
fra l’altro di essere scaldate tramite laser, e inocularle in animali con tumori osservando
che quest’inoculazione andava a localizzare il letto vascolare permeabile del tumore.
Quindi, in seguito, usufruendo di una luce laser potevano effettuare l’ablazione del
tumore attraverso il riscaldamento delle particelle (in pratica, hanno cotto i tumori).
Questo aggira il problema della resistenza terapeutica perché ovviamente non c’è una
resistenza al riscaldamento (si raggiungevano 56-60° nella sede del tumore) e aggira
anche il problema delle metastasi grazie all’eliminazione di tutti i maggiori
oncosoppressori che sono quelli che rendono le cellule tumorali impossibili da uccidere
quando raggiungono uno stadio molto avanzato.

Queste osservazioni sono state messe in trials


clinici nel 2008 ma a causa dell’uragano che ha
colpito la città di New Orleans in cui c’era il
laboratorio la ricerca si è bloccata ed è stata
posticipata. Gli studi hanno ripreso lo scorso
anno con una pubblicazione “Gold nanoshell-
localized photothermal ablation of prostate
tumors in a clinical pilot device study” e
significa che ora hanno fatto i trials clinici nel
cancro della prostata dell’uomo usufruendo di
nanoparticelle che si vanno a localizzare nei
tumori anche precoci nello sviluppo, notando
che diminuivano notevolmente in grandezza, usufruendo di una sonda laser. L’efficacia
dipende dal posizionamento ottimale della sonda laser. Questa metodologia
sicuramente offre una possibilità anche quando tutte le altre terapie farmacologiche
non funzionano a causa della resistenza delle cellule.

Internet. Parallelamente a questi cambiamenti tecnologici a livello di terapia,


identificazione e caratterizzazione del tumore c’è internet che è stato incredibilmente
importante nel migliorare la conoscenza dei tumori offrendo la possibilità non solo a
scienziati e medici ma anche al pubblico di accedere alle informazioni. Però è un’arma a
doppio taglio, perché ovviamente c’è un aumento della diffusione anche di idee
sbagliate. Esempio eclatante è quello della New German Medicine di Dr.Hamer. Dr Dirk
Hamer dice che : “Ogni tumore o malattia equivalente al cancro ha origine da un DHS,
sindrome di Dirk Hamer, che è uno shock severo, molto acuto, drammatico e isolante
che coglie un individuo completamente alla sprovvista. Lo shock di conflitto si verifica
simultaneamente nella psiche, nel cervello e nell’organo corrispondente. Al momento
del DHS, il contenuto del conflitto determina la posizione di un Hamer Focus nel
cervello e la posizione del tumore o della malattia equivalente al cancro nell’organo”. In
pratica significa che uno shock psichico può indurre la formazione di tumori. “Lo
sviluppo dello shock psichico determina l’esatto sviluppo dell’Hamer Focus nel cervello
e l’esatto sviluppo del cancro o della malattia equivalente al cancro nell’organo”.

Quindi, lui con una scansione TAC illustrava questi punti focali che
invece non sono altro che artefatti.

“L’obiettivo terapeutico della Nuova Medicina è individuare il DHS originale e trovare


una soluzione al conflitto che sia il più reale e il più pratico possibile. Ad esempio, un
uomo che ha perso la sua attività e subisce una perdita territoriale deve trovare una
nuova occupazione; lo shock di un pensionamento anticipato inaspettato potrebbe
essere risolto stabilendo un nuovo “dominio”, ad esempio aderendo ad un club o
dedicandosi ad un hobby trascurato. Non appena il conflitto si risolve la guarigione
procede naturalmente”.

Impatto economico del cancro: Il cancro ha anche un impatto economico importante. In


Italia si tratta di 16 miliardi di euro l’anno, cioè il 14% della spesa sanitaria totale speso
in terapie tumorali. Eppure gli oltre 3 milioni di malati oncologici, di cui 700.000 in
trattamento, sborsano di tasca loro altri 5 miliardi. Il cancro è “Big Buisness”, nell’USA lo
scorso anno oltre 100 bilioni di dollari sono stati spesi per la terapia del cancro. Questo
ovviamente ha a che fare con cambiamenti come il “Price Hiking”, esempio Turing
Pharmaceuticals nel 2011 hanno aumentano il costo di una compressa di daraprim,
farmaco per il trattamento della malaria e toxoplasmosi in pazienti
immunocompromessi, da $13,50 a $750. Questo aumento ha provocato la comparsa
sui giornali di tale affermazioni: “il costo del cancro è proibitivo anche con
l’assicurazione” (Whashington Post, Ottobre 2011); “A pazienti Scozzesi Oncologici
rifiutato un nuovo farmaco anti-tumorale” (Scotsman, Ottobre 2011); “Esperti dicono
che il costo dei farmaci per pazienti oncologici non può essere giustificato solo per
estendere la vita” (Daily Mail, Settembre 2011).

L’avanzamento sul fronte delle terapie antitumorali è basato sul fatto che man mano
che la ricerca avanzava è stato possibile analizzare in maniera sempre più molecolare le
condizioni associate alla trasformazione di una cellula normale in una cellula tumorale e
come quelle cellule tumorali all’inizio acquisiscono I cambiamenti fenotipici che vanno a
creare la possibilità di progressioni verso la tappa ultima, cioè la formazione di
metastasi.
Il cancro e la sua progressione sono caratterizzati da dieci segni cardinali che sono resi
tali grazie a cambiamenti molecolari specifici:
1. Proliferazione incontrollata;
2. Angiogenesi;
3. Resistenza all’apoptosi;
4. Immortalità;
5. Blocco dei geni oncosoppressori;
6. Metastasi;
7. Infiammazione;
8. Metabolismo riprogrammato;
9. Evasione della difesa immunitaria;
10.Instabilità genomica.

Prima di trattare questi segni andiamo ad illustrare un’ importante osservazione fatta
da Theodore Boveri, padre della citogenetica, fece un’osservazione che è stata persa
per quasi 100 anni e poi ripresa, ciò che dedusse adesso è considerato un meccanismo
importante nella formazione di tumori maligni. Theodore Boveri fu zoologo e padre
dell’ ipotesi dell’eredità cromosomica dipendente, morto prima della scoperta dei geni.
Studiava la fecondazione dei ricci di mare, proprio questi animali perché erano
organismi che ben si prestavano allo studio del comportamento cromosomico in
condizioni di fertilizzazioni submicroscopiche. Studiava il comportamento cromosomico
in diverse sedi: mitosi, meiosi, e i movimenti tipici dei cromosomi durante la divisione.
Centrosomi molteplici sono alla base di poliploidie o aneuploidie che correlano con
insorgenza del cancro
Theodore Boveri fu anche il primo a scoprire un incredibile organello necessario per la
divisione cromosomica durante meiosi e mitosi: il centrosoma. Sappiamo che la cellula
uovo matura possiede tutti gli elementi necessari per lo sviluppo, ad esclusione di un
“centro di divisione attivo”, il centriolo. Infatti durante il processo di formazione, il
centriolo scompare. E’ presente anche nello spermatozoo, dove viene utilizzato per il
movimento, a livello del flagello. Durante la fecondazione si è osservato che è lo
spermatozoo a depositare il centriolo nella cellula uovo fecondata, in cui questo
organello viene a mancare. Il centriolo presente nello spermatozoo si duplica, diviene
un “centrosoma” e cambia anche funzione. Il centrosoma quindi deriva dal centriolo
proprio dello spermatozoo, è un importantissimo organello alla base della funzionalità
cellulare.
Il centrosoma, in una cellula diploide non patologica, è quindi composto da due
centrioli, che risiedono in una matrice, una massa amorfa di oltre 100 proteine peri-
centriolari, preposte alla formazione, demolizione e organizzazione dei microtubuli
nella cellula. Queste proteine contengono numerosissime chinasi e fosfatasi, enzimi
che regolano fosforilazioni e defosforilazioni di substrati proteici che sono responsabili
del cambiamento di funzionalità del centrosoma in determinate fasi cellulari. Regolano
quindi l’attività del centrosoma e la sua duplicazione. Infatti in mitosi o meiosi ci sono
due centrosomi che regolano a loro volta la formazione del fuso mitotico. Il centrosoma
è solo uno durante l’interfase o in G0, quando la cellula non si sta replicando; in fase S
invece, nel momento di replicazione cellulare, abbiamo la replicazione anche del
centrosoma, avremo quindi complessivamente due centrosomi. A quel punto può
formare i bipoli di un fuso mitotico che è fondamentale per “pescare” accuratamente i
cromosomi duplicati durante la replicazione del DNA. Quando è sia in interfase o in G0
sia nelle cellule in proliferazione, il centrosoma agisce come uno dei più importanti
centri organizzativi dei microtubuli, infatti prende il nome di “microtubule organizing
centre”, MTOC.
Le funzioni degli MTOC sono molteplici. Innanzitutto quella di nucleare i microtubuli
che sono composti da polimeri di alpha e beta tubulina, importanti per la morfologia
cellulare complessiva e fondamentali per la distribuzione di organelli intracellulari, i
quali infatti vengono direzionati ad occupare uno spazio intracellulare specifico proprio
dai microtubuli che si comportano come “binari molecolari” per proteine motrici. Le
proteine motrici a loro volta, legandosi a molecole e organelli, li veicolano, facendo sì
che un determinato organello si trovi in una specifica posizione all’interno della cellula.
Durante la mitosi e la meiosi è utile per la formazione del fuso mitotico bipolare, che
rappresenta la struttura necessaria per la separazione accurata dei cromosomi, in modo
tale che ciascuna cellula figlia erediti un singolo centrosoma. Importante poi per l’
assemblaggio, il funzionamento e l’ integrazione del reticolo endoplasmatico e dell’
apparato di Golgi. Responsabile della formazione del fuso mitotico bi-polare, la
separazione accurata dei cromosomi e l’eredità di un centrosoma da ciascuna cellula
figlie.
Theodore Boveri, studiando la fertilizzazione aberrante di ricci di mare, ha creato un’
ipotesi sulla formazione di tumori maligni, senza nemmeno aver analizzato vere cellule
tumorali in nessun organismo. Avanzò l’ipotesi che l’instabilità genetica causata
dall’amplificazione dei centrosomi risultasse nella tetraploidia, poliploidia o anche
nell’aneuploidia cromosomica, cambiamenti che erano alla base della formazione di
tumori maligni, in grado di mantenere le cellule in proliferazione senza che andassero
incontro ad un differenziamento. Osservò direttamente la mal fecondazione, fenomeno
per cui due o tre spermatozoi per sbaglio fecondano una cellula uovo, depositando
quindi un numero superiore alla norma di centrioli che di conseguenza danno origine
ad un maggior numero di centrosomi nel contesto della cellula uovo mal fecondata. A
quel punto gli embrioni o non si formavano o, se le cellule non morivano, cominciavano
a proliferare in modo incontrollato, senza differenziare, senza quindi il fine ultimo di
formare un tessuto specifico di un individuo. Infatti osservando questi embrioni ha
evidenziato che oltre alla fertilizzazione aberrante, un semplice trauma poteva anche
promuovere la formazione di cellule diploidi o tetraploidi senza andare incontro allo
sviluppo embrionale. Inoltre manipolando il numero di cromosomi ha osservato che ne
bastavano 4 (sui 16 complessivi dei ricci di mare) per la proliferazione delle cellule
embrionali in vitro, senza una differenziazione embrionale. Ha quindi anche affermato
che la vita può essere mantenuta con pochi cromosomi. Nei suoi disegni illustrava che
quando sono presenti molteplici poli nelle cellule, ci può essere un cambiamento nella
distribuzione dei cromosomi. In particolari circostanze poi le cellule non si potevano
dividere in mitosi ma collassavano in una condizione che lui stesso chiamò “mitosi
collassata”, diventavano quindi tetraploidi o poliploidi a seconda del numero di
spermatozoi aberranti. Solo occasionalmente andavano a formare correttamente
centrosomi, riscontrando numerosissimi centrosomi che fungevano come un “semi
bipolo”. Dalla formazione di un fuso mitotico andavano poi a separare i cromosomi in
una maniera errata, ha così osservato cellule con caratteristiche di aneuploidia quindi
un corredo cromosomico aberrante per cui si può avere un cromosoma in più o in
meno; o di poliploidia, una moltiplicazione del corredo cromosomico globale.
Nelle cellule tumorali non assistiamo quindi alla presenza di due centrosomi, come in
una cellula in mitosi o meiosi, ma a molteplici centrosomi, almeno 6: diversi poli
centrosomici e una cromatina divisa fra i diversi centrosomi. Molti tumori aggressivi
esibiscono amplificazioni centrosomiche, per cui non riescono a legare accuratamente i
cromosomi. I meccanismi attraverso i quali le amplificazioni centrosomiche inducono un
tumore sono in fase di studio, sicuramente sappiamo grazie a Boveri che si associano ai
tumori e rendono le cellule tumorali instabili a livello cromosomico.

Tetraploidia, aneuploidie e oncogenesi: le teorie di Boveri in sede sperimentale


Oggi il concetto di Boveri che dietro alla trasformazione tumorale c’è la tetraploidia o
poliploidia, con mis segregazioni dei cromosomi, o ancora l’aneuploidia, sta
guadagnando un nuovo sostegno sperimentale. L’evidenza sperimentale è riscontrabile
nella perdita dell’oncosoppressore maggiore, APC, identificato nella sindrome
preneoplastica Apoliposi Coli, una sindrome nell’individuo che determina la formazione
di migliaia di polipi a livello del colon, ciascuno del quale diventerà un carcinoma al
colon in caso di progressione.
La perdita dell’ oncosoppressore APC in topi “Knockout”, usati durante le
sperimentazioni, promuove la tetraploidia delle cellule epiteliali nel colon prima dello
sviluppo di tumori aneuploidi; inoltre oncogeni diversi promuovono l’amplificazione
centrosomica usando la tetraploidia e l’ aneuploidia. La tetraploidia e l’aneuploidia sono
infatti sempre caratterizzate dalla perdita di materiale genetico, che ha implicazioni
devastanti: la perdita anche di un singolo cromosoma può eliminare tanti
oncosoppressori , e non può essere ripristinata.
Gli animali “knockout” usati per la sperimentazione sono mantenuti in eterozigosi con
un allele danneggiato e uno intatto. A quel punto il topo viene allevato e può essere
utilizzato per produrre nuovi cuccioli, ma deve essere mantenuto in un contesto sterile.
E’ quindi necessario bloccare le interazioni con tutto l’ambiente non sterilizzato, viene
infatti nutrito con cibo e acqua sterilizzata, respira aria filtrata. In questi topi, in questo
ambiente, hanno osservato cellule a livello del colon tetraploidi o poliploidi.
Spostando poi questi animali in un ambiente più ostile, cioè non sterilizzato con cibo e
aria non filtrata, e lasciandoli vivere, si è visto come cominciavano a formare polipi e
tumori a livello del colon con un’aumentata incidenza. Analizzando poi le singole
cellule, i ricercatori hanno trovato amplificazioni centrosomiche, tetraploidie ed anche
aneuploidie, così come descritto dalle teorie di Boveri, in cui la mal fecondazione,
amplificazioni centrosomiche e aneuploidie eventuali erano correlate con un’ ipotesi di
tumore. In questo caso un abbassamento della produzione di oncosoppressori, nello
stato di eterozigosi dei topi knockout, causava tumori.
La differenza tra un ambiente sterile e un ambiente non sterile è che in quest’ultimo
l’animale poteva incontrare patogeni che causavano un’irritazione a livello dell’intestino
in seguito ad una risposta infiammatoria, la quale può avere input a promuovere la
formazione di tumori. L’ infiammazione come sappiamo è un meccanismo fisiologico ,
però si associa a tumori, per cui un genoma danneggiato può essere a rischio in un
ambiente infiammatorio, dando luogo alla formazione di tumori. Deve essere studiato
perché mano a mano che diventiamo più vecchi il nostro dna è danneggiato, colpendo
anche oncosoppressori maggiori.

Infatti c’ è stato un studio in cui i ricercatori hanno analizzato anche l’espressione di


oncosoppressori maggiori in persone della terza età senza tumori, qui vengono trovati
occasionalmente oncosoppressori danneggiati a tal punto da essere inattivati, a quel
punto l’ importanza di eventi infiammatori basati sul genoma danneggiato non può
essere sottostimato, può aiutare a spiegare uno dei meccanismi per cui i tumori si
formano prevalentemente negli anziani, in associazione spesso con eventi
infiammatori.
L’infiammazione di per sé è un meccanismo che ci protegge senza cui è impossibile
rimanere in vita, ma diventa un’arma a doppio taglio quando il nostro genoma diventa
danneggiato come viene illustrato con APC nei topo Knockout. In sostegno delle ipotesi,
sappiamo che i tumori maligni esibiscono “aneuploidia” con cariotipi abnormi,
centrosomi multipli, mitosi aberranti con aberrazioni cromosomiche, da ipo-(<46) a
iper-ploidia (>200) insieme all’instabilità cromosomica che continua a promuovere
cambiamenti. Quindi oltre alla fertilizzazione abnorme, che nell’uomo è responsabile di
tumori trofoblastici anche metastatici del modello di “Mola Iditiforma” , traumi ed
infiammazioni (epatiti, pancreatiti), chiamati in causa da Boveri, come fenomeni che
promuovono la formazione di tumori attraverso la tetraploidia ed aneuploidia,
possiamo aggiungere oncogeni ed onco-soppressori in un’ipotesi unica per la
trasformazione dovuta alla tetraploidia ed aneuploidia, provocando l’accumulo di
lesioni genetiche responsabili non solo dello sviluppo ma anche della progressione
tumorale.
Quindi questa osservazione di oltre 100 anni fa ha un’importanza tale che non deve
essere sottovalutata, cioè che un’importante parte della progressione tumorale è data
dal cambiamento a livello centrosomico che implica un cambiamento a livello di
instabilità cromosomica, con cromosomi che, a seconda del tipo di conseguenza,
possono essere moltiplicati o addirittura eliminati.

Tipico tumore che insorge per mal fecondazione: la “Mola iditiforma”


Parliamo della “mola iditiforma”, come un tumore che illustra esattamente che cosa
può scaturire da una mal fecondazione della cellula uovo umana, è un tumore
trofoblastico.
Significa che l’embrione non si forma, si forma invece una massa di cellule alcune della
quali, che normalmente andrebbero a formare il trofoblasto, vanno invece ad invadere
l’utero allo scopo di impiantare la placenta all’interfaccia con l’ospite. Si forma così un
trofoblastoma. E’ un evento molto raro per fortuna, però ha delle conseguenze
metastatiche, riconducibili alla peculiarità dei trofoblasti, che rappresentano genomi
ibridi contenendo infatti il genoma materno e il genoma paterno in eterozigosi. Sono
estranei nel contesto dell’utero materno, usufruiscono di meccanismi di invasione tipici
dell’ immunologia materna, in quanto sopravvivono e quindi si autoproteggono
attraverso meccanismi molecolari che sono utilizzati anche da tumori aggressivi per
scappare via dal sistema immunologico, sono anche importanti meccanismi di
sopravvivenza che permettono al trofoblasto di formare la placenta, ma dato che
queste cellule sono invasive per natura in quanto dovrebbero formare la placenta,
possono facilmente acquisire fenotipi invasivi e spesso questo è agevolato dal fatto che
l’utero è altamente vascolarizzato, per cui riescono a guadagnare facilmente accesso
alla circolazione sistemica e a formare metastasi polmonari.
Nella slide possiamo osservare una radiografia alla gabbia toracica con una metastasi
polmonare derivata da mola iditiforme, che originariamente formava un tumore
trofoblastico, adesso sta tranquillamente vivendo per il fatto che sfugge al sistema
immunologico, prolifera e dà tranquillamente metastasi, descrivendo così un quadro
avanzato di tumore proveniente da un uovo mal fecondato. A differenza di altri tumori
metastatici ai polmoni di derivazione di tumori solidi, questi tumori rispondono in
modo incredibilmente efficace alla chemioterapia. Dopo la chemioterapia con agenti
particolari come dactinomicine, etoposide, metrotesato, la probabilità di cura è oltre il
95-98%, è una condizione che spacca la regola, solitamente le malattie avanzate di
stadio 4 sono incurabili, qui c’ è un tipo di tumore che risponde molto bene alla terapia,
anche quando metastatizza a livello di organi importanti come il polmone. E’
importante capire la ragione alla base di questo, un tumore generato dalla mal
separazione cromosomica, quindi che dà luogo ad un trofoblastoma manca di
mutazioni puntiformi a livello di geni specifici. E’ stato un contesto importante perché i
tumori solidi che possono formare metastasi, le formano sulla base di un accumulo di
una serie di mutazioni che appunto si accumulano a formare fenotipi metastatici
colpendo tanti oncosoppressori e attivando tanti oncogeni, quindi sono molto più
resistenti verso determinate terapie. La differenza qui è netta, si può formare un
tumore eliminando o aumentando la quantità di interi cromosomi, si possono anche
formare tumori che accumulano mutazioni in geni specifici, però quelli che hanno un
carico di mutazioni puntiformi specifici sono molto più difficili da trattare terapicamente
rispetto a quelli che esibiscono un carico abnorme di cromosomi interi, i quali mancano
di un accumulo di mutazioni genetiche.

Progressione del cancro


La maggiore parte dei tumori che si forma, oltre l’ 80% dei tumori solidi, si dirigono in
cellule epiteliali. Queste sono cellule stabili che proliferano, che formano strati
precursori e che sono in divisione, possono essere indotte a dividere con fattori di
crescita o vanno costitutivamente a rimpiazzare interi strati epiteliali nel tratto
gastrointestinale, a livello polmonare, e in molte altre regioni, formando la maggior
parte dei tumori solidi.
Prendiamo in esempio il carcinoma della mammella (per la modalità
di formazione potrebbe anche benissimo essere preso in esempio un
tumore della prostata o ancora adenocarcinoma del colon). Vediamo
inizialmente la struttura normale di un epitelio duttale in figura a
lato, con cellule epiteliali indifferenziate che formano una linea
basale, sono cellule precursori epiteliali che vanno incontro a
replicazione per sostituire il tessuto che quindi risulta essere un dotto
normale.
I primi eventi che capitano quando c’è il danno in
determinati oncogeni è sempre un piccolo accumulo, nell’ uomo sono
necessari tra 6 e 10 geni danneggiati, in particolare oncogeni e
oncosoppressori per rendere la cellula umana trasformata, un po’
meno nel topo; il primo evento è comunque quello di indurre un’
iperplasia epiteliale: morfologicamente, nel complesso, invece di
avere un lume bello “pulito” come nel tessuto normale, inizia ad
essere riempito, andando incontro ad una iperplasia epiteliale.
Abbiamo poi un danno a livello del DNA che rende le cellule un po’
fuori controllo nelle loro proliferazioni e incapaci di seguire i normali
segnali necessari a fermare e controllare la proliferazione fisiologica.
Si ha una trasformazione vera e propria, le cellule in iperplasia sono
benigne, si passa poi ad un evento maligno che va sotto il nome di
carcinoma in situ. Qui le cellule sono trasformate in cellule tumorali,
hanno aberrazioni e comportamento tumorale, però sono ancora
contenute entro le strutture del dotto, in questi limiti definiti dalla
presenza o assenza della membrana basale epiteliale.
La membrana basale è una struttura fondamentale per il mantenimento
dello stato di differenziamento delle cellule, separa l’epitelio dallo
stroma, è costituito da componenti che includono collagene di tipo 4,
laminina, proteoglicani ed altre glicoproteine come l’ entactina che caratterizzano la
membrana basale, e che si trovano quasi esclusivamente qui e non nelle altre matrici
extra cellulari; è inoltre una struttura molto densa, in cui le cellule non possono
muoversi, ha uno spessore che impedisce la capacità delle cellule di attraversarla. I
componenti di questa struttura segnalano alle cellule epiteliali di differenziarsi verso un
epitelio, se viene a mancare cominciano a perdere il loro orientamento, diventano
meno polari e si viene anche a eliminare la barriera tra altre strutture; in un discorso a
livello dell’anatomia patologica sono considerate “lesioni di carcinoma in situ”, e il
minimo segno per diagnosticare il carcinoma come invasivo è la perdita o
frammentazione della membrana basale. Tutta l’area del tumore non si può analizzare,
se in un’istologica si vede la perdita della membrana basale usufruendo di anticorpi
specifici per la membrana basale, si può ipotizzare che c’è un luogo nel tumore dove c’
è un invasione nel parenchima circostante. La diagnosi viene effettuata
dall’anatomopatologo, una volta che viene caratterizzato il carcinoma invasivo la terapia
cambia, fino a quando è diagnosticato un carcinoma in situ significa che pur essendo un
tumore maligno è contenuto entro la capsula del dotto e avremo una terapia diversa. In
quest’ ultimo caso la terapia più mirata è la chirurgia per eliminare la massa, anche se la
scelta di una terapia può essere lasciata al paziente, in quanto sono da considerare
effetti collaterali della cura, anche se comunque solitamente viene effettuata.
Nel carcinoma invasivo totale, non c’è più un dotto, non c’è più una
struttura, le cellule hanno cambiato drammaticamente il loro stato di
differenziamento, non hanno una membrana basale, sembrano aver
cambiato il loro fenotipo, non sembrano più cellule epiteliali ma una
miscela di cellule che invadono il parenchima del dotto della mammella;
depositano anche aree di matrice diversa che va sotto il nome di
“desmoplasia”, specifico materiale depositato. Infatti in una
mammografia per esempio, nel momento dell’analisi si vedono aree di
opacità, di bianco, segno potenziale di deposizione della matrice,
potenzialmente sono sedi di un tumore, ma ricordiamo che non sono cellule tumorali.
Per questo si ricorre alla mammografia, diagnosi tramite raggi X, in cui si può vedere
una matrice dura, riconducibile a cellule nel loro cambiamento in termini di deposizione
di matrice. Sicuramente a livello della mammografia: visibile una ragnatela biancastra
che rappresenta depositi desmoplastici di matrici. Per capire se può effettivamente
essere una sede tumorale deve essere biopsizzato.
Il tumore invasivo primitivo è fenotipicamente diverso dal tumore in metastasi, almeno
inizialmente, si parla quindi di “cambiamento fenotipico transitorio”. Una volta che
raggiungono sedi distanti possono però convertirsi e formare noduli che sembrano
essere un po’ più differenziati. Ovviamente è un cambiamento metaplastico, in un
contesto neoplastico, va sotto il nome di “epitelio mesenchimale di transizione” , è un
evento altamente regolato che caratterizza la maggior parte dei tumori invasivi
provenienti da fonti epiteliali. Questi cambiamenti si associano ad un accumulo di
lesioni genetiche, c’è quindi effettivamente un cambiamento che si associa con un
accumulo di lesioni.

Problemi che si associano a metastasi


Quando le metastasi si formano,cominciano a crescere, occupano spazio, sostituiscono
il parenchima funzionale dell’organo sono facili da vedere ma soprattutto è importante
saperle riconoscere perché sono molto importanti nella mortalità associata al cancro. Si
formano in seguito all’evoluzione dei tumori solidi, 80% dei quali provengono da sedi
epiteliali. C’è un insieme di eventi alla base dei quali le metastasi sono molto
pericolose, infatti cominciano a cambiare la funzionalità dell’organo e sono focolai di
perdita del sangue, dovuto al fatto che le strutture vascolari sono abnormi e mai in
grado di maturarsi in vasi ben strutturati contenenti sangue.

Segni distintivi “Hallmarks” del cancro


Andiamo ad incontrare il primo segno
cardinale dei tumori, cioè l’acquisizione
della capacità di proliferare senza
controllo, che coinvolge gli oncogeni ed
oncosoppressori, e si associa all’accumulo
di lesioni che portano avanti tumori.
Originariamente i segni distintivi del
cancro furono introdotti storicamente da
Robert Weinberg e Douglas Hanahan che
hanno pubblicato una recensione dal
titolo “i segni distintivi del cancro”. Furono
inizialmente considerati 6 segni distintivi
del cancro, ora sono aumentati a 10.
Perché è importante caratterizzarli? Il cancro è un processo estremamente complicato
ed ogni tumore contiene centinaia di imitazioni differenti anche nello stesso tipo
tumorale. Quindi ogni tumore è unico. Weinber e Hannahan hanno provato a
semplificare questa complessità in 6 principi, condivisi da tutti i tumori. I principi
rispondono a molte domande sul modo in cui il cancro si sviluppa e progredisce
fornendo informazioni su ciò che va male, demistificando il cancro e spiegando come
avviene. Sicuramente facilita l’insegnamento perché prima, quando si parlava di
oncogeni e oncosoppressori era un po’ caotico, il cambiamento negli anni 2000 ha
permesso di focalizzare l’attenzione attraverso l’individuazione di 10 segni cardinali. Per
quanto riguarda il primo è la capacità di proliferazioni incontrollate e quindi
un’autosufficienza nei fattori di crescita. Essi sono ormoni che vengono tenuti a
bassissime concentrazioni, la cui funzione è stimolare le cellule attraverso un recettore
apposito per uno specifico obiettivo.
Uno degli obiettivi è di promuovere la proliferazione. Ovviamente dipende dalla
tipologia della cellula, ma in generale il nominativo del fattore di crescita identifica la
cellula che possiede la maggior concentrazione di recettori per tali fattori. La risposta in
generale è una promozione in termini di proliferazione, per esempio VEGF, “vascular
endothelium growth factor” fattore di crescita endoteliale, dal nome stesso capiamo
che è un fattore di crescita che stimola in determinate circostanze la proliferazione di
cellule endoteliali che sono responsabili della formazione di vasi. Quindi i fattori di
crescita sono semplicemente sostanze che controllano la moltiplicazione delle cellule.

Fattori di crescita
Ci sono tanti fattori di crescita con caratteristiche in comune. Sono proteine presenti a
bassissime concentrazioni nei tessuti normali, con un’elevata attività biologica. Sono
responsabili del controllo delle funzioni essenziali all’interno della cellula, che
includono non solo la crescita in termini di proliferazione, ma anche la specializzazione,
quindi il differenziamento. E’ anche importante per la sopravvivenza, perché durante la
proliferazione, quando le cellule di un tessuto si staccano da altre cellule intorno a
queste e hanno un appoggio molto pericoloso sulle loro matrice, diventano tonde e
diventano in teoria molto potenzialmente danneggiabili, quindi parallelamente alle
segnalazioni di proliferazione, spesso i fattori di crescita inducono, mentre la cellula sta
proliferando, replicando il dna, distruggendo la membrana nucleare, formando il fuso
mitotico, inducono l’espressione di geni di sopravvivenza rendendo quindi la
sopravvivenza importante per la proliferazione. Proliferazione e sopravvivenza vanno
ovviamente mano nella mano.
Come segnalano? Agiscono localmente vicino alle cellule da cui sono prodotte. Siamo
animali multicellulari, e come tali le cellule devono comunicare tra loro, in modo da
poter agire in modo coordinato in risposta al microambiente. La base di queste
comunicazioni proviene dalla segnalazione cellulare, che rappresenta un assortimento
di fattori di crescita nel microambiente , aspetto più importante che regola il
comportamento della cellula. I fattori di crescita esercitano i loro effetti andandosi a
legare a recettori proteici sulla superficie della
cellula. Ogni fattore di crescita ha il proprio
recettore. Il legame del fattore di crescita al
suo recettore specifico innesca una reazione di
fosforilazione all’interno della cellula. La
fosforilazione o l’ aggiunta di un gruppo
fosfato ad una molecola proteica, è un passo
importante nella segnalazione cellulare.
C’è quindi un insieme di molecole,
conseguente al legame con il recettore, che
comporta segnali di fosforilazione che a loro
modo fanno sì che si scateni una reazione
progressiva. La fosforilazione è un passo fondamentale nella regolazione della loro
attività, gli enzimi che aggiungono i gruppi fosfato alle proteine sono conosciuti come
chinasi e gli enzimi che eliminano i fosfati sono noti come fosfatasi. L’estremità esterna
extracellulare dal recettore porta il suo sito di legame del fattore di crescita e l’altra
estremità che si proietta all’interno della cellula porta un sito di chinasi. Abbiamo quindi
recezione fuori e una chinasi dentro.
Il legame dei fattori di crescita attiva la chinasi sull’ estremità interna, cambiamento di
conformazione che facilita l’interazione che attiva un sito catalitico, che aggiunge gruppi
fosfato ad altre proteine all’interno della cellula, attivando le proteine a valle,
innescando una cascata di segnalazione che finisce infine con l’attivazione di geni che
portano alla crescita cellulare, specializzazione o sopravvivenza. Qui abbiamo segnato
proteine, fosfati, che eventualmente fanno sì che attivino fattori trascrizionali, legano
dna per trascrizione genica di geni che funzionano a promuovere questi cambiamenti
nel comportamento cellulare. E’ abbastanza complicato, ovviamente la descrizione che
abbiamo fatto è estremamente semplificata, in realtà non è un percorso lineare ma è
una rete intricata di segnalazione, con proteine promiscue, da molti percorsi diversi. In
questo contesto poi è ulteriormente complicato perché la cellula non deve mai essere
vista come una sacca di fluido, ma di compartimenti, dipende dove si trovano i
recettori, in quale contesto, quali sono i substrati contenuti nelle particolari regioni di
membrana che possono essere effettivamente fosforilati e come possono interagire,
quindi ha a che fare con la localizzazione dei componenti.

Fattori di crescita e insorgenza del cancro


Come diventare autosufficienti e indipendenti dai segnali di crescita rendendo le cellule
in grado di proliferare fuori controllo? Che cosa succede in una cellula tumorale che
rende questo processo ordinato così terribilmente sbagliato? Le cellule normali non si
possono dividere senza fattori di crescita, entrerebbero in uno stato dormiente fino a
morire. Le cellule tumorali, al contrario, non hanno bisogno di fattori di crescita
paracrini, ma possono diventare autocrine o totalmente indipendenti dai fattori di
crescita, eliminando un punto di controllo che eviterebbe di progredire verso il cancro.
Normalmente, i fattori di crescita sono prodotti da un tipo di cellula per agire su un
altro tipo di cellula, secondo una segnalazione paracrina. Molte cellule tumorali
acquisiscono quindi la capacità di sintetizzare e secernere i propri fattori di crescita
diventando quindi autocrine. Più le cellule tumorali si dividono sotto l’influenza del
fattore di crescita, più sintetizzano fattori di crescita e così via, andando incontro ad
un’amplificazione della segnalazione. La cellula tumorale può aumentare il numero di
recettori sulla superficie rendendosi iper-reattiva con un livello di fattori di crescita
normalmente sufficienti per innescare la divisione. Un’iper produzione di recettori può
far sì che la barriera di attivazione venga superata indipendentemente dal fattore di
crescita, questi si associano a tumori che amplificano i geni di alcuni recettori, tumori
che si presentano con amplificazioni per esempio del recettore per il fattore di crescita
epiteliale EGFR, per esempio glioblastoma multiforme.
Patologia molecolare 2 29/10/2020
Riepilogo della lezione precedente
Caratteristica delle cellule tumorali, è la loro capacità di crescere autonomamente; esse
possono farlo perché:
· Producono fattori di crescita già funzionali perché le cellule stesse esprimono
recettori per tali fattori (sono dunque autocrine);
· Possono aumentare il numero di recettori, innescando una iper-attività dei
recettori che possono attivarsi anche con un basso numero di fattori;
· I recettori possono essere strutturalmente alterati, attivandosi in maniera
permanente anche in assenza del fattore di crescita (attivi spontaneamente);
· Alterazioni avvengono a valle del percorso di segnalazione, rendendo sia il fattore
che il recettore ridondanti. Avviene sostanzialmente una segnalazione continua
rispetto all’attività di crescita della cellula.
Questo fa sì che le cellule tumorali sfuggano anche ai meccanismi di controllo
antitumorale, promuovendone una crescita incontrollata.
Inoltre, questi fenomeni sono il risultato di alterazioni a carico di specifici geni
(oncosoppressori e oncogeni).

ONCOGENI
Gli agenti pro-tumorali agiscono sempre a livello del DNA: i tumori dipendono da
alterazioni genetiche; le alterazioni pertanto possono essere trasmesse alla progenie.
Possiamo considerare il fenotipo maligno dei tumori come una proprietà ereditaria da
cellula a cellula.
Fu Boveri il padre della citogenetica, che per primo descrisse l’ipotesi secondo cui alla
base delle trasformazioni vi fossero mutazioni a carico delle cellule somatiche.

Scoperta del retrovirus RSV


Nel 1911 Payton Rous aveva scoperto il virus implicato nel sarcoma dei polli e aveva
osservato che, iniettando estratti tumorali in polli sani, questi sviluppavano il sarcoma
(dunque definito Sarcoma di Rous); sulla base di queste considerazioni, nel 1958 Rubin
e Temin osservarono che i retrovirus erano in grado di indurre trasformazioni a carico di
fibroblasti normali.
Rous aveva di base identificato due tipi di retrovirus:
· Virus a replicazione efficiente, non-trasformante: può replicare ma non induce
trasformazioni in senso tumorale;
· Virus a replicazione deficiente e trasformante: non può moltiplicarsi ma può
indurre la formazione di tumori nella cellula ospite.
Ad oggi il RVS che induce il Sarcoma di Rous è classificato come retrovirus a
trasformazione acuta (in senso tumorale), contenente oncogeni virali in grado di
trasformare un gran numero di cellule infettate da quel virus formando sarcomi in
brevissimo tempo.
Inoltre si è osservato che nei polli con un sistema immunitario più efficiente (polli più
anziani), i sarcomi indotti da RVS progressivamente regredivano, mentre i polli con
difese immunitarie meno sviluppate (polli giovani) morivano in poco tempo. È questa
un’evidenza interessante rispetto al ruolo del sistema immunitario nel sopprimere i
tumori; pertanto condizioni di immunosoppressione aprono la porta all’insorgenza di
tumori.
Più tardi Bishop e Vamus scoprirono l’origine cellulare degli oncogeni retrovirali (vOnc):
posto che l’oncogene è per definizione un gene che codifica per una proteina
“necessaria” alla formazione di un tumore, i retrovirus sono in grado di sottrarre
oncogeni alla cellula infetta e li modificano inducendo una formazione abnorme di
proteine pro-tumorali.
Gli oncogeni possono essere identificati seguendo diverse vie:
· Studi sul DNA pro-virale dei virus oncogeni a RNA (ovvero dei retrovirus);
· Identificando geni che trasformano le cellule in coltura o in vivo (in questo ultimo
caso inducono tumori nell’animale in questione);
· Studi sul DNA di tumori umani di origine non virale; questo approccio è stato
utile per identificare, nel DNA sequenziato, le sequenze principalmente coinvolte
nell’insorgenza del tumore.
Il primo retrovirus identificato fu quello del sarcoma di Rous (v-src); si osservò che
eliminando il gene src da RNA virale, il virus perdeva la capacità di indurre tumori: era il
gene src a conferire le capacità trasformanti al virus.

Genoma dei retrovirus


In ciascun retrovirus troviamo due copie del genoma a RNA virale, orientato
positivamente come il mRNA dell’ospite, e dieci copie del gene trascrittasi inversa
(retrotrascrive il genoma ospite in genoma virale, inserendolo poi nella cromatina
dell’ospite). In questo genoma troviamo alcuni geni di particolare interesse:
· POL codifica per:
· Trascrittasi inversa, copia l’RNA in DNA;
· Integrasi, integra il genoma virale con quello dell’ospite;
· Proteasi, degrada le proteine codificate da GAG e ENV.
· ENV codifica per gli antigeni di superficie del virus, e produce una proteina
singola che viene degradata da enzimi dell’ospite nel Golgi. Queste proteine
possono attenuare le risposte immunitarie dell’ospite: intervengono durante la
gravidanza evitando una risposta immunitaria contro l’embrione e quindi il
rigetto.
· GAG codifica per le proteine del capside che quindi rivestiranno l’RNA, e produce
una proteina singola che verrà degradata dalle proteasi codificate da POL.

Ciclo virale

· Il virus lega proteine di membrana della cellula ospite: in questo modo può
fondersi con la membrana e quindi attraversarla;
· Il genoma virale è in forma di mRNA: induce la trascrizione di geni che codificano
per la trascrittasi inversa (virale) potendo convertirsi in DNA a doppia elica pro-
virale;
· Il DNA pro-virale può quindi essere inserito nel genoma per mezzo delle
integrasi;
· Attraverso le RNA polimerasi della cellula ospite, il virus può riformare RNA virali
in numerose copie;
· In ultimo, la cellula può andare incontro a lisi oppure ricorrere ad altri
meccanismi che le permettano di liberare virioni.

Oncogenicità
· Proto-infezione il genoma virale, attraverso la trascrittasi inversa, è stato
modificato in DNA pro-virale che può depositarsi nel genoma cellulare; questo
avviene in prossimità del gene C-ONC (C proto-oncogene) che si occupa della
proliferazione nell’ambito della cascata di trasduzione del segnale;
· Il genoma virale durante la replicazione cattura questo gene e, secondo
meccanismi ancora non del tutto chiariti, lo imballa nel suo proprio genoma: la
fusione del genoma virale e di quello cellulare comporta la formazione di nuove
onco-proteine virali simili a quelle normali ma con funzionalità abnormi;
· Infezione trasformante si producono così pseudo-virus contenenti il gene (ora
definito V-ONC), con proprietà trasformanti, ma non in grado di replicare.

LTR (long terminal repeats)


Sono i tratti terminali del genoma, in grado di promuovere la replicazione; poiché
anch’essi vengono coinvolti nella trascrizione del genoma virale, a meno che non vi
siano riarrangiamenti, possono continuare ad indurre trascrizioni. In particolare
presentano siti per alcuni virus come TAT e HIV, dei cui genomi possono quindi indurre
la trascrizione.
Contiene la Poly A che ha un ruolo in alcuni processi a carico del genoma virale, come:
· Dimerizzazione;
· Scissione a monte e a valle;
· Imballaggio;
· Poli-adenilizzazione.
Inoltre presenta siti di legame per i primers (siti di 18 nucleotidi) potendo quindi
innescare la trascrizione inversa (facilita la formazione di DNA pro-virale), e siti quali
PSI e DSI implicati nell’incapsidizzazione del genoma virale.
LTR sono presenti sia all’estremità 5’ che 3’; quello al 5’ è tipicamente più forte rispetto
all’inizio della trascrizione, mentre quello al 3’ agisce come terminatore della
trascrizione.
Essi rappresentano gli elementi di stabilità dei retrovirus (RSE): il frammento 3’UTR (5-
7kb) contiene un elemento di stabilità di circa 300 basi, con funzioni protettive contro la
degradazione nelle cellule eucariotiche; infatti il genoma virale deve proteggersi dalle
RNAasi della cellula ospite.

Trasduzione virale

Rappresenta il meccanismo principale


attraverso cui i retrovirus inducono tumori rapidamente (retrovirus trasformanti).

· Durante la replicazione, i retrovirus catturano ed attivano i proto-oncogeni


normali cellulari;
· Il frammento 3’, debole, non è in grado di bloccare la trascrizione: verranno
trascritti anche i geni a valle;
· I proto-oncogeni trasdotti in forma di RNA sono maturati, mutati o controllati dal
promotore virale quindi subito trasdotti, con conseguente attivazione
oncogenica.

Cattura retrovirale degli oncogeni


Modello 1

· Il DNA pro-virale retrovirale si integra a monte di un protoncogene;


· Una delezione rimuove sequenze relativamente piccole a livello del 3’ e 5’ del
DNA pro-virale;
· Il genoma virale e quello cellulare “rubato” si fondono, con conseguente
formazione di una proteina di fusione in-frame che riporta la delezione anche nel
gene virale ENV;
· Il nuovo gene viene trascritto tramite LTR retrovirale e co-impacchettato in una
particella pseudo-virale per mezzo di un virus helper: il genoma virale ha subito
delle modificazioni per cui non è più in grado di replicare autonomamente;
· Quando lo pseudo-virus infetta una nuova cellula bersaglio, la trascrittasi inversa
media la ricombinazione tra le estremità 3’ di due RNA virali, riposizionando il 3’
LTR sull’estremità del gene cellulare trasdotto e consentendo l’integrazione del
DNA a doppio filamento nella cellula ospite;
· Avviene quindi la trascrizione di V-ONC a partire da C-ONC;
· Di conseguenza viene prodotta l’oncoproteina e la cellula può trasformare sotto
effetto della presenza della stessa.
È il modello più comune.

Modello 2

· Il retrovirus competente per la replicazione si integra a monte di un


protoncogene;
· La terminazione 3’ LTR non viene tuttavia riconosciuta per cui la trascrizione
continua a valle;
· Avviene la trascrizione di un pre-mRNA che contiene sia il genoma retrovirale che
la sequenza in cui sta avvenendo la trascrizione a valle;
· Questo trascritto grande viene sottoposto a splicing (quindi formazione di mRNA
maturo) e ricombinazione con conseguente eliminazione della porzione 3’ virale
e 5’ cellulare: questo comporta una lettura aperta per la fusione virale/oncogena
e la formazione di uno pseudo-virus per la successiva infezione e generazione di
DNA integrabile (come avveniva nel modello 1). La differenza con il modello 1
riguarda la necessità che vi siano regioni omologhe tra geni virali e cellulari che
facilitino la ricombinazione, nonché siti di giunzione e segnali di splicing in
apposite aree; esempi di tali omologie si trovano nel retrovirus MC29 aviario che
si inserisce in corrispondenza del proto-oncogene C-MYC nell’area di fusione.

Sulla scorta di questi due modelli, alcuni retrovirus contengono un gene in più mentre
altri sostituiscono un gene virale con un oncogene:

I V-ONC elencati originano tutti come C-ONC per cui è possibile osservarne la
controparte nelle cellule degli animali infettati con il virus in questione.

Inserzione virale

Esistono retrovirus cis attivanti (ovvero senza oncogeni) che inseriscono il DNA pro-
virale nel genoma ospite vicino ad un proto-oncogene, attivando quest’ultimo. Questo
comporta l’espressione abnorme (fuori luogo, fuori tempo -ovvero alcuni geni vengono
attivati/disattivati in momenti non opportuni- o fuori quantità), mediata dal promotore
virale, di geni posti in prossimità del punto di inserzione dello stesso.
I protoncogeni attivati tramite questo processo includono:
C-ONC RETROVIRUS TUMORE SPECIE
c-myc ALV o REV, MuLV, Linfomi Pollo, topo, gatto
FeLV
c-erbB ALV Eritroblastosi Pollo
c-myb Abelson, MuLV Leucemia Topo
c-fms MuLV di Friend Leucemia Topo

Molti retrovirus oncogeni non si trasformano in modo acuto e contengono il


complemento minimo di GAG, POL ed ENV. Questi retrovirus:
· Inducono leucemie;
· Mancano di V-ONC;
· Non sono competenti per la trasformazione diretta né in vitro (perché non
presentano oncoproteine), suggerendo siti di inserimento specifici per
l’oncogenesi che porta alla mutazione inserzionale: questi siti si collocano infatti
vicino ai protoncogeni dei quali causano un’espressione, una crescita e un
differenziamento (a seconda del sito di inserzione) non regolati.
Tale meccanismo richiede alti livelli di replicazione virale con integrazione casuale,
tumorigenesi in una minoranza di soggetti infettati e lunghe fasi di latenza.
· Un esempio è quello del virus della leucosi aviaria ALV, prototipo di retrovirus
della leucemia semplice: il provirus si integra vicino al protoncogene c-myc,
aumentandone l’espressione (3’LTR dipendente), senza richiedere replicazione
virale o espressione dei geni virali.
· Un secondo esempio è quello del retrovirus endogeno di Bittner (MMTV),
promotore del tumore alla mammella nei topi (sia in verticale che in trasversale,
cioè sia coinvolgendo genoma cellulare che formando nuovi virioni), soprattutto
nei neonati allattati: l’integrazione provirale di MMTV coinvolge 30kb a monte del
protoncogene int-1 (la cui espressione è in genere circoscritta al tubo neurale
nell’embrione ed alle cellule post-meiotiche testicolari), promuovendone la
sovraespressione nelle cellule mammarie di topo guidata dalla consegna di un
promotore estrogeno-specifico con conseguente formazione di nuovi virioni che
causano il tumore in questione.
A. In figura vediamo un’inserzione attraverso cui
questi cambiamenti nell’espressione di C-proto
oncogeni possono renderli oncogenici. In
particolare, è un’ inserzione a monte del myc.
B. Ci sono anche sequenze cosiddette enhancers
presenti anche negli LTR che possono dare
questa capacità di alterare l’espressione dei geni
circostanti all’inserzione del dna provirale sia a
monte che a valle.
Quindi questo meccanismo può essere facilitato
usufruendo di elementi specifici ad entrambe le
sequenze LTR .

Punti importanti.
Sono stati identificati geni identici ad oncogeni virali nel DNA delle cellule normali.
Bishop e Varmus hanno identificato oncogeni virali di origini cellulari, quindi i v-onc
originano dai c-proto-onc. Questa scoperta è avvenuta anche perché la sequenza che
loro hanno identificato nel v-src è stata utilizzata in saggi di ibridizzazioni: utilizzando
dna a singolo filamento e una sequenza presente in v-src marcata con radioisotopi
avveniva l’ibridizzazione con i c-proto-onc del dna. Ovviamente la differenza che Bishop
e Varmus hanno osservato fra un v-onc e c-proto-onc è la mancanza nel v-onc di
sequenze introniche che nel genoma nel c-proto-onc sono presenti perché i geni
presenti nella cromatina dell’ospite sono organizzati in modo diverso e sono introni che
vengono eliminati con lo splicing durante il processo di maturazione dell’mRNA
proveniente da tali geni. Quindi, loro hanno evidenziato la mancanza di introni nel V e
la presenza degli stessi nella controparte c-proto-onc a livello del DNA dell’ospite e
hanno dedotto che ovviamente il c-proto-onc è stato rubato, ha subito splicing e una
volta maturato è stato incorporato nel retrovirus.
Sequenze trasformanti del genoma virale sono state trasdotte o catturate dal virus e
hanno acquisito la capacità di trasformare cellule in coltura o di causare neoplasie in
animali.
Le sequenze trasformanti dei retrovirus, chiamati oncogeni virali o v-onc, sono utilizzate
per identificare geni identici nel DNA di cellule normali tramite ibridizzazione.
Le sequenze omologhe nelle cellule normali sono altamente conservate
nell’evoluzione, ma non sono in grado di trasformare, sono geni normali, e sono quindi
proto-oncogeni cellulari o c-proto-onc.
I c-proto-onc devono subire danno al DNA per diventare oncogeni, tramite un processo
di attivazione. Quindi, nel contesto del retrovirus il danno è ovvio, sono rubati, fusi con
il retrovirus, cambiati ulteriormente con piccole delezioni e mutazioni (perché il virus
anche durante la replicazione del materiale non esibisce un grande livello di proof-
reading quindi se inserisce cambiamenti a livello di sequenze non le corregge, per cui ci
sarà un aumento di danno di potenziale attivazioni).
Nel caso in cui non c’è un virus a causare il tumore, esso può esser causato da
danneggiamento dovuto a radiazioni uv, diversi agenti cancerogeni. Quindi, l’attivazione
dei c-proto-onc ad oncogeni avverà attraverso il loro danneggiamento e una volta
danneggiati possono acquisire la capacità di trasformare cellule normali. Questo, nel
contesto genetico, è considerato come un danno dominante perché richiede la
mutazione (danneggiamento) di un solo allele del c-proto-onc.
I meccanismi attraverso i quali i geni possono essere attivati in oncogeni includono:
trasduzione virale (con cattura e sequestro e sovversione del c-proto-onc nel genoma
retrovirale), l’integrazione virale (dove gli elementi che promuovono trascrizione
possono indurre un’errata produzione anche di geni normali, fuori tempo, fuori
concentrazione, fuori luogo), mutazioni puntiformi (attraverso un cambiamento
nucleotidico si può alterare il funzionamento della proteina), inserzione o delezione
genica (se eliminano o alterano domini della proteina importanti per regolare
l’attivazione e lo spegnimento); amplificazione genica (possibilità attraverso
un’aberrazione nel numero di centrosomi che c’è una possinilità di avere di più o di
meno cromosomi attraverso poliploidie e aneuploidie secondarie); traslocazioni
cromosomiche ( determinate sequenze altamente ripetute rappresentano strutture
che possono essere facilmente rotte e quindi poi la cellula come metodo per
“aggiustare” il DNA andrà ad effettuare un risaldamento, ma c’è la possibilità che
questo avvenga in maniera errata) e formazione di nuove proteine chimeriche
(attraverso la formazione di geni ottenuti dal risaldamento che prima non esistevano).

Virus oncogeni a DNA. Il retrovirus è


quello che deve la sua fama alla scoperta
degli oncogeni ma non è una famiglia di
virus che da sola è in grado di formare
tumori. Nell’immagine sono evidenziati
alcuni dei virus oncogeni che inducono
tumori. Papovavirus, ceppi 16 18
inducono carcinoma al pene e alla cervice.
Polioma Virus BKV, JCV, SV40 (sv40
contaminante del vaccino sabin per la
poliomielite) in grado di indurre il
carcinoma a cellule di Merkel, potenzialmente giocano un ruolo nel glioma,
neuroblastoma, mesotelioma. Adenovirus, c’è ancora da scoprire per quanto riguarda la
sua oncognesi. Herpesvirus che si associa al Karposi’s Sarcoma e potenzialmente al
glioblastoma. Virus dell’epatite B si associa al carcinoma epatocellulare.
Il Merkel Cell Carcinoma è un carcinoma raro proveniente da una
popolazione di cellule presenti nella cute, cellule epiteliali basali
ma legate ai neuroni che si pensava fossero la fonte del
carcinoma. Invece l’ 80% dei carcinomi a cellule Merkel sono
causati dall’inserzione nel genoma del Merkel cell poliomavirus
(MCPyV). Questo è stato identificato recentemente, nel 2008.
Però il MCPyV come tanti virus fa parte del normale microbiota
cutaneo ed è mantenuto a un basso livello di replicazione dal sistema immunitario
dell’ospite. In condizioni di soppressione immunitaria (il che capita con la senescenza ,
con l’AIDS, in pazienti sotto terapia anti-immunologica in seguito ad un trapianto) la
replicazione di MCPyV diventa sregolata a livello della cute e in alcuni casi ciò comporta
l’incorporazione del genoma del virus nel genoma delle cellule di Merkel dell’ospite
portando ad una trasformazione di queste. Si avrà quindi l’espressione di proteine come
large e small T antigen (oncoproteine originalmente scoperte nel SV40, un altro
poliomavirus) e viene promossa la trasformazione della cellula.

