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La genetica è lo studio di tutto quello che viene ereditato dalle generazioni passate, in particolare di come

geni e fenotipi siano trasmessi nelle generazioni. La genetica analizza il genotipo, ossia ciò che caratterizza il
codice genetico ed è scritto nel DNA, il fenotipo, ossia ciò che si osserva nell’aspetto esteriore e i geni, o
caratteri, un concetto complesso cambiato nel tempo e influenzato dall’etica, dalla politica e dalla società.

Grande sviluppo della genetica si ebbe in seguito alla scoperta della struttura del DNA nel 1952 ad opera di
Franklin, Watson e Creek, che ricevettero il Nobel nel 1953.

Il dogma fondamentale della biologia afferma che l’informazione genetica si trasmetta in orizzontale per
duplicazione da DNA a DNA e in verticale per trascrizione da DNA a RNA e per traduzione da RNA in peptidi.
Lo spostamento orizzontale consente la conservazione delle informazioni genetiche, quello verticale regola
l’espressione genica e determina il controllo del fenotipo.

La prima branca della genetica, nata con Mendel, è la genetica formale, che definì dei fattori ereditabili prima
della scoperta del DNA, mentre prima di Mendel si supponeva che tutta l’informazione avesse origine
paterna. Dopo la scoperta che i geni siano costituiti di DNA si arriva alla teoria cromosomica dell’eredità, una
teoria che suppone che i geni siano compartimentalizzati nel nucleo della cellula. La citogenetica determina
quindi il cariotipo, che è discretizzato in 23 coppie di cromosomi, costituiti di genoma lineare, le coppie sono
giustificate dal fatto che l’uomo, come tutti gli organismi sessuati, è diploide, con un corredo aploide
proveniente dalla madre e uno dal padre. Ciascun corredo aploide è costituito da 3,2 Gigabasi. Nel 2001 si
ebbe il primo sequenziamento del genoma umano grazie alla spinta dello scienziato e premio nobel italiano
Renato Dulbecco, che iniziò il progetto genoma, e alla tecnologia dei computer ultraveloci di Craig Venter
che privatamente gli fece concorrenza e ottenne il primo risultato. Tuttavia il DNA sequenziato era un
mosaico di DNA raccolti per garantire l’anonimato dei soggetti coinvolti, il primo sequenziamento
personalizzato arrivò alcuni anni dopo. Questo aumentò le possibilità di studiare il DNA anche in vitro per
testare malattie, formare DNA embrionale e sintetizzare i farmaci, come l’insulina.

Il mendelismo

Mendel scelse come organismo modello, cioè un organismo che avesse un ciclo vitale breve, per raccogliere
dati rapidamente, il più semplice possibile e facile da coltivare o allevare, ma con storia genetica nota,
progenie numerosa e variabilità fenotipica, una pianta, il pisum sativum. Attraverso questo modello studiò
l’ereditarietà autosomica seguendo il metodo scientifico, studiando 7 caratteri singoli da studiare: colore del
seme, forma del seme, colore del rivestimento del seme, colore del baccello, forma del baccello, posizione
del fiore. Poi pianificò gli esperimenti, includendo una linea di controllo e svolse analisi di dati raccolti su oltre
28'000 piante per formulare leggi matematiche a partire dai grandi dati.

Mendel selezionò questi sette caratteri perché gli consentivano di determinare leggi precise e matematiche,
si tratta infatti di fenotipi controllati da una singola variante discontinua, sono cioè monogeniche. Esistono
poi varianti continue e quantitative riconducibili all’effetto di più geni. Le leggi di Mendel infine valgono solo
per l’ereditarietà autosomica, mentre collocazioni diverse dei geni seguono diverse leggi di ereditarietà, oltre
all’autosomica esistono ereditarietà X-linked, oloandrica e citoplasmatica.

Gli esperimenti di Mendel si basavano su linee, cioè piante che incrociate tra loro presentavano sempre lo
stesso fenotipo. Scelse piante da impiegare come generazione parentale tra le quali svolse impollinazione
pilotata, per generare generazioni filiali che invece fece riprodurre per autoimpollinazione.

Il primo esperimento consistette nell’incrocio di una generazione parentale a due linee pure, una per seme
giallo e una per seme verde, ad ottenere la prima generazione filiale che chiamò linea ibrida. La prima
generazione esprimeva solo fenotipo seme giallo. Autoimpollinando la prima generazione filiale ottenne la
seconda generazione filiale. Ripeté l’esperimento poi con due linee pure di seme liscio e grinzoso, in entrambi
i casi osservò che nella prima generazione filiale si osservava la perdita di un fenotipo, che ritornava poi nella
seconda generazione filiale con un rapporto di 1:3. Concluse quindi che il carattere comparso in F1 fosse
dominante e quello perso fosse recessivo, che ricompariva poi in ¼ della F2 identico alla generazione
parentale, questo escludeva la teoria in voga all’epoca del rimescolamento dei caratteri e provava che i
caratteri siano ereditati come unità separate.

Derivò così il principio della segregazione: i membri di uno stesso gene che si presenta in due coppie
segregano alla formazione dei gameti, cosicché metà dei gameti sarà portatore di un membro e l’altra metà
sarà portatore dell’altro membro della coppia di geni.

Mendel osservò che esistevano caratteri, che oggi chiamiamo geni, che si ereditano dalle generazioni
precedenti e si presentano in due versioni alternative, dette alleli. Degli alleli, uno è domainante e uno è
recessivo, il dominante è in grado di mascherare la presenza del recessivo. Definiamo allora il fenotipo come
la manifestazione del carattere e il genotipo come la costituzione genica delle generazioni: l’allele domannte
determina il fenotipo, ma nel genotipo di F1 sono presenti entrambi gli alleli. Le generazioni che hanno lo
stesso genotipo sono dette omozigoti, quelle che hanno genotipo diverso eterozigoti, le linee pure sono
quindi omozigoti, mentre F1 è eterozigote con fenotipo dominante e F2 può essere omozigote o eterozigote
con fenotipo dominante o recessivo. Il rapporto di genotipo in F2 è 2:1 tra eterozigote e omozigote nel
fenotipo dominante, mentre il fenotipo recessivo è solo omozigote, il fenotipo dominante ha un rapporto 3:1
rispetto al recessivo.

