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BIOLOGIA MOLECOLARE

All’inizio si diede una


definizione molto generica
della biologia molecolare,
venne definita come lo
studio dei fenomeni
biologici a livello
molecolare.

Gli studi di genetica, e quindi tutta la storia alla base della biologia molecolare partono da Mendel.

I suoi esperimenti riassumono i


risultati di incroci tra piante di
piselli che differivano per
caratteristiche ben
determinate: forma dei semi, il
loro colore, forma del baccello,
e lunghezza del gambo.

Incrociando le piante cominciò a capire, con le sue varie leggi, che esistevano dei fattori ereditari e che
questi fattori ereditari, di cui lui allora niente sapeva, venivano trasmessi dal genitore alla progenie.
Concludendo che:

“le varie caratteristiche sono controllate da coppie di fattori (che oggi chiamiamo geni), uno di origine
paterna, l’altro di origine materna”.

Ed iniziò ad individuare cose come il carattere dominante e quello recessivo.

Ma quando Mendel fece le sue scoperte era un’epoca in cui la comunità scientifica non era assolutamente
pronta ad accettarle, per cui fu molto osteggiato da tantissimi ricercatori dell’epoca.

Nel frattempo però si stavano


facendo altri studi e si
cominciava a scoprire di cosa
fossero fatte le cellule e cioè
che non c’erano solo proteine
nel nucleo, ma c’era una
sostanza che Miescher (che
stava facendo degli esperimenti
sui bendaggi sporchi dei suoi
pazienti) chiamò nucleina e che
poi dopo che ne è stata
caratterizzata la struttura chimica è stata chiamata acido desossiribonucleico, DNA.
Dopo 50 anni, le teorie di Mendel vengono accettate da uno dei suoi più grandi osteggiatori, che era
Morgan, il quale fece egli stesso degli esperimenti e stabilì che i geni sono disposti in maniera lineare sui
cromosomi, quindi si comincia a dare un nome alle cose ed enuncia la teoria cromosomica
dell’ereditarietà. Morgan vinse il premio Nobel nel 1933.

L’esperimento di Griffith del 1928


fu uno dei primi esperimenti a
suggerire che i batteri sono in
grado di trasferire informazioni
genetiche attraverso un processo
noto come trasformazione.

Questa trasformazione da non


virulenti a virulenti rappresentava
modificazioni ereditarie nei
batteri e ciò fu dimostrato usando
dei discendenti di questi ceppi neo
patogeni per trasformare ulteriori
ceppi non patogeni.

Griffith stava studiando il batterio


Streptococcus pneumoniae, uno
degli agenti patogeni della
polmonite.

Per quanto riguarda il batterio che provoca la polmonite, lo si ritrovava sotto due aspetti diversi:

 Il batterio non infettivo aveva una capsula polisaccaridica che gli conferiva un aspetto rugoso.
 Il batterio infettivo invece non presentava tale capsula e quindi aveva un aspetto liscio.

Erano che il calore era in grado di rendere innocue le colture batteriche.

Griffith prese i batteri virulenti, li uccise al calore e li mise in presenza di quelli virulenti.

Dopodiché iniettò tali batteri, che riteneva non virulenti nei topi, ma noto che questi contraevano la
polmonite e morirono.

Esaminando il sangue di questi animali, Griffith lo trovò pieno di batteri vivi, molti dei quali dotati delle
caratteristiche del ceppo virulento S; egli concluse che in presenza degli pneumococchi S uccisi, alcuni degli
pneumococchi R vivi si erano trasformati in organismi del ceppo virulento S.

Intuì che era passato qualcosa da un ceppo batterico all’ altro, dal ceppo morto virulento all’ altro.

La trasformazione non dipendeva da qualcosa che avveniva nel corpo del topo, perché fu dimostrato che la
semplice incubazione in una provetta di batteri R vivi insieme a batteri S uccisi dal calore produceva la
stessa trasformazione.

All’epoca, nel 1938, lui non poteva sapere che cos’ era e i suoi esperimenti furono anche un po’ messi da
parte, non si capì l’importanza di questo esperimento che è alla base oggi anche di tutte le tecnologie di
manipolazione batterica e di altre cellule.
1944 Avery ebbe un’intuizione: si incominciava a capire che nelle cellule esistevano non solo le
proteine ma anche il DNA e l’RNA, oltre che i polisaccaridi, i lipidi e così via… doveva quindi capire quale di
queste componenti era passata da un ceppo all’altro e l’aveva reso virulento.

Cominciò a fare degli estratti dai batteri virulenti eliminando a man a mano ciascuna delle componenti,
perché fortunatamente aveva a disposizione le proteasi che già si conoscevano (tipo la tripsina) e quindi
incominciò ad eliminarle man mano, fino a che erano rimasti solo gli acidi nucleici che però sono due, DNA
ed RNA.

