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GENETICA DELLE POPOLAZIONI

INTRODUZIONE

La genetica è una disciplina che studia la modalità di trasmissione dei caratteri ereditari da una
generazione all’altra e le variazioni dei geni che determinano le caratteristiche fisiche ereditarie
dell’uomo e di ogni essere vivente.

GENI E ALLELI
I geni sono responsabili dei caratteri ereditari e si trovano sui cromosomi.
Ciascun gene occupa nel cromosoma una specifica posizione detta locus.
Ne consegue che i vari geni sono disposti lungo i cromosomi secondo un
ordine lineare ben preciso, caratteristico per ogni specie.
Un gene è costituito da una sequenza di DNA che codifica una specifica
proteina.
I geni determinano le caratteristiche fisiche ereditarie di: uomo, animali, piante
e ogni essere vivente.
Poiché possediamo 2 copie di ciascun cromosoma, possediamo anche 2
copie di ciascun gene, una copia ereditata dal padre e una copia dalla
madre.
Le differenti caratteristiche che può assumere lo stesso gene si chiamano alleli.
Tutti gli individui possiedono una coppia di alleli per ogni carattere ereditario:

• Quando la coppia responsabile di un carattere è formata da alleli


identici quel carattere è detto omozigote
• Quando la coppia è formata da alleli diversi, il carattere è eterozigote

Una coppia di alleli è definita eterozigote quando possiede un allele con


caratteristica dominante e un allele recessivo.
Se per una determinata caratteristica genetica
sono presenti 2 alleli diversi (eterozigote): uno
dominante e uno recessivo significa che si
manifesterà solo l’allele dominate, mentre quello
recessivo non si manifesta (rimane nascosto).

Per convenzione, un allele dominante è indicato


con la lettera MAISUCOLA (A, B, C…), mentre il
corrispondente allele recessivo è identificato dalla
stella lettera minuscola (a, b, c…).

GENOTIPO E FENOTIPO
L’insieme dei geni di un individuo è detto genotipo, quindi il genotipo è tutto quello che si trova nei
cromosomi.
Invece, l’insieme dei caratteri di un individuo è detto fenotipo, quindi il fenotipo è tutto ciò che
possiamo osservare di un individuo come: altezza, colore degli occhi…

DEFINIZIONI

o GENE: segmento di DNA che codifica per una proteina o per uno specifico RNA
o ALLELE: forma alternativa di un gene ad uno specifico locus genico
o LOCUS: localizzazione su un cromosoma di un gene o di una specifica sequenza di DNA
o OMOZIGOTE: individuo che possiede 2 alleli identici ad un determinato locus
o ETEROZIGOTE: individuo che possiede 2 alleli diversi (uno dominante e uno recessivo) ad un
determinato locus
o EMIZIGOTE: individuo che possiede una sola copia di un gene o di una sequenza di DNA
(maschi sono emizigoti per il cromosoma X)
MUTAZIONI

Una mutazione è un evento casuale che produce un cambiamento del patrimonio genetico ed è
ereditabile quando avviene nei gameti.
I cambiamenti della struttura del genoma che causano una variazione del genotipo possono
essere: genomiche, cromosomiche e geniche.

Le mutazioni possono essere causate da:

1. Errori durante la duplicazione del DNA (meiosi e mitosi)


2. Esposizione delle cellule ad agenti fisici o chimici (agenti
mutageni)

Errori durante la duplicazione del DNA


Mutazioni spontanee:

▪ Duplicazione: 2 miliardi di coppie di basi devono essere replicate ad


ogni divisione cellulare, in un periodi di 2-3 ore con una velocità di
circa 100 000 bp/sec.
Avvengono casualmente degli errori.
▪ Ricombinazione: processo fondamentale per generare “diversità
biologica”, a causa della struttura di particolari regioni genomiche, è
un’altra fonte di possibili errori.
▪ Segregazione: processo finale della mitosi e della meiosi.
Avvengono casualmente degli errori che portano ad una errata
riparazione dei cromosomi nelle cellule figlie.

Esposizione delle cellule ad agenti fisici o chimici


Tutto ciò che aumenta la probabilità di modificazione sostanziale del patrimonio genetico →
Agente mutageno

Mutageni fisici: onde elettromagnetiche (raggi α, β, γ, X, UV,


radiazioni nel visibile, IR…)
Effetto raggi UV: 2 basi di timina successive si legano tra loro
causando errori in lettura di quel tratto di DNA con comparsa di
melanomi, se non corretto dagli enzimi che controllano il DNA

Mutageni chimici: molte sostanze naturali (catrame, Sali inorganici, sostanze vegetali) e di sintesi
(coloranti, plastiche…)
MUTAZIONI GENOMICHE E CROMOSOMICHE
Le mutazioni genomiche e cromosomiche sono dei cambiamenti che producono un’alterazione
visibile dei cromosomi e possono essere:

1. Alterazioni del numero: poliploidie e aneuploidie (monosomie, trisomie).


Le poliploidie sono determinate da un numero alterato di tutti i cromosomi
e ciò avviene quando, ad esempio, non si verifica la seconda divisione
meiotica e vengono prodotti gameti diploidi (2n) che se fecondati
produrranno uno zigote triploide (3n).
Le aneuploidie sono condizioni in cui i gameti presentano uno o più
cromosomi in più o in meno rispetto al corredo cromosomico normale.
2. Alterazioni della struttura: inversioni, delezioni, duplicazioni e traslocazioni.

La citogenetica si occupa dell’analisi dei cromosomi riguardo a: numero, morfologia e struttura.

✓ Cromosomi: 46 molecole di DNA duplicate e spiralizzate visibili


durante la divisione cellulare (metafase) → n° caratteristico per
ogni specie, lunghezza e morfologia definite, bandeggio
caratteristico con sostante coloranti
✓ Cromatina: contenuto granulare del nucleo (DNA e proteine)
→ Eterocromatina (elementi ripetitivi), eucromatina (sequenze
trascritte)

Alterazioni del numero


Le anomalie cromosomiche si originano da
eventi di non-disgiunzione meiotica.
I gameti con 22 cromosomi vengono
chiamati nullisomici.
I gameti con 24 cromosomi sono detti
disomici.

La frequenza delle anomalie cromosomiche è:

➢ Direttamente correlata con l’età della madre


➢ Inversamente correlata con l’epoca gestazionale

La gravità delle anomalie cromosomiche è correlata al tipo di cromosoma e alla quantità di geni
interessati; quanto più grave è lo sbilanciamento cromosomico tanto più precoce sarà
l’interruzione di gravidanza.

Alterazioni della struttura


Le mutazioni cromosomiche dovute ad alterazioni della
struttura dei cromosomi sono: inversioni, delezioni, duplicazioni
e traslocazioni.

Malattie legate a DELEZIONI


Esempi di patologie umane legate a delezioni cromosomiche
sono:

1. Delezioni sul cromosoma 5: sindrome del Cri-du-chat


2. Delezione sul cromosoma 15: sindrome di Prader-Willi e
sindrome di Angelman
Sindrome Cri-du-chat

❖ Pianto simile al miagolio di un gatto (laringe ipoplastica)


❖ Grave ritardo mentale e psicomotorio
❖ Microencefalia
❖ Ipertelorismo oculare, epicanto, micrognazia,
malformazioni scheletriche
❖ Sopravvivenza media significativamente ridotta

È riconosciuta attraverso l’analisi del cariotipo perché uno dei 2


cromosomi 5 ha perso il tratto terminale del suo braccio corto.

Sindrome di Prader-Willi e sindrome di Angelman


Si identifica la sindrome di Angelman quando il
cromosoma 15 materno non funziona
correttamente, mentre esordisce una sindrome
di Prader-Willi qualora il cromosoma 15 paterno
non funzioni correttamente.

Malattie dovute a TRASLOCAZIONI


Esempi di patologie legate a traslocazione cromosomica sono:

1. Linfoma di Burkitt (t 8;14):


a. Spostamento del proto-oncogene c-Myc dal cromosoma 8 al 14
b. Traslocazione di c-Myc nel locus della catena pesante delle immunoglobuline (IgH)
sul cromosoma 14 → Conseguenze: iperproduzione della proteina c-Myc che causa
la trasformazione neoplastica
2. Leucemia mieloide cronica (t 9;22):
a. Traslocazione reciproca tra i cromosomi 9 e 22, con formazione del cosiddetto
cromosoma Philadelphia (Ph)
b. Sul cromosoma 22 si viene a creare un gene di fusione BCR-ABL che codifica per
una proteine (tirosin-chinasi) che rende “immortali” i blasti ed è quindi importante sia
nella patogenesi della CML sia nella sua espressione clinica

MUTAZIONI GENICHE
Una mutazione genica è una variazione del DNA che altera un singolo gene, ciò porta alla
formazione di nuovi alleli, che sono detti alleli mutanti (alleli malattia).
Possono essere distinte in 2 categorie: mutazioni puntiformi e mutazioni per sequenze ripetute
(mutazioni dinamiche).
Le mutazioni geniche sono causate da errori nella duplicazione del DNA, da ricombinazione o da
agenti mutageni.
L’informazione genetica di ogni individuo è contenuta nel suo DNA.
Il DNA contiene le istruzioni biologiche per produrre le
proteine: l’informazione genetica è scritta nei codoni
(triplette di nucleotidi) che sono tradotti in sequenze di aa.
Se le informazioni sul DNA cambiano per effetto di una mutazione, può cambiare o non funzionare
la proteina corrispondente.
Mutazioni geniche puntiformi
La mutazione genica è un cambiamento della sequenza del DNA di uno o pochi nucleotidi.

Sono dovute a:

Sostituzioni nucleotidiche: mutazioni missenso, mutazioni nonsenso (stop), mutazioni silenti


Inserzioni o delezioni di uno o pochi nucleotidi: slittamento della cornice di lettura
(mutazione frameshift)

Mutazione missenso
La mutazione missenso è una mutazione genica, in cui la sostituzione di una base nucleotidica con
un’altra base provoca il cambiamento del significato del codone.
Ad esempio, se il codone AGC che codifica per l’aa serina diventa AGA, (sostituzione della C con
A) questo codone cambia significato e specifica per la sintesi dell’aa arginina.
Il cambiamento del nucleotide determina al momento della sintesi proteica, il cambiamento
dell’aa.
Conseguenza: la sostituzione dell’aa può determinare la perdita della funzione della proteina
stessa e causare una malattia.

Anemia falciforme: mutazione missenso nel gene β-globina.


L’acido glutammico in posizione 6 (carico negativamente) viene sostituito
dalla valina (idrofobica) a causa della sostituzione del nucleotide adenina
con timina: codone GAG (Glu) cambia in GTG (Val).

Mutazione nonsenso (stop)


La mutazione nonsenso è una mutazione genica
di sostituzione di basi che può trasformare un codone che specifica per
un aa in un codone nonsenso (segnale di stop).
Conseguenza: la sintesi proteica termina precocemente in
corrispondenza del codone nonsenso.
Viene pertanto sintetizzata una proteina tronca che, nella maggior parte
dei casi, non funziona.

Mutazione silente
La mutazione silente provoca un cambiamento nel codone, ma non
comporta un cambiamento nell’aa, per questo è definita silente.
Se il cambiamento del DNA cambia il codone CTA in CTG, la mutazione è
silente perché entrambi i codoni codificano per lo stesso aa, la leucina.
Poiché non cambia l’aa che viene inserito nella proteina, la mutazione
silente non ha effetto.

CODICE GENETICO
Il codice genetico è degenerato.
Il codice genetico regola la trasmissione dell’informazione che
avviene a partire dalla sequenza nucleotidica del DNA, che viene
trascritta nell’RNA messaggero (mRNA) e poi tradotta nella
sequenza di aa di una proteina.
L’informazione genetica è scritta nei codoni (triplette di nucleotidi) che sono tradotti in sequenze di
aa nelle proteine.
È letto a triplette (codoni), senza sovrapposizioni e più codoni possono specificare lo stesso aa: il
codice è degenerato.
Esiste un codone d’inizio ATG che codifica per la metionina ed esistono 3 codoni di stop: TAG, TGA
e TAA.
Inoltre il codice genetico è universale.
Se le informazioni sul DNA cambiano per effetto di una mutazione, cambiano le informazioni nelle
proteine.

Mutazione frameshift
La mutazione frameshift prevede l’inserzione o la delezione di basi che va
ad alterare la cornice di lettura del messaggio genetico, che a valle della
mutazione viene completamente scombinato.
Conseguenza: proteina alterata, che di solito non funziona.

Talvolta l’errore consiste


nell’inserire una base in più nella sequenza del DNA.
Altre volte durante la replicazione o durante la
riparazione del DNA si ha la perdita di una base.
In entrambi i casi, la lettura di tutta la sequenza che
segue viene completamente alterata.

Anche nelle mutazioni frameshift per delezione viene alterata la lettura di


tutti i codoni successivi all’inserzione/delezione con conseguente
cambiamento della proteina.

GENETICA MENDELIANA

Gli esperimenti di Mendel stabilirono 3 principi che sono alla base della genetica:

1. Alcuni alleli sono dominanti, altri recessivi → Prima legge di Mendel o legge della
dominanza: incrociando tra loro 2 individui di linea pura che differiscono per un solo
carattere si ottengono nella prima generazione filiale (F1) individui che manifestano il
carattere dominante mentre quello recessivo rimane nascosto
2. Durante la formazione dei gameti, gli alleli segregano (si separano) l’uno dall’altro →
Seconda legge di Mendel o legge della segregazione dei caratteri: incrociando tra loro 2
eterozigoti della F1, gli alleli che determinano il carattere si separano in gameti diversi.
3. Geni indipendenti assortiscono indipendentemente → Terza legge o legge
dell'indipendenza dei caratteri: le coppie di alleli di ciascun carattere si comportano
indipendentemente le une dalle altre durante la formazione dei gameti.

Nella genetica umana non è possibile programmare gli incroci ed è


per questo che la genetica mendeliana nell’uomo si studia attraverso
l’analisi della trasmissione dei caratteri nelle famiglie, andando quindi
a studiare l’albero genealogico.

Per studiare gli alberi


genealogici è necessario
essere in grado di interpretarli:

• Generazioni: numeri romani (I, II, III…)


• Individui: numeri arabi (1, 2, 3…)

Il probando, cioè la persona da diagnosticare, si indica con la freccia.


MALATTIA AUTOSOMICA DOMINANTE
Una malattia autosomica dominante è una malattia genetica
causata dalla presenza di almeno un allele dominante per un gene
difettoso, che si trova su un autosoma.
Questo tipo di malattia è caratterizzato dal fatto che basta una
singola copia dell'allele difettoso per far sì che la malattia si esprima.

Indicando con “A” il gene alterato e con “a” i geni normali, la


mamma che porta la malattia potrà produrre dei gameti che sono al
50% A e al 50% a, perciò avrà il 50% di probabilità di passare la
malattia ai suoi figli.

Analizzando un esempio caratteristico di albero genealogico con le principali caratteristiche di


trasmissione autosomica dominante notiamo che sono presenti 3 generazioni dove il papà ha un
gene malato, infatti è indicato con Aa.
I genitori fanno 4 figli, 2 maschi e 2 femmine, in questo caso la seconda
generazione è caratterizzata da: una figlia malata, una figlia sana, un
figlio sano e un figlio malato.
La femmina malata poi si sposa e fa 2 figli: una femmina sana e un
maschio malato.
Il maschio malato si sposa e fa 3 figli: 2 femmine malate e un maschio malato.

Possiamo quindi affermare che:

− La malattia si manifesta anche negli eterozigoti


− Una persona malata ha almeno 1 genitore malato
− Sono colpiti entrambi i sessi (maschi e femmine in ugual proporzione)
− È trasmesso da entrambi i sessi
− Il figlio di un affetto ha il 50% di probabilità di essere affetto
− La malattia si presenta in tutte le generazioni

Acondroplasia o nanismo

Ipercolesterolemia familiare

Sindrome di Marfan

Ereditarietà Autosomica dominante


Frequenza 1 su 5.000-10.000 nati vivi
Descrizione Difetti a carico di: scheletro, cuore e occhi
Cause e localizzazione Alterazione del tessuto connettivo a causa di mutazioni
del gene del gene fibrillina 1 (FBN 1) sul cromosoma 15q21.1
I pazienti con sindrome di Marfan tendono ad essere alti, hanno spesso dita lunghe e affusolate ed
articolazioni lasse, eccessivamente mobili.

La gravità delle manifestazioni cliniche (espressività) varia da caso a caso: alcuni pazienti
presentano sintomi lievi, altri possono avere disturbi più importanti che necessitano di monitoraggio
periodico e di eventuale trattamento.

MALATTIA AUTOSOMICA RECESSIVA


Una malattia monogenica si dice a trasmissione ereditaria autosomica
recessiva quando il gene coinvolto è localizzato su un cromosoma autosomico
e il carattere patologico si manifesta solo se entrambi gli alleli del gene
(carattere recessivo) sono alterate.
Gli individui affetti nascono dall’unione tra 2 genitori portatori (eterozigoti) sani.

In questo caso l’allele A è normale, mentre l’allele a presenta la mutazione.


Analizzando un esempio caratteristico di albero
genealogico di un carattere autosomico
recessivo osserviamo che entrambi i genitori
sono portatori sani.
Questi fanno 3 figli: una femmina malata, un maschio sano e un
maschio sano portatore perché è eterozigote.
Il maschio sano eterozigote si sposa con una femmina eterozigote e
fa 3 figli: una femmina sana, un maschio malato e un maschio sano.

Possiamo quindi affermare che:

o Gli affetti sono generalmente figli di «non affetti» (portatori)


o I genitori degli affetti sono portatori asintomatici
o Sono colpiti entrambi i sessi
o È trasmesso da entrambi i sessi
o Dopo la nascita di un affetto, i figli successivi hanno la stessa probabilità del 25% di essere
affetti
o La malattia non si presenta in tutte le generazioni: c’è salto generazionale

Albinismo (oculo-cutaneo)

− Mutazioni nel gene della β globina e


β Talassemia Major o mordo di Cooley assenza della catena β
− 4-6°mese di vita: difficoltà di
crescita e pallore, difficoltà di
alimentazione…
− Se non si eseguono trasfusioni →
Ritardo di crescita,
epatosplenomegalia, modificazioni
scheletriche
− Diagnosi : grave anemia
microcitica, alterazioni quadro
elettroforetico emoglobine
− Terapia: trasfusioni (+ chelanti del
Fe), trapianto di midollo
Emoglobina
L’emoglobina è formata da 2 catene α e 2 catene β.
Qualora ci fosse un difetto in una delle catene si manifestano
patologie importanti.
Le catene β sono prodotte da un gene presente sul cromosoma 11,
mentre le catene α sono prodotte da un gene localizzato sul
cromosoma 16.

È importante ricordare che la produzione dell’emoglobina, dalla vita fetale a quella adulta,
cambia.
Infatti durante la vita fetale l’emoglobina prodotta si differisce da
quella adulta per produzione di catene α e γ e in parte la β
comincia ad essere prodotta soltanto tardivamente durante la vita
fetale.
Nel momento della nascita la produzione delle catene
emoglobiniche cambia in modo che durante la vita adulta si
producano soltanto catene α e le catene γ siano sostituite dalla
sola produzione delle catene β.

Le talassemie sono un gruppo eterogeneo di malattie ereditarie caratterizzate dalla ridotta o


assente sintesi dell'emoglobina.
Vengono distinte in 2 gruppi principali

I. β0: assenza totale di produzione di catene β


II. β+: deficit parziale di produzione di catena β

Più comuni sono le mutazioni puntiformi (>200 descritte in letteratura) esse possono interessare la
trascrizione, il processamento o la translazione dell’RNA messaggero.

Fibrosi cistica

▪ È la più frequente malattia genetica ereditaria nella


popolazione caucasica.
▪ Colpisce bambini, adolescenti e giovani adulti
▪ Incidenza che varia da 1:2000 a 1:2600 neonati
▪ Frequenza di portatori → 1:25

Alla base di questa malattia c’è un aumento delle secrezioni mucose particolarmente viscose che
determina un’ostruzione dei dotti escretori con sintomatologia diffusa che riguarda
particolarmente: infezioni polmonari ricorrenti, insufficienza pancreatica, cirrosi epatica, ostruzione
intestinale e infertilità maschile.
Il gene della fibrosi cistica è denominato CFTR (Cystic Fibrosis
Transmembrane Conductance Regulator) è localizzato sul braccio
lungo del cromosoma 7, in posizione q31.2.
Il gene è formato è costituito da 27 esoni e codifica la proteina CFTR
che è costituita da 1480 aa.

La mutazione più
frequentemente (70%
dei pazienti affetti da CF) consiste in una
delezione di 3 paia di basi nel gene CFTR.
Questa delezione causa la perdita dell’aa
fenilalanina localizzato nella posizione 508 della
sequenza proteica.

MALATTIE GENETICHE X-LINKED


Nella specie umana sono presenti 44 autosomi (22 coppie), 2
cromosomi sessuali che determinano il sesso dell’individuo.
I maschi vengono anche detti emizigoti → 1 solo cromosoma X
Il sesso maschile è determinato dalla presenza del cromosoma Y.
L’eredità dei caratteri presenti sul cromosoma X è quindi legata
al sesso.

Il cromosoma X è lungo circa 150.000.000 coppie di basi e possiede circa 2000 geni, di cui circa
1200 con funzione nota.

Femmina XX e maschio XY: per compensare la differenza di dosaggio genico dei cromosomi X
nelle femmine (2 copie nelle femmine e 1 sola copia nei maschi ) viene attivato un meccanismo
che si chiama lyonizzazione o inattivazione di una delle 2 X in modo che maschi e femmine
esprimano lo stesso dosaggio genico.

Lyonizzazione: nelle femmine 1 dei 2 cromosomi X è inattivato casualmente in ciascuna cellula allo
stadio di blastocisti

Un gene malattia dominante localizzato sul


cromosoma X determina malattie X linked
dominante.
Un gene malattia recessivo localizzato sul
cromosoma X determina malattie X linked
recessive.

Ereditarietà dominante X-linked

➢ Le persone affette sono di entrambi i sessi, ma principalmente


donne.
Ci sono più femmine malate rispetto ai maschi.
Il rapporto maschi e femmine malati è 1:2.
➢ Una persona affetta ha di solito un genitore malato
➢ Tutte le figlie femmine di un maschio affetto sono malate,
mentre nessuno dei figli maschi è malato
➢ Il figlio di una donna affetta ha una probabilità del 50% di
essere malato
➢ Un carattere dominante legato all’X può risultare letale nel
maschio, mentre le femmine possono tollerarlo a causa
dell’inattivazione dell’X

Non sono noti moltissimi casi di patologie: ipertricosi (peli che coprono tutto il corpo) e
incontinentia pigmenti (skin lesions).
Ereditarietà recessiva X-linked

✓ Gli individui affetti sono quasi tutti di sesso maschile (emizigote)


✓ Le femmine eterozigoti sono portatrici, ma non sono affette
✓ I figli affetti nascono da femmine eterozigoti
✓ I maschi affetti trasmettono l’allele alterato a tutte le figlie femmine (portatrici)
✓ Le femmine eterozigoti hanno il 50% di probabilità di trasmettere
l’allele malato ai loro figli maschi
✓ Non c’è mai trasmissione della malattia da padre a figlio maschio
perché i maschi ricevono dal padre il cromosoma Y

Le principali malattie recessive legate all’X sono:

Malattia Frequenza per 10.000 maschi


Daltonismo 800
Distrofia muscolare di Duchenne 3
Emofilia A (difetto di coagulazione da deficit di fattore VIII) 2
Emofilia B (difetto di coagulazione da deficit di fattore IX) 0.3

Emofilia
L’emofilia è una malattia ereditaria, trasmessa dai genitori ai
figli, causata dalla mancanza di alcuni fattori della
coagulazione necessari per la normale emostasi del sangue.
Si conoscono 2 tipi di emofilia:

1. L’emofilia A, causata da un deficit quantitativo e/o


qualitativo del fattore VIII
2. L’emofilia B, conosciuta anche come malattia di
Christmas, causata da un deficit quantitativo e/o
qualitativo del fattore IX

Distrofia muscolare
La distrofia muscolare di Duchenne e di Becker sono causate da mutazioni nel gene
distrofina.
Il gene distrofina mappa sul braccio corto del cromosoma X (Xp21)
Le mutazioni possono essere:

❖ Grosse delezioni o duplicazioni esoniche


❖ Piccole mutazioni ( nonsense, missenso, frame shifting, splicing)
❖ Mutazioni introniche profonde

Mutazioni che determinano la


totale perdita di funzione della
proteina distrofina causano la
distrofia muscolare di Duchenne.

Mutazioni che preservano


parzialmente la funzione della
proteina distrofina causano la
forma più lieve di distrofia di
Becker.
MALATTIE Y-LINKED
Si stima che il cromosoma Y contenga 90 geni (contro i 1100-1200 del cromosoma X).
Sull'Y è localizzato il gene SRY (Regione determinante il sesso Y), che sintetizza una proteina
implicata nella determinazione primaria del sesso, altri geni della determinazione sessuale
maschile secondaria e molteplici geni responsabili della spermatogenesi.
Tra i pochi geni espressi sull’Y ricordiamo: Testis-Determining Factor (TDF)/ Sex Determining Region Y
(SRY)
OMIM 480000 → Proteina responsabile delle fasi iniziali dello sviluppo del testicolo

La trasmissione dell’eredità Y-linked colpisce solo i maschi: tutti i maschi ereditano il cromosoma Y
dal padre.
I maschi affetti hanno sempre un padre affetto.

Orecchie pelose

MALATTIE MITOCONDRIALI (eredità non mendeliana)


Nelle malattie mitocondriali tutta la progenie di femmine affette è malata e tutta la progenie dei
maschi affetti è sana.
Nello zigote, eredità mitocondriale materna viene mantenuta:

o Cellule gametiche femminili: 200.000-300.000 copie di mt DNA


o Spermi: perdono i mitocondri durante la fertilizzazione della cellula uovo femminile

La femmina malata trasmette la malattia a tutti i figli (sia maschi che femmine).
Gli unici organelli presenti dopo la fecondazione sono quelli
presenti nei gameti femminili dove la mutazione è nei
mitocondri della cellula uovo.
Il maschio malato non trasmette la malattia alla progenie.
Lo spermatozoo perde i mitocondri quando feconda la
cellula uovo.

Le malattie mitocondriali sono un gruppo clinicamente eterogeneo di malattie che insorgono a


causa di una disfunzione nella catena respiratoria mitocondriale o nella catena di trasporto degli
elettroni.
Le manifestazioni coinvolgono più organi del corpo, come il cervello, i reni, i muscoli, il cuore, gli
occhi e le orecchie.

Sindrome di Kearns Sayre (KSS): grave malattia sporadica ad


insorgenza prima dei 20 anni caratterizzata da oftalmoplegia,
retinite pigmentosa, alterazioni del ritmo cardiaco, atassia, diabete
e numerosi altri sintomi.

MELAS (Mitochondrial Encephalomyopathy with Lactic Acidosis and Stroke like): malattia familiare
con esordio, di solito, prima dei 15 anni caratterizzata da ischemie cerebrali ricorrenti

MERRF (Mioclono Epilessia con Fibre Ragged Red): malattia familiare con età di insorgenza, gravità
e evoluzione delle manifestazioni cliniche estremamente variabili anche nell’ambito della stessa
famiglia

LHON (Neuropatia Ottica Ereditaria di Leber) con esordio in età giovanile e netta prevalenza nel
sesso maschile.
MALATTIE GENETICHE

Le malattie genetiche sono legate al numero di geni coinvolti:

1. Malattie monogeniche
L'eredità è unifattoriale o monogenica: il carattere biologico è specificato da un solo gene
trasmesso secondo le leggi mendeliane della dominanza, della segregazione e
dell'indipendenza.
I caratteri monogenici hanno la caratteristica di essere qualitativi (genetica qualitativa).
2. Malattie poligeniche
L’eredità e l’espressione del fenotipo dipende da più geni ognuno dei quali contribuisce in
modo additivo all’espressione del fenotipo.
L’effetto dei geni è cumulativo e nessuno è dominante o recessivo rispetto agli altri.
3. Malattie multifattoriali o malattie complesse
L'ereditarietà delle malattie complesse è multifattoriale quando il carattere biologico è
controllato da un insieme di molti geni che agiscono in concorso con fattori ambientali
(alimentazione, condizioni igieniche, clima, tabagismo, attività fisica...).

Genetica qualitativa: quando il carattere biologico è determinato da un solo gene, controllato da


1 coppia di alleli (esempio A e a) che viene trasmesso secondo le leggi della dominanza, della
segregazione e dell'indipendenza (Mendel), parliamo di eredità unifattoriale o monogenica

Genetica quantitativa: quando il carattere biologico è controllato da un insieme di molti geni ci


riferiamo all'eredità poligenica e multifattoriale

I caratteri quantitativi si possono suddivide in:

− Modello poligenico: l’espressione del carattere dipende da più geni ognuno dei quali
contribuisce in modo additivo all’espressione del fenotipo.
L’effetto dei geni è cumulativo.
− Modello multifattoriale: il carattere biologico è controllato da più geni che agiscono
insieme a fattori ambientali (alimentazione, condizioni igieniche, clima, tabagismo, attività
fisica...)

I caratteri quantitativi sono caratteri misurabili che possono variare all’interno di un determinato
intervallo in modo:

o Continuo: caratteri che mostrano una distribuzione a campana (gaussiana),


o Discontinuo: caratteri che mostrano una distribuzione a campana ma sono a soglia.
La soglia stabilisce il limite superato il quale si vede il carattere/malattia.

Sono caratteri che non segregano secondo leggi mendeliane, ma sono almeno in parte
geneticamente determinati.

