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Il DNA

Il materiale ereditario fu isolato per la prima volta nel 1869 dal medico tedesco
Friedrick Miescher e fu chiamato nucleina.
In seguito la nucleina fu rinominata acido nucleico e poi acido desossiribonucleico
(DNA).
Negli anni Venti del Novecento gli scienziati non sapevano se il materiale ereditario
fosse costituito da proteine o da DNA.
I biologi avevano presupposto che il materiale genetico dovesse essere presente in
qualità differenti a seconda della specie, aveva la capacità di duplicarsi e era in grado
di agire all’interno della cellula regolandone lo sviluppo.
Essi si concentrarono sulle proteine perché presentano una grande varietà di strutture
e funzioni specifiche, sono presenti anche nel citoplasma e una loro variazione può
essere determinata da malattie genetiche.

Griffith
Lo scienziato Griffith studiò lo pneumococco e il suo scopo era sviluppare un vaccino
contro esso. Lavorò con due diversi ceppi: il ceppo S (liscio) che era virulento e il
ceppo R (ruvido) non virulento.
Iniettando questi ceppi in due topi diversi, quello con il ceppo S moriva e l’altro no.
Quindi, grazie al calore, uccise i batteri di ceppo S e li inoculò di nuovo nel topo che
non morì. Somministrò ad un altro topo batteri di ceppo R assieme a quelli di ceppo S
uccisi e il topo morì. Esaminandolo trovò che i batteri all’interno del topo erano vivi
e ciò stava a significare che una sostanza nelle cellule morte trasformava
geneticamente quelle vive. Questa fu chiamata fattore di trasformazione.

Avery
Partendo dagli esperimenti di Griffith, Avery prese dei batteri di ceppo S uccisi e
dividendoli in tre diverse provette aggiunge enzimi che uccidevano l’RNA (RNasi),
le proteine (proteasi) e il DNA (DNasi). Poi aggiunse i batteri di ceppo R e ciò che
ne risultò fu che le colture trattate con RNasi e proteasi contenevano batteri di ceppo
S trasformati mentre quelle trattate con DNasi contenevano batteri solo di ceppo R.
Quindi la sostanza trasformante era il DNA.

Hershey e Chase
Questi due scienziati lavorarono con un virus che infettava i batteri, il fago T2,
composto da una molecola di DNA impacchettata da un rivestimento di proteine.
Quando questo virus attacca il batterio, i geni del suo DNA iniziano a produrre nuovi
virus.
Marcarono i fagi sia con lo zolfo S35, contenuto nelle proteine, che con il fosforo
P32, presente nel DNA. I batteri vennero infettati dai fagi e poi centrifugati.
La centrifugazione fa depositare i batteri sul fondo della provetta a formare un pellet.
I virus stanno nel liquido sopra. La maggior parte di P32 restava nel pellet con i
batteri, mentre lo zolfo si trovava nel liquido sovrastante insieme al virus.
Questo esperimento dimostrò che nel DNA è contenuta l’informazione genetica.
Franklin e Wilkins
La scienziata Franklin ebbe l’idea di utilizzare la cristallografia dei raggi X per
stabilire come fossero disposti gli atomi nel DNA. Wilkins aiutò la Franklin grazie al
suo lavoro di costruzione di campioni di DNA con fibre orientate in modo regolare.
Le cristallografie della Franklin suggerirono anche che la molecola fosse a doppia
elica.

Chargaff
Il DNA era un polimero di nucleotidi costituiti da una molecola di zucchero ribosio,
un gruppo fosfato e quattro basi azotate, le purine, adenina e guanina, e le pirimidine,
la timida e la citosina.
Ciò che si scoprì grazie a Chargaff fu che la percentuale dei quattro tipi di
nucleotidi era sempre la stessa, la composizione delle molecole non era influenzata
da fattori esterni, la quantità dell’adenina è uguale a quella della timina e quella della
citosina uguale a quella della guanina, quindi la quantità di purine è uguale a
quella delle pirimidine.