Identificazione degli oncogeni. Più o meno allo stesso tempo sono stati isolati oncogeni
dai tumori umani non provenienti da virus: oltre 20 v-onc identificati nei retrovirus e
diversi c-onc identificati da DNA tumorale. Per farlo sono state utilizzate 3 tecniche:
• Trasfezione di DNA tumorale nelle cellule normali (solitamente di topo);
• Analisi delle sequenze di DNA prossime alle inserzioni di virus oncogeni di tipo
cronico;
• Caratterizzazione delle modificazioni cromosomiali associate con alcuni tumori
(analizzando le giunzioni cambiate a causa del risaldamento cromosomico).
La tecnica di trasfezione dimostra che DNA può essere introdotto in altre cellule
(traslocazione). Usa le cellule tumorali umane coltivate in vitro, effettua la purificazione
del DNA cellulare. Si procede poi con l’isolamento del DNA ad alto peso molecolare, la
frammentazione del DNA e la precipitazione con fosfato di calcio. Segue la trasfezione
di tale DNA tumorale nelle cellule murine NIH3T3. Le cellule coltivate trasformate a
questo punto cominciano a formare focolai di cellule diverse dalle altre, cellule atipiche
(trasfettanti primari). La ripetizione di questa procedura altre due volte usando i
trasfettanti primari poi secondari e terziari, è stata utilizzata per purificare da singole
cellule trasformate il DNA che ha causato il loro cambiamento. Attraverso la tecnica del
southern blotting, usando come sonde sequenze ALU (sequenza specifica che identifica
la specie umana) , è stato possibile identificare, nel genoma che ha trasformato le
cellule NH3T3, il DNA proveniente dal topo e quello dal tumore. Isolando e
sequenziando poi il DNA umano sono stati identificati i geni a causa dei quali avveniva
la trasformazione.

NB: L’amplificazione del DNA da analizzare è resa possibile dalla creazione di una
libreria di fagi con virus che contengono tutti i dna provenienti da cellule trasfettate,
Libreria di fago che può essere utilizzata su una piastra di batteri per purificare e
amplificare il DNA del fago con lo scopo di identificare i geni umani presenti nel fago
che è stato in grado di lisare i batteri. Il batteriofago è scelto per la sua facilità nella lisi
di batteri e nella creazione di piccole placche contenenti DNA (Dna quindi proveniente
da un batterio infettato con un fago contenente diversi pezzi di DNA proveniente dalle
cellule trasformate) che possono essere facilmente trasferite su una carta. Poi si utilizza
la sonda ALU.
Questa procedura è stata usata molto spesso per identificare geni provenienti da
tumori o cellule tumorali umane potenzialmente oncogeniche.

Il DNA dalle cellule tumorali può trasformare le cellule normali in coltura.


Le cellule NH3T3 normalmente
crescono piatte come piccoli
fibroblasti allungati mentre
quando trasformate crescono una
sopra all’altra (continuano a
crescere mentre quelle normali
diventano quiescenti, assumendo
un comportamento simile alle
cellule tumorali maligne). Quando
le cellule trasformate sono
purificate o se l’oncogene
purificato è reintrodotto queste cellule esibiscono la capacità di formare tumori in
maniera substrato indipendente in vitro, quindi formano piccoli tumori senza la
necessità di alcun contatto con una superficie. Quando gli oncogeni sono stati
identificati si formano, come ulteriore conferma, tumori nei topi Nudi (topi
ingegnerizzati per essere senza timo, privi di sistemi immunologici T cell dipendenti). I
topi nudi sono importanti per la scoperta di oncogeni perché non potendo sopprimere
la formazione di tumori permettono la formazione anche di tumori provenienti da altre
specie (xenotrapianti= trapianti tra due specie diverse). Ciò dimostra l’importanza del
sistema immunologico ad inibire la formazione di tumori. Questa tesi è inoltre
supportata dal caso di un paziente con HIV, che successivamente ha sviluppato AIDS,
morto per le metastasi di un tumore primitivo proveniente da un parassita elmintico
presente nel suo intestino. La mancanza del sistema immunologico non solo ha
permesso a un elminto di colonizzare l’intestino ma ha permesso anche l’invasione del
tessuto intestinale da parte del tumore dell’elminto con conseguente formazione di
metastasi ai polmoni e al cervello.

Con le metodologie descritte sono stati identificati diversi oncogeni:


- H-ras nel carcinoma della vescica;
- N-ras, N-myc e neu nel neuroblastoma;
- oncogeni provenienti dal recettore Trk (Trk-onc) nel carcinoma del colon;
- Trk-T3 nel carcinoma della tiroide;
- Delta-trk nella leucemia mieloide acuta;
- MCF/dbl nel carcinoma della mammella;
- cot nel carcinoma della tiroide;
- bcl-2 in linfomi e leucemie.
Quindi due strade di ricerca hanno caratterizzato diversi geni alterati trasformanti
analizzando v-onc in retrovirus, oncogeni durante l’inserzione retrovirale, e
identificando e caratterizzando materiale proveniente direttamente dai tumori umani.

Meccanismi di attivazione degli oncogeni. L’attivazione dei proto-onc ad onc


trasformanti avviene grazie ad un danno a livello del DNA dominante perché coinvolge
un solo allele. Il danno può essere dovuto a:
-trasduzione virale;
-integrazione virale;
-mutazioni puntiformi, inserzioni o delezioni;
-amplificazione genica;
-traslocazione genica semplice o complessa .
Il danno risulta nell’espressione di una proteina alterata in uno di 4 aspetti:
-espressione quantitativamente abnorme;
-espressione inappropriata fuori luogo;
-espressione inappropriata fuori tempo;
-espressione di una proteina abnorme mutata o chimerica.

Attivazione dovuta a mutazioni


La mutazione del DNA è uno dei meccanismi più frequenti nell’attivazione dei c-proto-
oncogeni e può riguardare una singola base (mutazione puntiforme) o sequenze più o
meno estese (delezione o inserzione). L’effetto attivante dipende dall’importanza
funzionale del dominio proteico interessato (le proteine globulari contengono diversi
domini, alcuni dei quali sono essenziali per l’attivazione, inattivazione e posizionamento
e un cambiamento nei domini può rendere la proteina attiva oncogenicamente). Le
mutazioni possono essere nelle regioni codificanti, nel promotore o nell’enhancer o al
3’ UTR. Nelle regioni codificanti le mutazioni possono provocare la sostituzione di
amminoacidi o una delezione a livello proteico se viene generato un codone di stop.
Mutazioni nelle regioni enhancer/promotore (vicine o lontane dalle sequenze
codificanti, sono sequenze che legano determinati complessi necessari per far
funzionare i macchinari della trascrizione) possono modificare la trascrizione
promuovendo l’espressione quantitativamente abnorme, fuori luogo o fuori tempo. Ad
esempio, esiste un promotore fondamentale per far legare il complesso dell’RNA
polimerasi e se cambia la sequenza del promotore il funzionamento dell’RNA polimerasi
potrebbe essere alterato in termini di velocità. Ciò può alterare la quantità di mRNA
sintetizzato e conseguentemente lo splicing, portando alla produzione di una proteina
oncogenica. Invece, per quanto riguarda l’enhancer, esso ha un’importanza sia nella
promozione della trascrizione sia nell’inibizione della trascrizioni. Infatti, una mutazione
in siti che inibiscono la trascrizione può portare alla trascrizione di una regione che non
dovrebbe essere trascritta. Se a subire la mutazione è un enhancer contenente siti di
legame con fattori trascrizionali (che promuovono la trascrizione) esso non sarà più
adatto a legarsi con i “vecchi” fattori di trascrizione e potrebbe invece essere legato da
un nuovo set di fattori trascrizionali che normalmente non avevano niente a che vedere
con la trascrizione.
Invece, mutazioni nelle regioni 3’ UTR possono alterare le interazioni con una nuova
famiglia di molecole che regolano l’espressione genica , i micro RNA. I miRNA, scoperti
anni ‘90 ma adesso fondamentali, hanno smentito l’idea che tutti i geni codificassero
per proteine (perché ci sono geni che codificano per i miRNA e non per proteine) e sono
implicati nella regolazione dell’espressione delle proteine. I miRNA sono brevi sequenze
di 18-24 nucleotidi provenienti da geni specifici processati per essere piccoli, che vanno
a legare l’mRNA a livello del citosol bloccando la capacità dell’mRNA di essere tradotto
in proteina. Legano siti specifici nell’mRNA nella regione 3’ non codificante (UTR) e
abrogando la produzione di proteine possono fungere come oncogeni od
oncosoppressori in base al loro bersaglio.
Mutazioni possono essere anche causate da errori nella replicazione genica, da agenti
chimici che agiscono sul DNA, radiazioni UV, radiazioni ionizzanti o tramite la
trasduzione virale.

Attivazione attraverso mutazione puntiforme.


Diversi proto-oncogeni sono attivati attraverso mutazioni
puntiformi e la famiglia del proto-onc ras è quella che
rappresenta meglio questo meccanismo. La forma attivata di
uno dei geni della famiglia ras, Ki-ras (Kirsten-ras), presenta una
mutazione puntiforme nel codone 12 dell’esone 1 che causa la
sostituzione di una valina con una glicina. Questo cambiamento
rende Ki-ras una proteina oncogenica. Circa il 30% dei tumori umani presentano Ki-ras
mutato includendo tumori della tiroide, del tratto intestinale, dell’utero, del polmone e
leucemie. Questa incidenza di mutazione si trova spesso associata con la ricorrenza post
terapeutica: tumori primitivi che non presentano Ki-ras mutato possono evolversi ed
avere un Ki-ras attivato in seguito alla terapia. Ciò significa che le terapie utilizzate per
tumori solidi spesso sono di natura mutante, nel senso che muta il DNA delle cellule
tumorali per cercare di indurre una risposta apoptotica da parte delle stesse. Tuttavia,
questa mutazione può causare l’attivazione di Ki-ras selezionando cellule che
ovviamente non muoiono quando il DNA viene danneggiato. Quindi, le mutazioni nei
tumori non si hanno solo all’inizio ma anche nella progressione, andando a cumularsi
rendendo il tumore più aggressivo.

Riassumendo:
• mutazioni nella regione codificante:
- cambiamento amminoacido (attivazione dominio dipendente)
- introduzione di un codone di stop TAA, TAG, TGA (attivazione aberrante-
proteina tronca)
- nessun cambiamento (3° posizione detta “wobble”)
• mutazione nel promotore/enhancer:
- cambiamento nella velocità di trascrizione (splicing/attivazione)
- introduzione di un nuovo sito di trascrizione (espressione fuori tempo, luogo e/
o quantità aumentata)
- eliminazione di un sito di inibizione trascrizionale (fuori tempo,luogo e/o
quantità aumentata)
• mutazione alle giunzioni di splicing:
- inclusione o esclusione di esoni
- aberrante inclusione di sequenza intronica (attivazione, rilocalizzazione)
• mutazione nel 3’ UTR :
-introduzione o eliminazione di siti di legame per microRNA (fuori tempo, luogo
e/o quantità aumentata)

Attivazione degli oncogeni dovuta ad alterazioni cromosomiche


Le alterazioni cromosomiche che attivano gli oncogeni sono:
• l’amplificazione genica;
• la delezione genica;
• traslocazione genica di tipo semplice o reciproca;
• inversione dei segmenti cromosomici.

L’amplificazione genica può essere dovuta a:


- polisomia (poliploidia)
- formazione di cromosomi “Double Minute” (cromosomi anomali formatisi alla mitosi)
- formazione delle zone cromosomiche HSR “Homologous Staining Region”
Polisomia. L’iperploidia è una caratteristica di molti tumori e costituisce un meccanismo
di amplificazione oncogenica. Ad esempio: troviamo una trisomia 8 nella leucemia
mieloide cronica, mieloblastica acuta e non linfocitica acuta; trisomia 12 si trova spesso
nella leucemia linfatica cronica; trisomia 15 nella leucemia a cellule T. La colorazione
Giemsa ci permette di identificare il corredo cromosomico di cellule tumorali
evidenziando i “banding patterns”, l’alternanza di chiaro/scuro dei cromosomi
visualizzati durante la mitosi, quando i cromosomi si condensano. Utilizzabile, oltre che
per evidenziare polisomia, anche per identificare nuove ibridizzazioni tra cromosomi e
la possibilità di nuove forme chimeriche. Le nuove tecnologie utilizzano marcatori
fluorescenti per identificare amplificazioni e ciò è possibile perché si conoscono
sequenze specifiche sui cromosomi. In foto vediamo in altro cellula leucemica normale,
in basso cellula leucemica con trisomia.
Cromosomi double minute (DM). Vediamo
un esempio proveniente da un
neuroblastoma (tumore molto aggressivo
dell’età pediatrica proveniente dalla cresta
neurale). I double minute rappresentano
piccoli frammenti cromosomici che si
vengono a formare da un ciclo cellulare
abnorme nella fase M. I DM possono
duplicarsi senza segregarsi equamente
amplificando ed attivando gli oncogeni presenti nei segmenti di cromosomi di cui sono
costituiti provocando un’espressione oncogenica abnorme. I DM non contengono
centromeri o telomeri. I geni contenuti non sempre vengono espressi e questo
ovviamente dipende dallo stato dei promotori in quel contesto. La formazione dei DM
dipende anche dalla rottura del DNA alla forcella di replicazione in fase di stallo, da cicli
extra di replicazione del DNA e dalla formazione di un mini cromosoma.
Regioni HSR. Sono funzionalmente equivalenti ai DM poiché rappresentano
un’incredibile amplificazione di un determinato set di geni che possono essere
visualizzati attraverso la colorazione in maniera omogenea, quando si colorano a livello
cromosomico sono visibili come macro-
bande. Queste macro bande sono quindi
anomale perché non sono presenti in
cellule normali. Utilizzando sonde (vedi
foto), ovvero geni specifici coniugati con
marcatori fosforescenti, è possibile
individuare gli alleli sui cromosomi in
condizioni normali ma anche gli HSR, aree
contengono numerose copie dello stesso gene replicato per alterazione della sintesi del
DNA (durante la replicazione). Il risultato è un’espressione quantitativamente abnorme
e l’attivazione del proto oncogene presente nella zona amplificata. Un esempio è il
proto oncogene N-myc amplificato nell’ HRS sul cromosoma 2 nel neuroblastoma.
L’amplificazione del gene N-myc nel neuroblastoma dà una prognosi molto infausta,
perché segnala già un’instabilità genomica elevata. 50% dei neuroblastomi in età
pediatrica che contengono amplificazioni di N-myc sono molto aggressivi e i bambini
solitamente, nonostante i cicli di terapia, non sopravvivono oltre i due anni.
Formazione delle regioni HSR. Avviene se il doppio filamento del DNA si rompe durante
la mitosi. Ciò può accadere se in una cellula trasformata i telomeri sono danneggiati in
modo tale da permettere anche la fusione delle estremità. Non sempre i tumori sono
immortali perché hanno estremità telomeriche molto lunghe: occasionalmente anche
loro perdono i telomeri e a quel punto, nei cromosomi dove si sono persi i telomeri, si
può avverare la fusione tra la cromatina durante la replicazione e non c’è la separazione
(avvenimento noto come “anaphase bridging”).
Questo crea tensione e il processo può andare avanti in determinate
cellule creando uno strappo a livelllo del DNA attraverso la citocinesi.
Nell’immagine vediamo una cellula in anafase che sta per entrare in
citocinesi. Più le due cellule si separano più lo stress aumenta finché non
avviene lo strappo. Ciò può creare piccole isole, nuclei, di cromatina
(isolata dal cromosoma) oppure può portare a una divisione asimmetrica
(una cellula ha cromosomi con qualcosa in più a livello terminale e l’altra cellula manca
di parte del materiale genetico). La rottura asimmetrica causata dalla tensione può
formare un cromatidio con una ripetizione invertita al terminale rotto. A quel punto si
può effettuare un’amplificazione genica eventualmente arrivando ad avere una quantità
superiore ovviamente attraverso diversi cicli.

La traslocazione genica permette il trasporto di un pezzo di cromosoma su un altro


cromosoma (reciproca) o sullo stesso cromosoma (semplice). Sono coinvolti siti fragili
nel DNA, che sono spesso coinvolti nella formazione di tumori o sono siti bersaglio per
virus, oncogeni e spesso contengono vicino c-proto-oncogeni e geni codificanti per
microRNA. Questi siti fragili sono spesso coinvolti in rottura, danno, inserzione virale,
abrogazione di microRNA, attivazione oncogenica. Un esempio è il break point cluster
region bcr 22q12. Sono sequenze altamente ripetute e spesso sono anche identificabili
in retrovirus, quindi siti amplificati di DNA a causa di replicazione, traslocazione
retrovirale (questi episodi di infezione hanno creato il nostro grande genoma rendendo
possibile l’evoluzione dell’uomo ma ci sono problemi di conformazione e siti che
possono essere più facilmente danneggiati). L’attivazione del proto-onc avviene quando
la traslocazione mette l’oncogene sotto la regolazione di un altro gene (quando il
cromosoma viene fuso in un altro posto) facilitando l’espressione abnorme, fuori tempo
o fuori luogo.
Il gene c-myc (fattore trascrizionale) cromosoma 8 posizione q24 può esser coinvolto in
traslocazioni tra cr 2 e 8, tra cr 8 e 14 e tra cr 8 e 22, spesso associati con tumori come il
linfoma di Burkit e la leucemia linfoide acuta.
C-abl è una tirosin chinasi.
Notiamo che oncogeni attivati tramite traslocazione genica causano un sacco di diverse
leucemie. Non a caso, le radiazioni ionizzanti sono tra le prime cause di questi tumori
ma anche la terapia antitumorale per tumori solidi può creare danneggiamento a livello
del DNA e traslocazione genica. In popolazioni che hanno subito inquinamento da parte
di radiazioni ionizzanti (es Fukushima, Chernobyl ecc.) i primi tumori rilevabili sono
quelli delle popolazioni cellulari che proliferano sempre nel midollo osseo e danno
luogo alle cellule mieloidi e linfoidi. Inoltre, può capitare che dopo la chemioterapia e la
terapia con radiazioni ionizzanti per il trattamento di tumori solidi, si abbiano come
effetto collaterale tumori di natura leucemica dovuti a strappi di DNA e traslocazione
genica.
Mackay 5/11/2020
Sbobinatori studenti secondo anno

La traslocazione genica è dovuta ad uno strappo nel dna che può introdurre il
trasporto di un cromosoma su di un altro che va sotto il nome di traslocazione
reciproca o sullo stesso cromosoma, traslocazione semplice. Sono coinvolti siti
fragili, ad esempio il point cluster regionbcr 22q12, il quale è continuamente
strappato o risaldato.
Durante l’evoluzione dei mammiferi sono stati depositati nel genoma dei
genomi virali che con la loro azione di spostarsi e replicarsi hanno aumentato il
genoma, ad uso positivo per l’organismo.
I geni vengono sottomessi in seguito ad una traslocazione sotto il controllo di un
promotore straniero e ciò comporta un cambiamento nella sua espressione.
Di seguito nella tabella troviamo gli esempi dei geni attivati in seguito traslocazione:

Esistono sonde cromosoma specifiche che attraverso l’analisi di un metaphases


spread (durante la mitosi) si riesce a colorare ciascun cromosoma con un
determinato marcatore e di evidenziare i cambiamenti che si possono associare con
i tumori. Non sempre la colorazione del cromosoma indica il fatto che siano
oncogeni, ma può indicare anche instabilità.
Un’altra tecnica per identificare traslocazioni di
cromosomi in associazione con tumori è la FISH
multi colorati, per quanto riguarda la leucemia si
trovano cellule in sospensione nel sangue
purificato. Per i tumori solidi avviene fatto
percoltivazioni di biopsie fresche e non fissate,
può essere fatto anche insito nei tessuti.
-BCR= break point cluster region.
-ABL= protoncogene di natura tirosinchinasica.
L’inversione genica è data da una saldatura errata dovuta da un’inversione di
uno dei segmenti dei geni, cambiandone così la conformazione. Le nuove
proteine chimeriche possono essere strappate in mezzo dalla serie codificante e
risaldate con altre, comporta attività oncogenica.

Nella delezione genica molte proteine si proteggono contro l’azione aberrante


usufruendo di domini che ne limitano la capacità, ciò avviene mentre queste si
spostano oppure quando si trovano nel sito della loro funzionalità.
Questo fenomeno può essere causato dall’inserzione virale, mutazioni
puntiformi, traslocazione cromosomica e infine lo splicing alternativo.
Quest’ultimo rappresenta la capacità di un trascritto mRNA nativo di
riarrangiare il prodotto maturo, e alcune di queste proteine possono mancare di
domini che aiutano nell’evitare la delezione.
L’oncogene TrkAIII nella delezione 6 e 7 presenta sempre una mutazione di tipo
oncogeno e questo può causare neuroblastoma, glioma o merkel cell carcinoma.

I fattori di crescita sono proteine extracellulari che stimolano la proliferazione


cellulare e interagiscono con recettori cellulari transmembrana che trasmettono
attività tirosinchinasica. Inoltre questi fattori di crescita sono stati identificati in
diverse famiglie.

Se attivati in maniera aberrante porta ad un


sistema proto oncogeno. (Vedi tabella)
-Proteina adattatrice = passa il segnale
alla membrana cellulare.
-Fattori di trascrizione = sono i protagonisti alla
fine della catena che inducono al cambiamento
dell’espressione genica. -Micro RNA e long non
coding RNA = illustrano che non tutti i geni
codificano per proteine.

La cascata della trasduzione del segnale può


essere attivata in ogni punto ciò dipende
dall’attivazione oncogenica, ogni volta che si
attivano rendono ridondante il segnale a
monte.

HGF= classe 2, fattore di crescita per gli epatociti.


Mutazione nel C-met induce un’attività chinasica costitutiva, importante nel
meccanismo di metastatizzazione, quando questo viene attivato induce un
segnale alle cellule ovvero di cambiare il loro fenotipo in metaplasia, rendendo
così le cellule epiteliale più mesenchimali e a quel punto acquisiscono fenotipi
metastatici.

Il recettore EGF è frequentemente amplificato in condizioni di glioblastoma


multiforme, dove si trova la forma deleta del dominio extra cellulare EGFRvIII.
Il glioblastama multiforme è un tumore del cervello, e non si metastatizza
facilmente in altri sedi.

(Vedi slide a dx) Esperimento fatto ad


identificare a livello molecolare i pazienti
affetti da glioblastoma multiforme. Sono
stati estratti tessuti proveniente da tumore
per prelevare il RNA messaggero di cellule
tumorali per identificare se i recettori per i
fattori di crescita epiteliali si trovano sovra
espressi o in condizioni normali.
Si prende il RNA e lo si converte attraverso la
trascrittasi inversa proveniente dal retrovirus,
allo scopo di riconvertire RNA messagero in
DNA e poi amplificarlo utilizzando reazioni a
catena polimerizzata in cici (PCR).Alla fine si
comparano i livelli di RNA messaggero dei geni
EGFR nella forma piano-lunghezza e quelli
EGFRvIII.
Si è riscontrato molto EGFRwt, e nei pazienti mostrano tutti amplificazioni del
gene, questo può essere un meccanismo spontaneo di formazioni di oncogeni
dovuti a fattori di crescita.
EGFRvIII è molto più piccolo e deleto, i pazienti mostrano sovra espressione genica
del gene e in più
un’attivazione dovuta alla delezione del dominio extracellulare che facilita
un’attivazione spontanea del recettore, questi pazienti esibiscono un classico
oncogene attivato verso delezione.

Oncogeni derivati da TrkA derivano da proteine che


agiscono come recettori tirosinchinasici da fattori di
crescita neuronali (NGF), sono stati trovati nei
carcinomi intestinali, nei tumori della tiroide, della
prostata, nella neuroblastoma(2004) e nella leucemia
acuta mieloblastica.
Il primo oncogene scoperto nei tumori del colon è stato
trovato come nuovo gene fuso con Trko tropiomiosina,
dove il dominino tirosinchinasi del TrkA è stato saldato
attraverso la traslocazione reciproca.
-PTPasi= proteine tirosin fosfatasi che defosforilano i
recettori rendendoli inattivi.
-Domini IgG-like= che legano ligando e sono
in grado di separare il recettore.
-N-glycosylation = bloccano un’attivazione
spontanea.

Una volta che il NGF lega il recettore c’è


un cambiamento conformazionale che
rende fosforilabili determinate tirosine
nel dominio interno, queste fosforilazioni
sono possibili per un cambiamento
conformazionale rendendo
autofosforilabili le molecole in forma
oligomerizzata. C’è un tipo di induzione
da parte delle molecole di ossigeno che
bloccano e inattivano le proteine
tirosinfosfatasi, a quel punto si può
fosforilare il dominio intracellulare per un
tempo transitorio in condizione normali.

Quando la cellula è in proliferazione è in uno stato più fragile per questo


motivo gli stessi segnali di proliferazione bloccano il meccanismo di apoptosi

Lo Splicing Alternativo TrkAIII Come Meccanismo Oncogenico Del


Neuroblastoma
L’identificazione dell’oncogene
che deriva da TrkA è stata fatta
analizzando l’RNA proveniente da
neuroblastomi pediatrici. Si
utilizzò la tecnica PCR per
identificare e analizzare
l’espressione di TrkA come
indicatore di una prognosi
positiva nel neuroblastoma, già la
letteratura suggeriva una
prognosi favorevole in presenza
del recettore NGF per TrkA [ndr,
è stata seguita alla lettera la
spiegazione del professore]
Si paragonarono una
serie di neuroblastomi a
diversi stadi:
- Stadio 1 e Stadio 2: poco aggressivi
- Stadio 3: stadio invasivo
- Stadio 4: stadio
metastatico avanzato

Lo studio si proponeva di paragonare le varie espressioni di TrkA con altri


geni che potevano essere associati ad un’aggressione tumorale.
Dopo aver scelto dei primer a caso per il dominio extracellulare, si scoprì
un'altra forma del recettore NGF che prima di allora risultava sconosciuto.
Si utilizzò sempre una PCR, però in questo caso, il materiale genetico
proveniente dall’RNA veniva convertito in DNA e poi ibridizzato con una sonda
per il dominio extracellulare del gene del RNA.
Si trovò una struttura priva degli assoni 6 e 7 che quindi risultava più piccola.
Questa nuova forma scoperta derivava da uno Splicing Alternativo.
Ci si rese conto che questa struttura, poi chiamata TrkAIII, era associata agli stadi
più avanzati dei tumori.
Analizzando TrkAIII si trovarono le sequenze
e si scoprì che la perdita degli assoni era
causata da uno Splicing Alternativo.
Questo splicing ha fatto sì che gli assoni
1,2,3,4,5 fossero presenti in ordine mentre
gli assoni 6 e 7 fossero eliminati e che
l’assone 8 fosse direttamente legato
all’assone 5.
TrkA, comunque, era stata sottoposta ad
uno Splicing Alternativo IN FRAME, perché
l’introduzione del cambiamento con
l’eliminazione degli assoni non aveva
portato ad un cambiamento di lettura.

TrkAIII come un Oncogene


TrkAIII fu clonato e introdotto nelle
cellule NIH3T3 dei topi,
successivamente si paragonò la
forma sottoposta a Splicing con
quella sottoposta a Splicing
alternativo e si vide che la seconda
forma del gene presentava una
fosforilazione della Tirosina nel
dominio Tirosin-Chinasico.
Quindi si capì che TrakAIII poteva
essere una forma oncogenica.
Queste possibili forme oncogene
vennero transfettate e si vide che
le cellule transfettate erano state
in grado di
generare tumori substrato-indipendenti in topi nudi (senza timo e senza
un’immunità antitumorale dipendente dalle cellule T) mentre TrkAllI non era
in grado di provocare tumori.

TrkAIII aumenta la tumorigenesi nelle cellule di neuroblastoma


Utilizzando come modello il neuroblastoma, vennero transfettate TrkAIII in cellule
di neuroblastomi che esprimevano poco TrkA. Si vide che TrkAIII aumentava la
crescita substrato indipendente delle cellule SH-SY5Y. Successivamente,
paragonando TrkAIII con l’oncogene proveniente dal tumore della tiroide Trk-T3 si
scoprì che entrambe le forme, dopo averle inoculate sotto la cute di topi nudi,
promuovevano la tumorigenicità delle cellule SH-SY5Y in topi nudi.

Inoltre, si scoprì che la


formazione di TrkAIII attraverso
lo Splicing Alternativo poteva
essere promossa da condizione
di ipossia nelle cellule del
neuroblastoma. Questo suggerì
quindi che lo splicing alternativo
per la formazione
dell’oncoproteina TrkAIII, in un
contesto di cellule tumorali,
poteva essere indotto da
ambienti ostili.
In particolare, nei tumori,
l’ipossia può essere una
condizione molto frequente e
può offrire un meccanismo della
crescita tumorale per cui
l’evento ipossico può stimolare
la produzione di una forma
oncogenica o potenzialmente oncosoppressoria del recettore di TrkA.
È interessante notare come l’espressione di TrkA porti ad una prognosi favorevole,
contrariamente a TrkAIII.
Quindi, l’ambiente può promuovere sia una forma oncosoppressoria sia oncogenica

TrkAIII come Oncogene


All’interno della cellula, c’è un ri-arrangiamento dell’espressione di TrkAIII:
TrkAIII rilocalizza alle membrane
pre-Golgi e si muove verso il
centrosoma e i mitocondri dove si
attiva promuovendo un fenotipo
angiogenetico e l’amplificazione dei
centrosomi, in questo modo altera
l’attività chinasica portando ad
un’instabilità cromosomica.
Tra l’altro, come molti recettori,
induce una segnalazione anti-
apoptotica NF-KB-dipendente che fa
si che le cellule diventino più
resistenti e possano sopravvivere.
Questo processo è promosso dalla
glicolisi aerobica che dipende dallo
stress.
Quindi, un oncogene attivato può rilocalizzare e attivare varie vie oncogeniche.

Cronologia dei principali progressi relativi alla biologia e ala terapia


targe9ng per la segnalazione TRK nel Cancro
Rita Levi-Montalcini, per prima nel
1950, idenHficò i Growth factor, la
prima neurotrofina. In seguito, si
scoprirono altre neurotrofine e
recettori per l’attivazione di
oncogeni.
Altre osservazioni, in vari campi di
ricerca, implementarono la
conoscenza del funzionamento dei
recettori [ndr, è stato trascritto
quello che ha detto]. Nei primi anni
2000, si scoprì la variante di Splicing
Alternativo come oncogene.
Tutte le varie scoperte sono andate
a caratterizzare sempre di più il
funzionamento di questi meccanismi
dal punto di vista oncologico e
fisiologico.
Il percorso di ricerca è stato molto lungo, dagli anni ’50 ad oggi, in cui,
finalmente, si possono utilizzare delle terapie direzionate.

Alcuni grandi ricercatori, remando controcorrente nel campo della farmacologia,


hanno analizzato le ricerche fino a quel momento e hanno ipotizzato che questi
oncogeni potevano essere presenti in vari tipi di tumori.
Quindi analizzando vari tumori trovarono TrkA oncogeni, ciò significava che TrkA
erano in vari tumori.
I ricercatori iniziarono a sviluppare farmaci e trovarono un inibitore capace di
inattivare TrkA e applicando questi inibitori attraverso dei trials ebbero un
grande successo. L’FDA analizzando di dati dei trial clinici, ha brevettato la
terapia.
Si vide che anche nei pazienti con stadi di tumori metastatici molto avanzati,
queste terapie promuovevano la regressione del tumore.

Una delle ultime scoperte è l’identificazione dell’espressione di TrkAIII nelle Merkel


cell nel carcinoma e nel melanoma, quindi la speranza del futuro è quella di
sottoporre alla terapia anche le persone affette da questi tipi di tumori.

LAROTRECTINIB/LOXO-101 VITRAKVI (OXO-Oncology/Bayer)

LOXO-101 o VITRAKVI è un
farmaco approvato dalla FDA il
26/11/2018 per tumori
pediatrici e adulti solidi allo
stadio avanzato guidati da
fusioni Trk oncogeni, che sono
metastatiche o in cui la
chirurgia può provocare gravi
morbilità e che non hanno
trattamenti alternativi o che
hanno progredito dopo il
trattamento precedente.
Questo è un trattamento
orale con pochi effetti
collaterali importanti. LOXO-
101 è un inibitore orale
dell’autofosforilazione Trk-
dipendente, ha una IC50 a
basso nanomolare, inibisce il
98% dell’attività chinasica del
Trk e raggiunge
concentrazioni plasmatiche
massime entro 30-60 minuti.
Questo farmaco induce delle risposte di lunga durata e delle risposte complete in
adolescenti e adulti con tumori Trk oncogene associati a bassa tossicità.
Il rilevamento delle fusioni Trk deve essere considerato nei pazienti quando si
determinano le opzioni di trattamento sistemico, specialmente nel contesto di
recidiva. Il farmaco mostra attività contro oncogeni TrkA attivati dalla delezione.
Ad oggi, si spera di estendere l’uso di LOXO-101 per tumori che esprimono
l’oncoproteina TrkAIII (come neuroblastomi, Merkel cell carcinomi e melanomi).

CLASSE 2: ONCOGENI TIROSINA-CHINASI NON RECETTORIALI


Un’altra classe di oncogeni è rappresentata dalle tirosina-chinasi non recettoriali.
Queste, ovviamente, non sono recettori però vengono attivate e, essendo tirosina-
chinasi, sono in grado di passare segnalazioni attraverso la fosforilazione.
Il livello di queste cellule è base nelle
cellule normali a riposo, alto nelle cellule
in proliferazione e massimo nelle cellule
tumorali. Ci sono diverse famiglie:
• Famiglia SCR (src,yes,fgr,lyn):
- c-src (cromosoma 20): è l’omologo
di v-src del retrovirus del sarcoma di
Rous. Viene attivato nel carcinoma
del colon dove si trovano mutazioni
del codone per l’amminoacido
tirosina 527
- c-yes (cromosoma 6): è l’omologo di
v-yes del virus del sarcoma
Yamaguchi, coinvolto nel Linfoma
follicolare in seguito a traslocazione
(14;18)
- fgr/src2 (cromosoma 1)
- c-fyn (cromosoma 6) e c-lyn (cromosoma 8)
Quindi, ci sono delle molecole con attività simile che si occupano di propagare la
segnalazione. C’è una chinasi a monte, quindi viene fosforilata la tirosina, (min
1:14:10)
- abl/brc-abl: è l’omologo del v-abl nel retrovirus della leucemia di Ablesson.
Viene attivato in seguito alla formazione di una chimera gag-abl. Inoltre, viene
attivato nella leucemia mieloide cronica in seguito a traslocazione (9;22),
formando il cromosoma “Philadelphia” una nuova chimera bcr-abl con attività
chinasi costitutiva.
Ci sono due mutazioni che attivano c-abl:
a. delezione amino-terminale per l’aggancio alla membrana plasmatica
b. delezione carbossi-terminale per la regolazione negativa dell’attività chinasica

- fps/fes (cromosoma 15): è l’omologo di v-fes del virus del sarcoma di Fujinami,
è attivato in seguito a traslocazione con la formazione di una proteina chimera
o mutazioni che inibiscono l’aggancio alla membrana plasmatica osservate nella
leucemia promielocitica acuta
STRUTTURA DEI RECETTORI TIROSINA-CHINASI NON RECETTORIALI
I recettori tirosina-chinasi non recettoriali, in particolare la famiglia SCR,
presentano dei domini diversi:
1. terminale NH-2 specifica
per l’acido miristolico che
può formare un legame con
la membrana plasmatica.
Quindi, una volta attivato,
può essere agganciato alla
membrana plasmatica
2. regione ad alta variabilità
che riconosce specifiche
proteine bersaglio
3. e 4. dominio maggiore,
costituito da circa 460
aminoacidi. Presenta
due sottodomini
(regione di
omologia e dominio responsabile dell’attività chinasica)
5. dominio terminale COOH, modula l’attività basale chinasi. La fosforilazione da
parte di csk ne inibisce l’attività.

c-Src
è una tirosina chinasi non recettoriale. Presenta tre domini:
- due domini Src homology (SH) chiamati SH2 e SH3
- un dominio chinasi
SH2 e SH3 legano
proteine in modo fosfo-
dipendente. Questi
domini interagiscono con
altre proteine e,
attraverso il
cambiamento dello stato
di fosforilazione,
controllano l’attivazione
(quando sono fosforilate
possono legarsi a
proteine) e
l’inattivazione.

Ci sono due importanti


residui di tirosina:
residuo Y416 e Y527,
questi due residui
rappresentano siti
di fosforilazione tirosina-chinasi.
Il residuo Y416 si trova nel dominio SH1, dopo essersi autofosforilato attiva c-Src e
spostando il fosforo al “Binding Pocket” facilita l’accesso del substrato.

Il residuo Y527 non viene fosforilato da c-Src (quindi non è un substrato che può
essere autofosforilato) ma viene fosforilato da chinasi esogene come Chk e Csk e
viene defosforilato da fosfatasi PTP12α, PTP1β e SHIP-1

Quando Y527 è fosforilato, c-Src viene inattivato questo perché può interagire con
il dominio SH2 complessando la proteina, mentre la fosforilazione di Y527 attiva c-
Src perché libera il Binding Pocket.
Gli sbilanciamenti che possono esserci tra fosforilazione e defosforilazione
possono portare ad un’attività anomala.

L’oncogene proveniente da c-Src è v-Src, in quest’ultimo manca il dominio Y527,


come possiamo vedere nel carcinoma del colon. Inoltre, le fosfatasi PTP12α, PTP1β
e SHIP-1 che devono regolare questo sistema sono elevate nei vari carcinomi, quindi
Y527 risulta essere sempre defosforilato e in questo modo si va inibire la sua
capacità di inibire c-Src e si promuove l’accesso al dominio catalitico. Mentre le
chinasi Csk e Chk che fosforilano Y527 e quindi inibiscono c-Src sono spesso ridotti in
carcinomi diversi [ndr, non ho capito cosa intendesse, ma ha detto questo]
Quindi, qui troviamo un meccanismo molto complesso perché in base al danno
del residuo Y527 c’è una prevalenza nell’attivazione oncogenica di c-Src o v-Src.

Il c-Src una volta che viene fosforilato e attivato non può più essere
disattivato. Quindi c-Src continua a indurre la proliferazione.

CLASSE 3: RECETTORI SENZA ATTIVITA’ PROTEIN CHINASICA


Onc-Mas-1 (cromosoma 6): Appartiene alla classe dei recettori senza attività
protein chinasica. Viene identificato in una linea umana
di cellule derivata da un
carcinoma epidermoide
usando le metodiche di
transfezione e tumorigenesi.
è un recettore transmembrana
per l’angiotensina legato alle
proteine-G ed è localizzato sul
braccio distale del cromosoma
6 in una zona frequentemente
riorganizzata nei tumori.

CLASSE 4: PROTEINE-G
Sono proteine associate alla membrana il cui nome “G” è dato dal legame con il
GTP/GDP. Queste proteine oscillano tra uno stato attivo in cui sono legate a GTP e
inattivo in cui sono legate a GDP.
Questi due stati (proteina+GDP/proteina+GTP) sono dovuti a delle proteine
accessorie che includono fattori, chiamati GEF, che facilitano la conversione
GDP/GTP e fattori attivanti, chiamati GAP, che facilitano la transizione GTP/GDP.

Sono molte le proteine appartenenti a questa famiglia, le più conosciute sono le


P21 RAS e RAS-like, esse hanno la caratteristica di essere attive quando sono
legate a GTP e inattive quando sono legate a GDP.
RAS è un oncogene virale nel retrovirus v-Ha-Ras e v-Ki-ras.
Nei mammiferi ci sono
tre geni che codificano
per il c-protooncogene
RAS: c-Ha-ras
(cromosoma 11), c-KI-
Ras (cromosoma 12) e
c-N-Ras (cromosoma 1).
Queste, essendo
proteine-G, sono
attivate indirettamente
dal recettore tirosin-
chinasico e sono in
grado di interagire con
diverse vie di
segnalazione, possono
interagire anche con
ligandi e integrine.
Sono legate alla membrana attraverso il loro dominio C-terminale che presenta
una sequenza farnesilata CAAX.
Le proteine G, dopo essere state attivate, attivano l’effettrice RAF (chinasi
serina/treonina) portandola alla membrana, le RAF sono richieste anche per
l’attivazione delle MAP chinasi e possono legare la fosfoinositolo-3-chinasi.
A livello oncogenico, le mutazioni che attivano Ki-Ras nei codoni 12,13 e 16 si
trovano nel 30% dei tumori solidi (mammella, polmone, colon etc.)
Le mutazioni delle proteine G monomeriche impediscono l’interazione con i fattori
accessori rendendo le proteine G indipendenti da GEF O GAP, mantenendo uno
stato attivo in cui la proteina G è associata a GTP. In questo caso, lo stato attivo non
può essere disattivato.

Questo schema ci mostra la complessità del sistema:


Ras, GEF e GAP
Possiamo vedere che il segnale a monte,
proveniente dal recettore tirosin-chinasico,
regola l’attività dei GEFs, attraverso le
proteine adattatrici, e dei GAPs.
Si trovano nella membrana cellulare e
dopo essere attivate attivano Raf e MAP-
chinasi portando Raf dal citosol alla
membrana.
Ras-GTP può, inoltre, legare la subunità
catalitica del fosfoinositolo-3-chinasi.
Tutto questo avviene in modo ciclico:
Inizialmente Ras legato a GDP è inattivo
(proteina G inattiva), poi viene
riconosciuto dai fattori GEF,
successivamente GEF scambia GDP con
GDP. A questo punto, RAS legato a GTP
(proteina G attiva)
si attiva ed è in grado di fare una trasduzione del segnale verso MAP-chinasi o
fosfoinositolo-3-chinasi. Infine, intervengono i GAP che “sentono” la presenza di
GTP legato a RAS (proteina G attiva) e vanno ad implementare l’attività di RAS.
Questo porta all’idrolisi di GTP, quindi si riforma GDP e la proteina G si ri-inattiva.

PROTEINE G ETEROTRIMERICHE
Sono una classe importante di proteine presenti nei tumori. Queste proteine
agiscono come intermediari tra recettori ormonali ed enzimi effettori. Inoltre,
regolano il metabolismo delle molecole in risposta a segnali ormonali.
Dopo il legame recettore-ormone, il GDP viene sostituito nella sua unità Gα
da GTP, questo promuove la dissociazione in GTP-Gα e Gβ/γ.
Le subunità Gβ/γ mostrano delle attività stimolatorie e inibitorie sull’adenilato
ciclasi, un enzima fondamentale per la formazione del segnalatore AMP-ciclico.
GTP-Gα lega adenilato ciclasi e catalizza la conversione di ATP in cAMP e
pirofosfato, inducendo un segnale c-AMP dipendente.
Le proteine G eterotrimeriche regolano effettori come gli enzimi che
producono messaggeri secondari e canali ionici che controllano flussi ionici
attraverso le membrane.
In seguito, GTP-Gα viene convertita in GDP-Gα, si dissocia dall’adenilato ciclasi e
si riassocia con Gβ/γ.
Ci sono 20 isoforme di α, 5 isoforme di β e 12 di γ, quindi possono esserci
diverse associazioni eterotrimeriche a seconda dell’isoforma.
Possono esserci delle mutazioni nei codoni 201 e 227 di Gsα o 175 e 205 di G2α
che si associano con adenocarcinomi endocrini.
Qui, si può fare un’associazione con la tossina del colera perché lega recettore e
attiva la proteina G responsabile della risposta patologica. Successivamente, per
mezzo dell’adenilato ciclasi, viene attivata c-AMP che altera (attraverso la proteina
chinaci C) flussi ionici a livello intestinale. Questo
è alla base della perdita osmotica dei fluidi dell’epitelio che è caratteristico della
diarrea associata con la patologia Colera
CLASSE 5: SERINA/TREONINA-CHINASI CITOPLASMATICHE

In questa famiglia sono incluse le proteine RAF (le abbiamo già viste in relazione
alle proteine G perché fungono da substrato per Ras).
• c-Raf (cromosoma 3): è l’omologo di v-raf. È coinvolto nel tumore delle
parotidi tramite traslocazione (3;8), nel carcinoma dello
stomaco e nel glioblastoma.
Aumentano la protezione
contro l’apoptosi tramite bd2
(inibitore delle vie apoptotiche
intrinseche
• c-mos (cromosoma 8): è
l’omologo del v-mos del virus
Moloney della leucemia delle
scimmie
• c-pim (cromosoma 6): è
implicato nelle leucemie murine
ed umane. È attivato dalla sovra
espressione senza traslocazione
e amplificazione genica

CLASSE 6: REGOLATORI CITOPLASMATICI


• Crk (cromosoma 17): è l’omologo del v-
crk nel virus del sarcoma aviario CT10.
L’attivazione di crk è dovuta alla sovra
espressione in seguito alla trasduzione
virale. Crk contiene domini SH3 e SH2 che
legano residui fosforilati nell’aminoacido
tirosina o ricchi di proline.
Crk porta substrati ai recettori
tirosina-chinasi amplificando i segnali
CLASSE 7: FATTORI TRASCRIZIONALI
Numerosi oncogeni sono stati identificati come fattori trascrizionali che hanno come
meccanismo
di azione quello di regolare la trascrizione
genica.

ONCOGENI MYC: attivano geni che


promuovono la proliferazione
cellulare e la progressione
tumorale
• C-myc (cromosoma 8): è
l’omologo di v-myc. Viene
attivato nel linfoma di Burkitt e
nella leucemia linfoide acuta in
seguito ad amplificazioni o a
traslocazioni geniche (8;14 o
8;22)
• C-Lmyc (cromosoma 1): è
attivato nel carcinoma
polmonare in seguito a
mutazioni o riorganizzazioni (?)
• C-N-myc (cromosoma 2): è
attivato dall’amplificazione
denica di tipo HRS o DN nel
neuroblastoma
• cJUN/AP1: è l’omologo di v-jun (virus
del sarcoma avaria). Questa famiglia di fattori trascrizionali è composta da c.Jun,
junB e junD, formano omodimeri o eterodimeri con la famiglia fos, il loro
compito è attvare la trascrizione genica.
Mentre i complessi AP1 regolano la risposta cellulare a diversi stimoli
proliferativi e sono pro-infiammatorie.
• c-fos: l’omologo è v-fos (virus dell’osteosarcoma murino Finkel-Biskis-
Jinkins). Fos p un componente del complesso trascrizionale AP-1 (Jun/fos)

Un altro fattore trascrizionale è C-rel, conosciuto già da diversi anni, che fa


parte del nucleofactor k binding. I membri della famiglia C-rel includono C-rel,
RelA e RelB (omologhi di v-rel, virus della reticoloendoteliosi T della leucemia
del Pollo) che eterodimerizzano con la proteina p50 formando il complesso
NF-kB (nucleofactor k binding), un fattore trascrizionale fondamentale per
apportare un cambiamento nell’espressione proteica pro sopravvivenza e pro
infiammatoria. Il complesso NF-kB, tra l’altro è sottoposto ad inattivazione
citosolica dall’inibitore I-kb (inibitore k binding). L’oncogene bcl2 promuove la
degradazione di I-kB facilitando la trascrizione NF-kB dipendente, quindi NF-
kB, una volta che viene attivato in sedi oncogeniche, svolge un ruolo
fondamentale nell’infiammazione associata al tumore e anche nella
sopravvivenza delle cellule tumorali perché induce l’espressione di geni di
resistenza che includono resistenza a morti programmate.
Ogni tanto gli oncogeni sono formati attraverso nuove fusioni che acquisiscono
attività oncogeniche anche nel campo trascrizonale e PML-RARα ad esempio è un
oncogene del genere della Leucemia Promielocitica Acuta (AML). Il 5% dei casi
tumorali risultano dall’oncogene di fusione PML-RARα dovuto alla traslocazione tra il
cromosoma 15 e 17 che silenzia i geni target per i recettori per l’acido retinoico
RARα bloccando il differenziamento acido retinoico-dipendente. Allora durante la
proliferazione e il differenziamento di linfociti, l’acido retinoico viene utilizzato da
fonti di diatario(??) e anche da fonti del metabolismo allo scopo di facilitare il
differenziamento dei precursori linfoidi nei linfociti. Quindi è fondamentale e se non
viene effettuato vengono bloccati nel differenziamento. Qui abbiamo la fusione che
ha bisogno di una quantità enorme di acido retinoico molto di più di che ha bisogno
normali recettori per promuovere il differenziamento. Quindi le cellule anche con
una normale quantità di acido retinoico presente, non riescono a differenziarsi e
formano quindi un tumore bloccato in uno stato precoce di differenziamento. Una
terapia per questo è l’utilizzo dell’acido retinoico ad alte concentrazioni che supera
questo blocco e in determinati individui va a facilitare il differenziamento, quindi in
questo contesto c’è una terapia dell’acido retinoico a alte concentrazioni. Però in
determinate circostanze questo non funziona perché il PML-RARα muta e non è in
grado di legare l’acido retinoico e facilitare il differenziamento. Quindi in condizioni
normali, quando PML-RARα è un normale recettore per l’acido retinoico, lega acido
retinoico, c’è una sostituzione di co-repressori con co-attivatori che attivano la
trascrizione permettendo il differenziamento. Nelle condizioni dove vi è un prodotto
nuovo fusioni oncogene PML-RARα il rilascio di co-repressori può essere effettuato
però solo in concentrazioni di acido retinoico molto più alto rispetto al normale
recettore promuovendo il differenziamento in senso terapeutico e quindi possono
essere curati una vasta gamma di pazienti con terapie del genere però le mutazioni
si associano a resistenza alla terapia quindi quando è mutato c’è un problema e non
vengono differenziati. Inoltre questi recettori nuovo chimera acquisisce una nuova
funzione e questa è la cosa interessante perché acquisisce una nuova funzione
insieme ad altri fattori trascrizionali da indurre repressione di un gene non sensibile
ad attivazioni nel contesto di acido retinoico. Infatti attiva i promotori di geni
inibitori del differenziamento ID1 e ID2. Quindi mentre sta bloccando il
differenziamento, è attivo a promuovere l’espressione di geni che impediscono il
differenziamento per forma mutata, questi in maniera dipendente all’acido
retinoico. Questi perché interagiscono con fattori trascrizionali che normalmente
non interagiscono con i normali recettori per l’acido retinoico NFY e Sp1 che sono
due fattori trascrizionali che normalmente non hanno niente a che fare con i
recettori di acido retinoico e questi interagiscono con la forma mutata di PML-RARα
in maniera acido retinoico dipendente rappresentando un guadagno di funzionalità
rendendo geni non normalmente regolati dall’acido retinoico, come NFY e SP1
sensibili ad acido retinoico nel contesto chimera PML-RARα. Questo insieme fa si
che c’è una forte espressione di geni che impediscono il differenziamento e
addirittura didefferenziano le cellule ulteriormente rendendole più aggressive.
Questo illustra la complessità di queste manifestazioni. Ma anche il fatto che si può
superare il problema quando non viene mutato il nuovo chimera, spiega la
resistenza mano a mano che gli inibitori impediscono la capacità di questo nuovo
chimera oncogenica nel suo contesto di aver acquisito un funzionamento in più:
quello di attivare l’espressione di inibitori di differenziamento.
Per quanto riguarda gli oncogeni non classificati possiamo parlare MCF2/dbl, bcl2 il
quale è molto importante a livello mitocondriale perché rappresenta una proteina in
grado di bloccare l’apoptosi programmata attraverso la via intrinseca, bloccando la
capacità di polimerizzazione di pax(??) che perfora la membrana mitocondriale.
MCF2/dbl è un GEF, quindi ha a che fare con le G-proteine che modulano le attività
del GTPase Rho identificato come un gene trasformante derivato dalle cellule del
carcinoma della mammella e del linfoma delle cellule b e l’attivazione dei rari geni è
dovuto alla sostituzione delle regioni codificanti in cui, in seguito a riorganizzazioni
cromosomiche, si forma. pcl2 è localizzato nella membrana mitocondriale inibendo
l’apoptosi bac dipendente trovato nel linfoma follicolare e dovuto a
sovraespressione in seguito a traslocazione tra cromosomi 14 e 18, trasporto degli
oncogeni nella membrana mitocondriale aumentando l’apoptosi. Inoltre facilita la
degradazione di ikb promuovendo attività tarscrizionali nucleofactor k binding
dipendente che è fortemente pro infiammatorio e pro sopravvivenza.
Ci sono anche oncogeni provenienti dal ciclo cellulare che coinvolge cicline d, e, a, b
e le chinasi cicline dipendenti cdk 4, 6 ,2,1. Deve attraversare fasi g1, il checkpoint
g1s, fasi di sintesi s in g2, ecc. Nel checkpoint g1 s viene controllato la fosforilazione
della proteina retinoblastoma b e questo viene effettuato dalla fosforilazione che
dipende sulle cicline d che dipende dalle sue chinasi cicline dipendenti 4 e 6 che
fosforilano la proteina del retinoblastoma rb che di conseguenza rilascia un fattore
trascrizionale i2f il quale viene preso e rilasciato in maniera fosforilazione
dipendente ed è responsabile per le stimolazioni delle espressioni dei geni che
iniziano la fase s. Amplificazione, sovraespressione, attività aumentata del gene cdk4
rompe il checkpoint g1s complessando la ciclina d, facilitando iperfosforilazione
della proteina del retinoblastoma e un continuo rilascio del fattore trascrizionale i2f
che promuove il ciclo. Alternativamente la sovraespressione della ciclina d sregola il
checpoint g1s anche dovuto a riorganizzazioni geniche al carcinoma della paratiroide
anche attivate dall’amplificazioni cromosomiale o inserzione retrovirali anche quello
rendendo la proteina retinoblastoma iperfosforilato e non in grado di sintetizzare
fattori trascrizionali i2f che può funzionare a promuovere il ciclo. Quindi ci sono
tantissimi potenziali oncogeni, All’inizio del percorso si pensava di poter
indentificare uno e fare qualcosa di utile bloccandolo, ma ora ci si
è resi conto che ad ogni livello nella trasduzione del segnale ci sono molti potenziali
oncogeni che stanno aspettando di essere attivati. Quindi all’inizio del percorso di
trasformazione ce ne vogliono alcuni mischiati tra oncogeni e oncosoppressori
danneggiati, però sicuramente mentre i tumori aumentano, crescono e
progrediscono sempre più mutazioni avverranno, in particolare nel contesto
dell’inattivazione degli oncosoppressori particolarmente quelli dedicati ad
aggiustare al livello del DNA. Quindi è un problema di decifrare quali sono gli
oncogeni attivati, quali sono i tumori che dipendono maggiormente su un
determinato oncogene, quali sono i tumori che dipendono sulle loro progressioni da
diversi oncogeni e questo diventa rilevante a livello terapeutico. Ovviamente la
ricerca adesso è andata oltre e abbiamo siti che si dedicano a tutti gli strati come il
sito cell k cam(?) , signal pathway center dove si può identificare quali sono i
pathways o inibitori che sono già disponibili per interrogare determinati pathways
oncogenici allo scopo di selezionare terapie e lì si trovano tutti i pathways conosciuti
e le loro associazioni con determinati funzioni epigenetiche, angiogeniche, apoptosi
ecc. Quindi ora ci sono banche dati dedicate a
questi pathways e quali sono gli inibitori già sviluppati per scopo terapeutico o della
ricerca. Questo è il mondo degli oncogeni, di autonomia di crescita.