Caratteri quantitativi con distribuzione continua: il carattere è controllato


da fattori genetici (più geni) e da fattori ambientali che interagiscono tra
loro a determinare il fenotipo: circonferenza cranica,
colore della pelle, intelligenza, peso corporeo,
pressione sanguigna e statura

Caratteri quantitativi con distribuzione discontinua: il carattere è controllato da


fattori genetici (più geni) che danno una predisposizione a sviluppare un
determinato fenotipo: la malattia Alzheimer, diabete, malattie cardiovascolari

I caratteri quantitativi sono caratteri in cui il fenotipo viene classificato mediante misurazione.
Esempi sono: il peso, l’altezza, la pressione arteriosa, il QI, i livelli di colesterolo nel sangue…
Quando i caratteri quantitativi vengono raggruppati in classi di valori, presentano generalmente
una distribuzione nella popolazione che approssima una distribuzione gaussiana (anche detta
normale).
A livello di popolazione, i caratteri quantitativi vengono espressi non in termini di frequenze
fenotipiche, genotipiche e alleliche (come avviene per i caratteri qualitativi), ma in termini di
media e deviazione standard della distribuzione dei valori osservati.

Nella distribuzione normale:

▪ Nelle ascisse viene rappresentata la variabilità fenotipica del carattere in analisi


▪ Nelle ordinate viene rappresentato il numero di individui costituenti
la popolazione in analisi, o più semplicemente, il numero di volte in
cui un determinato fenotipo si manifesta
▪ Il punto più alto della curva a campana rappresenta il fenotipo
medio che indica il fenotipo più frequente per quel carattere
quantitativo
▪ Agli estremi della campana, vengono rappresentati i fenotipi più
rari, ovvero i fenotipi che si discostano notevolmente dalla media e che sono meno
frequenti

La misura dei caratteri quantitativi è rappresentata da:


∑ (𝒙𝟏 +𝒙𝟐 +⋯𝒙𝒏 )
✓ Media: somma delle osservazioni diviso il numero delle osservazioni: 𝒙 =
𝒏
✓ Varianza (s2 o σ2): rapporto tra le devianze (= somma delle differenze dei valori osservati e
della media, elevati al quadrato), diviso i gradi di libertà: 𝑽𝑷 = ∑𝒏𝒊=𝒍 (𝑷𝒊 − 𝑷
̅ )𝟐/ (𝒏 − 𝒍)
✓ Deviazione standard: si preferisce alla varianza ed è espressa nella stessa unità di misura
delle osservazioni (più grande è, più i valori delle osservazioni si discostano dalla media, più
la curva è bassa e larga): 𝒔 (𝝈) = √𝒔𝟐

Le caratteristiche della distribuzione normale sono:

1. È simmetrica rispetto al valore medio (μ)


2. Il valore di x = μ (media aritmetica), coincide anche con la moda
e la mediana della distribuzione
3. È asintotica all'asse delle x da entrambi i lati
4. È crescente per x < μ e decrescente per x > μ
5. Possiede 2 punti di flesso per x = μ ± σ

Es. altezza
Supponiamo che i geni A e B contribuiscano entrambi per determinare l'altezza.
Ciascun gene può presentarsi in 2 forme alleliche:

→ A e B dominante
→ a e b recessivo

Tali che se sono presenti nella forma dominante (A e B) contribuiscono per 5 cm aggiuntivi
all'altezza finale, mentre se sono presenti nella variante recessiva (a e b) causano la perdita di 5
cm di altezza.

I genotipi possibili ad ogni locus saranno: AA, Aa, aa, BB, Bb, bb.
Fenotipicamente ci aspettiamo che le frequenze dei genotipi siano:

➢ Omozigoti dominanti (AA o BB) = 25%


➢ Eterozigoti (Aa o Bb) = 50%
➢ Omozigoti recessivi (aa o bb) = 25%
Se i loci A e B sono indipendenti, e partiamo da un’altezza media di 100 cm potremo avere nella
popolazione i genotipi:

AA → BB = 120 cm [4 geni dominanti che contribuiscono ciascuno per 5 cm: 100 + (5x4)]

AA → Bb e Aa → BB = 110 cm [3 geni dominanti che contribuiscono ciascuno per 5 cm e 1


recessivo che diminuisce di 5 cm l’altezza: 100 + (5x3)-5]

AA → bb, aa → BB, Aa → Bb = 100 cm [2 geni dominanti che


contribuiscono ciascuno per 5 cm e 2 recessivo che diminuiscono di 5 cm
l’altezza: 100+ (5x2)–(5x2)]

aa → Bb e Aa → bb = 90 cm [1 gene dominante che contribuisce per 5


cm e 3 recessivi che diminuiscono ciascuno di 5cm l’altezza: 100 + 5 –
(5x3)]

aa → bb = 80 cm [4 geni recessivi che diminuiscono di 5cm l’altezza: 100


– (5x4)]

Nella determinazione genetica dei caratteri quantitativi continui:

• All’aumentare nel numero di loci di un carattere quantitativo, aumentano le classi


fenotipiche (e anche quelle genotipiche)
• Ciascun allele dominante ha un effetto cumulativo sul quale poi agisce l’ambiente,
aumentando la variabilità dei fenotipi di un determinato carattere

MALATTIE MULTIFATTORIALI

Un carattere è multifattoriale quando si combinano sia gli effetti prodotti da più geni sia da fattori
esogeni/ambientali: ciascun gene contribuisce, ma non è sufficiente a generare da solo il fenotipo
malattia.
In una malattia multifattoriale si devono combinare gli effetti prodotti da più
geni e da fattori esogeni/ambientali.
In alcuni casi i geni possono contribuire alla predisposizione della malattia:
modello a soglia e suscettibilità.

Chi eredita i geni che conferiscono una maggiore suscettibilità alla malattia, eredita un rischio più
elevato di sviluppare la malattia rispetto alla popolazione generale.
Soltanto gli individui geneticamente predisposti sviluppano la malattia se sono esposti a fattori
ambientali scatenanti.

Il modello poligenico a soglia estende la teoria poligenica dei caratteri quantitativi continui ai
caratteri dicotomici.
Secondo questa teoria, alla base dei caratteri dicotomici poligenici, c’è una variabilità genetica
continua, dovuta all’effetto additivo degli alleli di più geni.
Il carattere si manifesta solo quando si supera una soglia critica.
I fattori additivi che concorrono nel determinare il superamento della soglia per cui si manifesta il
fenotipo si chiamano fattori di suscettibilità.
L’insieme dei fattori di suscettibilità di un individuo determinano il suo livello di suscettibilità.
I fattori di suscettibilità possono essere oltre che genetici anche ambientali.
Familiari di individui affetti avranno una maggiore probabilità di sviluppare la malattia rispetto a
individui della popolazione generale.

Le malattie complesse sono controllate da fattori genetici e ambientali, che possono predisporre o
essere protettivi.
Quando il numero dei fattori o il tipo di interazione (additiva, moltiplicativa)
raggiunge la soglia critica, la malattia si manifesta.
Ogni fattore coinvolto ha un basso effetto fenotipico.

La percentuale dei parenti che cadono oltre il livello soglia diminuisce man
mano che si riduce il grado di parentela e la percentuale di condivisione di
geni.
Per una malattia multifattoriale la soglia del rischio diminuisce con il
diminuire del grado di parentela.

Malattie complesse multifattoriali (a soglia) possono essere:

❖ Difetti congeniti: cardiopatie congenite, difetti del tubo neurale, labio/palatoschisi,


lussazione congenita dell’anca, piede torto stenosi ipertrofica del pilo
❖ Malattie dell’adulto: asma, cardiopatia ischemica, diabete mellito, epilessia, glaucoma,
ipertensione, obesità, psicosi maniaco depressiva, schizofrenia, tumori…

STUDIO DELLE MALATTIE COMPLESSE


Per determinare se una malattia complessa ha una forte componente genetica bisogna eseguire:

Studi sui gemelli (ereditabilità)


Studi di adozione
Aggregazione familiare (lambda o rischio relativo)
Studi di associazione

Studi sui gemelli


Negli studi sui gemelli si comparano le somiglianze di comportamento di gemelli identici
(monozigoti) con le somiglianze di comportamento di gemelli non identici (dizigoti).
I gemelli monozigoti (identici) si formano da un unico ovulo fecondato che si divide in 2 copie
geneticamente identiche.
I gemelli dizigoti (non identici) si formano da 2 ovuli e da 2 spermatozoi differenti, e di
conseguenza non sono geneticamente più simili tra di loro di quanto non lo siano 2 fratelli.

I gemelli monozigoti (MZ) hanno lo stesso sesso, gli stessi alleli e polimorfismi, spesso hanno un
ambiente più simile.
I gemelli dizigoti (DZ) hanno lo stesso sesso nel 50% dei casi, il 50% degli alleli in comune e il 50%
dei polimorfismi in comune.

Gli studi sui gemelli sono uno strumento molto utile per la valutazione dei fattori genetici nella
determinazione di caratteri (sia normali che patologici)

− Gemelli monozigotici → Stesso genotipo e stesso ambiente


− Gemelli dizigotici → Genotipi diversi (geni condivisi al 50%) e stesso ambiente

Se un tratto presenta una predisposizione genetica, mi aspetto che la contemporanea presenza


della malattia in entrambi i gemelli sia più frequente tra i gemelli MZ rispetto ai DZ.

Una maggiore concordanza fenotipica tra gemelli MZ che tra gemelli


DZ indica che la componente genetica è importante nella
determinazione del carattere.
Una concordanza uguale tra gemelli MZ e gemelli DZ indica che la
componente ambientale è più importante di quella genetica nella
determinazione del carattere.

Studi di adozione
Negli studi di adozione i ricercatori tentano di stabilire se i comportamenti o le caratteristiche
psicologiche dei bambini adottati sono più simili a quelle dei genitori adottivi o a quelle dei genitori
biologici:
1. Implicazione di fattori genetici: maggiore frequenza del carattere nei genitori biologici
rispetto ai genitori adottivi.
2. Implicazione di fattori ambientali: maggiore frequenza del carattere nei figli adottati rispetto
alla popolazione generale.

Somiglianze tra soggetti adottati e genitori adottivi riflettono principalmente influenze ambientali.
Somiglianze tra soggetti adottati e genitori biologici riflettono principalmente influenze genetiche.

Es.
Il genitore biologico muore di infezione prima dei 50 anni e il figlio adottato è 5 volte più suscettibile
di morire per infezioni in giovane età rispetto alla popolazione generale.
Si deduce una forte componente genetica.

Il genitore adottivo muore per malattie cardiovascolari prima dei 50 anni, e i figli adottati sono 3
volte più suscettibili di morire per malattie cardiovascolari rispetto alla popolazione generale.
Si deduce una forte componente ambientale.

Aggregazione familiare
Il contributo di fattori genetici è dimostrata dall’osservazione di una maggiore frequenza del
carattere nei parenti di soggetti affetti rispetto alla popolazione generale.

Percentuale di geni condivisi (grado di consanguineità):

a) Gemelli monozigoti → 1/1 consanguineità 100%


b) Fratelli, genitori-figli → ½ consanguineità 50%
c) Fratellastri, zii-nipoti → ¼ consanguineità 25%
d) Cugini I grado → ⅛ consanguineità 12,5%
e) Cugini II grado → 1/32 consanguineità 3,125%
𝑷𝒓𝒆𝒗𝒂𝒍𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒅𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒎𝒂𝒍𝒂𝒕𝒕𝒊𝒂 𝒊𝒏 𝒖𝒏 𝒑𝒂𝒓𝒆𝒏𝒕𝒆 𝒅𝒊 𝒖𝒏 𝒔𝒐𝒈𝒈𝒆𝒕𝒕𝒐 𝒂𝒇𝒇𝒆𝒕𝒕𝒐
Calcolo del rischio relativo: 𝝀𝒓 =
𝑷𝒓𝒆𝒗𝒂𝒍𝒆𝒏𝒛𝒂 𝒏𝒆𝒍𝒍𝒂 𝒑𝒐𝒑𝒐𝒍𝒂𝒛𝒊𝒐𝒏𝒆 𝒈𝒆𝒏𝒆𝒓𝒂𝒍𝒆
Rischio relativo: rapporto tra l’incidenza negli esposti (I1) e l’incidenza nei non esposti (I0) RR = I1/I0.
Il rischio relativo (RR) è la probabilità che un soggetto, appartenente ad un gruppo esposto a
determinati fattori, sviluppi la malattia, rispetto alla probabilità che un soggetto appartenente ad
un gruppo non esposto sviluppi la stessa malattia.
Questa misura equivale al rapporto tra prevalenza della
malattia tra i famigliari di una persona affetta e la
prevalenza della malattia nella popolazione generale.
Tanto più una malattia è prevalente all'interno della
famiglia e tanto maggiore è la prevalenza della malattia
rispetto alla popolazione generale.

Strategie per l’identificazione di nuovi geni implicati nelle malattie multifattoriali


Le strategie che si possono adottare per identificare nuovi geni implicati nelle malattie
multifattoriali sono:

✓ Analisi di linkage (famiglie): generalmente impiegati per la ricerca di nuovi geni


✓ Studi di associazione (caso/controllo): generalmente impiegati per testare l’ipotesi del
coinvolgimento di geni candidati (geni che codificano per proteine di cui si conosca o si
sospetti un coinvolgimento nel processo patologico) nella suscettibilità ad una malattia

Analisi di linkage
L’analisi di linkage permette di determinare la posizione cromosomica di un locus responsabile di
una determinata malattia/carattere genetico rispetto a marcatori polimorfici noti.
È un approccio molto utile per il mappaggio e l’identificazione di geni responsabili di malattie
genetiche mendeliane (oltre 1,200 geni identificati).
L’identificazione di geni implicati in malattie ad ereditarietà complessa (pochissimi geni identificati
finora) è più difficoltosa.
Il marcatore genetico rappresenta sequenze polimorfiche di DNA
(presentano quindi più varianti alleliche) che si trovano in un locus
specifico all’interno del cromosoma.

Il marcatore genetico è il locus genico che identifica univocamente una


regione cromosomica.
Caratteristiche di un marcatore:

→ Polimorfico (almeno 2 alleli alternativi)


→ Facile da identificare e da seguire nelle generazioni
→ Segrega in modo mendeliano

Tipi di marcatore:

➢ Polimorfismo di lunghezza di sequenze


ripetute in tandem: minisatelliti o
microsatelliti
➢ Polimorfismo di singolo nucleotide: SNP

Nell’analisi di linkage maggiore è l’ereditabilità tanto maggiore è l’importanza dei fattori genetici e
la ricerca dei geni della suscettibilità:

o Analisi di coppie di fratelli affetti


Se 2 fratelli sono affetti da una malattia genetica, verosimilmente condividono la sequenza
di DNA che contiene il gene responsabile della malattia.
Quindi se un allele è condiviso nei fratelli affetti è probabile che possa essere
coinvolto nello sviluppo della malattia o comunque trovarsi nella regione critica.
o Test di disequilibrio della trasmissione (TDT)
Il test di disequilibrio di trasmissione (TDT) è stato proposto come un test di associazione tra
un marcatore genetico e un tratto fenotipico (malattia) all’interno di un trio.
Si raccolgono famiglie con un figlio affetto e si conta quante volte un certo
allele è presente nei figli affetti.
Se un allele viene trasmesso con una frequenza maggiore a quello che ci si aspetta, si può
pensare che sia associato alla malattia.
o Studi di associazione
Gli studi di associazione caso/controllo ricercano differenze tra le frequenze alleliche tra un
gruppo di casi (presenza di malattia) e uno di controlli (assenza della malattia).
Rivelano associazioni tra alleli!
Si raccolgono casi e controlli possibilmente della
stessa popolazione e si verifica se c’è una differenza
statisticamente significativa di frequenza di un certo
allele/SNP nei 2 campioni.
Se un particolare allele/SNP è più frequente nei casi
rispetto ai controlli, allora l'allele/SNP si dice associato
al carattere e potrebbe essere vicino a un gene che
controlla il carattere.

Studi di associazione (caso/controllo)


Gli studi di associazione caso/controllo sono i più utilizzati nello studio delle malattie multifattoriali e
consistono nello studio di 2 popolazioni distinte di soggetti:

1. Casi: presenza della malattia


2. Controlli: assenza della malattia

Si utilizzano singoli soggetti (non sono necessari nuclei familiari).


Gli studi Genome Wide Association (GWAS) paragonano popolazioni affette da una determinata
malattia con gruppi controllo senza la malattia, al fine di identificare differenze genetiche.
Gli studi GWAS si basano sul sequenziamento di specifici
polimorfismi: SNPs, microsatelliti o qualsiasi altro tipo di variazione
del DNA per stabilire se esiste un legame (associazione) tra un locus
genetico ed il fenotipo ad esso associato.
Se particolari varianti genetiche sono più frequenti nei pazienti
affetti da una determinata malattia rispetto ai controlli, significa che
queste varianti sono “associate” alla malattia.
Negli studi GWAS, la presenza di specifici polimorfismi nei 2 gruppi
(gruppo malati e gruppo controllo) non solo spiega le differenze
fenotipiche, ma serve anche per indicare l’associazione fra geni e
lo sviluppo di malattie a patogenesi complessa.
Si può quindi concludere che gli studi di associazione Genome
Wide possono consentire l’identificazione di fattori genetici di rischio
per malattie comuni e complesse.

Le regole generali per le malattie multifattoriali sono:

• L’incidenza di queste malattie nelle famiglie dei malati cresce col crescere dell’incidenza
nella popolazione
• Il sex ratio è in genere diverso da 1, cioè vi è sempre un sesso più colpito dalla malattia
• Il rischio medio di ricorrenza è del 2-5% per i parenti di 1° grado dei probandi e va
decrescendo nei parenti di 2° e 3° grado
• Il rischio di ricorrenza aumenta (5% o anche più):
o Col crescere del numero dei parenti affetti
o Col crescere del grado di severità della malattia
o Se il probando appartiene al sesso normalmente meno colpito

Nelle malattie cardiovascolari i fattori ambientali danno un contributo particolarmente forte alla
malattia e sono: ipertensione, sedentarietà, stress, fumo, obesità, diabete e colesterolo.

POLIMORFISMI DEL DNA

La variabilità genetica è dovuta a dei cambiamenti nella sequenza del DNA che spesso sono dei
polimorfismi.
La variabilità genetica è responsabile delle diversità individuali, ed è un fattore positivo per
l’adattamento all’ambiente e per l’evoluzione della vita.

Il 99,9% della sequenza del nostro DNA nucleare è identico a quello di un altro individuo.
La piccola frazione restante (≈ 0,1%) è responsabile della variabilità genetica e determina tutte le
nostre caratteristiche (incluso l’insorgenza di patologie).

Il genoma è il complesso dei geni che definiscono un individuo ovvero l’intera sequenza di DNA
contenuta nel nucleo di ogni cellula.
Il DNA è identico in tutte le cellule di un individuo.
Contiene circa 3 miliardi di paia di basi ed è organizzato in:

– Geni: nell’uomo ci sono circa 30.000 geni (2% dell’intero genoma), sono sequenze
codificanti per le proteine
– Sequenze codificanti: generano RNA funzionali, ma che non codificano per proteine (es.
RNA ribosomiale)
– Sequenze non codificanti: con funzione strutturale e regolatrice della trascrizione

Il 99,9% del DNA è conservato tra individui diversi, mentre lo 0,1% del DNA è diverso ed è sufficiente
per renderci diversi.
Solo i gemelli identici possiedono lo stesso genoma.
Una differenza dello 0,1% nella composizione del DNA è sufficiente per dar luogo alla variabilità
della popolazione.
La variabilità della popolazione è dovuta alla presenza di polimorfismi che individuano
genotipi/fenotipi diversi.

Quando si parla di variabilità genetica ci si riferisce a mutazioni o a polimorfismi.


Una mutazione è un cambio del genotipo che produce variabilità modificando il fenotipo e la sua
frequenza nella popolazione è inferiore all’1% → Determina un fenotipo malattia
Il polimorfismo è una variazione nel DNA che può avere un effetto fenotipico minimo o nullo e la
sua frequenza nella popolazione è maggiore dell’1% → Determina un fenotipo normale

Polimorfismo significa esistenza di forme diverse.


Il polimorfismo è una variazione genetica che non altera la funzione del prodotto genico, ma che
nell’ambito della normalità è responsabile di variazioni nei livelli e nella funzione di una proteina.
Esistono varie tipologie di polimorfismi:

1. Cambio di una base (SNP):


...AAC ATA ACG CCG CGA GAT… ...AAC ATA ACG CAG CGA GAT…
2. Sequenze ripetute in TANDEM in numero variabile (VNTR e STR):
...AAC ATAACG ATAACG ATAACG ATAACG ATAACG ATAACG ATAACG GTT…
...AAC ATAACG ATAACG ATAACG GTT…
3. Polimorfismi da inserzione o delezione: sequenze intersperse nel DNA come le sequenze
ripetute SINE e LINE

SNP (Single Nucleotide Polymorphism)


Gli SNP sono la fonte principale della variabilità genetica tra gli individui.
Sono presenti con una media di 1 ogni 1000 bp e sono dovuti a: sostituzione, inserzione o delezione
di un nucleotide.
Gli SNP in un individuo sano possono provocare:

• Variazioni senza effetti


• Variazioni innocue: es. possono alterare la struttura di una proteina e modificare il suo
funzionamento (aumentarlo o diminuirlo)
• Tendenza a sviluppare malattie: l’individuo sano possiede una proteina con funzionamento
alterato

Gli SNP rappresentano fattori di diversità:

➢ Diversità tra popolazioni


➢ Diversità individuale
➢ Diversa suscettibilità a malattie: alcuni polimorfismi possono aumentare la probabilità di
sviluppare una malattia, tuttavia la presenza di un polimorfismo non è sufficiente da sola a
determinare l’insorgenza di una malattia.
Esistono infatti individui che possiedono la variante di rischio, ma non si ammalano e
individui che non possiedono la variante di rischio, ma si ammalano.
La presenza del polimorfismo insieme a fattori ambientali, possono aumentare il rischio di
sviluppare malattie.
Quindi i polimorfismi non sono la causa di malattie, ma possono
aumentare la probabilità individuale a contrarle.
Nella predisposizione alle malattie entrano in gioco geni di
suscettibilità ad alta penetranza che possono causare lo
sviluppo di tumori nel corso della vita (es. cancro della
mammella e dell’ovaio).
➢ Diversa risposta ai farmaci: i geni che influenzano la risposta ai farmaci possono presentare
varianti alleliche nella popolazione, cioè possono essere polimorfici.
I geni coinvolti nella risposta ai farmaci:
o Farmacocinetica: biodisponibilità del farmaco
▪ Trasportatori (drug transporters)
▪ Enzimi del metabolismo
o Farmacodinamica: drug target / bersaglio terapeutico del farmaco
▪ Recettori
▪ Canali ionici
▪ Enzimi
▪ Proteine regolatrici
La variabilità individuale dipende infatti dalla presenza o
assenza di determinati polimorfismi che sono in grado di
modificare l’efficacia terapeutica dei farmaci.

SEQUENZE RIPETUTE IN TANDEM: VNTR e STR


I VNTR sono polimorfismi definiti anche minisatelliti
caratterizzati da ripetizioni in tandem di una corta sequenza
(10-100 nucleotidi).
Gli STR sono definiti anche microsatelliti e sono delle
ripetizioni in tandem di una corta sequenza (2-10
nucleotidi).

I VNTR (Variable Number Tandem Repeats) variano tra 20 e 100 bp:

❖ Sono organizzati come ripetizioni in tandem


❖ Questi possono essere trovati su molti cromosomi e spesso mostrano variazioni di lunghezza
❖ Ogni variante funge da allele ereditato che ne consente l'identificazione
❖ Utile in: genetica, ricerca in biologia, medicina legale e impronte digitali del DNA

Gli STR (Short Tandem Repeats) variano tra 2 e 10 bp:

Sono ripetizioni che possono variare in lunghezza da 2 a 10 bp


Si trovano tipicamente nelle regioni introniche non codificanti
Le ripetizioni sono specifiche per un determinato locus e possono creare un profilo genetico
unico
Attualmente oltre 10.000 sequenze STR sono state identificate nel genoma umano
Utilizzati in genetica forense per determinare i profili genetici

Sia i VNTR sia gli STR sono dei marcatori genetici


particolarmente importanti perché sono stabili
e già identificanti nel genoma, per cui possono
essere utilizzati per verificare i profili di
segregazione di una famiglia e comprendere il
modo nel quale è stato ereditato un gene dai
genitori ai figli.
Si studiano tramite amplificazione con PCR e
sono analizzati al sequenziatore.

POLIMORFISMI DA INSERZIONE O DELEZIONE


I polimorfismi da inserzione o delezione sono:

→ SINEs (Short INterspersed Elements): es. sequenza Alu è una breve sequenza interspersa di
circa 300 bp.
Si stima che le sequenze Alu presenti nel genoma umano siano più di un milione e che
quindi rappresentino il 10% del genoma umano totale.
L'inserzione di sequenze Alu è implicata in diverse malattie ereditarie umane e in varie
forme di cancro: possono rivelarsi dannose e causare disordini ereditari.
→ LINEs (Long INterspersed Elements): ripetizioni di circa 6000 bp intersperse nel genoma.
L'espressione degli elementi SINE e LINE porta ad instabilità genetica.

RUOLO DELLA GENETICA NELLA PERFORMANCE SPORTIVA


Uno degli argomenti più discussi nello sport di elevata prestazione è rappresentato dalla relazione
che esiste tra fattori genetici e fattori legati all’allenamento (fattori ambientali) nel determinare il
risultato sportivo di un atleta.

La performance sportiva è sicuramente un tratto poligenico e un singolo


gene non può essere responsabile del successo sportivo.
Non tutti i genotipi favorevoli sono presenti nello stesso atleta e la variazione
nella performance è il risultato della combinazione di fattori genetici e
ambientali (allenamento, dieta, stile di vita).

La performance sportiva è influenzata da:

✓ Consumo massimale e submassimale di O2


✓ Attività degli enzimi ossidativi
✓ Percentuale di contrazione delle fibre lente
✓ Sezione trasversale delle fibre muscolari
✓ Caratteristiche antropometriche

POLIMORFISMI CHE INFLUENZANO LE PRESTAZIONI ATLETICHE


Esistono variazioni nell’assetto genotipico di un individuo che si associano a variabilità nel
rendimento sportivo e nello specifico si parla di:

a) Polimorfismo del gene ACE


b) Polimorfismo del gene AGT (angiotensinogeno)
c) Polimorfismo ACTN3
d) Polimorfismo del gene GD8 (miostatina)
e) Polimorfismo PPAR

Polimorfismo del gene ACE (Angiotensin Converting Enzyme)


Il gene ACE lavora nel sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAA) che è un meccanismo
ormonale che regola: pressione sanguigna, volume plasmatico circolante (volemia) e tono della
muscolatura arteriosa.
È un importante sistema umorale implicato nella omeostasi idro-salina e nel mantenimento del
tono vascolare.
Il sistema RAA comprende:

• Renina: proteasi prodotta dal rene in risposta a riduzione della pressione sanguigna o
riduzione del livello di sodio nei tubuli renali
• Angiotensinogeno: α-globulina di origine epatica sotto controllo positivo di estrogeni,
glucocorticoidi, ormoni tiroidei, angiotensina II
• Angiotensina I: decapeptide risultante dalla scissione del legame peptidico fra 10° e 11°
residuo dell’angiotensinogeno ad opera della renina
• Angiotensina II: octapeptide risultante dalla scissione del legame peptidico fra 8° e 9°
residuo dell’angiotensina I ad opera dell’enzima di conversione dell’angiotensina I (ACE)

Una volta attivata l’angiotensina II, si attiva in modo intenso e diretto l’apparato contrattile delle
fibrocellule della muscolatura liscia vasale inducendo: vasocostrizione, aumento delle resistenze
circolatorie periferiche ed aumento della pressione arteriosa.
Stimola la produzione di aldosterone (corticale del surrene) favorendo così la ritenzione salina e
idrica con aumento della volemia e quindi della pressione arteriosa.
Inoltre stimola la crescita cellulare.
Se la concentrazione di sodio plasmatico diminuisce:

o Il rene avverte il calo della pressione sanguigna


o Le cellule iuxtaglomerulari del rene producono renina, un enzima proteolitico
o Nel plasma la renina attiva l’angiotensinogeno, proteina prodotta dal fegato, che viene
convertito in angiotensina I
o L’angiotensina I viene convertita nei capillari polmonari ad angiotensina II dall’ACE
o L’angiotensina II stimola la corteccia surrenalica al rilascio dell’aldosterone
o Il rene riassorbe il sodio nel tubulo distale ed elimina il potassio con le urine

Questo ciclo si può attivare durante l’attività fisica.

Quando l’individuo comincia a fare attività fisica si assiste ad una perdita di acqua che insieme
alla perdita degli elettroliti comporta una diminuzione
della pressione arteriosa.
Questa diminuzione viene immediatamente captata
dal rene che rilascia renina, prodotta dalle cellule
iuxtaglomerulari, nel circolo sistemico.
La renina rilasciata comporta la formazione
dell’angiotensina I che viene immessa nel circolo
sanguigno e attiva il rilascio dell’enzima ACE che
converte l’angiotensina I in angiotensina II.
A sua volta, l’angiotensina II attiva, a livello delle
ghiandole surrenali, il rilascio di aldosterone che
determina la perdita degli ioni sodio e il rilascio degli
ioni potassio.
Questo squilibrio osmotico aumenta il riassorbimento di
acqua che ha come effetto l’aumento della pressione arteriosa.

L’attivazione della produzione dell’enzima ACE viene messa in circolo, ma in realtà la distribuzione
di questo enzima è circolante soltanto per il 10% con effetti immediati a livello cardiovascolare e
omeostasi renale.
Il restante 90% rimane a livello del tessuto locale (endotelio polmonare e renale) con effetti a lungo
termine come: “adattamento” locale dell’organo e attivazione rene-indipendente.