Autoimpollinando F2 come controllo Mendel osservò che dal genotipo omozigote dominante o recessivo
otteneva linee pure, dal genotipo eterozigote si mantenevano invece le proporzioni 3:1 nel fenotipo. La legge
di segregazione descrive quindi la trasmissione indipendente dei caratteri in individui diploidi, essi durante
la formazione dei gameti segregano determinati fattori formando gameti aploidi, in cui è presente un solo
allele, con la fecondazione si forma uno zigote diploide. Ogni carattere può presentare più di due alleli, ma
in un individuo diploide possono trovarsi nel genoma al più due alleli diversi.

Nella seconda fase Mendel osservò due caratteri in contemporanea, incrociando linee pure e ottenendo una
generazione F1 di-ibrida che presentava solo i due fenotipi dominanti (giallo liscio), mentre in F2 si osserva
la manifestazione di tutti i caratteri parentali in proporzione fenotipica 9:3:3:1. Questo gli permise di scrivere
la legge dell’assrotimento indipendente, che afferma che in una coppia di geni alla formazione dei gameti gli
alleli segregano in modo indipendente rispetto agli alleli di un’altra coppia di geni.

Le leggi di Mendel sono supportate statisticamente, si osserva applicandovi un test chi2.

La seconda legge tuttavia vale solo se ogni gene considerato si trova su un cromosoma diverso, Mendel poté
studiare 7 caratteri alla volta perché 7 sono i cromosomi del pisum. L’uomo ha 23 cromosomi e il primo
carattere mendeliano fu scoperto nel 1905, si trattava della brachidattilia, da allora ne sono stati scoperti
oltre 5000 tra cui albinismo e sordità. Tutti i caratteri mendeliani sono raccolti nel database OMIM.

Variazioni sul tema mendeliano

Esistono fenomeni che presentano caratteristiche fenotipiche da quanto previsto dalle leggi di Mendel, per
esempio la dominanza incompleta, in cui il fenotipo dominante non coincide con quello parentale ma è una
via di mezzo, per esempio nelle melanzane variegate. Oppure la codominanza, in cui entrambi gli alleli
possono esprimersi sullo stesso gene, come nel caso dei gruppi sanguigni MN e AB0 dell’uomo. Il gene L
codifica nell’uomo per una glicoproteina sanguigna M o N: a genotipo MM o NN corrispondono fenotipo M
o N, ma a genotipo MN corrisponde fenotipo misto MN. Il gruppo AB0 presenta invece una dominanza
mendeliana del genotipo I sul genotipo i, ma il genotipo I presenza antigeni codominanti A e B, l’antigene A
codifica anticorpi anti-B e viceversa.
Esiste poi l’epistasi, che si verifica quando due geni sono coinvolti nell’espressione di un carattere, ma uno è
epistatico sull’altro, ossia si manifesta il fenotipo associato su quel gene indipendentemente all’altro. In
questo caso F2 non ha fenotipo 9:3:3:1. Questo accade nel colore del mantello dei topi, che è regolato da
due loci A e C . Per avere albinismo, oltre al caso omozigote recessivo aa cc, poiché il gene C è epistatico, è
sufficiente avere omozigote recessivo c/c. il fenotipo nero si manifesta per A omozigote recessivo e C
eterozigote o omozigote dominante, il fenotipo agouti per A omozigote dominante o eterozigote e C
eterozigote o omozigote dominante. Lo stesso avviene negli umani con il fenotipo Bombay, poiché il gruppo
sanguigno è determinato dai loci H e I con H epistatico su I, i soggetti Bombay presentano fenotipo 0 (nessun
anticorpo antiA né antiB pur avendo genotipicamente un carattere A o B sul locus I) poiché sono omozigoti
recessivi su H (hh).

MITOSI E MEIOSI

Durante la fase S della vita cellulare avviene la duplicazione del DNA, i cromosomi si duplicano dormando
due cromatidi fratelli identici tra di loro, a questo punto sono presenti due cromatidi materni e due cromatidi
paterni. In metafase durante la mitosi tutti i cromosomi, composti da una coppia di cromatidi fratelli, uniti
nel centromero che coincide con il cinetocore a cui sono legati i microtubuli del fuso mitotico, sono allineati
in ordine casuale sulla piastra metafasica, in questo momento sono presenti 4n molecole di DNA nella cellula,
in anafase i cromatidi si separano e si formano 2 cellule diploidi identiche con 2n molecola di DNA ciascuna,
di cui n di origine materna e n di origine paterna. La mitosi avviene nelle cellule somatiche e la sua buona
riuscita dipende dal corretto funzionamento dei centromeri, tuttavia non avviene nei neuroni. Le cellule
svolgono un certo numero programmato di divisioni mitotiche prima di incorrere in morte programmata, le
uniche cellule che non hanno una morte programmata sono le staminali embrionali totipotenti, tuttavia
alcune patologie possono far perdere il controllo sul numero di divisioni cellulari e sulla meiosi, come la
progeria che causa invecchiamento precoce e morte in adolescenza e la sindrome di Werner che ha prognosi
di morte infausta (40-50 anni).

La meiosi porta invece alla formazione dei gameti, che sono cellule aploidi, e viene effettuata dalle cellule
della linea germinale. La meiosi avviene in due fasi, la prima riduzionale perché il corredo passa da 2n a n, la
seconda è equazionale.