Watson e Crick
Questi due fisici misero assieme tutte le scoperte fatte dai loro predecessori e
crearono il primo modello tridimensionale di DNA a doppia elica.
Le informazioni erano:
• la molecola a doppia elica che proveniva dalla cristallografia;
• due catene polinucleotidiche che andavano in verso opposto e quindi erano
antiparallele;
• la quantità delle purine era la stessa delle pirimidine.

La struttura del DNA


La molecola ha tre caratteristiche fondamentali:
• le due catene sono complementari e antiparallele;
• i legami che si creano tra i nucleotidi sono covalenti mentre quelli che uniscono i
filamenti appaiati sono ad idrogeno;
• l’elica ha diametro costante e avvolgimento destrogiro;
• l’avvolgimento crea un solco maggiore e uno minore.

Ogni catena è formata da una sequenza di nucleotidi uniti mediante legami covalenti
tra il gruppo fosfato legato al carbonio 5’ di un nucleotidi e l’ossigeno legato al
carbonio in posizione 3’.
Le due catene sono tenute assieme da legami ad idrogeno tra le basi, che sono
rivolte verso il centro e si appaiano in modo specifico; zuccheri e gruppi fosfato sono
disposti verso l’esterno e formano l’ossatura verticale della molecola.
L’appaiamento delle basi azotate avviene secondo regole: l’adenina si appaia con la
timina e la citosina con la guanina.
Il legami ad idrogeno che formano A e T sono 2, mentre quelli che formano G e C
sono 3.
I due filamenti sono antiparalleli, orientati in direzioni opposte.
Si nota il verso guardando la disposizione dei gruppi terminali liberi. Ogni catena ha
ad un’estremità, detta estremità 5’, un gruppo fosfato, e ad un’altra, detta estremità
3’, un gruppo ossidrile. Nella doppia elica, all’estremità 5’ di un filamento
corrisponde quella 3’ dell’altro.
La molecola a doppia elica si può considerare come una scala a pioli in cui i montanti
sono gruppi fosfati e zuccheri e i gradini sono le basi azotate. L’elica compie un giro
completo ogni 10 coppie di basi.
Le informazioni genetiche sono contenute nelle sequenze lineari delle basi azotate.
Tali sequenze possono immagazzinare un’enorme quantità di informazioni.
La duplicazione avviene grazie ad uno dei due filamenti che fa da stampo per il
nuovo filamento.

La duplicazione del DNA


La duplicazione del DNA è di tipo semiconservativo, cioè che ogni filamento fa da
stampo per uno nuovo, così le due nuove molecole avranno un filamento vecchio e
uno nuovo.
Per la duplicazione semiconservativa è richiesto, oltre ai nucleotidi trifosfato, anche
un primer, cioè un filamento di DNA che serve da punto di partenza, e diverse
proteine.
La duplicazione avviene in due fasi:
• enzimi specifici despiralizzano la doppia elica e rompono i legami a idrogeno tra
le coppie di basi appaiate e i due filamenti di DNA si allontanano;
• avviene la sintesi dei nuovi filamenti grazie all’enzima DNA polimerasi, che
aggiunge nucleotidi all’estremità 3’; il nuovo nucleotide trifosfato si lega al
gruppo -OH in 3’ attraverso un legame fosfodiestere.
L’energia necessaria si recupera dalla rottura dei legami tra un fosfato di un
nucleotidi e gli altri due gruppi fosfato.

Il meccanismo di duplicazione
Il complesso di duplicazione è un complesso proteico che si lega al DNA in
corrispondenza dell’origine di replicazione (ori).
La duplicazione è bidirezionale: il DNA si replica in due direzioni opposte,
formando due diverse forcelle di duplicazione. Entrambi i filamenti della molecola
di partenza fanno da stampo.
Tramite la rottura dei legami ad idrogeno tra le basi azotate, vediamo l’apertura
localizzata del DNA. Il meccanismo di duplicazione è molto rapido. Inizia
contemporaneamente da più punti ori.
La DNA polimerasi lavora in una sola direzione, in quanto aggiunge nucleotidi solo
all’estremità 3’ del filamento.
L’allungamento procede in modo diverso:
● la sintesi del filamento che ha l’estremità 3’ libera in corrispondenza della
forcella procede in modo continuo: questo è detto filamento veloce;
● la sintesi dell'altro filamento, detto filamento lento, procede in modo
discontinuo e a ritroso.Ciò accade perchè questo filamento punta nella
direzione sbagliata: la forcella si apre e la sua estremità 3’ si libera ma si
allontana dal punto di apertura, facendo formare uno spazio vuoto.
Per risolvere questo problema vengono prodotti segmenti discontinui, detti
frammenti di Okazaki, che vengono poi uniti insieme.