Esiste una grande variabilità fra individui nei livelli di ACE circolante nel plasma.
Tale variabilità è principalmente dovuta alla presenza del polimorfismo Alu da inserzione o
delezione (I/D) nel gene ACE.
Le sequenze Alu sono elementi SINE e sono sequenze lunghe circa 300 bp.

Il gene ACE è composto da 25 esoni ed è


localizzato sul cromosoma 17.
Nel 1990 è stato identificato un polimorfismo
coinvolgente la presenza o l’assenza di una
sequenza Alu di 287 bp nell’introne 16 del gene.
Le sequenze Alu sono gli elementi mobili presenti nel genoma dell'uomo.
In media sono sequenze di circa 300 paia di basi e sono quindi classificate come SINE.

Nella popolazione esistono 3 possibili genotipi relativi al polimorfismo I/D nel gene ACE:

1. DD: omozigote per mancanza dell’elemento Alu (alleli corti)


2. II: omozigote per presenza dell’elemento Alu (alleli più lunghi)
3. ID: eterozigosi (allele corto/allele con l’inserzione Alu)
I 3 genotipi hanno frequenze diverse in gruppi etnici diversi:
Afro-Americani → DD 29% ID 60% II 11%
Indiani → DD 19% ID 50% II 31%
Bianchi → DD 29% ID 40% II 31%

Il polimorfismo Alu ha un effetto fenotipico, infatti i soggetti omozigoti DD hanno attività enzimatica
ACE plasmatica maggiore rispetto ai soggetti eterozigoti ID ed omozigoti II.

La presenza (inserzione I) della sequenza Alu favorisce le persone che praticano sport di durata.
Studi su gruppi di atleti olimpionici allenati a 4000 m di altitudine, senza l’uso supplementare di
ossigeno, praticanti discipline su lunghe distanze e di canoisti hanno evidenziato un eccesso di
genotipi omozigoti I/I o eterozigoti I/D fra gli atleti d’élite rispetto alla popolazione di controllo.
La presenza dell’allele I sembra associato alla performance di durata.

La presenza dell’allele D sembra associato alla capacità di “sprint”.


Il genotipo DD sarebbe invece più frequente in atleti che praticano discipline su distanze brevi
(corsa, nuoto).
L’assenza (delezione D) della sequenza Alu favorisce le persone che praticano sport di velocità
(sprint).

Il sistema renina-angiotensina è presente a livello del tessuto muscolare sia scheletrico che
cardiaco.
Soggetti omozigoti o eterozigoti per l’allele I (II o ID) sarebbero favoriti dal punto di vista metabolico
perché:

− È migliore lo sfruttamento degli acidi grassi come fonte energetica (probabile azione ACE
nel tessuto adiposo);
− Hanno ridotta risposta vasocostrittoria all’ipossia a livello polmonare (vantaggio respiratorio)
− Mostrano un aumento della bradichinina che contrasta la risposta ipertrofica a livello
cardiaco

L’allele D in individui con genotipo omozigote (DD) si associa a maggior incremento di:

▪ Massa ventricolare sinistra


▪ Quantità di ossigeno utilizzabile dall’organismo (VO2max)
▪ Forza muscolare (quadricipite) in seguito ad esercizio

Polimorfismo del gene AGT (angiotensinogeno)


Il polimorfismo Met235Thr del gene AGT codifica per
l’angiotensinogeno.
Il gene AGT controlla la produzione di angiotensinogeno nel
sistema renina-angiotensina ed è stato identificato un
polimorfismo che modifica il codone 235 che codifica per
la metionina e lo trasforma in treonina.

La presenza del polimorfismo Met235Thr porta alla formazione di 2 possibili forme alleliche:

➢ L’allele T che codifica per l’aa treonina


➢ L’allele M che codifica per l’aa metionina

La combinazione di questi 2 alleli determina la formazione di 3 genotipi:

I. Omozigote TT: entrambi gli alleli codificano per la treonina e determinano un’ipertrofia
eccentrica del ventricolo sinistro con maggior performance negli sport di “sprint”
II. Eterozigote TM: livelli intermedi
III. Omozigosi MM: entrambi gli alleli codificano per la metionina e determinano una maggior
produzione di angiotensina II, favorendo gli sport di resistenza
Diversi studi hanno dimostrato che pazienti che presentano una forma alterata del gene AGT
(genotipo T/T) hanno un rischio circa 3 volte maggiore di sviluppare patologie cardiovascolari,
quali: coronopatie, infarti miocardici, arteriosclerosi e cardiomiopatie ipertrofiche rispetto ai
pazienti con il gene normale.
Questi individui possono quindi trarre notevoli benefici nella riduzione dell’apporto di sodio nella
dieta che permette significativa diminuzione della pressione arteriosa senza la necessità di
ricorrere ad una terapia farmacologica.

Polimorfismo ACTN3
ACTN3 è l'unico gene che ha mostrato associazione significativa tra uno specifico genotipo e
prestazioni atletiche tra più coorti di atleti d'élite.
I geni ACTN codificano la formazione di proteine chiamate actinine che legano actina e servono
per stabilizzare i filamenti di actina permettendo la produzione di contrazioni più forti.
Esistono 2 tipi principali di geni ACTN:

a) ACTN2: codifica per l’α-actinina 2, espressa in tutte le fibre muscolari


b) ACTN3: codifica per l’α-actinina 3 che è presente solo nelle fibre a contrazione veloce

Il gene ACTN3 è composto di 21 esoni che codificano per una proteina di 901 aa.
La proteina è espressa principalmente nel muscolo scheletrico e funziona come componente
strutturale della linea Z sarcomerica.
Il polimorfismo che converte la citosina in timina
(C > T) nel codone 577 determina la formazione di
una variante non funzionale che è stata associata
con prestazioni sportive di élite (R577X).

L’ACTN3 è espressa nelle fibre muscolari a contrazione veloce e


codifica la proteina α-actinina 3 che è una componente importante
della linea Z, e si collega con i filamenti di actina per coordinare la
contrazione muscolare.
Le fibre muscolari a contrazione veloce sono alimentate da glucosio,
che fornisce potenza e velocità.
Ci sono 2 varianti del gene ACTN3 presenti nella popolazione: la
variante R e la variante X.
La variante R si trova esclusivamente nelle fibre veloci responsabili
dello scatto e della potenza degli «sprinter», mentre la variante X
(assenza di α-actinina 3) concorre alla formazione di muscoli “lenti”
molto più adatti a sostenere uno sforzo prolungato, come nel caso
delle discipline che richiedono «resistenza».

I genotipi dell’ACTN3 possono essere 3:

1. RR: la proteina è prodotta da entrambi gli alleli


2. RX: un allele produce la proteine e un allele non la produce
3. XX: la proteina non viene prodotta dagli alleli

− La variante R del gene, 577R, codifica per l'allele funzionale


che produce la proteina α-actinina 3 → Presenza della
proteina α-actinina 3
− La variante X del gene, R577X, codifica un codone di stop prematuro → Assenza della
proteina α-actinina 3
− Le persone con genotipo RR e RX producono proteine ACTN3 nei muscoli a contrazione
rapida
− Le persone con genotipo XX non producono proteine ACTN3
− Nelle persone con genotipo XX la mancata produzione di α-actinina 3 determina un
aumento della sintesi di proteine ACTN2 che aumenta le loro capacità di resistenza
Polimorfismo del gene GD8 (miostatina)
La miostatina è una proteina regolatrice della crescita muscolare.
Appartiene alla superfamiglia dei TGF-β (Trasforming Growth Factor β) ed è responsabile del
differenziamento dei muscoli scheletrici.
Ha una funzione inibitoria della proliferazione delle cellule satelliti alle fibre
muscolari e mutazioni genetiche del gene miostatina provocano abnormi
crescite dei muscoli (es. Belgium blue bull).

La miostatina è uno dei geni utilizzato per l’approccio al doping genetico per modificare e
aumentare la crescita delle cellule dei muscoli scheletrici (modificare per mutagenesi il gene
miostatina e somministrare un inibitore della miostatina rappresentato dalla follistatina).

La miostatina è una proteina che interagisce con lo sviluppo muscolare,


inibendolo.
È prodotta soprattutto dalle cellule del muscolo scheletrico e la sua azione
viene regolata dalla presenza di un inibitore chiamato follistatina.
Maggiore è il livello di follistatina, più bassi saranno i livelli di miostatina, quindi
maggiore sarà lo sviluppo muscolare.

Sono stati eseguiti anche esperimenti su topi modulando


l’attività della miostatina, in particolare sono stati creati topi privi
del gene della miostatina (topi knock out) ed è stato dimostrato
che l’assenza del gene miostatina ha provocato uno sviluppo
ipertrofico della muscolatura.
La rimozione del gene della miostatina nei topi ha permesso di
verificare che nei topi knock out determina un enorme sviluppo
della muscolatura scheletrica.

Nel 2004 studiando un bambino tedesco di 5 anni che presentava uno sviluppo
abnorme della forza e della massa muscolare venne identificata per la prima
volta nell'uomo la presenza di una mutazione nel gene che codifica per la
miostatina.

Polimorfismo PPAR
I PPAR sono recettori intracellulari attivati da elevate concentrazioni di lipidi coinvolti nel
metabolismo, nell’immagazzinamento o nel movimento dei lipidi stessi verso organelli intracellulari
o nella loro eliminazione.
Sono stati identificati, fino ad oggi, 3 differenti geni che codificano per 3 diversi tipi di recettori
PPAR: α, δ e γ.
I recettori PPAR-α sono espressi prevalentemente in tessuti che metabolizzano notevoli quantità di
acidi grassi come: fegato, rene, cuore e muscolo scheletrico.
I recettori PPAR-δ hanno una distribuzione più ubiquitaria, con prevalenza per: tessuto nervoso,
adiposo e cute.
I recettori PPAR-γ è elevata nel tessuto adiposo, dove modulano la differenziazione degli adipociti
ed inducono l’espressione di geni critici per l’adipogenesi.

I membri della famiglia PPAR sono considerati fattori di trascrizione


capaci di trasmettere segnali da fattori liposolubili al genoma.
I recettori PPAR eterodimerizzano con il recettore X retinoide (RXR) e
riconoscono siti specifici del DNA (RE: Responsive Elements) ai quali si
legano inducendo repressione o attivazione di uno specifico gene
bersaglio.
Polimorfismo PPAR-α
Sono stati descritti parecchi polimorfismi a livello del gene che codifica PPAR-α e tra quelli più
comuni ne ricordiamo 2:

1. La sostituzione della lisina 162 con la valina (L162V)


2. La sostituzione della valina 227 con l’alanina (V227A).

Il polimorfismo L162V è stato associato con obesità ed elevati livelli di lipidi nel plasma.

Polimorfismo PPAR-γ
I recettori PPAR-γ si trovano su diversi tessuti, ma soprattutto in: adipociti, cellule intestinali e
macrofagi.
Uno dei polimorfismo più studiati di PPAR-γ è il polimorfismo derivante dalla sostituzione della
prolina con l’alanina nel codone 12 dell’esone 6 (Pro12Ala).

Alcuni studi supportano un ruolo benefico del polimorfismo Pro12Ala, che è associato con una
ridotta trascrizione del gene PPAR-γ 2.
Tale polimorfismo è associato a diminuzione del body mass index (BMI), riduzione dei livelli di
insulina, aumento dei livelli di HDL e migliore sensibilità all’insulina.

Attitudine psicologica
Resistenza allo stress e controllo delle emozioni sono in una certa misura geneticamente
determinate.
Il gene trasportatore della serotonina 5-HTT è un neurotrasmettitore che regola moltissimi processi
tra cui l’umore, il sonno e l’appetito.
È stato dimostrato che un polimorfismo di lunghezza nel promotore di questo gene influisce sul
tasso di assorbimento della serotonina.
Il trasportatore della serotonina (5HTT) può codificare per 2 forme alleliche: HTT lungo (L) e HTT corto
(S).

Uno studio psicologico di atlete femmine con il genotipo SS e LS ha rivelato che irritazione e livelli di
pessimismo erano inferiori a quelli di atlete con i genotipi LL.
Genotipo SS e LS si associano ad una ridotta attività trascrizionale che comporta minore
espressione della proteina: meno serotonina maggiore stabilità dell’umore e del benessere.

Predisposizione sportiva
In America una società afferma che attraverso un test genico è possibile predire le “capacità
sportive” di un individuo e per questo motivo ha creato “Athletic Talent Laboratory Analysis System
“ (ATLAS).
La società sostiene che lo studio della variazione ACTN3 nei bambini tra 8 e10 anni « può
determinare che tipo di atleta sei nato per essere» e propone alle società sportive questo test per
l'immissione di giovani nello sport.

“Nello sport di vertice attuale si definisce talento un soggetto che, tenuto conto dell’allenamento
già realizzato, è capace di prestazioni sportive superiori alla media rispetto a gruppi di riferimento
di soggetti dello stesso livello di sviluppo biologico e con abitudini di vita simili.” (Hohmann, Carl,
2001).

Il talento sportivo in parte è ereditabile, infatti spesso notevoli capacità sportive si registrano fino a 3
generazioni precedenti della stessa famiglia.

Se la genetica è in grado di decidere chi sarà un campione e chi no è ancora da stabilire perché
nella prestazione sportiva sicuramente la genetica è una componente importante, ma è
necessario che l’atleta sia ben predisposto ad una determinata prestazione attraverso
allenamento e dieta specifici, oltre che ad ambiente, tecnologica e prestazione mentale in grado
di portarlo ad una prestazione sportiva di eccellenza.
DOPING

La definizione di doping secondo la legge 14 dicembre 2000, n° 376 (art. 1) del Ministero della
Salute è la seguente: “Costituiscono doping: la somministrazione o l’assunzione di farmaci o di
sostanze biologicamente o farmacologicamente attive e l’adozione o la sottoposizione a pratiche
mediche non giustificate da condizioni patologiche ed idonee a modificare le condizioni
psichiche o biologiche dell’organismo al fine di alterare le prestazioni agonistiche degli atleti”.
È l'uso (o abuso) di sostanze o medicinali con lo scopo di aumentare artificialmente il rendimento
fisico e le prestazioni dell'atleta.
Il doping è vietato dai regolamenti di tutte le società sportive.

WADA
Il Comitato Olimpico Internazionale è il massimo organismo sportivo mondiale.
Il compito principale del Comitato Olimpico Internazionale è quello di supervisionare
l'organizzazione dei Giochi Olimpici.
Il Comitato Olimpico Internazionale (CIO) ha creato un'apposita agenzia, la WADA (World Anti
Doping Agency), che si occupa della lotta al doping.
WADA emette e aggiorna costantemente il Codice Mondiale Anti Doping: aggiorna
continuamente l’elenco di farmaci "proibiti", specificando anche i tipi e le dosi dei farmaci
consentiti.

L'agenzia WADA lavora affinché siano rispettati i principi dello sport.


Ogni 6 mesi aggiorna un elenco di sostanze proibite che gli atleti non possono assumere.
I migliori 10 atleti al mondo delle varie discipline entrano automaticamente a fare parte del
programma di sorveglianza WADA e sono soggetti alla compilazione del WHEREABOUTS
INFORMATION FORM che prevede:

• Compilazione trimestralmente indicando per ogni giorno del calendario le località di


allenamento, gli orari e il luogo nel quale l'atleta soggiorna regolarmente
• L'atleta è obbligato ad indicare un periodo di 60 minuti ogni giorno durante i quali
potrebbe essere sottoposto al test anti-doping
• Se l'atleta non viene rintracciato viene sanzionato con un richiamo pubblico dalla
federazione di appartenenza
• Nel caso si evidenzino 3 mancati controlli nell'arco di 18 mesi scatta automaticamente la
squalifica per 2 anni

ADAMS
Il Comitato Olimpico Nazionale Italiano ha espresso parere favorevole all’utilizzo del sistema
informatico denominato ADAMS per la gestione delle informazioni sugli atleti (compresa la gestione
dei form “whereabouts”).
L'Anti Doping Administration and Management System (ADAMS) è un software della World Anti
Doping Agency (WADA) che è stato adottato per l'avvio e l'implementazione dei test anti-doping
per i migliori atleti del mondo.
WADA ha creato ADAMS nel 2005 per l'uso in tutto il mondo.

ADAMS è la “banca dati ” in cui i dati dell’atleta sono conservati e che si riferiscono a:

1. Risultati di laboratorio
2. Autorizzazioni TUE (Therapeutic Use Exemption)
3. Violazioni delle norme anti-doping

È quindi lo strumento fondamentale per pianificare, coordinare, ordinare controlli e serve per la loro
gestione.
Consente, per esempio, di evitare duplicazioni non necessarie dei controlli.
Serve per la reperibilità degli atleti ed è uno strumento cruciale per i controlli a sorpresa.
Contiene tutte le informazioni dell’atleta e consente a tutte le organizzazioni di avere semplice e
rapido accesso alle informazioni.
Rappresenta una garanzia di trasparenza.

ABP
CIO e WADA hanno proposto l’introduzione di un nuovo programma per contrastare la lotta al
doping: creare un passaporto biologico dei giocatori, l'Athlete Biological Passport (ABP), per
monitorare i giocatori nel tempo e rivelarne indirettamente gli effetti del doping.
Questi 'test intelligenti' sono visti come deterrenti per tutti i giocatori che potrebbero prendere in
considerazione l'uso di sostanze illecite.

Il passaporto biologico consiste nel tracciamento nel tempo dei parametri ematici e steroidei
dell'atleta, perciò rappresenta un profilo genetico grazie al quale sono monitorati nel lungo termine
i cambiamenti dei valori ematici.
Una volta realizzato un test base del sangue di ogni atleta, questi campioni servono poi come
riferimento per gli altri esami.
Il passaporto in sé non rileva la presenza di sostanze dopanti, ma indica un’anomalia che potrebbe
suggerirla.
È una tecnica indiretta che non rileva la presenza/assunzione diretta del farmaco dopante, ma
individua gli effetti anomali che tali sostanze inducono sull'organismo.

Nel Programma ABP è prevista l’implementazione dei moduli:

a) Ematologico: ha lo scopo di rilevare qualsiasi forma di doping del sangue (esami del
sangue)
b) Steroideo: ha lo scopo di individuare forme dirette e indirette di doping con agenti
anabolizzanti (test delle urine)
c) Endocrinologico: ha lo scopo di rilevare il doping con fattori di crescita, come l'ormone
della crescita (GH) e fattore-1 di crescita insulina (IGF-1) (sangue e urina)

DOPING
La diffusione del doping nel mondo sportivo non è tanto negli atleti professionisti, ma soprattutto
negli atleti dilettanti o delle categorie minori e in particolar modo nello sport amatoriale.

Il rendimento sportivo può essere implementato con sostanze che aumentano il rendimento
muscolare oppure che agiscono a livello del SNC.
Le sostanze che possono aumentare il rendimento muscolare sono: ormoni steroidei (androgeni,
estrogeni, progestinici), eritropoietina, ormone GH e IGF-1.
Le sostanze che invece possono agire a livello del SNC sono: amfetamine, cocaina, efedrina,
metilefedrina.
Una delle maggiori sfide per i laboratori anti-doping è quella di riconoscere e rilevare l’abuso di
sostanze illecite.

Le sostanze proibite sempre «in e out» competizione sono:

1. Agenti anabolizzanti
2. Ormoni e sostanze correlate
3. β-2 agonisti
4. Agenti con attività anti-estrogenica
5. Diuretici ed agenti mascheranti

Le sostanze proibite in competizione sono rappresentate da:

6. Stimolanti
7. Narcotici
8. Derivati della cannabis
9. Farmaci corticosteroidi
Le sostanze proibite in particolari discipline sportive sono:

I. Alcool: proibito nelle competizioni di automobilismo (>0.10 g/L), arco (>0.10 g/L), biliardo
(>20 g/L), karate (>0.10 g/L)…
II. β-bloccanti (es. atenololo, labetalolo, metoprololo, nadololo, sotalolo, timololo...): proibito
nelle competizioni di automobilismo, arco, bridge, ginnastica, nuoto sincronizzato…

Sostanze proibite sempre


1- Steroidi anabolizzanti androgeni
Gli steroidi anabolizzanti androgeni (SAA) sono derivati dal testosterone: nandrolone, ossandrolone,
deidroepiandrosterone (DEHA).
Gli effetti ricercati sono:

− Aumentare la massa muscolare


− Stimolare l’aggressività
− Aumentare la resistenza allo sforzo

Gli effetti collaterali sono rappresentati da:

− Sterilità e virilizzazione nella donna


− Tumore del fegato
− Perdita elasticità muscolare e rotture tendinee
− Infarto del miocardio
− Turbe della libido e psichiatriche
− Precoce saldatura delle cartilagini d’accrescimento

2- Somatotropina o GH
Gli effetti ricercati dalla somministrazione della somatotropina o GH (Growth Hormone) sono:

➢ Potenziamento degli effetti degli anabolizzanti


➢ Accrescimento in lunghezza delle ossa
➢ Trasporto di aa nei tessuti
➢ Aumento della massa muscolare

Invece gli effetti collaterali indotti da tale assunzione possono essere:

➢ Deformazioni ossee
➢ Gravi insufficienze cardiache
➢ Diabete e neoplasie
➢ Malattia di Creutzfeldt Jacob
➢ Disturbi tiroidei

3-Corticotropina
La corticotropina (ACTH) è un ormone prodotto dall’ipofisi che regola la produzione degli ormoni
corticosteroidi (come cortisolo e aldosterone).
L’effetto ricercato prodotto dall’assunzione dell’ACTH è un aumento transitorio del GH con
conseguente effetto anabolizzante.
Gli effetti collaterali sono:

→ Ipertensione
→ Aumento della glicemia
→ Può interferire con la fertilità

4-Eritropoientina
L’eritropoietina (EPO) è un ormone prodotto dal rene e dal fegato che stimola la produzione di
globuli rossi.
Dal 1983 viene sintetizzato in laboratorio.
Gli effetti ricercati con tale somministrazione sono:

❖ Aumento del trasporto di O2


❖ Aumento del massimo consumo di O2

Gli effetti collaterali, invece, sono:

❖ Ipertensione arteriosa
❖ Ictus cerebrali
❖ Infarto del miocardio

5-β-2 agonisti
I β-2 agonisti (salbuterolo, formoterolo…) sono farmaci broncodilatatori usanti in caso d’asma.
La somministrazione di β-2 agonisti sembra promuovere l’ipertrofia muscolare con un aumento che
può variare, negli animali, dal 10 al 50%.
L’effetto ricercato è di tipo anabolizzante, mentre gli effetti collaterali possono essere:

Tachicardia
Insonnia
Infarto cardiaco
Ipotensione

6-Antagonisti e modulatori degli ormoni


Gli antagonisti e i modulatori degli ormoni non hanno alcun effetto sulle prestazioni fisiche di un
atleta, ma spesso vengono assunti per ridurre o sopprimere gli effetti collaterali causati dall'abuso
di steroidi androgeni anabolizzanti.
L'abuso può provocare ginecomastia nei soggetti maschi, per cui si tenta di attenuare questo
effetto mediante l'uso di anti-estrogeni, riducendo la sintesi degli ormoni sessuali femminili.
L’effetto ricercato è una riduzione o soppressione degli effetti collaterali dovuti all’uso di steroidi
anabolizzanti, invece gli effetti collaterali sono rappresentati da un’ampia gamma di squilibri
ormonali ed effetti collaterali pericolosi.

7-Diuretici e altri agenti mascheranti


I diuretici e gli agenti mascheranti (mannitolo, acetazolamide…) vengono utilizzati poiché tra gli
effetti ricercati troviamo:

• Perdita di peso
• Mascherare la presenza di altri prodotti

Gli effetti collaterali, invece, provocano:

• Disidratazione
• Insufficienza renale
• Aritmie cardiache

Metodi di doping proibiti


Tra i metodi di doping sempre vietati sono presenti:

1. Aumento di trasporto di O2
a. Doping ematico
b. Uso di prodotti che aumentano l’assorbimento, il trasporto o il rilascio dell’O2
c. Camera ipobarica
2. Manipolazione farmacologica, chimica e fisica: uso di sostanze e metodi che possano
alterare l’integrità e la conformità dei campioni raccolti nei controlli anti-doping
3. Doping genetico: uso non terapeutico dei geni, elementi genetici e/o cellule, che hanno la
capacità di migliorare la prestazione sportiva
Aumento di trasporto di O2
Il doping ematico per emotrasfusione può essere fatto utilizzando 2 possibilità:

I. Doping ematico omologo: sangue proveniente da un’altra persona


a. Sangue e sostituti plasmatici utilizzati in medicina
b. “Donor Doping” (generalmente compagni di squadra)
II. Doping ematico autologo: autotrasfusione
a. Estrazione di es. 900 ml sangue 5 settimane prima della gara
b. Infusione del sangue centrifugato (cellule impaccate) 1 o 2 giorni prima della gara

Il vantaggio del doping ematico omologo comporta nessuna diminuzione della performance.
Gli svantaggi del doping ematico omologo, invece, potrebbero essere:

• Possibilità di essere individuati (individuazione degli antigeni minori dei GR del donatore)
• Contrarre malattie dal donatore
• Reazioni da trasfusione

I vantaggi del doping ematico autologo sono:

o Evita patologie tipo AIDS ed epatiti


o Evita reazioni da sangue non compatibile

Lo svantaggio dovuto al doping ematico autologo può causare una diminuzione della
performance durante l’allenamento dopo l’estrazione del sangue.

Nell’autoemotrasfusione per gli sport di resistenza un mese prima della gara vengono estratti 700-
900 ml di sangue, che vengono poi conservati e rimessi in circolo 1 o 2 giorni prima dell'impegno
agonistico.
In seguito alla trasfusione si verifica un repentino miglioramento della capacità aerobica e della
prestazione nelle prove di resistenza (ciclismo, maratona, nuoto di durata, triathlon, sci nordico…).

L'autoemotrasfusione non determina significativi benefici agli atleti impegnati in discipline


anaerobiche (sollevamento pesi, gare di salto e di sprint, lancio del peso…).

Un’alternativa all’emotrasfusione può riguardare l’utilizzo di emoglobine sintetiche come


l’eritropoietina ricombinante (r-HuEPO).
Nel 1987 è stata introdotta l’EPO ricombinante (r-HuEPO) con struttura ed azione sovrapponibili a
quella endogena.
La somministrazione di r-HuEPO consente di aumentare la massa eritrocitaria e i livelli di
emoglobina per 3-4 settimane, con aumento del VO2max (il massimo volume di O2 consumato per
minuto) pari al 10%.
La somministrazione di r-HuEPO consente quindi di migliorare la capacità aerobica dell’atleta.
Gli effetti sono additivi a quelli dell’allenamento, che consente di aumentare il VO2max fino ad un
massimo del 20%.

Ulteriore alternativa nel doping ematico è l’utilizzo della camera


ipobarica che riduce la percentuale di O2 presente nell'aria.
L'organismo quindi viene stimolato a produrre globuli rossi, aumentando
la massa plasmatica.
Dunque aumenta la resistenza, crea l'effetto altitudine, migliora anche
la capacità di recupero.

Manipolazione farmacologica, chimica e fisica


Le manipolazioni vietate comprendono:

✓ Scambio dei campioni d’urina


✓ Diluizione dell’urina con altri liquidi
✓ Inserimento in vescica, tramite catetere, dell’urina altrui
Sono inoltre vietati i diuretici chiamati mascheranti, perché in grado di eliminare più velocemente
le sostanze proibite, favorendo la diuresi.
La prima cosa che si esamina nei campioni di urina è il pH in quanto è possibile facilitare
l’eliminazione di farmaci vietati alcalinizzando o acidificando l’urina; la seconda è la densità:
un’urina con basso peso specifico, può indicare una manipolazione finalizzata ad abbassare la
concentrazione di un farmaco al di sotto della soglia di rilevazione.

Doping genetico
Il WADA ha inserito nella lista dei metodi proibiti il doping genetico, definito come “l’uso non
terapeutico di cellule, geni, elementi genici o la modulazione dell’espressione genica che possano
aumentare la performance sportiva”.
Il doping genetico usa le stesse tecniche della terapia genica allo scopo di migliorare la
prestazione sportiva.
Gli effetti ricercati utilizzando questo metodo sono:

▪ Aumentare la massa muscolare


▪ Modificazione del rapporto fibre bianche/fibre rosse
▪ Modificazione della struttura del sarcomero o della capacità contrattile

Gli effetti collaterali invece sono ancora sconosciuti.

Terapia genica
Negli anni ‘70 nasce l’idea della terapia genica che consiste nell’utilizzo di materiale genetico per
generare un effetto terapeutico, con diverse strategie di intervento a seconda dello scopo
prefissato (mutazioni: ereditarie (patologie genetiche), acquisite (tumori), dovute a virus (malattie
infettive)).
Il farmaco nella terapia genica è rappresentato dal DNA o dall’RNA.
L’obiettivo principale è quello di curare:

− Malattie ereditarie monogeniche con ereditarietà mendeliana


− Malattie infettive
− Malattie multigeniche (cancro)

Le strategie utilizzate dalla terapia genica classica sono:

1) Produzione e somministrazione della proteina che manca al paziente


2) Eliminazione di cellule malate
3) Attivazione di cellule del sistema immunitario che inducono la morte delle cellule malate

Le strategie adottate dalla terapia genica non convenzionale, rappresentata dalla correzione del
difetto genetico restaurando la normale espressione genica, sono:

a) Inserimento completo del gene sano nelle cellule somatiche


b) Mutagenesi mirata nelle cellule somatiche per ripristino gene sano
c) Silenziamento nelle cellule somatiche del trascritto del gene mutato

Le principali malattie oggetto di studio con la terapia genica sono:

➢ Monogeniche: immunodeficienze, distrofia


muscolare, fibrosi cistica, emofilie, retinopatie,
emoglobinopatie, ipercolesterolemia familiare
e xeroderma pigmentosum.
➢ Multifattoriali: malattie cardiovascolari e
neurodegenerative, diabete, artrite
reumatoide
➢ Tumorali: leucemie, carcinomi
➢ Infettive: AIDS, epatite B e C
➢ Acquisite: traumi (fratture ossee, ferite, ustioni), ischemie
Vettori virali
Fanno parte dei vettori virali: adenovirus, retrovirus, virus adeno-associati, lentivirus (derivati da
HIV) e herpes-simplex virus.
I vantaggi che si possono ottenere dai vettori virali sono rappresentati dal fatto che sono altamente
efficienti nel trasferimento genico e la loro espressione è a lungo termine.
Gli svantaggi sono rappresentati da: reazione immunitaria, tossicità e integrazione
random/mutagenesi inserzionale.