 Utilizzò la ribonucleasi e vide che l’effetto virulento non veniva perso


 Utilizzò la desossiribonucleasi e capì che quindi la funzione di trasferimento proveniva dal DNA.

Il suo esperimento è stato la prima trasformazione batterica della storia della genetica.

In quegli anni si facevano le più


importanti scoperte per la biologia
molecolare, per la caratterizzazione
degli acidi deossiribonucleici.

Chargaff nel 1949 che analizzò il


contenuto delle basi azotate e vide
grazie ad un semplice esperimento di
cromatografia su carta che qualunque
DNA lui prendeva da qualunque
organismo, aveva sempre che il
numero di adenine era uguale al
numero di timine, il numero di guanine
uguale al numero di citosine. Questa
fu una scoperta fondamentale per poi
risolvere la struttura del DNA.

Dal 1953 le scoperte sul DNA sono andate sempre più veloci, perché una volta scoperto come era fatto il
DNA si poterono fare una serie di esperimenti.

La parola dogma non si addice più a questo


principio, nel senso che il dogma è qualcosa
che non si dimostra, è qualcosa che si
accetta per fede e forse all’epoca un po’ era
così, non tutto era stato dimostrato. Oggi
invece si sa perfettamente e sono tutti
dimostrabili questi passaggi, e cioè che il
flusso dell’informazione genetica va dal
DNA alle proteine passando per la
molecola di RNA.

Tutti questi passaggi sono finemente regolati a tutti i livelli perché le proteine devono essere espresse
quando servono e nella quantità giusta. Se è vero che tutte le cellule del nostro corpo hanno lo stesso
patrimonio genetico è più vero che tutte le cellule del nostro corpo fanno cose diverse perché l’espressione
genica è quella che determina tutto.
Tutte le macromolecole biologiche
sono dei polimeri sostanzialmente,
quindi delle unità che si ripetono. I
mattoncini delle proteine sono gli
amminoacidi, così come i mattoncini
degli acidi nucleici sono i nucleotidi.

Gli amminoacidi sono legati tra loro


tramite legame peptidico.

(Riguardo l’ultimo punto)

non è vero il contrario, e cioè non è vero che


un gene determina un'unica proteina e
questo lo vedremo, ma una proteina con una
certa sequenza amminoacidica è codificata e
determinata da una certa sequenza
nucleotidica.

L’alfa elica e il beta foglietto sono le due principali strutture secondarie che sono state identificate nelle
proteine e sono date da legami idrogeno che non coinvolgono le catene laterali ma coinvolgono soltanto lo
scheletro, il backbone e cioè i gruppi carbonilici e i gruppi amminici del legame peptidico, sebbene ogni
amminoacido avrà una propensione per l’alfa elica e una propensione per il beta foglietto perché sarà
l’ingombro sterico della catena laterale a determinare se può stare bene in un alfa elica o in un beta
foglietto.

Queste sono le strutture base.


La struttura terziaria è quella che determina il ripiegamento, il folding della proteina nello spazio ed è
dipendete da tutti i tipi di interazioni non covalenti che conosciamo. Questa volta coinvolgono le catene
laterali. Tra queste interazioni ce ne è anche una covalente, i ponti di solfuro: le cisteine all’ interno di
alcune proteine possono formare ponti di solfuro.
La struttura quaternaria sono più catene polipeptidiche separate che hanno assunto una loro struttura
terziaria e si assemblano tra di loro, quindi sono più subunità di una stessa proteina.
Le proteine possono avere una funzione strutturale, enzimatica, di difesa e possono essere anche
semplicemente un ponte di interazione ecc. ma la funzione per la quale sono state studiate e caratterizzate
di più all’inizio è la funzione della catalisi.

Un catalizzatore è una molecola che aumenta la velocità della reazione, che non vi partecipa e che non
interferisce con la termodinamica della reazione, e cioè se la reazione termodinamicamente non è possibile
il catalizzatore non la rende possibile, per essere possibile il ∆ G della reazione deve essere ¿0 e il
catalizzatore non è in grado di modificare il ∆ G della reazione. Quindi vuol dire che tutte le reazioni che
avvengono all’ interno del nostro corpo sono termodinamicamente possibili ma cineticamente inaccessibili
alla nostra temperatura.

L’enzima è un catalizzatore biologico e interviene abbassando l’energia di attivazione secondo questo


percorso che è la coordinata di reazione noi abbiamo questo massimo di energia che è troppo alto in varie
reazioni. L’enzima deve intervenire con vari meccanismi.

I catalizzatori biologici non sono solo proteine, l’RNA è uno dei nostri catalizzatori biologici, ha una funzione
enzimatica nelle reazioni più importanti che abbiamo nelle nostre cellule.

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