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DNA

Le basi molecolari dell'ereditarietà:


La scoperta del materiale genetico risale al 1869, quando all'interno dei nuclei dei globuli bianchi fu
identificata la nucleina, ossia il DNA. Negli anni 20 si scoprì che i cromosomi erano fatti di DNA e
proteine, ma nulla spiegava il loro ruolo nella trasmissione dell'informazione genetica. Secondo i biologi
il materiale genetico doveva: essere presente in quantità differenti a seconda della specie; avere la
capacità di moltiplicarsi ed essere in grado di agire all'interno della cellula regolandone lo sviluppo.
Inoltre essi si focalizzarono sulle proteine per 3 ragioni: sono biomolecole che presentano una grande
varietà di strutture e funzioni specifiche; sono presenti anche nel citoplasma ed infine malattie genetiche e
mutazioni determinano come effetto una variazione nella produzione di determinate proteine. Attraverso
due serie di esperimenti, condotti una sui batteri e l'altra sui virus, si scoprì che il materiale genetico è
costituito dal NA. Nel 1928, Griffith, studiando un vaccino per il pneumococco, scoprì una sostanza
contenuta in cellule batteriche morte che trasformava geneticamente altre cellule vive. Egli lavorò con 2
diversi ceppi di pneumococco: il ceppo S, virulento ed il ceppo R non virulento. Inoculando in alcuni
topi il ceppo S ucciso dal colore egli osservò che i batteri non producevano infezione, però
somministrando ad altri topi batteri R vivi ed S uccisi dal calore Griffith notò che gli animali contraevano
la polmonite e morivano. Dopo aver esaminato il sangue dei topi, egli lo trovò pieno di batteri dotati delle
caratteristiche del ceppo S, perciò capì che alcuni pneumococchi R vivi si erano trasformati in organismi
del ceppo S. Ciò dimostrava che una sostanza, chiamata fattore d trasformazione, estratta da
pneumococchi S morti poteva agire sulle cellule R vive, provocando un cambiamento ereditario.

L'esperimento di Avery: Egli ed i suoi collaboratori sottoposero i campioni con il fattore di


trasformazioe dello pneumococco a vari trattamenti con lo scopo di distruggere tipi diverse di molecole
ed in seguito controllarono per vedere se i campioni mantenevano la capacità di trasformazione. L'esito fu
sempre ugale: se si distruggeva il DNA, la capacita si perdeva, mentre se si distruggevano lipidi,
carboidrati e proteine ciò non accadeva. Infine Avery isolò del DNA quasi puro contenente il fattore di
trasformazione e dimostrò che esso provocava la trasformazione batterica.

Gli esperimenti di Hershey e Chase: Il loro esperimento voleva stabilire se il


materiale genetico fosse il DNA o le proteine, e fu eseguito su un virus che infetta i batteri. Questo virus,
chiamato batteriofago t2 o fago t2, è composo da una molecola di DNA impacchettata in un rivestimento
proteico. Quando un fago t2 attacca un batterio, una parte del virus penetra nella cellula batterica e dopo
20 minuti la cellula libera particelle virali. Ciò significa che il virus è stato capace di riprodursi all'interno
del batterio. Per scoprire se questa parte fosse DNA o proteina, marcarono il batterio con due isotopi
radioattivi: S per le proteine e P per il DNA. Nel primo esperimento i batteri furono infettati da un
batteriofago marcato con P ed un secondo marcato con S. Pochi minuti dopo l'infezione, le soluzioni
furono inizialmente agitate in un frullattore in modo da staccare dalla superficie batterica le parti non
penetrate nel batterio e poi furono sottoposte a centrifugazione per separare i batteri. In questo modo
Hershey e Chase scoprirono che la maggior parte di S, ossia le proteine, era nel liquido surnante, mentre
la maggior parte di P, ossia il DNA, era rimasto all'interno dei batteri. Perciò nei batteri si era trasferito il
DNA che era di conseguensa la sostanza in grado di modificare il programma genetico della cellula
batterica.