La correzione degli errori di duplicazione


La DNA polimerasi compie un numero notevole di errori.
Le cellule hanno almeno tre meccanismi di riparazione:
● una correzione di bozze, che corregge gli errori a mano a mano che vengono
fatti;
● una riparazione delle anomalie di appaiamento, che esamina il DNA subito
dopo che si è duplicato e corregge gli errori;
● una riparazione per escissione, che rimuove le basi anomale e le sostituisce
con basi funzionali.
La DNA polimerasi svolge la funzione di correzione di bozze. Dopo la duplicazione
una serie di proteine esamina la molecola neonata in cerca di errori. Le molecole di
DNA si possono danneggiare a causa di radiazione ad alta energia, di agenti
chimici mutageni e di reazioni chimiche spontanee. Proprio per questi danni entra
in campo la riparazione per escissione. Appositi enzimi ispezionano il DNA e
tagliano via l’eventuale filamento difettoso. Viene eliminata la base colpevole e
quelle adiacenti e attaccata una nuova sequenza.

Beadle e Tatum.
Ogni gene produce un enzima.
Coltivarono delle muffe che potevano catalizzare le reazioni metaboliche necessarie
alla formazione di costituenti chimici della cellula. Sottoposero un ceppo ai raggi X
(agenti mutanti) e esaminarono le muffe.
Alcuni ceppi mutanti non erano capaci di svilupparsi ma potevano farlo con
sostanze nutritive. Venne individuata la sostanza che sosteneva la crescita. Si stabilì
che ogni mutazione di un gene causasse la perdita di funzionalità di un enzima di
quel gene. “Un gene, un enzima”

Questa relazione subì dei cambiamenti in quanto sappiamo che un gene è una
sequenza di nucleotidi e non tutte le proteine che influiscono su questi sono enzimi.
Spesso le proteine sono formate da catene di polipeptidiche. La funzione di un gene
è, quindi, il controllo della riduzione di un singolo polipeptide. Il gene non lo
costituisce direttamente ma fornisce le informazioni che la cellula traduce in
catene polipeptidiche. Un gene esprime un singolo polipeptide. “Un gene, un
polipeptide”

La trascrizione e la traduzione
Alcuni processi consentono di passare dal DNA alle proteine. Il DNA detiene
l’informazione genetica e sta nel nucleo, mentre le proteine stabiliscono il fenotipo
e sono sintetizzate nel citoplasma.

Dogma centrale della biologia molecolare: il gene è un tratto di DNA contenente


le informazioni che servono alla formazione di una catena polipeptidica, ma la
proteina non contiene l’informazione per la creazione di altre proteine, del DNA e
dell’RNA.
Crick formula due ipotesi riguardo gli spostamenti dell’informazione e riguardo i
rapporti tra DNA e proteine

La trascrizione e l’ipotesi del messaggero


L’informazione passa dal nucleo al citoplasma grazie ad una molecola di RNA che
si forma da un filamento di DNA di un particolare gene. L’RNA messaggero si
sposta dal nucleo al citoplasma e serve da stampo per la sintesi delle proteine. Il
processo di formazione di questo RNA si chiama trascrizione. È stato scoperto un
virus, chiamato retrovirus, che contiene una molecola di RNA, in grado di ricopiare
quest’ultima in DNA, in quanto possiede un enzima virale chiamato trascrittasi
inversa.

