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Postulati di Koch:
1) Il microrganismo deve essere presente in tutti gli individui malati, ma essere assente in
tutti quelli sani
Per dimostrarlo sviluppò una colorazione che permette di individuare microrganismi nei
tessuti di un individuo
2) Il microrganismo sospetto deve essere isolato e cresciuto in laboratorio in una coltura pura
Utilizzò del siero proveniente da sangue coagulato
3) Il microrganismo deve essere inoculato in un soggetto sano e la stessa malattia si deve
presentare
Il batterio venne inoculato in dei porcellini d’india
4) Dal soggetto malato deve poter essere isolato lo stesso organismo
Dai porcellini d’india ricavò nuovamente il batterio tramite il siero del sangue coagulato
La Microbiologia è basilare per diverse discipline scientifiche di tipo biologico, in particolare quelle
applicative
Caratteristiche dei microrganismi
- Sono all’origine di tutte le forme viventi.
- Hanno una diversità filogenetica superiore a quella delle piante e degli animali.
- Sono estremamente numerosi.
- Crescono in qualunque ambiente, basta che ci sia acqua allo stato liquido.
- Sono responsabili delle trasformazioni della materia necessarie per la vita.
- Trasformano la geosfera.
- Influenzano il clima.
- Sono coinvolti in simbiosi con piante, animali ed altri microrganismi.
- Causano malattie.
- Influenzano il comportamento delle piante e degli animali
Terreni di coltura
Sono le soluzioni nutrienti usate per far crescere i microrganismi in laboratorio. Ogni
microrganismo ha richieste nutrizionali diverse, quindi a seconda dell’organismo preso in
considerazione, dovremo utilizzare un terreno contenente nutrimenti differenti. Si possono
dividere in due grandi gruppi in base alla composizione:
• Terreni minimi (o chimicamente definiti): sono preparati con precise quantità di sostanze
organiche ed inorganiche, è nota l’esatta composizione chimica
• Terreni massimi (o terreni complessi): contengono sostanze altamente nutritive, ma
chimicamente indefinite (non conosciamo né quali sono le sostanze presenti né la loro
concentrazione)
I terreni di coltura solidi sono ottenuti inserendo all’interno
della miscela una polvere, chiamata agar (polisaccaride
ottenuto da alghe), che si scioglie ad alte temperature durante
la sterilizzazione del terreno stesso,
che generalmente avviene in
autoclave. L’agar ha punto di
fusione e solidificazione differenti
(sciolta ad 85°C rimane liquida fino a
che non raggiunge i 45°C, questo
permette di aggiungere eventuali
sostanze termolabili preparate a
parte dopo la sterilizzazione e prima
della solidificazione). Viene fatto
solidificare in piastre Petri o provette, formando un gel che permette la diffusione di sostanze
nutrizionali, fruibili alle colonie batteriche in superficie. L’agar è un substrato inerte poiché sono
pochi i batteri in grado di degradarlo. Una volta deposto il batterio nel terreno, questo comincia a
dividersi formando un ammasso di cellule chiamato colonia (si parla di colonie soltanto nei terreni
solidi)
Terreni minimi
Ingredienti base: Acqua, 1 litro di K2HPO4, 1g di MgSO4∙7H2O, 200mg di FeSO4∙7H2O, 10 mg CaCl2,
10 mg, Elementi in traccia (Mn, Mo, Cu, Co, Zn)
Gli elementi indispensabili per la sopravvivenza dei microrganismi, sono Carbonio e Azoto. Questi
possono essere reperiti dall’atmosfera, ma molte volte non bastano ai microrganismi, quindi è
necessario effettuare delle aggiunte, come NH4Cl, Glucosio e altre. Altri elementi hanno la loro
specifica funzione nel terreno:
- Potassio: Cofattore in numerose reazioni enzimatiche, particolarmente nella sintesi
proteica.
- Sodio: Insieme al cloruro regola la pressione osmotica; interviene sull’attività di alcuni
enzimi.
- Magnesio: Clorofilla; catione necessario nelle reazioni enzimatiche (es. produzione di ATP).
- Ferro: Centro reattivo di proteine contenenti l’eme (citocromi, catalasi, …ecc.)
- Cobalto: Vitamina B12
- Rame, Zinco, Molibdeno, Nichel, Tungsteno, Selenio: Componenti essenziali di alcuni
enzimi
Terreni differenziali
Sono terreni che permettono di evidenziare particolari attività metaboliche di un microrganismo
discriminandolo da altri. Per esempio:
Terreni selettivi
Sono terreni su cui possono crescere solo determinati microrganismi. Per esempio, un terreno
privo di fonti di azoto selezionerà microrganismi azoto fissatori (cioè fissano l’azoto atmosferico),
oppure un terreno contenente un antibiotico selezionerà microrganismi resistenti a tale
antibiotico. Ci riferiamo ad un terreno che serve ad isolare un determinato organismo (non
esistono terreni universali per la crescita dei microrganismi)
Colorazione di Gram
Fu inventata da un microbiologo danese. La colorazione divideva i batteri in due grandi gruppi,
quelli che si coloravano e quelli che non lo facevano. Questo diverso comportamento è dovuto alla
differente struttura della parete batterica. Si svolge nel seguente modo:
1) Ricoprire lo striscio fissato al vetrino tramite calore con cristal violetto per un minuto
(tutte le cellule diventano viola). Il cristal violetto diffonde attraverso la cellula
2) Aggiungere la soluzione iodata (Lugol) per 3 minuti (le cellule rimangono viola). Lo iodio si
lega al cristal violetto che non può più uscire dalla cellula
3) Decolorare brevemente con alcol lo striscio. Le cellule Gram+ restano viola, le Gram- sono
incolori. Questo accade perché nei Gram+ si ha una parete spessa e uniforme, nei Gram- si
hanno due strati, uno rigido con la mureina e uno più esterno lipo-polisaccaridico,
chiamato membrana esterna. Nei primi l’alcol chiude i pori e il rilascio del colorante viene
rallentato, nei secondi lo strato della membrana esterna è solubile e il colorante viene
trascinato via (il tempo di rimozione del colorante è diverso). La colorazione avviene
soltanto su cellule integre
4) Controcolorare con safranina. Le cellule Gram- si colorano di rosso e le Gram+ rimangono
viola
A questo punto si può osservare al microscopio, poiché si hanno delle colorazioni diverse per i due
gruppi.
Coltura pura
È una coltura contenente un solo tipo di microrganismo. Tutte le cellule sono uguali fra loro. Per
ottenere una coltura pura si utilizza un terreno solido da cui si prelevano le cellule di una colonia
(la colonia si origina da una singola cellula iniziale, è formata da cloni). Prima di prelevare si
sterilizza l’ansa (nel punto metallico dell’occhiello), dopodiché si preleva con l’ansa il liquido in cui
è presente la colonia che vogliamo isolare. Successivamente si striscia l’occhiello dell’ansa in un
terreno solido, disegnando strisce parallele, si sterilizza l’ansa e si disegnano altre strisce parallele
sopra quelle precedenti e, facendo questo più volte, si trascinano le cellule isolandole sempre di
più. Si noterà che le prime strisce disegnate presenteranno una crescita confluente delle colonie.
Invece, dalle ultime si otterranno delle colonie isolate, da cui preleveremo le cellule.
• Titolo totale: Vengono contate tutte le cellule, sia vive che morte (molto meno informativo
rispetto al titolo vitale). Per
contare tutte le cellule presenti
nella coltura si osservano al
microscopio a contrasto di fase,
utilizzando una camera
contacellule con un rialzo,
presente in un vetrino
portaoggetto. La camera viene
coperta da un vetrino
coprioggetto. Fra il rialzo e il
vetrino vi è una distanza fissa di
0,01mm. Il liquido campione
viene fatto entrare per capillarità.