La struttura del DNA: per scoprire la struttura del DNA furono condotti diversi esperimenti,
ma la prova definitiva fu ottenuta con la cristollografia a raggi x, tecnica usata dai biofisici Franklin e
Wilkins. In questo modo essi individuarono la struttura del DNA. Importanti indizi sulla struttura del
DNA provenivano dalla sua composizione chimica: difatti era già saputo che il DNA era un polimero di
nucleotidi ed ogni nucleotide era composto da una molceola di zucchero desossiribosio, un gruppo fosfato
ed una base azotata. L' unica differenza fra i 4 nucleotidi si trovava nelle basi azotate. Nel 1950 il chimico
Chargaff riscontrò alcune regolarità: la percentuale dei 4 nucleotidi è sempre la stessa nel DNA di cellule
provenienti da diversi tessuti dello stesso individuo; la composizione delle molecole del DNA non è
influenzata da fattori esterni ed infine in ogni specie la quantità dell'adenina è quella timina, mentre quella
guanina è uguale a quella della citosina. In seguito iniziò ad essere usata la tecnica di costruire modelli
tridimensionali. Questa tecnica insieme a tutte le altre informazioni conosciute, furono unite in un unico
modello elaborato da Watson e Crick che svelava la struttura a doppia elica del DNA. La molecola del
DNA è formata da 2 catene polinucleotidiche avvolte che formano una doppia elica. Essa ha 3
caratteristiche fondamentali: le 2 catene sono complementari ed antiparallele; i legami tra i nucleotidi
allìinterno di ogni catena sono legami covalenti, invece quelli che uniscono i due filamenti sono legami ad
idrogeno; l'elica ha diametro costante ed avvolgimento destrogiro. Ogni catena del DNA è costituita da
una fila di nucleotidi legati da legami covalenti fra il gruppo fosfato unito al carbonio in posizione 5' di un
nucleotide e l'ossigeno unito al carbonio in posizione 3' del nucleotide precedente. Le 2 catene sono
complementari perchè tenute insieme da legami ad idrogeno fra le basi rivolte verso il centro, mentre
zuccheri e gruppi fosfati verso il centro. L'appaiamento fra le basi avviene secondo regole costanti:
l'adenina si appaia con la timina formando due legami ad idrogeno. mentre la guanina con la citosina ne
formano 3. Le due catene sono antiparallele perché hanno direzioni opposte: difatti ciascuna catena
presenta ad un'estremità, detta estremità 5', un gruppo fosfato, mentre all'altra, detta estremità 3', un
gruppo ossidrile. Nella struttura a doppia elica l'estremita 5' di un nucleotide corrisponde all'estremità 3'
dell'altra.

La duplicazione del DNA: essa è semiconservativa, perché le due molecole che si formano
contengono un filamento vecchio ed uno nuovo. Prima dell'inizio della sintesi i filamenti si separano e si
forma una bolla di duplicazione in alcuni punti specifici detti origni di duplicazione. Le bolle di
duplicazione diventano sempre più grandi fino a fondersi formando due copie del DNA di partenza. Il
primo evento è lo svolgimento e separazione dei filamenti di DNA, atti compiuti dalla DNA elicasi, che
rompe i legami ad idrogeno. In seguito le single strand binding proteins si legano ai filamenti per
impedire che si riassocino e riformino la doppia elica. A questo punto inizia la copiatura ad opera della
DNA polimerasi, che sintetizza i nuovi filamenti aggiungendo nucleotidi a quelli preesistenti perché non
può crearne di nuovi. Perciò entra in azione la RNA primasi, che sintetizza un breve frammento di RNA
complementare allo stampo detto primer. La DNA polimerasi può aggiungere nucleotidi solamente in
direzione 5'-3', perciò la forcella di duplicazione è assimetrica. Quindi uno dei 2 filamenti, detto filamento
guida o veloce, viene sintetizzato in modo continuo, mentre l'altro detto filamento lento ha una sintesi
discontinua. Per risolvere questo problema vengono prodotti brevi segmenti discontinui detti frammenti di
Okazaki. In seguito i primer vengono sostituiti da sequenze complementari di DNA sintetizzate dalla
DNA polimerasi 3 e legate dalla DNA ligasi. Dopo la sostituzione dei primer però, non è possibile
sintetizzare il DNA che lo sostituisca, perciò il nuovo cromosoma presenta un pezzeto di DNA a
filamento singolo. Tali estremità negli eucarioti contengono sequenze ripetitive dette telomeri. Ad onìgni
ciclo di duplicazione e divisione cellulare si possono perdere da 50 a circa 200 basi e ciò spiega in parte
perché le cellule non durano per tutta la vita. Tuttavia nelle cellule staminali del midollo osseo e in quelle
produttrici dei gameti è presente un'enzima, chiamato telomerasi che catalizza l'aggiunta della sequenza
telomerica persa. La duplicazione del DNA tuttavia non è perfetta, ma le cellule dispongono di 3
meccanismi di riparazione: il proofreading, ossia una correzione di ozze che corregge gli errori mano a
mano che la DNA polimerais li compie; il mismatch repair, ovveri una riparazione delle anomalie di
appaiamento che esamina il DNA subito dopo la duplicazione e corregge gli appaiamenti sbagliati; infine
una riparazione per escissione che rimuove le basi anomali dovute ad agenti chimici e le sostituisce con
basi funzionali.

