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DUPLICAZIONE DEL DNA

Fu la risoluzione del DNA nel 1940 a chiarire come la complementarietà tra i filamenti di DNA potesse
essere utilizzata come base per la replicazione.

Watson e Crick nella loro pubblicazione scrissero:

“non è sfuggito ai nostri occhi che lo specifico appaiamento che noi abbiamo immaginato immediatamente
suggerisce un possibile meccanismo di copia per il materiale genetico”.

Nel 1950 stabilito che il DNA potesse essere la molecola che portava l’informazione genetica si iniziò a
ragionare su come potesse essere duplicato, vennero fuori 3 teorie:

1. Conservativa: manterrebbe integra la molecola originaria, generandone una completamente


nuova.
2. Dispersiva: produrrebbe due molecole in cui i filamenti sarebbero costituiti da frammenti di DNA
vecchio e neosintetizzato dispersi.
3. Semiconservativa: produrrebbe molecole di DNA contenente un intero filamento nuovo e un intero
filamento vecchio. Questa è la teoria che è risultata poi giusta.

Questo esperimento dimostrò


che la replicazione del DNA è
semiconservativa.

Usarono cellule di E. coli


cresciute in un mezzo di coltura
in cui i precursori delle basi del
DNA erano marcati con
l’isotopo dell’azoto 15N (azoto
‘‘pesante’), questo per variare il
peso tra il nuovo e il vecchio
DNA.

Il DNA normale è con azoto 14.

Dopo avere fatto replicare una volta sola le cellule marcate con azoto ‘‘pesante’’ in un mezzo di coltura con
azoto normale ci si aspettava:

 In base all’ipotesi conservativa si sarebbero dovute formare due bande, una interamente di azoto
15 e una interamente di azoto 14, ma così non fu.

Dopo la seconda replicazione:

 In base all’ipotesi dispersiva dal momento che si sarebbero dovute mescolare insieme ci si
aspettava un'unica banda, ma così non fu.

Quello che compariva era invece una banda ibrida ovvero formata da un filamento parentale e uno di
nuova sintesi, quindi si concluse che la replicazione è semiconservativa.
Il processo di duplicazione può essere suddiviso in 3 fasi:
I problemi collegati all’inizio e alla
 INIZIO terminazione sono risolti in maniera
 ALLUNGAMENTO: solitamente, come in tutti gli altri diversa da procarioti ed eucarioti
processi che riguardano il DNA, è uguale per i procarioti e
gli eucarioti.
 TERMINAZIONE

La sintesi del DNA è catalizzata dalla DNA polimerasi.

Nel 1956 Arthur Kornerberg scoprì per la prima volta la DNA polimerasi di E. Premio Nobel 1959 per
la Medicina.
Coli, si cominciarono a stabilire delle cose che poi si sono rivelate valide per tutte le
altre polimerasi di tutti gli altri organismi e anche dell’uomo.

Tutte le DNA polimerasi per funzionare hanno bisogno di:

 uno stampo: possono però esserci delle polimerasi stampo indipendente; lo stampo però non è un
substrato, non entra nella reazione, serve solo per copiare il filamento di nuova sintesi che invece
deve necessariamente allungare su un innesco.

 un innesco (o primer): un oligonucleotide preformato da una RNA polimerasi, questo perché non è
possibile cominciare una sintesi ex novo, quindi si parla di DNA a singolo filamento che dirige
l’aggiunta alla catena neosintetizzata dei deossinucleotidi complementari.

È molto più corto, e deve presentare, alla sua estremità un gruppo 3’-OH, quest’estremità verrà
allungata man mano che i nucleotidi verranno aggiunti.

 i 4 deossinucleosidi trifosfato: dGTP, dCTP, dATP, dTTP, hanno 3 gruppi fosforici attaccati al 2’-
desossiribosio tramite un legame 5’-ossidrilico.

È vero che lo stampo non fa parte della reazione, ma se non ho un complesso innesco-stampo ben appaiato
la maggior parte delle DNA polimerasi non funziona.

Tutte le DNA polimerasi catalizzano la polimerizzazione del DNA in direzione 5’-3’, valido anche per
l’RNA.