In fase S i cromosomi sono duplicati in cromatidi fratelli e in profase I si condensano. A questo punto i
cromosomi omologhi si appaiano tra di loro per omologia di sequenza a formare tetradi, tra le quali può
avvenire il crossing over, cioè lo scambio di materiale genetico per formare nuove combinazioni alleliche.
Questo non introduce nuova variabilità genetica, perché gli alleli sono gli stessi che in partenza, la variabilità
si introduce solo per mutazione. In metafase I le tetradi, legate per il complesso sinaptonemico, si allineano
sulla piastra metafasica accoppiate, e in anafase I sono separati. I 23 cromosomi materni e paterni si trovano
in ordine casuale, generando 2^23 possibili combinazioni di cromosomi nelle due cellule formate, e in modo
casuale sono ricombinati per crossing over, che può causare empiricamente 8*10^23 combinazioni, per
questo essendo diversi i gameti fusi nello zigote i fratelli sono molto diversi anche quando sono numerosi. La
meiosi II ha una divisione equazionale in quanto 23 cromosomi di origine mista si allineano e in anafase si
separano i cromatidi fratelli, ottenendo cellule aploidi. Nell’uomo da 1 spermatocita si formano 4
spermatozoi, mentre da 1 oocita si forma 1 cellula uovo e le altre 3 non sono sviluppate, poiché per le sue
dimensioni sarebbe eccessivo lo sforzo di produzione organellare e citolasmatica, l’oocita primario si forma
a 2-3 mesi di gestazione e la sua meiosi inizia con la pubertà, perciò le cellule uovo vanno incontro ad
aberrazioni cromosomiche all’aumentare dell’età poiché hanno la stessa età del soggetto, gli spermatozoi
hanno invece un tempo di maturazione di 64 giorni.

L’appaiamento dei cromosomi sessuali nei soggetti maschili XY avviene grazie alla presenza di regioni di
analogia pseudoautosomiche in cui può avvenire crossing over.
Citogenetica

La branca della genetica che studia l’organizzazione del DNA in cromosomi è la citogenetica. Il numero di
cromosomi è specie-specifico, non varia intraspecie ma varia moltissimo inter-specie, si usa il numero di
cromosomi aploidi per caratterizzare le specie perché la maggior parte è diploide ma alcune sono tetraploidi
o esaploidi. La citogenetica studia il cariotipo, cioè l’assetto cromosomico di una specie, ossia l’immagine dei
cromosomi ordinati, che spesso è colto durante la metafase quando ciascun cromosoma è replicato. Il
cariotipo umano è ordinato per criterio di grandezza per i cromosomi autosomici, indicati da 1 a 22 con i
numeri arabi, seguono i cromosomi sessuali. Essendo state svolte a mano, le misurazioni sono imprecise e il
cromosoma 21 è in realtà più piccolo del 22. A parità di dimensione il secondo criterio è la posizione del
centromero, che permette di distinguere i cromosomi in metacentrici, submetacentrici, acrocentrici e
telocentrici (non presenti nel cariotipo umano). Il centromero divide il cromosoma in due bracci, il P è il più
corto, Q il più lungo (P sta per petit, Q segue la P).

Il cariotipo è rilevante perché permette di identificare patologie, per allestirlo si parte da cellule facilmente
reperibili e in modo non doloroso, cioè i globuli bianchi, poiché i rossi sono anucleati. Il sangue prelevato è
seminato insieme ad un mitogeno che induce la replicazione e il campione è incubato a 31° per 2-3 giorni,
poi la coltura è trattata con il colcemide per interrompere la mitosi in metafase, quando il DNA è al massimo
della sua compattezza. Le cellule sono quindi colorate e poi osservate al microscopio ottico.

La colorazione genera un bandeggio detto Geimsa (GHIMZA) o bandeggio G che permette di numerare le
bande sui cromosomi e dividere i bracci in regioni per localizzare i punti sul cromosoma, le regioni sono
numerate per ciascun braccio in ordine crescente dal centromero e sono poi divise in sottoregioni identificate
dalle bande. Il bandeggio permette inoltre di accoppiare i cromosomi omologhi e di individuare le aberrazioni
cromosomiche. Il bandeggio G identifica come bande i tratti più scuri, mentre il bandeggio R colora di scuro
i tratti che con il bandeggio G risultano chiari. Il bandeggio Q illumina in fluorescenza le bande, mentre il
bandeggio C colora solo i centromeri.

Questa rappresentazione con le bande permette di dare una sigla alle aberrazioni cromosomiche:

46, del(5p) indica la sindrome del Cri du Chat, e significa che il cariotipo ha 46 cromosomi ma si ha una
delezione sul braccio piccolo del cromosoma 5

46, t(9;22)(q34a11) indica la leucemia mieloide cronica e identifica la zona di scambio di materiale genetico
tra il cromosoma 9 e il 22

46,dup(17p12) indica la sindrome di Carchot-Marie-Tooth e indica la duplicazione della regione 12 sul braccio
piccolo del cromosoma 17

Per identificare i cariotipi aberranti di questo tipo o legati a cellule tumorali si possono utilizzare marcatori
fluorescenti che assegnano un colore ad ogni cromosoma, che permettono di osservare aberrazioni
macroscopiche possibili solo nelle cellule tumorali, perché le mutazioni continuano ad accumularsi ed una
cellula normale sarebbe andata in apoptosi da tempo. Il cariotipo fetale si osserva con maggior precisione in
seguito ad esami invasivi come l’amniocentesi o villocentesi o la tecnica non invasiva del cell-free fetal DNA.

Amniocentesi = si prelevano 20 ml di liquido amniotico contenente le cellule di sfaldamento del feto, possibile
dopo le 16 settimane.

Villocentesi = si preleva per via vaginale di villi coriali, propaggini della placenta che hanno lo stesso DNA
embrionale, di esegue tra le 8 e le 10 settimane di gestazione.
cell-free fetal DNA = prevede l’analisi del DNA libero fetale prelevato dalla circolazione periferica materna,
non ci sono cellule ma DNA libero che viene analizzato con tecniche di new generation sequencing, che
permette di osservare mutazioni puntiforme del DNA. Si possono osservare anche aneuploidie contando
quante copie di ciascun gene siano presenti, tuttavia la tecnica è molto costosa e molto lunga, perciò spesso
si sequenziano solo le regioni geniche tipiche di patologie di cui i genitori sono portatori sani.