Acquisire sensibilità a segnali inibitori e di crescita


Le due forme di danno per formare i tumori sono danni derivanti attivando oncogeni
che promuovono la proliferazione, i geni acquisiscono la capacità di crescita
autonomo però allo stesso modo c’è la necessità di bloccare i segnali che inibiscono
la crescita per rendere possibile una vera trasformazione perché c’è un mondo di
soppressori che si dedicano a sorvegliare le cellule con comportamenti aberranti con
lo scopo di bloccare il ciclo e renderli incapaci di proliferare. Il ciclo cellulare è una
serie di eventi fortemente regolati all’interno di una cellula che risulta in una
suddivisione in due cellule figlie e un’accurata distribuzione del materiale genetico. Il
DNA all’interno delle cellule deve duplicarsi per essere diviso ugualmente tra le due
cellule figlie. Le proteine innescano eventi nel ciclo cellulare e guidano la cellula
attraverso i punti di controllo che si trovano tra ogni stadio. Questi punti di controllo
sono importanti perché agiscono come valvole di sicurezza, assicurando che una
cellula aberrante con DNA danneggiato non si divide ma viene immediatamente
riparata o spazzata via e distrutta attraverso i meccanismi di morti programmate.
Riassumendo il ciclo cellulare è diviso in diverse fasi:
• Gap1(G1) c’è la fase G1 in cui la cellula cresce attivamente e prepara i
componenti necessari per la sintesi del DNA e del centrosoma. Durante e alla
fine di questa fase, la cellula osserva il suo microambiente circostante per
segnali di stop, quindi ci sono meccanismi qui che possono bloccare il ciclo e
questi rappresentano il punto di controllo G1/S.
• Sintesi (S) Mentre la fase S rappresenta la fase di sintesi dove il DNA viene
replicato e se è danneggiato viene bloccato dal punto di controllo G1/S.
• Gap 2 (G2) a questo punto è fondamentale per riconoscere qualsiasi DNA
danneggiato prima di procedere con la divisione cellulare. Se viene rivelato un
danno al DNA la divisione è bloccata al punto di controllo G2/M e non
procederà alla quarta ed ultima tappa del ciclo cellulare.
(quindi il punto di controllo G1/S assicura che il templato primario del DNA non è
danneggiata mentre il punto di controllo G2/M assicura che il nuovo DNA replicato è
privo di errori prima di procedere con la divisione; quindi due punti critici che
possono bloccare il ciclo cellulare)
• Mitosi(M) à questa fase rappresenta il culmine del ciclo cellulare. La crescita si
ferma e la cellula si divide in due cellule figlie uguali attraverso la citochinesi.
• Alcune cellule entrano in uno stadio G0, noto come quiescenza- considerato
un luogo di riposo. Le cellule in G0 possono non proliferano e non si
preparano a dividersi, sono ancora vive e metabolizzano attivamente.
• Le cellule in G0 possono rientrare nel ciclo cellulare con segnali appropriati dal
microambiente. Alcune usciranno permanentemente dal ciclo spostandosi in
uno stato post-mitotico, maturo e terminalmente differenziate
Quindi le cellule hanno tre opzioni: continuare a crescere, interrompere
temporaneamente il ciclo in G0 o uscire definitivamente dal ciclo post-mitotico in
condizioni normali.
Le due classi di proteine che controllano il ciclo cellulare sono le cicline e le chinasi
cicline dipendenti (CDK) non possono lavorare uno senza l’altra. Le CDK sono attive
quando sono presenti le loro cicline specifiche “partner”; è per questo che sono
conosciute come cicline chinasi-dipendenti.
Ogni fase del ciclo richiede un complesso specifico “ciclina/CDK” per passare alla
fase successiva. Quando una ciclina si attiva, il suo CDK fosforila le proteine chiave
necessarie per procedere alla fase successiva, assicurando che le cellule crescono e
si dividono quando devono.
Le proteine di natura anti-proliferazione inibiscono la crescita, bloccando il ciclo nei
punti di controllo G1/S o G2/M, promuovendo G0 “la quiescenza”. Cellule tumorali
però eludono questi punti di controllo e continuano a dividersi.
A livello molecolare, quasi tutti i segnali dei fattori di crescita passano attraverso la
proteina Retinoblastoma (trattiene o rilascia il fattore trascrizionale (i2f) e la
proteina pRb è classificata come un onco soppressore, pRb fu il primo
oncosoppressore scoperto nel 1971 nel Retinoblastoma (tumore pediatrico della
retina).
Per quanto riguarda la funzione, può anche essere inibito in condizioni di
amplificazioni di cdk4.
Nelle cellule con DNA danneggiato, il punto di controllo G1/S si attiva bloccando il
passaggio a “S” attraverso la pRb, che funge da freno al G1/S.
In forma fosforilata pRb è inattiva ma diventa attiva quando non è fosforilata.
In forma non-fosforilata, lega ed inattiva il fattore di trascrizione E2F, che è
fondamentale per l’attivazione dei geni della replicazione, comprese le cicline e le
chinasi ciclina-dipendenti, specifiche per G1 e S.
Il complesso pRb/E2F agisce come un freno nel ciclo cellulare alla fase G1/S blocca la
produzione di cicline e CDK necessario per la fase S.
In seguito a stimoli di dividere, i CDK nello stadio G1 si accumulano e fosforilano la
pRb che rilascia l’E2F, consentendo il passaggio del ciclo cellulare aumentando la
trascrizione delle cicline e chinasi ciclina-dipendenti a valle. Quindi questo capiterà
solo quando il DNA viene aggiustato se è stato attivato il sistema.
La divisione si blocca senza il fattore trascrizionale E2F e la fosforilazione di pRb
controlla l’attività di E2F. Quindi l’aggiunta o la rimozione di una piccola molecola di
fosfato ad una singola proteina di pRb controlla se una cellula si divide o no.
Segnali di anti-proliferazione provenienti dal microambiente controllano
l’attivazione (cioè lo stato di fosforilazione) della proteina pRb (p.e. chinasi ciclina-
dipendenti).
Le cellule tumorali hanno trovato tanti modi per circumnavigare il pRb, liberando
l’E2F che promuove la divisione.
QUALI SONO I SEGNALI ANTI-PROLIFERAZIONE?
Probabilmente il migliore documentato è la molecola di segnalazione TGF-β
TGF-β ha molti meccanismi per prevenire la fosforilazione del retinoblastoma e
blocca l’avanzamento del ciclo.
Alcune cellule tumorali smettono di rispondere alla TGF-β esprimendo meno
recettori TGF-β, altri esprimono recettori mutati che non rispondono o bloccano la
segnalazione TGF-β dipendente.
In molti tumori, TGF-β induce una transizione metaplastica Epiteliale-Mesenchimale
(EMT), formando cellule più staminali ed aggressive.
Infine, la proteina pRb stessa possa essere persa attraverso la mutazione.
Alcune onco-proteine bloccano la pRb proveniente dal Papilloma virus (HPV)
proteina E7 proveniente dai ceppi che inducono i tumori alla cervice legano ed
inattivano la pRb.
Il risultato finale è che i segnali di anti-proliferazione, attraverso la proteina pRb,
sono interrotte nella maggiorità dei tumori, che consente una divisione cellulare
persistente.
Gli oncosoppressori sono stati identificati attraverso l’utilizzo delle cellule NIH 3T3
come un modello di trasformazione oncogenica perché se queste cellule fossero
state veramente normali avrebbero bloccato la crescita abnorme delle cellule sotto
un profilo sperimentale quando venivano introdotti oncogeni. Quindi la linea NIH
3T3 che non è tuberogenico (parola incomprensibile) in vivo sicuramente immortale
in vitro quindi parzialmente trasformato che è stato fortuito perché lì già son stati
inattivati alcuni oncosopressori importanti per regolare l’attività degli oncogeni e
infatti gli oncogeni sono stati identificati in un modello dove c’erano già
oncosoppressori inibiti.

Dipendenza oncogenica
Essendo necessario avere un danno a livello degli oncogeni e anche la perdita degli
oncosoppressori in termini di terapia è importante capire cosa fa l’oncogene attivato
nel contesto del genoma entro il quale è stato attivato. Infatti è stato introdotto il
concetto che gli oncogeni possono dare dipendenza o anche un meccanismo
chiamato non dipendenza, quindi quando sono attivati gli oncogeni la dipendenza è
stata caratterizzata da Bernard Weisteiner nel 2006 come effetto che alcuni tumori
dipendono da un singolo oncogene o via oncogenica (mostrato nella capacità
terapeutica di inibire molto i tumori guidati dalla fusione di Trk, ma è stato anche
osservato in altri contesti dove oncogeni come Myc e Ras sono stati attivati modelli
in vivo e in vitro) quindi l’identificazione a inibizione di oncogeni che sono guidatori
o vie oncogeniche possono avere un successo nella clinica, quindi identificando la
strada se è importante e bloccandolo può avere un effetto drammatico come è stato
visualizzato con (parola incomprensibile) e altri farmaci in altre sedi in altri tumori
come leucemia cronica mielogenica con Bcl-Abl , Erb2 nel carcinoma alla mammella
per il quale ci sono inibitori specifici e Trk fusioni in una vasta gamma di tumori
solidi.
In questo contesto gli oncogeni possono riprogrammare delle cellule tumorali
causando una “geentic streamlining”, inattivando vie non richieste causando iper-
dipendenza su questo stato.
Possono diventare “sinteticamente letali” con la morte quando l’oncogene viene
inattivato per esempio l’inattivazione del EGRF-mutata che induce la morte nella
presenza della fosfatasi PTEN nel genoma in cui si trova il gene attivato.
Possono riprogrammare le cellule con segnali sia di sopravvivenza e di morti, con la
morte inducibile quando i segnali di pro-sopravvivenza decadono più velocemente
di quelli apoptotici.
NON DIPENDENZA ONCOGENICA
C’è però un’altra via però di non dipendenza oncogenica che è stato descritto con
l’attivazione oncogenica che causa cambiamenti secondari stressando le cellule che
rispondono attivando meccanismi di stress resistenza alla base dei quali riescono a
formare i tumori.
Le proteine coinvolte sono essenziali ma non direttamente coinvolti nella
proliferazione tumorale. Possono essere bersagliati causando la morte. Quindi
riconoscere i meccanismi è molto utile perché tali oncogeni inducono uno scudo di
resistenza che può aprire la porta ad ulteriori terapie di bloccare quei meccanismi di
resistenza. Per esempio i recettori per i fattori di crescita epiteliali EGFR è critico per
la patogenesi di gliobastloma e iper-attivazione di EGFR produce ROS causando
danno al DNA. Le cellule tumorali attivano e selezionano meccanismi di riparo del
DNA che promuovano la sopravvivenza invece di uccidere la cellula. È stato trovato
che l’inibizione dei meccanismi di riparo del DNA promuove la morte delle cellule
offrendo la possibilità di una terapia alternativa bloccando i meccanismi di riparo in
quel contesto. Quindi la non-dipendenza oncogenica offre uno spettro più largo di
opzioni terapeutici quando i meccanismi di stress coinvolti nella sopravvivenza
riescono ad essere identificati.
Ci sono anche complicazioni di oncogeni che possono avere entrambi i meccanismi
però si deve veder se vengono identificati i meccanismi attraverso i quali gli
oncogeni inducono una non-dipendenza e ciò potrebbe aprire una porta terapeutico
attraverso il blocco del meccanismo di stress attivato in quel conteso. Quindi gli
adattamenti allo stress sono ben studiati e possono essere inattivati promuovendo
le cellule tumorali.
Patologia molecolare 2 12/11/2020

Scoperta degli oncosoppressori. Gli oncosoppressori sono gli inibitori della genesi del
tumore. Nella lezione precedente abbiamo parlato un po’ dei cambiamenti richiesti per
bloccare la segnalazione quindi la proliferazione (bloccare il ciclo cellulare) bloccando
l’azione della proteina del retinoblastoma. Comunque, l’inizio della caratterizzazione
degli oncosoppressori avvenne un po’ dopo la scoperta degli oncogeni, dovuta anche al
fortuito utilizzo di modelli che già si presentavano con alcuni oncosoppressori
danneggiati. In particolare, le cellule NH3T3 utilizzate per identificare oncogeni in vitro,
attraverso l’induzione della crescita atipica, già presentavano danno a livello del DNA
che le rendeva immortali in vitro. Normalmente, in cellule che non sono immortali in
vitro, la presenza degli oncosoppressori in teoria è sufficiente a bloccare la
proliferazione dovuta ad una attivazione oncogenica perché le cellule con un corredo
completo di oncosoppressori possono riconoscere il danno o lo stress a livello delle
cellule attivando geni oncosoppressori che hanno come scopo quello di bloccare la
replicazione delle cellule, limitando così la possibilità che esse vadano a dividersi e
passino il danno alle cellule figlie.
È stato visto che la crescita di cellule murine tumorali in animali singenici veniva
soppressa se le cellule maligne venivano fuse con le cellule normali, suggerendo quindi
che il materiale nelle cellule normali se introdotto in cellule tumorali può sopprimere la
loro capacità di generare il tumore. Inoltre, è stato anche osservato che i fenotipi
maligni di cellule in coltura provenienti da tumori ogni tanto venivano soppressi dopo
lunghi periodi di propagazione e la loro ricomparsa avveniva in seguito alla perdita di
cromosomi. In seguito, ricercatori come Stanbridge si dedicarono all’identificazione dei
cromosomi in grado di sopprimere i fenotipi neoplastici delle linee tumorali.
In basso vediamo elencati alcuni dei cromosomi che sono stati separati e utilizzati
attraverso transfezioni per cambiare il fenotipo maligno di alcune linee tumorali. Come
si vede, effetti soppressivi sono stati identificati in associazione con cromosomi 11 nelle
linee tumorali provenienti dal tumore della cervice uterina (HeLa). Invece altri
cromsomi non avevano alcun effetto. Insomma questo ha dimostrato che determinati
cromosomi contengono materiale genetico in grado di sopprimere il fenotipo
neoplastico in determinate linee.
Teoria “Two Hit”. Un grande passo in avanti nel campo degli oncosoppressori fu la
messa a punto della Teoria dei 2 colpi da parte di Alfred Knudson negli anni ‘70, sulla
base della quale lui ha creato un saggio per evidenziare loci genetici che
potenzialmente contenevano oncosoppressori.
Knudson ipotizzò che fossero necessarie due mutazioni genetiche per formare i tumori,
ed ha evidenziato il secondo tipo di mutazione come un danno recessivo al DNA che
apriva la porta alla trasformazione. Un danno definito recessivo perché entrambi gli
alleli devono essere coinvolti per eliminare completamente la capacità della cellula di
generare la proteina oncosoppressore (la mutazione dominante invece dipende dal
cambiamento di un singolo allele ed è quella che colpisce ed attiva gli oncogeni).
Insomma, egli ipotizzò che ci sono geni la cui funzione deve essere abrogata per aprire
la porta ad una proliferazione oncogene dipendente e questi geni li chiamò
oncosoppressori. Questi contrastano l’oncogene e se funzionano bene riconoscono il
danno oncogenico e lo stress promosso nelle cellule e va a bloccare il ciclo cellulare
rendendo impossibile la trasmissione del danno oncogenico alla progenie. I due “colpi”
subiti dagli alleli dell’oncosoppressore sono:
• 1°colpo-mutazione in una copia dell’oncosoppressore che non promuove la
trasformazione (eterozigosi)
• 2°colpo-elimina l’altro allele dell’oncosoppressore (avviene tramite
delezioni,ricombinazioni, mutazioni). A queusto punto la capacità funzionale è
abrogata e c’è la promozione della trasformazione.
Per confermare questa ipotesi Knudson studiò tumori ereditari, familiari, dei quali
individuò gli oncosoppressori grazie ad un saggio LOH (Loss of Heterozygosity; perdita
dell’eterozigosi). Usando marcatori di eterozigosi lui paragonava le cellule normali
provenienti dal sangue dell’individuo con le cellule tumorali dello stesso. La LOH nel
materiale genetico delle cellule tumorali indicava in quello delle cellule normali
potenziali loci oncosoppressori. Man mano che la ricerca andava avanti venivano
individuati i geni in tali loci e le loro funzioni come oncosoppressori. Analizzando nel
saggio LOH i loci danneggiati che predispongono alla formazione di tumori (in
condizioni, quindi, di familiarità) sono stati individuati importanti oncosoppressori come
pRb (proteina del retinoblastoma), p53 ed APC (adenomatous polyposis coli).

Danno recessivo a livello del DNA. È richiesto per inattivare gli oncosoppressori.
Ad esempio, se solo un allele è mutato nella pRb la produzione della proteina normale
continua grazie all’allele intatto. La proteina prodotta continuerà a legare E2F e potrà
così controllare il ciclo cellulare. Se entrambi gli alleli sono mutati non viene prodotta la
proteina funzionale, non c’è legame con E2F e la crescita continua incontrollata.
Mutazioni o delezioni degli oncosoppressori sono spesso trovate nelle linee germinali
associate a sindromi ereditarie che predispongono allo sviluppo di tumori specifici.
Mutazioni o delezioni negli stessi geni sono inoltre trovate nei tumori sporadici.
Attraverso di tumori ereditari e gli stessi tumori sporadici sono stati identificati tanti
oncosoppressori, alcuni dei quali troviamo elencati sotto.

Meccanismo d’azione degli oncosoppressori in generale. Gli oncosoppressori possono


funzionare come ricevitori e processori di segnali inibitori della crescita cellulare.
Quando una cellula perde una componente di questo net work di segnali la
conseguenza sarà una crescita incontrollata (neoplasia) perché non possono essere
controllati gli eventi indotti dall’oncogene. Non tutti gli oncosoppressori, però, sono
coinvolti nel processo d’inibizione della proliferazione: ci sono diversi meccanismi
attraverso il quale questi sopprimono i tumori. Alcuni oncosoppressori, infatti,
permettono interazioni cellula-cellula il che significa che in condizioni normali bloccano
la proliferazione delle cellule epiteliali, meccanismo che prende il nome di inibizione da
contatto (ricordiamoci che l’80% dei tumori solidi proviene da cellule epiteliali). Poi ci
sono meccanismi che coinvolgono interazioni cellula-matrice, anch’essi stabilizzano un
determinato comportamento in termini del differenziamento, motilità e capacità di
proliferare, che sono responsabili delle normali morfologie delle cellule nei tessuti. La
loro mutazioni porta a:
-alterazione della normale morfologia;
-perdita dei normali segnali intracellulari che dipendono da tali interazioni;
-perdita delle normali interazioni intercellulari che regolano, a livello epiteliale o meno,
la capacità di proliferare;
Queste sono tutte caratteristiche specifiche delle cellule tumorali.

Oncosoppressore pRb. Ne abbiamo parlato


nell’ultima lezione, oggi ci concentriamo su come
esso sia stata identificato.Il retinoblastoma è uno dei
tumori che fu ampiamente studiato da Knudson e il
suo gruppo di ricerca. Rappresenta un tumore raro,
familiare. Il locus della pRb è stato identificato
usufruendo del saggio LOH. Il gene codifica per una
proteina nucleare, pRb (110 kDa), che lega i fattori
trascrizionali E2F e DP(1-4) inibendo la trascrizione
dipendente da questi fattori. Nel ciclo cellulare, da 2 fino a 4 ore prima della fase S, pRb
diventa fosforilata e rilascia i fattori di trascrizione che procedono a promuovere
l’entrata in fase S. La perdita di pRb facilita l’inizio della fase S perché i fattori
trascrizionali non sono inibiti.

Clinical presentation of RB. È un tumore maligno


raro dell’occhio, dell’età pediatrica, delle cellule in
differenziamento che formano la retina e si esibisce
in tumori in famiglia una molteplicità di foci. È
sicuramente basato sulla perdita della proteina in
entrambi gli alleli e fa si che la cellularità sia
predisposta a trasformazione (perché manca un
segnale bloccante il ciclo cellulare). Inoltre, l’occhio è un organo attraverso il quale la
radiazione UV viene focalizzata sulla retina perciò c’è un aumentata capacità di
danneggiare il DNA che crea le condizioni ottimali per lo sviluppo di tumori che sono in
entrambi gli occhi quindi multifocale.

Ereditarietà del RB. Per quanto riguarda l’ereditarietà, il retinoblastoma è stato il


modello usato da Knudson per confermare le sua ipotesi dei “due colpi”, i due eventi
mutazionali necessari per iniziare il retinoblastoma. In seguito, è stato individuato che
le due mutazioni colpiscono entrambi i due alleli del gene del retinoblastoma. Il gene fu
identificato da un allievo di Knudson che aveva il compito di analizzare i cambiamenti a
livello del DNA nei loci danneggiati nell’allele rimasto intatto con i loci identificati a
livello del tumore.
Il

retinoblastoma ereditario familiare promuove la formazione di tumori bilaterali. La


prima mutazione ovviamente viene dal genitore con mutazione nel gene Rb o avviene
tramite una mutazione de novo germinale. Più frequentemente la linea paterna
trasporta le mutazioni de novo nel “germline”. Il retinoblastoma non ereditario avviene
in seguito alla mutazione di entrambi gli alleli del gene Rb, questo è un evento molto
raro. Ciò significa che la retina, anche se è esposta a radiazioni UV della luce, ha un
contenuto antiossidante che rende molto bassa l’incidenza dei tumori (si tratta quindi
di un tessuto altamente protetto contro eventi mutazionali).
Le mutazioni nel gene Rb ereditarie colpiscono tra l’altro tutte le cellule dell’ospite (però
nell’occhio c’è una predisposizione a causa dell’assorbimento delle radiazioni UV) ed un’
altra singola mutazione è sufficiente ad inattivare entrambi gli alleli del gene Rb
promuovendo il tumore, spiegando anche la multi focalità del tumore. L’eterozigosi
della condizione indica, nel contesto del retinoblastoma, un rischio del 50% di
trasmettere Rb mutato alla progenie. Nel Rb non ereditario la 1° mutazione è anche un
evento somatico e per formare il tumore sono richieste 2 mutazioni somatiche, i gameti
non contengono mutazioni quindi non c’è rischio di trasmettere alla progenie. La LOH si
riferisce alla perdita di un allele di un locus polimorfico dovuta a una mutazione
secondaria, normalmente una delezione grande.
Spettro delle mutazioni del gene Rb. Consistono in:
• delezioni citogenetiche
• delezioni grandi submicroscopiche
• mutazioni puntiformi: basi singole, delezioni
piccole
• inserzione o mutazioni complesse
• ipermetilizzazione del promotore
• ricombinazioni mitotiche (mutazioni
secondarie).
In figura vediamo uno spettro delle sostituzioni
identificate in una singola osservazione
confrontando DNA dal sangue e quello dai tumori.

Oncosoppressore APC. Un altro gene oncosoppressore trovato con il


saggio LOH (non da Knudson ma da altri ricercatori) è APC che una volta
danneggiato in entrambi gli alleli è responsabile della poliposi
adenomatosa familiare del colon.
Questa condizione promuove la formazione di adenomi a livello del
colon. È una malattia ereditaria autosomica dominante rara (1 su 8000)
caratterizzata dalla formazione di polipi nel colon (da 500 a 2500
adenomi). Quando il danno è presente, il 100% di questi adenomi, se
non vengono eliminati, possono progredire ad adenocarcinoma. Il gene
responsabile, isolato nel 1991, fu identificato sul cromosoma 5 (5p21) ed
è APC, apoliposis coli, che fra l’altro è un locus frequentemente deleto negli
adenocarcinomi del colon (sporadico). Quindi, mutazioni somatiche di APC sono anche
coinvolte nello sviluppo del cancro del colon retto. La regione coinvolta nello sviluppo di
questa neoplasia è di circa 100 Kb e la maggior parte delle mutazioni riscontrate
producono delezioni della regione C-terminale (produzione di una proteina tronca, che
è ciò che viene utilizzato nella diagnosi). Il gene APC è costituito da 15 esoni e codifica
per un mRNA di 8,5 Kb. La proteina codificata è molto grande, di 2844 aa, e non si sono,
per il momento, riscontrate omologie di sequenze con altri fattori. La proteina APC lega
la beta-catenina (proteina coinvolta nelle segnalazioni Wnt dipendenti) in forma
fosforilata regolando la sua traslocazione nucleare come un bloccante dell’effetto pro-
proliferazione della beta-catenina. L’eliminazione dell’APC porta a una sregolata
attivazione trascrizionale beta-catenina dipendente, come vedremo.

APC, Beta-catenina e Wnt. Wnt (wingless-related integration site, pronuncia del prof.
“wint”) è un gene, osservato in origine in drosophila wingless, fondamentale nello
sviluppo degli organismi. Si tratta di una famiglia di fattori di crescita, per i mammiferi
costituita da 19 diversi geni, che regolano lo sviluppo embrionale attraverso la
produzione di fattori di crescita Wnt che si legano al recettore “Frizzled” (anche questo
nome si riferisce ai drosophila in cui fu scoperto). Il pathway di segnalazione
Wnt/Frizzled è altamente conservato e di fondamentale importanza nello sviluppo
embrionale, in particolare del cuore. Wnt legandosi ai recettori Frizzled regola la
crescita cellulare, la motilità e la differenziazione durante lo sviluppo embrionale. La sua
importanza la rende una via di segnalazione che se non funziona correttamente gioca
un ruolo nel cancro. La beta-catenina è fondamentale nella regolazione della
segnalazione Wnt ed è regolata dalla degradazione.
In uno stato inattivo (senza Wnt) la beta-
catenina è legata e regolata da un grande
complesso proteico citosolico che contiene:
axina, casein kinase 1 (CK1), glycogen synthase
kinase (GSK3), APC, dishevelled (Dvl), beta-
TrCP (beta-transducin repeat containing cioè
un E3 ubiquitin ligasi). Questo è un complesso
di distruzione, in quanto, come vediamo in
figura, porta alla fosforilazione della beta-
catenina, alla sua ubiquitinazione da parte di
beta-TrCP e alla sua degradazione tramite
proteasoma. La beta-catenina viene così mantenuta a bassi livelli.

In uno stato attivo, ovvero quando Wnt


legano i recettori Frizzled, il risultato è
la fosforilazione del cofattore LRP
(lipoprotein receptor-related protein)
che a questo punto promuove la
traslocazione del complesso contenente
beta-catenina a livello della membrana.
Si ha così il legame tra Dvl e LRP. LRP ha
il compito di inattivare il complesso
limitando la capacità di fosforilare la beta-catenina che se non è fosforilata non può
reclutare beta-TrCP e non può essere quindi ubiquitinata e degradata. La beta-catenina
viene dissociata dal complesso di distruzione e si accumula nel citosol attraverso la sua
stabilizzazione.

Beta-catenina una volta che si accumula può traslocare nel nucleo perché contiene
sequenze nucleotraslocatorie. A quel punto interagisce con un fattore trascrizionale
TCF. Questo, in assenza di Wnt, si trova nel nucleo ed è mantenuto inattivo dal legame
con la proteina Groucho
(complesso inibitorio per il
legame al DNA). Il fattore TCF è
il vero protagonista nelle
segnalazioni Wnt dipendenti
perché quando si sgancia da
Groucho si lega alla beta-
catenina e facilita la
trascrizione di geni bersaglio di
Wnt. La beta-catenina entra nel nucleo, rimuove Groucho dal TCF, lega il TCF e co-attiva
la trascrizione mediata da TCF dei geni target di Wnt, portando alla crescita, alla
formazione dei microtubuli e alla migrazione. APC quando è mutato (è sufficiente la
perdita del dominio carbossilico) non può prendere parte al complesso di
degradazione, stabilizzando la beta-catenina, e di conseguenza c’è l’inibizione
dell’ubiquitinazione della beta-catenina anche in assenza di Wnt. Aumenta così il livello
di beta-catenina e si attiva la trascrizione dei geni bersaglio di Wnt senza la necessità di
Wnt. Quindi, riassumendo, la perdita dell’oncosoppressore ACP promuove un evento
proliferativo e , ad esempio attraverso c-myc, la progressione tumorale.

APC è un oncosoppressore multifunzionale. Lega e regola l’attività della beta-catenina e


sopprime il segnale beta-catenina dipendente. Sopprime il segnale Wnt dipendente. Fra
l’altro localizza il centrosoma, cinetocore e spindle regolando la formazione del fuso
mitotico e la segregazione cromosomica. Regola l’attività della beta-catenina al
centrosoma, è importante nella duplicazione del centrosoma (è stato osservato che la
mancanza/riduzione, anche in eterozigosi, di APC può promuovere l’amplificazione
centrosomica che a sua volta promuove un’aggregazione cromosomica sbagliata che è
uno dei meccanismi fondamentali per la trasformazione in tumori maligni).

Oncosoppressore p53. La proteina p53 è un oncosoppressore, anch’essa identificata


come tale tramite LOH. Il gene si trova sul braccio corto del cromosoma 17 (17p13.1).
Fu scoperta 20 anni fa come una proteina di 50 kDa complessata con il T-antigene del
poliomavirus simian virus SV40 (Ricordiamoci che: l’SV40 fu un virus contaminante del
vaccino sabin del poliomavirus, che fu scoperto in seguito essere un oncovirus; gli
oncogeni nel suo genoma portano alla produzione delle oncoproteine “piccolo e grande
T antigene” che rappresentano le oncoproteine che promuovono la trasfromaziome da
parte del simian virus SV40). Si scoprì che uno dei meccanismi attraverso il quale SV40
esibisce la sua attività oncogenica è il legame tra il suo T-antigene e p53, bloccando
l’attività di quest’ultima. In realtà, inizialmente p53 fu considerato come un oncogene (e
tutt’oggi ci sono evidenze che p53 possa agire come oncogene, sebbene sia
principalmente oncosoppressore) perché fu identificato con una mutazione in
eterozigosi che inibiva il comportamento wild type dell’oncosoppressore. In seguito,
usando il saggio LOH, è stato scoperto che p53 in forma non mutata (wild type) è un
oncosoppressore in grado di sopprimere la trasformazione dei fibroblasti e anche la
crescita tumorale in vivo. Nel 1990 fu trovato p53 mutato nella sindrome di Li
Fraumeni, sindrome ereditaria descritta dai medici americani Li e Fraumeni nel 1969,
caratterizzata da un aumentato rischio (di 25 volte maggiore) di sviluppare uno o più
tumori. In seguito, sono stati sviluppati topi p53 knockout e si è osservato che questi
erano altamente sensibili allo sviluppo di tumori (tumori che cominciano molto
precocemente nello sviluppo, ragion per cui per questi topi avere tutti gli alleli mutati in
omozigosi è letale). P53 è stato poi nominato “l’oncosoppressore maggiore”.
Quando il Dna è irreversibilmente danneggiato avviene un cambiamento a livello di p53
(mdm2, inibitore di p53, si dissocia da p53) che si attiva e promuove l’arresto del ciclo
cellulare e l’induzione, nel caso il DNA non possa essere aggiustato, dell’apoptosi.
Come? La rilevazione del danno al DNA (per esempio radiazioni, strappo, inserzione,
amplificazione quindi le terminazioni “nude” del DNA strappato, la mancanza di
complementarietà dovuta a un’inserzione ecc.) è un meccanismo complesso attraverso
il quale il danno viene ad essere identificato da proteine già presenti a livello nucleare
che formano parte dei complessi che 1. assicurano che il DNA non venga ulteriormente
degradato, proteggendo sequenze importanti dalle DNAasi 2. facilitano l’aggiustamento
del DNA . Quei complessi vengono attivati attraverso una segnalazione che porta alla
loro fosforilazione. Un’attività chinasica va a fosforilare p53 che normalmente è
defosforilata , ubiquitinata e degradata. Una volta attivata, p53 ha principalmente
un’attività di fattore trascrizionale e vengono indotti geni che bloccano il ciclo cellulare e
geni per il riparo del danno. Se il danno non può essere aggiustato (per cui continuano
ad essere presenti stimoli che portano all’accumulo di p53) si hanno una serie di
avvenimenti che portano all’apoptosi. Se invece il DNA viene riparato il segnale viene a
mancare e p53 viene inattivato e degradato. Mutazioni di p53 che colpiscono domini
fondamentali per il suo funzionamento o delezioni di p53 portano alla replicazione della
cellula anche se il DNA è danneggiato, accumulando sempre più mutazioni (che è uno
stimolo per la cancerogenesi).
Quali sono le chinasi (fosforilano proteine) responsabili
dell’attivazione di p53?
• ATM chinasi (ataxia-telangiectasia mutated) è
responsabile per la risposta immediata e veloce al
danno alla doppia elica del DNA.
• ATR chinasi (ataxia-telangiectasia-Rad3-related) è
essenziale per il mantenimento dell’integrità
genomica, è un attivatore della risposta cellulare al
danno al DNA.
Quindi i complessi che si formano attorno al DNA danneggiato attivano queste chinasi
che passano il segnale attivando p53.

Aggiungiamo che : il danno può esser dato da UVA, radiazioni, agenti genotossici,
forcelle di replicazione bloccate. Questo fa formare complessi importanti per il riparo,
meccanismo chiamato NHEJ (non homologous end joining). I complessi che si formano
attivano chinasi come CHK2 e CHK1, anch’esse responsabili dell’inattivazione di membri
della famiglia di oncoproteine src attraverso il dominio 527 tyr che blocca l’attività .
Quindi non solo abbiamo l’attivazione di p53 ma anche il blocco dell’attivazione di
proteine che promuovono la proliferazione (come quelle della famiglia src).
E’ un fattore transcrizionale il p53 in essenza, che promuove l’arresto del ciclo cellulare
dell’apoptosi. Wt-p53 lega in condizioni normali non danneggiato, una proteina
chiamata Mdm2 (mouse double minute 2)minibendo l’attivita trascrizionale e
promuovendo la degradazione di p53 attraverso la ubitiquinizazione. In seguito al
danno al DNA, il p53 diventa fosforilato, dissoce da mdm2 e poi promuove l’arresto
della proliferazione e l’apoptosi. Avviene la perdita’ di p53, impedisce l’apoptosi e
favorisce la proliferazione abnorme. E’ quindi l’accumulo di mutazioni. Alcuni dei geni
attivati da p53 nel suo comportamento trascrizionale,includono geni dal DNA riparo:
GADD45, poi l’arresto del ciclo: p21WAF1, regolazione di p53: mdm2, e infine geni
coinvolti nell’apoptosi: Bax, IGF-BP3, Fas, DR5. ( gli ultimi due sono protagonisti nella via
estrinseca dell’apoptosi. Mentre Bax nella via intrinseca, quello che viene
prolimerizzato allo scopo di perforare la membrana mitocondriale.)

Abbiamo altre vie attraverso cui puo funzionare p53: peptdyl-prolyl isomerase. Puo
essere utilizzato ad acquisire la sua funzionalita’. P53 e’ un po strano come un fattore
trascrizionale, perche e’ fra i pochi che agisce come un tetramero. E’ un importante
comportamento che aiuta a spiegare dei momenti in cui il p53 puo mancare delle
funzionalita’ anche se uno dei due alleli, e’ mutato. Questo dipende dalla formazione
dei tetrameri. Ovviamente se un allele e’ danneggiato non nel dominio responsabile per
la tetramerizzazione, uno puo formare tetrameri contenenti proteine wild type e
proteine mutati di mancato funzionalita’. E questo per tanto tempo non e’ stato
realizzato, pero sono state sempre queste possibilita’ che possono mancare di
funionalita’ con un singolo mutazione di un allele. E infatti questo e’ uno delle
condizioni attraverso quali un singolo mutazione in un allele puo anche compromettere
l’attivazione.

Non stranamente la maggior parte delle mutazioni che colpiscono la p53, che sono
riscontrati tumori solidi? coinvolgono il core dominio, il quale e’ responsabile per il
legame al DNA. Questo e’ un dominio neccessario per la trascrizione genica.

Poi ci stanno i virus che mostrano meccanismi inibitori dell’attivita’ di p53. Abbiamo gia
parlato di papilloma virus, la proteina del quale lega e blocca l’attivita’ di p53. Anche le
proteine che provengono dal Epatite C bloccano l’attivita’ di p53. Riescono a degradare
la p53 rendendola inattiva.

P53 mutato come un oncogene:


· Il discorso di p53 e’ complicato, perche ci sono stati tanti dibattiti. Ci stavano
alcune persone che credevano che la p53 oltre ad essere oncosoppressore,
faceva il ruolo anche di un oncogene.

· Questo dibattito relativamente decente e’ stato confermato di tumori frequenti


esibiscono mutazioni particolari nel His175, His 273 e His273/Ser309.

· Questi mutazioni acquisiscono funzione oncogenica. Questi mutazioni rendono la


p5 in grado di legare un altro fattore di trascrizione NF-Y e reclutano l’acetil
trasferasi p300 a geni bersaglio di NF-Y con conseguente de-acetilazione
dell’istone.

· La Mutazione p53-NF-Y e p300 quindi formano un complesso in grado di


aumentare la trascrizione di geni, che non rispondono ai complessi wtp53/NF-Y,
mantenendo la proliferazione, aumentando la sopravvivenza e promuovendo la
sintesi del DNA.

Oncosoppressore p14ARF:

· Originalmente e’ stato chiamato MTS1

· E’ attivato da stimoli mitogeni mediati dagli oncogeni ma non dal danno al DNA o
da mitosi fisiologica.

· Quando viene attivato in una maniera oncogenica, il p14Arf antagonizza la


mdm2. Promuevendo la sua degradazione, stabilizzando e liberando p53 per la
sua attivita’ di oncosoppressore.

NF2 NEL FIBROMATOSI:

· E’ una rara malattia autosomica dominante

· Caratterizzata dallo sviluppo di schwanomi bilaterali e altri tumori del sistema


nervoso centrale.

· Il gene NF2 e’ stato isolato nel 1993, ed e’ localizzato sul braccio lungo del cr 22.

· Le mutazioni di NF2 sono state ritrovate in diversi tumori sporadici che


includono: melanomi e carcinomi della mammella.
· Il prodotto proteico di NF2 ha un alta omologia con proteine che hanno la
caratteristica di agire come strutture di connessione tra i componenti del
citoscheletro e proteine della membrana cellulare, suggerendo un ruolo nella
morfologia cellulare, nelle interazioni cellula-cellula ed interazione matrice-
cellula, con potenziali ruoli nella progressione tumorale.

Oncosoppressore Wt-1:

· Identificato nel tumore pediatrico famigliare (Wilms) del rene “Nefrobastoma” ed


anche in tumori sporadici: bilaterali o unilaterali.

· 3 loci genetiche. E’ localizzato sul braccio del cromosoma 11, posizione 11p13-15.
La delezione del 11p15 sembra di coinvolgere IGF-2 e C-Ha-ras

· Nella regione 11p13 in una delezione di c345 kb si trova il gene WT-1

· Il gene Wt-1 (50-60kb) e’ costituito di 10 esoni con mRNA di 3.0 kb

· La proteina Wt-1 contiene un dominio “ zinc finger” ed anche un dominio


“leucine zipper”. Suggerendo attivita’ trascrizionale formando dimeri con altre
proteine fornite con domini simili.

· Wt-1 promuove il differenziamento nei nefroblasti.

Oncosoppressore DCC (deleted in colon cancer):

· Identificato tramite LOH del braccio lungo del Cr 18 (regione: 18q21- 18qter) nel
carcinoma del colon

· Codifica una proteina di 190kDa localizzata sulla membrana cellulare.

· Membro di una superfamiglia delle immunoglobuline con omologia alla molecola


di adesione NCAM, considerato importante nel processo di metastasi.

E-CADERINA:

· Un importante oncosoppressore, e’ una molecola di adesione omoiotipica


caratterizzanti per le cellule epiteliali. Rappresenta uno dei maggior fonti di
tumore, 85% dei tumori sono di origine epiteliali, e sono altamente controllati
nella loro capacita’ di proliferare.
· E’ frequentemente mutato nella carcinoma gastrica ereditario. Viene anche
repressa dagli oncogeni cMET (codifica una tirosin chinasi recettoriale per
Hepatocyte growth factor HGF)

· Funziona in questo modo: E-caderina e’ fondamentale per l’inibizione della


proliferazione da contatto. Come una molecola di adesione, cellule omoiotipica,
cellule che espriono altre cellule. E quando le cellule diventano fitte,( quindi cicli
di applicazione epiteliale per riempire gli spazi, di rigenerare gli epiteli persi) le
cellule gradualmente interagiscono uno con l’altro, fino che le molecole di
adesione di e-caderina non sono ben legate uno con l’altro. Quando reagiscono
pienamente, vengono attivati meccanismi che inibiscono la proliferazione.
Quando sono ben legati, si lega la beta-catenina. Dopo tutti questi interazioni
viene attivato Tirosin fosfatasi che si chiama: PTP-LAR (che e’ tra i pochi anti-
oncogenic transmembranico). Questi PTP-LAR insieme a E-caderina quando
vengono legati, hanno il compito di defosforilare i recettori tirosin-chinasici
(presenti sulla superficie dell’epitelio). Quindi anche in presenza di fattori di
crescita, i recettori vengono inattivati.

Mutazione, delezione o sottoregolazione della Caderina E:

· Ovviamente applica questi meccanismi di inibizione della proliferazione e non


solo, ma anche del movimento. Quindi Caderina E mancante o mutata, non lega
beta-catenina. Di conseguenza non attiva PTP-LAR e quindi ce’ sempre piu
possibilita’ che le cellule continuano a replicarsi, attraverso l’attivazione di
recettori oncogenici e tirosin chinasici. E fra l’altro la mancanza di molecole che
interagiscono in una maniera adesiva, Risultano le cellule che promuovono la
dispersione delle cellule, quindi non necessariamente vogliono stare insieme,
non legano i recettori che sono mancati o danneggiati. Infatti questo sistema ci
da’ una risposta attraverso l’abbassamento di E-Caderina, di una fase che si
chiama la fase scatenante. E qui si rende conto dei effetti. Le cellule in condizioni
normali in cui funziona la E-Caderina, tendono di formare delle placche. Dove
solo le cellule ai confini sono in mitosi. Il resto delle cellule che stanno al centro,
esibiscono in inibizioni a contatto, dipendenti sulle interazioni fra caderine e
attivazioni di PTP-LAR e sequestrazioni della beta-catenina. Mentre qui, quando ci
sta una mutazione oppure un abbassamento di espressione di e-caderina, le
cellule epiteliali non vogliono essere uno con l’altro, quindi non hanno
meccanismi molecolari di interazione fra di loro. E quindi scatenano. Infatti questi
si chiamano reazioni scatenanti, e alle basi del quale, le mutazioni e attivazioni di
cMET, mutazioni di e-caderine promuovono la diffusione delle cellule tumorali di
origine epiteliale. Questa fa parte della progressione metastatica.

Oncosoppressore Von Hippel Lindau (VHL):

· La sindrome famigliare responsabile per l’emangioblastoma, feocromocitoma,


tumori del pancreas e altri tumori benigni o maligni. Questi tumori sono associati
con la mutazione di LOH del gene VHL, localizzato nel cromosoma 3p25.5. Come
suggerito di Knudson, il ruolo come oncosoppressore di VHL si evidenzia con le
mutazioni di entrambi alleli nei tumori sporadici renali ed emangioblastomi
cerebrali. La mutazione p25L e’ trovato nei pazienti con feocromocitoma.

· La VHL e’ fondamentale perche regola l’induzione dei geni ipossia dipendenti,


che durante la formazione di tumori,anche in tessuti anossici (quindi senza
O2)rappresenta meccanismi fondamentali per sopravvivere durante episodi di
ipossia, ma anche di indurre risposte angiogenetiche. Quindi avere supplenze di
ossigeno attraverso formazioni neovascolari. Quindi si tratta di geni che
rispondono all’ipossia, sono geni di sopravvivenza e geni che inducono
neoangiogenesi, quindi vascolarizzazione del tessuto anossico. Durante
l’iperossia, il gene VHL wt lega proteine come: Elongin B e C, cullin, Rbx1 e
NEDD8 formando il complesso di E3 ubiquitin chinase chiamato: “VEC”, che e’
responsabile per la degradazione del fattore trascrizionale attivato dall’ipossia
HIF1 alfa (esiste pure quello beta). Il dominio alfa di VHL lega Elongin C nucleando
il complesso VEC, mentre il dominio beta agisce come un sito “Docking” per la
proteina HIF1alfa e HIF2 alfa. Questo e’ in condizioni di normossia, quando ce’ un
abbondanza di ossigeno, HIF1 alfa viene mandato ad essere degradato (e’ un po’
complicato, quindi lo discutera’ piu tardi). Le mutazioni nel VHL sono in grado di
promuovere tumorigenesis (esempio: CP mutazione). Colpiscono entrambi i due
domini promuovendo l’accumulo di HIF1 alfa e HIF2alfa, che rappresentano
fattori trascrizionali, che normalmente sono indotti in ambienti ipossici allo scopo
di protezione e di far crescere un nuovo sistema vascolare, quindi geni che
inducono una risposta in un ambiente ipossico, pero ovviamente quando ce’ una
mutazione anche in condizione di normossia. Quindi quando viene danneggiato, i
tumori che formano sono normalmente nel sistema vascolare (emangiblastome
ecc)

Altri meccanismi che si usano per inattivare i geni oncosoppressori, attraverso le loro
silenziamento, che viene indotto dalla metilazione di isole CpG da parte di enzimi come
Metiltrasferasi. I geni CpG sono frequentemente trovati nei promotori di geni sensibili e
ovviamente devono essere repressi quando vengono metilizzati, bloccando la
trascrizione. Perche hanno la capcita’ nella rna polimerasi ad interagire con i promotori
e quindi non possono essere trascritti quando sono ipermetalizzati. Allora abbiamo
come esempio i geni RASSF1A, VHL e TIMP-3 che vengono silenziati da CpG metilazione.
I siti di metilazione CpG sono concentrati vicino al promotore. La metilazione (5
metilcitidine) puo bloccare il reclutamento del complesso RNA Pol II e legami con fattori
trascrizionali come: AP-2, Myc, CREB, E2F, NF-kB o facilitare legami con le proteine
MeCP-2, MBD1-4 occupando siti trascrizionali.

Per quanto riguarda TIMP-3 (Tissue Inhibitor of Metalloproteinases-3) fa parte della


famiglia di TIMPs1-4, quindi ci stanno 4 membri. E’ responsabile per l’inattivazione di
MMP. Induce l’apoptosi promuovendo l’accumulo di un substrato pro-apoptotico in
seguito all’inibizione di una MMP, associato con la membrana cellulare. E’ trovato poi
inattivato tramite la metilazione del DNA nella neuroblastoma e nella carcinoma della
mamella.

Mentre RASSF1A (Ras associated domain containing protein 1A) stabilizza I microtubuli
e mantiene la stabilita’ genomica interagendo con il centrosoma. Modula i ciclo
cellulare al G1/S “checkpoint” regolando l’espressione delle cicline A2 e D1. Promuove
l’arresto mitotico in pro-metafase e l’apoptosi. Inibisce anche la motilita’ ed invasivita’
delle cellule tumorali.

Un altro oncosoppressore molto importante e’ Superossido dismutasi 2 (SOD-2), il


quale e’ predominante nei mitocondri. E’ importante nel de-tossificazione dell’ossigeno,
metabolizzando il superossido in perossido di idrogeno. Poi limita il danno ROS-
dipendente alle proteine, lipidi e DNA mitocondriale. SOD-2 e’ richiesto per la vita
aerobica. La perdita’ di SOD-2 si associa con la delezione di cromosoma 6 in tumori
diversi suggerendo attivita’ come tumor soppressore. Ha anche un ruolo importante
nella prevenzione dell’iniziazione tumorale come antiossidante.
Micro (mi) RNA, lin-4 e lin-7 sono originalmente scoperti nel nematode Caenorhabditis
elegans. I miRNA sono dei prodotti genici di RNA non codificanti a singola catena,
composti da 18-24 nucleotidi che legano bersagli di miRNA, regolando negativamente la
loro stabil ita’ e la traslazione proteica.

>50% dei geni per miRNA vengono posizionate in siti genomici associati a Neoplasie
maligne o vicino a siti fragili. Agiscono potenzialmente sia come oncogeni che onco-
sopressori regolando negativamente l’espressione di oncogeni o onco-soppressori. Una
centinaia di miRNA sono stati identificati oltre 90% dei quali sono conservati fra le
specie, suggerendo suscettibilita’ a piccoli cambiamenti e sottoposti ad una
straordinaria pressione di selezione.

Come si formano i micro RNA? Sono espressi nel nucleo attraverso RNA pol II come
trascritti lunghi primari di RNA (Pri-RNA).

Ovviamente ci stanno dei polimorfismi nei siti genici di legame per i miRNA e possono
alterare l’espressione genica. Es. mir24-mRNA polimorfismo si trova nel gene
diidrofolato riduttase. Promuove cosi la resistenza al metotraxato *(chemoterapeutico).
Qui abbiamo la prova che un singolo polimorfismo puo cambiare la sensitivita’ in
individui per il chemoterapeutico(tipo il metotraxato). I miRNA sono tra l’altro dei
regolatori dei geni “master”. Sono in grado di regolare il ciclo cellulare, la proliferazione
delle cellule, l’apoptosi, il differenziamento e lo sviluppo. Rappresenta quindi una
novita’ nel mondo della espressione genica. Al livello del ciclo cellulare il miRNA e’
indotto dal fattore trascrizionale E2F. in contrasto alle proteine indotte dal E2F che
stimolano il ciclo, mantengono i livelli dei regolatori del ciclo cellulare e bersagli di E2F
bassi (es. ciclina E). questi miRNA quindi regolano il ciclo cellulare.

Il miRNA nello sviluppo: praticamente l’utilizzo del pesce zebra si usa molto
ultimamente, nel campo della biologia e della ricerca di basi delle medicine. Questo
perche offre la possibilita’ di utilizzare un animale che puo essere esperimentato in
maniera bilogica velocemente. Praticamente, con l’enzima “DICER” mutata ed inattiva
(DICERMZ) non producono miRNA maturi e non si sviluppano normalmente. I miRNA
esogeni ripristinano lo sviluppo. miR-430 esogeno ripristina lo sviluppo del cervello nei
Zebrafish DICER MZ.

miRNA nel differenziamento: esempio miRna-223 e 424 nel differenziamento mieloide.


Praticamente le formazione dei granulociti (pmn) e monociti (MN) dipende dalle cellule
progenitrici comuni regolati dei fattori trascrizionali chimati C/EBP Alfa e PU1. Gli ultimi
due inducono l'espressione di mir-223 e mir-424 rispettivamente. Entrambi i miRNAs
inibiscono l'espressione del bersaglio trascrizionale NF1A. Poiché NF1A inibisce il
differenziamento dei PMN e MN, la sua inibizione miRNA dipendente è importante per
la mielopoiesi.
Per quanto riguarda i cambiamenti in cancro , ci sono tanti. I miRNA si localizzano non
solo in siti fragili ma anche in siti frequentemente associati con tumori. Pero anche i
geni sono organizzati in clusters. Significa che diversi geni codificanti per miRNA trovano
regolato per un singolo promotorio, la traslocazione dei quali puo effetivamente
cambiare con le loro associazioni con tumori
Mirna sovra-espressione riduce l'espressione di bersagli oncogeni e oncosoppressori
mentre Mirna sotto-espressione in seguito alla delezione o mettilizazione del locus,
Mirna può aumentare l'espressione del bersaglio oncogeni e oncosoppressori.

Esempi di miRNA importanti nei progressioni tumorali includono il miRNA 145 *come
gene sopressore metastatico. Questo gene si localizza nel cromosoma 5 (5q32-33).
Rappresenta un sito fragile deleto in 11% dei carcinomi sporadici della mammella
suggerendo un meccanismo per la sottoregolazione di miRNA 145 in alcuni tumori. La
sua espressione viene indotta dal p53. L’espressione di miRNA 145 e’ bassa in numerosi
tumori. (es. tumori della mammella, colon, prostata, polmone, fegato, vescica, cellule B,
ovario e ipofisi).