Il legame fosfodiesterico si
forma mediante una
sostituzione nucleofila, SN₂,
in cui il gruppo ossidrilico
all’estremità 3’ dell’innesco si
attacca al fosfato α del
nucleotide trifosfato che
deve essere polimerizzato.

Il filamento stampo
determina quale dei 4
nucleosidi trifosfato deve
essere aggiunto alla catena di
nuova sintesi, quello che
risulta complementare sarà allora altamente favorito e quindi legato all’innesco.
L’idrolisi del pirofosfato è dunque il motore per la sintesi del DNA.

Se non ci fosse la fuoriuscita di pirofosfato e idrolisi successiva di pirofosfato la reazione non avrebbe un ΔG
favorevole per avvenire, ecco perché si devono avere per forza i trifosfato, perché ci vuole l’attacco, ci
vuole la fuoriuscita del pirofosfato e ci vuole l’idrolisi successiva del pirofosfato, affinché il ΔG della reazione
sia sufficientemente negativo da consentire uno spostamento della reazione verso destra e cioè verso i
prodotti.

Le polimerasi per funzionare hanno bisogno di un cofattore.

Molti enzimi hanno necessità di utilizzare cofattori che possono essere dei piccoli ioni
o anche molecole più grandi che aiutano la catalisi enzimatica,
senza i quali l’enzima non può funzionare.

La DNA polimerasi ha bisogno di due ioni bivalenti che in genere sono il magnesio o lo zinco.

Il sito attivo della polimerasi formerà tutta una serie di legami con il nucleotide entrante e i cationi bivalenti,
uno serve per rendere
più nucleofilo il 3’ OH e
quindi è posizionato in
prossimità del 3’ OH;
l’altro serve per
stabilizzare le cariche
negative di questi tre
fosfati che entrano in fila
all’interno del sito attivo
e quindi è posizionato
più in profondità in
questa tasca.

Il sito attivo della


polimerasi controlla la
geometria della coppia
di basi che si viene a
formare attraverso la
formazione di legami a idrogeno con il solco minore della doppia elica neosintetizzata.

La velocità di incorporazione di un nucleotide non corretto è 10000 volte inferiore rispetto a quella di un
nucleotide corretto.

Questa differenza dipende da un’esclusione sterica che coinvolge il sito attivo della
polimerasi, infatti, il suo sito di legame al nucleotide è troppo piccolo per permettere
la presenza di un 2’-OH sul nucleotide.

crea ingombro sterico e non permette la formazione di alcuni legami


di van der Waals con l’anello dello zucchero.

La reazione può anche avvenire, ma a questo punto l’enzima non fa più, o meglio la velocità della reazione
si riduce di 10 mila volte, perché una delle caratteristiche degli enzimi è l’avvicinamento dei substrati e se
non si riesce ad avvicinare l’OH con il fosfato in α, la reazione diventa molto più lenta e quindi di fatto il
nucleotide esce dal sito attivo e non viene aggiunto alla catena nascente, quindi è un controllo cinetico
della reazione.
La struttura tridimensionale della DNA polimerasi somiglia ad una mano destra.

I 3 domini che
formano la polimerasi
vengono chiamati:
pollice, dita e mano.

Il palmo è composto da foglietti β e contiene il sito catalitico, qui entrano lo stampo, il primer e il
nucleotide che deve essere polimerizzato.

Le dita legano i dNTP che devono essere polimerizzati grazie ad alcuni residui amminoacidici localizzati al
loro interno.
Una volta formatasi una corretta coppia
di basi, si ha una rotazione dell’elica di
40°,
pone il nucleotide in una posizione
ottimale per catalizzare il successivo
legame fosfodiesterico.
Le dita entrano in contatto anche con la
regione dello stampo piegando di circa
90° il legame fosfodiesterico tra la prima
e la seconda base dello stampo.