Vettori non virali


Fanno parte dei vettori non virali: plasmidi, liposomi e polimeri, elettroporazione in vivo.
I vantaggi che si possono ottenere sono:

→ Assenza di immunogenicità
→ Alta efficienza ex vivo
→ Rilascio di grossi geni
→ Utile per le vaccinazioni a DNA

Gli svantaggi rappresentati dall’uso dei vettori non virali possono essere:

→ Inefficiente nel trasferimento genico


→ Instabilità nella maggior parte dei tessuti
→ Espressione transitoria
→ In vivo solo per tessuti superficiali (cute), muscolo, cuore, fegato

Vettori ideali
Un vettore ideale dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

❖ Di facile produzione e in elevate quantità


❖ Esprimibile per un lungo periodo e regolabile
❖ Sicuro, senza effetti immunologici
❖ Selettivo per determinati tipi cellulari
❖ Capace di trasportare geni piccoli e grandi
❖ Capace di integrarsi in siti specifici del genoma
❖ Capace di infettare sia cellule in divisione che quiescenti

Metodi della terapia genica


I metodi utilizzati nella terapia genica sono:

1. Ex vivo: le cellule bersaglio (es. SC) sono prelevate dal paziente, modificate geneticamente
in laboratorio e reintrodotte nello stesso individuo.
Non causa problemi immunologici, presenta un’efficienza delle metodiche di trasduzione in
vitro e agisce solo su alcune malattie
(immunologiche, ematologiche, metaboliche).
2. In situ: il transgene viene rilasciato localmente nel sito
di azione mediante iniezione intramuscolare o
intratumorale o per inalazione…
La sua azione è mirata per: tumori localizzati,
patologie dell’apparato respiratorio (es. FC), tessuto
cutaneo…
3. In vivo: il transgene viene somministrato per via
sistemica endovenosa nel corpo del paziente.
Utilizzato per cellule e tessuti poco accessibili, ha una scarsa efficienza di trasduzione,
barriere.

Nel trasferimento genico in vivo la somministrazione del vettore avviene attraverso: aerosol,
iniezione diretta, perfusione dell’organo, uso di cateteri, gene gun/elettroporazione, via sistemica.
DOPING GENETICO E SPORT
Il doping genetico rappresenta un’alternativa alla somministrazione di sostanze dopanti che sono
rilevabili dai laboratori WADA.
Permette di implementare la regolazione naturale di geni e il potenziamento di proteine all’interno
dell’organismo.

I tessuti modificabili da doping genetico sono: polmoni, muscoli, cuore, fegato, eritrociti,
vascolarizzazione.

I 3 possibili livelli del doping genetico nello sport avvengono:

I. Prima della competizione: indurre effetti anabolizzanti


II. Durante la competizione: per il miglioramento della performance
III. Dopo la competizione: per il riparo di traumi

Gli approcci di ingegneria genetica che si possono ipotizzare come doping genetico nello sport
sono:

Ex vivo: prelievo del tessuto emopoietico per modificare l’emopoiesi (recettore EPO,
trasporto O2)
In vivo locale (es. muscolo): fattori di crescita, modificatori fibre muscolari cardio-
modulatori...
In vivo locale (es. articolazioni): sostanze antidolorifiche, inibitori dell’infiammazione, fattori
di riparo...
In vivo sistemico: anabolizzanti, fattori ormonali, killer del dolore, controllo vascolare...

I geni candidati nel doping genetico sono:

• Geni correlati alla resistenza allo sforzo (endurance):


o Eritropoietina (EPO)
o Recettore PPARδ che attiva la proliferazione dei perossisomi
o Geni correlati all’angiogenesi: VEGF, TGF, HGF
• Geni correlati all’aumento della massa muscolare:
o Fattori per il controllo della crescita muscolare: MGF e IGF-1
o Fattori per il controllo della massa muscolare: GH
o Fattori ipertrofici: miostatina che è considerato un regolatore negativo della crescita
muscolare e l'assenza di miostatina stimola l'ipertrofia e l'iperplasia muscolare

Geni correlati alla resistenza allo sforzo


Eritropoietina
Nell’utilizzo del genere eritropoietina entrano in gioco vettori adeno-virali per il trasferimento del
gene per l’EPO in topi e scimmie.
Permettono un aumento dell’ematocrito dal 49 a 81% nel topo e dal 40 al 70% nelle scimmie dopo
iniezione intramuscolo.
L’effetto perdurava più di un anno nel topo e circa 12 settimane nella scimmia.
Livelli eccessivi di ematocrito possono però causare trombosi e determinare infarto o episodi acuti
cerebrali.
Inoltre iniezioni ripetute possono avere effetto ridotto per lo sviluppo di risposta immunitaria verso il
vettore virale con rischio di mutagenesi inserzionale: cancro.

Recettore PPARδ
Nel muscolo l'espressione di PPARβ/δ aumenta con l'esercizio fisico, con
conseguente aumento della capacità ossidativa (brucia grassi) e aumento
delle fibre di tipo I.
L’espressione di PPARδ promuove il passaggio delle fibre muscolari da tipo
IIb a contrazione rapida a quelle di tipo IIa e di tipo I lente che è quello che
accade fisiologicamente in seguito ad esercizio fisico costante.
Geni correlati all’angiogenesi
L’espressione di geni quali: fattore di crescita endoteliale vascolare (VEGF), fattore di crescita
tissutale (TGF) e fattore di crescita degli epatociti (HGF), è correlata all’aumento della formazione di
nuovi vasi sanguigni e quindi ad un maggiore trasporto di O2 ai tessuti con conseguente aumento
della capacità di resistenza allo sforzo fisico.

VEGF
Gli obiettivi di questo studio clinico di fase 1 erano (1) di documentare la
sicurezza e la fattibilità del trasferimento genico intramuscolare mediante
l'uso di DNA plasmidico ingegnerizzato con VEGF e (2) per analizzare i
potenziali benefici terapeutici della terapia genica in pazienti con ischemia
critica degli arti.

Geni correlati all’aumento della massa muscolare e alla rigenerazione


Il tessuto muscolare come target di terapia genica è ottimale in quanto: è molto abbondante
nell’organismo, è ottimamente vascolarizzato ed è facilmente accessibile.
Studi di laboratorio su animali, hanno dato risultati positivi utilizzando metodi in vivo ed ex vivo.

La crescita e rigenerazione del tessuto muscolare avviene aumentando l’espressione di geni che
hanno un’azione stimolante come IGF-1 e GH, oppure inibendo geni che di solito agiscono come
repressori dei processi di crescita come la miostatina.

IGF-1 muscolare (mIGF-1)


Il gene IGF-1 (Insulin Growth Factor 1) ha il compito di riparare il muscolo, quando subisce
microtraumi durante l’esercizio.
La fibra si ripara e cresce, ritrovandosi con più miofibrille rispetto a prima della lesione.
Il segnale di stop alla crescita viene dato da un'altra proteina, la miostatina.

Se inserisco un extra gene IGF-1 il meccanismo di equilibrio tra IGF e miostatina verrebbe
bypassato, inducendo ipertrofia del muscolo e la crescita incontrollata delle fibre.

GH
L'attività sportiva rappresenta un forte stimolo per la secrezione di GH.
La secrezione di GH nel corso di attività fisica è influenzata in modo particolare da: intensità dello
sforzo, tipo di allenamento del soggetto e temperatura ambiente.

La funzione primaria del GH è quella di promuovere l’accrescimento.


Il GH nell’età prepubere e pubere stimola l’accrescimento scheletrico agendo attraverso il suo
mediatore IGF-1 sui condrociti delle cartilagini di accrescimento e direttamente sulla
differenziazione dei pre-condrociti.

Il doping genetico con GH potrebbe essere utilizzato per favorire la mobilizzazione dei grassi
stimolando la lipolisi comportando un aumento dell’ossidazione degli acidi grassi, favorendo il
dimagrimento e la sintesi di corpi chetonici nei tessuti.
D’altra parte la somministrazione cronica di GH ha effetti iperglicemizzanti con ridotta utilizzazione
di glucosio, ridotta glicogenolisi ed insulino resistenza.
Inoltre collabora con gli ormoni tiroidei, con gli ormoni sessuali steroidei e con l’IGF-1 al processo di
sviluppo e accrescimento dell’apparato scheletrico garantendo il trofismo muscolare ed osseo
nell’adulto.

Miostatina
La miostatina è una proteina regolatrice della crescita muscolare.
Appartiene alla superfamiglia dei TGF-β (Trasforming Growth Factor β) ed è responsabile del
differenziamento dei muscoli scheletrici.
Ha una funzione inibitoria della proliferazione delle cellule satelliti alle fibre muscolari.
Mutazioni genetiche del gene miostatina provocano abnormi crescite dei muscoli (es. ceppo
bovino Belgium blue bull).

Approcci al doping genetico permettono di modificare per mutagenesi del gene miostatina e
somministrare un inibitore della miostatina come la follistatina che è un regolatore della miostatina.

Rischi dell’uso di doping genetico in persone sane


I rischi da doping genetico che possono comparire in persone sane sono:

✓ Reazioni immunitarie anche letali


✓ Problemi correlati alla preparazione dei vettori in laboratori non controllati: contaminazioni
o produzione di vettori virali virulenti
✓ Problemi correlati all’eccessivo sviluppo delle masse muscolari con effetti dannosi su tendini
e ossa
✓ Problemi legati all’integrazione del vettore nel genoma dell’individuo: possibile mutagenesi
o danneggiamento di geni endogeni
✓ Sviluppo di neoplasie sia per mutagenesi inserzionale sia per over espressione di sostanze
(come GH) che sono potenti mitogeni e anti apoptotici

A breve-medio termine i rischi da doping genetico causano: autoimmunità, sindromi simil-


influenzale e shock tossico.
A lungo termine, invece, possono provocare: fibrosi, tumori, effetti avversi tipici dei fattori stimolati e
impossibilità di terapia genica futura (immunità).

Inoltre i rischi possono essere legati alle modalità di trattamento: malpratica (vettore o via
somministrazione inadeguati), materiale contaminato (patogeni o allergeni) e mancanza di follow
up.

ETICA NEI TEST GENETICI

BIOETICA
La bioetica nasce dal Codice di Norimberga (1947) con la condanna di ogni sperimentazione
sull’uomo senza il suo consenso.
La sperimentazione clinica deve essere sempre aderente alla Dichiarazione di Helsinki (1964-2000)
sui diritti degli individui e dei pazienti.
Il termine “bioetica” fu coniato dall’oncologo americano V. R. Potter che per la prima volta parlò di
bioetica nel 1970 in un paio di pubblicazioni:

1. 1970 → The scienze of survival


2. 1971 → Bioethics: Bridge to the future

La bioetica viene intesa come una nuova disciplina che possa combinare la conoscenza
biologica con la conoscenza del sistema dei valori umani, difficile questo punto tra le 2 culture.
La bioetica perciò è lo studio sistemico della condotta umana, nell’ambito delle scienze della vita
e della salute, esaminata alla luce di valori e di principi morali.
La bioetica è una disciplina rigorosa, argomentativa e razionale che si occupa dell’agire
dell’uomo, del suo comportamento e interviene quando il ponte culturale tra scienza e coscienza
ha una ripercussione sulla salute dell’individuo.

Il documento di Erice, stilato nel 1991, ha definito le competenze della bioetica su 4 ambiti:

a) Problemi etici delle professioni sanitarie


b) Problemi etici emergenti nell’ambito delle ricerche sull’uomo, anche se non direttamente
terapeutiche
c) Problemi sociali connessi alle politiche sanitarie (nazionali e internazionali), alla medicina
occupazionale e alle politiche di pianificazione familiare e controllo demografico
d) Problemi relativi all’intervento sulla vita degli esseri viventi (piante, micro-organismi e
animali) e in generale a ciò che si riferisce all’equilibrio dell’ecosistema
La bioetica ha il suo cuore nella sperimentazione sull’uomo, in particolare nella storia della
sperimentazione “selvaggia” fatta durante i crimini nazisti della Seconda Guerra Mondiale fino al
1943, quindi è legata alla mancanza completa della richiesta del consenso.
Qualsiasi trattamento sanitario e ricerca chimica di base traslazionale deve avvenire con il
consenso da parte dell’individuo e del paziente.

EUGENETICA
L’eugenetica è l’utilizzo della genetica al fine di valutare o manipolare o selezionare alcuni effetti
etnici o caratteristiche fenotipiche e genotipiche.
Il piano eugenetico nazista aveva come obiettivo l’eliminazione degli ebrei abitanti in Europa, dei
gruppi “inferiori” e di quelli “difettosi” o «non puri».
Con la “legge di sterilizzazione genetica” la Corte di Sanità Ereditaria legittimò la sterilizzazione di
225.000 persone, infatti con le leggi di Norimberga del 1935, il piano diventa esplicitamente
antisemita e vengono proibiti i matrimoni tra persone di provenienza etnica differente.
Infine nel 1939 venne istituito il programma eugenetico di eutanasia per gli individui “inutili”.

Oggi qualsiasi selezione su base genetica può avere aspetti di eugenetica come:

• Introduzione della diagnosi prenatale: principio di diagnosi genetica e tutela della salute
della madre e del bambino
• Procreazione medicalmente assistita: fecondazione eterologa

Ecco che rientra il concetto di “eufenica”, ingegneria dello sviluppo umano (J. Lederberg):
cervello, risposta immunitaria, invecchiamento.
Perciò oggi si parla di eufenica e di eugenetica riformata.

Altro aspetto dibattuto all’interno della bioetica sono i mostri genetici, ossia la modifica dell’essere
umano, la costruzione di ibridi genetici, di molecole di DNA di origini diverse con la tecnica del
DNA ricombinante.
Nel 1974 ad Asilomar ci fu un congresso che cercava di definire giuridicamente quali fossero le
responsabilità legali della biologia molecolare e dell’ingegneria genetica nascente, quindi fino a
dove una manipolazione genetica potesse spingersi e a che punto dovesse invece fermarsi.
Si introduceva quindi il concetto di biosicurezza e si concluse con un setting valido ancora oggi in
quasi tutti i Paesi, che afferma l’impossibilità di effettuare modificazioni genetiche sugli embrioni.

L’ingegneria genetica nasce nel 1978 ed è rivoluzionaria perché introduce una serie di tecnologie
importantissime che riguardano il sequenziamento del genoma umano e quindi rivoluziona non
solo la genetica medica, ma anche la medicina.
Infatti è possibile ottenere: mappatura del genoma, diagnosi prenatali e test genici, terapie
geniche e biotecnologie applicate su uomo, animali e piante.

Si iniziano a discutere le implicazioni morali dell’eugenetica riformata con la possibilità di capire


meglio il meccanismo genetico per prevenzione e cure.
Comprende quali siano i vantaggi provenienti dall’ingegneria genetica e anche la necessità di
comprendere le criticità e valutarne una loro regolamentazione, ma anche domande sulla
possibilità che le diagnosi precoci possano modificare il pool genico e tutto ciò che riguarda
terapia genica e clonazione.
La consulenza genetica necessaria per l’offerta dei numerosi test genetici è stata definita non-
direttiva, non può dire cosa fare, ma dà informazioni per mettere l’individuo in condizioni di
prendere la decisione migliore nel suo contesto psico-sociale affettivo.

L’esempio della Corea di Huntington sulla diagnosi presintomatica fu emblematico per le


ripercussioni etiche dei test genetici.
Infatti agli inizi degli anni ’70, quando si cominciarono ad identificare le regioni e i linkage noti per
malattie rare come fibrosi cistica, Corea di Huntington e distrofia muscolare, fu possibile identificare
i portatori tramite un programma di screening largamente supportato negli Stati Uniti che causò
un’ondata evidente di suicidi nei portatori.
Per questo ci si mise a riflettere sul principio del «non danno», del «beneficio» e dell’«autonomia» del
paziente.

Su queste basi è diventato necessario un atto che non riguarda soltanto la genetica medica che è
il consenso informato e come dice Fletcher: “La conoscenza etica ha il potere di proporre come e
se usare informazioni genetiche in base alla decisione libera del paziente”.
Il consenso informato è una manifestazione di volontà che viene accordata dal paziente, ad un
qualsiasi trattamento sanitario.
È chiaro che tale atto di volontà richiede il fatto che il professionista (o la struttura sanitaria) debba
adoperarsi al fine di informare compiutamente, il paziente che subirà il trattamento sanitario,
affinché lo stesso possa prestare un consapevole consenso.
Ad oggi il consenso informato è più appropriato definirlo come modulo di consenso e modulo
informativo, mantenuti separati.
Il consenso può essere ritirato dall’individuo in qualsiasi momento della vita e per qualsiasi ragione
ed è legato al modulo informativo, pertanto riguarda esclusivamente l’oggetto del suo contenuto
informazione.
È individuale e non estendibile ad altri individui anche se consanguinei e per i minori deve essere
dato da entrambi i genitori o da un tutore legare.

I principi guida per i test genetici devono tutelare la confidenzialità dei dati nel rispetto
dell’autonomia personale sempre con i 3 principi dell’OMS nelle Linee guida stilante nel 1981 e
tutt’oggi valide.
Anche gli screening genetici neonatali obbligatori non sono mai eseguiti per ottenere un pool
genetico sano o una riduzione dei costi sanitari, ma per poter accedere ad una terapia precoce e
salva vita (es. galattosemia).

Il Consiglio d’Europa, con la Convenzione di bioetica sancisce che “non si può accedere a test
presintomatici di malattie genetiche o che permettono di identificare il soggetto come portatore di
un gene responsabile di una malattia o di scoprire una predisposizione o suscettibilità genetica ad
una malattia, se non a fini medici o di ricerca medica, e sotto riserva di un consulente genetico
appropriato” previa raccolta del consenso informato.

The General Data Protection Reguletion (GDPR) è il nuovo pacchetto di misure per la protezione dei
dati, adottato nel maggio 2018, e mira ad adeguare l’Europa all’era digitale.
Oltre il 90% degli europei afferma di volere gli stessi diritti in materia di protezione dei dati in tutta
l’UE, a prescindere da dove i dati vengono trattati.

OBIETTIVI DELLA CONSULENZA GENETICA


L’obiettivo della consulenza genetica è quello di aiutare il consulente, la coppia o la famiglia a:

✓ Comprendere le informazioni mediche, inclusa la diagnosi, la prognosi e le terapie


disponibili
✓ Rendersi conto del contributo ereditario alla malattia e del rischio di ricorrenza
✓ Prendere le decisioni che sembrano appropriate in rapporto al rischio di ricorrenza, ai
progetti familiari, agli standard etici e religiosi e ad agire in accordo con queste decisioni
✓ Ottenere il miglior adattamento possibile alla malattia (in un soggetto affetto) o al rischio di
ricorrenza

Ogni consulenza è un caso a sé, con problematiche diverse legate sia alla patologia sia alla
particolare situazione di chi richiede la consulenza.

Le linee guida etiche per i test etici secondo l’OMS sono le seguenti:

→ I test genetici dovrebbero essere sempre consigliati quando l’informazione può essere
utilizzata per terapia e prevenzione, quindi per il miglioramento della vita
→ I test genetici dovrebbero essere sempre volontari e basati sul consenso informato
→ I test genetici devono essere offerti agli adulti sul principio dell’autonomia, anche se una
terapia non è immediatamente disponibile
→ Nei bambini, i test genetici presintomatici, non devono essere offerti a meno ché questo test
possa fornire importantissime ripercussioni in ambito di terapia e cura di una determinata
patologia
→ Tutti gli organismi privati e pubblici non devono accedere ai risultati dei test genetici

Il consenso informato deve essere sempre raccolto e deve essere disegnato in modo da informare,
con il modulo informativo, il paziente per: significato, limiti, possibili risultati e impatto sulla vita
riproduttiva del test.

TERAPIE GENICHE
Nelle terapie geniche somatiche si interviene sul patrimonio genetico di cellule dell’organismo
(soma = corpo), mentre nelle terapie genetiche germinali si interviene nelle prime fasi di
formazione dello zigote o dell’embrione, o sui gameti, e si elimina il difetto genetico, trasmettendo
così la modificazione anche agli eventuali discendenti, ma quest’ultima tipologia è vietata.
Gli aspetti positivi sono molti, infatti ci sono nuove possibilità di cura, l’unità terapeutica è
emergente per molte patologie, la prevenzione e il miglioramento di quadri clinici gravi, i principi di
autonomia, benefico e libertà sull’individuo.
Le criticità invece, che si possono presentare riguardano la sicurezza, le conoscenze (parziali), gli
effetti sulla linea germinale, gli elevati costi (in particolare per terapie personalizzate) e l’integrità
del patrimonio genetico (genotossicità, integrazione genomica).

La clonazione è la replicazione da una singola cellula, mediante sostituzione del nucleo di una
cellula somatica, creando un individuo che è completamente clone del donatore del nucleo.
Il clonaggio completo in realtà non esiste perché l’eredità nucleare non è l’unico materiale
genetico che possediamo, ma a questo va aggiunto il DNA mitocondriale che appartiene alla
cellula accettrice.
Da ricordare che nel febbraio del 1997 vennero pubblicati i risultati dell’esperimento di clonazione
di un agnellino, la pecora Dolly che morì con un invecchiamento precoce.
Oggi la clonazione è uno strumento importantissimo utilizzato ampiamente i molti settori come:

▪ Clonazione riproduttiva (agrifood): nascita di un animale o pianta clonato da un


progenitore a seguito del trasferimento nucleare
▪ Clonazione per ricerca: produzione di embrioni con trasferimento di nucleo allo scopo di
sviluppare linee cellulari in laboratorio (“riserva di cellule multipotenti”)
▪ Clonazione a scopo terapeutico: vietata

P. Ramsey afferma che “gradualmente, la genetica sembra aver fornito un’altra visione dell’uomo:
ciascuno di noi è un insieme di anormalità normali, e di normalità anormali, combinazioni di più o
meno deboli forze genetiche e di più o meno forti debolezze genetiche”.

CONSULENZA GENETICA
La consulenza genetica è uno dei principi cardine della genetica medica e può essere offerta in
moltissime epoche: prenatale, postnatale, preconcezionale, pretest, postest, screening genetici
(newborn, portatori).
La consulenza genetica dialoga in modo incessante con i laboratori di genetica medica che si
occupano di una serie di diagnostiche laboratoristiche che includono: test genetici per malattie
monogeniche, analisi cromosomiche e citogenetiche, analisi di malattie poligeniche e test di
suscettibilità (farmacogenetica), diagnosi PMA e preimpianto, predisposizione genetica in
patologie HLA associate, tipizzazione HLA per la determinazione della compatibilità in indagini pre-
trapianto.
La consulenza genetica è un atto medico, non direttivo, che ha lo scopo di informare un paziente
a rischio per una malattia genetica, o i suoi familiari su:

− Aspetti medici e genetici (diagnosi)


− Probabilità di svilupparla e/o trasmetterla ai propri figli (calcolo del rischio)
− Decorso e possibilità di prevenzione e/o terapia
− Opzioni riproduttive
− Trattamenti terapeutici personalizzati (gene/mutazione specifici)

In un’ipotetica flowchart la genetica medica parte sempre da un fenotipo clinico, che è quello del
paziente e valuta, con diversi strumenti, l’albero genealogico, la modalità ereditaria, richiede
ulteriori accertamenti, fa una diagnosi genetica, identifica gli individui a rischi basati sull’analisi del
genotipo e propone possibilità preventive o di terapia.

La consulenza genetica consta di diverse fasi:

I. Anamnesi genetica: raccolta delle informazioni necessarie per la valutazione del paziente
o dell’individuo che richiede una consulenza genetica.
Viene effettuata tramite l’anamnesi personale e familiare del probando.
È un momento fondamentale, in cui vengono raccolte le informazioni necessarie, che
possono aiutare lo specialista in genetica medica a far luce sulla reale origine genetica
della malattia.
Vengono annotate informazioni precise sui diversi componenti familiari, inclusi quelli
precedenti, che si ritiene abbiano avuto la stessa malattia.
A tal fine possono essere utili, oltre alle cartelle cliniche e alle varie documentazioni
sanitarie, anche fotografie dei familiari deceduti.
II. Ricostruzione dell’albero genealogico (medica): è una ricostruzione grafica che consente
di raccogliere le informazioni di carattere genetico della famiglia in esame.
Dev’essere estesa ad almeno 3 generazioni: probando, genitori e nonni.
La ricostruzione grafica della storia familiare utilizza un’appropriata simbologia.

III. Accertamenti specialistici (medica): le visite specialistiche richieste dal genetista per
confermare o escludere altri eventuali segni minimi della malattia nel probando e nei suoi
familiari.
Possono essere richiesti anche esami strumentali come RX, TAC o esami di laboratorio.
Nel sospetto di una specifica condizione vengono effettuati esami genetici (molecolari e/o
citogenetici).
Il genetista medico è un punto di raccordo fra molte branche della medicina specialistica
perché vede il paziente in una sua dimensione totalizzante, tanto che i genetisti più che
parlare di fenotipo parlano di fenomica.
Il fenotipo riguarda soltanto un particolare fenotipo clinico, mentre la fenomica racchiude
tutte le branche specialistiche.
IV. Test genetico (laboratori)
V. Report genetico (medica/laboratori)
VI. Calcolo del rischio (medica): è la possibilità che una condizione patologica a base
genetica presente nel probando si verifichi nuovamente in altri membri appartenenti alla
stessa famiglia.
Il calcolo del rischio si basa sull’accertamento della modalità di trasmissione della malattia,
sui dati strumentali e di laboratorio disponibili e sulla posizione del probando all’interno della
famiglia.
Il rischio genetico può essere fornito in termini probabilistici o con un valore percentuale.
VII. Consulenza postest (medica): rischio di ricorrenza, prevenzione, terapie, opzioni
riproduttive.
La comunicazione è il momento in cui lo specialista in genetica medica comunica al
probando o ai suoi familiari le informazioni ottenute e le possibili conseguenze.
La consulenza non dev’essere mai direttiva e quindi non deve influenzare le possibili
decisioni del probando o della famiglia.
L’acquisizione dei dati, la comunicazione dei risultati e il sostegno psicologico adeguato, in
caso di conferma di malattia genetica, sottolineano come lo specialista in genetica
medica abbia la necessità di avvalersi della collaborazione di altri professionisti, medici e
non medici, per raggiungere gli obiettivi della consulenza genetica stessa.