La traduzione e l’ipotesi dell’adattatore


Una sequenza di DNA si trasforma in una di amminoacidi di polipeptidi grazie ad
una molecola adattatrice che si lega ad un amminoacido e riconosce una
sequenza di nucleotidi. Questa molecola, che si chiama RNA transfer, è costituita
da una parte che svolge la funzione di legame e dall’altra che svolge la funzione di
riconoscimento.
IL tRNA traduce il linguaggio del DNA in proteine. Questa molecola si lega agli
amminoacidi lungo la sequenza di mRNA e inizia un processo chiamato
traduzione.

L’RNA
L’intermediario tra il gene e il polipeptide è l’RNA ( acido ribonucleico) che è
formato da un filamento, la molecola di zucchero presente è il ribosio e ha tre basi
azotate uguali al DNA (adenina, guanina e citosina) e al posto della timida ha
l’uracile. L’RNA si appaia alle basi di un tratto di DNA (stesse regole di
appaiamento, ma con l’adenina va l’uracile).
Le principali classi di Una sono:
• l’RNA messaggero ( l’intermediario), che porta una copia delle informazioni di un
tratto di DNA ai ribosomi;
• l’RNA transfer (l’adattatore), che porta gli amminoacidi ai ribosomi e li colloca
nella giusta posizione, grazie ad una complessa struttura tridimensionale;
• l’RNA ribosomiale, che permette di realizzare la sintesi proteica.
La trascrizione
All’interno di ciascun gene è solo un filamento a fare da stampo e non entrambi
contemporaneamente.
La trascrizione dà origine a una molecola di mRNA da un filamento stampo di
DNA. Avviene in tre tappe: inizio, allungamento e terminazione.
Il primo stadio richiede un promotore, un speciale sequenza presente nella molecola
di DNA, che dia inizio alla trascrizione e alla quale si lega l’RNA polimerasi. I
promotori dicono all’RNA dove iniziare, quale filamento trascrivere e in quale
direzione. Ogni promotore è un sito di inizio da dove inizia la trascrizione.
Il secondo stadio è l’allungamento. La RNA polimerasi apre il DNA e legge il
filamento stato in direzione 3’-> 5’. La RNA aggiunge nucleotidi all’estremità 3’
del filamento stampo e quindi la direzione in cui cresce è 5’->3’.
L’RNA trascritto è antiparallelo al filamento stampo del DNA. Quando l’RNA
polimerasi raggiunge il sito di terminazione, il trascritto di RNA viene rilasciato
dallo stampo.

Il codice genetico
Il codice genetico permette la traduzione dalla sequenza di nucleotidi alla
sequenza di amminoacidi.
Esso è stato identificato e decifrato da Marshall Nirenberg nel 1961.
Il codice genetico è organizzato in codoni. Un codone, o tripletta, è una «parola» di
tre lettere (basi azotate) che corrisponde a un amminoacido.
Più codoni insieme formano una «frase» che si traduce in una proteina.
Il codice genetico è formato da 64 codoni, ma gli amminoacidi specificati da questi
codoni sono solo 20.
Il codone di inizio è AUG (metionina) che avvia la traduzione e i codoni di stop
(che bloccano la traduzione) sono UAA, UAG e UGA.
In tutte le specie ogni codone corrisponde allo stesso amminoacido.
Per questo motivo, il codice genetico è detto universale.
I codoni sono molti di più rispetto agli amminoacidi. Si dice pertanto che il codice è
ridondante o degenerato, poiché triplette diverse codificano per lo stesso
amminoacido. Il codice però non è ambiguo, poiché un dato codone codifica per
un solo amminoacido.

Il ruolo del tRNA


Il tRNA svolge una funzione importantissima, in quanto è proprio lui che collega e
mette in relazione l’informazione contenuta nei codoni (3 nucleotidi)  dell’mRNA
con gli amminoacidi delle proteine. Il tRNA deve quindi leggere perfettamente i
codoni e fornire gli amminoacidi che corrispondono a quelle particolari lettere. Le
funzioni del tRNA possono essere così schematizzate:
• si carica di un amminoacido;
• si associa alle molecole di mRNA;
• interagisce con i ribosomi.
Anche la sua struttura, quindi, sarà in rapporto con tutte queste funzioni. Per ogni
amminoacido (circa 20 nelle proteine) c’è almeno un tipo specifico di tRNA. Verso
la metà della sequenza del tRNA si trova l’anticodone: tre basi, che costituiscono
il sito di appaiamento tra basi complementari con l’mRNA (attraverso legami a
idrogeno). Ogni tRNA contiene un particolare anticodone, che corrisponde al
proprio amminoacido. All’estremità 3′ di ogni molecola di tRNA invece si trova il
sito di attacco.
C’è una famiglia di enzimi che permette il caricamento di ogni tRNA con il
proprio amminoacido: gli amminoacil-tRNA-sintetasi (ogni enzima è specifico per
un solo amminoacido e per il suo tRNA corrispondente).