Questa curvatura permette di esporre al


sito catalitico solo la prima base dello
stampo che si trova dopo l’innesco ed
elimina qualsiasi confusione nella scelta
del nucleotide dello stampo che deve
appaiarsi con il successivo nucleotide da
polimerizzare.
Il nucleoside viene mantenuto all’interno del sito attivo finche non avviene la polimerizzazione tramite,
interazioni di Van der Waals di una tirosina con la base e qui ci sono lisine e arginine che stabilizzano i
fosfati, oltre ai cationi e quindi aiutano l’ingresso di questo nucleotide e quindi la chiusura da parte delle
dita facilita la reazione.

Il pollice non è direttamente coinvolto nella catalisi, ma interagisce con il DNA neosintetizzato con due
scopi:
 mantiene nella corretta posizione l’innesco e il sito attivo
 stabilizza il complesso fra la DNA polimerasi e il substrato.
La catalisi mediata dalla DNA polimerasi è un evento rapido, è capace di polimerizzare circa 1000
nucleotidi al secondo.
Questa velocità è principalmente dovuta alla processività dell’enzima.

Il grado di processività viene definito come il numero medio di nucleotidi polimerizzati


dall’enzima ogni volta che si lega a una giunzione innesco-stampo.

Ogni DNA polimerasi è caratterizzata da una propria processività che può variare da pochi nucleotidi a più
di 50 000 basi aggiunte per ogni legame.

Le polimerasi si definiscono processive, perché molte polimerasi riescono a legarsi al complesso innesco-
stampo e a non staccarsi per un bel po’ di tempo, più tempo restano legate al complesso innesco-stampo e
più sono processive.

Una volta legata alla giunzione innesco-stampo, la DNA polimerasi interagisce strettamente, in maniera non
sequenza specifica, con la parte del DNA a doppio filamento.

La natura sequenza indipendente permette un rapido


scorrimento della DNA polimerasi.

Un altro aumento della processività può essere dato dall’interazione con proteine accessorie.

Nel duplicare il DNA viene fatto un errore ogni 10⁹ nucleotidi copiati.

Il maggior limite nella precisione della DNA polimerasi è dato dall’occasionale trasformazione di una base in
una forma tautomerica errata.

Le forme tautomeriche delle basi sono presenti con una frequenza di 1 su 10⁵.

La rimozione dei nucleotidi errati è mediata dall’esonucleasi correttore di bozze.

È capace di demolire il DNA a partire da un’estremità 3’ dalla catena che si sta allungando,
in modo che la DNA polimerasi può aggiungere nuovamente il corretto nucleotide.

La presenza dell’attività esonucleasica è strettamente dipendente dalla necessità della DNA polimerasi di un
complesso innesco-stampo con le estremità correttamente appaiate.

Questo perché, tratti di DNA non correttamente appaiati alterano la geometria del 3’-OH,
determinando una debole interazione tra il nucleotide che deve essere polimerizzato e il
palmo della DNA polimerasi, riducendo in questo modo la velocità di catalisi.

Di conseguenza aumenta l’attività dell’esonucleasi correttore di bozze.

La correzione degli errori avviene senza che il DNA debba staccarsi dalla polimerasi, con l’esonucleasi
correttore di bozze si arriva ad un errore ogni 10⁷.

Al valore di errore ogni 10⁹ arriviamo perché nella cellula vi sono una serie di sistemi di riparazione che
intervengono dopo che la DNA polimerasi ha fatto il suo lavoro, per correggere gli errori sfuggiti.
Soltanto la replicazione nella direzione 5 ’3 ’ consente la correzione degli errori con una semplice
idrolisi.

Un nucleotide entrante con 3 fosfato porta


alla scissione del pirofosfato che viene poi
idrolizzato.

Se il nucleotide è errato questo viene


idrolizzato e al suo posto viene introdotto un
nuovo nucleotide e la reazione può andare
avanti.

Se questo avviene all’estremità 5’, il


nucleotide entrante idrolizza il pirofosfato e
si posiziona.
Se questo nucleotide è errato entra in gioco
la esonucleasi che lo idrolizza e lascia
l’estremità 5’ con 1 solo fosfato.

La reazione non potrebbe andare avanti.

Questa direzione di sintesi non riesce a far


funzionare l’esonucleasi correttore di bozze.

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