Le tipologie di consulenza genetica sono differenti a seconda di chi è rivolta la consulenza:

➢ Consulenza genetica riproduttiva: si effettua prima di una gravidanza per sapere se, sotto il
profilo genetico, si hanno problemi o rischi che possono riflettersi sulla salute del nascituro e
poter operare scelte riproduttive consapevoli.
I motivi più frequenti per cui è richiesta sono:
o Malattia genetica sospettata o accertata nella coppia richiedente o nei loro
familiari
o Stato di portatore sano di malattia genetica in uno o entrambi i genitori
o Poliabortività
o Infertilità
o Consanguineità
➢ Consulenza prenatale: si effettua in corso di gravidanza nei casi in cui siano state
individuate nel feto, nella madre o in altri familiari, condizioni che potrebbero esporre il feto
stesso ad un aumentato rischio di patologie congenite.
Riconosce indicazioni specifiche per le quali è assolutamente indicata come:
o Malattia sospettata o documentata nel feto (malformazioni, anomalie
cromosomiche accertate alla diagnosi prenatale, alterazioni di marcatori ecografici
o biochimici)
o Età materna avanzata (≥ 35 anni), che costituisce l’indicazione più frequente allo
studio del cariotipo fetale
Altri motivi frequenti per cui è richiesta una consulenza
genetica prenatale sono:
o Malattia genetica, sospettata o accertata, in un
genitore e/o nei suoi familiari
o Stato di portatore sano di malattie genetiche in
uno o entrambi i genitori
o Poliabortività
o Consanguineità
o Pregressa infertilità
Nella consulenza prenatale è importante indagare su:
❖ Storia personale e/o familiare di abortività ripetuta, natimortalità, malformazioni
congenite, difetti cardiaci congeniti e morte in culla.
❖ Storia familiare di deficit intellettivo (NB se per via materna) o autismo
❖ Storia personale o familiare di patologie muscolari con inabilità in età giovanile (NB
se presenti in soggetti maschi collegati per via materna)
❖ Storia familiare o personale di patologie importanti dei grandi apparati: cuore
(cardiomiopatie, patologie aritmiche), sistema nervoso centrale e periferico
(patologia del motoneurone, disturbi del movimento, demenza, neuropatie); rene
(soggetti in dialisi o trapiantati); apparato uditivo e visivo (sordità, cecità) che
occorrono in soggetti giovani-adulti, in multipli soggetti, anche con diversa tipologia
in diversi soggetti
❖ Consanguineità fra i partners
❖ Esposizione a potenziali teratogeni durante la gravidanza
➢ Consulenza teratologica: fornisce informazioni relative al rischio riproduttivo derivante
dall’esposizione ad agenti mutageni (radiazioni ionizzanti o sostanze che causano
alterazioni a carico del materiale genetico)o teratogeni (sostanze chimiche,
farmacologiche, malattie infettive, virali o batteriche, malattie materne croniche o acute)
➢ Consulenza pre e post test: vengono così definiti i colloqui informativi preliminari
all’esecuzione di certi test o per l’interpretazione dei loro risultati
➢ Consulenza presintomatica: vengono così definite le consulenze genetiche offerte a
individui sani con il rischio di essere portatori (eterozigoti) per malattie mendeliane ad
esordio tardivo.
Richiede una consulenza multiprofessionale in presenza anche di uno psicologo proprio per
la delicatezza del tipo di comunicazione e una valutazione pre-psicologica sull’attitudine e
sulla conformazione psico-fisica della personalità dell’individuo a ricevere una consulenza
presintomatica così importante.
Es. Core di Huntington, demenza presenile, amiloidosi ereditaria, SLA.
La malattia di Huntington è una malattia neurodegenerativa ereditaria caratterizzata da
disturbi del movimento (corea), modificazioni della personalità e demenza.
È una malattia a esordio tardivo e generalmente compare tra i 35 e i 45 anni di età.
In alcuni casi può manifestarsi prima dei 20 anni (forma giovanile).
La forma tardiva si manifesta dopo i 55 anni e può essere più complessa da diagnosticare.
La frequenza della malattia è stimata in 5-10 individui su 100.000, ma non sempre viene
correttamente diagnosticata.
Alcuni individui richiedono di sapere se sono portatori e se svilupperanno la patologia in età
adulta.
➢ Consulenza oncogenetica: nel 2000 il Gruppo di Lavoro Genetica Oncologica della Società
Italiana di Genetica Umana (SIGU), ha elaborato un documento in cui vengono fornite
indicazioni sugli obiettivi, le caratteristiche principali e le condizioni minime della
consulenza genetica in ambito oncologico (CGO).
La peculiarità della CGO si fonda su 3 specifici aspetti:
La relazione tra i geni e il cancro è particolarmente complessa e le conoscenze
delle basi genetiche del rischio ereditario alla malattia sono ancora in continua
evoluzione e solo in parte definite
La prevenzione, discussa durante la consulenza oncogenetica riguarda
l’identificazione di eventuali azioni mediche volte a ridurre la morbilità e/o la
mortalità di cancro in persone non ammalate
Il tumore è una malattia molto frequente nel mondo occidentale ed ha importanti
valenze psicosociali
Alla luce di queste premesse gli obiettivi specifici della CGO sono:
La valutazione del rischio genetico individuale di tumore, sulla base delle
conoscenze disponibili, compresi i testi genetici, qualora esistenti ed utilizzabili
L’accompagnamento dell’individuo o della famiglia nella comprensione della
componente genetica della malattia, del rischio di trasmetterla, delle basi
scientifiche su cui si fondano sia il calcolo del rischio sia le misure di sorveglianza, sia
le opzioni disponibili per affrontare il rischio di malattia
La programmazione di eventuali misure di sorveglianza clinica e strumentale
(secondo linee guida nazionali o internazionali, o in base a programmi locali di
ricerca specificamente formalizzati ed approvati)
Il supporto per un’integrazione ottimale di tutto ciò nella propria storia personale e
familiare e nelle scelte individuali
➢ Visita dismorfologica: branca più importante della genetica medica e probabilmente la più
clinica in cui c’è una visita fenotipica e fenomica del paziente che valuta la presenza di
dismorfismi corporei che servono per indirizzare una diagnosi quasi sempre riguardante la
presenza di una patologia sindromica nel paziente.
Circa il 3% dei bambini nasce con un’anomalia congenita che riflette una patologia
sindromica e determina difetti alla nascita.
Un neonato con una patologia apparentemente sindromica orienta verso una condizione
genetica quando sono presenti anomalie multiple, più di 3 anomalie cosiddette minori,
almeno un’anomalia cosiddetta maggiore e la presenza contemporanea di un’anomalia
maggiore e più anomalie minori.
Nella maggior parte dei casi le anomalie dismorfiche capitano improvvisamente in una
coppia che nella storia familiare non ha avuto nessun altra patologia sindromica, quindi è
difficile discriminare le sindromi ad eziologia genetica che potrebbero avere un rischio di
ricorrenza nella prole della coppia, da quelle che sono assolutamente ambientali.

La consulenza genetica è un atto medico offerto a: pazienti, individui e familiari a rischio di essere
portatori o di sviluppare una patologia ereditaria che possono essere informati delle conseguenze
della malattia, della possibilità di svilupparla, di prevenirla, di trasmetterla e delle terapie
disponibili.

Le patologie genetiche mendeliane o a base ereditaria riguardano tutto il nucleo familiare e non il
singolo individuo.

METODICHE IN DIAGNOSI GENETICA MOLECOLARE ED ESEMPI DIAGNOSTICI

Le principali indicazioni alla caratterizzazione del genotipo molecolare sono:

• Conferma della diagnosi clinica nei pazienti affetti da patologie mendeliane e a base
genetica (diagnosi molecolare)
• Identificazione dei portatori (eterozigoti)
• Diagnosi presintomatica
• Diagnosi preimpianto
• Diagnosi prenatale
• Screening di popolazione
• Screening neonatale

Il materiale che viene utilizzato per la diagnosi molecolare sono gli acidi nucleici, quindi DNA ed
RNA, ottenibili da: sangue periferico (fonte più utilizzata in diagnostica), tessuti o cute, saliva e
cellule in coltura.

ESTRAZIONE DEL DNA


L’estrazione del DNA oggi è automatizzata e robotizzata, nei grandi
laboratori di genetica medica.
Si utilizzano macchinari molto sofisticati che consentono di allestire
un layout unico e completo per tutta la metodica che va
dall’estrazione del DNA dal campione ematico, perciò dal prelievo
di sangue fino ad avere la molecola purificata in un unico setting.
Questo è un sistema flessibile e tutti i biorobot hanno all’interno un setting
disponibile necessario per l’estrazione e fanno anche i preallestimenti per le
reazioni a catena della PCR.
Possono processare molti campioni nel giro di un paio d’ore,
inoltre hanno bracci robotici con multicanali indipendenti
che dispensano sia il campione biologico da analizzare, sia
tutti i prodotti chimici utilizzati in ambito di estrazione.
L’utilizzo di questi sistemi automatici ha abbattuto l’errore
manuale di campionamento del laboratorio che può causare
anche una diagnosi sbagliata in ambito di report al paziente.

PCR → Reazione a Catena della Polimerasi


La PCR è un mezzo rapido ed economico per ottenere grandi quantità (amplificazione) di una
specifica sequenza di DNA o RNA.
Sfrutta la capacità della polimerasi di catalizzare la sintesi di acidi nucleici a partire da un
filamento stampo.
La PCR si può suddividere in 3 fasi, importanti per il disegno dell’amplificazione,
che sono:

1. Denaturazione: apertura della doppia elica di DNA


2. Annealing: ibridazione e attacco dei primers
3. Extension: copiatura da parte della Taq polimerasi

È così definita perché permette un’amplificazione esponenziale dei frammenti


di partenza.

La PCR ha differenti utilizzi, infatti il prodotto di PCR può essere:

o Rivelato su sequenziatore capillare (VNTR, MLPA, mutazioni dinamiche)


o Ibridizzato (reverse dot blot)
o Sequenziato (diretto)
o Clonato (library, altro)

Analisi di frammenti
L’analisi dei frammenti o VNTR è molto utilizzata nel quotidiano in ambito di genetica medica sia
per diagnosi prenatale sia per segregazione di patologie e anche in ambito forense.
Consiste in amplificazioni in regioni ripetute che sono dei polimorfismi nella lunghezza di sequenze
di dimensioni ridotte ripetute in tandem che possono essere usati come markers molecolari.
Il numero di repeats in un determinato locus varia tra i diversi soggetti e tali regioni sono chiamate
VNTR's (Variable Number of Tandem Repeats).
I VNTR sono polimorfismi del DNA molto informativi (molto frequentemente polimorfici nella
popolazione generale).
La tecnica permette la definizione delle dimensioni degli alleli attraverso la reazione di PCR con
primers fluorocromati, specifici per il frammento oggetto dell’espansione, e successiva elettroforesi
capillare su sequenziatore automatico.
Perciò quest’analisi si basa su: reazione di PCR, visualizzazione su sequenziatore capillare e
valutazione del genotipo e degli alleli.

Una delle applicazioni più note di analisi di frammenti è rappresentata dall’analisi forense che
permette:

− Riconoscimento di paternità: analisi di VNTR nel nucleo


familiare (PCR+ rivelazione su sequenziatore capillare) con
precisione del 99,9% se si utilizzano almeno 50 diversi VNTRs
− Identificazione di autori di reati (criminologia)
− Identificazione di vittime di reati o sinistri (medicina legale e
assicurativa)

I VNTR si utilizzano anche in diagnosi prenatale per verificare la corretta


segregazione cromosomica e l’eventuale presenza di inquinamento materno del
materiale prelevato (amniociti, villi coriali, sangue fetale).
Questo esame viene effettuato tramite l’applicazione di linee guida.

I VNTR possono essere usati nell’analisi di segregazione, in famiglie in cui vi sia la


ricorrenza di una patologia per valutare la presenza di un linkage della patologia
con cromosoma specifico.

Reverse dot blot


Il reverse dot blot è un saggio per identificare mutazioni note di geni (es. gene β-globina e CFTR)
basato sulla reazione a catena della polimerasi (PCR) e sull’ibridazione inversa su filtri di
nitrocellulosa.
Il test comprende 3 fasi:

a) Estrazione del DNA


b) Amplificazione tramite PCR con primers biotinilati
c) Ibridazione dei prodotti amplificati su una striscia
contenente sonde oligonucleotidiche allele-specifiche
immobilizzate secondo uno schema di bande parallele

Il test è basato sul principio della ibridazione inversa attraverso reattivi


pronto uso: sequenze geniche amplificate in vitro ibridano in modo
allele-specifica a sonde oligonucleotidiche legate ad una
membrana.
La successiva colorazione colorimetrica individua l’eventuale
presenza di mutazioni.
In diagnostica viene utilizzato nella ricerca rapida come screening
delle mutazioni più frequenti in un gene malattia.

Sequenziamento diretto del DNA


Il metodo Sanger è un metodo accurato per ottenere informazioni precise e definitive su un gene.
È il metodo ideale per la rilevazione di tutte le mutazioni puntiformi nelle regioni codificanti (esoni)
e di regolazione dello splicing (introni fiancheggianti).

Questa tecnica si basa su 2 metodiche: una manuale (non più


utilizzata) che si basa sulla reazione a diversi step di marcatura dei
singoli nucleotidi rilevati tramite un marcatore radioisotopo (35S) e
una automatica (utilizzata oggi) che si basa sul sequenziamento
dei capillari con rilevazione tramite fluorocromi che distinguono i
singoli nucleotidi andando a formare un cromatogramma che
permette di distinguere in modo colorimetrico il nucleotide in
sequenza ordinata dopo reazione polimerasica, attraverso la
lettura sotto laser all’interno del sequenziatore capillare.

Il cromatogramma è la sequenza di DNA che si osserva.


È facilmente identificabile una mutazione in eterozigosi perché in
corrispondenza della mutazione, nel cromatogramma è presente
un doppio picco.
Nelle mutazioni in omozigosi invece avviene la perdita di una
base nucleotidica sostituita da uno stretch di un’altra base.

Un altro metodo di sequenziamento utilizzato è quello dell’analisi


delle triplette, come nel caso della Corea di Huntington.
La diagnosi che si effettua oggi è
su VNTR, ma in alcuni casi, si
procede anche tramite
amplificazione della regione genomica contenente le triplette CAG
attraverso un sequenziamento diretto dei prodotti purificati
utilizzando, nella reazione di sequenza, gli oligo di amplificazione, e il
successivo conteggio del numero di triplette.

Progetto genoma umano


Il sequenziamento del DNA è esploso dopo il progetto genoma umano che ha rivoluzionato tutta la
diagnostica molecolare della genetica medica, rendendo accessibili un’enorme quantità di dati
che riguardano il genoma umano e non solo, perciò ad oggi è disponibile la sequenza dell’interno
genoma umano che è di circa 3 miliardi di nucleotidi.
Tutto questo ha permesso la ricerca e l’identificazione di nuovi geni-malattia nelle patologie
Mendeliane o di mutazioni predisponenti in patologie multifattoriali e oncologiche.

L’OMIM afferma che ad oggi sono circa 25.000 le patologie genetiche conosciute con l’analisi fino
a 17.370 geni per poter riconoscere eventuali malattie genetiche.

Sequenziamento del DNA di nuova generazione


Il sequenziamento del DNA di nuova generazione si chiama NGS (Next Generation Sequencing) e si
basa sul principio del sequenziamento di cluster clonali, cioè milioni di analisi di sequenziamento di
DNA contemporaneamente sullo stesso campione e su più campioni diversi.

La differenza che intercorre tra il sequenziamento del DNA


con il metodo Sanger e il metodo NGS è abbastanza
immediata perché nel sequenziamento Sanger si
sequenziano 2 copie degli alleli, definite strand, mentre nel
sequenziamento NGS si analizzano dei cluster clonali.
Maggiori sono le righe che si leggono nella regione studiata,
maggiore è la precisione della diagnosi molecolare.
Le metodiche NGS sono certamente più accurate rispetto a
quelle utilizzate nel metodo Sanger.

La preparazione di questi cluster clonali avviene principalmente in 2 modi:

I. Arricchimento genico (enrichment): attraverso una reazione di


amplificazione
II. Cattura genica (capturing): attraverso un’ibridizzazione specifica

Il NGS è completamente automatizzato, quindi viene effettuato da uno


strumento su cui vengono caricate le librerie di campioni da analizzare e
poi sono studiati e c’è un enorme output informatico che necessita di
infrastrutture informatiche adeguate in grado di estrapolare e conservare i
dati e costruire delle flow chart che consentono di analizzarli in maniera strutturata.

Post genomica
Nella post genomica è possibile sequenziare il genoma di un individuo in circa
48h con una spesa molto piccola, circa $1.000.
Le applicazioni possibili sono:

▪ Diagnosi molecolare in malattie associate a mutazioni in geni di grandi


dimensioni non approcciabili mediante sequenziamento Sanger
(esempio distrofina)
▪ Diagnosi molecolare per malattie a elevati eterogeneità genetica
(molti geni coinvolti, fenocopie)(es. cardiomiopatia, ritardo mentale X-
linked, retinite pigmentosa, miopatie congenite, distrofie dei cingoli)
▪ Pannelli genici: costruiti on demand con l’utilizzo di geni noti ad ampia
eterogeneità genetica
Esempio di eterogeneità genetica
Osteogenesi imperfetta: malattia delle ossa fragili; è una patologia
rara genetica caratterizzata da una forte eterogeneità genetica
(causata cioè da 16 potenziali geni).

Cardiomiopatie: presentano
una forte eterogeneità
genetica, addirittura i fenotipi
sono sovrapporti e la mutazione
di alcuni geni causano sia forme ipertrofiche che forme
aritmiche o strutturali o dilatative.

Distrofie muscolari: presentano sia fenotipi sovrapposti sia fenotipi molto


diversi.

WES → Whole Exome Sequencing


Il WES è un sistema complesso con il quale sono sequenziati tutti gli
esoni, quindi regioni codificanti o esoma, dei geni del nostro genoma.

Rispetto ai pannelli genici (che esplorano solo geni noti) il WES identifica nuovi geni-malattia
oppure può essere utilizzato come un pannello genico virtuale e “interrogato” per geni noti
(Clinical Exome).

Sequenziando tutto l’esoma, si identificano un numero di varianti per


individuo che si aggira tra le 20.000 e le 50.000 varianti.
Per raggiungere le varianti da selezione che sono all’incirca 150-500,
esiste un processo di filtering che è un processo bioinformatico che
tende a sottoselezionare tutte le varianti identificate con numerosi
parametri e che serve al bioinformatico per far si che il genetista
abbia un piccolo numero di varianti su cui ragionare.

Nonostante il WES sia estremamente informativo, circa il 40% dei pazienti con malattia rara
rimangono non diagnosticati anche dopo analisi di pannelli genici o WES perché nel paziente il
gene coinvolto è un gene nuovo.
Ecco perché si utilizza il sequenziamento completo del genoma umano.

RNA COME MOLECOLA DIAGNOSTICA


L’utilizzo dell’RNA come molecola diagnostica è una procedura
raramente utilizzata perché la diagnosi deve essere effettuata su
cellule o tessuti che esprimono il gene di interesse.
È una tecnica promettente con la quale è possibile controllare la
presenza della molecola di RNA messaggero e la sua corretta
composizione in termini di esoni.
Inoltre è possibile identificare mutazioni introniche che alterano lo
splicing.

INDENTIFICAZIONE DI NUOVI GENI MALATTIA CON WES


Caso clinico → Nuovo gene malattia versicano (VCAN)
Una famiglia pachistana con
2 genitori con la doppia linea di consanguineità avevano 2
figli maschi affetti da una malattia di caduta precoce dei
denti dovuta ad un’anomalia nel complesso che ancora la
radice del dente alla mucosa gengivale.
Questa è una malattia autosomica recessiva.
Oltra all’anomalia dentale, il figlio più grande presentava
già una retinopatia con una condensazione bilaterale del
corpo vitreo visibile anche tramite tomografia.
TEST GENETICI, BENEFICI E RISCHI
I test genetici sono indispensabili per: conferma diagnostica, prognosi clinica, patologie
poligeniche nelle forme predittive e medicina personalizzata.
È importante avere esperienza, quindi avere un’ottima capacità interpretativa del dato e
ovviamente stare attenti a tutte le etiche sulla protezione dei dati sensibili.
Infatti sono presenti normative nazionali e internazionali a tutela del paziente e del dato genetico.
Prima di fare un test genetico è fondamentale avere dal paziente il consenso informato e fornirgli la
possibilità di avere una consulenza pre-test e soprattutto post-test in modo da ottenere il miglior
adattamento possibile alla malattia o al rischio di ricorrenza.

CITOGENETICA

La citogenetica è un’attività di laboratorio di genetica medica che si basa sull’analisi genomica su


base morfologica, con la finalità di studiare l’assetto cromosomico delle cellule e definirne il
“cariotipo”.
Il cariotipo è l’insieme dei cromosomi, caratteristico per numero e morfologia, della specie alla
quale il genoma appartiene.

Esistono diverse metodiche che consentono di distinguere i cromosomi tramite una


standardizzazione internazionale della nomenclatura dei cromosomi umani già a partire dal 1960
con la conferenza di Denver e un ultimo aggiornamento nel 2016 (ISCN 2016), che identifica
ciascuna banda e sottobanda cromosomica in 400, 550 ed 850 bande.

La nomenclatura di fatto ci definisce la morfologia del cromosoma


identificando: i 2 telomeri posti alle estremità distali delle braccia del
cromosoma, il centromero che è il restringimento che definisce inizio e
fine di braccio lungo e braccio corto, le 2 braccia del cromosoma
lungo o corto in base a lunghezza e numero di bande.
La regione centromerica e pericentromerica è caratterizzata da
cromatina condensata definita anche eterocromatina che è una
cromatina fortemente compatta e silenziata, perciò non partecipa e
non contiene geni codificanti.

In base all’identificazione morfologica dei cromosomi è possibile costruire il cariotipo umano che è
un ideogramma che numera i cromosomi in base alla loro grandezza.
I cromosomi sono poi distinti, in base alla loro morfologia, in:

✓ Grandi cromosomi metacentrici: 1, 2, 3


✓ Grandi cromosomi submetacentrici: 4, 5
✓ Cromosomi submetacentrici propriamente detti: 6,
7, 8, 9, 10, 11, 12
✓ Grandi cromosomi acrocentrici (molto evidente la
differenza di lunghezza tra le 2 braccia): 13, 14, 15
✓ Piccoli cromosomi submetacentrici: 16, 17, 18
✓ Piccoli cromosomi metacentrici: 19, 20
✓ Piccoli cromosomi acrocentrici; 21, 22
✓ Cromosoma X: grande cromosoma submetacentrico
✓ Cromosoma Y: piccolo cromosoma acrocentrico

BANDEGGI
I bandeggi sono delle tecniche che consentono di trattare e colorare le regioni dei cromosomi atti
a rivelare arrangiamenti, tipici e caratteristici di ogni cromosoma, di bande chiare e scure
orizzontali all’asse lungo il cromosoma stesso.

L’arrangiamento in bande è tipico per ogni cromosoma ed è possibile identificare una regione
cromosomica corrispondente a una singola banda in modo univoco.
Ogni regione cromosomica viene identificata utilizzando un numero o una lettera corrispondente al
cromosoma stesso (es. 5, X o Y) seguito dal simbolo del braccio corto (p) o di quello lungo (q).
Le bande citogenetiche sono poi numerate dal centromero al telomero.
Il cromosoma 22q11.2, per esempio, identifica il braccio lungo del cromosoma 22, banda 1,
sottobanda 1, sottosottobanda 2.

L’identificazione delle sottobande è possibile attraverso le diverse tecniche di bandeggio


cromosomico.
Esistono infatti, differenti metodiche di bandeggio cromosomico e il tipo ottenuto dipende dal
trattamento chimico usato:

1. Bandeggio C: colora il centromero


2. Bandeggio G (colorazione Giemsa): fornisce la visione di una serie di bande chiare e scure
3. Bandeggio R: presenta un pattern opposto al G e al C
4. Bandeggio Q: usa un colorante fluorescente, la quinacrina, ed è simile al bandeggio G

I cromosomi possono essere bandeggiati in metafase, risultando in una media di 400 bande per
genoma aploide, o in prometafase fino a 800 bande per genoma aploide.
La grandezza in paia di basi di una banda citogenetica varia tra le 4 e le 10 Mb, risoluzione media
di un cariotipo standard.
Il fenomeno del bandeggiamento è probabilmente in relazione alla composizione in basi del DNA
e alla struttura della regione cromosomica che comprende il grado di condensazione e il tipo di
proteine associate.
Bande chiare in G, si ritrovano più abbondanti in regioni del genoma ricche di geni attivi con
contenuto maggiore dei nucleotidi G e C.

In un cariotipo bandeggiato oltre al riconoscimento dell’identità dei singoli cromosomi è possibile


rilevare riarrangiamenti cromosomici come traslocazioni, inversioni e delezioni che risultano più
grandi della lunghezza tipica della singola banda.

È possibile identificare delle varianti cromosomiche che non sempre sono patogenetiche, possono
anche essere polimorfiche e ci permettono di fare diagnosi di patologie con varianti
cromosomiche o patologiche oppure di identificare polimorfismi.

Alla citogenetica classica, negli anni successivi al 1980 è entrata la FISH e poi dopo gli anni ’90 il
cariotipo molecolare che si basa sull’utilizzo dell’array-CGH.

FISH → Fluoresence In Situ Hybridization


La FISH è una tecnica di ibridizzazione in situ che utilizza una sonda di DNA marcata con una
componente fluorescente.
Esistono 3 tipi di sonde per FISH:

a) Sonde che identificano loci specifici del genoma, molto


spesso gene-specifiche, molto importanti in alcune diagnosi
da patologie sindromiche
b) Sonde centromeriche (repeat) che riconoscono per lo più le
regioni centromeriche ricche di eterocromatina
c) Ampie sonde in grado di identificare anche l’intero
cromosoma

La FISH è una tecnologia basata sulla ibridazione in situ dei preparati citologici con sonde
fluorescenti di DNA che possono consistere in genomi completi, interi cromosomi, parti di essi o
singoli loro tratti, fino a qualsivoglia segmento genomico (inserito in vettori quali cosmidi, PACS,
BACS e YACS) o sequenze di DNA, ripetute o singole.

La FISH in metafase rileva le microdelezioni oltre la risoluzione della citogenetica di routine,


identifica una semplice delezione o un riarrangiamento semplice o complesso e ha una risoluzione
maggiore rispetto al cariotipo standard.
La sonda può essere specifica per il gene in esame (es. sindrome di Williams è stata dimostrata una
delezione nel gene dell'elastina nel 96% degli individui con una diagnosi certa).

La FISH in interfase determina il numero di cromosomi e rileva riarrangiamenti specifici in alcuni tipi
di patologie (es. test rapido: screening aneuploide sulle cellule del liquido amniotico).

La tecnica FISH è estremamente utile e ampiamente utilizzata in diagnostica per identificare


sindromi da microdelezioni come:

→ Sindrome di Cri-du-Chat
→ Sindrome di Miller-Dieker
→ Sindrome di Smith-Magenis
→ Sindrome di George
→ Sindrome di Kallman
→ Sindrome di Williams
→ Sindrome di Wolf-Hirschhorn
→ Sindrome di Prader-Willi o sindrome di Angelman

Sindrome di Williams-Beuren
La sindrome di Williams-Beuren ha una prevalenza alla nascita di 1/7.500-1/20.000, ma può non essere
diagnosticata con microdelezione 7q11.
È caratterizzata da:

• Faccia da elfo
• Occhi blu (77%) con pattern stellato dell’iride (74%), ma questo vale per i nordeuropei,
strabismo (40%)
• Naso con la punta bulbosa
• Bocca larga e guance piene
• Microdontia e micrognazia
• Statura 10 cm in meno del normale
• Ipercalcemia
• Stenosi periferica delle arterie polmonari
• Stenosi aortica sopravalvolare

A livello diagnostico è dovuto a:

• Delezioni “de novo”


• Trasmissione autosomica dominante
• Delezione di 1,6 Mb da 21 geni contigui in eterozigosi a 7q11.23:
o Gene dell’elastina
o LIM kinase 1 (LIMK1)
o CLIP-115 che lega i microtubuli
o Fattori di trascrizione GTF2I e GTF2IRD1
o Effetto posizionale su altri geni circostanti la delezione

Sindrome di Wolf-Hirschhorn
La sindrome di Wolf-Hirschhorn è una delezione a 4p16.3 caratterizzata da:

− Scarso accrescimento
− Ritardo mentale, ipotonia
− Labbro leporino
− Conformazione ad elmo guerriero greco della testa

CGH → Comparative Henomic Hybridization


Il CGH è una nuova metodica recentemente acquisita che si basa su campioni di DNA genomico
(in genere uno del paziente e uno di controllo o reference) marcati diversamente e ibridati su un
array per identificare regioni che nei 2 genomi in comparazione risultano diverse per quantità
(numero di copie).
Ha una risoluzione fino a 100 kb e vede variazioni interindividuali del cariotipo, soprattutto quelle
intraindividuali.
Inoltre identifica una varietà di alterazione genomiche e citogenetiche con risoluzione altissima e
definizione nucleotidica.

L’allestimento dei 2 DNA vede, per convenzione, in verde quello del paziente e in rosso quello di
controllo.
I 2 colori in mix, dal punto di vista cromatico genereranno un
giallo se c’è una equimolarità tra i 2 cromosomi.
Questo sono poi ibridizzati su un array dove sono spottate
varie sonde e se vedremo una prevalenza di giallo significa
che i 2 genomi sono equimolari, mentre con una prevalenza
verde sarà in maggior quantità il genoma del paziente e con
una prevalenza rossa sarà in maggior quantità il genoma del
controllo.
Il tutto viene poi visualizzato su una forma di ibridizzazione
prima e poi su una rilevazione fluorimetrica tramite un laser.
Il software del CGH ricostruisce di nuovo l’ideogramma dei dati con il cromosoma rappresentato
da una serie di puntini neri su un valore 1 che rappresenta l’equiquantità fra il DNA del paziente e il
DNA del controllo corrispondente a tutte le regioni che si vogliono studiare su uno specifico
cromosoma.

Le indicazioni diagnostiche principali del CGH sono rappresentate da:

o Sindromi
o Ritardi mentali e deficit cognitivi
o Patologie genetiche complesse (plurimalformative)
o Malattie mendeliane dovute a larghe delezioni e duplicazioni

ANOMALIE CROMOSOMICHE
La non-disgiunzione meiotica è alla base del 100% delle aneuploidie
gametiche e il 50% delle aneuploidie tra gamete maschile e femminile.
Si tratta della mancata disgiunzione cromosomica durante la seconda
divisione meiotica che determina la comparsa di gameti diploidi o
aploidi dove non è presente il cromosoma segregato durante la prima
divisione meiotica.
Le aneuploidie di numero come: triploidie, tetraploidie, trisomie,
monosomie, mosaicismi sono legate ad anomalie di non-disgiunzione
meiotica.
Le anomalie di struttura come: traslocazioni, inversioni, delezioni,
duplicazioni e ring (cromosomi ad anello) riconoscono un’origine
diversa, prevalentemente legata a fenomeni di riarrangiamento
intercromosomico sempre durante la meiosi.

Anomalie di numero
Le anomalie di numero sono la categoria che include anomalie che comportano una variazione
del numero dei cromosomi con l'aggiunta o la perdita di serie complete di cromosomi.
Si parla di triploidia in possesso di un set aggiuntivo completo di cromosomi (normalmente
diploide), mentre si parla di tetraploidia quando, di solito, il
risultato di raddoppiamento di un set completo di cromosomi
spesso dovuto ad un fallimento della prima divisione zigotica ed
è letale per l'embrione.

La triploidia ha una frequenza alla nascita di 1/10.000 ed è molto


identificabile nel materiale abortivo, infatti la frequenza negli
aborti è di 1/14.
Le aneuploidie sono la categoria che determina un corredo
aploide a carico di un cromosoma.
Di solito è la conseguenza del fallimento di un singolo
cromosoma (o bivalente) per completare la divisione meiotica.
Le aneuploidie possono essere delle monosomie nel caso in cui
presentano un singolo cromosoma nel set cromosomico, oppure
trisomie.