Aberrazioni del cariotipo

Aberrazioni del cariotipo possono essere dovute ad un numero di cromosomi non euploide a causa di errori
in meiosi (non disgiunzione) o di fecondazione (dispermia) o nelle prime mitosi dello zigote: si distinguono in
monosomie e poliploidie. Delle monosomie autosomiche nessuna è compatibile con la vita nell’uomo e
causano aborto immediato precoce, mentre è compatibile con la vita in 1 caso ogni 7500 la monosomia
sessuale 45,X che genera individui femminili X- che tuttavia non sono fertili, questa monosomia causa anche
il 18% degli aborti spontanei. Le poliploidie riguardano un aumento del numero di assetti cromosomici, le
triploidie e le tetraploidie causano il 17% e il 6% dei casi di aborto spontaneo. Si parla di aneuploidie quando
l’assetto cromosomico varia di una unità. Tra le trisomie la più comune è la trisomia 16, causa del 15% di
aborti spontanei ed è incompatibile con la vita. Le trisomie autosomiche compatibili sono invece la trisomia
8 , che causa però morte immediata alla nascita, trisomia 13 o sindrome di Patow che consente circa 6 mesi
di sopravvivenza con un’incidenza di 1 caso ogni 10000, trisomia 18 o sindrome di Edwards con incidenza di
1/11000 e sopravvivenza da 2 a 4 mesi e trisomia 21, riscontrata in 1/800 nati vivi. Le aneuploidie sono
dovute a non disgiunzioni di un cromosoma in meiosi I o II oppure nelle prime mitosi dello zigote, generando
un’aneuploidia sopranumerata e una sottonumerata. Il tasso di aneuploidie tra gli juomini è circa 10 volte
maggiore rispetto agli altri mammiferi: l’8% dei concepimenti umani ha anomalie cromosomiche e di questi
il 93% porta ad un aborto; tra i nati vivi lo 0.5% è aneuploide e il 7% delle morti in prima infanzia è causata
da aneuploidie. Le anueploidie dei cromosomi sessuali sono più comuni delle autosomiche e hanno
un’incidenza di 1/400 nei maschi e 1/650 nelle femmine.

Monosomie sessuali

-45,X sindrome di Turner. Incidenza 1/10000 nati vivi, è compatibile con la vita ma causa spesso infertilità

-45, Y è invece letale, perché un cromosoma X è necessario per la vita

Poliploidie sessuali

47, XXY sindrome di Klinefelter. Incidenza di 1/1000 maschi nati vivi, presenta un fenotipo regolare, ma nelle
forme aggravate XXXY, XXXXY, XXYY può essere associata a fenotipi diversi e ritardi del neurosviluppo.

47, XYY incidenza di 1/1000 maschi nati vivi, negli anni fu associata alla violenza ma questo è totalmente
falso.

47, XXX presenta un fenotipo iperfemminile, per questo sono chiamate “le superdonne” e spesso è il genotipo
delle modelle, ma è associato a sterilità.

Lo studio del cariotipo permette di osservare le poliploidie, le aneuploidie ma anche le aberrazioni


cromosomiche, cioè le loro alterazioni strutturali, rese visibile grazie al bandeggio. Esse sono:

- Inversione, che può essere pericentrica quando include e sposta il centromero, portando a
conseguenze più gravi perché può causare alterazioni dell’anafase, o paracentrica, quando interessa
una regione diversa da quella del centromero, anche questa tuttavia causa conseguenze in meiosi
perché per l’appaiamento per omologia di sequenza genera loop, con conseguenze per l’individuo;
- Delezione, classico esempio è il cri du chat, la delezione 5p. è una patolocia molto rara con
un’incidenza di 1/20000 – 1/50000 nati vivi. Causa ritardi del neurosviluppo e nello sviluppo della
laringe. Tutte le delezioni hanno fenotipo grave, anche il retinoblastoma è causato da una delezione;
- Traslocazione, è lo scambio di materiale genetico tra cromosomi non omologhi. Le traslocazioni
possono essere reciproche, in cui non si ha né perdita né aggiunta di materiale, o robertsoniane, in
cui cromosomi non omologhi si uniscono nelle regioni dei centromeri perdendo i bracci p. a seconda
del tipo di traslocazione e della regione coinvolta si possono avere fenotipi più o meno gravi.
- Duplicazione, è l’aggiunta di materiale genetico a causa di alcune aree ripetute, solitamente il
fenotipo è più grave tanto maggiore è il numero di copie in sovrannumero, come nella Corea di
Huntington.

Patologie cromosomiche

Trisomia 21

Può essere sporadica, causata dalla non disgiunzione del cromosoma 21 più fequentemente nel gamete
femminile, si evidenzia infatti correlazione tra l’insorgenza e l’età materna, mitotica, causata da non
disgiunzione nelle mitosi precoci dello zigote, e presenta un fenotipo attenuato tanto più tardi avviene
nelle divisioni, o familiare, causata da una traslocazione robertsoniana tra i cromsoomi 14 e 21. La perdita
dei bracci corti, che contengono regioni ridondanti del genoma, causa un fenotipo indistinguibile nel
portatore di mutazione, che tuttavia ha un genotipo aneuploide. Avendo 45 cromosomi, cioè in numero
dispari, accade che il cromosoma mutato possa essere riconosciuto come omologo per il 14 o per il 21 o
per nessuno dei due.

Se il cromosoma viene riconosciuto come omologo per il 14 e il 21 resta singolo, nella meiosi può avvenire
che il gamete porti il cromosoma mutato e un cromosoma 14 intero, fuso con un gamete euploide questo
genera trisomia 14, non vitale. L’altro gamete ha invece solo il cromosoma 21, fuso con gamete euploide
genera una monosomia 14, non vitale.

Se il cromosoma viene riconosciuto come omologo per il 21 e il 14 resta singolo si forma un gamete con
il cromosoma mutato e un cromosoma 21, che fuso con un gamete euploide genera trisomia 21, e un
gamete con il solo cromosoma 14 che fuso con il gamete euploide genera una monosomia 21 non vitale.

Se i cromosomi sono riconosciuti come singoli, si forma un gamete con cromosomi 14 e 21, che porta ad
un soggetto sano , e un gamete con solo cromosoma mutato, che genera un soggetto portatore sano di
mutazione.

Lo zigote è dunque vitale nel 50% dei casi e tra i casi vitali ha 1/3 di possibilità di avere trisomia 21.

Disomia uniparentale

Uno zigote può essere euploide ma avendo due cromosomi derivati dallo stesso genitore, è un evento
rarissimo causato da non disgiunzione di entrambi i gameti. Questo fatto in generale non causa problemi,
ma in determinate circostanze può diventarlo. Talvolta capita che un solo gamete avesse non
disgiunzione e lo zigote abbia corretto il difetto.