Nel rialzo è presente una griglia che permette di osservare le cellule al microscopio e ne
permette la conta. Contando le cellule presenti in una determinata area e conoscendo la
distanza fra vetrino e camera si può risalire al numero di cellule in un volume ben
determinato tramite una proporzione
• Titolo vitale: Vengono contate solo le cellule vive. Per riconoscere quelle vive da quelle
morte, basta valutare se queste siano in grado
o meno di riprodursi. Si contano, quindi, tutte
quelle cellule che sono in grado di formare
colonie. Da una beuta contenente una coltura
si preleva 1ml di liquido e si versa in una
provetta con 9ml di acqua, da questa se ne
preleva la stessa quantità e si versa in un’altra
contenente 9ml e da questa in un’altra ancora,
e così via effettuando delle diluizioni
(normalmente diluizioni da 1 a 10, fattore di
diluizione 10). Facendo così arriviamo a
provette con diluizioni di 10-7. Da ognuna di
queste provette si piastra 1ml in un terreno
solido e si nota che il numero di colonie
formate è tanto più basso tanto più alto è il
fattore di diluizione. Si scartano piastre con
troppe e con poche colonie formate (si
potrebbero introdurre degli errori) e si
contano le colonie formate nelle piastre
scelte. Adesso si moltiplica il numero di colonie contate per il fattore di diluizione del
liquido piastrato che proviene dalla provetta corrispondente e si ottiene il numero di
cellule che sono in grado di formare le colonie, che vengono chiamate CFU (unità formanti
colonie). Per esempio, piastrando 0,1 ml di una diluizione 10-5 di una coltura batterica si
ottengono 80 colonie e per calcolare il titolo della coltura basta fare questo calcolo:
Batteri ed Archea
La prima grande suddivisione dei viventi è nei tre Domini: Archea, Bacteria e Eukaryota.
Concentrandoci sui procarioti, le principali differenze fra Batteri e Archea sono le seguenti:
- Differiscono nelle proprietà chimiche della parete e della membrana cellulare.
- I Batteri sono sensibili agli antibiotici; gli Archea sono insensibili alla maggior parte degli
antibiotici.
- Gli enzimi degli Archea coinvolti nella sintesi delle proteine e degli acidi nucleici sono simili
a quelli eucarioti.
- I Batteri comprendono microrganismi patogeni per le piante egli animali; gli Archea no.
- Gli Archea tipici sono ipertermofili e metanogeni.
Le dimensioni di un procariote si aggirano intorno al
micron. Alcune cellule procariotiche possono essere
anche più grandi rispetto ad alcuni microrganismi
eucarioti, ad esempio l’Epulopiscium fishelsoni può
arrivare a dimensioni di 0,5mm. Questo rappresenta
quasi un’eccezione, visto che la vita di un organismo è
legata alla capacità di scambio con l’ambiente esterno,
che per i procarioti è legato alla superficie della propria
membrana plasmatica. Questo rende fondamentale il
rapporto fra superficie e volume; più quest’ultimo è
grande e più saranno le sostanze nutrizionali necessarie
alla sopravvivenza. Se schematizziamo la forma del batterio con quella di una sfera (ci semplifica i
calcoli), allora possiamo vedere che il rapporto superficie/volume è strettamente dipendente dal
raggio (se il raggio raddopia il rapporto si dimezza). Cellule batteriche giganti sono molto rare,
poiché difficilmente permetterebbero uno scambio ottimale. L’esempio riportato prima non si
trova libero nell’ambiente, ma si trova in una nicchia ecologica particolare, ossia l’organo di un
pesce.
Forme di cellule batteriche
I batteri si possono presentare in forme differenti. In genere ci sono 4 forme comuni:
Capsula
Molto spessa. Può essere colorata con dei coloranti speciali. Non è un rivestimento indispensabile
per la vita della cellula. Può non essere presente nel genoma, oppure il batterio può decidere di
non produrla. La capsula è costituita da polimeri di zuccheri (glucidi) o polimeri di aminoacidi. Se
un batterio ha una capsula composta da glucidi, allora a seconda dei componenti del terreno in cui
viene fatto crescere, le colonie assumeranno una forma diversa. Nel caso del Leuconostoc, un
batterio che ha capsula formata da polimeri del glucosio, se questo viene messo in due terreni,
uno contenente glucosio e l’altro saccarosio, la forma delle colonie che si formeranno saranno
diverse. Nella piastra con saccarosio, questi batteri, scindono lo zucchero e utilizzano il fruttosio
per il loro metabolismo e il glucosio per formare la capsula, formando colonie capsulate grandi e
mucillagginose. Nella piastra con solo glucosio, le cellule, preferenzialmente, utilizzeranno il
glucosio per il loro metabolismo e la capsula non verrà prodotta perché questo potrebbe togliere il
nutrimento ai batteri; quindi, si otterranno colonie molto piccole e rugose.
Nei microrganismi che possono decidere se produrre o meno la capsula, si può notare che se
questi ne sono dotati allora sono patogeni perché, questa struttura, rallenta la risposta
immunitaria
Parete
Presente nella maggior parte dei procarioti. Fondamentale per la sopravvivenza della cellula.
Quelli che ne sono privi hanno una membrana modificata. È un rivestimento rigido, un guscio
rigido, ma non è un filtro delle sostanze che
possono entrare in contatto o meno con la
membrana, assomiglia più ad una gabbia solida. Se
in una soluzione ipotonica trattiamo una cellula
con parete con lisozima (un enzima che degrada la
parete), si può osservare che la cellula con la
parete intaccata, richiama acqua, si gonfia ed
esplode. Se ripetiamo lo stesso esperimento, ma in
una soluzione isotonica, la parete viene distrutta,
ma la cellula resta integra e sopravvive
(protoblasto). La vitalità di questa cellula può
essere verificata facendole ricrescere la parete. Questo esperimento ci dimostra che la parete
impedisce alla cellula di gonfiarsi oltre un certo livello (normalmente i batteri vivono in soluzioni
ipotoniche) poiché è una gabbia estremamente stretta. Il lisozima si può trovare sia nella saliva
che nelle lacrime (nell’occhio non ci sono cellule immunitarie, ma a proteggerlo c’è solo il lisozima,
infatti i primi trapianti realizzati sono stati quelli di cornea).
Il principale costituente della parete è il peptidoglicano (mureina), costituito da una parte proteica
e una glucidica. Le principali molecole costituenti il peptidoglicano sono:
- Acido N-acetilmuramico (NAM)
- N-acetilglucosammina (NAG)
- Altri aminoacidi (alcuni anche della forma D, normalmente tutti gli aminoacidi sono in
forma L. Sono convertiti nell’altra forma dall’enzima racemasi)
Il NAG e il NAM sono legati fra loro dal legame beta-1,4-glucosidico (legame glucosidico) e
formano una catena lineare. Gli altri aminoacidi sono legati al NAM. Ogni molecola di NAM ha
cinque aminoacidi. Le prime tre posizioni degli aminoacidi sono variabili. La posizione quattro e
cinque sono sempre la D-Alanina (più vicine alla membrana). La parete è diversa per Gram- e
Gram+. Nei Gram- si ha un legame diretto fra l’aminoacido in posizione tre e la D-Alanina in
posizione quattro della catena aminoacidica adiacente (legame peptidico). Questo legame
consolida l’intera struttura. Quando si forma la struttura il quinto aminoacido viene perso. Nei
Gram+ si ha lo stesso un legame fra l’aminoacido nella posizione tre e la D-alanina in posizione
quattro. Il tipo di legame però questa volta non è diretto ma è un ponte peptidico costituito da
cinque glicine. Altri microrganismi possono avere dei ponti differenti, più o meno lunghi e con
aminoacidi diversi.
Il lisozima scinde il legame fra NAM e NAG, spezzando la catena polisaccaridica, rompendo la
struttura della mureina
Nucleotide di Park:
Esiste una via biosintetica che permette di creare la mureina. Una molecola di NAM (connessa alla
catena pentapeptidica) viene legata, tramite due gruppi fosfato ad una molecola di uridina. Nelle
colture batteriche trattate con penicillina si aveva un accumulo di determinate sostanze, fra cui il
nucleotide di Park, notato dall’omonimo ricercatore. Si può suddividere la via biosintetica in due
tappe:
1) Formazione del nucleotide di Park: Si inizia con il fruttosio-6-P che viene trasformato in
glucosamina-6-P. L’acetil CoA dona il gruppo acetilico e si forma la N-acetilglucosamina-6-
P. Il gruppo fosforico passa dalla posizione 6 alla 1, trasformando la molecola in N-
acetilglucosamina-1-P. Con la reazione di UTP si ottiene la molecola UDP-N-
acetilglucosamina. Attraverso vari passaggi si trasforma la molecola precedente in UDP-N-
acetilmuramico. Si attaccano poi via via altri aminoacidi fino ad ottenere UDP-N-
acetilmuramico-tripeptide. A questo punto le D-Alanine vengono attaccate in modo
diverso. Due L-Alanine vengono convertite in D-Alanine dalla racemasi e con consumo di
energia si forma un dimero di questi due aminoacidi, che vengono attaccati alla molecola
precedente formando il nucleotide di Park.