Possono essere presenti anche dei mosaici che sono numeri


cromosomici variabili a seconda della popolazione cellulare considerata.
Infatti un individuo con più di una popolazione di cellule citogeneticamente distinta rappresenta
un mosaico.
La frazione di ogni genotipo è variabile e in presenza di un'ampia percentuale di cellule anormali si
manifesterà il fenotipo.
Se il numero di cellule con anomalie è piccolo, il fenotipo sarà lieve o anche normale.
I mosaicismi si esprimono quindi in valore percentuale.

Sindrome di Down → Trisomia 21


Nella sindrome di Down, la maggior parte dei casi deriva dalla non-disgiunzione nella prima
divisione meiotica, il padre contribuisce con il cromosoma in più nel 15% dei casi.
Una piccola percentuale di casi è un mosaico e questi probabilmente derivano da un evento di
non-disgiunzione in una prima divisione zigotica.
Circa il 4% dei casi deriva da una traslocazione bilanciata che segrega da un genitore in modo
sbilanciato (trisomia da traslocazione sbilanciata).
I sintomi includono caratteristici dismorfismi facciali e un QI inferiore a 50 oltre ad anomalie
cardiache e Alzheimer.
La sindrome di Down è responsabile di circa 1/3 di tutti i casi di handicap mentale da moderato a
grave.
La trisomia 21 è l’aneuploidia più frequente che si riscontra nei nati vivi, circa 1/600.
Ciò non toglie che essa possa rappresentare il 30% degli aborti
spontanei, inoltre presenta il 50% delle malformazioni e il 100% del
ritardo mentale.

L’età materna gioca un ruolo importante nella trisomia 21, infatti


l’incidenza di trisomia 21 aumenta in maniera preponderante quando
l’età materna aumenta.

Sindrome di Patau → Trisomia 13


Nella sindrome di Patau l'incidenza è di circa 1 su 5000 nati vivi.
Il 50% di questi bambini non sopravvive al primo mese e pochissimi sopravvivono oltre il primo
anno.
Ci sono molteplici caratteristiche dismorfiche.
La maggior parte dei casi, come nella sindrome di Down, è dovuto a non-disgiunzione nella meiosi
materna.
Una frazione significativa della sindrome di Patau ha un genitore che è un portatore di
traslocazione bilanciata.

Sindrome di Edwards → Trisomia 18


Nella sindrome di Edwards l’incidenza è di circa 1 su 3000 nati vivi.
La maggior parte dei bambini muore entro primo anno di vita, infatti ha un’elevatissima mortalità
neonatale.

Sindrome di Turner o 45,X


Nella sindrome di Turner l’'incidenza è di circa 1 su 2000 nati femmine.
Circa il 95% degli embrioni con 45,X0 sono causa di aborti spontanei.
Le caratteristiche cliniche principali sono: bassa statura, sterilità, con caratteri sessuali secondari
femminili.
In genere il QI e la durata della vita non vengono influenzati.

Sindrome di Klinefelter o 47,XXY


Nella sindrome di Klinefelter l'incidenza alla nascita è di circa 1 su 1000 maschi.
Le caratteristiche cliniche principali sono: ipotrofia testicolare, ginecomastia, caratteristiche
sessuali secondarie poco sviluppate, infertilità e spermatogenesi assente, alta statura con lieve
leggera riduzione del QI.
Sono rari i cariotipi 48,XXXY o 49,XXXXY, che invariabilmente hanno gravi deficit cognitivi.

Femmine XXX
Nelle femmine XXX l’incidenza è di 1 su 1000 femmine nate vive.
Le caratteristiche cliniche principali sono: fertilità conservata e assente o moderata riduzione del
IQ.

Anomalie di struttura
Tra le anomalie strutturali, molto importanti sono le traslocazioni bilanciate.
In una traslocazione bilanciata non c'è guadagno o perdita di materiale
cromosomico, 2 cromosomi hanno punti di rottura (breakpoints) che non causano
né rottura (interruzione) di geni né perdita di sequenze di DNA.
Di conseguenza, una traslocazione bilanciata presenta un fenotipo normale.

Le traslocazioni possono essere reciproche, se riguardano 2 coppie


di cromosomi.
Molto spesso questi appaiamenti cromosomici erronei sono legati a
regioni particolarmente omologhe.
A livello dei gameti poi queste traslocazioni si possono segregare
con una segregazione normale bilanciata, oppure con una
segregazione bilanciata che poi può sfociare in una trisomia da
traslocazioni sbilanciate.

Nella traslocazione sbilanciata, maggiori sono le dimensioni cromosomiche,


minore è la possibilità di una gravidanza a termine e minori sono le dimensioni,
maggiore è il rischio di un feto malformato.
Per quanto riguarda il genitore, solitamente gli spermatozoi hanno il 7,5% di
difetti contro l’1% degli ovociti, ma gli spermatozoi sono selezionati.
Il rischio aumenta se il difetto è stato accertato a partire da un figlio precedente
con cariotipo sbilanciato.

Le traslocazioni possono anche essere più complesse, allora si parla di


traslocazioni inserzionali, dove piccole regioni si inseriscono all’interno di altri
cromosomi o traslocazioni intere di regioni cromosomiche su altri cromosomi.

All’interno delle alterazioni di struttura sono presenti anche duplicazioni e


inversioni che possono avvenire a carico di duplicazioni di intere regioni
cromosomiche, si parla di duplicazioni dirette dette “in tandem” della
stessa regione cromosomica, oppure duplicazioni invertite o “a
specchio”.
Le inversioni sono molto complesse da studiare.
Nelle inversioni una regione di cromosoma è riposizionata, invertita, e
reinserita sullo stesso cromosoma e possono essere pericentriche, quindi
avvenire con inversione a livello del centromero oppure paracentriche
se avvengono in senso opposto, perciò escludendo il centromero.

Inoltre, fanno parte delle anomalie di struttura, le microdelezioni segmentarie possono essere
interstiziali o terminali.
Se abbastanza ampia una delezione interstiziale si associa a un fenotipo grave (es. sindrome di
Williams).
Una delezione terminale comporta la perdita di materiale all'estremità del braccio corto di un
cromosoma (sindrome di Wolf-Hirschhorn).

Infine troviamo le traslocazioni robertsoniane (rob) che coinvolgono i cromosomi acrocentrici 13,
14, 15, 21 e 22.
Nessuna regione cromosomica è assente perché queste contengono un braccio corto privo di
geni che può essere perduto con la fusione dei bracci q di 2 cromosomi acrocentrici.
La più frequente traslocazione robersoniana è la rob(13q14q) che rappresenta il 75% di tutte le rob,
segue poi la rob(14q21q) e la rob(21q21q).
Si formano in genere durante la meiosi femminile e comportano
infertilità maschile o abortività ripetuta.
Nel caso di traslocazioni robertsoniane è anche possibile
calcolare la percentuale alla nascita di figli con cariotipo
sbilanciato da genitori portatori sani:

▪ t(13;14) M= F 1%
▪ t(14;21) F= 15% M= 2%
▪ t(21;22) F= 10% M= 5%
▪ t(21;21) M= F 100%

ATASSIE E MUTAZIONI DINAMICHE

Le mutazioni dinamiche sono particolari mutazioni genetiche dovute a ripetizioni,


prevalentemente di triplette poste in tandem nelle regioni geniche, nelle sequenze dei geni.
Sono implicate in oltre 40 malattie neurodegenerative.
Le ripetizioni si localizzano sia in regioni codificanti (esoni)
sia in regioni non codificanti (introni).
Le triplette espanse possono essere più o meno stabili.
L’espansione causa patologia con differenti meccanismi:
perdita o acquisizione di funzione.
L’espansione avviene tipicamente negli individui cosiddetti
premutati e può riguardare preferenzialmente le
trasmissioni materne (es. FRAXA, distrofia miotonica) o
paterne (es. Corea di Huntington).
La patologia manifesta compare dopo un certo numero di
ripetizioni tipico di ciascuna patologia.
Infatti esiste un intervallo di ripetizione prettamente polimorfico o zone cosiddette grigie, borderline
o premutate e mutazioni franche con espansioni molto ampie che causano la patologia.
Il numero dei ripetuti varia in base al gene interessato e al tipo di patologia considerato.

Esistono numerose problematiche nelle patologie da mutazioni dinamiche peculiari ad esse e sono
legate a 3 fattori principali:

1. Ampiezza della ripetizione: in genere molto variabile e può essere:


a. Normale: intervallo della variazione non associata con l’insorgenza di patologia
b. Intermedia: nessuna alterazione clinica. solitamente definite premutazioni, perché
possono predisporre ad incrementi di lunghezza tipici delle mutazioni patogene
c. Borderline: può produrre malattia con ridotta penetranza o fenotipo più lieve
d. Grande (o full): solitamente associata ad espressione della malattia; può essere
stabile o predisporre ad ulteriore espansione o contrazioni
2. Presenza della capacità di avere espansioni intrafamiliari, quindi intergenerazionali: più
frequenti se la sequenza è perfetta (senza interruzioni nella ripetizione), talora legate all’età
del genitore:
a. HD (corea) → Con aumento dell’età paterna
b. SCA1 → Con aumento dell’età materna
3. Bias parentale:
a. DM: trasmissione materna all’espansione senza limiti (forma congenita)
b. HD: trasmissione paterna alle espansioni maggiori, esordio precoce

MALATTIE DA TRIPLETTE RIPETUTE IN REGIONI CODIFICANTI


Malattia di Huntington
La Corea di Huntington è una malattia neurodegenerativa dovuta a degenerazione dei neuroni
colinergici del nucleo caudato e del putamen.
È una patologia con un quadro clinico complesso che spesso esordisce con disturbi psichiatrici
(aggressività, depressione, suicidio), ai quali seguono disturbi del movimento, in particolare della
coordinazione del movimento (ipercinesie coreo-atetosiche, ipocinesia).
La patologia poi evolve in un deterioramento mentale che porta fino ad una forma di demenza.
L’esordio è variabile, mediamente esordisce nella 4° decade di vita, ma sono presenti anche
forme precoci che si manifestano a partire dalla 2° decade, fino a forme ad esordio tardivo..
È una tipica malattia autosomica dominante con penetranza completa età-correlata ed
espressività variabile.
È una patologia ultrarara con una frequenza di 3-7:100.000 nati.

Dal punto di vista genetico la malattia di Huntington è caratterizzata da


un’espansione di una sequenza ripetuta CAG nella regione codificante del
gene IT-15 sul cromosoma 4P16.
Il range normale delle triplette è di circa 6-26 CAG nella popolazione
generale, la forma intermedia va da 27 a 35 CAG, una ridotta penetranza si
ha tra le 36 e le 39 CAG, la HD classica rappresenta la forma
completamente penetrante che si aggira introno a 40-55 CAG, infine la HD
giovanile presenta > 60 CAG.

L’huntingtina è una proteina molto importante per i neuroni e purtroppo


l’eccessiva presenza di CAG comporta la codifica di lunghe catene di
poliglutammina nella catena, che forma aggregati nei neuroni causandone la
degenerazione e la morte.
All’inizio si presenta con sintomi prevalentemente psichiatrici quali depressione, irritabilità, difficoltà
a prendere decisioni, poi presenta movimenti coreoatetosici tipici delle lesioni dei nuclei della
base e demenza.
Pur con una grande variabilità individuale, la malattia è fatale.
Sono in corso dei trial clinici basati sul silenziamento genico del gene dell’huntingtina tramite
interferenza ad RNA (RNAi)e piccoli RNA silenzianti (snRNA) somministrati ai pazienti per via
intratecale con ottimi risultati nei trial attualmente in corso in via sperimentale.

Gli aspetti psicologici sulla HD sono importanti,


infatti è necessario seguire un iter formale per
la consulenza genetica del test presintomatico
seguendo delle linee guida.
Ogni soggetto con test presintomatico positivo
va seguito nel tempo, e soprattutto al
momento dell’esordio dei sintomi.

A. Probabilità che un individuo portatore del gene mutato abbia


sviluppato i sintomi ad una data età
B. Rischio che il figlio sano di un soggetto affetto sia portatore del
gene mutato ad una determinata età

Dopo i 70 anni, se non si è sviluppato un fenotipo con HD, la probabilità


residua di sviluppare la patologia è molto bassa e inferiore all’1-2%.
La probabilità che si sia sviluppato il fenotipo all’età di 70 anni e oltre, invece, è estremamente
elevata perché c’è una penetranza completa.
Il test presintomatico è offerto soltanto a soggetti che abbiano >18 anni, a seguito del consenso
informato (“consapevole”) dopo consulenza genetica, riguardante i potenziali benefici e rischi del
test genetico per l’individuo e i suoi familiari.
Sono previste sessioni multiple (distanziate nel tempo) con varie figure professionali (genetista,
psicologo, neurologo).
Viene suggerito un periodo di attesa (di almeno un mese) tra la consulenza genetica e la
decisione di procedere al test genetico.
Il risultato del test genetico viene dato personalmente al soggetto a rischio.

Atassia spinocerebellare di tipo 1


Le atassie spinocerebellari di tipo 1 sono patologie neurodegenerative caratterizzate da atrofia
cerebellare più o meno associata a degenerazione delle colonne posteriori del midollo spinale e
parte del troncoencefalo.
Il quadro clinico presenta un esordio ad età variabile (3°-5° decade) di atassia del tronco e degli
arti, disartria, nistagmo, con andamento lentamente progressivo e possibile associazione di altri
segni neurologici in alcune forme.
Sono patologie a penetranza completa, ma espressione variabile con prevalenza di 3/100.000
(variabile in diverse popolazioni).

L’acronimo utilizzato per queste forme è SCA1 e questo gruppo


di patologie atassiche presenta ancora ad oggi una diagnosi
genetica non estremamente accurata e la percentuale di
mutazioni identificata nei pazienti è ancora abbastanza bassa e
si aggira introno al 60%.
Ciò significa che un elevato numero di pazienti resta ancora
orfano di una definizione genetica precisa.

Le SCA autosomiche dominanti legate ad espansioni di CAG


hanno varie espansioni, in base anche al fenotipo che si associa
all’espansione stessa.
Tuttavia essendo espansioni esoniche in regioni codificanti, sono di
lunghezza abbastanza ridotta.

Anche nelle atassie spinocerebellari da espansione sono presenti le


stesse caratteristiche della Corea di Huntington e delle altre forme
codificanti:

• Anticipazione: correlazione tra lunghezza della sequenza ripetuta, età di esordio e gravità
della malattia.
Alcune forme (es. SCA7) molto più instabili di altre con anticipazione più evidente (il figlio
può diventare sintomatico prima del genitore, con evoluzione rapida e morte precoce).
• Bias parentale: in quasi tutte le SCA l’espansione si verifica nelle meiosi paterne
• Alleli intermedi: si riscontrano in numerose SCA con quadro clinico eterogeneo
• Problemi del test presintomatico: non esistono terapie né trattamenti preventivi che
permettano di modificare l’insorgenza o la storia naturale della patologia, inoltre la
variabilità fenotipica e l’identificazione dell’espansione in un soggetto asintomatico non
permette di predire età d’esordio e gravità della malattia

MALATTIE DA TRIPLETTE RIPETUTE IN REGIONI NON CODIFICANTI


Le patologie da triplette ripetute in regioni non codificanti possono localizzarsi sia nelle regioni
introniche sia nelle regioni non tradotte.

Atassia di Friedreich
L’atassia di Friedreich è una patologia autosomica recessiva dovuta ad espansione di triplette che
in genere si manifesta in età infantile associata ad una forma progressiva di atassia che si
accompagna ad un disturbo piramidale, quindi prettamente cordonale del midollo spinale, con
riflessi profondi e vivaci e riduzione della sensibilità periferica.
Circa il 25% dei pazienti può avere un’espressione atipica della presentazione con i riflessi tendinei
mantenuti, quindi senza una profonda areflessia come è tipicamente presente negli individui
Friedreich.
La stragrande maggioranza dei pazienti hanno una tripletta GAA espansa nel gene FXN, cioè nella
frataxina, ma a differenza delle forme autosomiche dominanti, il Friedreich non si associa ad
anticipazione.
Infatti questa è una patologia dall’osso fascio e quindi da mancanza e perdita di funzione.
In rari casi, la presenza di un allele espanso GAA si può associare anche a mutazioni puntiformi
dell’allele controlaterale, quindi non ha la presenza di mutazioni dinamiche in un allele, in
eterozigosi sempre con un’espressione di triplette GAA.

In epoca pediatrica si valuta la presenza di questa atassia progressiva con disartria tipicamente
segno di coinvolgimento cerebellare e iporeflessia legata al coinvolgimento dei cordoni posteriori.
Anche l’atassia di Friedreich è un’atassia spinocerebellare.
L’esordio avviene sempre prima dei 25 anni, in alcuni casi possono esserci segni accessori come
debolezza e coinvolgimento del sistema piramidale con papineschi piramidale, molto spesso si
associa una scogliosi molto importante, il piede cavo e una cardiopatia di tipo ipertrofico.
I pazienti Friedreich soffrono anche di altre patologie come: intolleranza al glucosio, quindi diabete
mellito, atrofia ottica e sordità.
Tutte patologie legate alla funzione mitocondriale della proteina frataxina.

Nel Friedreich c’è varietà allelica, la tripletta GAA è una tripletta polimorfica che nella popolazione
generale si trova nell’introne 1 del gene frataxina.
Il gene ha un range normale di 5-33 GAA ripetuti, la premutazione va da 34 a 65 GAA e la
mutazione piena corrisponde a > 66 ripetizioni GAA fino a migliaia di ripetuti.
Questa è una caratteristica tipica delle regioni geniche non codificanti perché l’espansione è resa
possibile dal momento in cui non vi è un controllo del trascritto perché queste espansioni non
vanno a formare l’mRNA.
Ci sono anche delle regioni grigie o borderline che variano fra 44 e 66 ripetuti.
La valutazione del gene frataxina si basa sulla presenza di ripetizioni multiple di GAA ad intervalli.

In laboratorio la diagnosi si effettua con una PCR semplice, a volte si


può utilizzare una PCR metiliazione-sensibile perché il gene espanso è
fortemente metilato e conseguente rivelazione sul sequenziatore
capillare che può misurare, mediante la valutazione dell’area di
picco del frammento analizzato, anche il numero delle triplette, con
una deviazione standard.

Un’alternativa per visualizzare l’allele espanso è basata su un’elettroforesi


in grado di identificare gli alleli di peso molecolare incrementato, perché
sede dell’espansione GAA.

La patogenesi molecolare dell’atassia di Friedreich è legata ad un meccanismo di tipo regolativo.


Infatti l’espansione del GAA all’interno dell’introne 1 provoca una perdita di funzione, quindi una
drastica disfunzione del gene frataxina per un silenziamento della trascrizione a livello del
promotore del gene che ha un ruolo cruciale all’interno dei mitocondri, determinando un aumento
dell’accumulo di Fe mitocondriale con uno stress ossidativo importante, a livello cellulare, una
concomitante alterazione della fisiologica funzione delle proteine che contengono il Fe, con effetto
sulla catena respiratoria e sul ciclo di Krebs che provoca un grave deficit ossido-riduttivo a carico
della cellula con stress ossidativo.
La riduzione dell’espressione genica della frataxina è stata dimostrata da numerosi esperimenti
che hanno identificato come quest’espansione determini una modifica nella struttura del
promotore del gene frataxina che diventa fortemente eterocromatinico, quindi non è più in grado
di esprimere il gene in maniera fisiologica.
La correlazione genotipo-fenotipo è legata a: età di insorgenza, gravità e progressioni dipendenti
dal numero di ripetizioni dell’allele meno espanso e un’instabilità mitotica = mosaicismo somatico:

o Late onset Friedreich ataxia (LOFA): 25-38 anni


o Very late onset Friedreich ataxia (VLOFA): > 40 anni

Sindrome dell’X-fragile
Nella sindrome dell’X-fragile l’espansione CGG si trova nella regione 5I non tradotta o 5I UTR del
gene FMR1.
La sindrome dell’X-fragile (sindrome di Martin-Bell o FRAXA) è stata descritta per la prima volta nel
1943 da Martin e Bell, 2 pediatri.
È la forma ereditaria più diffusa di ritardo mentale e seconda sindrome ereditaria per frequenza
dopo la sindrome di Down.
È una malattia causata dalla mutazione del gene FMR1 (Fragile X Mental Retardation-1) situato sul
braccio lungo del cromosoma X.
Colpisce 1 maschio su 4000 e 1 femmina su 6000.
I portatori sani sono 1 su 800 (maschi) e 1 su 256 (femmine).
La mutazione del DNA modifica la struttura del cromosoma X visibile a livello citogenetico perché
la mutazione presenta una “strozzatura” in regione terminale (Xq27.3), ove è situato il gene FMR1
determinando una fragilità del cromosoma X che tendeva a rompersi.

Il gene FMR1 è un gene composto da 17 esoni e la presenza dell’esone 1 normale prima della
AUG, tripletta d’inizio della traduzione del gene è normale con la presenza di circa 30 ripetizioni
non metilate, poi nella premutazione sono presenti oltre 90 ripetuti non metilati e infine la presenza
della mutazione full con migliaia di ripetuti che comporta, a livello della regolazione
dell’espressione genica e genomica, una profonda metilazione che determina un completo
silenziamento della proteina FMR.
La tripletta normale CGG è poi portatore di
premutazioni che non hanno un fenotipo clinico
classico e poi la mutazione completa che
determina il quadro clinico.

La modalità di trasmissione è legata al cromosoma X.


I maschi che hanno l’espansione CGG sono affetti, con mutazione completa e profonda
metilazione; mentre le femmine possono essere portatrici anche se in alcune di esse la presenza di
mutazione full o premutazione può comportare la presenza di un fenotipo molto mind con un lieve
e ritardo mentale.
Nel passaggio alle generazioni successive la premutazione tende ad espandersi: le ripetizioni CGG
aumentano di numero e quando superano le 200 copie la mutazione è completa.

Un maschio portatore della premutazione (fenotipicamente normale) genera


una femmina portatrice in cui la premutazione non si è espansa.
In questa, tuttavia, la premutazione può espandersi ulteriormente durante
l’oogenesi, raggiungendo lo stato di mutazione completa.
Se il cromosoma X mutato verrà passato ad un figlio maschio questo sarà
affetto dalla malattia, se ad una femmina questa potrà presentare o meno la
malattia, ma sempre in forma più lieve di un maschio.

La tendenza all’espansione della sequenza ripetuta CGG si verifica


maggiormente quando la premutazione è trasmessa dalla madre.
Poiché durante la maturazione dell’ovulo materno o nelle prime fasi della
crescita embrionale, la premutazione può espandersi a mutazione
completa, una madre portatrice sana avrà il rischio del 50% di avere figli
maschi affetti e del 50% di avere femmine con la mutazione completa,
metà delle quali presenterà i sintomi della malattia.
Le caratteristiche cliniche principali di tale patologia sono:

➢ Ritardo mentale (di grado variabile, da lieve a grave): il primo segno della malattia è il
ritardo nello sviluppo psicomotorio, in particolare nell’apprendimento del linguaggio
➢ Anomalie comportamentali: estrema distraibilità, scarso autocontrollo, irrequietezza,
impulsività, deficit di attenzione, iperattività, inusuali movimenti delle mani, morsi alle mani,
scarso contatto oculare con l’interlocutore, movimenti stereotipati.
Possibili episodi convulsivi.
➢ Caratteristiche fisiche:
→ Maschi (più severamente compromessi e più frequentemente identificati): viso
stretto e allungato, fronte e mandibola prominenti, orecchie più grandi e più basse
della media, palato alto, ipotonia, legamenti iperestensibili, macrorchidismo post-
puberale (90%), piedi piatti, capo più grande della media, prolasso della mitrale
→ Femmine: possibile aspetto normale oppure viso allungato, orecchie prominenti e
palato alto
➢ Intolleranza tattile: tendenza a reagire con emozioni e comportamenti negativi (es. fuga) di
fronte alla prospettiva di essere toccati o tenuti in braccio
➢ Caratteristiche motorie fini:
→ Scarse capacità di motricità fine o di controllo delle mani e dei muscoli delle dita
→ Difficoltà nella scrittura (per limitata abilità nel pianificare e portare a termine azioni
motorie fini e complesse), nel vestirsi, nell’alimentarsi autonomamente
➢ Linguaggio disfunzionale: perseverazione verbale e tangenzialità
➢ Autismo: il 16% dei maschi autistici possono essere affetti da FRAXA e i maschi FRAXA hanno
incidenza di autismo dal 5% al 54%

La diagnosi molecolare della FRAXA prevede un’analisi diretta del gene


responsabile FMR1 (“gene-malattia”) con lo scopo di individuare
espansioni abnormi della regione di triplette CGG e caratterizzare lo stato
di metilazione (funzione) del gene FMR1.
Quest’analisi prevede l’utilizzo di una PCR metiliazione-sensibile, una
reazione enzimatica di amplificazione del DNA che determina con
precisione il numero di ripetizioni delle triplette nucleotidiche CGG e
valuta lo stato di metilazione del gene.
In questo modo è possibile identificare i soggetti affetti e i portatori sani.

Nella sindrome dell’X-fragile sono presenti anche fenotipi atipici come:

❖ Femmine eterozigoti: lo stato di premutazione che riscontriamo nei soggetti di sesso


femminile può causare una menopausa
prematura (o menopausa prima dei 40
anni) → Premature Ovarian Faiure o POF
syndrome → Ruolo della premutazione
nello sviluppo e funzionamento ovarico
❖ Maschi con premutazione → Sindrome
atassia e tremore (FXTAS) → Ruolo di FRP1 in neuroni (accumulo nucleare)

La patogenesi della sindrome dell’X-fragile è legata ad un’espansione di triplette con profondo


silenziamento della sintesi e della codifica della proteina FMRP.
La proteina che è il prodotto del gene FMR1 è una proteina regolativa, infatti si lega agli mRNA ed
è in grado di migrare tra nucleo e citoplasma.
Molti studi condotti sulla sindrome FRAXA hanno dimostrato il suo ruolo nei processi neuronali alla
base dell’apprendimento e della memoria, in particolare è stato identificato il suo importante ruolo
a livello sinaptico.

La proteina FMRP legandosi all’mRNA controlla il processo trascrizionale di molti messaggeri e


quindi anche l’efficienza traduzionale di proteine, in particolare a livello nucleare.
Distrofia miotonica
La distrofia miotonica è dovuta a ripetuti di triplette CTG localizzate nel gene DM1 al suo 3I UTR.
La distrofia miotonica è una patologia multisistemica così chiamata perché interessa vari organi.

Il quadro clinico è caratterizzato da:

I. Forma lieve: lieve ipostenia prossimale, cataratta, (diabete mellito), normale durata e
qualità di vita
II. Forma classica: esordio 2°-3° decade con miotonia e debolezza muscolare, cataratta,
anomalie di conduzione cardiaca, (diabete mellito, ipogonadismo, lieve ritardo mentale,
ipotiroidismo)
III. Forma congenita: grave ipotonia alla nascita, difficoltà respiratorie, debolezza
generalizzata, ritardo mentale e mortalità precoce

È una patologia autosomica dominante a penetranza completa con frequenza di 1/8000 nati vivi.

La diagnosi molecolare si effettua con PCR e


Southern blotting.
Infatti l’espansione, nella distrofia miotonica, può
essere molto ampia e in questi casi è necessario
utilizzare un classico Southern blotting perché la
PCR potrebbe non essere in grado di identificare
con precisione l’espansione delle triplette.

Nella distrofia miotonica c’è correlazione diretta tra lunghezza dell’espansione CTG nei linfociti ed
età di esordio o gravità del fenotipo clinico.
Inoltre è probabile che sia presente un’instabilità nella trasmissione mitotica → Mosaicismo
somatico nei diversi tessuti (espressione variabile)

La distrofia miotonica congenita è una forma molto grave di DM con esordio alla nascita con
conseguente ipotonia e grave debolezza generalizzata, spesso con insufficienza respiratoria e
morte precoce.
Il ritardo mentale è spesso presente.
La trasmissione della forma congenita avviene prevalentemente per via materna perché gli oociti
di una madre DM1 rimangono vitali anche se possiedono espansioni CTG molto estese, mentre gli
spermatozoi di un padre DM1 con elevate espansioni CTG non sopravvivono oppure sono sterili.
La possibilità di avere figli affetti dalla forma congenita CDM aumenta con la lunghezza
dell’espansione CTG nelle madri DM1 (generalmente > 300-600).

DISORDINI DEL MOVIMENTO

Le patologie ereditarie con compromissione del movimento sono malattie corniche, spesso ad
evoluzione progressiva con compromissione delle capacità motorie, a cui consegue una riduzione
dell’autonomia personale dei pazienti.
Nelle forme “primarie” non è disponibile un trattamento casuale.
Per alcune malattie esistono trattamenti sintomatici efficaci che non arrestano l’evoluzione della
malattia, non controllano globalmente il quadro clinico e possono perdere di efficacia nel tempo.

Le patologie con compromissione del movimento comprendono:

• Atassie: incapacità di eseguire movimenti coordinati e lineari


• Corea di Huntington: movimenti irregolari e rapidi
• Atetosi: contorsioni distali degli arti
• Tremori: movimenti involontari caratterizzati da oscillazioni di una parte del corpo.
Più evidenti a riposo o durante il movimento.
• Distonia: sindrome caratterizzata da torsioni, movimenti ripetitivi o posture anomale
• Tic: movimenti o vocalizzazioni improvvisi, involontari, ricorrenti, aritmici e stereotipati
DISTONIA
La distonia è un disturbo del movimento che si manifesta con la
contrattura di alcuni gruppi muscolari e con spasmi involontari.
In Italia, colpisce circa 50.000 soggetti.
Le torsioni possono essere a carico di tutti gli arti e in particolare del
collo.