Copy number variation

Esistono geni che si trovano normalmente in copia multiple nel genoma, la variazione del numero di copie
per eccesso o per difetto può condurre a varie malattie, tra cui alcune forme di Alzheimer e Prkinson
tardivi
Siti fragili

Ci sono circa 100 siti nel genoma umano dove i cromosomi tendono a rompersi più o meno raramente
con diverse conseguenze fenotipiche, da nessuna a gravi. Tra queste c’è una malattia degenerativa, la
sindrome dell’X fragile, che causa numerose rotture sul cromosoma X.

Per determinare la trasmissione di un carattere si possono osservare i pedigree fenotipici di una famiglia,
che ci permettono di concludere alcune cose sull’ereditarietà autosomica mendeliana (recessiva o
dominante) sull’ereditarietà X linked recessiva o dominante, sull’ereditarietà legata ad Y, aploide, o
sull’ereditarietà mitocondriale. I database Cyril3 e OMIM permettono l’analisi automatizzata dei
pedigree, che può anche essere svolta manualmente, testando innanzitutto le paternità e poi escludendo
ereditarietà incompatibili ed ipotizzando le più probabili. Se non si arriva ad una conclusione è necessario
allargare l’albero.

Quando si osserva un carattere autosomico recessivo raro, i genitori sono tipicamente eterozigoti sani e
la prole ha ¼ di probabilità di essere affetta, se il carattere è molto raro è probabile che i genitori siano
imparentati tra loro. Sono esempi l’albinismo, la fibrosi cistica (mutazione del gene che codifica per un
canale al cloro presente in tutte le membrane, la sua assenza causa secrezioni ghiandolari continue e
genera prognosi infausta, la popolazione europea è eterozigote in 1/22), la felinchetonuria e l’anemia
falciforme (l’eterozigote ha codominanza tra emoglobina HbA e HbS).

Quando si osserva un carattere autosomico dominante si osserva che si manifesta in tutte le generazioni
e nel 50% della prole di un genitore affetto, indipendentemente dal sesso della prole, mentre il 25% dei
figli di due genitori malati è sano. Spesso si riscontra un fenotipo più marcato in omozigoti dominanti. È
un esempio la sindrome di Marfon (incidenza 1/10000 nati vivi e ¼ di mutazioni sporadiche, il gene
coinvolto muta più velocemente degli altri. Esso codifica per la fibrillina, una proteina del tessuto
connettivo, i soggetti con sindrome di Marfon muoiono spesso per rottura improvvisa dell’aorta ed è
comune nelle morti in campo degli atleti).

Quando si osservano caratteri legati ai cromosomi sessuali spesso si tratta di malattie X-linked in quanto
il cromosoma Y è molto piccolo e codifica per lo più per i caratteri sessuali maschili. Dunque si osservano
patologie che si trasmettono diversamente in base al sesso della prole: se si tratta di X-recessive sono
tipicamente patologie maschili (daltonismo, emofilia, distrofia di Duchanne che colpisce 1/3500 nati
vivi); se si tratta di X-dominanti da maschio affetto nascono femmine tutte affette. Se si tratta di patologie
oloandriche (Y-linked) sono affetti solo maschi, ma sono noti solo 6 geni che possono causare queste
patologie.

Quando si osservano caratteri mitocondriali si osserva una trasmissione esclusiva per via materna a prole
indipendentemente dal sesso, tali mutazioni possono essere a carico di 37 diversi geni, non tutti legati ai
mitocondri. Patologie che colpiscono i mitocondri possono avere origine sia autosomica che
mitocondriale, l’ereditarietà mitocondriale di una patologia fa sì che possa generare fenotipi anomali per
qualsiasi tessuto.

Non tutti gli individui affetti nel pedigree manifestano i medesimi effetti, questo perché non tutte le
patologie sono a penetranza completa e perché dipende anche da fattori ambientali.

La penetranza indica la % di individui con un determinato genotipo che manifesta il corrispondente


fenotipo, inoltre il grado di espressione del fenotipo può essere diverso, si dice che diversi soggetti
possono avere diversa espressività. Una patologia che manifesta penetranza incompleta e diversa
espressività è la corea di Huntington, una patologia ad insorgenza tardiva che porta alla morte in 5-10
anni dopo l’insorgenza dei sintomi. È causata da espansione di triplette nel gene HD, la tripletta CAG è
ripetuta in tandem un numero variabile di volte. Se è ripetuta tra le 36 e le 40 volte la penetranza è
incompleta, mentre oltre le 41 volte la penetranza è completa ma con espressività variabile, che aumenta
con più di 50 copie e con oltre 60 porta ad un’insorgenza precoce della malattia, che geneticamnte è
autosomica dominante.

Il pedigree manuale è accurato per caratteri rari, caratteri molto comuni come il gruppo sanguigno 0
possono trarre in inganno perché osservando esclusivamente il fenotipo può apparire autosomico
dominante perché è facile che soggetti di famiglie diverse siano eterozigoti per 0.

GENI E FUNZIONE

All’inizio del Novecento il medico inglese Garrod ipotizzò per la prima volta che le malattie ereditarie
fossero causate da difetti genetici, che -non conoscendo il DNA- chiamò difetti congeniti del
metabolismo. Garrod studiava infatti l’alcaptonuria una patologia che rendeva nere le urine esposte al
sole e si era reso conto che la patologia si presentava con una frequenza di circa 1:3, che cresceva in caso
di unioni tra consanguinei, si tratta infatti di una patologia autosomica recessiva.