Progressione tumorale: allora il miRNA-145 ha come uno dei suoi bersagli l’oncogene
Myc inibendo quindi non solo l’espressione di Myc ma anche l’espressione di geni Myc-
dipendenti (perche Myc e’ un fattore trascrizionale) coinvolti nella progressione
tumorale. MiRNA-145 inibisce l’angiogenesi abrogando la migrazione dei periciti,
inibendo l’espressione del fattore trascrizionale Fli-1. Inibisce anche l’espressione dei
geni metastatici come: MUC-1, MMP-11 e ADAM-17 coinvolti nel processo metastatico
dei tumori della mammella.
Anche i microRNA sono importanti nelle cellule tumorali staminali, rappresentano una
popolazione che mano mano viene sempre selezionato e esibiscono un
comportamento piu aggressivo nei tumori. Vengono selezionati in diversi ambienti e
attraverso diversi meccanismi. L’espressione di microRNA Hsa mir 371-373 sopprime la
differenziazione promuovendo un fenotipo staminale nelle cellule tumorali.
L’espressione del HERV-H, un RNA non-codificante, puo sequestrare miRNA pro-
differenziazione nelle cellule tumorali promuovendo la staminalita’. Quindi qui abbiamo
meccanismi di sequestrazione di miRNA, con rna lungo che non codifica, giocano ruoli
importanti sottratando i microRNA attraverso saturazioni legando a RNA in
abbondanza, con funzionalita’ normale, quindi promuovendo la staminalita’ .
Patologia Molecolare II Mackay (Lezione 19/11)
Sbobinatore: Piero Filopoulos
Revisore: Alice Marozzi
INTRODUZIONE
Nella lezione precedente è fatto un riferimento ad alcuni MiRNA che sono un nuovo concetto nella regolazione
dell’espressione genica. Attraverso geni specifici, vengono prodotte molecole di MiRNA, invece di proteina.
I Mi-RNA possono essere fondamentali nella regolazione della traduzione proteica, grazie alla loro capacità di
legare nucleotidi complementari nella regione 3’ non tradotta del filamento DNA. Più specificamente, queste
molecole hanno l’abilità di bloccare la capacità dei ribosomi di:
➢ leggere l’mRNA;
➢ tradurre l’mRNA in una proteina;
➢ indurre la degradazione del mRNA.
Mi-RNA-9 come un gene metastatico
• Il MiRNA-9 inibisce l’espressione dell’oncosoppressore E-Caderina. Passa la produzione di questi importanti
fattori di adesione di natura omeo-tipica, aumentando la capacità delle cellule tumorali di lasciare la sede
primitiva. Così, le cellule tumorali si attaccano alle cellule intorno, aumentando la motilità e l’invasività
cellulare;
• Inoltre, il MiRNA-9 aumenta l’espressione del mitogeno endoteliale VEGF. Il VEGF è un fattore determinato
a produrre un’angiogenesi promuovendo la mio-vascolarizzazione dei letti tumorali in una maniera E-
Caderina e b-catenina dipendente. Aumenta l’angiogenesi e quindi la capacità metastatica tumorale in
modelli sperimentali;
• L’inibizione dell’espressione MiRNA-9 riduce il processo metastatico in modelli metastatici;
• L’inibizione dell’espressione del MiRNA-9 è indotta dai geni pro-metastatici che includono i fattori di
trascrizionali Myc ed MycN (sono frequentemente attivati in associazioni con aggressività tumorale in
fenotipi metastatici).
MiRNA-9 e cellule tumorali staminali
I MiRNA giocano un ruolo importante anche nella staminalità tumorale. Dentro i tumori si trovano i MiRNA,
sottopopolazioni di natura “stamina-like”. Questo significa che iniziano ad avere un fenotipo più vicino alle
cellule staminali. Infatti, sono in grado di replicarsi per conto loro, di rinnovare la popolazione, ma anche di dare
luogo a popolazioni staminali ed altri popolazioni (attraverso una divisione asimmetrica: le due cellule figlie
diventano una staminale ed un’altra in grado di cambiare un po’ lo stato di differenziamento). Questo si associa
frequentemente con tumori di etero-genici: i tumori mai o raramente mostrano un singolo fenotipo, sono
invece etero-genici (possono contenere diversi fenotipi).
miRNA 371-373
• L’espressione miRNA Hsa mir 371-373 sopprime la differenziazione promuovendo un fenotipo
staminale nelle cellule tumorali;
• Ci sono prodotti di RNA nei retrovirus endogeni, in particolare HERV-H, che produce un grande RNA
non codificante. Questa specifica molecola di RNA rappresenta un 5% dei messaggi del mRNA
contenuto nelle cellule staminali. Si pensa sia una sorta di spugna che sequestra il miRNA, che è una
pre-differenziazione nelle cellule tumorali ed anche staminali, promuovendo un fenotipo staminale.
Quindi, ci sono diversi meccanismi che possono essere indotti durante il percorso tumorale. Essi formano una
nicchia entro la quale cellule staminali o più staminal-like rappresentano una sottopopolazione dentro ciascun
tumore transitorio (si chiamano transitori perchè possono differenziarsi e poi ritornare ad essere più staminal-
like attraverso meccanismi non ben conosciuti).
Però, quando arrivano a questo stadio diventano cellule difficili da uccidere, perché entrano in uno stato G0
quiescente, aspettando un segnale di proliferazione. Di conseguenza, queste cellule diventano una popolazione
a parte, che non risponde a terapie antitumorali, il cui compito è quello di bersagliere cellule in proliferazione.
Le popolazioni resistenti possono essere indotte a formare tumori che entrano in uno stato di differenziamento
parziale e forniscono diversi fenotipi, anche pro-metastatici.
Quindi, la staminalità nei tumori è un importante concetto e la ricerca è concentrata ad analizzare:
• i meccanismi attraverso i quali la staminalità arriva
• i marcatori
• gli ipotetici bersagli terapeutici: utilizzando questi bersagli si può eradicare cellule staminal-like, invece
di far sì che sopravvivano (cioè che si ripresentino in popolazioni colpevoli relapse, tumori ricorrenti
post-terapeutici [ndr: relapse= ricaduta, recidiva])

Hallmark-3: L’evasione dall’apoptosi


➢ Cos’è l’apoptosi?
L’apoptosi è l’opposto della crescita, è la morte cellulare. Si tratta di una morte programmata da specifici geni, utili
per programmare la morte cellulare in particolari condizioni. Le cellule tumorali, però, proliferano in una maniera
incontrollabile (assenza di equilibrio fra il ritmo di proliferazione e di morte cellulare). Non solo deviano dal percorso
normale di crescita cellulare, ma evitano anche la morte.
Infatti, la resistenza all’apoptosi acquisita è una caratteristica di tutti i tipi di cancro: è un importante meccanismo di
relapse post-terapeutico. Quindi, viene inibita l’apoptosi dopo cicli di terapie. Un meccanismo di azione citotossica è
indurre l’apoptosi e utilizzare i geni oncosoppressori (ancora presenti nelle cellule tumorali) con l’obiettivo di
truccare la cellula tumorale a suicidarsi.
Nelle cellule normali la morte apoptotica è programmata in ogni singola cellula, come una capsula di cianuro, che
trasporta rapidamente al suicidio le cellule se le circostanze lo richiedono. È un meccanismo estremamente pulito,
che non danneggia le altre cellule, e risulta essenziale per la salute di un tessuto: per esempio, un danno al DNA
attiva l’apoptosi nelle cellule normali (attraverso P53, proteina che appunto causa l’apoptosi quando il DNA è
danneggiato) e questo è fondamentale nello sviluppo embrionale, in quanto causa la morte di certe popolazioni
cellulari che formano i diversi tessuti, svolgendo un ruolo importante per aiutare i tessuti ad arrivare alla quantità
giusta di cellule.
Durante lo sviluppo embrionale apoptosi è necessaria per formare la giusta struttura. Infatti, una popolazione
cellulare troppo grande o troppo piccola, può inibire la formazione di una struttura o di un tessuto funzionale.
Ovviamente, esiste un equilibrio fisiologico durante lo sviluppo embrionale per formare ogni struttura con la
quantità giusta di cellule.
L’apoptosi è un processo estremamente ordinato:
• le membrane vengono compromesse;
• i cromosomi e le molecole DNA degradati;
• le cellule muoiono.
[Segue proiezione di un video.] (ndr: alcuni passaggi più specifici del processo apoptotico, commentati con il
video)
Questa potrebbe essere una cellula che sta per trasformarsi,
quindi è già danneggiata. Dopo il riconoscimento del danno
creato nelle cellule sono messe sulla superficie cellulare delle
proteine che possono essere visualizzate da linfociti (p.e. un
linfocita T citotossico). Questi linfociti provano a identificare il
tipo di danno delle cellule. Successivamente riconoscono le
molecole appoggiate sulla superficie delle cellule danneggiate
e allertano il sistema immunologico circa la presenza di
cellule danneggiate: d’innesca così una risposta pro-
apoptitica.
A questo punto si può innescare la via estrinseca o la via
intrinseca:
• nella via estrinseca, le proteine formano i fattori “death reducing”. Essi reclutano importanti enzimi
appartenenti nella famiglia di Caspasi e vengono attivati tramite delle interazioni molto complesse, che
prevedono un’amplificazione del segnale e l’induzione della morte. (? Alcuni secondi con scatti)
• La via intrinseca coinvolge i mitocondri: grazie alla loro permeabilità, fanno entrare membri della famiglia
PACS e PAC. Riescono a formare l’apoptosoma, rilasciandoci il citocromo-C con l’interazione con Apaf-1.
L’apoptosoma e la Caspasi-9 vengono attivati e generano dei segnali che possono attivare Caspasi-3. La
Caspasi-3 è in grado di degradare il citoscheletro di actina, cambiando la forma della cellula. C’è allora la
possibilità di attivare nucleasi che degradano il DNA, inducendo cambiamenti che caratterizzano apoptosi: si
formano corpi apoptotici, che vengono eliminati attraverso fagocitosi.
[Proiezione di un secondo video per mostrare un modo alternativo]

Il linfocito-T può eliminare una cellula tumorale con il


riconoscimento di alcune sostanze marcatori sulla
superficie della cellula tumorale. Il linfocito-T rilascia
tossine (perforin, granzyme) che uccidono la cellula.
Queste perforine creano buchi sulla membrana cellulare,
poi entrano nella cellula tumorale i granzymes che attivano
l’apoptosi.

I marcatori delle cellule danneggiate sono molto


importanti, e vengono messi sulla superficie cellulare.
Questi marcatori sono utili sia per indurre una risposta
pro-apoptotica sia per perforare le cellule, permettendo
l’entrata di granzyme (enzima che induce l’apoptosi in
un'altra maniera).

Regolatori ed effettori dell’apoptosi

La macchina apoptotica può essere suddivisa in due grandi categorie: Regolatori ed Effettori.
I regolatori si occupano di monitorare il microambiente interno ed esterno alla cellula, decidendo così se quella
cellula deve continuare a vivere o se deve morire (anomalie includono danni al DNA, segnalazione di squilibrio
causato dall’attivazione degli oncogeni, la mancanza o l’insufficienza di fattori di crescita). In base alle condizioni del
microambiente si occupano poi di stabilire la via da intraprendere: l’apoptosi può infatti verificarsi attraverso
• Un percorso intrinseco, proveniente dall’interno della cellula
• Un percorso estrinseco, proveniente dall’esterno della cellula
È chiaro quindi che questi fattori sono dei punti cruciali per la prevenzione al cancro: anche in questo caso è tutta
una questione di equilibrio fra meccanismi pro-apoptosi e anti-apoptosi.

• I regolatori primari dell’apoptosi sono


proteine appartenenti alla famiglia Bcl-2, sia pro-
apoptosi che anti-apoptosi;
• Bcl-2, Bcl-XL, Bcl-W, A1 sono proteine
apoptotiche, mentre Bax, Bad, Bid, Bok, Bik e Bak
sono pro-apoptosi. Le proteine anti-apoptosi si
legano e inattivano le proteine pro-apoptosi in
cellule che non devono morire;
• I regolatori includono anche recettori di
morte sulla superficie cellulare che legano molecole
di morte e segnalano il percorso apoptotico
estrinseco, e può anche attivare il percorso
intrinseco attraverso IBID.
Per quanto riguarda la via intrinseca, le molecole anti-apoptosi appartengono alla famiglia degli oncogeni.
Questa classe di molecole promuove la sopravvivenza delle cellule, e sono membri della famiglia Bcl-2. Nella
proliferazione delle cellule normali, l’induzione di molecole anti-apoptosi va in parallelo col ciclo cellulare.
Questo succede per proteggere le cellule indebolite per quanto riguarda le loro associazioni con altre cellule:
durante il ciclo, perdono un po’ di contatti, e si scioglie la membrana nucleare. Hanno allora bisogno di molecole
che proteggono contro l’apoptosi durante la replicazione, e proprio queste vengono sovvertite in situazioni
tumorali. Quando sono attivate segnalazioni pro-proliferazione e parallelamente anche segnali anti-apoptosi, c’è
un cambiamento nel loro equilibrio, contrastando con gli agenti pro-apotosi.
Gli agenti pro-apoptosi sono molecole che facilitano la perforazione della membrana mitocondriale permettendo
il rilascio di citocromo-C. Gli agenti di anti-apoptosi oppongono a queste capacità, bloccando la perforazione
della membrana mitocondriale, il rilascio di citocromo-C ed inibiscono l’apoptosi.

P53: Il Guardiano del Genoma


➢ Come sono rivelate le condizioni necessarie per innescare l’apoptosi?
Il Retinoblastoma è un freno vitale sulla divisione cellulare al punto G1/S. Danni al retinoblastoma eliminano questo
freno, portando a una crescita incontrollata. Allo stesso modo, la P53 è una proteina essenziale, soprannominata: “Il
guardiano del genoma”. La P53 ha molte funzioni: rileva danno al DNA e anomalie cromosomiche, arresta il ciclo per
iniziare il riparo, e se questo non è possibile viene indotta l’apoptosi. In particolare, se il DNA viene “aggiustato”, la
segnalazione di p53 viene inibita tramite il legame con un fattore sequestratore (=MDM2), che lo porta nel
proteasoma per essere distrutto; nel caso in cui il danno non può essere riparato, induce l’apoptosi aumentando la
produzione di Bax (grazie alla sua capacità trascrizionale), che stimola i mitocondri a liberare il citocromo C. Questo
attiva le caspasi e induce l’apoptosi.
(ndr: quindi p53
1. Rileva danno o anomalie cromosomiche
2. Arresta il ciclo cellulare per iniziare il riparo
3. Se il riparo viene effettuato, la sua segnalazione viene inibita e viene sequestrato da parte di MDM2 (che lo
porta nel proteasoma)
4. Se il riparo non viene effettuato, tramite la sua capacità trascrizionale determina un ↑[Bax]
5. Bax stimola i mitocondri a liberare citocromo C
6. Citocromo C induce le caspasi
7. Induzione apoptosi)
Quindi, la P53 è vitale per mantenere l’integrità del nostro genoma ed è fondamentale per l’apoptosi.

Come le cellule tumorali evitano la morte apoptotica?


• Di solito, le cellule tumorali riescono ad evitare la morte apoptotica, perché hanno perso la proteina P53. Più
della metà di tutti i tipi di tumori umani hanno un gene P53 mutato o mancante, di conseguenza la proteina
P53 è danneggiata o assente. Infatti, le cellule tumorali, uccidono l’individuo sotto forma metastatica. Dopo
cicli di terapia tutte sono P53 negativi.
La terapia dei tumori è migliorata negli ultimi anni, prolungando la vita dei malati. Però, i tumori solidi riescono a
resistere per diversi motivi la terapia.
• In altri casi, le cellule tumorali possono compromettere l’attività di P53 aumentando gli inibitori di p53, o
silenziando gli attivatori di p53. Seguono due esempi:
o C’è una condizione che aumenta l’espressione di MDM2 (protoncogene) e quando è troppo alta,
non permette la produzione di P53 in quantità sufficienti per svolgere le sue funzioni. Aumentando
la sua espressione, è stato trovato un polimorfismo di geni MDM-2: in alcune popolazioni esiste un
polimorfismo fisiologico, non patologico; però, più tardi nella loro vita esibiscono una frequenza
elevata di tumori, perché la proteina P53 non può funzionare normalmente;
o I papillomavirus oncogeni che producono la proteina E7 producono anche la proteina E6, che lega e
inattiva il P53. Quindi E6 ed E7 causano il cancro disattivando il retinoblastoma e il P53, risultando
nella divisione cellulare incontrollata che si manifesta nelle verruche, con forti associazioni con lo
sviluppo del cancro cervicale. Per fortuna, esiste un vaccino contro le infezioni di papillomavirus,
prima che diventano un problema.

• Le cellule tumorali possono anche produrre eccessive quantità delle proteine anti-apoptosi, Bcl-2, Bcl-XL e
Mcl-1 o possono produrre meno delle proteine pro-apoptosi Bax e Bak.
• Possono anche cortocircuitare il percorso apoptotico, alterando le componenti che associano e regolano
l’attivazione dei recettori della morte estrinseca. I tumori più aggressivi hanno spesso mutazioni di entrambi
Retinoblastoma e P53 ed esibiscono una rapida crescita con livelli estremamente bassi di apoptosi ed
estremamente alti di divisione. Sono i tumori che formano metastasi più frequentemente.
Quindi, le cellule tumorali inattivano le macchine di morte ed evadono dell’apoptosi, che rappresenta una violazione
fondamentale della difesa anticancro.

Meccanismi che hanno a che fare con la via estrinseca in sedi tumorali
Questo è l’esempio di un forte meccanismo pro-apoptosi.
• TRAIL: Tumor Nercrosis Factor Related Apoptosis Inducing Ligand
• Apoptosi delle Cellule tumorali
TRAIL: citochina trans-membrana pro-apoptotica, rilasciata anche in forma solubile. Ci sono due meccanismi
attraverso i quali TRAIL può uccidere le cellule: si lega alla superficie delle cellule Natural Killer e Cellule T (CD8 +e Th)
tramite i recettori Dr4 e Dr5 in forma trimerica, inducendo l’apoptosi attraverso
1. la via estrinseca nelle cellule di tipo I
2. vie intrinseca nelle cellule di tipo II.
La differenza fra le due cellule è dovuta alla quantità di Procaspase 8. Se manca una grande quantità di procaspase-8
(o in una scarsa quantità di procaspase 8), può essere attivata la polimerizzazione di Bax, attraverso una
degradazione caspase 8-dipendente sull’intermedio Bid, formando TBid: questo trasloca nei mitocondri facilitando le
perforazioni attraverso la via intrinseca.
La P53 induce l’espressione di Dr4 e Dr5 nelle cellule con danno al DNA, esponendo le cellule danneggiate al sistema
immunitario: DR 4/5 attivati da TRAIL reclutano FADD e le caspasi 8 e/o 10, formando il complesso DISC (DEATH
INDUCING FACTOR). Questo meccanismo, rappresenta una “morte tumor specifica”, perché le cellule normali
esprimono bassi livelli di DR 4/5 e più alti livelli di recettori “decoy” di TRAIL DcR1 e DcR2.
Trail è tumor-specifica e raramente uccide cellule normali. (ndr: ma le cellule tumorali riescono ad evadere questo
meccanismo pro-apoptosi: per questo si parla di resistenza a TRAIL)

Resistenza a TRAIL
Strategie di resistenza:
• Equilibrio anti-apoptotico tra i recettori pro-apoptotici DR 4/5 ed i recettori decoy DcR1, DcR2 e
l’inibitore di TRAIL l’osteoprotegerina. Le cellule tumorali possono sovra-esprimere i “decoy”, anche se
possiedono i DR4/5 sulla loro superficie, aumentando la competizione in favore dell’ apoptosi;
• Ridotta espressione sulla superficie cellulare di DR4 e DR5;
• Perdita dell’espressione di Caspasi 8 e/o 10, attraverso la metilazione del promotore di Caspasi 8 ed
inibizione post-trascrizionale di caspasi 10;
• Fosforilazione inibitoria della tirosina Y380 di caspase 8;
• L’espressione di Cellular FLICE (FADD- like IL-1β-converting enzyme)-Inibitory Protein (cFLIP), l’omologo
inattivo di caspase 8 che compete con caspase 8 nella formazione di DISC;
• L’espressione elevata delle proteine della famiglia Bcl-2 (Bcl-2, Bcl-XL, Mcl-1) che protteggono il
mitocondrio dalla pereabilizzazione Bax/Bak-dipendente;
• Segnalazione inibitoria attraverso Ip3K/Akt/Nf-kB;
• Nelle cellule resistenti al TRAIL, TRAIL può indurre l’espressione di geni pro-infiammatori e pro-
metastatici, come altri membri della famiglia TNF;

Hallmark 4: Potenziale Replicativo Senza Limiti


Il cancro non è solo un risultato di una segnalazione disturbata. Le cellule normali portano un programma
autonomo che limita la loro moltiplicazione, anche di fronte a segnali dal microambiente. Questi meccanismi
possono essere:
o inibizione da contato creato da oncosoppressori (come ecaderina)
o l’esaurimento della loro capacità di proliferazione (che ha un limite nelle cellule normali, perché
gradualmente si perde i telomeri).
Nel tumore invece, questo programma viene interotto. Le cellule normali tengono conto dellla loro età e del
numero di divisioni. La maggior parte delle cellule normali subiscono un numero limitato di cicli “il limite
Hayflick”, individuato da Leonard Hayflick nel 1961. Dopo 40-60 divisioni, la crescita rallenta e alla fine si
ferma in senescenza irreversibile, anche se la cellula rimane viva. Alcune cellule superano la senescenza e
continuano a dividersi, ma subiscono un secondo demone noto come crisi, durante il quale le estremità dei
loro cromosomi si fondono con ciascuno e la cellula muore tramite l’apoptosi P53 dipendente.

Lezione PATOLOGIA MOLECOLARE II - 19/11/2020 (15:20-16:10)


Prof. Andrew Reay Mackay
Sbobinatore: Francesca Mercurio
Revisore: Michela Lo Curzio

Come conta una cellula le sue divisioni e come “sa” quando fermarsi?
La risposta è la presenza di “telomeri” - regioni del DNA altamente ripetute che non presentano alcun gene
codificante e che hanno il compito di proteggere l’estremità del cromosoma dalla degradazione o dalla fusione
con un altro cromosoma.

Senza i telomeri, infatti, ad ogni divisione il genoma perderebbe informazioni, perché i cromosomi si
accorcerebbero. Si stima la perdita di circa 50-100 nucleotidi di DNA telomerico ad ogni divisione. Questa perdita
progressiva alla fine causa la perdita dei telomeri, che di conseguenza non proteggono le estremità del
cromosoma che vengono così danneggiate.
Un eventuale danno del DNA attiva la trascrizione del gene P53 che porta all’arresto della crescita, alla
senescenza e all’apoptosi della cellula in cui si verifica.

L’eventuale fusione tra le estremità dei cromosomi rappresenta un danno irreversibile che promuove l’apoptosi
P53 dipendente.

Perché l’estremità dei cromosomi si riducono?


Una cellula deve replicare il suo DNA prima che si divida.
Il DNA è a doppio filamento e ogni filamento del DNA serve come stampo per la produzione del filamento
complementare. I due filamenti sono antiparalleli: un’elica va in direzione 5’-3’, l’altra in direzione 3’-5’.
L’estremità 3’ presenta il gruppo OH libero, invece, l’estremità 5’ presenta un gruppo fosfato libero.
Prima che avvenga la replicazione, la DNA elicasi (andamento 5’-3’) separa i due filamenti del DNA in
corrispondenza delle forcelle replicative.
La replicazione del DNA è svolta dalla DNA polimerasi che sintetizza DNA sempre in direzione 5’-3’ leggendo lo
stampo in direzione 3’-5’. Quindi, la replicazione è semplice per il filamento 5’-3’ del DNA (da cui si formerà il
filamento precoce) ma più complicata per il filamento 3’-5’ (da cui si formerà il filamento ritardato) che viene
replicato mediante la formazione di corti segmenti di DNA (frammenti di Okazaki).
Per poter iniziare il processo di replicazione una RNA polimerasi, la primasi, inserisce in corrispondenza
dell’estremità 3’-OH delle corte sequenze di RNA che fungono da primer.
Il filamento precoce necessita di un unico primer a differenza del ritardato che richiede, invece, un primer per
ogni frammento di Okazaki. Tali primer vengono utilizzati dalla DNA polimerasi che sintetizzerà DNA
complementare al filamento utilizzato come stampo.
Nel filamento discontinuo, in corrispondenza del quale si eliminano i primer ad RNA lasciando delle interruzioni,
interviene la DNA ligasi che crea un legame covalente tra l’estremità 3’-OH e 5’-fosfato.
La richiesta di un innesco di RNA per la sintesi dei frammenti di Okazaki crea un problema nella replicazione
dell’estremità dei cromosomi lineari. Una volta rimosso il primer all’estremità 3’ del filamento ritardato,
rimarrebbe una regione a singolo filamento 3’-protrudente della lunghezza dello stesso primer che verrebbe
presto eliminata e provocherebbe un accorciamento del cromosoma.
La cellula risolve il problema presentando telomeri alle terminazioni dei cromosomi ed esprimendo l’enzima
telomerasi. Quest’ultimo contiene una sequenza complementare alla ripetizione telomerica che è in grado di
appaiarsi per complementarietà con il DNA a singolo filamento che protrude dall’estremità 3’ del telomero,
grazie all’attività di trascrittasi inversa.
Nel tempo, con ogni ciclo, i telomeri si accorciano fino a quando vengono eliminati del tutto e la telomerasi non
viene più espressa: la cellula smette di dividersi e diventa senescente. Questi meccanismi sono alla base
dell’invecchiamento cellulare.

Le cellule tumorali violano i limiti della replicazione


Tutte le cellule tumorali mantengono i loro telomeri e il 90% di esse aumenta la produzione dell’enzima
telomerasi che, svolgendo attività oncogenica, lega i telomeri alle estremità dei cromosomi più a lungo.
La maggior parte delle cellule normali non si dividono frequentemente e quindi non corrono il pericolo di
perdere telomeri. Le cellule fetali o staminali, invece, esprimono bassi livelli di telomerasi.
Molte oncoproteine attivano l’espressione della telomerasi, mentre tanti oncosoppressori, come il P53,
inibiscono l’espressione della telomerasi.
Inoltre, circa il 10% dei tumori svolgono un percorso conosciuto come “Allungamento Alternativo dei Telomeri”
(ALT), che scambia i telomeri per allungarli.

Anche lo stress ossidativo riduce la lunghezza dei telomeri


Lo stress ossidativo, ad esempio la presenza di radicali liberi all’interno dell’organismo, danneggia il DNA. La
riparazione del danno è meno efficace sui telomeri che risultano essere, quindi, più suscettibili allo stress
ossidativo. Questo spiega la velocità dell’accorciamento telomerico osservato: si passa dalla perdita di circa 20
paia di basi per replicazione in condizioni fisiologiche alla perdita di 50-100 paia di basi in seguito ad esposizione
a stress ossidativo. La produzione di ROS provoca, quindi, un invecchiamento precoce delle cellule del nostro
organismo.
La senescenza cellulare, indotta dalla perdita dei telomeri, rappresenta una risposta allo stress ossidativo per
bloccare la crescita cellulare esposta ad un elevato rischio di danni al DNA.

Le cellule tumorali presentano un’elevata attività proliferativa “raggirando” l’emivita dei telomeri, questo però
provoca l’accumulo di mutazioni che diventano dannose nel tempo: ecco perché il cancro è principalmente una
malattia della terza età.

Hallmark 5 - L’angiogenesi Continuativa


Durante lo sviluppo embrionale o nei processi di cicatrizzazione, i tessuti richiedono ossigeno e nutrienti. La
formazione dei vasi sanguigni, nota come angiogenesi, soddisfa questa esigenza.
In maniera simile, un tumore in crescita richiede ossigeno e sostanze nutritive. Per tale ragione le cellule
tumorali trasmettono segnali alle cellule dei vasi sanguigni vicini, inducendo l’angiogenesi, meccanismo chiave
nello sviluppo del tumore. Successivamente, tramite il circolo sanguigno le cellule tumorali riescono a diffondere
e a metastatizzare.
Esistono numerosi fattori che possono andare ad indurre od inibire la formazione di nuovi vasi sanguigni; un
esempio è l’ipossia che induce la formazione di nuove strutture vascolari tramite il legame di fattori
angiogenetici a specifici recettori presenti sulla membrana plasmatica delle cellule endoteliali.

Attraverso quali meccanismi si formano i sistemi vascolari?


Vasculogenesi
La vasculogenesi rappresenta lo sviluppo precoce dei grandi vasi e deriva dalla proliferazione, dal
differenziamento e dall’assembramento delle cellule endoteliali nei tessuti avascolari che porta alla formazione
di una rete tubolare primitiva (durante l’embriogenesi porta alla formazione dell’aorta e delle venule maggiori).

Angiogenesi
L’angiogenesi consiste nella modificazione della rete primaria vascolare (formata dalla vasculogenesi)
promuovendo la ramificazione dei vasi formando una rete collegata, caratteristica del sistema vascolare maturo.
Le pareti dei vasi maturano e, quindi, si stabilizzano, grazie all’interazione tra cellule endoteliali, cellule di
supporto (cellule muscolari lisce e periciti) e matrice extracellulare (ricca in fibre, glicoproteine,
glicosamminoglicani, proteoglicani ed acqua).
Angiogenesi del tipo ‘Sprouting’
L’Angiogenesi del tipo ‘Sprouting’ è responsabile della formazione di nuovi vasi da vasi esistenti tramite
‘sprouting’ (=germogliare) dentro tessuti avascolari. Questo accade in seguito alla destabilizzazione vascolare,
dovuta ad una condizione di ipossia, che porta alla formazione di vasi immaturi che devono stabilizzarsi. Tale
meccanismo si ha durante lo sviluppo e la formazione dei vasi del tubo neurale e la maggior parte dei neo-vasi
formati negli adulti (durante il processo di guarigione dei tessuti danneggiati).

La crescita tumorale dipende dall’angiogenesi


Questo è possibile affermarlo grazie a studi effettuati da alcuni studiosi che hanno dimostrato:
• Le cellule tumorali introdotte in organi perfusi in colture non crescono oltre 1 mm3 finchè non sono
trapiantate in animali singenici dove diventano vascolarizzate e crescono rapidamente (Folkman, 1963).
• La proliferazione delle cellule tumorali diminuisce lontano dai capillari (Tannock, 1970).
• I tumori del fegato non mostrano vascolarizzazione fino a quando non raggiungono 1 mm 3 di volume (Lien,
1970), mentre tumori sottocutanei diventano vascolarizzati oltre 0,44 mm 3 (Thompson, 1987).
• I tumori crescono lentamente finchè non sono vascolarizzati e questo è stato mostrato usando diversi
modelli tumorali (Gimbrone, 1974; Algire, 1975 e Knighton, 1977).
• I tumori nell’umor acqueo o vitreo dell’occhio, che includono le metastasi del retinoblastoma, rimangono
avascolari e non crescono se non raggiungono la retina (Gimbrone, 1974 e Folkman, 1974).

La vascolarizzazione tumorale è dovuta a meccanismi diversi:


1. Intussusception
L’intussusception (=invaginazione) rappresenta il processo del rimodellamento della vascolarizzazione tumorale
e della sua espansione; questo è dovuto all’inserzione di una colonna di tessuto interstiziale nel lume dei vasi
esistenti che porta alla formazione di due vasi da un unico vaso capillare.
2. Cooptazione Vascolare
Alcuni tumori non-epiteliali originano vicino ai vasi esistenti facilitando la formazione di un tumore primario
vascolare. In risposta a questo, i vasi esistenti si difendono regredendo: ciò porta alla riduzione e alla
avascolarizzazione del tumore. Il tumore, in seguito ad una fase di proliferazione, diventa quindi ipossico e va
verso una reazione angiogenetica del tipo ‘Sprouting’ di tipo 2.
3. Vascolarizzazione Mimetizzante
Rappresenta la capacità di alcuni tumori di mimetizzare il sistema vascolare formando dei tubi canalizzati senza
cellule endoteliali proprie che si legano ai vasi sanguigni, tramite un meccanismo ancora da definire.
È stato dimostrato che la MMP-9 (metalloproteinasi-9) promuove la vascolarizzazione mimetizzante nelle cellule
tumorali della mammella attraverso un meccanismo che coinvolge i recettori tumorali VEGFR-2 e VEGFR-3.
4. Incorporazione degli angioblasti
Gli angioblasti sono i precursori endoteliali derivati dal midollo osseo che giungono nei tumori facilitando la
vasculogenesi ed angiogenesi, in seguito all’induzione di diversi fattori angiogenetici.
Sono rilasciati dal midollo osseo in maniera VEGF (Vascular Endothelial Growth Factor) ed MMP-9 dipendente.
Sono reclutati ai siti dagli agenti chemiotattici.
Fattori locali promuovono la loro adesione ed invasione.
Vengono incorporati nella parete vascolare ed aumentano il calibro vascolare.
Gli angioblasti incorporati promuovono sia la vasculogenesi (durante lo sviluppo) che l’angiogenesi del tipo
‘Sprouting’.
5. Angiogenesi del tipo ‘Sprouting’
È il meccanismo principale per la neo vascolarizzazione tumorale, in particolare dei tumori epiteliali separati dal
sistema vascolare mediante la membrana basale.

Cellule coinvolte nell’angiogenesi


⬧ Cellule endoteliali
Sono cellule di origine mesodermica che formano la superficie interna dei vasi.
Sono altamente specializzate e polarizzate e formano una barriera fra il sangue e i tessuti.
Sono poggiate sulla membrana basale che è importante per il funzionamento e il differenziamento corretto delle
cellule e del vaso.
Esprimono recettori per fattori angiogenetici, per molecole di adesione (importanti nel mantenimento
dell’integrità vascolare) e presentano enzimi che degradano la matrice extracellulare.
⬧ Periciti
Sono cellule primitive mesenchimali che poggiano sulla membrana basale dell’endotelio.
Esprimono recettori per i fattori angiogenetici quali VEGF e TGFβ (Transforming Growth Factor β), componenti
della membrana basale ed enzimi che degradano la matrice extracellulare.
Sono importanti per la maturazione di un nuovo vaso, la loro mancanza è correlata alla disfunzione vascolare.
⬧ Cellule muscolari lisce
Sono cellule mesenchimali che differenziano nella struttura vascolare di cui fanno parte e dove regolano la
dilatazione e la contrazione vascolare. Sono assenti nei capillari.
Interagiscono con le cellule endoteliali facilitando la maturazione e la stabilizzazione neo-vascolare.
La loro mancanza è correlata con la disfunzione vascolare.
⬧ Piastrine e leucociti
Le piastrine derivano dai megacariociti e fanno parte del sistema di coagulazione. Sono importanti durante
l’angiogenesi.
I leucociti interagiscono con le cellule endoteliali per proteggere le zone angiogenetiche suscettibili ad invasione
di microbi. Esprimono fattori angiogenetici.
⬧ Fibroblasti stromali
Contribuiscono al processo angiogenetico formando la matrice interstiziale. Producono enzimi che degradano e
rimodellano la matrice extracellulare ed i loro inibitori.
Patologia molecolare 2
Sbobinatore: lorenza
Revisore : Pina
Terza parte

Le cellule coinvolte nell’angiogenesi sono cellule endoteliali, cellule muscolari lisce, piastrine, leucociti.
l meccanismi principali per la neovascolarizzazione tumorale, in particolare dei tumori epiteliali, si svolgono in
questo modo:
-i tumori iniziano come piccole masse muscolari, che inducono una risposta angiogenica nei vasi vicini
-i vasi diventano dilatati e permeabilizzati e le giunzioni vascolari mature intercellulari diventano stabili
- la membrana basale viene degradata localmente
- le cellule endoteliali producono pseudopodi, proliferano e migrano fuori dai vasi
- formano dei cordoncini cellulari che diventano vacuolizzati e canalizzati
-nuovi vasi maturano con la formazione della nuova membrana basale e reclutamento dei periciti e cellule
muscolari lisce
- i nuovi vasi sono mantenuti da fattori che facilitano la sopravvivenza delle cellule endoteliali contro l'apoptosi

I fattori che mediano e modulano l’angiogenesi comprendono fattori che regolano la plasticità delle cellule
endoteliali, importanti all’inizio del processo angiogenetico.

I fattori dell’angiogenesi, che facilitano la sperimentazione in vitro e che aiutano a capire quali sono i fattori
angiogenetici, sono gli enzimi che promuovono la degradazione della membrana basale, la proliferazione
cellulare, la migrazione e la formazione di tubi canalizzati.
Per quanto riguarda l’uso di cellule endoteliali, sono stati utilizzati diversi tipi di popolazioni nei saggi in vitro, tra
cui cellule derivanti dai grandi vasi (come vene ombelicali e aorte di animali e uomo) isolate dopo digestione di
parete vascolare con collagenasi trispsina ecc.
Oggi si usano molto anche cellule endoteliali microvascolari. prelevate da organi specifici quali fegato, derma,
cervello purificati con l’uso di anticorpi specifici o trattati con lectine che legano specificatamente cellule
endoteliali.
Queste cellule possono essere usate in saggi di proliferazioni per identificare mitogeni e inibitori di angiogenesi.

Nell’immagine sopra riportata si vede il paragone di proliferazione tra diversi tipi di cellule usando cartilagine di
squalo. In particolare la cartilagine non ha vasi e infatti contiene inibitori forti di angiogenesi e contro
proliferazione delle cellule endoteliali.

Per quanto riguarda la locomozione, la camera di Boyden oltre che per lo studio di chemiotassi può essere usata
per identificare molecole che promuovono il movimento di cellule endoteliali, angioblasti. Fu costruita negli anni
60.
È utile per distinguere molecole che inducono la locomozione direzionale (chemiotassi) o movimento
randomizzato (chemiochinesi). Tutte le cellule possono muoversi verso molecole chemioattraenti se possiedono
dei recettori per tali molecole.
Si può effettuare il saggio di migrazione per visualizzare la locomozione delle cellule endoteliali, così come si
possono effettuare colture di aorta e trattarle con sostanze da analizzare.

Qui si vede un espianto e la formazione in poco tempo di tubi endoteliali che formano reti in condizioni
stimolanti di angiogenesi.
I saggi angiogenetici includono anche quelli effettuati sulla
membrana coreoallantoica dell’embrione di pollo, una
membrana vascolarizzata. Questa è usata dopo 4-6 gg,
dopo che si sono formati i primi vasi. Trattandola con una
sostanza si può vedere se questa può influenzare la
struttura vascolare in modo stimolatorio o inibente.

Questo esperimento è usato per


dimostrare un’attività anti
angiogenetica da parte di una
molecola endogena. Si introducono
sostanze in una tasca tagliata nella
cornea di roditore e si dimostra
come un fattore di crescita
fibroblastico possa indurre
angiogenesi (mediante induzione di
FGF) e come l’angiostatina possa
inibirla.

Saggio basato su Matrigel, ossia un estratto di


membrana basale di tumore benigno. Questa
sostanza a 4 gradi è fluido, ma forma un gel a 37
gradi. È iniettato a 4 gradi sotto la cute di
roditori dove forma un gel. Alcune sostanze sono
poi iniettate nel matrigel e si osserva la risposta
di vascolarizzazione.
L’infiammazione sembra essere fondamentale
per lo switch angiogenetico in sedi tumorali. Alla
fine dell’infiammazione comunque c’è una
rigenerazione vascolare, che inizia anche
durante il processo stesso. L’Infiammazione
associata al tumore rappresenta uno switch
angiogenetico. Importanti componenti dell’
infiammazione provengono dalle cellule
polimorfonucleate, i neutrofili. MMP9 è
un’enzima che agisce come fattore anti
angiogenetico a basse concentrazioni. È
immagazzinato nei neutrofili. Solo i leucociti lo
immagazzinano senza la presenza del suo
inibitore, questo è importante per la
degradazione di matrici extracellulari, serbatoi
di fattori angiogenetici.

Eliminando geni di MMP9 in animali knockout si sostiene la produzione di tumori e metastasi.

Uno dei fattori mitogeni più importanti è il VEGF, importante fattore di vascologenesi e angiogenesi.
Quando i vasi sono instabili, VEGF induce la proliferazione. La famiglia di VEGF include PIGF e VEGFA.
In condizioni tumorali le cellule possono esprimere recettori per VEGF.
i recettori per VEGF sono:
-VEGFR1
-VEGFR2
-VEGFR3

• Prima della nascita la retina cresce in modo avascolare e in seguito alla nascita è considerato un tessuto
ipossico che provoca l’induzione dell’espressione di vegf che promuove angiogenesi e vascolarizzazione. In
casi di nascita prematura, per cui i neonati sono destinati all’incubatrice con iperossigenazione
dell’ambiente, c’è crescita della retina senza aver bisogno di neovascolarizzazione, perché le condizioni di
iperossia bloccano il sistema di vegf. Questo fa sí che la retina pensi di avere ossigeno a sufficienza. Quindi
c’è un periodo post nascita (per i neonati prematuri) in cui c’è crescita della retina avascolare. Quando il
neonato poi è spostato in ambiente di normossia, il tessuto della retina diventa ipossico per mancanza di
struttura vascolare. Inducendo vegf si crea la condizione per neoangiogenesi al momento sbagliato. La retina
diventa vascolarizzata in modo abnorme, producendo retinopatia. Processi angiogenetici inappropriati si
verificano spesso nel prematuro. L’ipossia quindi non sempre induce una risposta angiogenetica utile.
26/11/2020 Mackay/ PATOLOGIA MOLECOLARE II

Se vi ricordate abbiamo parlato dell’angiogenesi la settimana scorsa, e vi ho mostrato che ha un’estrema


importanza la risposta del fattore di crescita endoteliale-VEGF al tempo giusto,per far sviluppare una rete
vascolare al tempo giusto che puo’ maturarsi in una maniera ottimale. Ho dato come esempio lo sviluppo
della retina. In un caso di prematurita’, i soggetti hanno bisogno di un ambiente iperossidoperche
frequentemente nascono senza aver sviluppato adeguatamente i polmoni, quindi hanno bisogno di un aiuto
a livello dell’ossigenazione, e quindi sono ommessi frequentemente in incubatore e fa si che la retica cresca
in una maniera avascolare, questo dal fatto che ce’ un ambiente iperossigenata. Quando viene esportato
fuori dall’incubatrice diventa ipossico. Questa causa una condizione chiamata retinopatia, in cui la retine e’
vascolarizzata abnormemente ed e’ pure danneggiata. L’ipossia non induce necessariamente una risposta
angiogenetica utile. L’induzione inappropriata del VEGF promuove la formazione dei vasi abnormi, quando
non e’ ben coordinato con le altre molecole che orchestrano la neovascolarizzazione. I vasi immaturi,
emorragici e permeabili indotti peggiorano e non risolvono il problema a livello della retina. Il processo
angiogenetico inappropriato nella retinopatia, che e’ frequente nei prematuri, in seguito alla terapia
iperossica e nell’angiogenesi tumorale formano nuovi vasi abnormi, emorragici e permeabili in un ambiente
ipossico.
L’ipossia segnala le cellule che abbiamo bisogno di O2 quindi ce’ ovviamente un meccanismo fondamentale
per la sopravvivenza delle cellule, attraverso quali una neovascolarizzazione viene subito indotto. Questo ha
da fare con sistemi di tipo oncospressorio e oncogenico. In condizioni di normossia, Il nucleo catalitico della
prolina idrossilasi PHD, che contiene un atomo di Fe-2sensibile all'ossidazione da parte dei ROS, viene attivato
e idrossila HIF1 e 2 alfa con conseguente formazionedel complesso VHL Elongin C (VEC) con
l'oncosoppressore Von HippelLindau, elongina B, elongina C, cullinNEDD 8, Rbx1 ed E2 con attivita E3 ligasi.
Questo complesso ubiquita gli HIFA con conseguente degradazione a livello del proteosoma.
In condizioni di ipossia, PHD è inattivato con conseguente dissociazione del complesso VEC che
portaall'accumulo di HIF-alfa, traslocazione nucleare e attivazione trascrizionale di geni coinvolti
nell'angiogenesi(p.e. VEGF) e metabolismo (la variante pro-glicolitica del piruvato chinasi PKM2), e altera la
funzione dellecellule immunitarie attraverso CREB / p300, che regola l'attivazione di MHC classe 1
• Gli oncogeni attivati o gli oncosoppressori inattivati che aumentano la produzione di ROS possono inibire
laPHD con conseguente attivazione di HIF; HIF viene attivato tramite le vie di segnalazione PI3K/ AKT e
RAS/MAPK attivate dagli oncogeni recettore tirosin-chinasi e la perdita’ di p53 comporta la perdita della
soppressionefunzionale dell'attivita’ di HIF p53-dipendente.
VHL regola l’induzione dei geni ipossia dipendente. Durante iperossia VHL wt lega elongin B e C, cullin, Rbx1e
NEDD8 formando il complesso di E3 ubiquitin-chinase "VEC" che e’ responsabile per la degradazione del
fattore trascrizionale attivato dell'ipossia HIF1a. Il dominio a di VHL lega Elongin C nucleando il complesso
VEC -il dominio beta, agisce come un sito "Docking". Le mutazioni nel VHL promuovano tumorigenesis (es CP
mutazione) - colpiscono entrambi i due domini promuovendo l'accumulo di HIF1 e 2°.I tumori correlati a
mutazione di VHL includono emangioblastomi, che sono tumori dei vasi sanguigni del cervello, del midollo
spinale e della retina.
Altri Mitogeni che Attivano l Angiogenesi: Altri mitogeni che attivano l'angiogenesi in vivo, la proliferazione
e migrazione delle cellule endoteliali invitro includono:
-Membri della famiglia FGF: FGF-1, FGF-2 e PDEGF (plateletderivedendothelialgrowthfactor)che leganoi
recettori tirosino-chinasici FGFR1-4
-TGFa e EGF che legano il recettore tirosino-chinasico di EGF ErbB
-HGF che lega il recettore e protoncogenetirosin-chinasico C-met
-Fattori di crescita del sistema ematopoietico CSF-1 e 2
-Chemochine di tipo Cysteine-x-Cysteine (CXC) come IL-8 che legai recettori CXCR1 e 2.
-Alcuni (FGF, TGFa, EGF, HGF) che non sono mitogeni specifici per le cellule endotelialistimolano l'espressione
di VEGF suggerendo un meccanismo di azione specifica per le cellule endoteliali.
-Membri della famiglia di FGF possono essere sequestrati nella membrana basale tramite legame
eparinadipendente con il proteoglicano Perlecan regolando la loro attività.
Ci stanno pure le angiopoietine della Famiglia di 4 membri,( 1-4). I ligandi per il recettore tirosin-chinasiTie2.
Legami con Tie-1 sono da definire… Tie sono recettori specifici per le cellule endoteliali.
Ang1/Tie-2: Maturazione e stabilizzazione dei nuovi vasi ottimizzando l'interazione fra cellule endoteliali,
celluledi supporto e la matrice extracellulare. Topi Ang-1 o Tie-2 knock-Out sviluppano un sistema vascolare
primario normale ma con rimodellamentoabnorme dipendente sulla mal associazione fra cellule endoteliali
e cellule accessorie. Topi transgenici per Ang1 mostrano ipervascolarizzazione, ingrandimento della
circonferenza dei vasi evasi resistenti alla permeabilită vascolare (anche da VEGH suggerendo un ruolo come
inibitore dellapermeabilità vascolare.)Topi transgenici per VEGE e Ang-1 mostrano ipervascolarizzazione che
si manifesta nell'ingrandimentovascolare e vasi più numerosi ma ancora abnormi.
Angiopoietina 2:
Antagonizza interazioni fra Ang-1 e Tie-2 inibendo l’angiogenesi indotta da Ang1. Iniziatoredell'angiogenesi
destabilizzando vasi esistenti stabilizzati da Ang1/Tie-2 riportando le celluleendoteliali ad uno stato plastico
che può:
a) andare verso apoptosi nell’assenza di fattori angiogenetici
b) o diventare angiogenetico in presenza di fattori angiogenetici
Suggerito da: Topi transgenici per Ang-2 che somigliano topi knockout per Ang 1 o Tie2. L'espressione di Ang-
2 all’inizio dell’angiogenesi tumorale.
Abbiamo altri fattori che includono TGFBeta. Una famiglia di fattori che legano recettori
serin/treoninchinasici. Stimola angiogenesi in vivo ma nonla proliferazione delle cellule endoteliali. I recettori
di TGFB implicati nell' angiogenesi includono alk-1,alk-5 ed endoglina.Topi knockout per endoglina (un
recettore ancillare) mostrano inibizione del rimodellamentoangiogenetico e lo sviluppo delle cellule muscoli
lisce. Topi knockout per TGFB esibiscono inibizione della genesi vascolare
TNFa: Citochina pro-infiammatorio procotta dai macrofagi induce angiogenesi in vivo ma non èmitogeno per
le cellule endoteliali ruolo importante nell'induzione e mantenimentodell’infiammazione nel tumore.
Promuove l'espressione delle metalloproteinaseangiogenetici MMP-1, MMP-3, MMP-9.
Poi per quanto riguarda la membrana basale, fondamentale nell’angiogenesi,perchee’ una Barriera principale
contro l’invasione e migrazione delle cellule endoteliale. regola attivata dei fattori angiogenetici e proteasi
che degradano la membrana basale tramite il loro sequestro. Regola l’adesione e la motilità cellulare. Critica
per il differenziamento delle cellule endoteliali e la stabilizzazione dei nuovi vasi. Se manca la membrana
basale, le cellule endoteliali non sanno come comportarsi in una struttura vascolare. Sotto metto alcuni
componenti che aiutano la membrana basale per modulare l’angiogenesi:
Ie proteasi sono fondamentali per la degradazione della membrana vascolare durante l’angiogenesi che
dipende da una cascata proteolitica, la quale involve le metallo-proteinasi ed il sistema del plasminogeno.

…quindi, cosi si rappresenta una cascata di natura angiogenetico. Per quanto riguarda il sistema del
plasminogenoSerino-Proteasi, le reazioni sono complessi. I componenti che sono coinvolti nella formazione
della PLASMINA includono: urochinasi (uPA, che puo essere trovata sia in singola che doppia catena), t-PA
che sarebbe un attivatore tissulate, uPAR-recettore per uPA, Anexin II o Anfoterina che sono dei recettori
per t-PA, l’actina-recettore per plasminogeno, PAI-1 e 2 che sono gli inibitori di uPA e t-PA.
Evidenza di un Ruolo per il sistema del Plasminogeno nell’Angiogenesi:
gli inibitori di plasmina e degli attivatori del plasminogeno inibiscono invasione delle cellule endoteliali e la
capacita’ di formare tubi endotelializzati in vitro e angiogenesi in vivo. Topi uPA (Urochinasi) knockout
mostrano inibizione della vascolarizzazione tumorale. Il Plasminogeno stimola l'invasione e la capacita’ delle
cellule endoteliali di formare tubi in vitro dipendente sugli attivatori del plasminogeno. Gli Attivatori sono
espressi dalle cellule tumorali endoteliali e tumori angiogenetici in vivo. La Plasmina degrada i componenti
della membrana basale, attiva le MMPs coinvolte nell’angiogenesi e rilascia dei fattori angiogenetici dalla
membrana basale (FGF-2 e TGFA) e attiva alcuni fattori angiogenetici (FGF, TGFB). Mentre uPA attiva il fattore
angiogenetico HGF (fattore di crescita degli epatociti).
Interazione fra MMP ed il sistema del plasminogeno : ruolo del plasminogeno e domini Kringle

La loro interazione è ulteriormente complessa per il fatto che , come si vede nella slide, tumore & stroma,
attivatori del plasminogeno, sono in grado di attivare il plasminogeno sistemico in plasmina, che può attivare
pro metallo proteinasi m(PRO-MMP) in metalloproteinasi attive(MMP-AT) provenienti da tumore allo
stroma. Questo crea una condizione per la degradazione della membrana basale e della matrice
extracellulare, promuovendo l’ invasione in termini non solo di tumori ma anche dell’endotelio durante il
processo di angiogenesi. Però le metalloproteinasi attivate possono anche effettivamente agire con un
meccanismo di feedback negativo nel sistema pro angiogenetico, ed infatti in determinate circostanze le
metalloproteinasi come MMP-3 ma anche MMP-7 e MMP-9 possono degradare il plasminogeno in domini
Kringle.
Il ruolo del plasminogeno allora, come precursore inattivo della plasmina, è particolarmente importante.
Infatti esso è composto da una serie di 5 domini Kringle, che assomigliano ai loop, cerchi molecolari con
associato un dominio catalitico. I domini Kringle del plasminogeno (che sono presenti anche nella plasmina
in 5 copie), sono fondamentali per l’attivazione del plasminogeno in plasmina ,ma anche nella condizione di
plasmina sono fondamentali per la “substrato specificità”: gli stessi domini Kringle infatti sono quelli che
legano il substrato e senza il quale la plasmina non può effettivamente degradare il substrato. E’ inoltre
presente un meccanismo attraverso il quale l’attivazione delle metalloproteinasi, provenienti da un plasmina
attivata, può andare incontro ad un feedback negativo degradando la plasmina e il plasminogeno, separando
così il dominio Kringle dal dominio catalitico. A quel punto si crea un ambiente fortemente inibitorio per
l’angiogenesi. Questo è stato fondamentale perché l’angiostatina,che è stata identificata come dominio
Kringle del plasminogeno, fu il primo esempio di una molecola anti-angiogenetica prodotta durante la
progressione tumorale, è stata quindi purificata e approvato dall’FDA come primo inibitore dell’ angiogenesi
tumorale utilizzato in clinica.

L’inibizione dell’ angiogenesi e i meccanismi che regolano l’angiogenesi sono complessi.


Come abbiamo già detto, i tumori non crescono se sono privi di una vascolarizzazione. L’angiogenesi è
fondamentale per la formazione e la crescita tumorale. Gli agenti che bloccano l’angiogenesi sono molto
importanti terapeuticamente in quanto aumentano la possibilità di rallentare drammaticamente la
progressione tumorale.
La scoperta dell’angiostatina è particolare. Folkmann, padre dell’angiogenesi, fu il primo ricercatore a
scoprire l’angiostatina, l’ha fatto su un modello animale. E’ un modello che illustra anche quanto sia stato
difficile trovare definitivamente e confermare l’ ipotesi per quanto riguarda il potenziale inibitore
angiogenetico, oltre che per la progressione tumorale. Lui studiava o paragonava animali roditori con
particolari tumori, primitivi ma aggressivi. Vide che animali sottoposti a chirurgia al fine di esportare un loro
tumore primitivo, a differenza degli animali dove venne lasciato in sede il tumore primitivo, morivano molto
velocemente, attraverso un accelerato processo metastatico. Rimuovere un tumore a seconda della natura
e dello stadio tumorale, può infatti fare sviluppare comunque metastasi in seguito. Questo dimostrava che
in determinati casi, un tumore primitivo e di dimensioni particolari, può controllare la crescita metastatica.
Quando il tumore primitivo viene eliminato, le metastasi non sono più impedite, sono già presenti in
micrometastasi e quindi possono crescere. Correlando le due condizioni, lui notò un meccanismo di controllo
proveniente dal tumore primitivo che regolava il conseguente comportamento metastatico. Questa molecola
venne identificata come angiostatina.
Successivamente identificò i primi 3 o 4 domini kringle presenti nel plasminogeno. Quindi il tumore primitivo,
abbastanza grande, è stato in grado di innescare un’ interazione tra metalloproteinasi e plasmina che
risultava nel processing del plasminogeno in angiostatina a livello sistemico. Il plasminogeno andava in giro
a bloccare l’angiogenesi nelle micro metastasi già presenti, rendendole dormienti. Questo illustra il fatto che
l’angiogenesi è anche necessaria per la crescita di metastasi , quando lui esportava il tumore primitivo
l’angiostatina infatti non veniva più prodotta e le micro metastasi dormienti potevano avere un’angiogenesi
non inibita e crescevano .
Fu uno degli esperimenti più importanti, non solo per l’identificazione di potenti inibitori angiogenetici dentro
macromolecole già presenti nel contesto tumorale fisiologico, i quali possono essere rilasciati attraverso il
processing proteolitico, ma anche per il fatto che i tumori primitivi, attraverso un blocco dell’angiogenesi,
possono controllare la crescita metastatica. Non tutti i tumori usano gli stessi meccanismi, per esempio per
l’angiostatina c’è un insieme di determinati meccanismi. Però i tumori che usufruiscono di questo tipo di
bloccaggio possono essere bloccati rallentando appunto l’angiogenesi .