I Gram+ hanno spessore della parete molto più grande di quella dei Gram-. Lipidi e
lipopolisaccaridi sono tipici dei Gram-. Acidi tecoici e Polisaccaridi sono comuni per i Gram+. Tutti
contengono il peptidoglicano, ma nei Gram+ è più abbondante (questo non vuol dire che la parete
dei Gram- sia più fragile)
Nei Gram- si ha uno strato unico di peptidoglicano posizionato subito all’esterno della membrana
plasmatica. Oltre la parete è presente una membrana esterna, formata da lipidi e lipopolisaccaridi
(separati dal peptidoglicano). Formano una struttura simile ma non uguale alla membrana
plasmatica. Fra parete e le due membrane è presente uno spazio periplasmatico (piccolo o
assente nei Gram+). Questo ha una funzione di permettere di intrappolare le macromolecole e
introdurre in questo spazio enzimi che le degradano, mantenendone un’alta concentrazione in
questa area. Se non ci fosse lo spazio, gli enzimi riversati all’esterno verrebbero poi persi e non c’è
la garanzia che i nutrienti vegano trasportati all’interno della cellula, ma è possibile che vengano
“rubati” dalle cellule circostanti
Acidi teicoici: si indicano tutti i polimeri della parete, della membrana e della capsula contenenti
residui di glicerolfosfato e ribitolfosfato. Gli acidi teicoici sono tipici dei batteri Gram+.
A livello della parete dei Gram+ ci sono acidi teicoici e proteine associate. La parete aderisce alla
membrana plasmatica (lo spazio periplasmatico o è assente o è molto ridotto).
Nei Gram-, troviamo il peptidoglicano fra membrana plasmatica e membrana esterna.
Quest’ultima è piena di fosfolipidi, lipopolisaccaridi, …ecc, ed è estremamente permeabile. I
lipopolisaccaridi sono attaccati alla membrana esterna tramite il lipide posto nel foglietto esterno,
la parte polisaccaridica è quella più visibile e viene riconosciuta dal sistema immunitario. Questo
lipide, se viene rilasciato dalla cellula è tossico per l’organismo (endotossina). Sulla membrana
sono anche presenti dei tubi proteici di collegamento fra ambiente esterno e spazio
periplasmatico e sono chiamate porine. Le porine si dispongono l’una sull’altra e formano un tubo
e permettono il passaggio di molecole di 600/700 Dalton
Gli Archaea hanno una parete con struttura di mureina simile, ma non identica a quella batterica.
In particolare, la parete è formata da pseudopeptidoglicano. Questo differisce perché al posto del
NAM si ha l’acido N-acetiltalosaminuronico (NAT). L’altra differenza è data dal fatto che fra NAT e
NAG avviene con un legame glucosidico beta 1-3 (non beta 1-4), il che significa che questa parete
non è sensibile al lisozima.
Membrana plasmatica
È sempre presente ovviamente. Il suo
compito è quello di distinguere ambiente
interno da quello esterno. Discrimina le
molecole che devono entrare o uscire e
quelle che non devono farlo. È composta da
una regione idrofila, a contatto con le
soluzioni acquose (teste) e una regione
idrofoba interna, costituita dalle code di
acidi grassi. Il modello è a mosaico fluido,
cioè un mare di lipidi in cui sono immerse
delle proteine mobili.
f La membrana degli Archea è diversa da quella dei Bacteria. Il glicerolo fosfato è legato alla
catena di acido grasso mediante un legame etere, nelle altre membrane è invece estere. L’acido
grasso attaccato al glicerolo è una molecola chiamata fitanile (non è lineare, ma è ramificata). La
ramificazione è
riconducibile ai primi
idrocarburi formati,
che erano ramificati,
infatti gli Archea
sono gli organismi
più ancestrali. Due
fitanili uniti per la
coda formano una
molecola chiamata diglicerol tetraetere. La membrana degli Archea è quindi formata da un
monostrato lipidico (poiché i due strati di fitanili si legano alle estremità delle code). Questa
membrana ha la caratteristica di essere molto meno fluida, questo permette ad alcuni Archea di
vivere ad alte temperature.
La membrana plasmatica ha le seguenti funzioni:
- Barriera di permeabilità: Previene dispersioni e funziona come centro di transito per il
trasporto di nutrienti da e verso la cellula
- Sito di ancoraggio: Siti di molte proteine coinvolte nel trasporto, nella bioenergetica e nella
chemiotassi
- Conservazione dell’energia: Siti di origine e utilizzazione della forza protonmotrice
Le sostanze passano attraverso la membrana a seconda della loro struttura e delle loro proprietà
chimiche.
Le molecole più grandi, non possono diffondere attraverso la membrana, ma necessitano di
proteine di trasporto. Il trasporto può avvenire in diversi modi
- Uniporto: Si trasporta una singola molecola (trasporto del potassio)
- Antiporto: Il trasporto all’interno di una molecola avviene in contemporanea con il
trasporto all’esterno di un’altra (trasporto del sodio)
- Simporto: Il trasporto all’interno di una molecola avviene in contemporanea con il
trasporto all’interno di un’altra (trasporto del gruppo fosfato)
Esiste anche un sistema di trasporto in cui un prodotto viene trasportato all’interno della cellula in
forma modificata (Traslocazione di gruppo). Ad esempio, il glucosio viene trasportato all’interno
della cellula trasformandolo in glucosio-6-P (che non può uscire dalla cellula)
Funzioni svolte dalla membrana:
- Separazione fisica: Formazione di strutture lamellari nei batteri fotosintetici (gli enzimi
fotosintetici vengono concentrati in una zona precisa); formazione del mesosoma. Il
mesosoma forma il setto al momento della divisione e serve a ripartire il cromosoma nelle
due cellule figlie.
- Permeabilità: Regola l’ingresso di ioni e metaboliti all’interno della cellula, mantenendo
una concentrazione superiore a quella esterna.
Nucleoide
Materiale genetico della cellula. Il DNA presente all’interno della cellula ha una lunghezza enorme
rispetto alla cellula stessa (ad esempio Escherichia coli si aggira intorno ad 1 micron e se
srotoliamo il suo DNA questo raggiunge lunghezze pari ad 1 mm). Per contenere questa massa
enorme di materiale genetico all’interno di una cellula, questo deve essere compattato per
occupare il minor spazio possibile (allo stesso tempo si deve comunque accedere all’informazione
genica). Alcune cellule batteriche, fra cui il Gemmata obscuringlobus, hanno il DNA racchiuso in
una membrana, simile al nucleo ma molto differente. La molecola di DNA viene letta e trascritta in
RNA, in seguito l’RNA viene tradotto in proteine. Le proteine assumono poi diverse funzioni
(enzimi, proteine strutturale, ormoni, anticorpi, …ecc). Esiste anche un flusso inverso, in particolari
condizioni, che permette all’RNA di essere trasformato in DNA (trascrittasi inversa). Gli acidi
nucleici sono formati da nucleotidi, i nucleotidi sono composti da:
- Gruppo fosfato
- Base azotata
- Zucchero
Le basi azotate si possono suddividere in puriniche e pirimidiniche. Delle prime fanno parte
Adenina e Guanina e delle seconde Citosina, Timina (solo DNA) e Uracile (solo RNA). Le basi
puriniche si appaiano sempre alle pirimidiniche, in particolare l’Adenina si appaia alla Timina o
l’Uracile formando due legami ad idrogeno e la Citosina si appaia alla Guanina formando tre
legami ad idrogeno. In una doppia elica di DNA il primo filamento è complementare all’altro. I due
filamenti sono anche antiparalleli. L’RNA è sempre una sequenza nucleotidica, ma a singolo
filamento lineare. In natura spesso si piega su sé stessa e forma zone appaiate se ci sono regioni
complementare (viene anche utilizzata come regolazione dell’espressione genica.