Garrod ipotizzò quindi che un blocco metabolico impedisse ai soggetti di convertire l’acido omogentisico
in un’altra sostanza e che dunque esso si accumulasse nelle urine. L’enzima che regola questa
trasformazione è trascritto da geni sul cromosoma 3 presenti in doppia copia, tuttavia si tratta di geni
wild type dunque anche l’assenza di un solo allele determina la patologia. L’acido omogentisico o
alcaptone si accumula nelle urine, anziché proseguire il suo percorso metabolico, che fa parte della via
che degrada la fenilalanina e la tirosina: la mancata conversione di fenilalanina in tirosina causa
fenilchetonuria (patologia in cui la fenilalanina diventa acido fosfoenolpiruvico che accumulato causa
tossicità, in particolare nei neonati a cui porta ritardi nello sviluppo fisico e cognitivo), la mancata
conversione della tirosina in DOPA, un precursore della melanina, causa albinismo (di una tipologia
diversa a seconda del passaggio bloccato, per questo può accadere raramente che genitori albini
generino un figlio non albino). Poiché ogni passaggio metabolico è mediato da un enzima, se esso non
funziona il percorso metabolico si blocca e si può avere accumulo di sostanze tossiche. Nel 1942 Beadle
e Tatum studiando biochimica e genetica delle catene metaboliche dimostrarono l’esistenza di una
correlazione tra geni ed enzimi, teorizzando la legge “un gene, un enzima”, deducendo che gli errori
metabolici potessero avere cause genetiche. Svolsero esperimenti sulla neurospora crassa, cioè la muffa
del pane, scelta per i suoi vantaggi (è un fungo aploide, dunque le mutazioni sono immediatamente
visibili, la fase diploide dura poco e la meiosi forma aschi aploidi, richiede un terreno di coltura minimo
in laboratorio). Trattarono la muffa con raggi X per indurre mutazioni nelle spore, selezionando i mutanti
che in incrocio con ceppi selvatici dessero una progenie con rapporto 1:1 tra selvatica e mutante, in modo
che fosse ragionevole supporre le mutazioni mendeliane, cioè legate ad un singolo gene.

Selezionarono poi i mutanti auxotrofi, cioè incapaci di sopravvivere sui terreni di coltura minimi, in modo
da identificare il composto da aggiungere per compensare il difetto nutritivo dei mutanti: dal singolo
gene mutato osservarono la carenza di un enzima che sintetizzava uno specifico amminoacido, perciò
teorizzarono “un gene, un enzima”.

La mutazione di un gene può causare due scenari: lost of function dell’enzima (tipica di patologie
recessive), o gain of function, in cui l’enzima acquisisce funzioni dannose (tipica di patologie dominanti o
tumori).

Altre patologie metaboliche coinvolgono gli enzimi del metabolismo del glicogeno e sono recessive, come
la galattosemia, patologia rara e fatale che causa impossibilità di scindere il galattosio. Il gene che codifica
per l’enzima presenta allelia multipla, tra allele dominante sano, recessivo malato e allele con attività
dimezzata. Errori nella trascrizione degli enzimi causano anche patologie alle proteine di trasporto, come
le emoglobinopatie, causando sia errori strutturali come nell’anemia falciforme sia errori quantitativi
come alcune talassemie, sia qualitativi che causano sostituzione amminoacidica con conseguenze più o
meno gravi. L’anemia falciforme presenta una valina al posto di un glutammato in posizione 6 della
catena beta, causando depositi di emoglobina e la forma a falce. Tuttavia esistono emoglobine con
composizioni diverse, in particolare tipiche dello sviluppo fetale, che non prevedono le catene beta e
attraverso farmaci antitumorali possono essere indotte a svilupparsi anche in soggetti adulti riducendo i
sintomi. Problemi maggiori si hanno in caso di errori sui geni che codificano per le catene alpha, che
tuttavia sono presenti in 4 copie, con 2 o 3 copie funzionanti il fenotipo è lieve, con una grave, con zero
mortale. Le emoglobinopatie qualitative tendono invece a modificare la composizione chimica, con
conseguenze più estese, per esempio sull’affinità per l’ossigeno: questo può causare patologie più o
meno gravi ma pleiotropiche, cioè a carico di molti diversi organi.

Anche la percezione dell’amaro del feniltiocarbamide o del PROP sono legati a mutazioni genetiche con
alleli taster e non taster, analogamente accade per la risposta ai principi attivi dei farmaci: il 50% dei
soggetti non risponde alla codeina, un oppioide con proprietà antitussive, oppure diversi soggetti
rispondono con velocità metaboliche diverse al tamoxifene, un antitumorale impiegato nei tumori alla
mammella estrogeni positivi che è terapeutico nella sua forma metabolica endoxifen, tuttavia su chi ha
metabolismo lento (la velocità di metabolismo è determinata da geni con molte varianti alleliche)
l’effetto è minore e sono più probabili recidive.

LE MUTAZIONI DEL DNA

Le mutazioni del DNA possono essere cromosomiche, riguardare cioè un lungo tratto di una catena
nucleica, o geniche, che coinvolgono piccole porzione di un gene, tipicamente triplette o singole basi.

Le mutazioni possono essere spontanee o indotte da agenti mutageni e possono essere ereditate dalla
prole. Possono essere somatiche e non influenzare la linea germinale, svilupparsi esclusivamente la linea
germinale o entrambe. Le mutazioni somatiche hanno diversa gravità a seconda del momento in cui si
presentano: se si tratta delle prime fasi mitotiche dello zigote presentano un fenotipo più grave, che
coinvolge numerosi tessuti, se avvengono tardivamente tendono a coinvolgere poche cellule, poiché le
cellule figlie sono cloni della madre.

Si parla di mutazioni de novo se insorgono improvvisamente in un albero, si deduce che siano dominanti
se dopo essere insorte improvvisamente sono trasmesse alla prole. In caso si insorgenza de novo il primo
controllo da fare è il test di paternità, se la paternità è confermata allora si segna la mutazione casuale.
È stata classificata la frequenza di mutazione di ciascun gene contando il numero di alleli mutati per gene
e per generazione: se 4 soggetti su 100'000 hanno una mutazione somatica dominante, la frequenza è
4/200'000 perché gli individui sono diploidi e va considerata per gene. La frequenza di mutazione si può
calcolare solo per patologie somatiche autosomiche dominanti a penetranza completa, come
l’acondroplasia. Un sito ha normalmente una mutazione ogni 10^8 geni, l’acondroplasia 1,4 mutazioni
ogni 10^5 geni, la neurofibromatosi ogni 10^4 quindi il 50% di casi è una mutazione de novo.

La frequenza di mutazione dipende dalla grandezza del gene, il più grande negli esseri umani è il DMD
con oltre 2 milioni di base, e anche dalla sequenza nucleotidica, perché la presenza di triplette ripetute
aumenta la probabilità di mutazione, inoltre GC muta più facilmente di AT.