L’età di esordio può essere:

o Precoce: prima dei 21 anni con esordio in un arto (inferiore) e successiva frequente
progressione ad altre parti del corpo. Di solito è una forma “genetica”.
o Tardiva: dopo i 21 anni con esordio in uno specifico distretto muscolare e tendenza a
rimanere localizzata. Per lo più “sporadica”.

La classificazione delle distonie è rappresentata qui di seguito:

1. Primaria o idiopatica: quando la distonia è l’unica manifestazione clinica


2. Distonia-plus: la distonia è associata ad altri disturbi del movimento (mioclono,
parkinsonismo)
3. Secondaria o sintomatica: quando la distonia è dovuta a fattori secondari di tipo
ambientale (farmaci, tossici, ipossia) o da lesioni focali (in seguito ad ischemie cerebrali
focali, tumori cerebrali, malformazioni artero-venose…)
4. In corso di malattie neurodegenerative: Parkinson, Huntington, Wilson, Hallervorden-Spatz,
degenerazione corticobasale, Machado-Joseph, DRPLA, neuroacantocitosi, gangliosidosi,
encefalopatie mitocondriali

Le distonie primarie sono genetiche, infatti sono numerosi i geni identificati come causativi di
distonie genetiche.
Sono 13 e possiedono diverse caratteristiche: alcuni hanno un esordio molto precoce, alcuni sono
generalizzati, altri sono prevalentemente segmentali, altri sono associati al parkinsonismo, sono
responsivi al trattamento con dopamina o a localizzazione segmentale più importante come
prossimale o distale e con forme parossistiche.
Queste forme riconoscono un’ereditarietà prevalentemente
autosomica dominante, in alcuni casi recessiva come la distonia
parkinsonismo, dovuta ad una mutazione della tirosina idrossilasi,
mentre in alcuni casi è legata al cromosoma X come la forma DYT3
generalizzata con parkinsonismo.
I geni di queste patologie, alcuni sono noti come prodotto genico,
mentre in altri casi è noto soltanto il locus in cui queste forme
mappano e il gene responsabile causativo non è ancora stato
completamente identificato e caratterizzato.

La distonia primaria generalizzata da mutazione DYT1 rappresenta 1/9 delle forme primarie con
prevalenza ultrarara 1-4 su 100.000 (5 volte > in Ashkenazi).
Esordio in infanzia o adolescenza solitamente con interessamento arto
inferiore/tronco.
La progressione è frequente entro i 5 anni.
L’ereditarietà è autosomica dominate con ridotta penetranza (30-40 %) ed
espressività variabile.
La mutazione DYT1 avviene su 9q34 con delezione GAG nella regione codificante la proteina
“torsinA”.

Altre distonie primarie focali-segmentali sono lo DYT2 e la DYT6 che sono


prevalentemente localizzate a livello cervicale o a livello dell’arto
inferiore del piede o assiale (es. crampo dello scrivano).
Non esiste una terapia farmacologica universalmente efficace.
Le terapie orali utilizzate sono:

− Anticolinergici (es. triexifenidil): solo il 40-50% degli affetti rispondono alla terapia
− Baclofen (Lioresal): farmaco analogo al neurotrasmettitore naturale dell’acido γ-
amminobutirrico (GABA).
Ha un’efficacia del 30% nei bambini, mentre negli adulti l’effetto è meno evidente.
− Clonazepam e altre benzodiazepine (lorazepam): sopprime le contrazioni muscolari,
facilitando l’inibizione della neurotrasmissione GABA
− Carbamazepine o agenti di deplezione della dopamina (reserpina, tetrabenzine): solo l’11-
30% dei pazienti ha beneficio

TREMORI
I tremori sono oscillazioni ritmiche, involontarie, di una parte del corpo con movimento modesto e
con distribuzione e frequenza più o meno costante, che risultano dall’azione alternata o sincrona di
un gruppo di muscoli e dei loro antagonisti.
Si accentuano con l’emozione e lo sforzo, mentre si riducono con il riposo e scompaiono con il
sonno.
Si associano in genere ad ipertonia.

La classificazione dei tremori è:

▪ Tremore a riposo → Parkinsoniano


▪ Tremore intenzionale → Cerebellare
▪ Tremore posturale:
→ Essenziale (senile, familiare)
→ Da patologie neurologiche
→ Aumento del tremore fisiologico (posizione, febbre, freddo, alcool, farmaci,
ipertiroidismo, ipoglicemia…)
▪ Tremori di tipo misto
▪ Tremori isolati → Del palato, della scrittura, della voce

Le sindromi parkinsoniane si possono classificare come:

✓ Malattia di Parkinson: familiare o sporadica


✓ Parkinsonismi secondari: farmaco-indotti, multinfartuali, da idrocefalo, infettivi o post-
infettivi, da sostanze tossiche, post-traumatici, post-anossici, da malattie metaboliche, da
malattie neoplastiche e paraneoplastiche
✓ Parkinsonismi atipici: PSP (Paralisi Sopranucleare Progressiva), MSA (Atrofia Multisistemica),
CBD (Degenerazione Cortico Basale), LBD (Demenza a corpi di Lewy)

Malattia di Parkinson
La malattia di Parkinson è caratterizzata da 4 sintomi cardinali che sono:

a) Tremore di riposo
b) Acinesia/bradicinesia
c) Rigidità plastica
d) Instabilità posturale

È una patologia frequente poiché ha una prevalenza di circa 200 su 100.000 (Italia: circa 120.000
pazienti) e un’incidenza di circa 20 su 100.000 per MP.
L’incidenza e la prevalenza aumentano progressivamente con l’aumentare dell’età: prevalenza
500 su 100.000 per età > 70 anni.
Il 10-20% dei casi sono diagnosticati solo dopo alcuni anni.
L’età d’insorgenza si aggira intorno ai 58 ± 10 anni con un ambito che varia dai 20 agli 84 anni.
Non è significativamente diversa nei 2 sessi.
La malattia di Parkinson è legata alla mutazione di una serie di
geni identificati, in particolare mutazioni del gene dell’α-
synucleina sul cromosoma 4q identificata in un’ampia famiglia
italiana (Contursi) e 5 famiglie greche (trasmissione
autosomica dominante) e mutazioni del gene parkina in una
forma autosomica recessiva responsabile di circa il 20-30% dei
casi ad esordio sotto i 40 anni.
Ad oggi sono molti i geni causativi della malattia di Parkinson
con varianti sia dominati sia recessive e le forme di esordio
giovanile sono più rare rispetto a quelle ad esordio adulto.

Nel Parkinson oltre all’inesistenza di terapie eziologiche anche su base genetica, questa patologia
è considerata complessa e in cui gli aspetti genetici interagiscono in modo importante con
l’ambiente, per cui il modello al quale ci si ispira è legato ad una serie di geni le cui mutazioni
causano la patologia e molto spesso causano patologie mendeliane monogeniche, ma anche
patologie che determinano una suscettibilità alla patologia che possono essere più
frequentemente coinvolti nelle patologie ad esordio tardivo.
Un’interazione spesso complessa tra questi geni e aspetti ambientali, stili di vita determinano un
maggiore o minore incremento di suscettibilità e di rischio a sviluppare una malattia di Parkinson.

La malattia di Parkinson non può essere curata, ma può essere trattata.


Il trattamento in genere ha l’obiettivo di ripristinare i livelli di dopamina,
attraverso la somministrazione di farmaci dopaminergici o trattamenti
chirurgici, nei casi più gravi, come la stimolazione profonda cerebrale o il
trapianto di cellule staminali.

MALATTIE NEUROMUSCOLARI EREDITARIE

Le patologie neuromuscolari ereditarie coinvolgono principalmente il distretto neuromuscolare


(midollo spinale, muscolo scheletrico (e spesso anche cardiaco), la giunzione neuromuscolare e i
nervi periferici.
La distribuzione anatomica delle malattie neuromuscolari include tutte le
corna del midollo spinale (anteriori e posteriori), a seconda che si tratti di
un sistema motorio o sensitivo.
Nell’ambito del midollo spinale, si parla specificatamente di patologie che
riguardano le corna anteriori, in particolare i motoneuroni α spinali che
possono causare la miotrofia α spinale e la sclerosi laterale omeotrofica, la
quale oltre a coinvolgere i motoneuroni α spinali coinvolge anche i motoneuroni α del cervello.

DISTROFIE MUSCOLARI E MIOPATIE


Le distrofie muscolari e le miopatie ereditarie coinvolgono il sistema del sarcolemma, molto
importante per il mantenimento della funzionalità muscolare.
Il complesso del sarcolemma è un sistema multifunzionale, in grado di regolare non solo il confine
tra ambiente intracellulare delle fibrocellule muscolare e ambiente extracellulare, ma anche molti
aspetti di segnale come il ciclo cellulare e la sopravvivenza cellulare con anche rigenerazione
muscolare.
Ci sono molte analogia con il SNC per quanto riguarda la funzione di segnale o signaling con
integrina e caveolina.
Tutto ciò che comporta anomalie nella sua struttura/funzionamento causa la morte cellulare e
fenomeni apoptotici, caratteristici della distrofia muscolare.

Il sistema della membrana sarcolemmare, come tutte le membrane cellulari, è un doppio strato
fosfolipidico organizzato con i ponti idrofilici orientati uno verso l’altro internamente e il polo
idrofobico orientato all’esterno e nel sarcolemma sono localizzate moltissime proteine definite
proteine del sarcolemma che vanno a costituire delle isole proteiche formate da: sarcoglicani (α,
β, γ, δ), distrofina che lega la F-actina del citoscheletro, α e β distroglicano, sarcospan.
I distroglicani sono dei ponti che mettono in comunicazione la membrana del sarcolemma con la
matrice extracellulare ricca in proteine come la laminina e il collagene.
Intracitoplasmatici sono presenti la calpaina, una proteina del
citosol importante per la comunicazione tra sarcolemma e
sarcomero.
Poi troviamo tutta la struttura sarcomerica e contrattile del
muscolo striato sia cardiaco sia muscolare con le teste di
miosina che fanno da ponti ATPasici con contrazione, le
lunghe sequenze di desmina del sarcomero e quindi i legami
tra sarcolemma e sarcomero, attraverso tutte le proteine del
citoscheletro delle miofibrille.
A sua volta il sarcomero è in comunicazione con il nucleo tramite la membrana nucleare interna
ed esterna, con i pori nucleari importanti per la comunicazione tra nucleo e tessuto muscolare.
Sono inoltre presenti emerina e lamina A/C che sono proteine nucleari legate alla distrofia.

In generale, la biopsia muscolare è un elemento importantissimo del percorso diagnostico delle


miopatie e delle distrofie muscolari e rimane quasi inalienabile in una notevole percentuale di
pazienti.
Sulla biopsia muscolare poi si possono eseguire numerosi accertamenti come l’analisi istologica
del muscolo e immunoistochimica che implica l’utilizzo di anticorpi specifici.
In un paziente distrofico le cellule muscolari mostrano dei
calibri variabili, un abbondante filtrato infiammatorio
linfocitario che nelle fasi avanzate della distrofia muscolare
è completamente degenerato e le fibrocellule muscolari
non sono più visibili, ma completamente sostituite da
tessuto adiposo.

Dal punto di vista clinico le malattie neuromuscolari e le miopatie hanno prevalentemente una
distribuzione muscolare dei cingoli o distale, ossia i muscoli preferibilmente coinvolti sono i muscoli
dei cingoli scapolare (bicipite, trapezio, grande e piccolo pettorale)e pelvico (psoas, ileopsoas e
quadricipite).
Nella distrofia muscolare di Duchenne-Becker vediamo anche un piccolo coinvolgimento a carico
dei muscoli della gamba, in particolare del tricipite.
Nell’Emery Dreifuss notiamo una distribuzione muscolare prevalentemente cingolo distale o
pelvico distale dove sono coinvolti i muscoli della spalla, dell’arto superiore
e i muscoli distali in particolare il tibiale anteriore e il tricipite.
Nella distrofia muscolare dei cingoli, simile alla distrofia muscolare di
Duchenne-Becker, ma senza distribuzione muscolare distale, quindi
tricipatele, inoltre sono spesso risparmiati i muscoli posteriori del collo e
paravertebrali che sono invece sempre colpiti nella distrofia muscolare di
Duchenne-Becker.
Nella distrofia facioscapolo-omerale assistiamo al coinvolgimento dei
muscoli facciali, dei muscoli mimici, quindi dei muscoli periorbitali e
periorbicolari, del muscolo delle labbra e dei masticatori, oltre ad avere un
coinvolgimento del cingolo scapolare e distale dell’arto inferiore.
Nella miopatia distale assistiamo ad un coinvolgimento muscolare
esclusivamente distale sia dell’arto superiore sia dell’arto inferiore.
Nella miopatia oculofarignea è spesso di origine mitocondriale e vede coinvolti spesso i muscoli
dei cingoli classici oltre ai muscoli paravertebrali del collo e ai muscoli per i movimenti delle
palpebre.

Distrofie muscolari
La classificazione per le distrofie muscolari più utilizzata è quella fenotipo-mediata.
Le miopatie congenite sono le più gravi con esordio neonatale, prettamente autosomiche
recessive con diversi geni, loci e difetto proteico
identificato da varie proteine della matrice extracellulare.
Alcune distrofie muscolari hanno invece un locus genico
variabile sia in eterocromosomi sia in autosomi.
C’è un’enorme eterogeneità nelle distrofie muscolari dei
cingoli, con moltissime forme differenti, moltissime
localizzazioni geniche su vari cromosomi e altrettanti geni
identificati.

Oggi in genere
si predilige una classificazione gene-specifica ciò è
principalmente dovuto alla presenza di fenotipi simili o
sovrapponibili (fenocopie) dovuti a mutazioni in geni
diversi (vedi il gruppo di distrofie muscolari dei cingoli o
LGMD) o altrimenti a fenotipi diversi o discordanti dovuti
a mutazioni nello stesso gene.
La classificazione gene-mediata aiuta a comprendere i
meccanismi patogenetici e poi ad indirizzare la
diagnosi clinica e la caratterizzazione genetica.

Anche la localizzazione della proteina del gene corrispondente possono aiutarci nella nosografia
delle patologie da distrofia muscolare o miopatia congenita.

L’identificazione dei geni le cui mutazioni sono responsabili delle distrofie muscolari hanno chiarito
sia il ruolo sia la localizzazione delle proteine connesse, evidenziando la presenza di un sistema di
proteine del sarcolemma, coinvolte nel sostegno della membrana muscolare e nell’integrità
cellulare.
Si ipotizza che mutazioni nel gene che codifica per queste proteine modifichi fortemente
l’architettura dei muscoli striati (sia scheletrico che cardiaco).

Differenziando dal punto di vista funzionale le proteine del comparto


muscolare possiamo distinguere:

1. Proteine trasmettitrici di forza → Miofibrille


2. Proteine trasduttrici di forza → Matrice extracellulare,
sarcolemma
3. Proteine convolte nei segnali di membrana → Faccia esterna
del sarcolemma, citoscheletro
4. Proteine con ruoli regolativi → Nucleo

I sistemi segnale sono costituiti da proteine coinvolte nei segnali di


membrana, perciò cascate di segnali importanti per la
sopravvivenza cellulare, per il signaling cellulare e tutti i fenomeni di rigenerazione muscolare che
mantengono la cellula muscolare vitale e replicativa.
Tra queste proteine coinvolte è importante ricordare la calmodulina del β-distroglicano e del
nNOS.
La calmodulina e il nNOS legano la parte terminale della distrofina, ma il nNOS interagisce anche
con i sarcoglicani della membrana attraverso l’α-sintrofina.

Caveolina (LGMD1C) e disferlina (LGMD2B e miopatia distale di Miyoshi)


La disferlina è una proteina di superficie della membrana la cui mancanza causa sia la miopatia di
Miyoshi che la LGMD2B AR, mentre la caveolina-3 è una proteina di membrana importante nella
formazione di caveole le cui mutazioni causano la LGMD1C AD.
Le 2 proteine normalmente co-localizzano e la deficienza di caveolina-3 provoca localizzazione
anomala di disferlina.
L’ipotesi è che la disferlina interagisce con la caveolina-3 per contribuire alle funzioni di segnale
delle caveole.

Le caveole sono delle piccole invaginazioni della membrana che rientra e poi può richiudersi.
Queste caveole, come vescicole, poi si liberano nel citosol e portano dei segnali all’interno della
cellula.
La caveolina-3 si localizza esattamente a livello di queste superfici caveolari, perciò è una
proteina molto importante nella trasmissione dei segnali di intermembrana, perciò nella
regolazione di cascate che riguardano differenti proteine regolatrici come: Ras-, NO- e le proteine
G.

Mutazioni nel gene caveolina-3 sono presenti


nei pazienti con distrofia dei cingoli o
iperCKemia persistente.
Il gene della caveolina è molto piccolo e
costituito da 2 esoni e questo gene ha
mutazioni estremamente variabili.
La caveolina-3 è composta da un esone 1 di
117 bp e un esone 2 di 342 bp inframezzati
dalle regioni introniche non codificanti.
L’analisi molecolare è stata effettuata tramite sequenziamento diretto della regione codificante
della caveolina-3, siti canonici di splicing e parte della regione 3’UTR che include la sequenza 96
bp di splicing alternativo del trascritto della caveolina-3.

Studiando la caveolina-3 dal punto di vista RNA e proteico, possiamo studiarla con
un’analisi Northern blotting che visualizza con chiarezza la presenza dell’mRNA
della caveolina-3 sia nel cuore sia nel muscolo scheletrico, molto abbondante e
un trascritto di circa 1,35 Kb.
Alcune caveoline-3 copurificano con il complesso glicoproteico associato alla
distrofina e possono essere immunoprecipitate con anticorpi anti-distrofina: ciò
suggerisce l’esistenza di un distinto complesso proteico contenente entrambe le
proteine.

L’importanza funzionale della caveolina-3 comporta l’invio di segnali dal sarcolemma


all’ambiente intracellulare.

Dal punto di vista fenotipico, il fenotipo più importante


associato a diverse mutazioni della caveolina-3 è la
distrofia muscolare dei cingoli di tipo 1C (LGMD-1C), ma
sono anche presenti altri fenotipi come la distrofia
muscolare a vacuoli (RMD) o una distrofia muscolare
congenita (DM) oppure solo un elevato CPK.

PAZIENTE 1: maschio di 16 anni con storia familiare negativa. All’età di 3 anni, un aumento di CK
ematico è stato riscontrato alle analisi ematiche di routine (436 U/L). Un follow-up clinico e di
laboratorio ha confermato gli elevati livelli di CK persistenti (783 – 1084 U/L) associati solo a
debolezza muscolare prossimale moderata ed episodi di mialgia. Studi istologici e istochimici sulla
biopsia muscolare hanno mostrato modifiche miopatiche moderate. Studi immunocitochimici
hanno mostrato un normale modello di
immunocolorazione della distrofina e del complesso
DAG. Analisi molecolare per le delezioni del gene
distrofina era negativa.
Mutazione CAV3 identificata R26Q MISSENSO.

PAZIENTE 2: maschio di 15 anni. La storia familiare rivela l’ occorrenza di ipoacusia neurosensoriale


moderata e retinite pigmentosa nella madre. A 5 anni, un aumento CK sierico è stato riscontrato
alle analisi ematiche di routine (700U/L). Un follow-up clinico e di laboratorio confermava elevati
livelli di CK persistenti (1000 – 1400 U/L) in assenza di segni clinici di coinvolgimento muscolare
all’esame neurologico. L’esame audiologico mostrava ipoacusia moderata. Studi istologici e
istochimici sulla biopsia muscolare mostravano solo dislocazione mitocondriale moderato. Studi
immunocitochimici mostravano normale modello di
immunocolorazione della distrofina e del complesso
DAG.
Mutazione CAV3 identificata L86P MISSENSO.

L’analisi molecolare di caveolina-3 in pazienti con iperCKemia isolata persistente è fondamentale


per la diagnosi e la valutazione è da fare in tutti i casi di CPK elevato anche asintomatico.

Disferlina
La disferlina è una proteina di membrana.
In quest’immagine è possibile visualizzare l’analisi di immunofluorescenza della caveolina-3, della
disferlina e dell’a-sarcoglicano nelle biopsie muscolari dei pazienti con LGMD1C, LGMD2B e MM.
In tutti questi casi la disferlina è ridotta e questa è una sua caratteristica perché la disferlina,
essendo una proteina che si associa al complesso di
membrana, ogni volta che è presente un deficit proteico
dovuto a mutazioni genetiche di una delle proteine di
membrana, molto spesso anche la disferlina non si localizza
pur essendo presente ed è ridotta.
Nel caso MM l’assenza di disferlina è sottesa da una
mutazione a carico del gene per la disferlina stessa.

La miosina è la proteina di controllo, gli anticorpi sono contro la disferlina e la caveolina-3:

a) Linea 1 → Muscolo di controllo


b) Linee 2 e 3 → MM
c) Linee 4 e 5 → LGMD2B
d) Linee 6 e 7 → LGMD1C

Emerina e lamina A/C


Emerina e lamina A/C sono proteine della membrana nucleare interna le cui mutazioni causano
forme di distrofia muscolare Emery Dreifuss X-linked e autosomica dominante.
Le 2 proteine interagiscono direttamente nel nucleo.
La lamina A/C causa anche una cardiomiopatia dilatativa, la LGMD1B, lipodistrofia ereditaria e
sindromi progeriformi, cioè da invecchiamento precoce.
L’assemblaggio difettivo della lamina nucleare rappresenta il difetto di
base in queste forme, con aspetti comuni nel muscolo scheletrico e
cardiaco e nel tessuto connettivo.

La lamina B è localizzata sotto la membrana nucleare, mentre l’emerina è


una proteina della superficie delle membrana nucleare.
Il muscolo scheletrico è polinucleato, mentre il muscolo cardiaco è
mononucleato.

I geni della lamina e dell’emerina sono differenti.


I geni delle lamine sono molto complessi, hanno molte isoforme e la varietà
fenotipica è legata a variazioni della lamina C e all’espressione tessuto-
specifica di queste numerose isoforme.
L’emerina invece è un gene molto piccolo formato da un grande esone,
regione che targhetta il nucleo e l’analisi di questo gene è molto agevole.
La lamina A/C è costituita da 11 esoni e numerose isoforme che possono
essere alternativamente espresse a seconda del tessuto considerato; sono
localizzate nel nucleo.
Analisi di mutazioni in una famiglia con EDMD X-linked: la mutazione interessa il sito di splicing
canonico 5’ dell’esone 1 del gene dell’emerina che determina una mancata incorporazione
dell’esone nell’mRNA.

Emerina e lamina A in nuclei della cute e del cuore:

a) Cute: emerina in una femmina portatrice X-linked (riscontro


di portatori dalla biopsia cutanea)
b) Cute: emerina in una femmina normale di controllo
c) Cuore: campione sia di emerina che di lamina A in
cardiomiociti, e solo lamina A in cellule interstiziali

Il Western blotting è un’analisi qualitativa e quantitativa proteica da biopsia


muscolare di pazienti con EDMD X-linked, utilizzando anticorpi specifici anti
emerina.

Anche la microscopia elettronica è importante per visualizzare i geni nucleari.


Le frecce indicano la localizzazione della lamina A/C sulla membrana nucleare.

L’iter diagnostico completo nelle malattie neuromuscolari è complesso ed è


caratterizzato da:

I. Definizione del fenotipo (possibili fenocopie esempio distrofie muscolari dei cingoli)
II. Analisi proteica su biopsia muscolare tramite immunofluorescenza o Western blotting
III. Diagnosi genetica e definizione del genotipo

DISTROFIA MUSCOLARE DI DUCHENNE

Le distrofinopatie sono patologie che coinvolgono principalmente i muscoli striati (scheletrico e


cardiaco) sebbene possano interessare altri organi/tessuti.
Le distrofinopatie si possono presentare in diversi quadri clinici: la distrofia muscolare di Duchenne
è certamente la più frequente in termini epidemiologici, la distrofia muscolare di Becker è una
forma allelica di Duchenne più lieve dal punto di vista clinico.
Poi sono presenti quadri clinici più rari come: la cardiomiopatia dilatativa X-linked, la miopatia
isolata dei quadricipiti e sporadici casi di iperCPKemia e crampi muscolari.
Le distrofinopatie sono malattie genetiche ereditate come un carattere
mendeliano X-linked recessivo e sono dovute a mutazioni nel gene
della distrofina; i maschi emizigoti sono affetti, mentre le femmine
eterozigoti asintomatiche (70% iperCPKemia) e hanno un rischio
abbastanza consistente di sviluppare, in età avanzata, una
cardiomiopatia dilatativa.

Il gene distrofina è localizzata sul braccio corto del cromosoma X → Xp21.1.


Ha dimensioni di 2.4 Mb, quindi è il gene più grande del genoma umano.
È composto da 79 esoni.
La proteina ha un elevato peso molecolare di 427 kD e il gene codifica per 7 differenti isoforme:
una isoforma brain o cerebrale o C, un’isoforma muscolare o M, un’isoforma tipica delle cellule del
Purkinje o P e poi 4 isoforme più corte che sono la R per retina, la CNS per sistema nervoso centrale
(in particolare la parte arcaica costituita da: amigdala, giro
limbico, ipotalamo), la S per cellule di Schwann (isoforma
del nervo periferico) e G per generale o ubiquitaria.
La proteina distrofina si esprime prevalentemente nel tessuto
muscolare striato, quindi nel cuore, nel muscolo scheletrico
e a bassi livelli è presente anche in altri organi come: rene,
fegato e cervello.

Le mutazioni presenti in questo gene sono un po’ di tutti i tipi, perciò vi è una grande eterogeneità
allelica, infatti ci sono delezioni (65%), duplicazioni (12%) e piccole mutazioni (22%).
I grandi arrangiamenti come delezioni e duplicazioni vengono diagnosticati con una tecnica
definita MLPA, mentre le piccole mutazioni (nonsense, missense, frame-shift, splicing) sono
diagnosticate tramite sequenziamento
Esistono alcune mutazioni atipiche in una percentuale molto piccola (1%).

La distrofina è una proteina di ancoraggio elastica che funge da ponte tra citoscheletro e proteine
integrali del sarcolemma (DAG: complesso glicoproteine associate a distrofina).
La distrofina lega, attraverso la molecola del NOS, il complesso
sarcomerico delle glicoproteine di membrana e poi, attraverso il
legame con l’F-actina si lega al sarcomero.
Conferisce flessibilità e stabilità al sarcolemma e protegge il
sarcolemma dai continui microdanni indotti da
contrazione/decontrazione muscolare.
Le fibre muscolari che perdono la distrofina sono meccanicamente
fragili, quindi si destabilizza il complesso DAG e compare una
debolezza muscolare progressiva.

Dal punto di vista clinico, la diagnosi di Duchenne e Becker è caratterizzata da un quadro classico
di miopatia dei cingoli con un quadro distrofico, dal punto di vista diagnostico, e da una
cardiomiopatia che invariabilmente insorge in questi pazienti.
La biopsia muscolare è molto spesso importante, anzi è rimasto tutt’oggi uno strumento
diagnostico per distinguere, a volte, il fenotipo clinico tra forme gravi di Duchenne e forme più lievi
di Becker, ma l’analisi genetico-molecolare è indispensabile per effettuare una diagnosi definitiva.
La diagnosi si basa su 2 preminenti metodiche: MLPA per delezioni/duplicazioni e sequenziamento
del gene DMD per piccole mutazioni.
Raramente però viene utilizzata anche l’analisi di RNA per mutazioni atipiche e un Array-CGH per
mutazioni complesse.

Un’importante teoria che correla genotipo con fenotipo, nelle distrofinopatie, è il mantenimento del
frame di lettura, molto importante e la cornice di lettura dei codoni delle triplette che codificano
per gli aa deve essere mantenuto perché questo consente di avere una proteina che, se anche è
più corta, è tuttavia funzionante e in questo caso avremo
un fenotipo Becker.
Nei casi in cui il frame di lettura non è mantenuto, perciò la
perdita nucleotidica non rappresenta un multiplo di 3,
l’mRNA si arricchisce di molto codoni di STOP prematuri e
ci sarà assenza di proteina e fenotipo grave di Duchenne.
Dal punto di vista proteico, la proteina della distrofina ha
diversi domini, tra cui i principali sono: dominio che lega
l’actina al 5I o dominio NH2, il dominio finale o C-terminale
che lega il complesso glicoproteico di transmembrana e
un lungo dominio centrale definito rod domain formato da
piccoli ripetuti chiamati R che sono piccole regioni di aa che vengono ripetuti in tandem con
lunghi motivi e che conferiscono l’elasticità alla porzione della proteina distrofina.

Dal punto di vista istologico e morfologico, a livello muscolare, abbiamo degli aspetti molto classici
e tipici di questa forma e che in generale contraddistinguono tutte le distrofie muscolari e cioè:
degenerazione muscolare, necrosi delle cellule muscolari, infiammazione causata dall’entrata
massiva del Ca della cellula miogena.
Il tutto è accompagnato da una rigenerazione muscolare che poi determina una riduzione della
capacità di riparo del muscolo stesso, deposito di tessuto
fibro-adiposo e infine, sostituzione completa del tessuto
muscolare con tessuto fibro-adiposo (pseudoipertrofia
muscolare).
Dal punto di vista diagnostico, sulla biopsia muscolare utilizzando
l’indagine di immunofluorescenza o immunoistochimica è possibile
avere anticorpi contro la distrofina e visualizzarla.

Per le distrofinopatie ci sono delle terapie che possono essere:


terapie sintomatiche e di supporto, importantissimo è l’uso dei
corticosteroidi che sono farmaci che riducono la componente infiammatoria perciò determinano
un prolungamento di deambulazione autonoma, infatti oggi sono presenti degli schemi di
somministrazione per i pazienti affetti da distrofia di Duchenne.
Recentemente ci sono 2 approcci terapeutici innovativi che sono stati approvati già dalle autorità
regolative che sono i derivati aminoglicosidici, in particolare il principio attivo Ataluren e il principio
attivo Exon skipping con oligonucleotidi antisenso (AON).