Tipi di RNA:
• RNA messaggero (mRNA): contiene una copia dell’informazione genetica del DNA.
• RNA transfer (tRNA): molecole che funzionano da “adattatori” nella sintesi proteica;
trasportano gli aminoacidi.
• RNA ribosomiale (rRNA): componente strutturale importante dei ribosomi (deputati alla
sintesi proteica); ne sono noti diversi tipi.
Citoscheletro procariotico
Omologhi di tutti e tre gli elementi citoscheletrici eucariotici (microfilamenti, filamenti intermedi
e microtubuli) sono stati recentemente identificati nei Bacteria, mentre uno è stato trovato negli
Archaea. Le loro funzioni comprendono ruoli nella divisione cellulare, nella localizzazione delle
proteine e nella determinazione della forma batterica. La struttura citoscheletrica nei procarioti è
a forma di spirale.
Endospora
Si trova all’interno della cellula madre, che poi la libera mediante lisi della cellula stessa. Può
essere prodotta soltanto da due generi di batteri:
• Clostridium
• Bacillus
Il compito delle spore è quello di permettere la sopravvivenza della cellula in situazioni ambientali
avverse. La spora è una cellula metabolicamente quiescente, è resistente ad agenti chimici,
temperature e sono resistenti alle radiazioni perché hanno enzimi in grado di riparare il DNA
all’interno della spora. Una spora è in grado di sopravvivere decenni (alcuni studi sembrano
dimostrare che possano vivere anche secoli). Pare che alcune spore possano sopravvivere
all’interno di meteoriti. Ogni specie ha una determinata posizione in cui si dispone la spora
all’interno della cellula made (si può osservare al microscopio a contrasto di fase):
raddoppiano. Se mettiamo questi dati in un grafico otteniamo una curva esponenziale: parte
lentamente e poi cresce rapidamente. Da un punto di vista della rappresentazione grafica, i valori
diventano troppo grandi e non sono più osservabili. Per questo utilizziamo un grafico in scala semi-
logaritmica (il tempo è riportato nell’asse X, il numero delle cellule batteriche, nell’asse delle y,
viene riportato in scala logaritmica in base 10. I cicli delle cellule riportate sono tre: 10, 100, 1000).
In questo grafico si ottiene una linea retta, che è più facile da utilizzare rispetto ad una curva
esponenziale. L’utilità del grafico è, ad esempio, importante per ricavare il tempo di generazione.
Una curva esponenziale può essere rappresentata da una equazione. Questo ci permette di
ricavare una equazione che descrive la crescita esponenziale di una coltura batterica:
N = N o x 2n
Dove: N è il numero finale di cellule, No è il numero iniziale di cellule e n è il numero di generazioni.
Il 2 è dovuto al fatto che le cellule si dividono per scissione (due cellule). N e No sono ricavabili
sperimentalmente.
Per risolvere l’equazione in base ad n si svolgono i seguenti passaggi:
logN = log No + nlog2 n = (logN – logNo)/log2 log2 = 0,301
Esercizio: Partendo da una singola cellula, una coltura batterica cresce in modo esponenziale per
36 ore, con un tempo di generazione di 30 min. Calcolare il peso delle cellule al termine di questa
crescita (il peso media di una cellula è circa 3x10-13g)
n = 36 x 2 = 72 generazioni oppure n = t/G = (36 x 60)/30 = 72 generazioni N = N o x 2n
N = 1 x 272 = 4,7x1021
Peso = 4,7x1021 x 3x10-13 = 1,4x109 g
- Concentrazione di ioni:
Prendiamo come esempio la concentrazione dello ione sodio. Diversi organismi rispondono
in maniere differenti nei confronti della concentrazione di sodio e si possono suddividere in
• Nonalofili: Anche a basse concentrazioni di sodio la crescita viene inibita
(Escherichia coli)
• Alotolleranti: A besse concentrazioni di sodio riescono a crescere, ma la loro
tolleranza è limitata (Staphylococcus aureus)
• Alofili: Hanno bisogno di sodio per crescere (in sua assenza non crescono). Si arriva
comunque ad una concentrazione tale da inibirne la crescita (Vibrio fischeri)
• Alofili estremi: Tanto più sodio c’è e tanto meglio per loro è (raggiungono
comunque un plateau che porta a saturazione il sodio in acqua). Si trovano nel Mar
Morto o le saline. (Halobacterium salinarum)
- Quantità di ossigeno:
Prendiamo come riferimento un terreno di coltura liquido in una provetta. Man mano che
scendiamo nella colonna della provetta abbiamo quantità sempre più basse di ossigeno. Le
cellule batteriche possono essere suddivise in:
• Aerobi obbligati: Si dispongono sulla superficie della provetta. Hanno bisogno di
ossigeno per vivere.
• Anaerobi stretti: Si dispongono nel fondo della provetta. Per loro l’ossigeno è
tossico e devono vivere in ambienti che ne sono privi
• Anaerobi facoltativi: Disposti per tutta la colonna di liquido, ma la concentrazione
maggiore è sulla superficie della provetta. Possono vivere sia in presenza che in
assenza di ossigeno, ma preferiscono l’ambiente aerobio
• Microaerofili: Disposti in una zona sottostante alla superficie. Vivono in
concentrazioni di ossigeno più basse rispetto a quelle atmosferiche
• Anaerobi tolleranti: Si dispongono su tutta la colonna di liquido. Non hanno una
preferenza fra assenza e presenza di ossigeni
Queste quattro classi
rispecchiano quattro tipi di
metabolismo differenti
(tralasciando i
microareofili). Quando si
lavora con colture
batteriche è necessario
sapere quali sono le
esigenze metaboliche dei
batteri per farli crescere al
meglio. Per alcuni batteri è
proprio necessario
utilizzare camere speciali,
ermeticamente chiuse e prive di ossigeno, il quale viene sostituito da altri gas. Per altri,
fra cui i clostridi, che sono sporigeni e anaerobi, la crescita è effettuata mediante
l’utilizzo di giare per anaerobiosi, contenitori in cui vengono inserite le colture e un
piccolo sacchetto. Poi vengono chiuse ermeticamente e il sacchetto, che è un
generatore di idrogeno, permette di eliminare l’ossigeno.
Genetica batterica
Mutazione: Cambiamento ereditabile in una sequenza di basi dell’acido nucleico genomico di un
organismo.
Ricombinazione genetica: Processo mediante il quale segmenti genetici contenuti in due genomi
separati vengono messi insieme in un’unica unità.
Generalmente la mutazione induce nella cellula cambiamenti genetici di piccola entità. Al
contrario, la ricombinazione comporta cambiamenti più significativi.
Prendiamo come esempio le mutazioni che
avvengono nell’Aspergillus nidulans. Le colonie
non mutate sono di colore verdastro, mentre
invece se le colonie sono mutate sono bianche o
gialle. Quelle bianche hanno ereditato una
mutazione a livello del gene che produce il
pigmento, quelle gialle sono costituite da mutanti
che non riescono a convertire il pigmento
prodotto in uno di colore normale, ma se ne produce uno intermedio di colore giallo.
Mutazioni che influiscono su vie metaboliche possono avere effetti diversi e dipendono dal punto
del gene in cui avvengono.
Le mutazioni possono essere di diversi tipi:
- Mutazione missenso: La mutazione avviene a livello della prima base di un codone. Viene
richiamato un aminoacido diverso (proteina difettosa)
- Mutazione nonsenso: La mutazione avviene a livello della terza base di un codone. Il
codone viene trasformato in un codone di stop (proteina più corta)
- Mutazione silente: La mutazione avviene a livello della terza base di un codone. Richiama
lo stesso aminoacido (stessa proteina)
L’inserzione o la delezione possono avere effetti drastici sulla lettura dei codoni, in pratica si slitta
il modo di leggere le sequenze di codoni.