Le mutazioni geniche sono classificate in base al tipo di mutazione:

- sostituzione nucleotidica, comprende: transizioni, da purina a purina e da pirimidina a pirimidina,


trasversioni da purina a pirimidina e viceversa. Le sostituzioni possono avere significati missenso
(sostituzione tra due amminoacidi diversi), non senso (sostituzione con un codone di stop), neutri
(sostituzione tra amminoacidi con chimica simile che genera peptidi funzionanti), silenti (non avviene
sostituzione anche se un nucleotide è mutato);
- INDEL, comprendono inserzioni o delezioni di uno o pochi nucleotidi, causando un frameshift che
modifica la lettura e causa variazioni a valle.

Le mutazioni sono fenomeni casuali, che possono tuttavia essere indotte da agenti mutageni, se la mutazione
conferisce vantaggio selettivo, allora si fissa nelle generazioni successive, questo è stato dimostrato con
colture di batteri con tecnica replica-plating dai coniugi Lederberg. Essi hanno coltivato una colonia di batteri
su un terrendo completo e poi tramite un tampone di velluto hanno specchiato la colonia in una replica. La
colonia originale è quindi stata sottoposta ad antibiotici, osservando che un solo batterio è sopravvissuto,
prendendo lo stesso batterio dalla piastra non sottoposta ad antibiotici e facendolo replicare su un’altra
piastra lo sottopongono poi a terapia antibiotica, e il batterio sopravvive. Questo significa che il batterio non
ha sviluppato resistenza all’antibiotico poiché vi è stato sottoposto, ma a causa di una iniziale mutazione
casuale e che poi è sopravvissuto perché aveva un vantaggio selettivo e perciò aumenta la probabilità che il
tratto si fissi e diventi comune nelle generazioni successive.

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Il DNA è una molecola stabile ma non statica, poiché le sue conformazioni possono variare. T e G hanno
normalmente una forma chetonica che raramente diventa enolica, A e C sono normalmente amminiche ma
presentano una forma imminica rara. Le conversioni tra le forme avvengono spontaneamente, e senza
conseguenze in quanto sono naturalmente revertite, tuttavia, se la modifica avviene in fase di duplicazione
per complementarietà nella catena nuova siano accoppiate G-T e C-A, poiché le forme rare richiamano le basi
opposte, se nella seconda duplicazione la forma ritorna normale G riprende a richiamare C, ma nella catena
duplicata T richiama A introducendo una mutazione, che è ciò che tipicamente avviene nelle sostituzioni
nucleotidiche. Le INDEL avvengono spesso per slipping della polimerasi. Se le mutazioni coinvolgono più
nucleotidi si aggrava il fenotipo.

Le mutazioni possono essere indotte da radiazioni ionizzanti, agenti mutageni analoghi delle basi o proflavina
(agiscono solo in replicazione), agenti alchilanti o deamminanti o agenti intercalanti (agiscono sia in
replicazione che no). Le mutazioni spontanee o indotte possono essere riparate da un sistema di riparazione
del danno e se non è possibile un sistema di emergenza che manda la cellula in apoptosi. La prima correzione
è il sistema proof-reading in cui la DNA polimerasi rilegge il trascritto, la seconda è il NER che ripara i danni
esterni. Il NER mutato causa patologie come tumori alla pelle in età giovanile.

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In un gene possono avvenire diversi tipi di mutazione, impossibile in genetica mendeliana, a causa di allelia
multipla e del coinvolgimento di diverse famiglie di geni nello sviluppo della patologia: decine o centinaia di
mutazioni diverse e a carico di diversi nucleotidi possono causare la stessa patologia.

Le mutazioni possono essere a carico della sequenza del DNA o essere causate da alterazioni chimiche o
proteiche che non modificano la sequenza del DNA ma i legami chimici e la forma delle proteine. Questo p il
campo di studio dell’epigenetica che studia la variazione della regolazione dell’espressione genica, come
modifiche a carico delle proteine cariche positivamente su cui si avvolge il DNA per rimanere compatto: gli
istoni. Possono avvenire anche modifiche della sequenza a monte del gene, chiamata promotore, poiché
regola l’espressione genica. Se un promotore lega un istone il gene non è più accessibile per il legame alla
DNA polimerasi e non viene trascritto. Un altro modo per impedire la trascrizione è la metilazione, cioè
l’aggiunta di gruppi metilici sulle citosine, in particolare se collocate in prossimità delle guanine. Questo causa
il silenziamento del gene. L’epigenetica cambia negli individui anche se hanno lo stesso DNA, per questo è
possibile riconoscere i gemelli monozigote.
L’epigenetica studia anche l’imprinting epigenetico, cioè il processo che porta a taggare correttamente le
cellule germinali del nuovo individuo, a partire dal tagging materno dei cromosomi presenti nell’oocita e
paterno nello spermatozoo. Questo è fondamentale nei geni espressi selettivamente, cioè in cui la copia
espressa è di un solo genitore e l’altra è silenziata per metilazione, come accade sui cromosomi 4 15 e 18. Il
cromosoma 15 materno è silenziato, nella sindrome di Prader Willis se si ha disomia uniparentale ed
entrambe le copie sono di origine materna entrambe le copie vengono silenziate generando un fenotipo
patologico analogo al caso in cui il gene con imprinting paterno è mutato e non funziona. Normalmente nei
soggetti maschili durante la gametogenesi il cromosoma 15 materno viene de-metilato e taggato
correttamente come paterno per funzionare correttamente nel nuovo individuo.

IL CODICE GENETICO

È l’insieme delle regole secondo le quali una sequenza di mRNA è tradotta in amminoacidi in una sequenza
verticale. Il codice genetico è una suddivisione in triplette perché ogni messaggio sul DNA è codificato con 4
basi e gli amminoacidi sono 20, perciò il numero minimo per codificare almeno 20 caratteri con 4 basi è con
3 lettere (4^2 = 16 non sufficiente, 4^3 = 64, ridondante). Ciascuna tripletta è nota come codone e viene
legata tramite tRNA al corrispondente anticodone.