I ribosomi
Un ruolo importante è svolto dai ribosomi, strutture complesse in grado di
assemblare una catena di polipeptidi. I ribosomi non sono specifici per la sintesi di
un solo polipeptide ma per tutti i tipi di tRNA carichi.
Ogni ribosoma è costituito da 2 subunità. Negli eucarioti, quella maggiore è
composta da tre molecole di RNA ribosomiale e 45 molecole proteiche differenti;
la subunità minore è formata da una sola molecola di rRNA e 33 molecole
proteiche differenti.
Nella subunità maggiore ci sono 3 siti in cui si può attaccare il tRNA:
• Sito A: l’anticodone acido di tRNA si attacca al codone dell’mRNA e va aggiunto
alla catena polipeptidica in crescita;
• Sito P: il tRNA cede il proprio amminoacido alla catena polipeptidica in crescita;
• Sito E: il tRNA che ha appena lasciato l’amminoacido è pronto per staccarsi,
tornare nel citosol e raccogliere un’altra molecola di amminoacido e ricominciare il
processo.

Le fasi del processo

Caricamento del tRNA: i tRNA si legano agli amminoacidi. Ogni tRNA è


specifico per un amminoacido. All’origine di questi legami, come accennato prima, ci
sono gli amminoacil-tRNA-sintetasi (enzimi). Ogni cellula ne possiede circa 20,
uno per ciascun amminoacido utilizzato nelle proteine.

Inizio:
La subunità minore del ribosoma si lega alla sua sequenza di riconoscimento
sull’mRNA. Il tRNA caricato con la metionina si lega sul codone d’inizio AUG,
completando così il processo d’inizio. La subunità maggiore del ribosoma si unisce
al complesso d’inizio, mentre il tRNa caricato con la metionina occupa il sito P.
L’anticodone di un tRNA in ingresso si lega al rispettivo codone nel sito A, che si
è allineato al secondo codone dell’mRNA. Il secondo amminoacido si unisce al
primo grazie all’attività della subunità maggiore. Il tRNA scarico si sposta nel sito
E per poi essere rilasciato quando il ribosoma scorre in avanti di un codone.

Allungamento:
L’allungamento avviene in tre passaggi: nel primo un tRNA carico occupa il sito A
formando insieme a loro un complesso. Successivamente l’anticodone sul tRNA si
appaia con il codone sull’mRNA. A questo punto si formerà il legame peptidico tra
gli amminoacidi attaccati al tRNA nei siti P e A. La formazione di questo legame
(che avviene nella subunità maggiore del ribosoma) peptidico libera l’amminoacido
dal suo tRNA nel sito P. Ultimo passaggio è la traslocazione, ovvero il movimento
del ribosoma lungo l’mRNA durante la traduzione in direzione 5′→3′. Questo
passaggio posiziona il ribosoma sul codone successivo, per continuare il processo.
Il ribosoma si sposta in modo tale che il tRNA, che in precedenza occupava il sito P,
ora passa a occupare il sito E, dal quale entra nel citoplasma, dove può essere
ricaricato con un altro amminoacido. Con la traslocazione anche il tRNA che
occupava il sito A viene ora a trovarsi nel sito P, lasciando libero il sito A. (che potrà
così ricevere un altro tRNA).
L’avanzamento di ogni tRNA attraverso il ribosoma può essere così schematizzato:
citoplasma → sito A → sito P → sito E → citoplasma (ad eccezione del tRNA
iniziatore, che si attacca direttamente al sito P e non transita mai in A). Il ciclo di
allungamento si ripete.