Nel processo di ricombinazione si parte da una doppia elica di DNA e se ne ottengono due in cui
delle sequenze sono state modificate.
Molte volte le mutazioni sono dannose, ma un rimodellamento genomico è necessario perché un
genoma troppo stabile porta all’estinzione
Test di fluttuazione
Viene selezionata la resistenza di E. coli ad un batteriofago. Una coltura venne suddivisa in 50
colture più piccole in provetta e una grande uguale alla somma delle 50 colture piccole. Ognuna
delle 50 colture in provetta venne piastrata in un terreno con il batteriofago e la coltura grande
venne piastrata in 50 terreni. Se l’antibiotico avesse causato il cambiamento, allora tutte le piastre
si sarebbero presentate allo stesso modo. Se la mutazione fosse stata post-adattativa allora il
cambiamento sarebbe dipeso dal momento in cui avveniva la mutazione. Il risultato fu che il
numero di mutanti era lo stesso nella coltura grande, ma vi era una grossa variabilità in quelle
piastrate dalle provette. La mutazione era dunque pre-adattativa.
Esperimento di sib-selection
Cavalli Sforza e Lederberg, nel 1956, sfruttano il fatto che è possibile arricchire una coltura
batterica, contenente cellule resistenti, mediante diluizione.
Esempio: Se in una coltura con 109 batteri/ml ci sono 103 batteri resistenti/ml, il rapporto è
103/109 = 10-6. La coltura viene diluita 10-4, per cui ci saranno 105 batteri/ml e 0,1 batteri
resistenti/ml. Questo vuol dire che su 10 campioni da 1 ml, uno conterrà 1 cellula resistente; in
questo campione il rapporto diventa 1/105 = 10-5. Si può osservare che, rispetto al rapporto
iniziale, abbiamo ottenuto una probabilità maggiore che vi sia il mutante nella provetta (10 volte
tanto)
In colture indipendenti hanno valutato se vi erano presenti mutanti. Hanno selezionato le colture
che ne presentavano di più e poi li hanno inoculati in altre colture indipendenti e così via. Ad ogni
passaggio ottenevano un arricchimento di mutanti. Il terreno utilizzato era liquido
Tasso di mutazione
Il tasso di mutazione ci dice che probabilità ha un batterio di mutare, ogni volta che si divide
a = m/d
Dove: a è tasso di mutazione, m è il numero di mutazioni e d è il numero di divisioni cellulari
Ci dà la probabilità che una cellula muti durante la duplicazione. La mutazione si vede soltanto al
momento della divisione perché la mutazione può essere collocata soltanto in una delle due eliche
Test di Ames
Il test di Ames dimostra la sicurezza di una sostanza
che deve essere messa in commercio (se questa è
cancerogena o mutagena, in genere sostanze
mutagene aumentano la probabilità di creare cellule
tumorali). Nel test venne utilizzata una coltura di
Salmonella auxotrofa per istidina. Queste cellule
vengono introdotte in un terreno con poca istidina
(controllo) e in un terreno minimo con poca istidina
e il potenziale mutageno. Se nel terreno senza
istidina crescono colonie allora vuol dire che queste
sono i revertanti spontanei (sono in grado di mutare
e quindi attivare il gene che codifica per l’istidina).
Nell’altro terreno, quello minimo, se crescono altre
colonie e sono di più rispetto all’altro, allora vuol
dire che la sostanza inserita all’interno è effettivamente mutagena perché ha aumentato la
probabilità di mutazioni a livello del gene codificante per l’istidina. Si utilizza un terreno con poca
istidina invece che zero perché si devono consentire un numero limitato di divisioni, altrimenti la
mutazione potrebbe non manifestarsi.
Processi mediante i quali il DNA viene trasferito dal donatore alla cellula batterica
ricevente
In genere la possibilità di scambio di materiale genetico fra procarioti è molto maggiore rispetto a
quella degli eucarioti
Esperimento di Griffith
Griffith effettuò l’omonimo esperimento con l’intenzione di studiare la capsula batterica, ma
dimostrò che se si mescola ceppi vivi ma non virulenti (perché senza capsula) con ceppi capsulati,
quindi virulenti, uccisi, si può riottenere ceppi virulenti vivi. Questo dimostrò che era presente un
processo di trasformazione che rimodellava il corredo genetico dei batteri vivi, tramite
ricombinazione
Da notare che non tutti i batteri sono trasformabili. In laboratorio si sono ottenuti batteri
artificialmente trasformabili, modificandone alcuni che in natura non lo sono (ad esempio
Escherichia coli)
Il processo di trasformazione può essere effettuato soltanto se il batterio è in uno stato di
competenza, generalmente quando è in crescita. In questo stato, il batterio rilascia dei fattori
all’esterno. Quando la concentrazione dei fattori è abbastanza alta, questi si vanno a legare a dei
recettori presenti sulla membrana. Quando questo avviene si attivano i geni responsabili per la
competenza, fra cui proteine che possono trasportare all’interno del citoplasma frammenti di DNA
presenti all’esterno. Normalmente questo avviene quando si ha la fine della crescita esponenziale
della popolazione. In Bacillus subtilis, la cellula competente lega il DNA nel mezzo esterno, si
spezza la doppia elica e si porta dentro una sola elica (ricava l’energia necessaria degradando la
seconda elica). Il DNA, ora all’interno della cellula, si ricombina con il genoma batterico. L’effetto
di ricombinazione si può vedere soltanto a seguito di una replicazione. Perché possa avvenire la
ricombinazione si deve avere
una forte omologia fra DNA del
genoma batterico e DNA
esogeno (è più probabile che
avvenga fra cellule
appartenenti allo stesso ceppo
batterico). La competenza si
sviluppa alla fine della crescita
esponenziale perché si
ultimano i nutrienti nel terreno.
La trasformazione rappresenta
un tentativo da parte della
cellula per cercare di acquisire
un’informazione genica che permetta di sopravvivere il più a lungo possibile. In passato si pensava
che la trasformazione avvenisse raramente in natura perché si pensava che il DNA venisse
facilmente degradato all’esterno. In realtà questo non accade perché il DNA si complessa con
particelle del suolo che lo proteggono e lo schermano dalle radiazioni. Una teoria afferma che la
trasformazione sia nata come processo per l’acquisizione di nutrienti (il DNA era trattato come
“cibo”) e nel tempo si sia specializzato nell’integrazione di questo del genoma (molto
probabilmente ha fornito vantaggi evolutivi)
Plasmidi
Sono molecole di DNA, indipendenti dal cromosoma, che sono in grado di autoreplicarsi. Spesso
sono circolari, ma ne esiste qualcuno lineare
Coniugazione
La coniugazione è legata alla presenza di un particolare
plasmide, il fattore F (fattore di fertilità, chiamato così perché
consente di trasferire il DNA ad una cellula che è priva di
questo fattore). Questo plasmide contiene dei geni coinvolti
nella coniugazione, nella duplicazione del plasmide, sequenze
IS e un ORI particolare, chiamato ORI-T (trasferimento) e
permette di trasferire il DNA
plasmidico dalla donatrice
alla ricevente. Le cellule che
contengono il plasmide sono
chiamate F+ e quelle che ne sono prive sono chiamate F-. Le
cellule F+ possiedono una speciale fimbria specializzata,
chiamata pilus, le cui informazioni necessarie per generarla sono contenute all’interno del
plasmide. Il pilus serve a mettere in contatto la donatrice con la ricevente. Quando le due si
agganciano, si mettono in contatto e si crea un collegamento che innesca dei processi che portano
alla replicazione del materiale plasmidico (parte da ORI-T): avviene con un meccanismo di
replicazione chiamato “a cerchio rotante”, meccanismo che avviene solo con molecole di DNA
circolari, su ORI-T avviene un taglio su una delle due eliche. L’elica tagliata genera un’estremità 3’-
OH e una 5’-P. Il 3’-OH costituisce il sito di attacco per la sintesi di DNA da parte della DNA
polimerasi. Questa mentre sintetizza apre la doppia elica, scalzando un filamento e
sintetizzandone uno nuovo al suo posto. La DNA polimerasi può continuare a girare sull’altro
filamento creando più copie dello stesso plasmide. Nel caso della coniugazione, il filamento
scalzato viene spinto nella cellula ricevente e solo dentro a questa verrà duplicato, ritornando a
doppio filamento e con forma circolare. Una cellula F+ in mezzo ad una colonia F- effettua tale
processo molto velocemente trasformando in poco tempo tale colonia in F+.