Ovviamente è importante dire che il cambiamenti nell’equilibrio tra proteasi e i loro inibitori sono
fondamentali nell’ organizzare l’ambiente proteolitico.

Nella slide a fianco abbiamo inibitori


di metalloproteinasi tissutali e
inibitori del plasminogeno TIMP e
PAI, con gli enzimi
metalloproteinasi, attivatori del
plasminogeno e della plasmina che
devono cambiare nell’equilibrio,
facilitando un ambiente proteolitico
che permette la degradazione della
membrana basale durante
l’angiogenesi.
I meccanismi che sono coinvolti in
questo cambiamento dell’ equilibrio
e includono: l’espressione
differenziale di proteasi ed inibitori;
la possibilità di degradare gli
inibitori rendendoli inefficaci , come
l’ elastasi: prodotto di popolazione leucocitaria in grado di degradare TIMP-1, una delle più importanti
inibitrici di MMP-9, a sua volta una delle più importanti metallo proteinasi pro angiogenetiche; protezione
contro gli inibitori, quando l’urochinasi uPA si aggancia con il suo recettore ad UPAR è protetta contro il suo
inibitore PAI-1. Quindi legando urochinasi alla superficie delle cellule tumorali o endoteliali protegge contro
l’ inibizione, permette un aumento di produzione della plasmina e ci sono anche meccanismi che inattivano
gli inibitori, come il sistema redox; sistemi che sono in grado di inibire gli inibitori delle metallo proteinasi ma
non le metallo proteinasi, in particolare nel sistema di tioridussina e la sua reduttasi che riducono ponti
disolfurici tra cistine, sono fondamentali ad inibire i TIMPS che dipendono per la loro attività da 12 ponti
disolfurici che sono sensibili agli enzimi redox, che sono anche stati trovati nell’ambiente extracellulare in
condizioni tumorali.
Quindi si può avere anche la presenza di TIMP inibitori per le metallo proteinasi però a sua volta è reso inibito
dal fatto che c’è un enzima redox presente che distrugge la sua attività inibitoria, lasciando effettivamente la
metallo proteinasi degradare che cosa vuole; sequestro degli inibitori; eparinasi: espressa dalle cellule
tumorali maligne che degradano Perlecan proteoglicano nella membrana basale, promuovendo il rilascio di
fattori angiogenetici legati all’ eparina. Quindi ci si rende conto di una complessità veramente pazzesca a
livello proteolitico, che deve essere finemente regolata per evitare un disastro.

Molecole di adesione cellulare coinvolte nel processo angiogenetico


Iincludono caderine, una famiglia di oltre 20membri: caderine E,VE che abbiamo anche trovato come
oncosoppressori, che regolano le adesioni intercellulari dipendenti sul Ca2+ e interagiscono fra di loro. Quindi
sono molecole di adesione omeotipiche. Le integrine , che rappresentano eterodimeri fra 18 subunità alpha
e 8 subunità beta, che regolano le adesioni intercellulari che a loro volta legano immunoglobulina come CAMs
e componenti della matrice extracellulare, sono critiche per la crescita ed il differenziamento delle cellule
normali in maniera substrato-dipendente ed anche quando non sono legate sono in grado anche di sbloccare
segnali apoptotici.

Ovviamente queste interazioni tra integrine e i loro ligandi sono fondamentali per controllare il luogo in cui
le cellule devono crescere: se si trovano fuori luogo in un contesto estraneo alla mitosi, muoiono spesso.
Questo meccanismo fa sì che i tessuti non si mischino tra loro: ciascun tessuto ha delle specifiche componenti
integriniche, cellulari e della matrice cellulare che sono sufficienti per bloccare i segnali pro apoptotici, sono
guai se le cellule si trovano fuori luogo. Ovviamente in un contesto tumorale le cellule (tumorali) sono in
grado di superare anche questo, vanno infatti in apoptosi anche quando le loro integrine non vengo
accuratamente legate. L’evasione dall’apoptosi, una morte programmata e bne regolata, rientra negli
hallmarks che abbiamo già visto, le cellule tumorali non esibiscono un tessuto di specificità: migrano e vanno
dove possono.
Poi ci sono le immunoglobuline, una grande famiglia di molecole che includono i CAMs (“cellular adesion
molecule”), molecole di adesione cellulare come: ICAM-1, V-CAM, CEACAM, PECAM, e N-CAM che regolano
l’ adesione intercellulare e legano le
integrine.
Le Selectine (E,P e L selectine)
legano strutture correlate agli
antigeni come specifici carboidrati. I
carboidrati importanti in questione
sono antigeni sialati come Lewis X e
Lewis A che regolano le interazioni
intercellulari. Tutte sono importanti
molecole.

CAMs, molecole di adesione


cellulare espresse dalle cellule
endoteliali che sono coinvolte
nell’angiogenesi: IL PROF LEGGE LA
SLIDE A FIANCO (specifica che:
MMP-2 è una metallo proteinasi in
particolare IV collagenasi; VLA 4 è una beta 2 integrina)
Altri fattori angiogenetci da menzionare includono membri della famglia delle Ephrine: B1, B2 e A1. Legano
il recettore tirosin chinasico EphB2,3,4 o A2. Questi sono implicati nella promozione del diverso sviluppo fra
vene ed arterie. I nuovi vasi che vengono a formarsi devono quindi attivamente cercare di legarsi con
l’appropriata struttura, successivamente si sceglierà il loro destino: arterie, vene o capillari.

Topi “knockout” (=privati) di Ephrina B2 o del recettore Eph-B4 mostrano difetti nel rimodellamento
angiogenetico. L’espressione di Ephrina B2 è tipico delle cellule delle arterie primordiali; così come
l’espressione del recettore Eph-B4 lo è per le cellule delle vene primordiali; inoltre questo continua a marcare
le arterie nell’adulto. L’ephrina B2 è ri espressa dalle cellule endoteliali angiogenetiche nei tumori.

Enzimi importanti includono ciclossigenasi (COX) 2 , che produce prostaglandine dall’acido arachidonico
durante le infiammazioni; regola l’espressione di MMP-9 e stimola l’angiogenesi e la produzione di fattori
angiogenetici come VEGF; spesso associato spesso con cancro del colon.

Infine i fattori di trascrizione:


● Hypoxia Indicuble Factor: HIf-1 e Hif-2, fattori di trascrizione indotti dall’ ipossia implicati nella
regolazione della trascrizione di VEGF;
● Endothelial Differentiation Factor EDF-1 fattore trascrizionale coinvolto nel differenziamento delle
cellule endoteliali quando si trovano sull’appropriato substrato;
● Heart and Neural crest Derivatives expressed HAND-2 , fattore trascrizionale regolato da VEGF e
coinvolto nell’angiogenesi durante lo sviluppo della persona, inoltre attivo nei tumori. Un insieme di
molecole che devono essere ben organizzate per favorire una crescita vascolare.“Impressionante
eeeeh ragazzi?”

Quindi riassumendo un po’ questa incredibile orchestrazione dell’angiogenesi (vedi slide seguente), la fase
di destabilizzazione è effettuata da angiopoietina 2 e angiopoietina 1, a seguito del loro legame con Tie-2
(pronuncia T -AI- I all’inglese), il suo recettore. Quest’associazione crea in seguito condizioni per esprimere
inibitori Id1 e Id3, i quali promuovono uno stato di plasticità assieme all’attivazione endoteliale dovuta
all’interazione tra VEGF con il suo recettore VEGFR2, che è attivatorio e promuove la degradazione della
membrana basale. Questo agisce attraverso l’induzione dell’ espressione di metalloproteinasi e di attivatori
del plasminogeno i quali,interagendo con recettori, creano delle condizioni per l’attivazione di metallo
proteinasi e della plasmina. Le interazioni regolano la progressione dell’ angiogenesi e possono
eventualmente anche produrre inibitori dell’angiogenesi. Anche qui quindi c’è un equilibrio da superare.
Ancora le eperinasi promuovono il rilascio della membrana basa le di importanti molecole
proangiogenetiche. Segue la fase di proliferazione: dopo aver prodotto endoteli, pseudopodi, plastiche, la
cellula comincia a proliferare attraverso l’effetto mitogenico indotto dalle interazioni fra VEGF con i recettori
VEGFR2 e altri fattori di crescita che promuovono in modo recettoriale dipendente sia direttamente sia
indirettamente la proliferazione dell’endotelio.
La fase di migrazione è regolata dalle chimochine, molecole chemoattraenti che promuovono il movimento
verso un determinato luogo; VEGF ed FGF, presenti che sono utilizzati a scopo di migrazioini; integrine che
legano i componenti della matrice che permettono il movimento; attività proteolitica necessaria per
degradare le componenti della matrice permettendo un movimento; matrice plasmatica proveniente dalla
aggregazione piastrinica nel luogo della “germogliazione” attraverso il quale le cellule possono orientarsi e
muoversi.
Poi c’ è una fase di vacuolizzazione, che dipende dall’espressione di PECAM, VE-caderina, collageno IV:
durante questa fase, i componenti della matrice possono anche essere prodotti, però la vera deposizione di
una matrice definitiva dipende da altri cambiamenti, inibitori dell’attività proteolitica e promotori dell’azione
depositrice.
Dopo aver seguito questi
processo di vacuolizzazione, c’è
la formazione di un tubulo che si
associa con la deposizione di una
nuova membrana basale, dove
l’equilibrio fra: metallo
proteinasi e i loro inibitori TIMP
da un lato, e fra gli attivatori di
plasminogeno e i loro inibitori
PAI dall’altro, va verso un
ambiente depositore invece di
proteolitico, creando così le
condizioni per la deposizione,
con espressione della laminina e
collageno IV, entactina e
perlecano. Questi ambienti sono
rigorosamente controllati dal
TGF Beta,che è una
mastrocitochina. Abbiamo già
trovato il TGF-beta nella fase di
guarigione per esempio durante l’infiammazione, è una citochina ad attività pro guarigione, ha tante funzioni
ma in quel contesto riesce, attraverso un cambiamento dell’equilibrio a favore dell’ inibizione proteolitica, a
rendere un ambiente depositore per la membrana basale: questo è fondamentale per sigillare la potenziale
perdita di fluidi da nuovi vasi, e per introdurre un forte stimolo differenziativo, che fa sì che i canali e vacuoli
forati durante la fase di migrazione effettivamente formino tubi canalizzati. Interazioni fra cellule endoteliali,
cellule di supporto e la matrice vengono effettivamente promosse, interazione tra PECAM, VE -caderina,
integrina, AlphaVbeta3, tutti importanti in queste fasi. La canalizzazione di nuovi vasi viene promosso dalla
presenza delle molecole di divisione PECAM, VEcaderina, collagene IV depositato in forma della membrana
basale. In seguito c’ è la formazione di giunzioni tra arterie e vene che viene identificata attraverso
l’espressione delle Ephrine e recettori Ephb.
Ci si rende conto di quanto in termini fisiologici è complesso il comportamento angiogenetico, e quante sono
le potenziali possibilità di dirottare e cambiare queste in sedi tumorali o patologiche.

I vasi tumorali sono difettivi.


I vasi sono spesso malformati nei tumori, sono emorragici, permeabili, mancano d’una membrana basale
adeguata e della presenza dei periciti, i quali costituiscono come abbiamo visto un’ importante unità
formante della membrana basale, in quanto producono alcune catene della laminina importanti per la sua
costituzione. A livello del tumore, i recettori TIE-2, bloccati con Ang-2 possono favorire l’attività di VEGF, (
possiamo quindi parare di una sovra espressione non ben controllata dall’angiopoietina 2 tumorale e VEGF),
che senza l’attività di angiopoietina 1 (Ang-1) porta alla formazione di due neovasi emorragici permeabili ,
malformati come abbiamo visto nelle retinopatie di prematurità. La mancanza della membrana basale può
derivare sia dalla mancanza di periciti che fanno parte dell’ unità di base della membrana basale vascolare,
sia dall’ambiente proteolitico tumorale che spesso non assume funzione depositrice. Infatti gli oncogeni
stimolano l’espressione di metallo proteinasi provenienti dallo stroma delle cellule tumorali, in associazione
a questo sono presenti componenti infiammatorie leucocitarie che esprimono un’attività proteolitica e
quindi un ambiente che non favorisce la deposizione di una matrice effettiva. Anche la mancanza della
membrana basale influenza la permeabilizzazione vascolare del differenziamento dei neovasi creando
condizioni favorevoli per l’intravasazione e le disseminazioni tumorali.

Quindi abbiamo cellule endoteliali che non sanno dove stanno, non hanno una appoggio adeguato,
prendono contatto con una matrice che è malformata, non possono funzionare come devono e sono
frequentemente soggette ad eventi permeabilizzanti: ricevono tante cose dal plasma che normalmente in
condizioni di mancanza di permeabilità non arrivano. La permeabilità e la dilatazione vascolare influenza fra
l’altro la pressione idrostatica che è altamente elevata nei tumori e inibisce l’effetto della farmacoterapia.

C’ è una forte pressione per eliminare la terapia che non è legata quindi bersagliata specificamente a livello
tumorale e che quindi dà un problema terapeutico. Le concentrazioni necessarie per uccidere le cellule
tumorali mai raggiungono una sufficienza a livello in vivo. Infatti devono ovviamente adottare altre strategie
per circumnavigare questi problemi, alcune delle quali sono utilizzare una particolare terapia dove le
strutture vascolari fanno un cappio attorno a tumori, attraverso i quali si può aumentare la concentrazione
senza avere un’esposizione sistemica ad un elevata concentrazione di agenti chemioterapeutici, che
altrimenti non possono essere utilizzati, per motivi legati ad effetti collaterali.
Ovviamente è un problema grave a livello terapeutico il fatto che i tumori a causa di una permeabilità alta ed
una essudazione forte a livello dei tumori eliminino agenti molto più velocemente di tessuti normali. La
formazione di una matrice plasmatica che stimola l’angiogenesi e promuove l’invasione tumorale è un altro
aspetto. Un tumore ha necessità di essere vascolarizzato per fare sì che possa crescere in maniera
esponenziale, introduce così una struttura vascolare che non funziona bene, promuove quindi la
progressione tumorale attraverso la resistenza terapeutica per motivi di una permeabilizzazione e pressione
idrostatica elevata e una facile via di disseminazione dovuta ad una mancanza di una maturazione vascolare.
(??)

Strategie anti angiogenetiche

Per quanto riguarda la strategia antigenetica, possiamo dire che ci sono tanti diversi contributi che possono
essere utili e vengono utilizzati per eliminare o rallentare drammaticamente la progressione tumorale,
bloccando l’angiogenesi. Il fatto che un tumore continua a crescere in presenza di inibitori dell’angiogenesi,
supporta l’ipotesi che fattori angiogenetici tumorali eccedano in concentrazione sugli inibitori. Quindi
l’equilibrio può essere ri-indirizzato. L’idea terapeutica è chiaramente in favore degli inibitori, allo scopo di
inibire l’angiogenesi e
quindi di rallentare
drammaticamente sia la
crescita tumorale sia la
sua capacità metastatica.
Ci sono diverse strategie
allo scopo anti
angiogenetico che
includono: 1)il blocco
nella produzione di
fattori angiogenetici,
bloccando la produzione
di VEGF si possono
utilizzare gli
oligonucleotidi
(antisenso, ribozimi) allo
scopo di bloccare la
produzione di fattori
angiogenetici. 2) si
possono neutralizzare
fattori angiogenetici in
transito attraverso l’utilizzo di recettori solubili e anticorpi neutralizzanti o attività proteolitica. 3) Si possono
bloccare dei recettori endoteliali con competitori. Si bloccano recettori con VEGF, o con anticorpi
neutralizzanti. 4)Si può arrestare la degradazione della membrana basale con inibitori proteolitici o 5) inibire
la proliferazione delle cellule endoteliali, con inibitori di cicline, in grado di bloccare il ciclo cellulare.
Bisogna dire che esperimenti fatti in molteplici modelli, illustrano che in modelli tumorali l’angiogenesi è dove
si trovano cellule endoteliali in proliferazione, non nelle strutture vascolari stabili. I vasi stabili inoltre
mancano di endoteli in proliferazione, quindi identificando markers si possono anche bersagliare
specificamente cellule endoteliali in proliferazione. 6) Gli inibitori della migrazione dell’endotelio inibiscono
le integrine che possono essere neutralizzate o 7) effettuano uccisione diretta delle cellule endoteliali,
usando molecole che bersagliano cellule endoteliali in proliferazione. 8) blocco della stabilizzazione vascolare
(inibizione del reclutamento dei periciti e cellule musolari liscie) si riferisce ad un modello di vasi che irrorano
i tumori, sono molto instabili, potrebbe esserci anche la possibilità di stabilizzare i vasi allo scopo di renderli
meno permeabili e anche meno invadibili dal punto di vista tumorale.

I metodi per bloccare l’angiogenesi di questi punti sono diversi, non sono mutualmente esclusivi e possono
essere combinati. Gli nibitori endogeni sono da favorire, perché esibiscono effetti limitati in termini di effetti
collaterali e di resistenze. Il vantaggio dei fattori endogeni è della specificità dell’azione di ricrescita vascolare.
Per esempio c’ è una molecola come l’endostatina che spegne la crescita vacolare, mentre TNP-470, analogo
di fumagillin (che non è endogeno) inibisce le cicatrizzazioni in gravidanze dando quindi eventuali problemi
collaterali. I potenziali problemi che si possono presentare con gli inibitori proteolitici e la produttività
industriale, possono essere anche superati utilizzando tecniche endogene come quella dell’uso di Captoprill
farmaco e attivatore di plasminogeno tissutale, che possono essere utilizzati per indurre la formazione di
angiostatina in pazienti. Si può quindi superare e promuovere un’attività angiogenetica attraverso tecniche
endogene.

Inibitori dell’angiogenesi
● Inibitori dell’azione di VEGF, (legame e/o attività): includono recettori come VEGFR1, forme solubili
di VEGFR e neuropeline NRP-1 (cofattori che legano e annullano l’attività di VEGFR perché sono
solubili), PF4, prolattina e frammento di una proteina chiamata SPARC, sono tutti in grado di inibire
l’attività legando o inibendo l’attivazione di VEGF.
● Inibitori delle MMPs: TIMP-1, TIMP-2, domini Hemopexin delle metallo proteinasi (“MMP’s”). Quindi
andando a degradare le metalloproteinasi, (così come la degradazione del plasminogeno produce
plasmina) separando il dominio hemopexin dal dominio catalitico, assume funzione anti
angiogenetica. Ci sono quindi possibilità di usufruire di molecole provenienti da macromolecole allo
scopo di ridurre l’angiogenesi.
● Inibitori del plasminogeno: Angiostatina e Maspin;
● Inibitori della migrazione endoteliale e produzione di FGF: INF (=interferoni) alpha, beta e gamma,
IL4, IL-12, IL-18 (interleuchine);
● Inibitori della migrazione, proliferazione e sopravvivenza delle cellule endoteliali: TSP-1 e TSP-2
(trombospondine 1 e 2), endostatina che sono domini globulari del collagene 18, frammento di
osteopontina, Vasostatina, protrombina, domini Kringle I e II, antitrombina III frammento;
● Altri inibitori includono: Ang2 (angiopoietina 2 antagonista di angiopoietina 1) che destabilizza vasi
già esistenti, non è valida come un inibitore a livello dell’ angiogenesi tumorale, perché è già presente
e già i vasi sono destabilizzati. Poi ci sono proteine come Meth 1 e 2 che contengono domini
metalloproteinasici, disintegrine e TSP trombospondine, che inibiscono l’angiogenesi; molecole che
provengono da macromolecole in particolare da collage di tipo 4 degradato, che sono sul mercato
come agenti anti angiogenetici come Canstatina, Arresten e Tumstatin (che non è ben conosciuto
come funzionano ma sono anti angiogenetici) queste molecole spesso vengono da macromolecole
endogene e quindi sono più tollerabili

Inibitori contenuti in una proteina più grande

Noi sappiamo che la proteina plasminogeno può


essere degradata da mp3, mp7 mp9, in modo da
produrre l’inibitore dell’angiogenesi: angiostatina,
domini 1-3 o 1-4 Kringle del plasminogeno. Questi
possono essere ovviamente prodotti ex vivo, fuori
dal corpo in maniera industriale. Si sa che possono
essere anche prodotti attraverso l’ utilizzo di
plasminogeno degradandolo, purificando i
componenti, per cui anche il plasminogeno offre la
possibilità di molecole endogene.
Noi sappiamo anche che MMP-3 stromalisina ,
MMP-9 gelatinasi b, catepsina L, possono
degradare collagene di tipo 18, a produrre
l’endostatina che rappresenta il dominio non
collagenoso 1 (dominio NC1) nel collagene 18.
Questo è potentemente anti angiogentico.
La MMP3 e la plasmina possono anche degradare il collagene IV rilasciando dominio non collagenoso 1,
diversi fra di loro a seconda della natura della catena: chiamato Castatina, Arresten e Tumstatina.
La plasmina può essere utilizzata per degradare MMP-2/MMP-9 separando il dominio catalitico dal PEX
carbossi-terminale che ha una potente attività anti angiogenetica. Quindi ovviamente sono in sviluppo tutte
queste molecole come fonte importante di molecole anti angiogenetiche che contrastano farmaci prodotti
ex vivo i quali ovviamente non sono endogeni

Però abbiamo ovviamente un altro campo da considerare, è stato sviluppato in America principalmente dove
il costo di farmaci è drammaticamente elevato. Succede che una vasta percentuale della popolazione non è
in grado di essere sufficientemente assicurata per una terapia oncologica e spesso si viene a creare una
condizione per cui è eliminata la possibilità di finanziare una medicina. Se una persona presenta quindi una
patologia tumorale e ha bisogno di una determinata terapia, l’esito della scelta dipende dall’assicurazione.
In questo contesto si sviluppa un mercato alternativo. Il grafico ci fa vedere che tante persone non riescono
ad accedere a farmaci antiangiogenetici, da aggiungere nelle loro strategie terapeutiche per motivi
economici. Sono state individuate fonti “dietarie” a scopo anti angiogenetico. Il motivo inoltre non è solo
economico. In uno studio sono state prese in considerazione persone morte in incidenti stradali, di età
compresa tra 30 e 50 anni. In queste, sottoposte ad autopsie, oltre il 50% presentavano nei geni “malattie da
espansione”: i difetti genetici rilevati a livello autoptico, potevano andare a creare problemi già tardivamente
nella vita, è probabile ma non si sa. La probabilità però sussiste illustrando che già durante la vita, in maniera
asintomatica, i tumori spontaneamente sarebbero arrivati e sarebbero potuti andare oltre. Sapendo che
l’angiogenesi è necessaria per promuovere l’espansione clonale, si è sostenuta l’ ipotesi che tanti piccoli
tumori possono essere ad un livello pre-angiogenetico, in attesa di una crescita esponenziale dipendente
dall’angiogenesi. Quindi questo ha stimolato l’idea che nella dieta vada bene aumentare o utilizzare agenti
anti angiogenetici, anche precocemente nella vita, prima della conoscenza di avere un tumore o no.
Quindi aggiungendo questo al discorso
economico, dell’economia delle
medicine, ha spinto una ricerca per
identificare quali sono le “componenti
dietarie” con attività più angiogenetica.
Sono paragonati a farmaci. E facendo il
paragone con determinati modelli, si è
visto quali sono i componenti dietari
che sono ad alta attività anti
angiogenetica e a minor attività anti
angiogentica. Qui sono elencati:
Vitamina E, captopril,ecc. Poi estratto
di soia, prezzemolo,frutti di bosco,
toxoviclina, carciofi che contengono
tamoxifen, presentano più o meno lo
stesso livello di fattori anti
angiogenetici di un farmaco anti
tumorale. Ci si rende conto che alcuni
componenti della dieta sono molto anti angiogenetici, anche in modelli in vivo in animale. E’ quindi una buona
idea durante la vita aggiungere alcuni di questi tipi di componenti dietarie alla dieta. Infatti se ci sono tumori
che insorgono in forme piccole, aspettando di crescere in maniera angiogenetica, possiamo
drammaticamente rallentarli anche usufruendo di componenti dietarie. Ciò significa che uno può avere una
medicina naturale dietaria allo scopo di rallentare tumori e informazioni che hanno bisogno di una risposta
angiogenetica.
Nei tessuti normali, le comunità delle cellule si istruiscono tra loro per cmrescere attraverso percorsi di
segnalazione. Nel microambiente del tumore questi stessi percorsi di divisione e crescenza sono resi
incontrollabili. Una cellula tumorale non può funzionare in isolamento ma dipende dalle cellule circostanti,
che rispondono fedelmente ai segnali anche malevoli dalle cellule tumorali per raggiungere la crescita
incontrollata. L’angiogenesi nel contesto di un tumore è una versione tormentata, convoluta e
eccessivamente ramificata. I vasi sono distorti, ingranditi e permeabili con flusso sanguigno irregolare e
perdite ematiche, risultando in tumori disordinati e sanguinosi. L’angiogenesi tumorale è una perversione
del normale processi ed un requisito essenziale per lo sviluppo e la progressione tumorale.
PATOLOGIA MOLECOLARE 2 ( MACKAY) 3/12/2020

Sbobinatore: Stefan Munteanu, Badreddine Abou El Khir


Revisore: Piero Filopulos, Ottavia Giorgi, Cristina Forcucci

Introduzione
Nella lezione precedente è fatto un riferimento sull’angiogenesi. L’angiogenesi è un evento importante per
la progressione tumorale. Senza quella le cellule tumorali non riescono ad entrare nella fase di crescita
esponenziale, a causa della mancanza di ossigeno e di nutrienti.

 Attraverso quale meccanismo molecolare può essere inibita l’angiogenesi?

L’ipossia avviene a capo di un evento angiogenetico. Può essere indotta dall’attivazione degli oncogeni e
attraverso la stabilizzazione di fattori trascrizionali ipossia-inducibili.

I fattori trascrizionali ipossia-inducibili creano un “network” dell’espressione genica. Questo “network”


promuove la destabilizzazione di vasi esistenti facilitando la crescita di nuove strutture vascolari (attraverso
miogenesi, movimento). In condizioni fisiologiche è altamente regolato e porta alla fase di:
destabilizzazione, proliferazione, migrazione di soluzioni della membrana basale. Così sono creati vasi
maturi che possono depositare una membrana basale soppra la quale i nuovi vasi possono ottenere un
ottimo funzionamento.

A livello del tumore è tutto disgregato dal fatto che vengono prodotti in maniera errata diversi agenti pro-
angiogenetici. Di conseguenza, viene facilitata la maturazione di nuovi vasi che a livello tumorale risultano
irregolari, aberranti, permeabili. Inoltre, perdono il loro contenuto plasmatico e nel contesto di metastasi
sono fonte di facile invasione da parte delle cellule tumorali.

[Segue proiezione di un video molto breve]


Nella figura c’è un vaso modellato con
cellule endoteliali entro una membrana
basale costruita in vitro.
 Le figure verdi attorno alla
membrana basale
rappresentano cellule tumorali
che si trovano in una
sospensione di collageno.
 Le frecce della figura indicano
che le cellule cancerose attivano
la cellula endoteliale a formare
tumore, come un inizio di un
evento angiogenetico.
 Nello strato sottostante, le
cellule endoteliali muovono
(non sonno fisse, possono
oscillare e muovere, si trovano in una situazione dinamica). Nel punto che indicano le frecce è
attirata ed estratta una cellula endoteliale.
Hallmark 6- L’invasione e Metastasi

Un tumore in aumento produce le cellule “pioniere” che escono dal cumulo


originale per invadere tessuti adiacenti. Poi viaggiare a siti lontani dove formano
nuove colonie.

La presenza di ossigeno favorisce la proliferazione aumentando il numero di


cellule in crescita rispetto a quelle che vanno incontro a morte cellulare. Di
conseguenza, la massa aumenta e le cellule acquisiscono sempre più mutazioni.
Queste cellule mutate vengono selezionate durante dal microambiente tumorale.
Da ciò consegue la promozione di sottopopolazioni che cominciano ad acquisire
comportamenti metastatici, ovvero la capacità di migrare dal sito e distribuirsi in
modo sistemico a distretti corporei distanti.
Le metastasi, ad eccezione delle leucemie e di alcuni tumori cerebrali, causano la
maggior parte delle morti tumorali. Riduce significativamente il tasso di
sopravvivenza e peggiora la prognosi. In quello stadio le cellule tumorali (stadio 4 dei tumori solidi in età
adulta) causano danni a livello genetico e portano all’insorgenza di patologie associate che inducono il
paziente a cachessia. L’abilità di formare metastasi consente alle cellule tumorali di trovare nuove aree del
corpo, dove lo spazio e i nutrienti non sono limitanti.
Carcinoma duttale della mammella

  Il primo stadio è caratterizzato dall’attivazione degli oncogeni e


l’inattivazione degli oncosoppressori (sono necessari da 6 a 10 geni
per scatenare eventi iperplastici) ma è ancora definito un tumore
benigno.
 Lo stadio successivo è il “carcinoma in situ” con prognosi maligna ma
curabile. Se diagnosticato in tempo è curabile poiché è contenuto
ancora all’interno della membrana basale duttale e non ha ancora
invaso il tessuto circostante. La diagnosi può avvenire attraverso
l’esame istologico andando a ricercare frammentazioni della
membrana basale, se la membrana risulta totalmente intatta è
sufficiente l’asportazione del tumore.
 Se invece appare frammentato o addirittura manca il tumore deve
essere diagnosticato come “carcinoma invasivo” (che presenta però
diversi stadi). Nel momento in cui durante la mammografia
osserviamo depositi di matrice in associazione con cambiamenti
tissutali è necessario indagare perché potrebbe trattarsi di un tumore
(può essere anche un fibroma non per forza un carcinoma invasivo).
 Quando passa allo stadio metastatico (ad esempio in sede polmonare) il carcinoma può involvere
e tornare a formare strutture grossolanamente duttali che possono essere scambiate per un
carcinoma in situ. A questo punto avremo lesioni genetiche sempre più numerose e prognosi
infausta.
Le cellule tumorali per arrivare a metastatizzare passano attraverso numerose fasi:
Trasformazione cellulare, Espansione clonale, Angiogenesi , Subclone metastatico, Distacco dal sito,
Invasione della membrana basale, Intravasazione (guadagnare accesso al circolo sanguigno), Interazione
con piastrine leucociti e linfociti, Formazione di emboli polmonari, Arresto della microcircolazione,
Extravasazione, Crescita del clone metastatico. [fasi illustrate nella figura soprastante]

Il processo metastatico è stato spiegato da diversi modelli:


a. Modello tradizionale secondo il quale le sottopopolazioni di cellule tumorali acquisiscono capacità
metastatica tardiva nella genesi dei tumori.
b. Saggi di metastasi spontanea indicano che tutte le cellule tumorali hanno la capacità metastatica
(ad esempio blastomi).
c. La “eterogeneità dinamica” suggerisce che la frequenza nella generazione di cloni metastatici nel
tumore primitivo determina il potenziale metastatico.
d. La teoria di “dominanza metastatica” che supporta che i subcloni metastatici possono
sovracrescere e dominare la massa tumorale primitiva.
e. L’ipotesi “genometastasi” secondo la quale le metastasi possono formarsi attraverso la trasfezione
con oncogeni circolanti (DNA o vescicole, exosomi).

Nuovi modelli sul processo metastatico sono dati da:


a. I profili genetici di tumori primitivi possono predire il rischio di metastasi. Questo indica che la
capacità metastatica è acquisita precocemente durante la genesi dei tumori.
b. Tumori primitivi con capacità metastatica esibiscono una marcatura di prognosi povera e anche un
profilo di espressione tessuto specifico. Vengono così indicati potenziali siti metastatici.
c. Secondo la teoria chiamata “Evoluzione parallela”, la disseminazione delle cellule metastatiche
accade precocemente durante l’espansione clonale in una maniera indipendente dal sito primitivo.
d. Solo le cellule tumorali staminali sono in grado di formare tumori metastatici.
Cellule Cancerose Staminali (Cancer Stem Cells)
Le Cancer Stem Cells sono popolazioni cellulari identificate in numerosi tumori. Rappresentano una
popolazione plastica che può essere promossa nel microambiente attraverso il selezionamento e può
essere quiescente in determinate circostanze. Se le cellule staminali tumorali entrano in stato quiescente
assumono meccanismi di stress-resistenza e riescono persino a resistere all’azione dei chemioterapici. Sono
alla base delle recidive tumorali e possono produrre progenie dando luogo all’eterogeneità dei tumori solidi
e delle metastasi.

Queste cellule sono contenute in un microambiente tumorale chiamato “nicchia”. La nicchia è importante
perché regola il numero, la capacità di replicazione e la divisione asimmetrica delle cellule staminali sia
normali che tumorali ed è regolata da condizioni di stress tumorale (ad esempio da ipossia o mancanza di
nutrienti). La staminalità è regolata dai fattori trascrizionali pro-staminali (SOX2, NANOG, KLF4) e
mantenuta da retrotrasposoni come HERV-H nelle cellule arrestate nella loro capacità di differenziare.

Riassumendo le metastasi iniziano con trasformazioni cellulari creati da danno a livello genetico.
La cosa più importante che spinge la cellula a dividersi in maniera incontrollata è l’attivazione degli
oncogeni con l’eliminazione degli oncosoppressori.

Quindi esistono due tipi di danno:


Dominante (un allele): attivazione dei protoncogeni a oncogeni.
Recessivo (entrambi gli alleli): inattivazione dei geni oncosoppressori.
Per far sì che un tumore sorga e proliferi sono necessari 2 tipi di danno:
f. Dominante (un allele) – attivazione dei
protoncogeni a oncogeni
g. Recessivo (entrambi gli alleli) – inattivazione dei
geni oncosoppressori

Espansione clonale
Questo evento è seguito dall’espansione clonale, cioè la
proliferazione abnorme che porta all’espansione del
tumore attraverso la proliferazione della cellula trasformata che supera il fenomeno dell’apoptosi
formando cosi i tumori.

(Angiogenesi uguale alle lezioni passate)


Non è da dimenticare che in sede tumorale è presente anche una linfogenesi e non solo
un’angiogenesi vascolare; si è notato infatti che i tumori metastatici
esprimono ai linfonodi fattori di crescita come i PDGF-BB (fattore in
grado di indurre la linfogenesi.)
Data la loro proliferazione spesso sono i primi siti di metastasi dei
tumori.
Dato che i linfonodi e i vasi linfatici hanno il compito di recuperare i
fluidi corporei persi e immetterli nuovamente nella circolazione
sanguigna, la linfogenesi è uno strumento che facilita l’invasione del tumore poiché si apre a molti
tessuti e le cellule tumorali possono migrare indisturbate grazie anche ad una pressione più bassa
rispetto alla circolazione sanguigna.

Caso clinico
In caso di operazione per asportare un tumore bisogna prima identificare i “linfonodi
sentinelle” che raccolgono i fluidi da sedi tumorali. Questo avviene grazie ad un marcatore
radioattivo a breve emivita che sparisce in qualche ora, per marcarli e orientare il chirurgo
per asportarli. Se il tumore è benigno il tempo di cui ha bisogno il marcatore per giungere
alle sedi linfoidali è di qualche minuto, se è aggressivo e in uno stadio già avanzato il tempo
diminuisce a qualche secondo.
L’espansione clonale dipende dall’equilibrio fra proliferazione, apoptosi ed angiogenesi.
Inoltre ha bisogno anche di un componente infiammatorio generato dai neutrofili che infiltrandosi
in queste sedi aumentano l’espansione clonale e rilasciano i loro contenuti come MMP-9 che
sembrerebbe molto importante per l’infiammazione e per la progressione tumorale.

Le prime ricerche effettuate per capire/scoprire che le mutazioni si accumulavano durante il


processo metastatico avvennero studiando l’adenomatous polyposis coli (APC) una sindrome dove
in famiglia mostrano nel colon una formazione incredibile di polipi precancerosi che se lasciati in
sede rischiano di sviluppare il carcinoma invasivo.
Nella slide seguente vediamo come le variazioni che subisce la cellula porta ad una fase successiva
(come p.es. la perdita di p53 porta al carcinoma in sito ecc...)

Distacco
Il distacco è un fenomeno importante perché fa si che cellule di un certo tipo (epiteliali p.es) che
nella loro sede originale hanno diverse interazioni con le cellule circostanti, comincino a migrare
dopo essersi distaccate grazie all’azione di sostanze che alterano le interazioni della cellula.
Diverse sono le famiglie che possono operare per il distacco:
e. Molecole di adesione omeotipico le CADERINE… slides
f. Molecole di adesione eterotipico le INTEGRINE (per il 3° anno ricordate le lezioni delle
infiammazioni). Queste rappresentano una famiglia larga dimerica fra sub-unità alfa(18) e
beta(8)… slides
g. Le IMMUNOGLOBULINE rappresentano una famiglia di… slides
h. Le SELECTINE (E, P, ed L; le stesse molecole usate per comportamenti (1° incomprensibile),
infiammatorio, immunologico. E sono utilizzate da qualsiasi popolazione cellulare;
regolano…slides

Per quanto riguarda le CAMs coinvolte nel distacco quelli importanti sono:

Per quanto riguarda il ruolo delle CADERINE nell’inibizione di proliferazione da contatto, una fitta
interazione di e-caderina di 2 cellule diverse (calciodipendente) attiva l’oncosoppressore PTP-LAR
(quel strano Tirosin fosfatasi di cui ne ha parlato durante la lezione di onco soppressori) che
defosforala i recettori per la Tirosin chinasici egfr innattivandoli.

Quando queste caderine vengono mutate/delete (p.es. nei tumori) queste non riescono ad
attivare l’oncosoppressore e di conseguenza comincia la proliferazione/motilità/invasività.
L’invasione della membrana basale è quello che segue; transizione fondamentale dal carcinoma in
situ ad carcinoma invasivo.. questa transizione può essere sia estremamente veloce che lenta.. ciò
dipenda dalla natura del tumore (se proteolitico o meno).
La membrana Basale come
sappiamo è una membrana
importante che divide sia il
sangue dal tessuto che
l’epitelio dal sotto epitelio,
intorno ai neuroni ecc..
Struttura altamente
complessa composta da una
rete di laminina collagene e
fibrillina.
È ipospesso ma
assolutamente impermeabile
se non degradato.

Analizzandola nel contesto metastatico:

Collagene non fibrillare perché cosi si può piegare ed è più mobile/elastico


RGD è un importante tripletta di amino acidi che lega integrine come alfaVbeta3
Nel carcinoma della mammella abbiamo già detto che una fonte di MMP-9 è fondamentale nel
processo di espansione clonale che deriva dalla popolazione neutrofili che (input infiammatorio)
LE INTEGRINE
Nel contesto dei tumori le tight junctions, i desmosomi e così via formano delle giunzioni nella
porzione apicale della cellula e formano un complesso capace di interagire con diverse molecole
che stabilizzano e bloccano la capacità di muoversi, di differenziarsi e di proliferare.
Le integrine rappresentano le molecole che devono cambiare o possono cambiare nelle loro
funzionalità. Le molecole che sono piegate e inattive. Poi attraverso una segnalazione da dentro a
fuori, riescono a diventare attive cambiando la loro conformazione e sono in grado di legarsi ai
substrati attraverso interazioni.
Questa interazione avviene attraverso componenti intracellulari quali: talin e kindlin che formano,
una volta che legano i ligandi, dei complessi chiamati focul adision complex attraverso i quali le
chinasi possono essere attivate come FAK (più conosciuta come PK2), chinasi proveniente dalla
famiglia delle SRC, che hanno l’effetto quando vengono legate con le integrine a passare o a
trasdurvi un segnale.

Attraverso queste un interazione integrinica con un ligando, si può andare sia ad innescare o
indurre una motilità, si può promuovere sopravvivenza cellulare, proliferazione e
differenziamento.
Quindi queste sono molecole che una volta che si legano, le cellule diventano stabilmente
differenziate. Dipende tutto dal ligando che legano.

EMT
In questo contesto passiamo a discutere di questi cambiamenti a monte dei quali le cellule
epiteliali tumorali, derivati dall’epitelio, passano verso un fenotipo capace di staccarsi e muoversi.
Questo avviene con cambiamenti a livello delle molecole di adesione e viene conosciuto come un
evento chiamato EMT (epitelio mesenchimale transizione).
Questo processo è un processo di differenziamento dove avviene la conversione delle cellule
epiteliali polarizzate e immobili (con tutte queste giunzioni in azione) in cellule mesenchimali che
acquisiscono mobilità, ciò significa che questa è una specie di metaplasia indotta nelle sedi
tumorali.
L’EMT si trova durante lo sviluppo, guarigione e trasformazione metastatica, quindi ci sono 3 tipi.
Durante lo sviluppo, per esempio, c’è un EMT che corrisponde all’eliminazione della cresta
neurale. La cresta è una struttura che fornisce cellule in tutto l’organismo durante lo sviluppo che
vanno a formare per esempio lo scheletro, i melanociti, sistema periferico nervoso e così via.
Questo transitorio abbozzo durante lo sviluppo embrionale sparisce durante un evento di EMT che
fa si queste cellule che derivano dal neuroepitelio, ad un tratto diventano in grado di staccarsi da
dov’erano e di muoversi e migrarsi in tutto l’organismo. Questo è un esempio. I miofibroblasti che
si formano nelle guarigioni è un altro esempio di EMT. Il carcinoma derivato dall’epitelio affetto
dalle metastasi è dovuto a questi processi.
Ci sono altri meccanismi di gruppi di cellule che si staccano, per esempio a causa di una struttura
vascolare adiacente, ed entrano nel circolo senza avere bisogno solo di movimenti meccanici.
Però nel contesto di una progressione, la maggior parte dei carcinomi cambiano fenotipo durante
queste fasi che permettono il cambiamento dell’espressione genica. Questo permette loro di
staccarsi, perdere il loro contatto di adesione omotipica e di cominciare ad essere in grado di
muoversi usufruendo di recettori di natura integrinici. Durante un processo metastatico, EMT può
esser transitorio ritornando al fenotipo più o meno epiteliali come abbiamo dimostrato
istologicamente nel percorso metastatico.
Il processo è regolato da diversi fattori che includono fattori trascrizionali che vengono chiamati
Slug, Snail,Twist, TGF-β (quindi citochine capaci di promuovere una parte di espressione genica in
associazione con tumori in espansione, promuovendo e facilitando queste transizioni) e anche
metallo proteasi come MMP3, MMP9 (che attraverso degradazione dei loro substrati rendono
l’ambiente meno promotore del differenziamento che facilita una differenziamento cellulare). C’è
anche fattore KLF8 ed è uno dei componenti del sistemi FAK.
Questo evento si associa con la riduzione dell’espressione delle molecole che mediano adesione
omotipica cellula-cellula, es: E-caderina che può formare una forma molto meno adesiva, la N-
caderina.
Con l’incremento di markers mesenchimali come vimentina e molecole come N-CAM, cioè più
embrionali e meno adesive. Quindi ci sono cambiamenti nell’interazione cellula-cellula che
permette alle cellule di fondersi o di staccarsi l’una dall’altro. Questo evento promuove l’invasione
tumorale e il processo metastatico e spesso questo tipo di fenotipo si associa con l’espressione di
Markers di staminalità e può essere una sottopopolazione di cellule tumorali.
Le cellule che si muovono indipendentemente, che rappresentano la maggioranza dei tumori, non
sono in proliferazione, quindi sono insensbili a fattori chemioterapeutici, perché non si stanno
dividendo. Ti rendi conto che in proliferazione assumono una forma rotonda, solubilizzano le
membrane nucleari e quindi l’invasione lo avverti in cellule fuori dalla sede. Significa che queste
popolazioni hanno adottato uno stato di quiescenza e quindi sono insensibili a farmaci.
Integrine importanti nell’EMT guidati da Ras
Per quanto riguarda alle integrine che sono state identificate troviamo: α2, β1, α5β1, α V β 1, α 2
e così via. Sono stati trovati di essere importanti nell’IMT e nella capacità adesiva e motile di
cellule tumorali invasive. Sono associate con determinate molecole
α6β4, β1, α3β1, α6β1 sono recettori per la laminina
α2β1 per collagene
α5 β1 e αVβ 1 e αVβ3 sono tutti in grado di legare RGD che sono recettori per qualsiasi
molecola che contiene una sequenza RGD

L’ipotesi dei 3 Stadi di invasione della membrana basale


• il primo stadio richiede l’adesione cellulare alla membrana basale
• il secondo stadio richiede la degradazione della membrana basale per facilitare il passaggio
• il terzo stadio richiede la migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice stromale
dopo la degradazione della membrana basale
Questo semplifica l'idea che c'è sempre un interazione tra le cellule tumorali e le invasioni con i
componenti della membrana basale e con le matrici circostanti. Però c'è un passo fondamentale
per un evento invasivo ovvero che la membrana basale sparisce.
Per invadere, la cellule neoplastica aderisce a componenti della membrana basale e comincia a
modificarla ed a utilizzarla come un supporto per la propria migrazione. Attraverso interazioni con
αVβ3,α5β 1, RDG, i recettori per la laminina, α6β4, facilitano queste interazioni. Importante
ricordare che le cellule per muoversi hanno bisogno di appoggi, di un supporto.

Adesione alla membrana basale


I recettori di adesione che legano componenti della matrice extracellulare coinvolta nell’invasione
tumorale e includono recettori integrinici αVβ3 e α5β1, legano componenti della matrice
extracellulare tramite la sequenza arginina glicina aspartato. I peptidi RGD e anticorpi vanno
contro αVβ3 o α5β1 e inibiscono l’adesione all'invasione tumorale in vitro e le capacità di formare
metastasi in modelli animali sperimentali in vivo.
Ci sono recettori integrinici e non integrinici che legano la laminina tramite sequenze come IKVAV
e YIGSR e peptidi circolari prodotti in vitro sono stati trovati per inibire l'adesione ad invasione
tumorale in vitro e hanno anche la capacità di formare metastasi in modelli animali sperimentali.
Questo tipo di molecole sono anche utilizzate per bloccare la capacità di cellule ad interagire con
componenti della matrice allo scopo di rallentare le progressioni tumorali.
Inoltre, sia integrine αVβ3 che α5β1 che sono i recettori per la laminina, sono in grado di indurre
l'attività collageno-litica del tipo 4, quindi gli stessi recettori possono legare ed attivare metallo
proteasi suggerendo un ruolo sia nell’adesione che nel processo di degradazione della membrana
basale.
Quindi c'è un meccanismo di turnover di recettori che competono per proteasi e componenti della
matrice che quando legano proteasi attive degradano la membrana basale. Quando invece legano
le molecole provenienti dalla membrana basale degradata si muovono ( perché ovviamente con
l’adesione non si muovono quando sono aderenti) e quindi qual è il meccanismo che permette alle
cellule di interagire con componenti della matrice e di utilizzarlo come una superficie sopra il quale
possono muoversi?
Ovviamente il movimento dipende da meccanismi che stimolano la locomozione chemiotattica e
chemiochinetica, quindi l'ambiente viene anche sviluppato nel senso di invasione con l'espressione
di molecole chemiotattiche che attivano e quindi facilitano questo movimento mentre le cellule
sono aderenti e degradano la matrice basale.
La degradazione della membrana basale
Essa dipende da una cascata proteolitica che coinvolge le metallo proteinasi e il sistema del
plasminogeno che degradano i componenti maggiori della membrana basale. La metallo proteinasi
rsppresentano una famiglia di oltre 25 membri sono zinco-dipendenti e formano diversi
sottogruppi: i gelatinasi, collagenasi stromalisine e anche metalloproteinasi legato alla membrana
chiamato membrane-type MMP.
Sono secreti in forma inattiva e attivati dopo la mozione di un frammento N-terminale.
Sono inibiti da parte di inibitori specifici naturali TIMP e agenti chelanti di ioni bivalenti zinco,
calcio e farmaci e come Batismat e Marimistat.
Sono in grado di degradare componenti della matrice extracellulare e sono indotti da oncogeni,
fattori di crescita e promotori tumorali sono anche forniti da popolazioni e leucocitarie TAMs e
TANs.
I substrati con determinati attivatori si trovano nei seguenti tumori:

Il Plasminogeno è fondamentale in questa fase, è uno zimogeno circolare che viene convertito
nella plasmina attraverso l'attività di due principali meccanismi di attivazione quello del urochinasi
e l'altro del tipo tessutale (attivatori di plasminogeno) e cellule tumorali spesso possiedono
recettori che legano plasminogeno urochinasi e anche attivatori del plasminogeno tessutale sulle
loro superfici dove quindi possono attivare la plasmina in una maniera cellula-dipendente.
Alternativamente, le cellule tumorali secretano sia uPA che TPA che insieme ai cofattori. Il
plasminogeno tissutale ha bisogno di collageno di tipo 4 e la lamina per aumentare la sua capacità
attivatoria, tuttavia si può avere comunque l'attivazione in sedi tumorali in forme solubili non
membrano-associato detta attivatore di plasminogeno e generano la plasmina.
L'evidenza di un ruolo nel sistema del plasminogeno nell’invasione include che l’inibitore della
plasmina o gli attivatori del plasminogeno inibiscano l'invasione e metastasi. Il plasminogeno
stimola l'invasione tumorale dipendente dall’attivatore di plasminogeno, quindi aumentando le
quantità di plasminogeno le cellule invadono di più.
Attivatori del plasminogeno sono sovraespressi in tumori maligni in vivo ed espressi anche in
cellule tumorali in vitro.
La plasmina degrada le componenti della membrana basale e attiva i metallo proteinasi e
l’inibizione dell'interazione fra urochinasi con il suo recettore UPAR. Un plasminogeno inibisce la
capacità di formare metastasi quindi oltre che alla metallo proteinasi ha un ruolo fondamentale il
plasminogeno nel processo di metastasi.
Interazione tra MMP ed il sistema del Plasminogeno
Il plasminogeno sistemico viene ad incontrare attivatori del plasminogeno proveniente sia dallo
stroma che dal tumore e PRO-MMP, quindi metallo proteinasi viene rilasciato in forma inattiva
dallo stroma del tumore.
Gli attivatori inducono l’alterazione della plasmina (quindi c'è una forte attività serina proteasica) ,
questa è in grado di attivare lo zimogeno metalloproteinasi in forma attiva che va a degradare
componenti aderenti e rendere l'ambiente pro-invasione attraverso l'eliminazione di barriere della
matrice e l'attivazione di componenti che formano un ambiente proEMT ed invasione. Però c’è
anche un feedback negativo che fa sì che la plasmina può essere degradata una volta che è attivata
MMP3, per esempio, che degrada la plasmina in domini Kringle Angiostatina.
L’angiostatina che rappresenta un frammento della plasmina plasminogeno, separa il sito catalitico
dei domini kringle, essi rappresentano i componenti necessari sia per l'attivazione del
plasminogeno sulle superfici delle cellule anche in soluzioni, sia anche a livello della plasmina da
substrato-specificità, perché i domini che legano i substrati devono essere degradati dalla
plasmina come la fibrina.
Una volta che quei domini Kringle vengono forniti al sistema, questo blocca l’attivazione del
plasminogeno e inibisce l'attività della plasmina, si tratta quindi di un feedback negativo che
blocca l'attività di plasmina quando c'è una sufficienza di angiostatina.
Questo spiega l'osservazione fatta da Volkman il quale notò che durante l’ eliminazione di un
tumore primitivo nel suo modello animale, le metastasi crescevano a causa dell’eliminazione del
angiostatina prodotto nelle sedi primitive attraverso la degradazione del plasminogeno e plasmina
che bloccava in sedi periferiche la crescita metastatica.
Eliminandola, le cellule metastatiche micro-metastasi avevano l'opportunità nella mancanza di
angiostatina domini Kringle di plasminogeno ad attivare una crescita dovuta ad un angiogenesi
indotta.
Alterazione nell’equilibrio fra proteasi e inibitori
Le alterazioni nell'equilibrio sono uguali a quelli dell’angiogenesi la degradazione della membrana
basale e le invasioni tumorali ed angiogenesi dipendono dal cambiamento nell'equilibrio fra
inibitori TIMP e PAI, TIMP per metalloproteinasi e PAI per gli attivatori di plasminogeno, e gli
enzimi MMP attivatori plasminogeno e plasmina.
Una volta che quell’equilibrio viene sregolato c'è la potenzialità di andare in avanti ma questo
viene controllato quando diventano espressi in maniera differenziale di proteasi e inibitori. Quindi
ci sono oncogeni attivati che cominciano a sregolare l’espressione fra proteasi e i loro inibitori
squilibrando e aumentano quando l'espressione in una maniera aberrante delle proteasi senza
inibitori.
con i meccanismi che includono per esempio metallizzazione del gene e inibitori e neuroblastoma,
per esempio, c'è una IMT verso uno stato staminale che aumenta l'espressione di MP 9
proveniente dalle cellule tumorali in condizioni dove gli inibitori delle metalloproteinasi TIMPA i
geni sono repressi quindi c'è una forte stimolo di attività proteolitica.
Degradazione inibitori
C'è anche la capacità di degradare gli inibitori in un ambiente infiammatorio nella stasi
proveniente dai neutrofili degradano inibitori delle metalloproteinasi TIMP 1 .
Protezione contro inibitori
Come urochinasi ed è protetta contro il suo inibitore quando si lega al recettore UPAR quindi
l'attività può andare in avanti anche della presenza di inibitori e tante cellule tumorali esprimono
UPAR.
Inattivatore degli inibitori
ci sono meccanismi che inattivano inibitori espressi, i TIMPs ma non le metalloproteinasi, sono
inibiti da sistemi redox e questi si possono anche trovare nell’ambiente extracellulare, spesso sono
pensati per essere esclusivamente intracellulari però ci sono sistemi redox che sono simili nel loro
comportamento di citochine pro infiammatorie o come interleuchina 1β che vengono secreti in
una maniera anomalo attraverso l’apparato di Golgi , la tirodossina è un esempio, è un’ enzima
redox che viene anche segreto in sedi tumorali in una maniera simile all’ interleuchina 1β
rendendolo un ambiente sensibile all'esterno della cellula a cambiamenti nello stato di
ossidazione.
sequestrare gli inibitori.