Terminazione e rilascio del polipeptide:


La sintesi proteica termina quando il ribosoma raggiunge il codone di stop. Poiché
non esistono tRNA con anticodoni complementari ai codoni di stop, quando il
ribosoma si imbatte in un codone di stop, nessun tRNA può entrare nel suo sito
A. Si legano al ribosoma delle proteine, chiamate fattori di rilascio e questi legami
promuovono il distacco del tRNA situato nel sito P dalla catena polipeptidica e il
rilascio del polipeptide.

L’operone
Tra il promotore e i geni strutturali (geni che hanno funzione enzimatica nel
metabolismo cellulare ma non codificano per una proteina) si trova un segmento di
DNA, l’operatore, capace di legare una proteina regolatrice, detta repressore.
Quando il repressore si lega all’operatore, la RNA polimerasi non può agire sulla
trascrizione. Quando il repressore non è legato all’operatore, l’mRNA procede
regolarmente. L’intera unità formata da geni strutturali e sequenze regolatrici viene
detta operone. Ognuno di questi è controllato da uno specifico gene regolatore, che
codifica il repressore.
Negli operoni inducibili, il repressore blocca stabilmente l’operatore e viene
rimosso solo quando giunge un segnale esterno, una molecola detta induttore, che ne
causa il distacco.
Negli operoni reprimibili, il repressore entra in funzione solo in presenza di una
molecola esterna, il corepressore, che lo rende capace di legarsi all’operatore.
La caratteristica principale del repressore è quella di cambiare forma per legarsi
all’operatore.

L’operone lac
I batteri riescono ad adattarsi facilmente ai cambiamenti dell’ambiente in cui
vivono, grazie a meccanismi che modificano l’espressione dei geni all’inizio della
trascrizione. Un esempio è l’operone lac di Escherichia coli che sintetizza gli
enzimi del metabolismo del lattosio. Nei batteri un operone è un gruppo di geni
trascritti in maniera ordinata in un unico RNA. E.coli per ricavare energia usa
preferibilmente il glucosio, ma in assenza usa il lattosio. Questa attività è data da
alcune proteine dette attivatori, che innescano la trascrizione di un gene, mentre
altre proteine dette repressori possono inibirla.
L’operone lac è formato da sequenze regolatrici e tre geni strutturali: lac Z, lac Y
e lac A. Tutte e tre sono coinvolte nel metabolismo del lattosio. Il gene lac Z codifica
per l’enzima beta-galattosidasi, che scinde il lattosio nei suoi due componenti,
glucosio e galattosio.
L’operone lac è inducibile, ciò attivato solo se presente un induttore, in questo caso
allolattosio, un derivato del metabolismo del lattosio. In assenza del lattosio
interviene un repressore che si lega ad un sito specifico sul DNA, detto operatore.
Questo legame blocca la trascrizione dei geni, perché impedisce all’RNA
polimerasi di legarsi. Se la concentrazione di lattosio aumenta, aumenta anche
quella dell’allolattosio. Questa molecola si lega al repressore che cambia
conformazione e si stacca dal DNA. A questo punto l’RNA polimerasi può
trascrivere i geni lac Z, lac Y e lac A. La trascrizione viene regolata anche dalla
concentrazione di glucosio. Se questo non è presente nell’ambiente la trascrizione
dell’operone lac è stimolata da un attivatore, che contribuisce a collocare la
polimerasi nella giusta posizione. Se invece la concentrazione di glucosio
aumenta, questo agisce indirettamente sull’attivatore che non è più in grado di
legarsi all’RNA. Il questo caso il legame tra DNA e RNA polimerasi non è stabile
e vengono sintetizzati poche molecole di RNA messaggero. Quando a
concentrazione di lattosio diminuisce, le molecole di allolattosio si separano dal
repressore, che cambia nuovamente conformazione e si lega al DNA bloccando la
trascrizione. Grazie al meccanismo di regolazione dell’operone lac, l’E.coli può
adattarsi alla migliore fonte energetica disponibile.
Questi meccanismi permettono di regolare la sintesi in modo che avvenga solo
quando è necessaria.

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