Il sito di attacco fra donatrice e ricevente è mediato da
diverse proteine. Il trasferimento del DNA parte
sempre da ORI-T. Questo è importante perché quando
avviene la coniugazione fra F+ e F-, la cellula ricevente
diventa molto velocemente anch’essa F+. Alcune
cellule F- possono anche ricevere informazioni
presenti nel cromosoma della cellula donatrice
(fenomeno raro). Cellule F+ in grado di fornire anche
porzioni cromosomale vennero chiamate cellule Hfr.
Queste sono cellule F+ in cui il plasmide si è integrato
nel cromosoma con un singolo crossing-over. Il
crossing-over, per avvenire, deve presentare un’alta
omologia a livello delle sequenze di DNA. Questa omologia è data dal fatto che sul plasmide e il
cromosoma sono presenti sequenze omologhe, le IS (insertion sequences), individuate per la
prima volta grazie a questo processo. Il plasmide integrato è fiancheggiato dalle sequenze IS. Sono
presenti più sequenze IS nel cromosoma, quindi il plasmide si può integrare in più punti. La
coniugazione fra Hfr e F- parte sempre da ORI-T e si trasferisce un singolo filamento. Il DNA che
arriva è il cromosoma più il plasmide F, questo perché il cromosoma viene replicato tutto con il
metodo del “cerchio rotante”. Il processo che permette di trasferire tutta questa quantità di DNA
è molto lento ed in genere il pilum si rompe prima che si sia ultimato. Quindi la cellula F- è molto
probabile che ottenga informazioni cromosomali, ma è molto più raro che diventi F+ perché per
farlo, necessiterebbe dell’intera informazione del plasmide F (al massimo ne riceve un
frammento). In pratica il passaggio dell’informazione genetica è lineare e ordinato nel tempo (nel
tempo passano i geni più vicini ad ORI-T e più tardi quelli lontani). I ceppi Hfr possono essere
anche diversi, perciò l’integrazione di F avviene in punti diversi del cromosoma e stessa cosa vale
per il trasferimento, originabile da più punti. Se meccanicamente interrompiamo la coniugazione
Hfr con F-, separando le cellule, si possono osservare quali geni sono passati dalla donatrice alla
ricevente ed ingenerale quelli che passano prima (la distanza di comparsa rispetta una distanza di
collocamento nel cromosoma donatore, questo permette anche di mappare il collocamento dei
geni nel cromosoma batterico). Il fatto che ai lati di F integrato nel cromosoma ci siano le
sequenze IS, permette anche che si presenti un evento di autoexcisione del plasmide dal
cromosoma, passando da cellula Hfr a F+. Può succedere
che se il taglio di excisione non avviene precisamente, il
plasmide si porti
dietro con sé un
pezzo di DNA del
cromosoma (si
ottiene un
plasmide più
grande di quello
originale). In
questo caso il
plasmide generato
viene chiamato F’.
Parte
dell’informazione
cromosomica viene trasferita nel plasmide. Se questo viene perso si perde anche l’informazione
genica che serve a codificare proteine necessarie per la cellula. Se una cellula F’ coniuga con una F-
si ottiene una situazione di diploidia parziale per i geni cromosomici presenti in F’ (due geni
ripetuti, uno presente nel cromosoma della ricevente e uno presente in F’).
Oltre ad F esistono altri tipi di plasmidi, fra cui il fattore R. In
passato l’introduzione degli antibiotici andò di pari passo con
l’identificazione di microrganismi resistenti agli stessi. Se alcuni
di questi erano resistenti ad un antibiotico, allora venivano
trattati con un altro. All’inizio degli anni ’50, si trovarono ceppi
batterici non più resistenti ad un solo antibiotico, ma a più di
questi. Questo creò vari problemi. Lo studio della resistenza a
vari antibiotici permise di capire che questa era localizzata a
livello di un plasmide, il fattore R appunto. Il fattore R oltre che
ai geni della resistenza conteneva anche i geni necessari per la
coniugazione. A differenza di F, il fattore R solitamente non
coniuga (la sua coniugazione è repressa), ma se la repressione viene eliminata, il fattore inizia a
coniugare trasferendo la resistenza. Questa resistenza viene trasmessa generazione per
generazione. All’interno di una popolazione non resistente ad un farmaco, se questa viene esposta
al plasmide R, questa diventa velocemente immune. Quindi sussistono due aspetti: le resistenze
multiple (trasferimento verticale) e il trasferimento a cellule della stessa generazione
(trasferimento orizzontale). I geni che codificano per la resistenza sono sempre fiancheggiati da
sequenze IS, trasformandoli in trasposoni. Se in una cellula arrivano due fattori R trasportanti due
resistenze diverse, questi, tramite trasposizione generano un plasmide R che trasporta resistenze
multiple (grosso problema sanitario).
Plasmidi che conferiscono resistenza al mercurio e ad altri ioni metallici pesanti: Alcuni ceppi di
Staphylococcus aureus e di Pseudomonas sono resistenti all’azione tossica dei metalli pesanti
come Hg, As, Cd e Pb. Di particolare interesse è la resistenza al Hg, perché in particolari condizioni
il Hg inorganico è trasformato in composti organici ad alta tossicità che si accumulano nei tessuti e
possono arrivare ad altri organismi più grandi attraverso la catena alimentare. La resistenza al Hg
organico è data da una idrolasi che stacca l’Hg. L’utilizzo di questi plasmidi è stato studiato per il
risanamento ambientale
Plasmidi ad attività catabolica: In alcuni ceppi di Pseudomonas i plasmidi conferiscono la capacità
di ricavare energia ed atomi di carbonio da composti organici inusuali (es. naftalina, xilolo, canfora,
ottano). Sfruttando questi plasmidi sono stati creati microrganismi capaci di degradare il 70% dei
composti del petrolio grezzo. Il loro utilizzo nel risanamento dell’inquinamento derivato da
idrocarburi (ad esempio perdita da petroliere) si è rilevato un insuccesso perché, se poste dalla
coltura all’ambiente esterno, queste cellule entrano in competizione con altre popolazioni
dell’ambiente, venendo di conseguenza sconfitte a causa dei loro lunghi tempi di adattamento.
Invece di inoculare le cellule, si cerca di favorire l’operato di batteri già presenti.
Plasmidi ed iperplasia delle piante: La galla a corona delle piante è una malattia causata da un
plasmide portato da Agrobacterium tumefaciens. Questo plasmide viene utilizzato anche per
introdurre nuovi geni nelle piante (si trasmette da batteri a piante). Il plasmide nelle piante porta
al rilascio di ormoni che creano una sorta di forma tumorale. Estremamente interessante dal
punto di vista della ricerca, perché rappresenta una sorta di scambio genetico fra procarioti ed
eucarioti
Plasmidi e fattori di virulenza: Diversi batteri patogeni devono la loro virulenza alla presenza di un
plasmide. Per esempio produzione di tossine. La patogenicità è una caratteristica del batterio, ma
non è necessaria alla sua sopravvivenza
Il processo di diffusione plasmidica tramite coniugazione può essere scambiato fra diversi ceppi
batterici (nel caso della trasformazione i ceppi devono essere gli stessi, a causa dell’omologia)
Trasposoni
Sono sequenze di DNA mobili. Le sequenze IS sono esse stesse elementi trasponibili. Un caso più
complesso è rappresentato da porzioni di DNA fiancheggiate da sequenze IS alle due estremità.
Nella trasposizione si individua una sequenza bersaglio in cui
vi si inserisce il trasposone, copiando in entrambe le
estremità la sequenza bersaglio.
L’elemento mobile si può spostare da un punto all’altro
oppure può trasferire una sua copia in un altro elemento
bersaglio.