Motilità delle cellule


Fattori della matrice extracellulare
Per quanto riguarda la motilità delle cellule una volta che riescono a degradare e usufruire dei
componenti provenienti dalla membrana basale per muoversi, ci sono interazioni che promuovono
il movimento. Vi sono fattori della matrice extracellulare che promuovono motilità.
La laminina è un prodotto aptotattico quindi anche se presente in forma degradata stimola un
movimento attraverso il quale le cellule si muovono e viene usato come un substrato di aderenza
per muoversi.
Per questo la laminina spesso continua ad essere espressa nelle cellule invasive che ovviamente
sono cellule che nel contesto nell’epitelio si posiziona nella membrana basale. Quindi continuano a
esprimere componenti ma non hanno la capacità di depositarle effettivamente come una nuova
barriera e quindi forniscono all’ambiente una specie di membrana basale tumorale non associabile
in termini molecolari.
La catena Alfa 5 della lamina degradata è potente a stimolare la motilità ed invasività delle cellule
tumorali.
L’Entactina che regola la motilità ed invasività delle cellule tumorali.
I componenti della matrice come acido ialuronico sono in grado di stimolare la motilità ed
invasività tramite il recettore per acido ialuronico CD44 spesso espresso nelle cellule tumorali.
Fattori autocrini della motilità
Sono diverse molecole che sono state identificate e purificate e mostrano come i tumori (come
melanoma e in particolare il neuroblastoma) esprimono molecole auto tattiche come:
l’AMF (cioè glucosio 6 fosfato isomerasi) identificato in fattori di auto motilità espresse e secrete
dai melanomi.
L’autotassina, identificato nei neuroblastoma e melanomi come un fattore in grado di stimolare la
motilità delle cellule e in maniera casuale.
l'acido al uno ialuronico e CD44 .
ci sono poi le proteasi che legano fattori integrinici come alfa V beta 3
Upa/PAI1 lega e regola l’adesione e l motilità legandosi alla vinectina (RGD-dipendente)
MMP-2 lega αVβ3 e regola l’adesione e motilità RGD dipendente e promuove l’attivazione di
MMP-2
MMP-9 lega α4β1, CD44 o Ku70/80 promuovendo motilità ed invasività MMP-9 dipendente
altri fattori:
chimochine infiammatorie come CXC-
il recettore CXCR4 implicato nel processo metastatico
Lezione del 10.12.2020

Transizione epitelio-mesenchimale (EMT)

È il processo mediante cui cellule epiteliali, normalmente immobili e polarizzate, si convertono in cellule
mesenchimali mobili e non polarizzate; acquisendo motilità, queste cellule sono in grado di abbandonare la
sede d'origine e diffondersi nell'organismo: ovvero, creano metastasi.

È un processo osservabile in tre occasioni:

• Durante lo sviluppo embrio-fetale, nel contesto della cresta neurale (EMT di tipo 1);
• Durante i processi di guarigione (tipo 2);
• Durante la metastatizzazione (tipo 3). In questo caso, può anche rappresentare un fenomeno
transitorio: alla fine del processo, la cellula coinvolta subisce il processo inverso, tornando epiteliale.
La regolazione dell’EMT coinvolge i seguenti fattori trascrizionali:

• Slug;
• Snail;
• Twist;
• TGF-beta (una citochina);
• MMP-3, MMP-9 e KLF8 (metalloproteasi);
• Un componente dei complessi adesivi delle chinasi.
EMT comporta anche alterazioni a carico dell’espressione di alcune molecole:

• Caderine di tipo 1 → decisamente adesive, inibiscono la motilità: la loro espressione si riduce.


Esempi: E-caderina, N-caderina;
• Caderine di tipo 2 → meno adesive, favoriscono la motilità: la loro espressione aumenta. Esempi:
caderine 6, 7 e 8;
• Aumentano inoltre i marcatori mesenchimali come la vimentina e la N-CAM.
Acquisita la motilità, le cellule devono superare alcuni ostacoli per poter effettivamente migrare, il primo dei
quali è rappresentato dalla membrana basale.

L’ipotesi dei tre stadi di invasione della membrana basale

1. Adesione cellulare alla membrana basale, per mezzo di recettori integrinici (per esempio alfa-5-
beta-3, alfa-5-beta-1) e non;
2. Degradazione della membrana basale: essa è normalmente impermeabile alle cellule;
3. Migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice stromale.

Stadio 1: Adesione alla membrana basale

Avviene attraverso il legame con varie componenti della matrice extracellulare:

• Il legame della sequenza RGD con le integrine alfa-5-beta-3 e alfa-5-beta-1, inibisce l’adesione e
promuove l’invasione tumorale in vitro, nonché la capacità di formare metastasi in modelli animali
sperimentali in vivo;
• Le sequenze IKVAV e YIGSR legano la laminina, inibendo la capacità di invasione tumorale e la
formazione di metastasi sia in vitro che in vivo.
Stadio 2: Degradazione della membrana basale

Dipende da una cascata proteolitica che coinvolge metalloproteinasi e il sistema del plasminogeno.

Metalloproteinasi

Le metalloproteinasi appartengono ad una famiglia di 25 membri, -Zn++ dipendenti, tra cui gelatinasi,
collagenasi, stromalisine, membran-type MMP…

Secrete in forma inattiva, vengono attivate in seguito alla rimozione del frammento N-terminale.

Possono essere inibite mediante inibitori naturali (TIMP), agenti chelanti e farmaci quali batismastat e
mermistat, sebbene non sempre funzionino dal momento che le cellule tumorali si avvalgono di potenti
meccanismi di “protezione”.

La loro induzione avviene invece ad opera di oncogeni, fattori di crescita e promotori tumorali, talvolta
forniti dalle stesse popolazioni leucocitarie (TAMs, TANs).

Sistema del plasminogeno

Quando il plasminogeno è presente in quantità di saturabilità, offre un substrato per attivatori urochinasici
(uPA) e attivatori tissutali (tPA). L’attivazione può avvenire secondo due modalità: attivazione pericellulare
e attivazione in soluzione.
Nel primo caso, si stabilisce, sulla superficie della cellula tumorale, un'interazione tra gli attivatori suddetti e
i recettori corrispondenti:

• Recettori UPAR (per gli attivatori urochinasici) e recettori per tPA;


• Inibitori PAI-1 e PAI-2;
• Recettori per il plasminogeno.
L’attivazione in soluzione prevede l’interazione degli attivatori con cofattori della matrice, quali collagene-
IV, laminina, eccetera… Spesso i due meccanismi procedono contemporaneamente al fine di amplificare il
processo di attivazione del plasminogeno.

Il ruolo del sistema del plasminogeno si spiega come riportato:

• Inibitori della plasmina e attivatori del plasminogeno inibiscono l’invasione metastatica;


• In altri casi, il plasminogeno stimola l’invasione tumorale in maniera dipendente dagli attivatori del
plasminogeno;
• Attivatori del plasminogeno sono spesso sovraespressi nei tumori maligni osservati in vivo e nelle
cellule tumorali in vitro;
• La plasmina degrada le componenti della membrana basale e attiva metalloproteasi;
• L’inibizione delle interazioni tra uPA e il recettore UPAR, blocca la formazione di metastasi.

Interazione tra il sistema del plasminogeno e le metalloproteinasi

1. Il plasminogeno facilmente raggiunge, attraverso il plasma, la sede tumorale;


2. La cellula tumorale è in grado di secernere pro-MMP e attivatori del plasminogeno;
3. Gli attivatori del plasminogeno secreti possono dunque attivare il plasminogeno sistemico in
plasmina;
4. La plasmina attivata può a sua volta attivare le MMP presenti in forma di precursori (pro-MMP →
MMP-att) eliminando il dominio propeptidico;
5. Plasmina e MMP-att promuovono la degradazione della membrana e l’invasione tumorale;
6. Tale sistema è controllato da meccanismi a feedback negativo: le MMP-att sovraespresse, separano
i domini Kringle (domini catalitici per l’attivazione della plasmina);
7. I domini “dispersi”, si rendono disponibili per il legame con altre molecole che inibiscono
l’angiogenesi nel tessuto tumorale.
Queste teorie hanno trovato evidenza a partire da un esperimento in cui si paragonavano due gruppi
animali, uno con un tumore primitivo e l’altro in cui il tumore era stato asportato tramite chirurgia: il
secondo gruppo moriva precocemente di metastasi a differenza del primo. Questo dimostrava che il
tumore allo stadio primitivo è in grado di “auto-inibirsi” producendo inibitori dell’angiogenesi nelle
metastasi.
Alterazioni dell’equilibrio tra proteinasi ed inibitori

• Espressione differenziale di proteinasi e/o inibitori, in base ai fattori trascrizionali presenti o ad


eventuali alterazioni a carico dei promotori di tali molecole (per esempio modificazioni
epigenetiche);
• Degradazione degli inibitori (per esempio l’elastasi proveniente dai neutrofili degrada TIMP-1:
spesso quando sono presenti tumori si osserva anche un aumento a carico dei neutrofili);
• Protezione contro inibitori (per esempio il legame tra uPA e UPAR protegge uPA contro PAI-1, suo
inibitore);
• Inattivazione degli inibitori attraverso la riduzione dei ponti disolfuro (per esempio TIMPs, ma non
MMPs, sono inibiti dal sitema redox). I sistemi redox lavorano attraverso enzimi come la tirodossina
riduttasi: tanti tumori comportano la secrezione di tirodossina, attraverso meccanismi simili a quelli
di secrezione delle citochine, negli ambienti circostanti;
• Sequestro degli inibitori.
Fattori di motilità autocrina. Ci
sono altri fattori che sono stati
identificati che fanno un
feedback positivo su sé stessi, un
meccanismo autocrino della
motilità, identificabili come
“autocrine motility factor”,
acronimo “AMF” riconducibile al
glucosio-6-fosfato isomerasi, il
quale infatti è stato in grado,
quando somministrato, di
stimolare l’attività delle cellule
del melanoma. I melanomi sono
fra i tumori più veloci, a
confronto di altri tumori le
cellule del melanoma, infatti,
impiegano poco tempo per
muoversi e cominciare ad assumere un carattere metastatico. Il tempo necessario è di poche settimane, a
differenza di molti altri tumori solidi che impiegano mesi o anni per metastatizzare. Perciò è molto
importante essere molto scrupolosi nel controllo della formazione di melanomi. Sono anche facilmente
visibili a livello della cute. Essendo molto aggressivi e veloci ad invadere i tessuti circostanti è molto
importante che una volta identificati i melanomi vengano eliminati subito. Altro fattore è l’ Autotassina,
fosfodiesterasi, espressa nel melanoma e nel neuroblastoma, in grado di indurre la motilità in maniera quindi
chimocinetica. Un altro fattore di motilità autocrina è l’acido ialuronico con il recettore CD44, secreto
rilasciato da cellule del melanoma che possiedono recettori e lo usano per muoversi. Ci sono poi proteasi che
legano integrine: Urochinasi e suoi inibitori legano e regolano l’adesione e la motilità legandosi alla
vitronectina in maniera RGD-dipendente. La MMP-2, metallo proteinasi 2, lega l’integrina Vβ3, la quale a sua
volta regola l’adesione e la motilità in maniera RGD dipendente, in competizione con altre molecole.
Promuove inoltre l’attivazione di MMP-2. MMP-9 lega l’integrina αβ1, CD44 e Ku70/80: è un trio che dà
come risultato motilità e degradazione della matrice.

Saggio d’invasione usando il Matrigel (estratto di membrana basale)

E’ un saggio che coinvolge una camera più o meno costruita come la camera di Boiden, la quale viene
utilizzata come analisi per l’attività chemoattraente, la sola differenza in quel set up dell’ invasione è che la
camera di Boiden è utilizzata “senza invasione”, non utilizza cioè una membrana di matrice sopra il filtro; per
quanto riguarda i saggi con invasione invece, come in questo caso, viene applicato uno strato di membrana
basale composto da laminina, entactina e collagene di tipo IV che offrono una barriera che le cellule tumorali
devono obbligatoriamente attraversare, raggiungendo un terreno sottostante con o senza chemoattraenti.
A quel punto si possono marcare le cellule e andare ad analizzare la quantità di cellule che hanno attraversato
la membrana. Tale membrana ha lo scopo di identificare gli agenti e le condizioni che promuovono l’invasione
tumorale.
Una volta che le cellule tumorali provenienti dall’epitelio hanno superato la membrana basale, c’è la
possibilità che usufruiscano di attività proteolitica ma non necessariamente. Attraverso l’analisi di inibitori di
proteasi, ci si è resi conto che anche se le cellule non invadono in presenza di un inibitore della proteinasi,
alcune migrano in maniera proteoliticamente indipendente. Trovano un modo più facile per muoversi: se ci
sono difetti nella matrice extracellulare, si può avere un’invasione proteoliticamente indipendente. Al
contrario una rigidità nella matrice extracellulare dovuta al “cross-linking” covalente riduce l’invasione
proteasi indipendente.
Recentemente è stato osservato un fenomeno interessante negli elefanti. Essi hanno una struttura nella
matrice extracellulare molto abbondante ed un fenomeno di cross-linking molto molto forte, il risultato è
che per le cellule è molto più difficile migrare, raramente infatti subiscono tumori primitivi e quasi mai
metastatici. Adesso la ricerca si sta focalizzando anche sugli elefanti per vedere esattamente qual è la
componente nella loro matrice extracellulare che può bloccare per i processi tumorali umani. E’stato
evidenziato che la matrice è particolarmente importante in quel contesto. La matrice offre strutture più
facilmente invadenti rispetto ad altre, rendendo sempre una possibile migrazione di una sottopopolazione in
maniera proteoliticamente indipendente.

Intravasazione e strade di disseminazione


Una volta che le cellule
invadono la struttura, la
neovascolarizzazione
offre una strada più facile
per la disseminazione dal
punto di vista tumorale. I
vasi neoformati nei
contesti dei tumori sono
spesso emorragici, non
sono costituiti da una
membrana basale
efficace; le cellule
endoteliali non si
differenziano in modo
giusto: è molto probabile
avere un’ invasione in
quello stadio. Una volta
che le cellule tumorali
invadono, hanno sempre più la possibilità di entrare nella circolazione sistemica: questa è la via attraverso
cui avverrà la disseminazione. La via più frequentemente utilizzata per la disseminazione tumorale è senza
dubbio la via linfatica. I capillari linfatici infatti irrorano qualsiasi letto tumorale e vengono anche indotti, c’è
una linfoangiogenesi che si associa a mano a mano con una angiogenesi tumorale. Qui i nuovi sistemi linfatici
tumorali non sono ben formati e facilmente individuabili, anche perché non hanno un flusso di sangue a
differenza dei vasi sanguigni. Altra caratteristica differenziativa rispetto ai vasi sanguigni è che i vasi linfatici
sono formati per attirare i liquidi interstiziali e successivamente riportare il liquido a livello del sangue.
E’ la via principale attraverso cui c’è la metastasi, ragione dietro la quale in sede di chirurgia oncologica si
vanno ad identificare linfonodi sentinella. Essi sono facilmente individuabili usufruendo di una sonda radio
marcata, inoculandola direttamente in sedi tumorali, e infine visualizzando tramite un rilevatore di
radioattività dove si sono accumulati questi radioisotopi: quelli più vicini al tumore, dove c’è un accumulo,
sono i linfonodi sentinella del letto tumorale.
Una volta individuati i tumori, vengono biopsizzati i linfonodi sentinella, per identificare se sono presenti
metastasi linfonodali o comunque cellule arrivate in sedi linfonodali. A quel punto il chirurgo può decidere o
meno se eliminare la rete linfonodale attorno al tessuto. Questa viene poi utilizzata nella diagnosi della
stadiazione tumorale. Questo illustra il fatto che il sistema linfatico è la strada tramite cui le cellule tumorali
disseminano.
La via ematica, è un’altra potenziale strada di disseminazione: infatti la linfa sfocia nei vasi sanguigni, o
comunque si può sviluppare un processo di metastasi direttamente nel letto vascolare. Raggiunta la via
ematica, direttamente o meno, le cellule tumorali possono raggiungere tutti i distretti del corpo. Nel
raggiungimento di un vaso sanguigno da parte della cellula tumorale, sono coinvolti enzimi proteolitici che
degradano la sottile lamina dei capillari. Gli stessi enzimi sono presenti anche nel processo infiammatorio.
Altra via è la via canalicolare che interessa i dotti escretori delle ghiandole esocrine, nelle quali ha sede il
tumore primitivo. Esempio: adenocarcinomi papilliferi della pelvi renale danno metastasi della vescica
attraverso l’uretere. C’ è ancora la via transcelomatica caratterizzata da disseminazioni nelle cavità sierose,
esempi sono i tumori polmonari dell’esofago e della mammella attraverso la cavità pleurica o dei tumori dello
stomaco, tumori a ovaie o intestino attraverso la cavità peritoneale.
Vediamo un video che illustra un modello dell’invasione tumorale, ciò che succede quando le cellule tumorali
si muovono. Al centro della scena è presente una struttura vascolare con cellule endoteliali, fuori dalla
struttura vascolare sono visibili cellule tumorali che si stanno muovendo attraverso la matrice circostante; ci
si rende conto della tipologia di movimento: uno dei più comuni è “a singola cellula” o “a catena”, dove una
cellula leader va ad aprire una strada e le altre la seguono. E’ un movimento di cellule tumorali, che quindi
non si stanno dividendo. La mitosi inibisce le capacità di motilità perché degrada i componenti del
citoscheletro, mentre le cellule vanno avanti con il ciclo. Non si associa con la mitosi: se vengono bloccate in
un determinato luogo, l’ambiente può fornire, intrappolandole, la possibilità di una nuova proliferazione, ma
quando si muovo non si dividono,concetto importante.
Un secondo video illustra l’ intravasazione: la cellula tumorale ha acquisito la capacità di intravasazione, si
vede una cellula tumorale in movimento e pseudopodi caratteristici, molto lunghi e fusiformi. Trovano lo
spazio per invadere e si portano verso il vaso. Un altro esempio di cellula tumorale di carcinoma della
mammella che sta provando a farsi spazio e sta intravasando: ha una capacità incredibile di spostare le cellule
endoteliali e di guadagnare accesso, si porta nel flusso assiale e giunge nel punto finale.

Nella circolazione. Una volta che le cellule tumorali hanno raggiunto la circolazione ematica, sia attraverso la
via linfatica oppure direttamente, il processo di metastatizzazione non è ancora finito. Esse incontrano altre
barriere che fanno in modo che meno di 1 su 10.000 cellule tumorali circolanti formino metastasi. In realtà
anche meno di 1 su 10.00 perché gli studi utilizzano cellule tumorali selezionate appositamente per essere
metastatiche che vengono poi iniettate sia nel sistema venulare che arteriolare o iniettandole direttamente
nel cuore. Quindi, le cellule devono: evadere dapprima le difese dell’ospite presenti a livello della circolazione,
arrestarsi nella microcircolazione dell’organo dove possono formare metastasi, extravasare, crescere nel sito
metastatico (non sempre facile perché spesso le metastasi sono organo-specifiche quindi ci sono determinate
strutture entro le quali le cellule metastatiche non si dividono bene perciò non si formano metastasi, altri
organi invece vengono colonizzati più facilmente).
Meccanismi di evasione dell’ospite a questo livello includono:
- Aggregazione e/o formazione di trombi tumorali (costituiti da cellule tumorali, leucociti e piastrine;
solitamente le cellule tumorali più in superficie vengono distrutte ma quelle più centrali sono protette)
- Sotto regolazione delle proteine dell’MHC e/o rilascio di vescicole di membrana per
evadere la rivelazione, così che le cellule dell’immunità vengano dirottate verso queste vescicole piuttosto
che verso la cellula stessa (similmente a quanto avviene quando, in guerra, un aereo rilascia particelle
metalliche/magnetiche per dirottare i missili)
- Inattivazione delle componenti del sistema del complemento (ad esempio, le metalloproteinasi MMPs
hanno specificità per componenti del complemento come C1q che viene degradata e non può dare inizio alla
via classica del complemento); inoltre le cellule tumorali come le cellule normali dell’ospite tendono a
produrre molecole che inibiscono, se il complemento viene attivato in sede tumorale, la formazione del MAC
(complesso di attacco alla membrana), usufruiscono di molecole fisiologiche come CD59, CD46 ed altre, per
bloccare l’attività del complemento e spesso sono sovraespressi nelle cellule tumorali bloccando il
complemento attivato
- MMP9 degrada il recettore dell’IL2 (IL2R) sulle cellule T. L’IL2 promuove la proliferazione e l’espansione
clonale delle cellule T che possiedono il T cell receptor. Quindi, se il recettore per l’IL2 viene degradato
L‘espansione clonale è impossibile. Inoltre MMP9 degrada ICAM1 impedendo il reclutamento leucocitario e
degrada l’integrina beta2 (CD18) inibendo il reclutamento dei macrofagi
- Protezione contro l’apoptosi mediata da citochine come fas e TNFalfa dovuta all’attivazione oncogenica (es.
sovraespressione Bcl-2 antiapoptotico) o inattivazione degli oncosoppressori (es. p53)

Altri meccanismi di evasione della sorveglianza immunologica:


- degradazione della proteina surfactante D limitando la sorveglianza Surfactante D-dipendente e
aumentando la suscettibilità ad infezioni
- Aumento della quantità di cellule dendritiche tollerageniche in grado di aumentare il numero di cellule T-
regolatorie intorno che sopprimono cellule T citotossiche CD8+
- Ematopoiesi iperattiva VEGF-mediata che aumenta il numero delle cellule mieloidi soppressori della
proliferazione ed attivazione delle cellule T, riducendo la sorveglianza immunologica

Arresto nella microcircolazione distante, extravasazione e crescita metastatica.


La maggior parte delle cellule tumorali circolanti (aggregate o trombi) si arrestano meccanicamente nel primo
letto microcircolatorio che raggiungono (polmoni per numerosi tumori o fegato per tumori intestinali).

Altri tumori esibiscono una


preferenza di organo non spiegabile da questo meccanismo (Teoria di Pagett). Di seguito sono elencate sedi
specifiche per determinati tumori.

Meccanismi proposti per la


selezione delle sedi metastatiche includono:
- Arresto, attraverso affinità specifica tra molecole di adesione tumorali e cellule endoteliali nella
microcircolazione o della matrice extracellulare dell’organo interessato.
- Extravasazione, molecole prodotte da organi diversi possono stimolare la motilità quindi promuovendo
l’invasività delle cellule tumorali circolanti (chemoattrazione).
- Crescita (teoria di Pagett), la capacità di crescita nel parenchima dell’organo bersaglio dipende da tale organo
che potenzialmente può essere preparato come un sito metastatico.
Crescita metastatica: ipotesi “Seme e Terreno” di Pagett.
La crescita delle metastasi in maniera organo-specifica dipende dalla capacità delle cellule metastatiche
(seme) di crescere nel tessuto (terreno) appropriato.
Evidenze dalla letteratura:
- le cellule tumorali mostrano diversi gradi di crescita in organi diversi dipendenti dal grado di proliferazione
e apoptosi (Colombo et al., 2000)(alcuni organi spingono di più verso l’apoptosi)
- l’efficienza metastatica dipende dagli eventi post-extravasali e la crescita metastatica aumenta negli organi
specifici (Comaran et al., 2000)
- Micrometastasi si formano in tutti gli organi ma crescono in alcuni e non in altri dove sono solo transitorie
(Colpatal et al., 1999)
- Cellule tumorali (marcate) di alta e bassa capacità metastatica arrivano ai siti secondari ed extravasano ad
alta frequenza, con la differenza metastatica dipendente dalla capacità di colonizzare (Chambers et al.; 2000)
(anche cellule normali come fibroblasti embrionali riescono ad extravasare ma ciò che fa la differenza rispetto
alle tumorali è la capacità di colonizzare, infatti le cellule normali vanno incontro ad apoptosi)
- L’angiogenesi è richiesta per la crescita delle micrometastasi in metastasi

Arresto specifico
- Peptidi come RGD sintetici (presenti in molecole come fibronectina, entactina e diverse molecole della
matrice extracellulare), YIGSR e IKVAV (della laminina) inibiscono l’adesione fra cellule tumorali e matrice
extracellulare in vitro (inibizione recettoriale) e metastasi polmonare in vivo, dimostrando che l’arresto
specifico integrinico dipendente dai recettori della laminina è importante.
- AlfaVbeta3 sulle cellule tumorali prostatiche o della mammella e osteopontina e bonesialoproteina della
matrice dell’osso arresta le cellule tumorali a livello dell’osso. Quindi, se le cellule tumorali sono in circolo e
poi entrano nel microcircolo dell’osso possono incontrare molecole che le intrappolano e ciò aiuta a spiegare
perché cellule tumorali prostatiche o della mammella spesso danno metastasi a livello dell’osso.
- ICAM1 e/o le selectine (es. ELAM) sulle cellule endoteliali possono legare LFA-1 (integrine) o carboidrati sulle
cellule tumorali regolando la preferenza metastatica ai siti di infiammazione o altri siti. Quindi, è stato
scoperto in modelli anche umani che i tumori spesso danno metastasi in luoghi in cui c’è infiammazione
(chemoattrazione).
- Usufruendo di metodologie molecolari come “Phage display”, cioè una libreria di molecole di adesione
provenienti dal cDNA, sono stati identificati peptidi che legano specificamente cellule endoteliali del
microcircolo del cervello e del rene sostenendo la possibilità che cellule tumorali possano interagire
specificamente con cellule endoteliali in maniera organo specifica. Quindi, molecole di adesione che marcano
determinati letti endoteliali e non altri possono permettere un’interazione specifica.

Extravasazione specifica
- HGF (fattore di crescita degli epatociti) e Activin B prodotti dal fegato, promuovono metastasi tramite il
recettore c-met (che abbiamo visto essere amplificato in associazione al carcinoma del colon) delle cellule
tumorali stimolando extravasazione e motilità senza effetti sulla proliferazione (spesso questo tipo di cellule
provenienti dall’intestino vanno a colonizzare il fegato).
- TGF beta rilasciato dall’osso promuove l’invasione e la motilità delle cellule tumorali prostatiche e della
mammella promuovendo metastasi all’osso (quindi, oltre a un’interazione con la matrice dell’osso in termini
di bonesialoproteina e osteopontina che contengono sequenze RGD c’è anche il rilascio di citochine che
attirano specifiche popolazioni tumorali).
La crescita metastatica dipende da cambiamenti nell’equilibrio fra proliferazione, angiogenesi ed apoptosi.

Dal lato dell’apoptosi


abbiamo oncosoppressori e fattori apoptotici mentre dal lato dell’angiogenesi e proliferazione abbiamo
oncogeni, fattori angiogenetici e fattori di crescita. Questo è fondamentale per regolare lo stato di quiescenza
tumorale o di crescita metastatica. Ci sono casi di persone in cui i tumori restano in stadi metastatici dormienti
per anni.
Lezione di Patologia Molecolare 2 del 07/01/2021
Sbobinatori: Simone Fanì , Gianmarco Chiacchia, Ludovica Salviani
Revisori: Erika Francioni , Lucia Gizzi, Sara Martorelli

Argomenti: Transizione Epitelio-Mesenchimale, Invasione e Metastatizzazione

[Il professore inizia riprendendo gli ultimi argomenti della scorsa lezione, in particolare si sofferma sulla EMT]
La EMT -transizione epitelio-mesenchimale- rappresenta la conversione di cellule epiteliali polarizzate ed
immobili (ricordiamo che circa l’80% delle neoplasie ha origine epiteliale) in cellule mesenchimali, mobili e senza
polarità apicale/basale. La EMT non è un fenomeno tipico soltanto della trasformazione metastatica del tumore,
ma la si ritrova anche durante lo sviluppo embrionale, in particolare durante la formazione della cresta neurale,
e durante alcuni processi riparativi dell’organismo.
Nel corso della EMT il fenotipo neoacquisito dal tumore non è necessariamente permanente, bensì può essere
transitorio e può tornare epiteliale dopo l’evento di metastatizzazione.

Da cosa è regolata la EMT?

Da una vasta gamma di fattori trascrizionali (tipici di particolari ambienti, come quelli infiammatori) come Slug,
Snail e Twist, da citochine come il TGF-beta, da metalloproteasi che degradano la matrice extracellulare come
MMP-3, MMP-9 e KLF-8, quest’ultima coinvolta nelle adesioni focali. Questi fattori trascrizionali “settano” un
percorso di differenziamento verso il fenotipo mesenchimale.

La EMT quindi si associa a cambiamenti complessi nell’espressione delle molecole di adesione omotipica, (che
mediano l’adesione tra cellule di uno stesso tipo) importanti per l’interazione con componenti della matrice
extracellulare e coinvolte nel movimento cellulare, come le E-Caderine di tipo 1 (E-Caderine ed N-Caderine, che
inducono una forte adesione e inibiscono la mobilità) e le Caderine di tipo 2 (Caderine 6, 7, ed 8, che al contrario
inducono una adesione più blanda e favoriscono quindi il distacco e la mobilità delle cellule). Nello specifico
diminuiscono le Caderine di tipo 1 e aumentano le Caderine di tipo 2; aumentano inoltre specifici markers
mesenchimali (come Vimentina ed N-CAM). Questo è un cambiamento complesso, che ha bisogno di una matrice
extracellulare rimodellata. Attraverso queste modifiche, la EMT promuove l’invasione tumorale e il processo
metastatico.

L’ipotesi dei 3 stadi di invasione della Membrana Basale:

In seguito alla EMT, le cellule interagiscono con componenti della matrice extracellulare, e poiché si sono dotati
di meccanismi di locomozione autonoma (attraverso meccanismi di segnalazione autocrina e paracrina che gli
consentono di riconoscere molecole a distanza), si muovono verso specifici stimoli, fino alla membrana basale.
(ndr. il professore fa un cenno di rimando all’embriogenesi, in cui durante la differenziazione di cellule e tessuti si
verificano eventi che sono riconducibili alla EMT. Ad esempio, i tessuti che derivano dalle creste neurali subiscono
dei cambiamenti simili a quelli che possiamo osservare nei tumori metastatici. Le creste neurali infatti degradano
la membrana basale dell’endoderma, esibendo quindi una EMT, e migrano in varie direzioni, invadendo le
strutture dove poi andranno a formare i vari tessuti. Questo meccanismo riscontrabile nell’embriogenesi viene
appunto conservato anche nel comportamento delle cellule tumorali, il cui comportamento può essere
paragonato a quello delle creste neurali).

I tre stadi che portano all’invasione della membrana sono:

1) Adesione cellulare alla membrana basale. (Ricordiamo che la membrana basale è formata da una serie di
glicoproteine, proteoglicani, proteine adesive come la fibronectina e la laminina, collagene di tipo IV, entactina).
2) Degradazione della membrana basale per facilitare il passaggio grazie ad una serie di enzimi.
3) Migrazione delle cellule tumorali attraverso la matrice stromale dopo la degradazione della membrana basale,
servendosi di recettori integrinici e non, che riconoscono componenti della membrana basale degradata. Le
cellule riescono a muoversi sia in maniera randomica che direzionale (chemotattica). Ciò fa sì che le cellule
possono muoversi in modi diversi: ad esempio può anche succedere che delle cellule “pilota” guidino altre cellule
che non hanno completamente acquisito la capacità di muoversi, facilitandone lo spostamento; altre volte, le
cellule possono crescere e proliferare formando “tubi” di cellule che invadono in questo modo la matrice.
Possono anche esserci aree della matrice in cui, attraverso degli inibitori della locomozione, la migrazione delle
cellule è impedita e di conseguenza queste ultime sono costrette a seguire strade diverse.
Dunque, questo fenomeno mostra un certo grado di variabilità sia nei modi in cui può avvenire (ne sono stati
identificati diversi) sia nei tempi che possono occorrere affinchè avvenga l’intero processo; il risultato definitivo
è però sempre lo stesso: le cellule tumorali possono spostarsi dal loro sito primitivo di insorgenza ad un
connettivo, e da qui possono raggiungere le strutture vascolari e linfatiche.

Le vie usate dalle cellule tumorali per raggiungere il circolo sistemico sono:

1) Via Linfatica: è la via più frequentemente utilizzata. Attraverso i capillari linfatici giungono ai linfonodi dove
possono dare metastasi, ed entrano nel circolo sanguigno attraverso la linfa o dal microcircolo linfonodale. La
distanza percorsa dalle cellule tumorali metastatiche può essere determinata tramite una “stadiazione” in cui si
prendono in considerazione proprio i linfonodi interessati da metastasi tumorali, che rappresentano
fondamentalmente la strada seguita dalle cellule tumorali. I linfonodi sono infatti tra le prime sedi interessate da
metastasi tumorali. Durante gli interventi chirurgici oncologici, è importante ricercare la presenza di cellule
tumorali nei linfonodi sentinella attorno al tumore. A tal proposito, prima dell’intervento, si inocula nella sede
tumorale un isotopo radioattivo a breve emivita, così da poterne osservare l’accumulo nelle sedi linfatiche
linfonodali. Questi linfonodi vengono marcati prima dell’intervento, poi rimossi e successivamente sottoposti a
biopsia e analizzati dall’anatomopatologo per ricercare cellule tumorali. A quel punto il chirurgo può decidere se
evitare l’escissione chirurgica del linfonodo (nel caso in cui la biopsia non rilevi la presenza di cellule tumorali),
oppure, in caso contrario, procedere alla linfoadenectomia dei linfonodi invasi da cellule tumorali per rimuovere
la rete linfonodale metastatizzata.

2) Via Ematica: attraverso la linfa o direttamente dalla penetrazione vascolare. Coinvolge gli enzimi proteolitici
che degradano la sottile membrana basale dei capillari. (nds. nel video della lezione è presente un’animazione
che mostra la cellula tumorale che tenta di penetrare il vaso sanguigno)
3) Via Canalicolare: interessa i dotti escretori delle ghiandole esocrine nelle quali ha sede il tumore primario
(p.e. negli adenocarcinomi papilliferi delle pelvi renali alcune metastasi raggiungono la vescica attraverso
l’uretere).
4) Via Trans-celomatica: disseminazione attraverso le cavità sierose (tumori polmonari, dell’esofago, o della
mammella possono muoversi attraverso la cavità pleurica; tumori dello stomaco, ovaie e intestino possono
muoversi attraverso la cavità peritoneale).

Tramite diversi esperimenti su animali è stato osservato che, raggiunto il circolo sistemico, meno di una cellula
su 10000 può formare metastasi. Questo basso rapporto è dovuto ad una serie di fattori, come l’eliminazione
dovuta alle cellule circolanti del sistema immunitario e alle varie difese dell’organo. A questo punto la cellula
deve arrestarsi all’interno della microcircolazione dell’organo distante, extravasare (anche se l’extravasazione
non è sempre necessaria, specialmente nel caso in cui la cellula presenti meccanismi di proliferazione; in questo
caso la cellula prolifera fino a far scoppiare il vaso) e crescere nel parenchima dell’organo colonizzato. Non tutti
i tessuti consentono lo sviluppo di metastasi e ciò è un ulteriore motivo che riduce il rapporto tra cellule tumorali
che raggiungono il circolo ematico e quelle che effettivamente danno metastasi.
I meccanismi di evasione di queste cellule dalle difese dell’organismo sono:

• Aggregazione e formazione di trombi tumorali con leucociti e piastrine: coaguli che fanno sì che le
cellule tumorali all’interno della massa del trombo possano sopravvivere, mentre le esterne vengono
invece sottoposte all’attacco linfocitario
• Sotto-regolazione del MHC (complesso maggiore di istocompatibilità) e/o rilascio di vescicole di
membrana che confondono le cellule anti-tumorali; è un comportamento che ad esempio si riscontra
nei tumori dell’ovaio, che rilasciano appunto queste vescicole, per fare in modo che le cellule anti-
tumorali attacchino queste anziché le cellule tumorali vere e proprie
• Inattivazione del sistema del complemento (p.e. MMPs -metalloproteasi- degradano la componente
C1q del sistema del complemento, limitando il coinvolgimento dell’interazione C1q/C1Qr02 nella
risposta immune al tumore)
• Degradazione da parte della MMP-9 del recettore per la IL-2 localizzato sulla membrana dei linfociti T,
di ICAM-1 (e conseguente inibizione del reclutamento leucocitario), e dell’integrina beta-2 (e
conseguente inibizione del reclutamento dei macrofagi). MMP-9 è spesso espresso dalle cellule
tumorali.
• Inibizione della trasduzione dei segnali estrinseci dell’apoptosi, attraverso le citochine Fas e TNF-alpha,
dovuta ad attivazione di specifici oncogeni (come BCL-2) o inattivazione di oncosoppressori (come p53,
necessario e fondamentale per l’integrità del genoma): quest’ultimo meccanismo è spesso riscontrabile
nei tumori più aggressivi.
• Degradazione della proteina Surfactante D, conseguenze limitazione della sorveglianza SP-D
dipendente ed aumento della suscettibilità all’infezione.
• Aumento della quantità di cellule dendritiche tollerageniche in grado di aumentare il numero dei
linfociti T-regolatori che sopprimono intorno a loro i linfociti T-citotossici CD8+
• L’ematopoiesi iperattiva VEGF-mediata aumenta il numero delle cellule mieloidi soppressori della
proliferazione ed attiva i linfociti T, riducendo la sorveglianza immunologica.

La maggior parte delle cellule tumorali circolanti (aggregate o in trombi) si arrestano meccanicamente nel primo
letto microcircolatorio che raggiungono (polmone per numerosi tumori o fegato per i tumori intestinali). Tuttavia,
alcuni tumori esibiscono preferenze d’organo non spiegabili con questo meccanismo, come osservato
dall’oncologo Paget, che si occupava in particolare di tumori della mammella. Qui sono elencate le differenze tra
le sedi di origine e le sedi metastatiche di alcuni tumori, che mostrano un’organospecificità della
metastatizzazione le cui motivazioni non sono del tutto chiare.
Alcuni meccanismi proposti per spiegare questo comportamento, per questa organospecificità in termini di
metastatizzazione, sono:
-Arresto: potrebbe esserci una certa affinità tra cellula tumorale e cellule endoteliali nella microcircolazione o
nella matrice extracellulare dell’organo interessato. Non tutte le cellule endoteliali sono uguali; ci sono marcatori,
ad esempio proteine, espresse da cellule endoteliali dei vasi di determinati microcircoli e non di altri, che possono
essere riconosciuti in maniera specifica da alcuni tumori. In questo modo il tumore bersaglia solo quel
determinato distretto microcircolatorio (e gli organi da esso interessati).

-Extravasazione: alcune molecole prodotte dall’organo interessato stimolano la motilità o l’invasività delle
cellule tumorali circolanti, e di conseguenza le attirano. Un esempio è dato una particolare chemochina prodotta
dal midollo osseo, SDF-1, importante durante l’emopoiesi, che è riconosciuta da recettori come CXCR4 o CXCR7
espressi dalle cellule tumorali, spesso nel tumore della mammella e della prostata.

-Crescita (Ipotesi ‘Seme e Terreno’ di Pagett, oncologo francese attivo nello studio del tumore della mammella):
la crescita delle metastasi in una maniera organo-specifica è dovuta alla capacità delle cellule metastatiche (in
questa metafora il seme) di crescere nel tessuto appropriato (il terreno), un terreno che quindi può mostrare una
sorta di “preparazione” ad accettare metastasi tumorali anche a prescindere dall’evento metastatico, ancor
prima che questo avvenga. Questa teoria risulta essere supportata da una serie di evidenze:

Queste

osservazioni hanno di fatto dimostrato che esistono tessuti ‘prediletti’ da specifiche classi di cellule tumorali e
rappresentano quindi un valido supporto alla teoria di Pagett.

Ad esempio, il primo punto evidenzia come esistano ambienti che favoriscono un cambiamento nell’equilibrio
tra il tasso di proliferazione e di apoptosi. Ciò ovviamente dipende dalla natura delle cellule, in quanto non tutti
i terreni sono uguali; i terreni più adatti sono quelli in cui il rapporto tra proliferazione e apoptosi delle cellule si
sposta in favore della prima (eventi di metastasi). Ci sono anche tessuti dove accade l’opposto: c’è un
cambiamento che non facilita la crescita di cellule tumorali perché prevalgono gli eventi di apoptosi.

Il secondo punto illustra come ci siano appunto ambienti e terreni specifici che aumentano la crescita di un tipo
tumorale e non di altri in determinate sedi. Ciò ha a che fare con la presenza di fattori di crescita specifici, o una
matrice extracellulare che promuove un’angiogenesi più forte (facilitando quindi il nutrimento e l’ossigenazione
dei tumori, dunque la loro crescita).

Il terzo punto sottolinea come non tutti i tessuti siano propensi a sostenere la crescita metastatica. Il quarto
punto, sostenuto da evidenze sperimentali (cellule tumorali marcate in animali) dimostra come le cellule
metastatiche si distribuiscano effettivamente a tutti i tessuti; ma una volta raggiunto un determinato tessuto,
crescono solo in alcune condizioni e non in altre. Sicuramente, il fattore saliente riguarda la capacità delle
micrometastasi di dare luogo, in determinati distretti tissutali, ad angiogenesi, requisito essenziale affinchè esse
possano crescere e diventare metastasi vere e proprie.
Judah Folkman, oncologo statunitense noto per le sue ricerche sull’angiogenesi tumorale, attraverso degli
esperimenti illustrò quanto la capacità angiogenetica della sede metastatica possa essere controllata a livello
della sede tumorale primitiva; infatti, in animali che presentavano tumori sia in sedi primarie che secondarie, la
capacità angiogenetica delle cellule metastatiche diminuiva sensibilmente se si asportava il tumore posto nella
sede primaria. Quindi le sedi tumorali primitive controllano la crescita metastatica inducendo angiogenesi.

Per quanto riguarda la teoria dell’arresto specifico:

→ alcuni peptidi contenuti in specifiche proteine (RGD nella fibronectina, YIGSR e IKVAV nella laminina) legano
recettori di natura integrinica e non, responsabili dell’arresto di alcune cellule tumorali in alcuni tessuti
→ l’integrina aVb3 espressa sulle cellule tumorali prostatiche o della mammella, interagendo con osteopontina
e bonesialoproteina della matrice extracellulare del tessuto osseo inducono l’arresto della cellula tumorale
nell’osso;
→ ICAM-1 e/o le selectine (come ELAM) espresse sulle cellule endoteliali possono legare LFA-1 o specifici
carboidrati sulle cellule tumorali regolando la preferenza metastatica ai siti di infiammazione o altri siti;
→ metodologie di biologia molecolare come il Phage Display hanno identificato peptidi che legano
specificatamente cellule endoteliali della microcircolazione del cervello e del rene, sostenendo la possibilità che
cellule tumorali possono interagire specificatamente con cellule endoteliali organo-specifiche. Quindi durante il
loro viaggio nella circolazione sanguigna, le cellule tumorali vengono arrestate da questi meccanismi di adesione
e si fermano in letti vascolari specifici. (nds: Phage display è una tecnica di laboratorio per lo studio delle
interazioni proteina–proteina, proteina–peptide e proteina–DNA che usa dei batteriofagi (virus che infettano
batteri) per collegare le proteine con le informazioni geniche che codificano per esse).

Infine, evidenze a sostegno della teoria dell’extravasazione sono:


→ HGF e l’activina B, prodotti da fegato, promuovono la formazione di metastasi attraverso recettori c-met
delle cellule tumorali stimolando extravasazione e motilità senza effetti sulla proliferazione; c-met è una delle
molecole più spesso espresse nelle cellule altamente metastatiche, utilizzato come recettore organospecifico
nelle metastasi che interessano il fegato.
→ il TGF-beta rilasciato dall’osso promuove l’invasione e la motilità delle cellule tumorali prostatiche e della
mammella promuovendo metastasi all’osso. Le metastasi ossee sono tra le più dolorose, compromettono il
funzionamento strutturale dell’osso.

L’obiettivo è di arrivare a conoscere bene questi meccanismi, per bersagliarli e rallentare la progressione
tumorale in termini metastatici.

EXTRAVASAZIONE SPECIFICA

HGF e activin B prodotti dal fegato promuovono metastasi c-met, stimolata dai cambiamenti
genetici associati alle metastasi. C-met è una delle molecole maggiormente espresse dalle cellule
che causano metastasi.
TGF BETA rilasciate dall’osso promuove l’invasione e la motilità delle cellule tumorali prostatiche e
della mammella nell’osso. Le metastasi dell’osso (osteolitici)compromettono la funzionalità
dell’osso stesso e le varie funzioni ad esso associate, possono essere utilizzati degli inibitori
chemioattraenti rallentando il corso di diffusione tumorale, ma possono crearsi altri modi per
permettere la metastatizzazione.
MODIFICA EQUILIBRIO TRA PROLIFERAZIONE, ANGIOGENESI E
APOPTOSI

Fattori che inducono


apoptosi contro fattori
di proliferazione
tumorale, equilibrio tra
uno stato dormiente
tumorale ed uno stato
di crescita metastatica
del tumore, le cellule
tumorali possono
trovarsi per molto
tempo in fase G0 per
motivi ignoti e quindi
non svilupparsi, oppure
tumori non proliferativi
poiché non sono in
grado di svilupparsi in
maniera sufficientemente grande, di conseguenza non saranno in gradi di sviluppare metastasi, in
alcuni casi però è necessario tenere conto che particolari tumori verranno attivati dopo operazioni
chirurgiche anche anni dopo l’evento.
Paziente con carcinoma delle cellule di Merkel della cute, danno dovuto ad infezione da
poliomavirus di Merkel (influenza il 50% dei casi) o da raggi ultra violetti, in grado di cambiare il
viroma normale del nostro organismo, infatti molti virus sono presenti nelle cellule del nostro
organismo, senza però replicarsi perché sono strettamente controllati dal nostro sistema
immunitario, il poliomavirus è uno di questi, ma in pazienti immunodepressi e con particolari
condizioni in cui il sistema immunitario risulta alterato es. AIDS, questo poliomavirus di Merkel si
va ad attivare e replicare, non viene più controllato e si andrà ad incorporare nel genoma umano
andando a modificare il DNA delle cellule di Merkel, questo è un tumore molto raro della cute ma
è molto aggressivo e non lascia possibilità di sopravvivenza.
Il paziente è riuscito a sopravvivere 5 anni senza recidive di questo tumore, questa è stata definita
“neoplasia dormiente” in quanto le recidive di questo tumore si presentano dopo 3 anni, si tenta
infatti di studiare i meccanismi che portano a bloccare o limitare le recidive, ad oggi non sono
ancora stati scoperti dei meccanismi o delle molecole che permettono di bloccare le ricomparse
dei tumori

La nicchia metastatica individua alcuni elementi fondamentali per i processi di sviluppo e di


metastatizzazione dei tumori:

• interazione cellule neoplastiche e ambiente circostante


• tumori rilasciano VEGF che stimola l’espressione delle metallo proteinasi MMP-9
• tumori diversi come all’ovaio e al rene contengono vescicole che promuovono angiogenesi e
metastasi ingannando il sistema immunitario, sono in grado di infettare anche altre cellule
• Gbrociti CD45 e Col1a +, preparano i polmoni per accogliere le metastasi reclutando
monociti Ly-6C+ e rilasciando MMP9
• MMP9 svolge un ruolo chiave per permettere la metastatizzazione del fegato, negli animali MMP9
“knokout” hanno ridotta capacità di metastatizzare il fegato

TUMORE DEI NEUROBLASTI (pediatrico)


tumore di natura invasiva e migratoria
Hanno caratterizzato un nuovo oncogene proveniente dai recettori dei fattori di crescita NGF
attivato dallo spicing alternativo dei neuroblastomi stressati da ambienti ipossici.
La TrkAIII (oncogene) promuove la metastasi osteolitiche, come dimostrato dallo studio su animali,
causa una diminuzione della densità ossea attorno alla metastasi, promuovendo l’attivazione degli
osteoclasti e osteolisi.
ESPANSIONE TUMORALE

I tumori possono alternare fasi di ipossia a fasi di ossigenazione cambiando le espressioni geniche;
possono attivare anche delle reazioni di ossido-riduzione, importanti per stimolare alcuni fattori di
trascrizione acquistando una capacità di tipo invasivo che permetteranno i processi di
metastatizzazione.
Micro RNA 9, tra i 18 e 24 nucleotidi, adottano strutture particolari a livello del nucleo, sono
organizzati come geni normali ma questo RNA non va a codificare una proteina, ma interagisce con i
fattori di trascrizione e blocca la produzione di E-caderine,
Myc e MycN sono geni oncogeni, amplificati nei tumori di natura neuroblastoma, sono altamente attivi in
condizioni metastatiche

CELLULE TUMORALI STAMINALI E METASTATICHE

Le cellule tumorali tendono a fornire delle cellule sempre più indifferenziate che arrivano addirittura ad uno
stato che prende il nome di cellule “staminali like”. Queste popolazioni sono molte pericolose in quanto
mostrano un’attività fenotipica reversibile, sono multipotenti, auto-rinnovabili, metastatiche e resistenti
alla terapia.
Le cellule tumorali staminali sono state trovate in tanti tumori solidi in determinate nicchie tumorali
ipossiche e necrotiche. In queste aree, c’è un elevato stress ossidativo ed una maggiore difficoltà a far
arrivare sostanze nutrienti data dalla mancanza di ossigeno. Inoltre tali cellule tumorali sono fondamentali
nell’evoluzione del tumore stesso.

I primi esperimenti, hanno rilevato la loro importanza nella proliferazione e nell’eterogeneità del tumore.
Inoltre si è visto come queste cellule tumorali staminali siano altamente resistenti a:

• Farmaci, poiché in ambienti privi di ossigeno non c’è un letto vascolare adeguato grazie al quale i
farmaci riuscirebbero a penetrare nel tessuto bersaglio.
• radiazioni ionizzanti, poiché la citotossicità delle radiazioni ionizzanti è minore in assenza di
ossigeno

Le cellule “staminali like” rappresentano la probabile fonte di recidive post-terapeutiche ed inoltre


mostrano comportamenti simili alle cellule staminali normali pur essendo trasformate, in quanto
presentano accumulo di materiale danneggiato nel DNA. Nonostante ciò, il loro genoma conserva tutti i
meccanismi sviluppati dalla cellula staminale per la sopravvivenza aggiungendo anche dei cambiamenti che
le rendono ancora più resistenti.

La plasticità delle cellule staminali tumorali le rende capaci di modificare il loro stadio di differenziamento.
Queste si dividono mediante una divisione asimmetrica, grazie alla quale si avranno due tipi cellulari
differenti: una nuova cellula staminale tumorale ed una cellula che invece andrà incontro a
differenziazione.

Nei tumori degli adulti le cellule tumorali staminali possono derivare da:

• modificazione delle cellule staminali (si trovano in ogni tessuto). Quando il tumore è innescato
direttamente dalle cellule staminali, sarà già in uno stadio molto aggressivo. Questo accade per
esempio nel microcitoma, ovvero il carcinoma polmonare a piccole cellule.

• processi di de-differenziamento di cellule somatiche già differenziate promossi dall’accumulo di


danni genetici all’interno del microambiente del tumore in evoluzione. Nel 2010 Shinya Yamanaka
ha vinto il premio Nobel per la scoperta di un metodo che permette di differenziare cellule già
differenziate in cellule pluripotenti staminali. Questo metodo consiste nell’introduzione di specifici
fattori che permettono alla cellula di de-differenziarsi.

Nei tumori pediatrici le cellule staminali possono derivare da:

• cellule staminali modificate durante l’embriogenesi


• progressione del tumore a causa della stretta correlazione tra cellula progenitrice e cellula
staminale. Il neuroblastoma è un tumore che deriva dalle cellule della cresta neurale, da cui
prendono origine la midollare del surrene ed i gangli del sistema nervoso e simpatico. Le cellule
della cresta neurale durante la loro migrazione della sede bersaglio mantengono le loro
caratteristiche di staminalità.

RESISTENZA AI FARMACI

Sebbene nessun singolo marker sia specifico per le cellule tumorali staminali, i pattern di espressione dei
marker possono distinguere cellule tumorali staminali dalla sottopopolazione non staminale e pertanto
essere utilizzati per il bersagliamento terapeutico. Le cellule staminali tumorali sono una popolazione molto
difficile da eliminare ma devono essere i veri bersagli dei farmaci.
La resistenza ai farmaci è dovuta a :

1. frequente stato di pseudo-senescenza, nel quale le cellule staminali tumorali si trovano in fase G0.
Ciò può avvenire anche nelle cellule staminali normali di tessuti, che rimangono in quiescenza fino
allo stimolo di proliferazione. Per questo motivo gli agenti chemioterapici, che hanno come
bersaglio le cellule con elevata proliferazione, possono non sortire effetto.
2. ciclo cellulare lento
3. maggiore espressione di inibitori dell’apoptosi
4. repressione di p53
5. metabo-tipo glicolitico flessibile: metabolismo particolare di tipo flessibile che dipende dal danno
genetico che contiene il tumore. Il fatto che sia glicolitico porta ad un’aumentata produzione di
anti-ossidanti ed un’elevata espressione di trasportatori di membrana, deputati all’efflusso di
farmaci. Il metabolismo glicolitico attenua l’espressione di ROS, aumenta la produzione di
antiossidanti che detossificano dai metaboliti di O2 ed ha un’elevata capacità di eliminare i farmaci
grazie ai trasportatori di membrana

CELLULE TUMORALI GIGANTI POLIPLOIDI

Determinate condizioni all’interno del tumore possono generare cellule tumorali giganti poliploidi. Queste
cellule sono prodotte da mitosi aberranti indotte frequentemente dall’amplificazione del centrosoma
(riprende la teoria di Bovary).
Le cellule tumorali giganti poliploidi sono considerate l’origine dell’aneuploidia del cancro, con conseguente
instabilità cromosomica, dovuta ad un meccanismo di transizione da diploide a poliploide attraverso degli
eventi che rendono aberranti le mitosi.