La relazione tra geni ed enzimi: i 2 genetisti statunitensi Beadle e Tatum, dopo alcuni
esperimenti, scoprirono che le mutazioni avevano un effetto semplice e che ogni mutazione provocava la
perdita di funzionalità dell'enzima specificato da quel gene. Tale conclusione è divenuta famosa come
l'ipotesi << un gene, un enzima>>. Oggigiorno sono note molte malattie ereditarie in cui un gene difettoso
determina un errore nella produzione di uno specifico enzima. Tuttavia questa relazione ha subito qualche
modifica. In primo luogo, è noto che i geni sono seuqneze di nucleotidi in una molecola di DNA; in
secondo luogo non tutte le proteine che influiscono sul fenotipo sono enzimi. Inoltre, spesso le proteine e
molti enzimi osno composti da varie catene polipetidiche. Pertanto è più giusto usare l'espressione << un
gene, un polipeptide>>, ciò significa che la funzione di un gene è il compito della produzione di un
singolo polipetide specifico. Il gene non forma direttamente il polipeptide, ma fornisce le informazioni
che la cellula traduce nella catena polipeptidica corrispondente. Perciò il gene esprime un singolo
polipetide.

Il dogma centrale: trascrizione e traduzione: dopo aver determinato la struttura


del DNA, molti scienzati spostarono la loro attenzione sui processi che permettono di passare dal DNA
alle proteine. Nel 1958 Crick enunciò il dogma centrale della biologia molecolare: il gene è un tratto di
DNA contenente le informazioni per la produzione di una catena polipetidica, ma la proteina non contiene
l'informazione per la produzione di altre proteine. Perciò nacquero 2 quesiti: in che modo l'informazione
passa dal nucleo al citoplasma? in che relazione stanno una determinata sequenza nucleotidica del DNA
ed una sequenza amminoacida di una proteina? Crick propose 2 ipotesi: per rispondere alla prima
domanda, il suo gruppo suggerì che da un filamento di DNA di un particolare gene si formasse per copia
complementare una molceola di RNA. In seguito l'mRNA arriva nel citoplasma in cui serve da stampo
per la sintesi delle proteine (trascrizione). Per rispondere alla seconda domanda, Crick ipotizzò che deve
esistere una molecola adattatrice capace di legarsi in modo specifico ad un amminoacido e di riconoscere
una seuqneza di nucleotidi. Questa molecola è il tRNA. Questi è in grado di tradurre il inguaggio del
DNA in linguaggio delle proteine: gli adattori di tRNA legati agli amminoacidi si allineano lungo la
sequenza dell'mRNA per garantire la costruzione della giusta sequenza per la crescita di una catena
polipetidica (traduzione). L'RNA è simile al DNA ma differisce per 3 aspetti: l'RNA ha un solo filamento;
l'RNA contiene il ribosio al posto del desossiribosio e la quarta base è l'uracile Infine l'RNA può piegarsi
su se stesso ed assumere forme complesse. Le principali forme di RNA sono: RNA mesaggero che ha il
compito di portare una copia delle informazioni di un tratto di DNA ai ribosomi. RNA transfer che porta
gli amminoacidi ai ribosomi e li colloca nella posizione corretta. RNA ribosomiale che entra a far parte
dei ribosmi e permette di realizzare la sintesi proteica.

La trascrizione: il processo di trascrizione è suddiviso in 3 stadi: inizio, allungamento e


terminazione. Si inizia con un promotore, o primer, speciale sequenza di DNA legata all'RNA polimerasi.
Una parte di ogni promotore è il sito di inizio, dove parte la trascrizione. Ogni gene ha un promotore, ma
non tutti sono uguali. Nei procarioti un primer possiede la sequenza di riconoscimento e il TATA BOX,
mentre negli eucarioti la RNA polimerasi non è in grado di legarsi al promotore. Essa infatti si lega al
DNA solamente dopo che sul cromosoma si sono associate alcune proteine regolatrici dette fattori di
trascrizione. Il primo si lega al TATA BOX, inducendo un cambiamento della propria forma e di quella
del DNA, favorendo così il legame di tutti gli altri fattori di trascrizione, tra cui la RNA polimerasi,
formando il complesso di trascrizione. Dopo il legame della RNA polimerasi al promotore, inizia
l'allungamento, in cui la RNA polimerai apre il DNA e legge il filamento stampo in direzione 3'-5'.
Quindi l'enzima aggiunge i nuovi nucleotidi all'esttemità 3', quindi la direzione in cui cresce l'RNA è da
5'-3'. Infine sul filamento stampo del DNA sono presenti particolari sequenze di basi che ne determinano
la terminazione. In seguito il frammento di RNA subisce alcune modificazioni che lo trasformano in RNA
messaggero: il capping, che avviene durante la trascrizione, in cui viene aggiunto un nucleotide
all'estremità 5', detto cappuccio, che ha la funzione di far uscire la molecola dal nucleo. In seguito si
verifica la poli-adenilazione, in cui viene aggiunta una sequenza poliadenilica all'estremità 3' aggiunti
dalla poli A polimerasi. Infine si registra lo splicing, che può avvenire sia durante sia dopo la trascrizione,
in cui gli introni, regioni non codificanti di un gene, sono rimossi e gli esoni, porzioni di gene, sono uniti
e che lo fa uscire dal nucleo diventando RNA messaggero.