Un segmento di DNA può essere rappresentato da due sequenze ripetute in modo diretto
separate da un tratto più o meno lungo di DNA. Queste sequenze essendo omologhe possono dare
luogo ad un crossing-over che si tramuta nella delezione del tratto di DNA che separa le due
sequenze ripetute. Se questo DNA non è plasmidico viene eliminato, se invece è plasmidico
tornerà nella sua forma originaria, in cui potrà sia scambiarsi con coniugazione che autoreplicarsi.
Se però le due sequenze sono ripetute in modo invertito, anche in questo caso si appaiano, ma lo
devono fare nella stessa direzione. Il risultato non è un excisione, ma una inversione della
sequenza nucleotidica compresa. La Salmonella ha sviluppato una difesa dal nostro organismo
perché regolarmente cambia la struttura del suo flagello, produce due tipi di flagellina, la H1 e la
H2 (il nostro sistema immunitario attacca alcune strutture batteriche facilmente riconoscibile, fra
cui i flagelli). Il cambio della flagellina deve essere riconosciuto dal sistema immunitario e questo
richiede tempo. Le flagelline sono codificate dai geni H1 e H2. H1 viene prodotta soltanto se il
gene di H2 viene spento. Quando viene trascritto il gene H2 questo codifica anche un repressore
che si lega al promotore di H1, inibendone la trascrizione. Accanto al gene che produce H2 e il
repressore, vi è un altro gene chiamato Hin, con un suo promotore. Agli estremi fra il promotore di
Hin e la fine del promotore di H2 vi sono delle sequenze altamente ripetute invertite. Questo
permette a questa sequenza di DNA di poter essere ruotata di 180°. Per fare questo è necessaria la
proteina codificata da Hin, che catalizza il processo. Quando la concentrazione della proteina Hin
arriva ad un certo livello, si attiva il processo e la sequenza viene ribaltata. Quando questo accade,
il promotore di H2 finisce dalla parte opposta, non potendo trascrivere H2 e repressore. A questo
punto la trascrizione di H1 viene sbloccata. Hin funziona una sola volta e poi viene distrutta, quindi
la sua concentrazione crolla, ma la sua produzione non cessa visto che il suo promotore è interno
alla zona ribaltata e quindi la sua trascrizione può continuare. Alla fine, quando si otterrà
abbastanza Hin, la sequenza verrà ribaltata nuovamente, facendo produrre di nuovo H2.
Restrizioni e modificazioni
Prendendo due ceppi di E.
coli, K e B, dei ricercatori
osservarono che se un
batteriofago veniva fatto
propagare in una coltura K, i
virus prodotti infettavano con
grande efficienza i K, ma con
bassa efficienza i B. Stessa
cosa valeva al contrario. La crescita di questi virus, era quindi ristretta al ceppo batterico sul quale
si erano propagati e durante la crescita venivano modificati in modo tale da infettare un ceppo,
ma non l’altro.
Questo fenomeno era legato ad enzimi presenti all’interno del batterio, chiamati enzimi di
restrizione. Questi riconoscono particolari sequenze di DNA e facendolo, tagliano in questi punti
(solitamente dalle 4 alle 8 paia di basi). I virus a DNA che infettano la cellula batterica, ogni qual
volta inseriscono il loro DNA, questo viene tagliato se contiene queste sequenze. Gli enzimi non
discriminano DNA virale o batterico, ma tagliano ogni qual volta individuano il punto di taglio. La
cellula però si protegge producendo un enzima di modificazione in accoppiata, che riconosce la
stessa sequenza, modificandola (ad esempio metilando una citosina). Queste modificazioni
permangono anche dopo la replicazione del DNA.
Gli enzimi di restrizione sono stati
ampiamente utilizzati per selezionare e
copiare frammenti di DNA. I DNA plasmidici
sono facilmente purificabili e possono
essere modificati. Essi portano un unico sito
di restrizione che viene riconosciuto da un
enzima di restrizione chiamato EcoR1, che
rileva una sequenza di sei paia di basi
tagliando il sito in modo sfalsato, portando
alla formazione di un DNA lineare con
estremità coesive. Prendendo poi un DNA
donatore, si taglia con lo stesso enzima e in
questo modo si ottengono tante piccole
sequenze coesive complementari a quello
plasmidico. Mescolando i due DNA trattati
si forma l’appaiamento dei due e tramite la
ligasi, si crea un plasmide integro che oltre
la sua sequenza ne porta uno del DNA
estraneo. Si prende il plasmide modificato e
si inserisce in un batterio tramite
trasformazione, permettendo, poi, la sua
amplificazione.
Metabolismo microbico
Il metabolismo è l’insieme di tutte le reazioni chimiche che avvengono nella cellula. Si divide in
due parti:
Classificazione dei batteri in base alle vie biosintetiche (fonti di carbonio) utilizzate
• Eterotrofi: Come fonte di carbonio non usano la CO2, ma una sostanza organica.
• Autotrofi: Come fonte di carbonio usano la CO2 sfruttando la fotosintesi o il catabolismo di
sostanze organiche.
Classificazione dei batteri in base alla fonte di energia utilizzata per generare ATP
• Fototrofi: Usano la luce.
• Chemiotrofi: Usano substrati organici o inorganici (reazioni di ossido riduzione).
• Metabolismo fototrofo: La fonte di energia è la luce, che genera un flusso di elettroni che
produce ATP. Qui si hanno due strade diverse:
∙ Fotoautotrofia: L’ATP generato attiva la biosintesi di molecole organiche a partire
dalla CO2
∙ Fotoeterotrofia: L’ATP viene utilizzato per trasformare composti organici (non
partono dalla CO2)
Tipi di metabolismo utilizzati dai microrganismi chemiotrofi
• Fermentazione: L’accettore finale di elettroni è un composto organico che deriva dal
composto di partenza.
• Respirazione aerobia: L’accettore finale di elettroni è l’ossigeno.
• Respirazione anaerobia: L’accettore finale è un composto (di solito inorganico) diverso
dall’ossigeno.
La fermentazione è una via metabolica, ma se l’ossigeno è presente non vuol dire che non debba
avvenire sempre. Alcune fermentazioni utilizzano il glucosio, ma lo trasformano seguendo una via
diversa da quella glicolitica
Glicolisi
Via metabolica di degradazione del glucosio. Da una molecola di glucosio (sei atomi di carbonio)
se ne ottengono due di acido piruvico (tre atomi di carbonio). È presente in gran parte dei
microrganismi, ma non tutti. Parte iniziale di respirazione aerobia e fermentazioni (non tutte)
Fermentazione omolattica
Da una molecola di acido piruvico se ne ottiene una di acido lattico. Utilizzata nella industria
casearia (latte e formaggi). Operata da Streptococchi e lattobacilli
Fermentazione alcolica
In una prima fase l’acido piruvico viene decarbossilato ad acetaldeide che poi viene trasformata in
etanolo. I prodotti finali sono CO2 ed etanolo. Utilizzata per produrre bevande alcoliche (vino e
birra) e nella panificazione. Operata da lieviti (Saccharomyces cerevisiae)
Fermentazione propionica
Da tre molecole di acido piruvico se ne ottengono due di acido propionico e una di acido acetico
e una di CO2. Gli organismi possono utilizzare l’acido lattico per ottenere l’acido piruvico (invece
che demolire il glucosio). Viene utilizzata nella produzione di Emmenthal svizzero (buchi del
formaggio si formano con l’accumulo dei gas prodotti). Operata da Propionibacterium e
Veillonella.
Fermentazione misto-acida
Dall’acido piruvico si ottiene un prodotto misto di acidi diversi (non vengono prodotti tutti
sempre, ma la loro formazione dipende da varie condizioni) e se si produce acido formico si
ottiene H2 e CO2. Operata da E. coli ed altri enterobatteri. Avviene in un ambiente privo di
ossigeno
Fermentazione butilen-glicole
Da due molecole di acido piruvico si ottiene il glicole 2,3-butilenico. Operata da Enterobacter,
Bacillus e Pseudomonas.
Fermentazione di Entner-Doudoroff
Dal glucosio si ottiene CO2 ed etanolo. I prodotti finali sono uguali alla fermentazione alcolica,
infatti si utilizza nella produzione di bevande alcoliche. Operata da Zymomonas, enterobatteri e
Acinetobacter.