Queste cellule possono dividersi anche se presentano un numero elevato di centrosomi, quindi anche una
cellula errata può dividersi formando cellule aneuploidi. Le cellule giganti che presentano polinuclei di
diversa grandezza si riorganizzano in tanti diversi nuclei e possono scoppiare attraverso un meccanismo
definito “blebbing”. Nel “blebbing” i nuclei lasciano i corpi delle cellule giganti formando una progenie
secondaria altamente tumorogenica, instabile, metastatica e resistente ai farmaci.

Queste cellule sono considerate delle potenziali fonti di cellule tumorali e sono promosse da:

• attivazione di oncogeni:
-TrkAIII
-polo-chinasi
-Chk chinasi= Chk1 e Chk2 sono chinasi attivate da ATM/ATR in seguito a danno del DNA. Queste
chinasi possono amplificare i centrosomi creando più centrosomi nella stessa cellula e
promuovendo poli-mitotoci multipli. Questo mette in difficoltà il processo mitotico
• perdita della funzione di oncosoppressori:
-APC: si è visto come i topi knockout per il gene APC sviluppano cellule poliploidi a livello intestinali,
ovvero precursori di tumori se gli animali vengono posti in ambienti ostili (serve un promotore
infiammatorio insieme alle cellule poliploidi per formare polipi e tumori attraverso aneuploidia)
-BCRA1
-p53
• nicchie tumorali acide e ipossiche
• virus oncogeni: attraverso le modulazioni delle membrane nelle quali si replicano, i virus inducono
fusione tra cellule creando cellule multinucleate
• varietà da agenti chemioterapici

Le cellule tumorali giganti poliploidi sono presenti in quasi tutti i tipi tumori e rappresentano circa il 5/20%
della massa tumorale (percentuale che aumenta nel caso di recidiva post-terapia). In un primo momento si
riteneva che queste cellule fossero senescenti e non influenzassero l’aggressività del tumore, al contrario si
è scoperto ora come le cellule tumorali giganti siano fondamentali per fornire cellule con cariotipo molto
aggressivo di natura staminale.

ELIMINAZIONE DELLE CELLULE TUMORALI STAMINALI

Eliminare le cellule tumorali staminali è molto difficile per tutte le caratteristiche che possiedono
(staminalità, plasticità fenotipica, capacità di rinnovamento, resistenza ai farmaci); tuttavia solo la loro
eliminazione ci avvicinerà ad una vera cura per i tumori recidivi aggressivi post-terapeutici.

Potenziali approcci per sradicare le cellule tumorali staminali sono:

1)prendere di mira marcatori funzionali di superficie specifici (oncogeni, percorsi di segnalazione con
anticorpi e inibizione di piccole molecole): è molto difficile fare ciò poiché non sono attualmente molto
conosciuti oppure sono gli stessi marcatori espressi delle cellule staminali normali, anche se in
concentrazioni differenti.

2)inibire HIF-α e HIF-β , responsabili della risposta ipossica che promuove la formazione di staminalità
3)riossigenare il microambiente tumorale, per esempio utilizzando nuove molecole carrier che trasportano
ossigeno all’interno della cellula oppure fornendo una struttura vascolare più matura che dia maggior
apporto di ossigeno

4)ridurre l’espressione delle proteine trasportatrici per diminuire l’efflusso dei farmaci

5)la progettazione di nuove molecole CAR per mirare ed infiltrare nicchie staminali tumorali. Un esempio
sono le cellule CAR-T.

6)inibire la mitosi nelle cellule staminali tumorali giganti

7)inibire i sistemi antiossidanti redox per aumentare la sensibilità ad agenti tossici e ridurre la loro farmaco-
resistenza
Patologia molecolare 2
14/01/2021

HALLMARK 7: INSTABILITA’ GENOMICA


Segno cardinale del cancro, alla base del quale non solo c’è la possibilità di accumulare
mutazioni ma anche di avere cambiamenti a livello cellulare che promuovono la formazione di
cellule poliploidi. Come abbiamo già visto nella lezione precedente, ciò avviene in seguito alla
perdita di oncosoppressori, all’attivazione di oncogeni e in un ambiente ostile quindi che
promuove stress a livello cellulare, dirottando il processo mitotico. Questi cambiamenti fanno
si che le cellule possano diventare poliploidi attraverso meccanismi sia di fusione tra le cellule,
sia di cicli cellulari aberranti che non permettono un’accurata citochinesi e promuovono collassi
mitotici. Tali cellule poliploidi in un secondo momento possono dividersi e dare origine a cellule
aneuploidi secondo diversi meccanismi che includono: la capacità di far germogliazioni di
nuove cellule semplicemente separando i nuclei in cellule polinucleate, una coalescenza di
centrosomi multipli che in alcune cellule possono dare fusi mitotici multipolari ma la
coalescenza può avvenire anche in maniera pseudobipolare promuovendo la possibilità di
dividere i cromosomi in maniera errata a fine processo. Questi comportamenti diversi che si
trovano nei tumori non solo hanno la capacità di eliminare interi cromosomi o duplicarli, ma
sono anche basati su un accumulo di mutazioni in geni singoli. Quindi c’è un insieme di
cambiamenti a livello del genoma che facilita un’instabilità genomica. Una volta che le cellule
diventano aneuploidi (e sono quindi in grado di generare una progenie e continuare a
proliferare) questi cambiamenti, promossi dall’aneuploidia, causano un’aumentata sensibilità
delle divisioni all’instabilità cromosomica (perché è cambiata la quantità di geni che sono
coinvolti nell’accurata separazione cromosomica quindi c’è un’instabilità cromosomica da quel
punto in poi). In seguito, le mutazioni ad altri geni specifici si aggiungono cambiando pattern di
espressione genica che regola anche altri aspetti dell’instabilità. Quindi, l’instabilità può essere
cromosomica (perdita o acquisizione di cromosomi) insieme a una capacità aumentata durante
il processing del DNA (replicazione e sintesi) di introdurre cambiamenti nel genoma che
possono eventualmente coinvolgere geni importanti per la progressione tumorale.

Instabilità genomica e mutazioni


Non tutte le cellule tumorali sono uguali. Esse variano, competono e le più forti sopravvivono
passando i loro geni alle cellule figlie che continuano a variare, competere e sopravvivere.
Nel cancro le cellule si evolvono nell’ecosistema complesso del tessuto, le cellule tumorali
mutano e affrontano pressioni selettive e si adattano al microambiente (una sorta di selezione
naturale).
La cellula tumorale compete con le cellule normali (per nutrimento, per spazio) che la
circondano , evita l’attacco delle cellule immunitarie, sfugge all’apoptosi, “corrompe” le
altrimenti “leali” cellule circostanti ed eventualmente migra verso organi distanti, anche qui può
corrompere le cellule normali del parenchima in cui si trova per formare metastasi.
Quando le sequenze di nucleotidi mutano non sempre vengono corrette (questo è uno dei
problemi che si associa con la progressione tumorale). Non accade spesso ma a ogni divisione
la probabilità di errore aumenta. La replicazione del DNA, nonostante i sistemi proofreading e
di aggiustamento, non sempre è efficiente e per questo è importante che il genoma abbia un
certo grado di flessibilità, una grande diversità genomica, al fine di adattarci meglio
all’ambiente.
Se un gene comprende 1700 nucleotidi e più di 100 milioni di miliardi di divisioni cellulari si
verificano durante la vita, esso sarà soggetto nella sua vita a un numero di mutazioni che va
da qualche centinaio di milione a dieci miliardi, distribuite sulle copie in ogni cellula. Se solo
una mutazione aumenta l’idoneità evolutiva della cellula quella mutazione si espanderà in molte
cellule, aumentando la probabilità che successive mutazioni si basino sulla prima.
Sappiamo che la progressione del cancro si basa sull’accumulo graduale di mutazioni. Se la
cellula tumorale acquisisce una mutazione che le permette di crescere più velocemente o di
sopravvivere più a lungo e produrre più prole rispetto alle cellule circostanti senza la mutazione,
allora quella cellula tumorale ha un vantaggio selettivo. I suoi discendenti saranno più idonei
e sopravviveranno nell’ambiente locale. Questo ci spiega in parte l’eterogeneità dei tumori: non
tutte le cellule avranno le stesse caratteristiche anche in base anche all’ambiente in cui si
trovano.
Questi principi della genetica evolutiva descrivono il processo della tumorigenesi e della
progressione tumorale e sono fondamentali per capire come le cellule tumorali diventano
resistenti ed eventualmente refrattarie al trattamento farmacologico e come evolve la
resistenza.

Mutazioni: cosa sono e come avvengono.


Le mutazioni permettono alle cellule tumorali di intraprendere la loro frenetica crescita.
Nella genetica, una mutazione è un cambiamento nella sequenza di DNA di un organismo. Le
lettere A, T, C e G costituiscono il nostro DNA e possono essere cancellate, sostituite o
introdotte.
Anche segmenti di DNA possono essere eliminate, introdotti o scambiate con altri segmenti.
Questi cambiamenti si verificano spontaneamente o in seguito all’esposizione a induttori quali
i virus (ad esempio i retrovirus ma anche virus come il poliomavirus del Merkel Cell carcinoma
quando l’individuo diventa immunosoppresso), sostanze chimiche nocive, la radiazione o
attività oncogenica che vanno a promuovere la formazione di mutazioni e l’instabilità genetica
attraverso un danno diretto o indiretto sul DNA.
Causano, inoltre, mutazioni: l’attività metabolica e l’ossigeno, la molecola della vita, attraverso
metaboliti ossidanti (ROS) che danneggiano il DNA.
Una giornata di sole in spiaggia può introdurre migliaia di mutazioni nel nostro DNA.
Le mutazioni sono inevitabili. Nel momento in cui le nostre cellule si dividono introducono errori
nel DNA attraverso un processo imperfetto di replicazione.
Si stima che tutti questi processi possano causare migliaia di lesioni molecolari per cellula al
giorno.
I nostri sistemi di sorveglianza genomica, meccanismi di riparazione del DNA e meccanismi
che inducono la morte di cellule danneggiate devono fare un lavoro incredibile su questo gran
numero di mutazioni per evitare che un tumore si verifichi sin dal momento in cui siamo
concepiti. Man mano che diventiamo più anziani queste barriere contro le mutazioni vengono
meno, spiegando l’alta frequenza di incidenza dei tumori nella terza età.

Riparazione del DNA


Il meccanismo di riparazione si basa sulla struttura a doppia elica del DNA che trasporta due
copie separate di tutte le informazioni genetiche in ognuno dei due filamenti. Se un filamento
viene danneggiato, l’altro può essere utilizzato come stampo per ripristinare il filamento
danneggiato.
A livello del nucleo le proteine presenti servono a proteggere contro la perdita di materiale
genetico, ma sono anche presenti enzimi che possono degradare il DNA che possono essere
attivati. Perciò è fondamentale avere meccanismi che proteggono i terminali di DNA strappato
per evitare la perdita di materiale genetico. Questi meccanismi vennero scoperti grazie ad
esperimenti finalizzati allo studio dei fattori trascrizionali. Furono effettuati usufruendo di
sequenze di DNA proveniente da geni clonati nelle regioni non codificanti però formati in vitro
attraverso la sintesi di oligonucleotidi a doppio filamento. Questi oligonucleotidi, che
rappresentano sequenze non codificanti presenti normalmente al 5’ di un gene già clonato,
identificato e sequenziato, vennero marcati con molecole di fosforo radioattivo e vennero
mischiati con estratti proteici provenienti dal nucleo. Successivamente, quelle sequenze
vennero manipolate per identificare proteine in grado di legare il DNA in maniera sequenza-
specifica presenti nel nucleo. In pratica, erano in grado di legare i siti trascrizionali. Tuttavia
l’interazione fra proteine nucleari e DNA a doppio filamento sintetizzato in vitro con una
determinata sequenza era difficile da visualizzare (per fare ciò DNA e proteine sono stati
separati attraverso elettroforesi in un gel e poi visualizzati usando metodologie che
consentivano di rilevare la radioattività) perché le proteine legavano in maniera aspecifica
qualsiasi oligonucleotide del DNA mischiato con gli estratti nucleari. Questo costituiva un
problema per i ricercatori perché ogni volta che andavano a fare un esperimento del genere,
usufruendo di DNA con una sequenza specifica, tali proteine legavano e cambiavano la
migrazione del DNA in un gel in maniera aspecifica, indipendentemente dalla sequenza del
DNA introdotto. Da qui nacque l’ipotesi, poi verificata, che esistono proteine a cui “piace” legare
il DNA, indipendentemente dalla sua sequenza, quando non è strettamente compattato nella
cromatina ovvero quando ci sono terminali del DNA strappati e nudi (come succedeva nel caso
degli oligonucleotidi). Vennero così scoperte le proteine che vanno a captare i terminali nudi
del DNA con lo scopo di proteggerli dalla degradazione DNAasi dipendente. Queste molecole
formano complessi e non solo proteggono il DNA strappato ma sono anche fondamentali per
rilegarli insieme. Quando entrambi i filamenti sono danneggiati le cellule possono utilizzare uno
dei due meccanismi seguenti:
1. NON HOMOLOGOUS END JOINING (NHEJ): il metodo più rapido e grezzo per
aggiustare la rottura. Semplicemente, le due estremità rotte vengono riunite (i complessi
reclutano ligasi), di solito con la perdita di uno o due nucleotidi. Sebbene questa perdita
risulta in una modifica del DNA, tale modifica è meno dannosa rispetto a una rottura del
doppio filamento (che attiverebbe p53 con conseguente morte della cellula). In realtà
una parte molto piccola del nostro genoma codifica per proteine, quindi mutazioni dovute
a NHEJ risultano statisticamente poco rilevanti. Sicuramente l’aberrazione di questo
meccanismo o l’abbondanza di terminali nudi di DNA può far si che la doppia elica si
risaldi con un’altra sequenza di DNA dando origine a nuove forme chimeriche.
2. DNA HOMOLOGOUS RECOMBINATION: sfrutta il fatto che ci sono due copie di ogni
doppia elica (ogni cellula ha due copie di ogni cromosoma). In questo caso il
meccanismo di riparazione trasferisce l’informazione della sequenza intatta a quella
rotta. Proteine di ricombinazione riconoscono regioni di somiglianza tra due eliche
doppie, le portano insieme e utilizzano l’elica intatta come modello per riparare quella
rotta.
BRCA 1 e 2.
Breast Cancer Associated Genes. Sono geni fondamentali appartenenti
alla classe degli oncosoppressori. Codificano per due delle più famose
proteine nel cancro che giocano ruoli centrali nel riparo del DNA:
interagiscono con siti di DNA danneggiati e reclutano altre proteine
avviando complessi di riparazione. In assenza di tali geni, quando essi
vengono persi, il complesso di riparo del DNA non si forma. Tuttavia,
anche la presenza di mutazioni in tali geni può far si che alcune
componenti, normalmente presenti nei complessi, vengano a mancare
abbassando la capacità del complesso di aggiustare il danno a livello del
DNA. Di conseguenza, le cellule che non hanno BRCA 1 e 2 sono ipersensibili agli agenti che
danneggiano il DNA (radiazioni, luce UV, ossidanti, agenti chimici).

Le donne (principalmente ma non esclusivamente) che


portano mutazioni in BRCA 1 e/o 2 hanno un rischio
estremamente elevato di sviluppare cancro al seno e
ovarico. Donne con storie familiari di tumori al seno e
all’ovaio possono sottoporsi ad un test genetico che, se
positivo per le maggiori mutazioni conosciute, indirizza
verso un intervento di mastectomia preventiva. E’ il caso,
per esempio, dell’attrice Angelina Jolie, risultata positiva
per mutazioni sia di BRCA 1 che di BRCA 2, che ha optato
per una mastectomia bilaterale e isterectomia preventiva, riducendo il rischio di sviluppare il
cancro da 87% a <5%.
Oltre al riparo del DNA, BRCA 1 e 2 sono coinvolti nel controllo del ciclo cellulare. Essi attivano,
infatti, la proteina Retinoblastoma (che quando è attiva e defosforilata lega il fattore
trascrizionale E2F, necessario per la trascrizione delle Chinasi Ciclina Dipendenti, CDK)
frenando il ciclo cellulare al punto di controllo G1/S. Inoltre, BRCA 1 attiva P53, inducendo
l’apoptosi in risposta a un danno irreparabile del DNA. Inoltre, BRCA 1 e 2 provocano
l’attivazione di enzimi, in particolare chinasi come le CHK1 e 2, Checkpoint Kinases, che
possono fosforilare, a livello di un residuo di Tyr 527, i membri della famiglia di oncogeni SRC
(proto oncogeni codificanti per chinasi) inibendoli e bloccando la promozione del ciclo cellulare.
BRCA 1 e 2 quindi funzionano come custodi molecolari per la sorveglianza del genoma.
Durante la vita il 12% delle donne svilupperanno carcinoma della mammella. Il 55-65% delle
donne con mutazione in BRCA1 e il 45% con mutazione di BRCA2 svilupperanno carcinoma
della mammella entro l’età di 75 anni.

BRCA1 – Cr17q21 - 24 esoni.


Sono state riscontrate oltre 150 mutazioni diverse nel gene BRCA1, la maggior parte delle quali
producono una proteina tronca. BRCA1 è coinvolta nel riparo del DNA e nel ciclo cellulare.
Nella forma mutata BRCA1 non segnala accuratamente il danno alla macchina che blocca il
ciclo cellulare, perciò causa proliferazione errata con l’accumulo di mutazioni nel DNA, quindi
aumentata suscettibilità alla neoplasia. E’ una proteina multifunzionale che svolge numerosi
ruoli per tenere sotto controllo il danno a livello del DNA.
• BRCA1 è una fosfoproteina nucleare che mantiene la stabilità genomica. Quando
attivata dal danno al DNA essa attiva Rb e P53.
• Interagisce con proteine come RAD51-FANCD2 e BRCA2 promuovendo l’arresto del
ciclo in S o G2.
• Forma eterodimeri con BARD1 attivando la sua funzione di ligasi delll’ubiquitina (bersagli
sconosciuti).
• Ripara il DNA attraverso il complesso BASC (BRCA1 Associated Genome Surveillance
Complex) che regola anche la trascrizione genica.
• Interagisce con XIST (X Inactive Specific Transcript) causando il silenziamento del
cromosoma X.
• Interagisce con il fattore trascrizionale BACH 1 ed il complesso di rimodellamento del
nucleosoma SW1/SNF modellando la cromatina e inducendo ricombinazione omologa.
• Interagisce con CHK1 e polo chinasi 1 regolando i checkpoint G2/M e G1/S
possibilmente attraverso un’associazione con la proteina GAD45, legando BRCA1
all’apoptosi.
• E’ associata con RNA polimerasi 2 ed interagisce con i complessi coinvolti
nell’acetilazione istonica.

Mutazioni diverse si formano in maniera familiare in


diverse popolazioni. Nella tabella sottostante sono elencate le mutazioni trovate con maggiore
incidenza in ciascuna popolazione. Questo aiuta a livello clinico, nel contesto di una medicina
preventiva, dando un indirizzamento su dove andare a cercare la mutazione.

Mutazioni diverse si formano anche in maniera famigliare, in modo specifico in diverse popolazioni.
Studi importanti sono stati fatti, mostrano a livello clinico quali mutazioni sono da ricercare nei diversi
popoli, nel contesto di una medicina preventiva.

BRCA2 (cromosoma 13q12.3) 348 kDa


Il gene BRCA2 presente nel
cromosoma 13q12.2,
interagisce con il DNA
ricombinasi RAD 51: regola
così la sua funzione
caratteristica, quella di
reclutamento dei siti
danneggiati nel DNA. La
localizzazione del RAD 51
richiede la formazione del
complesso “BRCA1-PALB2”
(“partner and localiser of
BRCA-2”), un adattatore che è
necessario nel presentare il
complesso e che permette
formazioni specifiche
complessandosi con BRCA2 .
Nel complesso, BRCA1 e 2
fosforilano enzimi importanti
che includono ataxia e
talangectasia mutated, cioè una serotonin chinasi ATM coinvolta nella fosforilazione del p53 e quindi
nella sua attivazione. La fosforilazione attraverso ATM in particolari condizioni di danno a livello del
DNA, crea condizioni per cui il p53 si slega dal suo inibitore MDM2 citoplasmatico, con conseguente
ubiquitinazione e distruzione a livello del proteasoma, permettendo l'accumulo di p53 e l’acquisizione
della sua funzionalità trascrizionale. Accanto a questa svolge altre funzioni, come l’essere coinvolto
nell'espressione di geni membri del complesso che riparano eventuali danni a livello del DNA, oltre a
geni coinvolti nel blocco del ciclo cellulare o all’apoptosi.
Si può visualizzare l'attivazione del sistema come un meccanismo (che potrebbe essere) transitorio
durante la fase del riconoscimento del danno a livello del DNA, il blocco del ciclo cellulare e
l’aggiustamento del DNA dovrebbe però terminare solo in determinate condizioni, permettendo che la
p53 in particolare cominci a formare anche altre associazioni e sia modificata in modo post
traduzionale, per promuovere la morte cellulare.
Quando il sistema di sorveglianza del genoma è compromesso dal tasso di mutazioni, non è strano
che questo meccanismo aumenti. Una volta che vengono danneggiati specifici meccanismi, c’è un
percorso verso l’acquisizione di un fenotipo sempre più maligno, verso un fenotipo quindi metastatico.
Per esempio, una mutazione del gene RAs consente alle cellule tumorali di rimanere indipendenti dai
fattori di crescita. Una mutazione della proteina retinoblastoma rimuove il “freno” G1/S, permettendo la
divisione incontrollata.
Le mutazioni nel gene p53 consentono alle cellule di sfuggire alla morte cellulare. In sintesi ,dunque,
tutte queste mutazioni vengono prodotte innanzitutto a causa di danni diretti al DNA, secondariamente
per mutazioni dei geni che riparano il DNA. Così, le cellule tumorali continuano ad evolversi con
mutazioni specifiche e selezionate, con mutazioni nei geni la cui funzione è quella di mantenere la
stabilità del genoma. I genomi variano notevolmente tra diversi tipi di tumore, ma quasi tutti ne hanno
difetti nel riparo del DNA. Così, l’instabilità del genoma e le mutazioni sono essenziali e
inestricabilmente collegate nella progressione tumorale.

Possono già essere presenti tanti “semi di cancro” dentro il nostro genoma, già presenti e in attesa di
essere attivati e coinvolti. E’ importante sapere che il nostro genoma contiene materiale proveniente
non solo dalle nostre origini batteriche, ma anche altro materiale che è giunto tramite infezioni durante
l’evoluzione, che ha permesso il passaggio di materiale orizzontalmente e verticalmente attraverso
altri organismi. Che cosa significa avere queste sequenze geniche? Introduciamo il termine “DNA
mobile” quindi geni che possono “saltare” e muoversi dentro i genomi. Ci sono diverse sequenze nel
nostro genoma che contengono geni che se si svegliano possono danneggiare il DNA attraverso
transposizionamento.Si parla di presenza di “trasposoni a DNA”. Essi rappresentano sequenze di
DNA che facilitano (attraverso l'utilizzo di enzimi come transposasi ma anche enzimi che vengono
codificati entro tali sequenze) lo spostarsi ricombinando il genoma batterico, che è in forma
plasmidica. Ricordiamo infatti che i batteri presentano un genoma che non è incapsulato e organizzato
come i nostri cromosomi, ma è in forma circolare. Questi DNA possono essere, una volta “attivati”,
fonte di un’aumentata diversità genomica e il risultato di un aumento alla resistenza contro gli
antibiotici, per cui solo quelli che presentano determinati genomi in grado di riconfermarsi riescono a
sopravvivere.
Questi DNA mobili sono in grado di “tagliarsi” separandosi dal trascritto di DNA e riposizionarsi nei
batteri e anche in altri contesti senza un RNA intermedio, facilitati da elementi genetici riconoscibili
con il nome di trasposasi. Questi elementi genetici codificano per gli enzimi trasposoni. Alcuni
trasposoni sono aspecifici e legano qualsiasi sito del DNA; i terminali possono legarsi a siti aspecifici o
specifici e nel rilegarsi le trasposasi tagliano il dna liberando i trasposoni. (Essi contengono sequenze,
risultando nell’overhangs 3’-5’ chiamato “adesivi” che vengono rilegati in un nuovo sito del DNA). E’ un
operazione che coinvolge la dna polimerasi che riempie il sito del taglio e la ligasi che può risultare
anche nella duplicazione del sito bersagliato.
I siti che contengono trasposoni a DNA si riconoscono perchè presentano sequenze corte e ripetute. I
trasposoni a DNA possono replicarsi durante la fase S del ciclo, quando il sito donatore ma non il sito
accettore è stato replicato. Nei batteri, i trasposoni possono trasferirsi da un plasmide ad altri plasmidi
o da un cromosoma ad un plasmide e viceversa, e causare la trasmissione di geni di resistenza agli
antibiotici, fenomeno che si vede in particolare in batteri che promuovono la resistenza agli antibiotici.
E’ un esempio di movimento di geni in maniera orizzontale, dove i plasmidi possono essere
trasmessi e i geni possono essere mossi attraverso i fagi in altri batteri. Alla base dei genomi batterici
c’è la capacità di muovere il DNA, importante per facilitare la ricombinazione in ambienti diversi e
promuovere la sporavvivenza tramite l’adattamento.

Trasposoni nel genoma umano.


I trasposoni nel genoma umano hanno quindi svolto un ruolo fondamentale nell'adattamento al
cambiamento e quindi nella complessiva sopravvivenza della specie. Nel genoma umano le sequenze
di “trasposoni DNA” rappresentano le reliquie delle nostre origini batteriche; sono state utilizzate
durante l’evoluzione per aumentare le dimensioni e la diversità del genoma. Corrispondono a circa il
2% del genoma umano. L’inserzione dentro una sequenza genica codificante può rendere un gene
disabile, per cui è molto importante che la capacità di trasposizione sia bloccata nel nostro genoma.
Questi trasposoni presenti sono quindi considerabili come potenziali mutageni che possono causare le
malattie genetiche se mai vengono liberati, e sono strettamente represse dall'oncosoppressore p53,
che qui è molto importante. Nel cancro, la de-repressione dei trasposoni si associa alla perdita della
funzione di p53, implicando p53 nella repressione dei trasposoni.

I trasposoni e il loro ruolo fisiologico.


Due importanti trasposasi sono i geni attivatori della ricombinazione di Rag-1 e 2, che sono stati
conservati nel nostro genoma assieme ai trasposoni, relegati ad avere un’attività quasi fisiologica nei
riarrangiamenti specifici genomici coinvolti nella formazione degli anticorpi (IgG, IgM, IgE) nel contesto
dei linfociti B e del recettore delle cellule T, durante l’immunità specifica. Abbiamo infatti conservato la
capacità dei trasposoni di spostarsi all’interno del DNA e lo abbiamo limitato alle popolazioni
linfocitarie, per riabbinare le regioni variabili nei geni al fine di formare recettori recettori T-cell e
recettori per i vari anticorpi specifici. Abbiamo un’incredibile capacità di riabbinare queste regioni allo
scopo di avere un insieme di diverse proteine, risultato quindi di una ricombinazione genica,
specificatamente limitato a tali cellule: è la base della nostra immunità.
(N.B: “trasposone” = formazione di DNA che migra; “trasposasi”= enzima che taglia il DNA e lo
sposta in una diversa posizione)

Trasposasi e cancro
Nel cancro, l’attività della trasposasi DNA RAG1 / 2 e PGBD5 è stata implicata in riarrangiamenti
genetici nelle leucemie infantili, come il medulloblastoma e il neuroblastoma. Recentemente sono stati
trovati anche in tumori adulti. Queste sequenze di DNA mobili possono quindi essere riattivate, a
causa di oncogeni, dell’enzima trasposasi. Ricordiamo che sono “spenti” in tutti i tipi di cellule,
lasciando un ruolo fisiologico nella produzione di anticorpi specifici e recettori T-cell specifici durante
l’immunità.
Nel nostro genoma sono anche presenti sequenze retrovirali endogene, formano parte del nostro
genoma e si sono evolute allo scopo di aumentarlo enormemente. Allo stesso tempo si sono formati
elementi importanti che bloccano la capacità potenziale propria di queste sequenze retrovirali di
diventare attive, il che causerebbe una instabilità genomica dovuta al fatto che potrebbero duplicarsi e
reinserirsi nei genomi.

Potrebbe essere un meccanismo coinvolto nella genesi dei tumori, è stata avanzata come ipotesi
originariamente nel 1936, da un certo Joseph Bittner che analizzando un ceppo di topi che
sviluppavano carcinomi alla mammella in ambito famigliare, ha scoperto il Bittner virus, anche
conosciuto come MMTV, “Mouse Mammary Tumor Virus”. E’un virus presente nel genoma dei
mammiferi e particolarmente nel ceppo dei topi ha subito una modificazione, è stato infatti trovato un
fattore presente nel latte in grado di indurre tumore della mammella nei topi. Fu caratterizzato come
un Bittner retrovirus con la presenza della trascrittasi inversa ed elementi sensibili agli ormoni
femminili per aumentare la replicazione durante la gravidanza. E’ stato trovato nel latte e così veniva
trasmesso ai cuccioli. MMTV virus, come sequenza, è stato identificato per poi poter identificare
un’equipollenza nel genoma umano, la sua controparte insomma, corrispondente al retrotrasposone
HERV-K. Avvenne nel 1986,
nacque così l’analisi dei
retrotrasposoni non solo nei
topi ma anche negli umani, da
prendere in considerazione
come una ipotetica fonte di
malattie genetiche.

Retrotrasposoni.
I Retrotrasposoni che sono
stati trovati nei genomi dei
mammiferi durante
l’evoluzione possono essere
classificati in diverse forme:
LTR-retrotrasposoni
(retrovirus endogeni);
Elementi lunghi intervallati
nucleari (LINEs); Elementi
corti intervallati nucleari
(SINEs); Pseudo-geni
processati (Pseudo-geni).
Questi ultimi rappresentano
geni che codificano per proteine quando
sono legati con un promotore, “pseudo” geni
proprio perché non possono essere
espressi come proteine (non portano
l’informazione di una proteina), ma
rappresentano geni che sono stati duplicati
e ripresentati al genoma.

LTR-retrotrasposoni (Retrovirus
endogeno 4,7% del genoma umano)
Per quanto riguarda i retrotrasposoni che contengono i Long Terminal Repeat, presenti nei retrovirus
oncogeni, possiamo dire che occupano quasi il 5% del genoma umano, sono stati fondamentali per
l’amplificazione del genoma, quindi fondamentali in chiave evoluzionistica. Contengono domini “LTR”
(Long Terminal Repeat) considerati essere retrovirus endogeni, presenti nel genoma in seguito ad
infezioni retrovirali precedenti. Pur essendo altamente mutati, sono stati ritrovati nei topi sono con la
capacità di riformare retrovirus infettivi (MMTV) anche in seguito alla ricombinazione. Ci sono 31
famiglie di LTR retrotrasposoni nel genoma umano, ma nessuno fino ad ora è stato in grado di
formare virioni infettivi, anche se la possibilità esiste. Stanno verificando. Sono attivi come retrovirus
endogeni, sanno esprimersi e regolare l’espressione di altri geni: sono spesso trovati come regolatori
trascrizionali in altri geni. La loro espressione è correlata con l’invecchiamento e patologie come: SLE,
lupus eritrematoso sistemico; sindrome di Sjorgen; malattia di Jakob Cruetzfeld; SLA; schizofrenia;
sclerosi multipla e tumori diversi. Le riattivazioni di tali sequenze, per danno a livello del DNA, può
apparire in determinate circostanze con conseguenze drammatiche.

Retrovirus endogeni umani (HERV).


Sono reliquie ancestrali di infezioni passate che contengono la struttura genomica retrovirale 5’-LTR-
gag-pol-ENV-LTR-3’. Nei topi sono in grado di riformare retrovirus infettivi in seguito alla
ricombinazione. La maggior parte sono inattive a causa di mutazioni ma la famiglia HERV-K rimane
attiva, sono quindi simili a retrovirus beta come MMTV. La famiglia di HERV-K è divisa in 11 gruppi
(classificate in HML da 1 a 11), derivati da infezione germinale. HML-2 rappresenta il virus endogeno
con il genoma più completo, rappresenta quindi l’infezione più recente (un milione di anni fa).Sono
strettamente regolati durante l’embriogenesi e HERV-K da retrovirus endogeno produce la proteina
sincitina-1, importante per la fusione trofoblastica e di tolleranza placentare materna. La sincitina ha
infatti un'azione immunosoppressoria.
A proposito di sincitina, su internet corrono voci infondate che il vaccino contro la proteina spike del
Sars-cov-2 potrebbe riconoscere proprio la sincitina, perchè nel vaccino ci sono piccole sequenze
aminoacidiche che sono analoghe o comunque presenti anche nella sincitina; in internet c’è questa
sorta di “teoria di cospirazione” ,secondo cui il vaccino può andare a promuovere un’autoimmunità
contro la sincitina e quindi può mettere in pericolo donne in gravidanza, in particolare andando a
riconoscere un’immunizzazione contro la sincitina nei trofoblasti. In realtà, analizzando le sequenze
amminoacidiche coinvolte e confrontando le due proteine, la possibilità è talmente remota da essere
minimale: nel campo della medicina e dei farmaci mai dire mai, ma il meccanismo di processing della
proteina spike necessaria per indurre un’immunizzazione contro il Sars-cov-2, in quantità di
amminoacidi simili sono così pochi da essere insignificanti. Nessuno ha riportato una simile
osservazione in 8-9 mesi di immunizzazione nei trials condotti utilizzando i vaccini.
La sincitina è comunque fondamentale e ha nelle sue origini un genoma retrovirale endogeno
presente che è stato conservato a livello fisiologico per la tolleranza della placenta. Molti LTR sono
stati cooptati per l'espressione genica nei tessuti, la loro espressione coincide con la malattia, quando
c’è un errore nel suo funzionamento. Due forme di proteine che possono essere prodotte da HerV-K
senza aver bisogno del suo riposizionamento produce due proteine Np9 e REC, la quale rappresenta
l’omologo della proteina Rev di HIV.

La famiglia HERV-K nel cancro.


Il provirus HML-2 si trova attivo nel carcinoma ovarico, carcinoma della mammella, carcinoma
prostatico e del colon, melanoma, linfomi, leucemie. Nelle cellule tumorali della mammella, l’estrogeno
induce l’espressione dell’ mRNA HML-2 e particelle simili al virione, anche trovati con l’mRNA per le
proteine Env nei tessuti tumorali della mammella. C’è una possibilità di avere un'attivazione simile in
alcuni contesti di carcinoma della mammella. L’espressione della proteina HML-2 env si associa con
metastasi linfonodali nel carcinoma della mammella. Un aumento nell’mRNA di HML-2 ed anticorpi
contro la proteina Rec si trovano nel siero e sono i markers per il carcinoma della mammella precoce.
Stanno aumentando le evidenze che abbiamo ri attivazioni in un contesto di carcinomi. Un numero
elevato di copie di HERV-K-gag si associa con la progressione tumorale del carcinoma della
mammella. L’mRNA di HML-2 env, rec e Np9e l’espresssione della proteina Env si trova elevata nella
linea cellulare e nei tessuti del carcinoma ovarico. Particelle retrovirus-like e l’mRNA che codifica per
HML-2 si trovano nei carcinomi prostatici e nel siero di pazienti con carcinoma prostatico; l’mRNA Gag
è stato rilevato nel siero di 6 su 9 pazienti con il carcinoma prostatico. Quindi è un'evidenza che sta
aumentando, considerando il fatto che tali LTR retrovirus, occasionalmente in alcune condizioni, si
riattivano e cominciano ad essere associati a tumori, promuovendo un comportamento appunto
tumorale.

HERV-K nei tumori ematologici.


L’mRNA HML-2 Pol si trova nel sangue di pazienti con leucemia mielocitica cronica ed acuta. Le
particelle retrovirus-like di HML-2 si trovano nei tessuti di linfomi e le cellule “H9 linfoma” esprimono
alle cellule T la proteina HML-2 env. Il virus Epstein Bar induce l’espressione di HERV-K Env come un
“Super” antigene in leucemia. Le proteine HERV-K env infatti sono antigeniche ed inducono risposte
immunologiche, sono quindi buoni antigeni tumorali. L’espressione di HML-2 si riduce dopo la terapia
nei linfomi.

HERV-K nel melanoma


L’mRNA di HML-2 gag, pol ed env e le proteine gag ed env si associano con il melanoma. Nei
melanomi cutanei ed oculari il provirus HML-6 è stato identificato e produce una proteina Env difettiva
antigenica. Molti melanomi producono particelle retrovirus-like che contengono le proteine gag, env e
la trascrittasi inversa. L’espressione di HERV-K demarca melanomi uveali e della mucosa.
L’espressione dell’mRNA di Rec si correla con il melanoma metastatico. Nei pazienti con il melanoma
e nelle linee di melanoma sono stati identificati 23 loci di HML-2 trascritti.

Per quanto riguarda i meccanismi attraverso il quale I HERV_k possono essere coinvolti in processi
oncogenetici,c’ è la possibilità di mutazioni inserzionali, ovviamente quando riattiva la trascrrittasi
inversa basata sul prodotto di mRNA proveniente deal retrovirus...…...

Meccanismi dell'oncogenesi indotti da HERV-K


● Mutazione inserzionale, basata su meccanismi di trascrizione inversa ad opera dell’RNA dei
retrovirus; ad oggi non sono stati identificati virioni infettivi di HERV in vivo, ma sono state
identificate particelle “retrovirus-like” di HERV-K nei trofoblasti, nei tetracarcinomi e nei
melanomi;
● HERV-K113 e 115 sono i più giovani e tendenzialmente producono retrovirus infettivi in vitro
anche in presenza della trascrittasi inversa difettosa, se acquisiscono la capacità di formare
virioni;
● Le proteine HERV-K, Rec e Np9 legano il repressore di c-MYC (oncogene) inibendo la
repressione di c-MYC. Questo comporta la sovraespressione di c-MYC che, in quanto
oncogene, promuove la progressione tumorale verso lo stato metastatico;
● I topi transgenici di Rec sviluppano seminomi;
● Np9 de-regola il pathway NUMB/NOTCH, implicato nei carcinomi della mammella e della
prostata. Inoltre Np9 agisce come cofattore di ERK, Akt, NOTCH-1 e beta-catenina, implicati
in meccanismi di segnalazione fondamentali nei processi oncologici, promuovendo la crescita
delle cellule staminali leucemiche umane.

Ruolo di HERV-K nell’immunomodulazione


● Le proteine HERV sono provviste di meccanismi di immunogenicità che contribuiscono a dare
una risposta infiammatoria cronica che facilita la sopravvivenza delle cellule tumorali;
● Gli anticorpi contro le proteine di HML-2 si sono osservati in pazienti con melanoma, carcinoma
alla mammella e carcinoma ovarico;
● La proteina Env di HERV-K18 riduce l’attività delle cellule T e aumenta in seguito alla presenza
del virus EVB e nel linfoma a cellule B. Quindi, come l’HIV-1, le proteine Env di HERV-K
esibiscono attività immunosoppressiva alterando l’espressione delle citochine e riducendo la
proliferazione delle cellule immunologiche.

HERV-K ed esosomi
Vi è una sorta di equipollenza tra l’attività degli esosomi e la replicazione retrovirale: alcuni meccanismi
di replicazione retrovitale si adattano infatti nel contesto di una cellula eventualmente provvista di HERV
difettosi, utilizzando gli esosomi in luogo dei retrovirus. Questo fenomeno si spiega sulla base di queste
evidenze:
● L’m-RNA d HML-2 è imballato negli esosomi, quasi come nei virioni, e può essere trasferito nelle
cellule normali;
● Anche gli esosomi contengono c-MYC, a sua volta riattivato da Np9 e Rec;
● HML-2 negli esosomi non ha bisogno della proteina Env per infettare, quindi gli esosomi
possono rendere infettivi gli HERV difettosi.
Possiamo considerare il nostro organismo come il prodotto di una guerra molecolare, combattuta anche
a livello del nostro genoma. Nel genoma, l’8% di HERV presente ha una plasticità ed una flessibilità
fisiologica, ma può causare effetti HERV-mediati patologici in termini di induzione o promozione di
processi tumorali, auto-immuni o di altro genere. Non vi sono ancora evidenze rispetto al fatto che gli
HERV possano indurre la trasformazione direttamente attraverso mutazione inserzionale, si ritiene
piuttosto che tale funzione sia svolta tramite le onco-proteine Rec e Np9 o tramite proteine che
influenzano l’immunità e l’infiammazione.
In conclusione, è come se i “semi” del cancro fossero già dentro di noi, in forma retro-virale;
chiaramente, questi si attivano qualora vi siano delle lacune nei meccanismi di repressione dei retro-
virus. Se il tumore è indotto invece da fattori esterni, il ruolo del retrovirus si inserisce nei meccanismi
di progressione di tale tumore.

LINEs (elementi lunghi intervallati nucleari)


I LINEs sono sequenze ancestrali, riferibili all’epoca precedente alla comparsa dei retrovirus. Sprovvisti
di LTR, contengono tuttavia altri promotori.
Queste sequenze sono sottoposte ad una fitta regolazione: disfunzioni nei meccanismi di repressione
dell’attività dei retro-trasposoni, si associano a casi di aneuploidia, cancerogenesi e progressione
tumorale. Il fatto che si inseriscano dentro o in prossimità di geni codificanti modifica l’espressione e la
funzionalità genica, mentre un aumento nel numero di copie inserite può facilitare la rottura e il
riarrangiamento cromosomico.
Esistono numerose sequenze LINE nel genoma umano, di cui solo LINE-1 rimane attivo. Il reto-
trasposone LINE-1 rappresenta il 17% del genoma umano; le sequenze LINE-1 nel genoma sono oltre
100.000, la maggior parte delle quali sono silenziate mediante mutazioni, riarrangiamenti o
troncamento. La sua attività di retro-traposizionamento necessità sia di trasduzione che di trascrizione.
Lungo 6kBasi, contiene 5’ e 3’ UTR, e presenta due geni sovra-posizionati:
● ORF-1 🡪 codifica per una proteina di 40 kDa, in grado di legare l’RNA. La trascrittasi inversa
ORF-1p è un RNA chaperone (i retrovirus necessitano di chaperoni che proteggano l’RNA);
● ORF-2 🡪 codifica per una proteina di 150 kDa, ad attività endonucleasica.
È stato osservato che l’attività di LINE-1 aumenta nelle linee cellulari tumorali e nei tessuti tumorali,
e si associa con la disseminazione metastatica e con l’instabilità genomica.

Meccanismi L1-mediati nei tumori


L1 è estremamente polimorfico e contribuisce allo sviluppo di almeno 37 malattie note. Innanzitutto, la
ricombinazione omologa non allelica LINE-LINE contribuisce alla variabilità ed alla instabilità
genetica; inoltre nelle cellule tumorali umane si possono osservare: inversioni di elementi L1,
inserzioni di nucleotidi (l’inserzione di L1 promuove anche delezioni genomiche maggiori), delezione
di esoni, inversioni cromosomiche e co-trasposizione di sequenze vicine. L’inserimento di nuovi
L1 risulta piuttosto frequente in alcuni soggetti; può causare mutazioni inserzionali dirette,
disturbando le sequenze codificanti, e può de-regolare la trascrizione genica. L’inserzione di L1
comporta esiti differenti a seconda della regione in cui si inserisce:
● L’inserzione vicino ad oncogeni, o vicino (o dentro) oncosoppressori favorisce la formazione
e/o la progressione dei tumori polmonari e alla mammella;
● L’inserzione (o altri disturbi) a livello di geni oncosoppressori quali APC, MCC e ST18, si
osservano nel carcinoma del colon;
● L’inserzione di L1 nelle cellule tumorali, comporta la sovra-espressione del gene hTERT
(deputato al mantenimento della lunghezza dei telomeri).
L1 può agire sia in cis che in trans aumentando l’instabilità genetica attraverso altri retro-trasposoni
quali SINEs, ALUs, RNA nucleare, producendo pseudo-geni processati; alcuni pseudo-geni formano
siRNA (promuovendo la formazione di DNA a partire da mRNA in presenza di trascrittasi inverse) in
grado di regolare l’espressione genica. In particolare, promuove:
● L’inserzione di ALU nel gene APC (tumori desmoidi), nell’oncosoppressore NF-1
(neurofibromatosi di tipo 1), e negli oncosoppressori BRCA1 e 2;
● L’inserzione di SINE, associata con la delezione del gene HLA, nei soggetti con leucemia
(abbassando l’immunosorveglianza).

L1 nel cancro
L1-ORF-1p si osserva nel 50% delle neoplasie L1 immunoreattive.
I tumori L1 positivi sono:
● Carcinoma invasivo della mammella: il 97 % di questo tumore mostra L1 positività;
● Carcinoma ovarico di alto grado, 91.5 %;
● Carcinoma duttale pancreatico, 89 %. L’inserzione di L1 e la conseguente espressione di
ORF1p in questo tumore si trova sia in fase primitiva che metastatica;
● Tumori endometriali, biliari, dell’esofago, della vescica, della testa e del collo, e del
polmone, 22.6 – 76.7 %.
Nei tumori epiteliali, l’inserzione di L1 promuove i meccanismi di EMT, con conseguente
disseminazione metastatica.
L’inibizione della trascrittasi inversa di L1, riduce la proliferazione e promuove il differenziamento
delle cellule tumorali della mammella: bersagliando le trascrittasi inverse, è dunque possibile limitare
il ruolo di L1 rispetto alla promozione tumorale.
In diversi tumori è stata riscontrata una ipometilazione a carico del promotore di L1, associata alla
trascrizione e all’espressione di L1 stesso: è stato pertanto dedotto che, in condizioni fisiologiche, la
metilazione del promotore di L1 lo silenzia, impedendo dunque l’espressione di L1. I meccanismi,
fisiologici, attraverso cui avviene la regolazione dell’espressione delle proteine codificate dal genoma di
L1, sono i seguenti:
● L’iper-metilazione, a livello di L1 5’ UTR CpG, inibisce l’espressione di L1 e riduce il danno
genomico; al contrario, l’ipo-metilazione del promotore di L1 si associa a tumori epiteliali con
danno genomico.
● Bersagliando l’intermedio a RNA di L1 con HnRNPL (una nucleo-proteina), si inibisce
l’inserzione di L1 stesso; HnRNPL infatti interagisce direttamente con l’RNA di L1, inibendone
la trasposizione, e quindi riducendo i livelli di RNA L1 a disposizione per la retro-
trascrizione.
● RNAsiL riduce l’espressione ORF1p e ORF2p provenienti dal genoma di L1, attraverso la
degradazione del mRNA; sotto regolazione di RNAsiL, aumenta la trasposizione di L1 nelle
cellule tumorali ovariche.
● Il recettore per la melatonina-1 (MT-1) riduce l’espressione di RNA L1 e della proteina ORF1p.
● Meccanismi di autofagia inibiscono la retro-trasposizione di L1, attraverso la degradazione del
RNA intermedio.
● L’elicasi del RNA MOV10 si associa con L1-RNP promuovendo la formazione di granuli di
stress citoplasmatici che inibiscono la trasposizione di L1.
● La proteina anti-virale ZAP lega L1-RNP inibendo la trasposizione, attraverso il sequestro, nei
granuli citosolici.
● La citosina deaminasi APOBEC3, bersagliando il DNA di L1 (e di retrovirus in genere)
promuove la conversione delle citosine ad uracile, sottoponendo il DNA L1 a meccanismi di
degradazione endonucleasica.
● Le endonucleasi TREX1 ERCC17XPF degradano il cDNA di L1.
Esistono dunque meccanismi di repressione dei retro-trasposoni, “intrinseci” nel genoma; solo in
alcune circostanze le proteine coinvolte possono essere utilizzate a scopi fisiologici. Se le molecole
implicate in questi meccanismi vengono danneggiate, possono svilupparsi tumori.

In conclusione
● L1 può causare mutazioni e riarrangiamenti a carico del genoma, compromettendo la stabilità
genomica;
● Poiché l’inserzione di L1 interferisce con il normale processamento del RNA, l’espressione di L1
promuove lo sviluppo tumorale;
● Nei tumori umani, sequenze L1 sono frequentemente ipometilate;
● Inoltre, L1 promuove la progressione metastatica, eludendo progressivamente tutti i
meccanismi di repressione.

Retro-trasposoni e cellule staminali


I retro-trasposoni hanno un ruolo anche nella staminalità, sia in condizioni normali che in condizioni
tumorali.
Dopo la fecondazione, le sequenze ERE vengono rapidamente silenziate in fase di blastocisti per mezzo
di processi articolati e sincronizzati; tali processi coinvolgono:
● Repressori di natura proteica;
● Repressori a RNA;
● Metilazione della cromatina;
● Metilazione del DNA;
● De-acetilazione della cromatina;
● …
… impedendo dunque la trascrizione di queste sequenze.
L’unica eccezione è rappresentata dai progenitori pluripotenti neurali: questi continuano ad
esprimere ERE attivi, dando luogo a mosaicismi neuronali; nel cervello sviluppato, possono poi essere
riattivati causando plasticità neuronale (sebbene i meccanismi siano ancora da chiarire).
Nelle cellule somatiche, ERE sono in genere inattivi, ma possono essere riattivati in seguito a
determinate stimolazioni (da parte di metalli pesanti, steroidi, fattori di trascrizione quali POU5F1,
KLF4 e SOX2) inducendovi meccanismi di riprogrammazione in seguito ai quali possono assumere
caratteri di staminalità. L’acquisizione di staminalità in seguito a riprogrammazione, è associata alla
demetilazione di loci ERE e alla trascrizione ERE-dipendente, cosicché il mantenimento della
pluripotenza sarà associato a ERE; il differenziamento delle cellule coinvolte sarà dunque forzatamene
bloccato in presenza di ERE e potenzialmente indurrà lo sviluppo di cellule tumorali. Il mantenimento
della staminalità in maniera ERE-dipendente, può dipendere da vari fattori:
● LINC-ROR, RNA non codificante che contiene LTR7 in posizione 5’, induce e mantiene la
staminalità;
● L’espressione del miRNA Hsa-mir 371-373, regolato da KLF4, sopprime il differenziamento
(promuovendo quindi i caratteri di staminalità);
● L’espressione dell’ERE HERV-H, RNA non codificante che rappresenta il 2% dell’intero RNA
nelle cellule staminali, può agire sequestrando il miRNA pro-differenziamento.
La staminalità può inoltre essere indotta in vitro, per mezzo dei fattori trascrizionali POU5F1, KLF4 e
SOX2; richiede un tempo variabile tra 1-7 settimane, e mostra un’efficienza del 20%. Questi meccanismi
inoltre possono generare anche cellule staminali non in grado di differenziare, che spesso esprimono
uno splicing aberrante e anomalie fenotipiche dovute alla continua attivazione di ERE; il risultato si
manifesta in termini di trasformazione ed aumento dell’immunogenicità. È possibile che cellule
staminali derivanti da cellule somatiche, si sviluppino attraverso meccanismi analoghi.
Infine, cellule tumorali derivate da cellule pluripotenti possono trasformarsi semplicemente in
seguito all’inibizione o alla disfunzione dei meccanismi di repressione di ERE.

Elicasi e sindrome di Bloom


La sindrome di Bloom è una malattia associata a mutazioni del gene BML sul cromosoma 15q26; tale
mutazione, osservata da principio in popolazioni in cui erano frequenti i rapporti tra consanguinei,
sembrava inducesse un aumento del numero di scambi tra cromatidi fratelli. BML-DNA-elicasi 3’-
5’ ha infatti un ruolo decisivo nella replicazione del DNA e nella riparazione dei filamenti di DNA
danneggiati, per cui il suo malfunzionamento comporta instabilità genetica. Tale ipotesi trovò
evidenza nel fatto che, utilizzando la medesima colorazione argentica su due campioni (normale-
sindrome di Bloom), la “risposta” non era la stessa: nel campione normale si osservava un numero
moderato di scambi tra cromatidi fratelli, mentre nel campione con sindrome di Bloom gli scambi
apparivano decisamente più numerosi e nessun cromosoma risultava esente da tale scambio.

Poste queste considerazioni, è chiaro che l’elevato numero di scambi comporta un’importante instabilità
genetica, sottoponendo più facilmente il DNA ad eventuali mutazioni in senso tumorale; questo spiega
perché si registrano alte percentuali di insorgenza precoce di tumori:
● 15-20 % di pazienti con leucemia presentano sotto i 30 anni;
● 30 % di pazienti con carcinoma presentano sotto i 20 anni;
● …
Oltre ad indurre tumori, queste condizioni di instabilità genetica promuovono anche la crescita del
tumore in questione.
Patologia molecolare
Prof. Mackay
Sbobinatori: Aurora Ledda e Giada Ragusi
Revisori: Gianmarco Chiacchia e Aurora Ledda
Data: 21.01.2021

Il ruolo dell’in ammazione nelle progressioni tumorali o nelle protezioni contro il tumore.

L’in ammazione rappresenta una lama a doppio taglio.