Il codice genetico segue alcune regole:

- È quasi universale, cioè è più antico degli organismi e questo può essere sfruttato per esempio per
indurre un batterio a sintetizzare insulina, anche se esistono eccezioni, che sono associate a
mutazioni avvenute a valle dell’evoluzione ancestrale, ossia più recentemente, per esempio è diverso
per il DNA mitocondriale umano.
- È degenerato, cioè più triplette codificano per lo stesso amminoacido, per le proteine più abbondanti
come Leucina e Arginina codificano ben 6 combinazioni diverse, questo fa si che le mutazioni siano
ben supportate, soprattutto se la mutazione avviene in terza base, inoltre l’amminoacido cambia più
facilmente in caso di transversione, più raro delle transizioni, che per oltre il 50% causano mutazioni
neutre.
- Il codice genetico non è ambiguo: una tripletta codifica sempre e solo per un amminoacido, anche se
un amminoacido può essere associato a diverse triplette
- Esiste un unico codone di inizio AUG e tre codoni di fine UAA UGA UAG che richiamano i fattori di
rilascio
- Il genoma subisce il fenomeno del vacillamento, cioè il legame tra codone e anticodone non è stabile
e questo rende sufficiente la produzione di 40 tRNA anziché 61 con un vantaggio energetico

CLONE, CLONAZIONE, CLONAGGIO

Si parla di clone per indicare molecole, cellule o individui che derivano dalla stessa cellula genitrice. La
clonazione è invece la creazione di un nuovo individuo identico ad uno di partenza. Nel 1997 la pecora Dolly,
creata impiantando il nucleo di una cellula somatica della donatrice nell’embrione privato del nucleo che
viene poi impiantato in utero di una pecora gestante. Il clonaggio infine è una tecnica basata sul DNA
ricombinante, ossia sull’impiego di enzimi di restrizione in grado di tagliare specifici siti del DNA, diversi a
seconda della famiglia di enzimi, lasciando delle estremità a singolo filamento (“protrudenti”) in grado di
legarsi a sequenze complementari. Ponendo in vitro due genomi diversi con estremità complementari essi
possono legare, questo consente di legare porzioni di genoma umano ad un vettore che si inserisca per
esempio nel DNA batterico, conducendo alla trascrizione di proteine umane, come l’insulina. Tuttavia è
necessario svolgere uno screening per verificare che il plasmide abbia incorporato il gene umano e uno
successivo per verificare che il batterio abbia incorporato il plasmide. Per fare questo sui plasmidi vengono
posti due siti di antibiotico resistenza, uno attivo e uno interrotto dal genoma umano: se il plasmide ha
incorporato il genoma umano non si verifica antibiotico resistenza per quella classe antibiotica, mentre se il
batterio include il plasmide sviluppa resistenza per una classe di antibiotici.

Al posto dei plasmidi, impiegati negli anni ’80, dagli anni ’90 si iniziò ad impiegare YAC, cromosomi artificiali
di lievito, che essendo eucarioti sono in grado di trasportare fino ad un milione di basi: per sequenziare il
genoma furono impiegati circa 300 YAC. Inoltre tramite una sonda e conoscendo brevi sequenze del genoma
inserito è possibile osservare se il vettore sia carico, semplicemente caricando la sonda con questa sequenza
e un marcatore fluorescente o radioattivo: la sonda cerca la sequenza complementare e rende visibile il
vettore che presenta il DNA di interesse che può essere prelevato.

Alla fine degli anni ’90 fu implementata la PCR, una reazione a catena della polimerasi che permette la
replicazione del DNA in vitro, ponendo in provetta il DNA stampo di interesse, l’enzima Taq polimerasi
(polimerasi di un batterio termofilo che è in grado di lavorare a 90°) e dNPTs, cioè i nucleotidi liberi, oltre a
due primer, un forward e un reverse, che agiscono da inneschi e hanno 3’-OH libero per legare la polimerasi
che lavora in direzione 5’-3’. il processo si svolge in un buffer con il ruolo di mantenere il pH controllato. La
PCR prevede step successivi: si porta il campione a 90° denaturando il DNA, mentre la Taq polimerasi
sopravvive, la temperatura viene poi abbassata a 55° perché i primer forward e reverse leghino
rispettivamente il filamento 3’-5’ e 5’-3’, in un’operazione chiamata annealing. Successivamente avviene
l’allungamento, cioè il legame con i nucleotidi liberi alla temperatura di 72°, che si interrompe allo scadere
del tempo impostato, solitamente 1 minuto. A questo punto si ricomincia il ciclo, aumentando il numero dei
filamenti di DNA presenti perché sul filamento che conteneva il primer forward lega il primer reverse e
viceversa, creando nuovi filamenti compresi tra un primer forward e un reverse, che corrispondono alla
regione target della PCR. Al terzo ciclo si ottiene per la prima volta un filamento compreso tra i due primer e
il processo viene ripetuto per circa 30 cicli, creando circa 1 milione di copie della regione target, cioè una
quantità sufficiente per una facile manipolazione in vitro.

Il DNA amplificato può per esempio essere impiegato per sequenziare il genoma, con sequenziamento
tradizionale (sequenziamento sanger) o nGS (next generation sequencing).

Il sequenziamento Sanger è una tecnica di sequenziamento ad interruzione di catena, che impiega dei di-
desossinucleotidi con estremità 3’-H a cui la polimerasi non può legare. Svolgendo la PCR in 4 diverse
provette, ciascuna con le 4 basi in forma desossinucleotidica e una sola base in forma di-desossinucleotidica,
per la legge dei grandi numeri si suppone che esista un campione di tutte le catene interrotte su tutte le basi
corrispondenti al ddNTP inserito nella provetta. Svolgendo un’elettroforesi in parallelo sui contenuti delle 4
provette è possibile osservare dal basso verso l’alto in quale pista sia presente la catena più pesante di una
singola unità, deducendo la sequenza di DNA.

Oggi è possibile impiegare l’elettroforesi capillare, impiegando un unico campione con tutti i ddNTPs colorati
diversamente e forzando le catene a passare attraverso un capillare, dove passa più velocemente il
frammento più leggero e su cui sono puntati un laser con un detector: a seconda della lunghezza d’onda
rilevata dal detector si inferisce il colore del ddNTP legato e dunque la corrispondente base del DNA, la
macchina restituisce una sequenza colorata nota come elettroferogramma.

L’nGS invece legge un singolo frammento milioni di volte, estraendo giga di dati da un chip che contiene corte
sequenze nucleotidiche fissate su un supporto solido, consentendo di analizzare milioni di mutazioni
puntiformi, basi metilate e anomalie geniche.

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