ATALUREN
Per l’Ataluren, il cui nome commerciale è il Translarna, il meccanismo d’azione è molto simile alla
gentamicina, infatti agisce sulla subunità 60s del ribosoma ed è in grado rimettere in frame i codoni
di STOP.
Ci sono stati una pletora di esperimenti che hanno dimostrato l’attività di questo farmaco nei
modelli animali e oggi l’Ataluren è considerato un farmaco orfano, così definito poiché di
pertinenza delle malattie rare, approvato sia da EMA che da FDA.

Il Translarna agisce esclusivamente correggendo le mutazioni di STOP, cioè le mutazioni nonsenso.


Quando si verifica una mutazione di STOP, il trascritto si interrompe a livello ribosomiale e la
traduzione non ha luogo, perciò si ferma.
La capacità del Translarna è quello di convertire uno STOP
codon prematuro, cioè che sono 3 (TGA, TAA, TAG) in un codone di senso.
In questo modo, con la sua capacità di leggere attraverso ripristina la traduzione della proteina
con una correzione della proteina ribosomiale.

L’Ataluren è stato leggermente modificato rispetto alla gentamicina per ridurre gli effetti collaterali
soprattutto a livello della tossicità renale perché il dosaggio di Ataluren che deve essere utilizzato
nei pazienti Duchenne è molto elevato.
La sua attività read through, quando incontra un codone di STOP,
l’Ataluren o PTC124 (chiamato così quando fu scoperta la
molecola), riesce a leggere attraverso questo STOP e proseguire la
traduzione sul messaggero attraverso il ribosoma e quindi avere la
produzione di una proteina funzionante.

Il Translarna è un farmaco che si assume per bocca, sono delle bustine solubili, approvato in Europa
e questo farmaco è prescrivibile, con un piano terapeutico, per tutti i pazienti Duchenne che
hanno delle mutazioni nonsenso.

OLIGONUCLEOTIDI ANTISENSO
Gli oligonucleotidi antisenso si basano sul razionale che
eliminando un esone da un trascritto patologico fuori frame si può
ripristinare di nuovo il frame distrofina.
Un paziente con delezione 50 è fuori frame, ma se in questo
paziente vengono omessi gli oligonucleotidi antisenso, anche
l’esone 51, si va a formare un trascritto congiunzione dell’mRNA
49-52 che sarà di nuovo in frame e riuscirà a produrre la proteina,
sebbene più corta.
L’antisenso agisce sempre sull’RNA eterogeneo prima dello splicing.

L’antisenso è una molecola fatta in modo tale da riconoscere il template, cioè il


suo RNA templato, perciò riconosce il suo specifico esone, lo maschera e
ibridizza e ne induce l’omissione, ripristinando la cornice di lettura o il frame.
Gli oligonucleotidi antisenso sono farmaci orfani, piccole sequenze di acidi nucleici disegnati sulla
sequenza di template che sono sequenze di RNA lunghe circa 20-25 nucleotidi e sono tutte protette
da ossature che le rendono non degradabili perché l’RNA è una molecola estremamente labile e
che si degrada molto facilmente, perciò deve essere protetta per poi essere somministrata al
paziente.
Le “ossature” utilizzate sono dei gruppi chimici a base di morfolino o di fosforo-tioati.

L’Exonddys52 o Eterplirsen è il primo farmaco orfano approvato per


la terapia antisenso, infatti è un farmaco che omette l’esone 51
risistemando il frame del gene distrofina nei pazienti affetti da
delezioni negli esoni fiancheggianti.

I vantaggi con la terapia antisenso sono:

• Trial sistemici con somministrazione sottocutanea o intravenosa


• No risposta immunitaria
• No immunosoppressione
• No integrazione/ricombinazione e effetti genotossici
• Trattamenti reversibili

Gli svantaggi, invece sono rappresentati da:

o Terapie croniche poiché i farmaci hanno una durata media di 15 giorni


o Efficienza media
o Mutazione specifici (Personalised Medicine)

Recentemente è stato reso disponibile un approccio di terapia genica per la distrofia muscolare di
Duchenne utilizzando dei mini geni che contengono regini cruciali della distrofina, clonati in vettori
virali, in particolare in virus adeno-associati e oggi sono dei trial clinici con risultati preliminari molto
promettenti in alcuni bambini trattati sia negli Stati Uniti sia in Europa.

Il Duchenne si sta avviando verso il trattamento di terapia genica perché l’efficacia della terapia
genica è molto maggiore rispetto agli antisenso, naturalmente la terapia genica necessita di
poche somministrazioni che possono essere sostenute da richiami, ma non necessita di un
dosaggio incronico, come hanno oggi i bambini con antisenso che ricevono il farmaco tutte le
settimane.
Ci sono problemi da affrontare abbastanza importanti come il raggiungimento dell’intera massa
muscolare, gestire la regolazione complessa di questo gene con isoforme tessuto-specifiche, il
problema immunitario in ambito di terapia genica è quanto mai rilevante perché la produzione di
anticorpi adeno-associati è molto comune perciò il farmaco perde la sua efficacia nel tempo
perché l’organismo sviluppa anticorpi nei confronti del vettore e sulla modalità di rilascio del
farmaco è ancora necessario lavorarci per avere un target completo di tutta la massa muscolare.

AMIOTROFIA SPINALE AR (5q)

Un’altra importante malattia sia dal punto di vista epidemiologico che per le novità terapeutiche è
l’amiotrofia spinale, una patologia autosomica recessiva, anche detta 5q perché il gene si
localizza sul braccio lungo del cromosoma 5.
Il gene in cui si trovano mutazioni responsabili della miotrofia spinale si chiama SMN (Survival Motor
Neuron) e la patologia riguarda i motoneuroni α delle corna anteriori del midollo spianale.
È il secondo disordine autosomico recessivo più grave dopo la fibrosi cistica, nella popolazione
caucasica e la seconda causa di patologia neuromuscolare in ambito pediatrico dopo la distrofia
muscolare di Duchenne.
Ha un’incidenza di 1 su 6000-10000 nati vivi e la frequenza dei portatori eterozigoti del gene SMN
sono circa 1 su 40-60.

I motoneuroni α sono importanti poiché da questi viene poi generato, lungo il neurone periferico
che va ad innervare la fibra muscolare e al di là della funzione motoria strettamente legata
all’attività motoneuronale, i motoneuroni α hanno una funzione trofica importantissima.
Ecco perché l’amiotrofia spinale determina un’atrofia muscolare secondaria progressiva.

La proteina SMN è una proteina ubiquitaria espressa in tutti i tessuti, ma i più


alti livelli di espressione sono localizzati proprio nei motoneuroni α spinali.
È una proteina importante perché interagisce con un complesso di proteine
ribosomiali che legano e complessano anche l’RNA, perciò è una proteina
essenziale come ruolo che riguarda lo splicing dell’mRNA.
La funzione di questa proteina è legata al controllo della sintesi proteica a
livello cellulare, in particolare nei motoneuroni.

Dal punto di vista clinico l’amiotrofia spinale o SMA riconosce 5 forme diverse in base alla severità:
la forma gravissima e congenita di tipo 0 che viene diagnosticata in utero per assenza dei
movimenti muscolari rilevati dalla madre, la forma classica di tipo I di Werdnig-Hoffmann, la forma
intermedia di Werdnig-Hoffmann di tipo II, la forma giovanile di tipo III e la forma IV di Kugelberg-
Welander ad esordio adulto.

Le mutazioni che occorrono nel gene SMN1 sono per il 95% delle delezioni di 2 esoni, in genere 7 e
8 in omozigosi, perciò con uguale genotipo autosomico recessivo.
Circa il 5% dei pazienti possiede mutazioni frame-shift ossia mutazioni puntiformi che determinano
dei genotipi da eterozigote composto.

È importante anche considerare l’aspetto genetico, quindi l’effetto che le mutazioni hanno sulla
proteina SMN.
Nelle 4 forme clinicamente diverse, la severità clinica ben correla con la quantità di proteina
prodotta:

▪ Tipo 1 → 9%
▪ Tipo 2 → 14%
▪ Tipo 3 → 18%
▪ Portatori eterozigoti → 45-55%

È necessario almeno un 25% di proteina a livello motoneuronale affinché la funzione del


motoneurone α sia mantenuta.

Il locus del gene SMN1 non è così semplice.


Infatti è presente anche un altro gene chiamato SMN2 e posizionato in tandem rispetto a SMN1.
Questo gene è identico a SMN1, infatti deriva da questo gene per una grande duplicazione, ma si
distingue per la presenza di polimorfismi, in particolare di un piccolo polimorfismo esonico che si
trova nell’esone 7, ma che ha il ruolo di indebolire in maniera
molto importante il riconoscimento nello splicing dell’esone 7,
quindi questo polimorfismo fisiologico riduce in modo importante
l’inclusione dell’esone 7 determinando un trascritto fuori frame
che non è funzionale per la sintesi proteica.
In condizioni fisiologiche SMN2 riesce a codificare per una
piccolissima quantità di proteine SMN e quando SMN1 non è mutato non ci sono problemi.
Quando ci sono le mutazioni di SMN1 i problemi cominciano e il ruolo di SMN2 comincia ad essere
molto importante.
Ecco perché, anche oggi, in diagnostica si analizzano sia le mutazioni e delezioni di SMN1 sia
SMN2, anzi proprio facendo diagnosi di SMA è stato scoperto che non solo
SMN2 ha dei polimorfismi, ma è presente con un numero variabile di copie sul
cromosoma 5.
Il numero di copie di SMN2 sono quelle che correlano con la severità clinica,
quindi di base sono presenti dei difetti di omozigosi di SMN1 con quasi
completa assenza di proteina legata ad SMN1, ma se le copie di SMN2 sono
multiple, anche in assenza di SMN1 il fenotipo è meno grave perché può utilizzare la proteina che
proviene dal SMN2, anche se in quantità ridotta.

La diagnosi di SMA si fa con MLPA, certamente


l’approccio diagnostico più importante dal punto di vista
routinario.
MLPA identifica facilmente delezioni a carico degli esoni 7
e 8 di SMN2.
La sensibilità è elevatissima, oltre il 95%, e la semplicità
diagnostica ne fa anche uno strumento di screening, per
questo sono presenti anche degli screening neonatali
pilota per questa patologia.
L’MPLA consente anche di valutare il numero di come dei
geni SMN2 e il numero di copie che correla in modo
importante con la gravità e la severità clinica.

Nel caso in cui non si identifica una delezione in SMN1 si procede


nel sequenziamento del gene stesso per valutare eventuali
piccole mutazioni.
In genere il gene è molto piccolo perché sono pochi esoni e si
può procedere con un sequenziamento di tipo Sanger che
identifica le mutazioni puntiformi.

Le modalità e gli approcci terapeutici per la SMA sono diversi: approcci di terapia genica,
approcci farmacologici per aumentare il trascritto di SMN e stabilizzare la proteina SMN, dare un
effetto di neuroprotection dei motoneuroni α e le cellule staminali.
L’approccio entrato nella Farmacopea e che rappresenta un farmaco orfano, è quello che
determina un incremento d’inclusione dell’esone 7 nel gene SMN2 per vicariare l’assenza di SMN1.
Questo è un approccio di modulazione dello splicing che, tramite una molecola antisenso,
determina un riconoscimento ridotto del polimorfismo che esclude l’esone 7 ed aumenta
l’inclusione dell’esone 7 che porta alla determinazione di una proteina in tutto identica ad SMN1.
Ecco perché la modulazione tramite lo splicing
dell’esone 7 del gene SMN2 è perfettamente
vicaria all’assenza di proteina SMN1.

L’interesse per la SMA è enormemente


aumentato proprio per la recente disponibilità di un farmaco che ha cambiato la storia naturale
della malattia tramite il trial con Spinraza.
Questo farmaco è stato approvato dall’FDA e ha avuto l’onore di avere una Fast Track Designation
anche in Europa, che è una particolare approccio regolatorio per farmaci di straordinaria
efficacia.
Ora lo Spinraza è disponibile per il trattamento di tutte le SMA di tipo 1, 2, 3.
Prima di somministrare lo Spinraza è sempre necessario effettuare un’analisi genetica che valuta
l’eventuale presenza di mutazioni in SMN1 e il numero di copie SMN2, molto importanti per valutare
la prognosi e l’adeguata risposta al farmaco.

CARDIOPATIE GENETICHE

Le cardiopatie genetiche sono malattie ereditarie che possono coinvolgere il muscolo cardiaco
e/o il sistema di conduzione cardiaco o le strutture valvolari o i grandi vasi.

La semplice osservazione degli alberi genealogici di patologia ha consentito non solo di osservare
che oltre il 50% delle cardiomiopatie hanno un carattere familiare, ma anche di riconoscerne la
modalità di trasmissione:

• Autosomica dominante: la più frequente e a penetranza incompleta


• Autosomica recessiva (es. Malattia di Naxos)
• X-linked: malattia di Fabry con fenotipo ipertrofico e distrofia di Duchenne con fenotipo
dilatativo
• Mitocondriali-matrilineari: F → F o M, ma mai M → F o M (es. cardio-encefalomiopatie
mitocondriali)

Le cardiopatie genetiche dagli anni ’90, a seguito del genoma umano, sono state riconosciute le
basi genetiche e i geni causativi di queste malattie.
Le problematiche dei test genetici in paziente con cardiopatie genetica sono:

o Diagnosi genetica a conferma della diagnosi clinica


o Diagnosi presintomatica
o Prevenzione e terapie

Le cardiopatie genetiche si basano su un’analisi familiare molto accurata che prevede l’analisi
dell’albero genealogico di almeno 3 generazioni.
Bisogna sempre chiedere la familiarità per cardiomiopatia che include:

▪ Casi noti di cardiopatia


▪ Casi di scompenso cardiaco di origine non determinata
▪ Casi di morte improvvisa giovanile
▪ Storia di aritmie
▪ Storia di impianto di pacemaker
▪ Disordini neuromuscolari o sensoriali
▪ Storia di sincopi inspiegate e recidivanti

In caso di presenza di uno degli elementi anamnestici di cui sopra si dovrà cercare di ricostruire
l’albero genealogico possibilmente per almeno 3 generazioni, dato che già ci consentirà di
riconoscerne o almeno ipotizzarne la modalità di trasmissione.

Le cardiopatie genetiche, per la loro caratterizzazione clinico-fenotipica si dividono in 3 grandi


gruppi, ma già oggi sappiamo, grazie all’analisi estensiva genica, quindi al sequenziamento
massivo parallelo che le categorie spesso si sovrappongono, ad ogni modo le categorie cliniche
principali sono forme:

➢ Prettamente ipertrofiche
➢ Prettamente dilatative
➢ Aritmiche

Molte proteine comuni condividono dei geni causativi con


le proteine sarcomeriche.
Le mutazioni dei geni nelle cardiopatie genetiche sono spesso fenotipi a spectrum di patologia e
questo pone notevoli problemi anche in ambito di consulenza genetica, interpretazione del dato
mutazionale e prevenzione familiare.

In generale le cardiopatie sono divise in categorie:

→ Ipertrofica: familiare in oltre il 70%, 12 geni


→ Dilatativa: familiare fino al 50%, almeno 40 geni
→ Aritmogena: familiare in oltre il 50%, 8 geni
→ Restrittiva
→ Ventricolo sinistro non compatto

Le canalopatie sono cardiopatie a base prettamente aritmica e includono:

− Sindrome di Brugada
− Sindrome del QT lungo
− Sindrome del QT corto
− Sindrome catecolaminergica
Oltre a queste riconosciamo il blocco atrio-ventricolare familiare che è una forma progressiva di
fibrosi a carico del fascio di His e della branche atrio-ventricolari per mutazione del canale del Na.
Il prolasso valvolare mitralico possiede un gene legato al cromosoma X codificante per la filamina
A.
Infine troviamo la dissezione aortica (es. Malattia di Marfan).

Un altro aspetto che rende identificabili le cardiomiopatie sono il fatto che nelle cardiomiopatie
sono coinvolti geni che modificano le proteine strutturali del cardiomiocita, quindi mutazioni in geni
codificanti per le proteine strutturali sono frequentemente legate a
cardiomiopatie dilatative o ipertrofiche o restrittive.
Le canalopatie, le quali sottengono la gran parte delle patologie
aritmiche, sono causate da gene prettamente coinvolti nell’attività
o trasmissione di segnale dei cardiomiociti, come quelli che
formano i canali ionici.

In realtà sappiamo che nelle patologie cardiache ereditarie, spesso i fenotipi si sovrappongono.
Perciò identificare o cercare mutazioni in geni specifici, in un quadro di cardiomiopatia o
ipertrofico o dilatativa o aritmica è spesso molto complesso e richiede un approccio massivo.

Cardiomiopatia restrittiva
Un esempio di cardiomiopatia restrittiva è l’amiloidosi che si
caratterizza per i depositi amiloidi che sono amorfi e fortemente
eosinofili e appaiono verdi al microscopio a luce polarizzata
dopo colorazione con il rosso Congo.
Spesso a livello cardiaco c’è un aumento degli spessori delle
pareti, con diametri e volumi delle camere conservate, possono
anche essere coinvolti gli apparati valvolari.
L’amiloidosi è una malattia sistemica che presenta spesso un
coinvolgimento multiorganico, in particolare del SNP.

La cardiomiopatia amiloidotica restrittiva è autosomica dominante,


legate a depositi amiloidi, ma anche da altre patologie come:
emocromatosi, glicogenosi e malattia di Fabry.
In particolare i segni di cardiomiopatia amiloidotica sono i segni classici
da cardiomiopatia da scompenso con anche: macroglossia,
epatomegalia, disturbi disautonomici (es. sintomi correlabili a sindrome
del tunnel carpale o poliatropatia, alopecia, papule).

La cardiomiopatia amiloidotica che si può o meno


associare anche ad una polineuropatia periferica mista, è
dovuta a mutazioni nel gene della transtiretina (TTR), un
gene pro-amiloidogenico perché e formato da strutture a
foglio β-shift che, se mutate, determinano la precipitazione
della proteina stessa a formare fibrille amiloidi.
Molte mutazioni differenti nello stesso gene, nella
stragrande maggioranza dei casi sono piccole mutazioni
missenso ereditate in modo autosomico dominante
all’interno della famiglia e il gene è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 18.

Cardiomiopatia dilatativa
La cardiomiopatia dilatativa è genetica nel 30–50% dei casi con familiarità se è presente in 2 o più
membri della stessa famiglia o in presenza di un familiare con storia di
morte improvvisa (< 35 anni).
L’esordio clinico è tipico, non esclusivo, dell’età adulta (30- 50 anni) ed
esistono circa 40 geni diversi che codificano per proteine di:
citoscheletro, sarcomero, dischi Z, membrana nucleare, desmosomi,
canali ionici, fattori trascrizionali, geni mitocondriali.
La trasmissione è autosomica dominante, ma anche recessiva ed X-linked (es. DMD).

Nella cardiomiopatia dilatativa la mortalità a 5 anni è del 20%, senza riconoscimento clinico, per
morte improvvisa (50% per aritmie ventricolari, il restante 50% da bradicardia, embolia polmonare,
dissociazione elettromeccanica).
Si presenta infatti spesso con aritmie ventricolari asintomatiche e sintomatiche con sincope, ma la
morte improvvisa come prima manifestazione è infrequente.
Il rischio di morte improvvisa è maggiore nei pazienti con indicatori di malattia avanzata, quando è
maggiore anche la mortalità per tutte le cause.
Gli indicatori prognostici strumentali (non potenti) sono rappresentati da: frazione di eiezione*,
volume tele-diastolico, età, iponatriemia, pressione di incuneamento polmonare, ipotensione
sistemica e fibrillazione atriale.

* FE < 20% spesso non ha un valore predittivo positivo elevato per morte improvvisa.

Gli indicatori prognostici clinici (più potenti) sono: sincope, TVNS in soggetti con miglior FE.
In questi pazienti non sono particolarmente utili studi elettrofisiologici cardiaci perché i segni visibili
non sono specifici.

L’indagine genetica, nella cardiomiopatia dilatativa è importante, conferma la diagnosi clinica ed


è appropriata in:

❖ Blocco AV (laminopatie): aumentato rischio di morte improvvisa anche per FE ancora non
severamente depresse per cui vi è indicazione ad impianto di PM con funzione di ICD.
❖ Aumento delle CPK in contesto X-linked: distrofinopatie ed emerinopatie
❖ Granulocitopenia ciclica con LVNC: tafazzinopatie X-linked
❖ Lattacidemie: forme a trasmissione mitocondriale matrilineare
❖ Sordità: epicardinopatie autosomiche dominanti
❖ Cataratta giovanile autosomica dominante: mutazioni del gene CRYAB

Cardiomiopatia aritmogena
La cardiomiopatia aritmogena è caratterizzata da aritmie
ventricolari di tipo blocco di branca sinistra che insorgono
più frequentemente in seguito a sforzo fisico.
La diagnosi differenziale va posta rispetto alle tachicardie
ventricolari del ventricolo destro.
Spesso la prima e ultima manifestazione di malattia è la morte improvvisa con incidenza annua
dallo 0,08 al 9%; è una malattia evolutiva → F.U. sia dei malati che dei portatori “sani” delle
mutazioni geniche causative
La trasmissione autosomica dominante è prevalente o recessiva nelle più rare forme
cardiocutanee (es. Sindrome di Naxos e di Carvajal) a penetranza incompleta.

Dal punto di vista genetico, la cardiomiopatia aritmogena è dovuta a mutazioni di oltre 30 geni ad
oggi identificati e il più importante è il recettore rianodinico (RyR2), o mutazioni del gene che
codifica per il fattore di crescita trasformante (TGFβ3) e il gruppo di 5 geni che codificano per le
proteine desmosomiali come: plakofillina-2 (PKP2), desmoplakina (DSP), desmogleina-2 (DSG2),
desmocollina-2 (DSC2) e plakoglobina (JUP).

Il rischio di morte improvvisa è maggiore in:

1. Soggetti con storia familiare di almeno una morte improvvisa


2. Soggetti con storia di sincopi
3. In presenza di coinvolgimento biventricolare
4. In presenza di grave interessamento del ventricolo dx
5. In presenza di QRS di dispersione all’ECG
CANALOPATIE
Le canalopatie sono un gruppo di patologie caratterizzate da disordini primari di tipo elettrico.
Sono la causa più frequente di morte improvvisa, circa il 30% dei
pazienti nei giovani e includono la sindrome di: QT lungo, QT
corto, Brugada e catecolaminergica.
Sono mutazioni in geni che codificano per canali ionici e per
alcuni recettori e regolatori di tali canali.
Alcuni geni sono comuni a più fenotipi e questo è il caso del QT
lungo e corto, ma anche della sindrome di Brugada ad opera del gene più frequente per il canale
del Na (SCN5A).

In tutte il primo elemento prognostico, in termini di morte improvvisa, è rappresentato dalla


“severità” delle alterazioni ECGrafiche di base:

a) Sindrome del QT lungo → Quando il QTc > 500 ms


b) Sindrome di Brugada → Presenza spontanea di sopraslivellamento basale del tratto ST nelle
derivazioni precordiali destre

Nella sindrome di Brugada non vi è una terapia farmacologica efficace e quindi si deve ricorrere
all’impianto di ICD nei pazienti ad alto rischio.

I canali ionici hanno una struttura proteica complessa, multidominio e sono formati da domini di
intramembrana immersi all’interno della membrana del cardiomiocita e i domini extracellulari
come il sensore del voltaggio, la regione di canale sensibile alle
variazioni ioniche e al flusso ionico di transmembrana.
Spesso mutazioni molto gravi che comportano queste patologie
sono sensori nella sede del voltaggio, ma non esclusivamente,
anche a carico di altri domini delle proteine di altri canali.

Sindrome del QT lungo


La sindrome del QT lungo ha una trasmissione più comune autosomica dominante Romano-Ward e
Timothy syndrome e una trasmissione più rara e più severa che è quella autosomica recessiva
(sindrome di Jervell Lange-Nielsen).
Esistono 7 geni che codificano per subunità di canali ionici (LQT1-8) e uno di questi codifica per
una proteina di ancoraggio implicata nel posizionamento dei canali ionici sulla membrana
cellulare (JLN1-2).
L’esordio sintomatico ha un’età media intorno ai 12 anni anche con morte improvvisa.
Le aritmie sono specialmente tachicardie ventricolari polimorfe o torsioni di punta.

Nella sindrome del QT lungo abbiamo una stratificazione del rischio per i pazienti:

QTc > 500 ms → Sintomatici entro i 40 anni di vita


Sopravvissuti ad un arresto cardiaco che hanno un rischio di 12,9 di un 2° evento
Rischio è aumentato nel periodo post-partum
LQT1 → Sviluppo delle aritmie durante esercizio e nuoto, con QTc > 500 ms
LQT2 → Sviluppo delle aritmie durante riposo o forti emozioni, con QTc > 500 ms
Maschi con LQT3 sviluppano gli episodi aritmici durante il riposo e/o il sonno
β-bloccanti sono efficaci in LQT1 mentre solo parzialmente in LQT2 e 3

Le analisi genetiche sono dunque fondamentali nella sindrome del QT lungo tanto che i
portatori di mutazioni, anche se non sintomatici e/o evidenti all’ECG, vanno: trattati con
β-bloccanti, educati sullo stile di vita e informati in merito alla possibilità di trasmettere il
genotipo alterato alla prole.

Sindrome del QT corto


La sindrome del QT corto è stata descritta per la prima volta nel 2000 da Gussak e si
caratterizza per le onde T strette ed appuntite legate all’accorciamento del tratto QT.
I geni noti che causano questa patologia sono 3 e codificano per subunità di canali ionici del K
(SQTS1 - KCNH2, SQTS2 - KCNQ1, SQTS3 - KCNJ2).
L’ereditarietà è autosomica dominante.

Sindrome di Brugada
La sindrome di Brugada ha una
trasmissione autosomica dominate
con un’espressione maschile nel 90%
degli individui con ECG diagnostico.
Esiste un gene maggiore che codifica
per la subunità del canale del Na
(SCN5A), ma sono identificati anche
loci non-SCN5A.
Si presenta con sincope o arresto cardiaco
che ricorrono prevalentemente nei maschi tra
la 3° e la 4° decade di vita e sono descritti rari
arresti cardiaci anche in neonati e bambini.
Un importante fattore predisponente l’arresto
cardiaco è l’iperpiressia o febbre.

La storia familiare è importante infatti chi presenta un pattern ECG tipo Brugada spontaneo
presenta un rischio maggiore di arresto cardiaco di morte nel sonno.
Nei soggetti con storia di sincope e pattern ECG tipico presentano un rischio 6 volte più alto di
arresto cardiaco rispetto agli asintomatici.
L’aritmia ventricolare compare a riposo e prevalentemente nel sonno.
L’analisi genetica è utile per i pazienti asintomatici per riconoscere precoci evidenze di malattia ed
ai fini di un counselling genetico, ma non per la stratificazione del rischio.

Tachicardie ventricolari polimorfe catecolaminergiche


Le tachicardie ventricolari poliforme catecolaminergiche sono
forme aritmiche che insorgono durante sforzo o emozioni.
Hanno un esordio per lo più giovanile e una trasmissione
autosomica dominante (50% mutazione del gene del recettore
rianodinico (RyR2) responsabile del rilascio del Ca dai depositi del
reticolo sarcoplasmatico), ma presentano anche un trait
autosomico recessivo (mutazione del gene codificante la
calsequestrina (CASQ2)).

La diagnostica genetica si basa sul sequenziamento che può essere di tipo


Sanger, perciò gene per gene, ma di fatto oggi si utilizzano dei pannelli
genici, perciò delle tecnologie MPS (Massively Parallel Sequencing) a
elevato parallelismo e portata.
Uno dei pannelli genici più utilizzati è il pannello TruSight che esplora 174
geni contemporaneamente, che coprono diverse cardiopatie, sia
ipertrofiche che dilatative e anche aritmiche.
È un pannello complesso perché le varianti che si possono ottenere sono
circa 250-350 e quindi richiede una grande esperienza e attenzione per ciò
che rappresenta la parte interpretativa.

DISSEZIONE AORTICA
Più di una sono le patologie congenite/ereditarie e quindi familiari
che possono essere complicate da dissezione aortica con morte
improvvisa:

I. Sindrome di Marfan (diagnosi mediante Criteri di Ghent): mutazione sul gene fibrillina 1
(FBN1)
II. Sindrome di Loyes-Dietz (fenotipo simile al Marfan): mutazioni nei geni TGFBR1 (alterazioni
scheletriche più accentuate e coinvolgimento vascolare più precoce) e TGFBR2 (fenotipo
meno severo)
III. Sindrome di Ehlers-Danlos (iperelasticità cutanea e iperlassità legamentosa): tipo IV o
“vascolare” che presenta un difetto nella produzione del procollagene di tipo III (rischio di
rottura arteriosa, aneurismi, dissecazioni)
IV. Dissecazione aortica familiare: mutazione nel gene ACTA2 (codifica per l’α-actina delle
cellule muscolari lisce) e mutazione del gene MYH11 (codifica la catena pesante della
miosina)

In conclusione, le cardiomiopatie genetiche sono malattie ereditarie mendeliane a penetranza


incompleta e espressività variabile.
Presentano un’eterogeneità genetica, cioè geni diversi sono sede di mutazioni patogenetiche, e
un’eterogeneità allelica, cioè mutazioni diverse, spesso piccole mutazioni, occorrono nello stesso
gene.
La diagnosi genetica è spesso salva vita (esempio morte improvvisa) e può orientare la terapia.
Importante è la prevenzione familiare per identificare i portatori tramite l’utilizzo di test genetici con
pannelli genici.

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