Il codice genetico: la sequenza di nucleotidi che compone l'RNA contiene le informazioni


necessarie ad ottenere gli amminoacidi: è il cosidetto codice genetico. Ogni sequenza di 3 basi (lettere)
lungo la catena polinucleotidica dell'RNA è il codone, che specifica un particolare amminoacido.
L'anticodone è un gruppo di 3 basi che si trova verso la metà della sequenza del tRNA e costituisce il sito
di appaiamento fra basi complementari con l'mRNA. Il codice genetico crea una corrispondenza tra i
codoni ed i loro specifici amminoacidi. Con 4 basi (lettere) si pssono scrivere 64 (4 alla terza) codoni, ma
gli amminoacidi specificati da questi codoni sono solo 20. Il codone di inizio che avvia la traduzione è
AUG. Tre codoni UAA; UAG; UGA sono detti codoni di stop perché hanno la funzioen di segnali di
terminazione della traduzione, quando uno di questi codoni vengono raggiunti, la traduzione si interrompe
e il polipeptide si stacca. Il codice genetico ha 2 caratteristiche: è degenerato perché i 60 codoni sono
molto più di quelle necessari per codificare i 19 amminoacidi, perciò a quasi tutti gli amminoacidi
corrispondono più codoni, Inoltre è universale, poiché nella maggior parte delle specie un codone
specifica sempre lo stesso amminoacido.

I ribosomi sono composti da due subunità, una maggiore e una minore che si uniscono solo durante la
traduzione. La subunità maggiore è composta da 3 molceole diverse di RNA ribosomiale e 45 molecole
proteiche diverse, mentre la minore contiene solo una molecola di rRNA e 33 molecole proteiche
differenti. Sulla subunità maggiore si trovano 3 siti di legame per i tRNA: Sito A (amminoacido) dove
l'anticodone del tRNA carico si lega al codone dell'mRNa, allineando l'amminoacido che va aggiunto alla
catena polipeptidica in crescita; Sito P (peptidico) dove il tRNA cede il proprio amminoacido alla catena
polipeptidica in crescita ed infine il sito E (uscita) dove il tRNA ha consegnato il proprio amminoacido
prima di staccarsi dal suo ribosoma, tornare nel citosol e raccogliere un'altra molecola di amminoacido
per ricominciare il processo.

La traduzione (sintesi proteica): la traduzione si divide in 3 fasi: la prima, detta inizio,


comincia con la formazione di un complesso di inizo costituito da un tRNA con il primo amminoacido
della catena polipetidica e da una subunità ribosomiale minore entrambi legati all'mRNA. Quindi l'rRNA
della subunità minore si lega ad un sito di legame complementare lungo l'RNA che dà inizio al processo.
In seguito il tRNA si lega all'mRNA, e la subunità maggiore del ribosoma si unisce al complesso. A
questo punto il tRNA scorre nel sito P del ribosoma, mentre il sito A si allinea al secondo codone
dell'mRNA. Tutto ciò è tenuto unito da un gruppo di proteine dette fattori di inizio. A questo punto inizia
la seconda parte, detta allungamento, in cui nel sito A della subunità maggiore entra il tRNA carico.
Quindi la subunità maggiore rompe il legame fra il tRNA nel sito P ed il suo amminoacido, catalizzando
la formazione di un legame peptidico fra questo amminoacido e quello del sito A legato al tRNA. In
seguito il primo tRNA si sposta nel sito E, mentre il secondo nel sito P e tutto ciò avviene con la
partecipazione di proteine dette fattori di allungamento. Infine nell'ultima parte, detta terminazione, uno
fra i 3 codoni di stop entra nel sito A e si lega ad un fattore di rilascio che permette l'idrolisi del legame
fra la catena polipetidica e il tRNA del sito P. A questo punto il polipeptide terminato si separa dal
ribosoma.

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