L’in ammazione insieme ad altre componenti del sistema immunitario e in condizioni ottimali è
uno dei meccanismi più importanti per abbassare l’incidenza dei tumori.
Si fa riferimento a condizioni in cui il genoma è intatto e privo di mutazioni a carico specialmente
degli oncosoppressori.
L’in ammazione e la risposta immunologica collaborano al ne di identi care le cellule
danneggiate ed eliminarle prima che creino un problema.
Siamo in presenza di una collaborazione tra oncosoppressori che segnalano le cellule
danneggiate al sistema immunologico (composto da cellule circolanti deputate proprio al
riconoscimento di cellule anormali).
Quando vengono identi cate infatti si innescano i processi di eliminazione a condizione che sulla
super cie cellulare siano presenti delle molecole che permettono il riconoscimento.
Ovviamente se il danno è irreparabile a livello del DNA vi è una maggiore espressione di
oncosoppressori che portano alla produzione di un numero su ciente di molecole e recettori che
marcano le cellule riportanti danno per far sì che queste vengano riconosciute dalle cellule del
sistema immunitario.

L’in ammazione a livello di cellule presentanti danno genomico può essere coinvolta nella genesi
di tumori.
Infatti dobbiamo ricordare che in seguito a eventi in ammatori o durante in ammazioni croniche vi
è il ripristino di rigenerazioni tessutali tramite un turnover continuo e quindi una continua
proliferazione cellulare.
In mancanza di oncosoppressori si crea un ambiente favorevole a trasformazioni.

L’in ammazione dunque in un organismo normale rappresenta un meccanismo siologico che ha


il ne di eliminare cellule patogene e danneggiate e ripristinare il tessuto.
Quando il genoma è danneggiato, evento che principalmente avviene in terza età, in seguito a
invecchiamento o a esposizione a fonti che danneggiano il DNA (radioattivi, agenti chimici, ecc.),
la reazione in ammatoria può essere importante nello sviluppo di tumori o nella loro progressione.

I leucociti sono osservati da tempo nei tumori e hanno fornito i primi indizi riguardo la correlazione
tra cancro e sistema immunitario.

Solo negli ultimi anni abbiamo ottenuto prove evidenti che l’in ammazione svolge un ruolo
fondamentale nello sviluppo del cancro e stiamo iniziando a capirne i meccanismi molecolari
coinvolti.

L’infezione cronica, l’obesità, il fumo, il consumo d’alcol, gli inquinanti ambientali, le diete ricche di
grassi sono riconosciute come fattori di rischio maggiori per i tipi più comuni di cancro e sono
legati ad esso mediante l’in ammazione.

Sappiamo come i tessuti e le cellule rispondono all’in ammazione acuta: dolore, calore, gon ore,
arrossamento e perdita della funzionalità.
La risposta in ammatoria acuta generalmente è acuta e protettiva. Tuttavia se gli agenti che la
provocano persistono essa evolve in cronica.
L’in ammazione cronica aumenta il rischio di insorgenza di tumori, in particolar modo se
associata a mutazioni a carico del genoma.

I neutro li sono le prime cellule che rispondono alle in ammazioni e rilasciano specie di ossigeno
reattivo che uccidono i patogeni.
Nell’in ammazione cronica c’è una prevalenza di macrofagi con conseguente danno tessutale e
cicatrizzazione.
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I tumori appaiono come ferite croniche che non guariscono. Sono caratterizzate dalla
sopravvivenza e migrazione cellulare, fattori di crescita, angiogenesi e molecole attive nelle vie di
segnalazione.
Sono circondati da cellule immunitarie coinvolte nella guarigione che secernono citochine e fattori
di crescita che promuovono le progressioni tumorali invece di placarlo e ridurlo.

NF-kB (nuclear factor K binding)

È riconosciuto come un mediatore


fondamentale dell’in ammazione
acuta oltre che del riparo.
È un fattore trascrizionale per
tantissimi geni coinvolti nei
processi in ammatori.

Molte sequenze geniche che


codi cano per fattori della
risposta in ammatoria possiedo il
sito di legame a livello di
promotori ed enhancer per NF-kB.

Quando viene attivato promuove


l’espressione genica
proin ammatoria, ma anche
prorigenerativa.

Infatti è importante per la


formazione di nuovi vasi durante l’in ammazione siologica.

Le prime osservazioni che l’hanno visto correlato a in ammazioni associate a tumori è avvenuta
con l’identi cazione dell’oncogene retrovirale V-Rel.
V-Rel oncogene (reticuloendotheliosis virus oncogene) responsabile dell’induzione di tumori fatali,
principalmente linfomi e leucemie, negli uccelli.
Attraverso la procedura con la quale sono stati identi cati i protoncogeni normali, utilizzati dai
retrovirus e convertiti in oncogeni, utilizzando la complementarità delle sequenza oncogeniche
virali V-Rel sono state individuate delle “controparti” C-Rel.
C-Rel è una subunità della famiglia Rel che eterodimerizzano con le famiglie delle P50 formando i
fattori i fattori trascrizioni NF-kB.
Infatti le attivazioni di NF-kB è riscontrata in diverse tipologie di tumori, nello speci co nelle
leucemie e nei linfomi.

Come viene attivato:


Le attivazioni di NF-kB avvengono attraverso riarrangiamenti, attivazioni oncogeniche e mutazioni.
Anche nei tumori solidi viene frequentemente attivato.
È attivato da oncogeni, da cambiamenti nel metabolismo associati ad attività oncogenica o da
stress, da fattori di crescita e citochine proin ammatorie presenti nello stroma tumorale.
Viene attivato anche in seguito a reclutamento di cellule in ammatorie ad oprta di Toll like recettori
(TLR) o Nod like recettori (NLR) e citochine di diversi tipi.

Sono regolatori chiave della sopravvivenza cellulare.


È ben noto per fornire alle cellule tumorali un vantaggio di sopravvivenza grazie alla
iperespressione di geni anti apoptotici appartenenti alla famiglia BCL2, BCL1, BCXL.
Le protegge sia attraverso la via intrinseca (mitocondriale) che attraverso la via estrinseca in
condizioni in cui c’è una ipoattività della caspasi 8 o 10.

Esiste un cross-talk reciproco, quindi interazioni reciproche, tra NF-kB e l’autofagia nel cancro,
nella quale può promuovere o reprimere la cancerogenesi a seconda dello stimolo e del contesto.
Un esempio è dato dalla mancata fusione dei lisosomi e fagosomi che comportano un aumento di
tossine a livello intracellulare.
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La segnalazione pro-in ammatoria NF-kB è a valle dell’attivazione di RIPK1/RIPK3 richieste per
l’immugenicità delle cellule necrototopiche nei microambienti tumorali.
Promuove anche l’espressione delle citochine che promuovono tumorigenesi, alcuni dei quali
includono interleuchine 6 e TNF-alpha se quest’ultimo non promuove la morte cellulare.
Promuove anche un pattern dell’espressione genica proangiogenica.

NF-kB promuove direttamente lo sviluppo di cellule T regolatrici e le loro in ltrazioni nei tumori
promuovendo l’evasione immunitaria. Infatti se le cellule T regolatrici fossero presenti
bloccherebbero le popolazioni linfocitarie che andrebbero a eliminare le cellule tumorali.

L’inibizione di NF-kB può comportare cambiamenti nel fenotipo dei macrofagi attivi nel tumore (i
TAM).
Questi passano da un fenotipo M2 che promuove il tumore a un fenotipo M1 che è un fenotipo
antitumorale.
Infatti in condizioni inverse, quindi quando NF-kB è attivo, sono presenti le varianti M2.

I ROS causano danni ai tessuti circostanti aumentando l’in ammazione locale e rilasciando
citochine in un ciclo di attivazione NF-kB positivo.
Infatti più è presente in ammazione e più NF-kB è attivo.

NF-kB stimola la proliferazione e riduce l’apoptosi.

HIF (Hypoxia-Inducible Factor) sono mediatori coinvolti nell’attivazione di NF-kB. Quest’ultimo


infatti risponde all’ipossia attivandosi.
HIF è coinvolto anche nell’angiogenesi regolando l’espressione di proteine coinvolte nella
regolazione di questa, ottimizzando l’espressione di VEGF (fattore di crescita endoteliale) e della
MMP-9 (la metalloproteinasi 9) che è un attivatore di VEGF e modulatore dell’ambiente e del
turnover della matrice necessaria per l’angiogenesi.

NF-kB promuove la formazione di metastasi aumentando l’espressione di fattori trascrizioni Twist


che sono tra i più importanti fattori trascrizionali induttori di EMT, necessario per promuovere le
invasioni e la motilità delle cellule tumorali.

Un livello alto di metaboliti provenienti dalla glicolisi, caratteristica propria delle cellule tumorali
maligne, è in grado di attivare NF-kB ottimizzando l’e etto Warburg bloccando la respirazione
mitocondriale.
Infatti i cambiamenti metabolici in genere sono condivisi da ambienti tumorali e in ammatori.
Sono necessari nella fase di rigenerazione tessutale che ha bisogno dei carboni per l’anabolimo
per la sintesi di nuove proteine, nucleotidi, lipidi ecc.
Lo stesso vale per i tumori che devono crescere e dunque necessitano di carbonio.
Ecco perché un metabolismo che sfrutta la fosforilazione ossidativa non è conveniente: perché è
un metabolismo che utilizza troppi carboni per generare energia.

Neutro li associati al cancro

I neutro li sono fondamentali nei processi in ammatori e anche altamente coinvolti in quasi tutti
gli hallmarks tumorali.
Arrivano attraverso molecole in ammatorie, ma nel contesto tumorale il loro fenotipo può
cambiare e diventano capaci di promuovere la progressione tumorale attraverso diversi
meccanismi.
Regolano l’entrata all’interno dei vasi sanguigni di cellule tumorali.
Una delle capacità dei neutro li è quella di in ltrazione nei tumori con rilascio di agenti
angiogenetici e la metalloproteinasi 9 contenuta nei loro granuli.

Sia nei neutro li che nei macrofagi MMP-9 viene espressa priva del suo inibitore TIMP-1.
TIMP-1 è un inibitore che in altre sedi cellulare viene espressa con MMP9, così che venga attivato
solo per breve tempo con lo scopo di controllare la sua potente attività di rimodulazione della
matrice.
Nel contesto tumorale questo meccanismo è squilibrato.
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C’è una tendenza attraverso diversi meccanismi di cambiare l’equilibrio in favore della proteolisi.
I neutro li e il loro contenuto di MMP-9 è molto importante in questo.

L’in ltrazione di neutro li e macrofagi nei tumori è capace di promuovere l’angiogenesi e la


neovascolarizzazione favorendo la metastasi.

Esiste un asse tra un recettore chemochimico (CCR7) e MMP-9 implicato nelle disseminazioni
linfatiche che promuove le metastasi linfonodali, soprattutto a livello colico.
Un ambiente entro il quale MMP-9 favorisce la progressione verso un evento metastatico.

Attraverso questo schema qui sotto possiamo vedere come MMP-9 (che provenga da fonti
tumorali o in ammatorie) promuova progressioni tumorali in diverse fasi.

Al centro si vedono polimorfonucleati che rilasciano MMP-9 senza TIMP.


Va a stimolare l’angiogenesi attraverso l’attivazione di VEGF promuovendo la degradazione della
membrana basali.
Così è capace di attivare le citochine proin ammatorie promuovendo e attivando le in ammazioni.
Le attivazioni con oncogeni e fattori di crescita sono in grado di indurre l’espressione di MMP-9
sempre aumentando la quantità durante la progressione tumorale.
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Ha l’e etto aggiuntivo di MMP-9 e anche di cambiamento dell’architettura del tessuto
modi candone la matrice.
Promuove il cambiamento necessario insieme ad altri eventi come ipossia e produzione di fattori
di crescita come EMT che stimolano le transizioni epiteliali-mesenchimali e quindi aumentando la
motilità ed eventualmente l’invasione dei vasi sanguigni e linfatici.

Inoltre fattori che si formano (e includono MMP-9) col crescere del tumore diventano
autosu cienti dal punto di vista endocrino. Vengono rilasciati a livello del circolo sistemico e
modi cano il parenchima di altri organi generando metastasi o generano una su cienza di
inibitori dell’angiogenesi (tipo angiostatina) che possono limitare la crescita metastatica in organi a
distanza.

MMP-9 quindi può:


-promuovere promuovere instabilità genetica;
-promuovere l’espansione clonale;
-promuovere l’angiogenesi;
-degradare la membrana basale;
-attivare citochine e chimochina;
-rilasciare fattori di cescita dalla matrice extrcellulare;
-distruggere l’architettura tissutale;
-rilasciare EMT;
-promuovere l’invasione;
-promuovere la motilità mesenchimale;
-formare la nicchia staminale;
-promuovere l’invasione di cellule tumorali nei vasi.

Ovviamente facciamo riferimento a genotipi tumorali altamente danneggiati che hanno


accumulato mutazioni che facilitano l’evoluzione in fenotipo tumorale. Gli ambienti in cui si
trovano tra l’altro selezionano positivamente sempre di più le cellule capaci di superare le barriere.

Per quanto riguarda il funzionamento dei neutro li nel cancro, anche se hanno la possibilità di
essere citotossici e quindi uccidere le cellule tumorali, il tumore è capace di convertirle e
promuovere un fenotipo meno aggressivo pro-tumorale.

Il fenotipo dei neutro li N1


è un fenotipo antitumorale
e può anche essere
indotto.

Gioca un ruolo nell’attività


antitumorale di agenti
terapeutici come
l’interferone beta.

È un fenotipo mature che


promuove la citotossicità
capace di indurre
apoptosi nelle cellule
danneggiate, di ridurre
l’angiogenesi e anche
stimolando l’attività delle
cellule T attivando
l’immunità.

Il fenotipo più frequente


nei tumori è il fenotipo
pro-tumorale N2.

È un fenotipo immaturo.
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È promosso da TGF-beta, citochina con molte funzioni tra le quali quella di indurre la
cicatrizzazione durante l’in ammazione.
TGF-beta è molto implicato nelle N2. Promuove l’espressione di geni che depongono matrice
anche se l’ambiente è proteolitico.
Le N2 facilitano la cancerogenesi e inibiscono l’apoptosi.
Sono pro-angiogeniche.
Non stimolano le cellule T e sopprimono le attività immunitarie.
È associato alla progressione tumorale.

Macrofagi associati al cancro

La presenza di macrofagi nel cancro è abbondante.


Esistono tipi di tumori che presentano quasi il 50% del loro volume e peso costituito da
macrofagi.
Spesso si associano a un particolare fenotipo con promozione e aggressività tumorale.
Si associano vicino alle aree dei tumori invasini.
Sembra che attivati e dirottati verso un particolare sito siano responsabili dell’invasività tumorale e
della successiva metastatizzazione.

I fenotipi considerati importanti nel compartimento dei TAMs sono i fenotipi M1 e M2.

M1 è un fenotipo antitumorale proin ammatorio nel senso che attivo si trova in fasi di
adattamento quando persistono agenti lesivi nell’in ammazione cronica.
Esso ha diverse interazioni che possono modi care il comportamento di cellule come T-helper, NK
e secernere IL come IL-12, IL-10 e IL-23.
Promuovono le risposte T-helper anti tumorali.
Quindi è associato con in ammazioni e meno con tumori in progressioni.
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Il fenotipo M2 è il fenotipo pro-tumorale.
Si associa più spesso con la cicatrizzazione e viene promosso da citochine antin ammatorie e
molecole che inibiscono l’attività delle citochine proin ammatorie come IL-1.
Ha un ruolo importante nel bloccare le popolazioni leucocitarie che vogliono entrare a distruggere
il tumore attraverso la formazione di granulomi di tipo epiteliale. Dunque Linfociti T e B vengono
limitati attraverso interazioni M2-fenotipomacrofagio-dipendenti.
Si notano cambiamenti che promuovono risposte T-helper 2.
Si promuove il rimodernamento dei tessuti.

Vediamo nello schema sopra anche altri tipi di macrofagi pro-tumorali.


Analizzando questi fenotipi si è concluso che potrebbe essere strategica la conversione del
fenotipo M2 nei TAMs verso un fenotipo M1.
È possibile farlo anche attraverso metodi abbastanza “grezzi”, ad esempio l’inserimento di
microbi attenuati capaci di riconvertire i macrofagi in un fenotipo antitumorale.

La riprogrammazione del metabolismo

La crescita incontrollata caratterizza il cancro e richiede la replicazione di tutti i componenti


cellulari: DNA, RNA, proteine e lipidi per compiere la divisione nelle cellule glie.

L’attivazione oncogenica e la mancanza di occosoppressori comportano la capacità di


iperproliferazione di cellule immortalizzate.
Per e ettuare la proliferazione è necessaria una fonte di carboni adeguati per l’anabolismo del
DNA, RNA e tutte le molecole necessarie per la progressione.
Il processo richiede anche energia.
Ecco perché le cellule tumorali devono provvedere a un metabolismo per assorbire nutrienti, per
mantenere il proprio ambiente interno, per crescere, per replicarsi e anche per difendersi dagli
agenti terapeutici.
Queste molecole dunque necessitano di ATP.
Attraverso due tipi di respirazione è possibile ottenere ATP:
1.La respirazione aerobica utilizzata per produrre piruvato con formazione di 36 molecole di ATP e
rilascio di CO2 e H2O.
2.La respirazione anaerobica che avviene mediante metabolizzazione del glucosio in piruvato con
produzione di 2ATP e acido lattico, importante come fonte di materiali.

E etto “Warburg”

Il metabolismo peculiare dei tumori è stato identi cato da Otto Warburg con gli esperimenti che
fece tra il 1920 e il 1950.

Ha descritto un cambiamento metabolico nelle cellule tumorali a ermando che “La causa
principale del cancro è la lesione alla respirazione e la sua sostituzione con la fermentazione dello
zucchero […] a questo punto le mutazioni e gli agenti cancerogeni non sono alternativi, ma parole
vuote se non speci cate metabolicamente”.

Quindi individuò che le basi di questi cambiamenti consistono nel cambiamento metabolico che
rende possibile possibile la crescita tumorale fornendo materiali in termini di carboni che possono
essere riutilizzati a formare nuove sostanze.

Inoltre sono importanti anche i microambienti tumorali.


L’ipossia con la riossigenazione uttuante, quindi ipossia da riperfusione (vascolarizzazione
aberrante, stati di usso, ostruzione vascolare), ipossia di perfusione (di usione dell’ossigeno che
non va oltre 70 micron) e ipossia anemica causata dal tumore ma anche dalla chemioterapia,
insieme creano condizioni di ipossia promuoventi la cancerogenesi.

Tra l’altro notiamo come i vasi neoformati sono abnormi, permeabili, non e ettivi e immaturi.
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O o Warburg a ermò che la causa principale del cancro fosse la lesione della respirazione e la sos tuzione
di questa con la fermentazione dello zucchero, ossia che il cambiamento metabolico era causa della crescita
delle cellule tumorali.
I vasi che irrorano i tumori sono di grande portata essendo un microambiente stressante.
Ci troviamo in presenza di:

•Ipossia con re-ossigenazione u uante, ipossia da perfusione, ipossia di perfusione e ipossia anemica;
•Deprivazione dei nutrien ;
•Microambiente riducente ed acidosi – e e o ‘Warburg’.

Nelle cellule tumorali, è uno spostamento metabolico verso la glicolisi aerobica che non è causato da danni
ai componen della respirazione.
Inizia con lo splicing alterna vo, ipossia indo a e HIF dipendente del gene piruvato chinasi producendo 1
molecola di piruvato e 1 molecola di ATP.
L’iso-forma alterna vamente splicata PKM2, promossa dall’ipossia, ha un’a vità bassa e provoca l’accumulo
di grandi concentrazioni di intermedi glicoli ci, u li per la sintesi biomolecolare.
PKM1 e PKM2 di eriscono di 22 aa e hanno proprietà regola ve dis nte.
Lo splicing alterna vo è promosso anche da segnalazione RTK, oncogeni a va e oncosoppressori ina va ,
a ribuito a fa ori di trascrizione HIF e cMyc e PKM2 è l'isoforma nella maggior parte dei tumori.
L'ipossia ina va l'enzima mitocondriale piruvato deidrogenasi, che collega e controlla il usso tra glicolisi
nel citosol ed il ciclo di respirazione ossida va TCA mitocondriale ed è responsabile dell'ossidazione del
piruvato in ace l-coenzima A in presenza dell'ossigeno, che entra nel ciclo TCA, generando l'energia dai
carboni in forma NADH, NADPH e ATP.
Oncogeni RTK localizza ai mitocondri possono a vare la glicolisi a raverso la fosforilazione del piruvato
deidrogenasi chinasi, che inibisce il complesso PDH promovendo la conversione del piruvato in la ato.
Cara erizza un metabo- po plas co che de nisce uno stato di cellule staminali normali e cancerogene,
quindi, è una componente necessaria per la generazione delle cellule staminali cancerose, progressione
metasta ca e recidiva terapeu ca.
Questo metabo- po cara erizza so opopolazioni di cellule staminali umane pluripoten riprogramma che
formano teratomi.
LA GLICOLISI AEROBICA: L'EFFETTO WARBURG
La glicolisi è il processo in cui le cellule metabolizzano il glucosio in piruvato, il primo passo nella formazione
di ATP.
Le cellule tumorali incassano più glucosio e secernono la ato durante i periodi di crescita rapida in un
fenomeno conosciuto come e e o Warburg (glicolisi aerobica).
Le cellule tumorali consumano più di ven volte la quan tà di glucosio rispe o alle cellule normali, ma
secernono l’acido la co invece di romperlo completamente in anidride carbonica.
Perché le cellule tumorali scelgono questo percorso metabolico ine ciente quando potrebbero o enere 16
volte più ATP per la molecola di glucosio scegliendo la respirazione normale?
La risposta è duplice:
1.Anche se producono molto meno ATP per molecola di glucosio, le cellule tumorali producono energia
quasi 100 volte più velocemente delle cellule normali, un vantaggio economico dove i bene ci della
rapida produzione di ATP superano i cos associa alla disgregazione del glucosio ine ciente.
2.Diro ano il carbonio per la sintesi proteica, lipidica e dei nucleo di necessario per la crescita tumorale
invece di u lizzarlo per l'energia.
Circa il 50% del la ato prodo o a raverso la glicolisi viene rilasciato promovendo l'acidosi nel
microambiente.
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L'acidosi nel microambiente è tossico per le cellule normali, seleziona cellule tumorali più resisten ,
promuove la nicchia e staminale tumorale, l'invasione e la metastasi.
TRKAIII E L'EFFETTO WARBURG
Un meccanismo oncogenico essibile e regolato dallo stress per promuovere la glicolisi aerobica.
TrkAIII localizza i mitocondri: in confronto al TrkAIII non mitocondriale, TrkAIII mitocondriale è ina vo in
condizioni non stressan .
TrkAIII mitocondriale è a vato da H2O2 e dall'inibitore della proteina rosina fosfatasi, sodio ortovanadale,
ma non dal NGF.
TrkAIII mitocondriale si associa con la PTPassi SHP-2 e PTP1B ed è a vato in condizioni che inibiscono la
proteina rosina fosfatasi.
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1.In condizioni normali TrkAIII si accumula
anche nelle membrane mitocondriali esterne.
2.TrkAIII viene internalizzata nelle membrane
mitocondriali interne in condizioni di stress
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3.I metaboli ossida vi, prodo nei
mitocondri in condizioni di stress,
promuovono la scissione di TrkAIII con
conseguente a vazione, promossa anche
dall’inibizione ossida va delle PTPasi
mitocondriali.
4.l'a vazione di TrkAIII omi-dipendente
indo a dallo stress provoca l'a vazione
dell’inibitore di PDH e PDK1 che porta alla
glicolisi.
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Patologia molecolare 2
28/01/2021

HALLMARK10: EVASIONE DEL SISTEMA IMMUNITARIO

Immunità tumorale
Già dal XIX secolo Virchow riconobbe l’importanza del sistema immunologico sia nel bloccare la
progressione del cancro sia nel permettere al cancro di formarsi (poiché questo succede quando c’è
un abbassamento delle difese immunologiche).
L’importanza del sistema immunologico nel prevenire l’induzione di tumori è stata inoltre dimostrata,
in laboratorio, tramite l’utilizzo di topi a-timici, topi nudi, ovvero che sono privi di sistema
immunologico almeno per quanto riguarda le cellule T. Trapiantando su questi animali cellule
tumorali provenienti anche da altre specie (quindi xenotrapianti), come l’uomo, si verifica la crescita
del tumore.
Durante la nostra vita siamo sottoposti a oscillazioni nelle nostre capacità immunologiche che
offrono l’opportunità a cellule trasformate di iniziare a crescere. Quando siamo giovani, con un
genoma intatto, il nostro sistema immunologico è in forma ottimale ed è più che sufficiente per
proteggerci dai tumori che presentano attività oncogenica (a meno che non vengano danneggiati
gli oncosoppressori, che hanno il ruolo di promuovere la morte di cellule danneggiate). Abbiamo già
detto che quando il DNA delle cellule viene danneggiato, o quando la cellula è infettata da oncovirus,
vengono esposti sulla sua superficie dei marcatori, antigeni, che saranno riconosciuti specificamente
dalle popolazioni cellulari del sistema immunologico per facilitarne l’eliminazione. Un caso eclatante
che dimostra l’importanza del sistema immunologico nel prevenire i tumori: Ragazzo malato di AIDS
il cui sistema immunitario era talmente sottotono da permettere prima un’infestazione intestinale da
parte di nematodi e poi la crescita delle metastasi di un tumore verificatosi nel nematode nel corpo
del paziente. Queste, raggiungendo i polmoni, hanno provocato la morte del paziente.
Ovviamente anche il sistema immunologico risente della senescenza. Questo è uno dei motivi per
cui il COVID-19 è così temibile nella terza età ed è anche legato al problema della vaccinazione
perché persone con l’immunità senescente sono difficili da vaccinare. Infatti, quando nei trials clinici
per COVID-19 le persone sono vaccinate con diversi vaccini, i dati ci dimostrano che le persone
sotto 60 anni in generale sviluppano un’immunità entro una settimana dalla prima dose, mentre nelle
persone sopra i 60 anni sono necessari anche 30 giorni per raggiungere lo stesso risultato.
Quindi, il sistema immunitario nel cancro è un’arma a doppio taglio che può prevenire l’iniziazione
del tumore, ridurre, eliminare o promuovere la crescita tumorale.
Effetti anti-tumorali includono:
- una risposta immunologica anti-tumorale
- utilizzo dell’immuno-terapia anti-tumorale (una buona conoscenza dei tipi cellulari che si dedicano
ad eliminare il tumore permette la loro ingegnerizzazione o comunque è possibile renderli più attivi)
- vaccinazione anti-tumorale
Effetti pro-tumorali includono:
- tipo di infiammazione che si associa al tumore e ne favorisce la progressione (viene eliminata la
possibilità di avere infiltrati di popolazioni linfocitarie importanti e antitumorali)
- promozione dell’angiogenesi tumorale (sia da parte dell’infiammazione che del tumore)
- promozione della disseminazione tumorale attraverso l’evento infiammatorio (vengono degradati
componenti della matrice e si ha l’Epithelial Mesenchimal Transition che fa si che le cellule ,
principalmente epiteliali, adottino un fenotipo molto indifferenziato in grado di staccarsi e muoversi
- inibizione della risposta immunologica anti-tumorale (sono mandati segnali per l’abrogazione del
reclutamento di popolazioni linfocitarie che normalmente avrebbero identificato la cellula
trasformata)
- I tumori possono essere non immunogenici (ovvero possono esprimere bassi livelli di mutazioni e
di antigenicità tumore specifica) o tumori che inducono editing immunologico quindi riescono
attraverso un accumulo di mutazioni a far si che dopo una fase di iniziale eliminazione esse entrino
in equilibrio col sistema immunologico, dove alcune cellule cominciano a non essere identificate ed
eliminate fino a una piena fuga dal sistema immunitario quando dopo cicli di replicazioni cominciano
a esser selezionati i ceppi che non possono essere eliminati (hanno accumulato un gran numero di
mutazoni e perso gli oncosoppressori, fondamentali per l’apoptosi, e il riconoscimento da parte di
popolazione linfocitarie o citotossiche provenienti dal sistema immunologico).
- Inoltre, le cellule T possono avere un fenotipo anergico in seguito a segnali inibitori, quindi pur
essendo potenzialmente in grado di riconoscere le cellule trasformate non lo fanno (sul fronte
terapeutico si sta lavorando per intervenire a questo livello, cercando di rendere i linfociti più attivi)
o possono essere senescenti o possono anche trovare difficoltà ad arrivare all’interno dei tumori.
Sappiamo già che tra i leucociti la popolazione con la maggiore motilità sono i neutrofili. Anche i
monociti macrofagi possono muoversi ma a velocità più bassa rispetto ai neutrofili poiché non
possiedono la quantità di citoscheletro necessaria. Invece, I linfociti T hanno una bassa capacità di
muoversi, infatti nel contesto di un’infiammazione è stato osservato che essi riescono ad extravasare
ma restano vicini ai vasi. Questo è uno dei motivi per cui quando si va ad effettuare il test per la
tubercolosi sono necessari alcuni giorni per rilevare la positività del paziente. Quindi le cellule T sono
piuttosto impotenti per quanto riguarda l’invasione e sono ulteriormente ostacolate da barriere
rappresentate dalla matrice extracellulare. Ciò rende il sistema immunologico meno potente
nel’ambito di tumori già formati.

Immunosorveglianza
Per quanto riguarda l’immunosorveglianza abbiamo la grande capacità, quando siamo in condizioni
ottimali, di eliminare le cellule trasformate. Ci sono, però, tanti fattori che regolano questa nostra
capacità.
Regolatori extra-tumorali dell’immunosorveglianza includono:
- Terapia (chemio-, radio-, ormonale, chirurgia) rendono il sistema immunitario meno efficace,
soprattutto quando vanno ad attaccare cellule in proliferazione poiché colpiscono anche le cellule
staminali per cui si deve sempre tenere d’occhio gli indici tossici a livello della produttività e quantità
di cellule appartenenti al nostro sistema infiammatorio immunologico;
- Condizioni associate (infezioni, auto-immunità, allergie e infiammazioni) che settano uno stato
infiammatorio immunologico che può avere effetto infiammatorio anti-tumorale;
- Immunosenescenza (invecchiamento);
- Stress fisico e mentale (acuto e cronico);
- Malnutrizione;
- Attività fisica.
Regolatori ambientali includono:
- Inquinamento;
- Nanoparticelle;
- Radiazioni;
- Condizioni climatiche.
Regolatori intra-tumorali:
- Fattori delle cellule tumorali, che possono modificare il comportamento delle popolazioni
leucocitarie (questi fattori dipendono dalla natura degli oncogeni attvati e gli oncosoppressori
mancanti);
- Elementi stromali che insieme ai tumori vengono manipolati in modo che anch’essi sopravvivano
al sistema immunologico;
- Regolatori del sistema immunologico.
Regressione-dormienza-progressione tumorale. Più è attivo il sistema immunitario più i tumori
regrediscono. Periodi di stasi immunologica, inibizioni del sistema immunitario, danno una possibilità
di entrare in uno stato dormiente in cui ci sono cellule che muoiono ma altre che sopravvivono.
Quando il sistema immunitario non funziona, insieme all’accumulo di mutazioni a livello tumorale,
c’è una maggior possibilità di avere la progressione.

Effettori immunologici antitumorali:


Macrofagi con fenotipo M1;
Neutrofili con fenotipo N1;
Cellule NK e NKT;
Cellule dendritiche;
Cellule T helper;
Linfociti T citotossici, che offrono sia la possibilità di un’immunità specifica che aspecifica.
Regolatori immunologici:
Cellule soppressori mieloidi (dal midollo osseo);
Macrofagi con fenotipo M2;
Cellule dendritiche regolatorie o tollerageniche;
Neutrofili con fenotipo N2;
Cellule T regolatorie;
Cellule B regolatorie.
Questi, nel sistema immunitario fisiologico sono fondamentali per evitare esagerazioni a livello
immunologico ma in un contesto patologico, di tumore, c’è una tendenza a cambiare l’equilibrio fra
effettori immunologici e regolatori immunologici in favore dei regolatori. C’è un’aumentata fuga dal
sistema immunologico e progressione tumorale.

Strategie tumorali per l’evasione immunologica


Includono:
1. Alterazione nei meccanismi di presentazione degli antigeni;
2. Modulazione delle segnalazioni TCR (T cell receptor) dipendenti;
3. Secrezione di fattori immuno-soppressori o pro-apoptotici per le cellule immunologiche;
4. Attivazione dei meccanismi inibitori del sistema immunologico;
5. Reclutamento delle cellule regolatorie.

Le tre fasi dell'evasione immunologica nel cancro: editing immunologico


Spesso nelle terapie anti-tumorali viene scartata la possibilità di intervenire sul piano immunologico,
dal momento che tendenzialmente i tumori vanno incontro a cambiamenti di immunogenicità
divenendo immuno-resistenti. Tale meccanismo avviene in tre fasi:
1. Eliminazione 🡪 citochine quali IFN, IL-12, perforina, FAS-L, TNF-alfa, Granzyme-B…
coinvolgono le cellule dell’immunità innata e adattativa (cellule NK, cellule T citotossiche,
cellule dendritiche, neutrofili e macrofagi) con l’obiettivo di indurre apoptosi attraverso la
via intrinseca o attraverso recettori. Questo è possibile se le cellule tumorali sono di piccole
dimensioni e se non ostacolano l’ingresso delle suddette molecole;
2. Equilibrio 🡪 rappresenta un periodo di editing immunologico protratto nel tempo, in cui si
stabilisce un equilibrio tra la morte e la sopravvivenza delle cellule tumorali. Quindi
vengono selezionate le cellule che sopravvivono ai meccanismi di eliminazione e che
esibiscono un fenotipo non immunogenetico: a partire da queste cellule vengono prodotte
nuove varianti che mostrino un’aumentata resistenza all’attacco immunologico (attraverso
mutazioni);
3. Fuga 🡪 i cloni identificati nella fase precedente, che abbiano acquisito tutte le mutazioni
necessarie in termini di resistenza immunologica, vengono selezionati per poter crescere
anche entro ospiti immuno-competenti.
È questo il meccanismo principale attraverso cui molti tumori evadono il controllo immunologico e
quindi diffondono producendo metastasi.
Tuttavia, vi sono delle evidenze scientifiche rispetto al fatto che non tutti i tumori presentano
meccanismi di editing immunologico:
● Klein, 1960 🡪 osservò che topi ai quali è stato amputato un arto mostravano resistenza per
le cellule tumorali derivate dallo stesso arto amputato: isolando le cellule tumorali e
reinserendole nel contesto da cui sono state estratte, si può quindi indurre una risposta nei
confronti delle stesse con esito mortale, meccanismo che per qualche motivo non può
accadere nel contesto “solido” da cui provengono tali cellule;
● Naito, 1998 🡪 classificò le cellule T-CD8+ nel cancro al colon-retto in tre gruppi: a) cellule
infiltranti dei nidi di cellule tumorali, b) cellule distribuite nello stroma del cancro, c) cellule
presenti lungo il margine invasivo. Pazienti con cellule T infiltranti dei nidi cellulari
presentavano maggiori possibilità di sopravvivenza (esclusione vs inclusione): in alcuni casi,
cioè, le cellule T sembravano in grado di entrare nei nidi tumorali;
● Zhang, 2003 🡪 osservò un aumento significativo della sopravvivenza quando le cellule T si
trovavano all’interno del tumore;
● Galon, 2006 🡪 osservò tipo, densità e posizione delle cellule immunitarie nei tumori al colon-
retto predicono l’esito clinico favorendo la formulazione di una prognosi piuttosto che un’altra.
Questi studi mostrano dunque che esistono altri meccanismi, al di là dell’editing immunologico,
attraverso cui le cellule tumorali evadono il controllo immunitario. L’obiettivo è quindi quello di
individuare questi meccanismi ed intervenire a questi livelli.

L’asse CXCL12/CXCR4
Un primo meccanismo è stato identificato sulla base del fatto che i tumori appaiono come ferite che
non guariscono; fibroblasti presenti nei tumori epiteliali esprimono infatti la glicoproteina FAP
(fibroblast activating protein F19), associata a processi di guarigione: sono quindi simili ai fibroblasti
presenti nelle lesioni infiammatorie croniche, e sopprimono l’immunità secondo meccanismi analoghi
a quelli di repressione immunologica associata al riparo del danno tissutale. Il loro ruolo rispetto alla
repressione immunologica, trova evidenza nel fatto che, eliminando i fibroblasti FAP+ nei modelli
murini del cancro ovarico e pancreatico, si osserva una ridotta crescita tumorale.
Il meccanismo di repressione avviene secondo le seguenti modalità:
1. Fibroblasti tumorali secernono la chemochina SDF1/CXCL12, promotrice della crescita e
dell’angiogenesi tumorale;
2. CXCL12 lega CXCR4 sulle cellule tumorali, inibendo il reclutamento delle cellule T nel
tumore.
AMD3100, farmaco antagonista del recettore CXCR4 ancora in via sperimentale, favorisce invece
l’accumulo di cellule T nel tumore riducendo la tumorigenesi. Tuttavia, si osserva che i fibrosarcomi
primari con stroma tumorale si accrescono nonostante l’induzione di una risposta immunitaria (che
effettivamente neutralizza le singole cellule tumorali prive di stroma): è dunque evidente che lo
stroma tumorale sia immunosoppressivo, ovvero sopprime l’accumulo di cellule T in prossimità delle
cellule tumorali.

L’asse CLTA4/CD80/86, nell’evasione immunologica


Questo meccanismo fu scoperto da Goldstein nel 1987. Molecola espressa costitutivamente dai T-
reg e indotta nei linfociti T attivi, CTLA4 (o CD152) è un recettore proteico che funziona come un
regolatore del checkpoint immunitario, in particolare abbassando le risposte immunitarie: funge in
pratica da interruttore di spegnimento immunologico.
1. CTLA4 lega CD80/86 su cellule che presentano l’antigene (APC);
2. In seguito a questo legame, CTLA4 recluta una fosfatasi;
3. La fosfatasi lega un recettore sulle cellule T;
4. Questo legame attenua le segnalazioni, in particolare bloccando la produzione di IL-2
(molecola fondamentale per l’espansione clonale delle cellule T);
5. Viene quindi bloccata l’espansione clonale delle cellule T.
Alternativamente all’attivazione della fosfatasi, CTLA4 può segnalare anche attraverso PI3K per
down-regolare la motilità delle cellule T.
CTLA4 mutato
● Polimorfismi 🡪 problematiche di autoimmunità;
● Una variante dello splicig 🡪 associata a SLE;
● Mutazioni inattivanti 🡪 de-regolazione immunitaria ed invasione incontrollata di cellule T
nell’intestino, nei polmoni, nel midollo osseo, nel sistema nervoso centrale e nei reni.
Causano quindi problematiche quali:
✔ Diarrea;
✔ Linfadenopatia;
✔ Epatosplenomegalia;
✔ Autoimmunità (trombocitopenia, anemia emolitica, tiroidite, diabete I, psoriasi,
artrite…);
✔ Infezioni respiratorie.
Queste malattie sono caratterizzate da:

✔ Basso numero di T-Reg;


✔ Cellule T iperattive;
✔ Passaggio lento alle cellule B della memoria e progressiva perdita di cellule B
circolanti.
Quindi, sebbene CTLA4 sia sfruttata dai tumori quale mezzo per attenuare e fuggire al controllo
immunologico, è bene considerare che bloccarla significa anche indurre problemi di natura
immunologica.

L’asse PD1/PDL1
Il recettore PD1 lega i ligandi PDL1 e 2 su macrofagi, cellule dendritiche, cellule T o cellule B; il
complesso che si viene a formare ha quindi vari risvolti:
1. Regola negativamente la risposta immunologica cellule T-dipendente;
2. Inibisce l’attività antitumorale delle cellule T;
3. Induce da parte dei monociti l’espressione di IL-10, che inibisce il funzionamento delle cellule
T.
In genere, l’espressione di PDL1 si associa a prognosi infauste nei tumori all’esofago e al pancreas,
nel melanoma, nel neuroblastoma...
Questo asse rappresenta un valido bersaglio terapeutico da parte di anticorpi monoclonali:
● Nivolumab anti-PD1 🡪 induce risposte nel melanoma, carcinoma polmonare, cancro renale;
● Prembrolizunab anti-PD1 🡪 melanoma metastatic;
● Anti-PD-L1, equipollenti 🡪 anticorpi che includono Avelumab (carcinoma), Atezolizumab
(carcinoma polmonare e della mammella), Durvalumab (carcinoma alla vescica e al
polmone).

Inibitori di CTLA4 e PD1


PD1 rappresenta un’altra molecola di down-regolazione del sistema immunologico, su cui le cellule
tumorali possono far leva. Per tale ragione, sono stati sviluppati dei farmaci inibitori di queste
molecole, attualmente utilizzati per combattere il melanoma, il cancro al polmone e il cancro al rene;
sebbene allunghino le prospettive di sopravvivenza (anche in condizioni metastatiche), bisogna
tuttavia tener conto degli effetti collaterali di danneggiamento del sistema immunitario con
conseguenti: colite, infiammazione della pelle, infiammazione del fegato, autoimmunità… Pazienti
con colite vengono trattati con terapie immunosoppressive (tramite asteroidi e FANS), ma il 50%
non sembra rispondere; i pazienti che non rispondono agli steroidi possono dunque beneficiare di
trapianto fecale al fine di spostare il Clostridium difficile.

Per quanto riguarda la terapia, si possono combinare gli inibitori anti PD-1/anti-PDL-1 con AMD3100.
E’ stato riscontrato che questo abbinamento è in grado di eliminare i tumori in modelli murini, in
particolare quelli con un modello di fibroblasti fap+ (pronuncia “fap positivi”) con la presenza dell’asse
PD1-PDL-1. Come abbiamo già visto, i fibroblasti fap+ secernono CXCL1 e SDF1 che attiva
CXCR4 sulle cellule tumorali, le quali iniziano a produrre una sostanza bloccante la proliferazione.
Allo stesso modo fanno anche i PD-1 e PDL-1, attenuando così le segnalazioni TCR dipendenti,
annullando quindi l’attività delle cellule T. Inoltre, si possono bloccare fibroblasti fap+ utilizzando
cellule CAR-T, una novità nella terapia immunologica. Esse sono in grado di esprimere una porzione
FC anticorpo variabile, che riconosce uno specifico bersaglio espresso su una superficie di un
determinata cellula. La superficie rappresentata da un dominio transmembrana che è in grado di
legare l’antigene riconoscibile dal CAR ed attivare le cellule che vanno così ad eliminare le
popolazioni cellulari bersagliate. In
questo contesto si possono
utilizzare CAR per individuare
cellule fap+, allo scopo di eliminarle
a livello tumorale.
Si possono anche
utilizzare CAR-T per
bersagliare le cellule
tumorali. Si fa
utilizzando fap+
appositamente
programmati per
essere eliminati dopo
un evento
terapeutico, tramite
l’utilizzo di molecole
attivanti come le
caspasi 9, la quale
può eliminare le
cellule CAR-T una
volta che hanno fatto
il loro lavoro.

Sono tutte
segnalazioni
considerate tra i progressi nella ricerca e nel trattamento del cancro; sappiamo anche che l’utilizzo
di tipologie di cellule come linfociti CAR-T o TIL non è più limitato alle cellule T, ma si possono anche
utilizzare per i NK CAR; i NK comuni o gli Induced Natural T killer (I-NTK) CAR, tutte cellule che
offrono effettivamente meccanismi in più per rendere il tumore più eliminabile.
Le cellule CAR-T bersagliano più di un marcatore tumore specifico: gli antigeni presenti sulle cellule
tumorali possono essere anche espressi in cellule normali, pur essendo ad un basso livello. Bisogna
quindi evitare che le cellule CAR-T che possiedono un recettore specifico per uccidere una cellula
particolare non vadano ad attaccare le cellule sane, al fine di evitare effetti collaterali. In generale
comunque si è osservato che le cellule normali con una normale espressione dell’antigene non sono
bersagliate, mentre le cellule tumorali che hanno un’alta espressione di tale antigene sono
bersagliate.

Ci sono ulteriori meccanismi attraverso cui le cellule T possono essere spente (per esempio quando
non raggiungono un antigene), o uccise (per esempio in caso di risposta aberrante) o ancora
possono essere “programmate” in modo da mirare la barriera stromale del tumore, al fine di
bersagliare i fibroblasti fap+. Possono anche venire abbinate con i farmaci che aboliscono l’immuno-
soppressione, infatti un'interruzione dell’interazione PD-1/PDL-1 (= ”programmed Death Ligand”),
CXCR4/SDF-1 o CTLA4/CD80/86 può aumentare la loro infiltrabilità.
Quindi adesso siamo in grado di utilizzare sia i bloccanti dei meccanismi di immunosoppressione,
sia il CAR- T o il CAR-NK o il TIL o CAR induced NK T cell, utilizzate insieme al fine promuovere un
bersagliamento più efficace.
Questo nel contesto della staminalità tumorale diventa veramente importante.

E’ possibile utilizzare farmaci a livello della nicchia staminale


Si è scoperto che anche le cellule mesenchimali staminali proprie del midollo osseo spesso si
trovano nella nicchia staminale dei tumori. Per qualche motivo sono reclutate e partecipano alla
progressione tumorale. Quindi si possono bersagliare nicchie staminali tumorali usufruendo
specificatamente di cellule mesenchimali del paziente, programmate per importare un farmaco
antitumorale ed uccidere specificatamente le cellule staminali tumorali. E’ un lavoro in sviluppo, non
privo di problemi, considerando che le cellule staminali mesenchimali stesse possono anche
promuovere la crescita tumorale. Attualmente però mancano ancora alcune conoscenze.

CD47: “non-Mangiarmi”
Un altro meccanismo tramite cui le cellule
tumorali riescono a sfuggire al sistema
immunologico e infiammatorio, è quello di
esprimere una molecola che si chiama CD47,
altrimenti chiamata “non mangiarmi per
favore”. CD47 è un segnale antifagocitario (o
anti-fagocitico) che distingue le cellule vive
dalle cellule morenti, ha un singolo dominio
extracellulare simile alle Ig e cinque regioni di
copertura della membrana. CD47 “non-
mangiarmi” lega, sulla superficie cellulare,
Signal Regulating Protein α (SIRPα) sui
fagociti, e deve essere annullato quando le cellule si stanno preparando a morire. Durante l’apoptosi
le cellule normali esprimono fosfatidilserina (PS) che lega il primo componente del complemento, e
la calreticulina (CRT), che si complessa con CD91 sui fagociti promuovendo la fagocitosi. Le cellule
tumorali non immunogeniche esprimono alti livelli di CD47 sulla loro superficie ed evitano la
fagocitosi, mentre le cellule tumorali immunogeniche hanno un’elevata espressione della CRT sulla
loro superficie promuovendo il segnale “mangiami”.

Maggiore comprensione e modificazione del ruolo dell’infiammazione, dello stroma nella


tumorigenesi e della progressione tumorale (TAF’s, TAMs e PMNs).
I regolatori immunologici cambiano durante il tumore, favorendone l’insorgenza. Essi sono tutte
cellule MDSC (“Myeloid derived suppressor cell”) e sono: macrofagi con fenotipo M2, cellule
dendritiche tollerogeniche, neutrofili con fenotipo N2, cellule T regolatorie. Durante un processo
tumorale, da modificate: sopprimono le risposte immunologiche anti-tumorali, stimolano
l’angiogenesi tumorale, sostengono la disseminazione tumorale promuovendo l’EMT, sostengono la
proliferazione delle cellule tumorali, promuovono la formazione delle metastasi. A mano a mano ogni
tipo cellulare deve essere individuato e contrastato

Cellule soppressorie mieloidi-derivate nel cancro


Mostrano diversi meccanismi di soppressione. Sono un
gruppo eterogeneo di cellule immunitarie della stirpe
mieloide (una famiglia di cellule che hanno origine da
cellule staminali del midollo osseo); sono soppressori
delle cellule T, in particolare delle risposte dei linfociti T
CD8+ e sopprimono anche le cellule NK, le cellule
dendritiche e i macrofagi grazie alla loro capacità di
inibire la funzione effettrice dei linfociti; utilizzano
CD40/CD40L promuovendo l’espressione delle cellule T-
Reg come uno dei meccanismi sopprimenti; esprimono
ADAM-17 che riduce l’espressione di CD62L nelle cellule T inducendo l’immobilizzazione. Usano
PD-L1 e 2 per ridurre le risposte nelle cellule T; secernono TGF-Beta che ha funzione
immunosoppressiva; producono ROS e NO per ridurre le risposte delle cellule T a MHC1 caricato
con un peptide nel contesto della presentazione all’antigene; rilasciano Arg-1 riducendo
l’espressione di TCR nelle cellule T; inducono “anergia”(=mancanza di energia, debilitazione) nelle
cellule NK attraverso TGFβ1 o il recettore NKp30. Quindi un ampio spettro di meccanismi quando
queste cellule si trovano all’interno del tumore al fine di attenuare il nostro sistema immunologico

Cellule dendritiche tollerogeniche(tol-Dc)


Hanno proprietà immunosoppressive, portano il sistema immunitario in uno stato tollerogenico
contro vari antigeni regolando le cellule T nel loro comportamento. Mantengono la tolleranza centrale
e periferica attraverso l’induzione della delezione clonale delle cellule T, l’anergia delle cellule T e la
generazione e attivazione delle cellule T regolatorie (Treg), quindi proprio come le mieloidi.
Producono citochine antinfiammatorie IL-10 e TGFβ. Esprimono CD80/86, PDL-1 e PDL-2.

Funzionamento delle T-reg, Th1 e cellule Th17 nel cancro

Ovviamente questo
sistema tramite cui T-reg,
Th1 e Th17 funzionano, nel
regolare il sistema
immunologico, sappiamo
che T-reg da un lato
sopprimono le risposte
immunitarie contro gli
antigeni tumorali, dall’altro
controllano le risposte
immunologiche auto-
reattive, è quindi un
popolazione immunologica
che funziona inibendo il
differenziamento delle
cellule Th17, che altrimenti
risulterebbe in una
sovrapproduzione. I T helper 17 nell'ambito tumorale stimolano mediatori pro- infiammatori e pro-
angiogenici; in chiave immunitaria però sono implicati nel feedback negativo soppressivo per IL-10
e IL-22.
Quindi l’equilibrio è fondamentale. In altre parole, il prezzo che si paga per una risposta
immunologica tumorale forzata, nel momento in cui si modifica l’equilibrio tra i T regolatori ed altri
componenti, è la possibilità di mancare di una immunità verso sé stessi. E’ il potenziale prezzo da
pagare al momento dell’immunoterapia.

Altri meccanismi attraverso cui c’è tollerabilità verso antigeni tumorali


Numerosi antigeni tumorali rappresentano antigeni di differenziamento tissutali anche espressi dalle
cellule normali, quindi possono essere tollerati e sfuggono al riconoscimento immunologico. I tumori
inducono tolleranza nelle cellule T CD4+. Il riconoscimento degli antigeni tumorali dalle cellule T
antigene-specifici può accadere ma si associa con anergia e non nel “priming” delle cellule T.
Anergia delle cellule T si trova sia nelle neoplasie
ematologiche che solide e coincide con la perdita
della capacità di vaccinarsi contro il tumore
terapeuticamente. L’anergia delle cellule T si
caratterizza come una riduzione nella
proliferazione e produzione delle citochine in
risposta agli antigeni. Anergia tumore-associata si
estende anche alle cellule T CD8+ attraverso la
delezione clonale o acquisizione di tolleranza agli
antigeni tumorali.

Altri meccanismi della tolleranza


● Il “priming” delle cellule T e la tolleranza
sono regolati dalle cellule che presentano
l’antigene.
● Cellule dendritiche, macrofagi e cellule B esprimono MHC e possono presentare antigeni alle
cellule T.
● Durante l’infiammazione gli antigeni presentati dalle cellule DC inducono una risposta
immunologica forte la stessa però promuove la tolleranza nell’assenza dell’infiammazione.
● Un ambiente tumorale pro-guarigione e non-infiammatorio può promuovere la tolleranza.
CTLA4 nei tumori come il melanoma è in grado di inattivare le cellule T e bloccare il CTLA4;
è in grado di restaurare le loro attività. Il prezzo però può essere l’autoimmunità.
● La manipolazione ex vivo delle cellule T anergiche con le citochine IL-2 e IL-15 può rompere
l’anergia e restaurare il loro funzionamento.
Con quest’ultimo punto ci troviamo in una terapia “TIL” o “T-cell terapia adopted”, per cui le cellule
T vengono prelevate dal sangue periferico del paziente o da fonti bioptiche quindi biopsia tumorale,
andando a purificare le cellule che sono presente in minor numero e che sono anergiche per motivi
dell’attività tumorale. Le cellule sono esportati in coltura e stimolate tenendo presente il fatto che che
quelle già presenti nel tumore esibiscono un attività tumorale, nella coltura possono essere quindi
stimolate ad essere energetiche e non più energetiche, per poi essere reintrodotte insieme a
bloccanti dei checkpoint come PD-1/PDL-1, allo scopo di far si che entrino in massa nei nidi tumorali,
ad esibire la loro costitutiva capacità antitumorale.
● L’impedimento nell’espressione o la mutazione di antigeni tumorali portano alla mancata
distribuzione di cellule T-dipendenti (gli antigeni però possono essere presentati dallo stroma
tumorale).
● Un abbassamento nell’espressione di MH )mutazione, trascrizione, frme shift) causa
l’evasione delle cellule T citotossiche
● Perdita dell’allele di HLA (per mutazione o delezione) causa l’evasione dalle risposte cellule
T-dipendente
● MHC-1 sotto regolato può sensibilizzare le cellule tumorali alle cellule NK e le cellule NK
possono legare il fattore tumorale di stress MICA e MICB 2MHC class I polypeptide-related
sequences” indotti dal danno al DNA o stress ossidante per circumnavigare l’inibizione
dovuta alla perdita di HLA.
● Tumor HLA-I Negativi possono eliminare MICA e MICB rimanendo invisibili anche alle cellule
NK

Quindi ci sono tanti diversi meccanismi attraverso cui i tumori si rendono tollerabili al sistema
immunologico , ed un’ identificazione di tali meccanismi sarebbe importante per lo sviluppo di nuovi
fronti terapeutici, caratterizzati dalla riattivazione del sistema immunologico. L'obiettivo sarebbe
quello di far infiltrare i protagonisti immunologici a livello tumorale, specificatamente per quei tumori
che esibiscono meccanismi di blocco del sistema immunologico e che non sono arrivati all'evasione.
Si agirebbe quindi attraverso “l’immune editing”.

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