Aerobiosi ed anaerobiosi
Si possono suddividere i batteri in base alle loro vie metaboliche:
• Aerobi obbligati: necessitano di ossigeno (bacillo della tubercolosi, alcuni bacilli sporigeni).
Respirazione aerobia
• Anaerobi obbligati: crescono solo in assenza di ossigeno (clostridi); i microaerofili
necessitano di una bassa tensione d'ossigeno. Respirazione anaerobia o fermentazione
• Anaerobi facoltativi: crescono sia in presenza che in assenza d'ossigeno, hanno
metabolismo sia aerobio che anaerobio (lieviti, enterobatteri). Comunque, preferiscono la
presenza di ossigeno perché ne ricavano più energia. Respirazione aerobia e fermentazione
• Anaerobi tolleranti: crescono sia in presenza che in assenza d'ossigeno, ma operano solo la
fermentazione (molti lattobacilli).
Per gli organismi anaerobi stretti l’esposizione anche a basse concentrazioni di ossigeno è fatale,
perché per loro è tossico. L’ossigeno all’interno della cellula può diventare superossido, poi acqua
ossigenata che si scinde in acqua. Le cellule aerobie sono in grado di neutralizzare questi
intermedi, grazie alla presenza di vari enzimi, fra cui la catalasi, che scinde due molecole di acqua
ossigenata in acqua e una molecola di ossigeno atmosferico. I microrganismi anaerobi non hanno
questi enzimi, per questo l’ossigeno per loro è tossico. Per discriminare organismi cha producono
catalasi da quelli che non ce l’hanno basta porre in una goccia di acqua ossigenata una
sospensione batterica. Se la goccia rimane uguale i batteri non hanno la catalasi, se la goccia forma
delle bollicine allora la producono.
Respirazione anaerobia
L’accettore finale è una molecola diversa dall’ossigeno (miglior accettore finale di elettroni). Gli
accettori migliori finali dopo l’ossigeno sono, ad esempio, lo ione Fe3+ e i nitrati. Un accettore
particolare è la CO2 che si riduce a CH4 (metano)
Biomineralizzazione
Produzione di minerali da parte di microrganismi. Ad esempio, si produce trisolfuro di arsenico
insolubile durante la riduzione di arsenato, ad opera del batterio Desulfotomaculum
auripigmentum. Si può sfruttare questo processo per il risanamento di ambienti inquinati da
arsenico. Questo processo ci dice anche che l’attività di microrganismi è implicata nella produzione
di rocce, in tempi lunghi. Hanno un impatto nell’ambiente (geobiologia)
Fototrofia
Utilizzo della luce per la produzione di ATP. Facciamo riferimento alla fotosintesi. Nelle piante, la
molecola fondamentale è la clorofilla. Nei batteri fotosintetici, la fotosintesi si effettua mediante
una molecola molto simile alla clorofilla, che è la batterioclorofilla. Entrambe le molecole sono
accomunate dal fatto di avere tutte e due un atomo di Mg al centro della molecola. Tutti i batteri
fotosintetici effettuano una fotosintesi batterica, a differenza dei cianobatteri che svolgono quella
delle piante. La clorofilla serve a catturare l’energia solare, inoltre quella delle piante e quella
batterica hanno spettri di assorbimento diversi. Altri picchi di assorbimento sono dovuti ad altri
pigmenti, quali i carotenoidi, che permettono di ampliare lo spettro di assorbimento totale. I
carotenoidi servono anche a schermare la cellula da forti dosi di radiazioni luminose che la
potrebbero danneggiare. Le colture pure di microrganismi fotosintetici hanno diversi colori dovuti
alla presenza di diversi pigmenti. La fotosintesi vegetale è ossigenica (si produce ossigeno), mentre
invece quella batterica è anossigenica (non si produce ossigeno). Nei batteri non vi sono
cloroplasti, ma utilizzano altri metodi per catturare la luce. Possono utilizzare ripiegamenti della
membrana citoplasmatica, chiamate membrane lamellari, su cui vi si ancorano gli enzimi deputati
al processo fotosintetico oppure si possono servire di clorosomi, ossia delle vesciche che
contengono gli stessi enzimi (è tipica di organismi fotosintetici che vivono un po' al di sotto della
superficie e i clorosomi permettono di captare la luce al meglio). La fotosintesi vegetale è
composta da due cicli, quella batterica da uno solo. Nella fotosintesi anossigenica arrivano fotoni
che attivano un processo ciclico di elettroni, un flusso di elettroni che parte da un punto e ritorna
al punto di partenza (non vi è la necessità di donatori). In altri casi è necessario avere un donatore,
che però non è mai l’acqua, ma di solito è un composto solforato. La generazione di ATP coinvolge
la forza protomotrice di membrana. Il composto solforato viene accumulato in granuli di zolfo. La
generazione di zolfo elementare insolubile, con conseguente precipitazione sarebbe tossica per la
cellula, per questo viene stipato in granuli. Un esempio di batterio che effettua questo processo è
il batterio purpureo Chromatium okenii.
Vie metaboliche possono portare anche alla biosintesi di aminoacidi ed altri prodotti. Tutte le vie
sono diramate ed altamente intrecciate fra loro. Una via metabolica può portare alla formazione di
più aminoacidi.
Sono stati studiati altri operoni di aminoacidi. Tutti trascrivono dei peptidi leader che
hanno nella sequenza lo stesso aminoacido che viene prodotto dal processo. In genere il
numero di questi aminoacidi facenti parte del loro relativo leader è superiore al numero di
triptofani presenti nel leader dell’operone triptofano perché questi aminoacidi sono più
comuni e vi sono più triplette che codificano per tali aminoacidi, quindi più tRNA presenti
capaci di trasportare questi aminoacidi.
Cicli biogeochimici
Un ciclo biogeochimico descrive le trasformazioni di elementi fondamentali per gli organismi
viventi, causate sia da processi biologici che da processi chimici. In questi cicli sono coinvolti molti
microrganismi appartenenti a generi e specie diverse e, in molti casi, essi sono gli unici agenti
biologici capaci di rigenerare le forme degli elementi necessari ad altri organismi. La
trasformazione degli elementi necessari per la vita deve essere ciclica. I batteri, da soli, possono
chiudere i cicli biogeochimici, senza bisogno di piante e animali
Divisione degli organismi in basi ai livelli trofici: si ha un sistema piramidale dove gli
organismi di un determinato livello vivono grazie agli
organismi presenti nel livello inferiore, c’è un livello
di base costituito dagli organismi autotrofi
(produttori primari). Su questi si innestano tutti gli
altri livelli, ad ogni livello gli organismi diminuiscono
come numero mentre la materia organica viene in
parte trasformata ed in parte utilizzata e reimmessa
in atmosfera sotto forma di CO2. Quando gli
organismi viventi muoiono la materia organica viene
degradata. I degradatori sono comunità batteriche che lavorano in aerobiosi ed
anaerobiosi e che assicurano la degradazione completa della materia organica restituendo i
minerali al suolo ed il carbonio all’atmosfera sotto forma di CO2.
• Ciclo dell’azoto:
La fonte più abbondante nella atmosfera è
l’azoto molecolare (tenuto insieme da tre
legami covalenti, molecola molto stabile,
gas inerte). In natura alcuni organismi sono
in grado di trasformare N2 in NH3, ma
essendo tossica, viene subito assimilata
sotto forma di aminoacidi e quindi proteine.
Questi composti verranno utilizzati dalle
piante e in alcuni processi che poi lo
restituiscono all’atmosfera come azoto
molecolare. In passato, si notò che se
regolarmente i campi venivano messi a
riposo e si alternavano con coltivazioni di
interesse i campi crescevano senza problemi. Questo perché le piante per crescere hanno
bisogno di sali azotati (se si pianta sempre lo stesso vegetale il suolo si impoverisce). Il
terreno si riarricchisce se si utilizzano particolari piante, fra cui quelle che hanno dei noduli
a livello delle radici (leguminose). In questi noduli crescono dei batteri azotofissatori che
trasformano l’azoto atmosferico in ammoniaca che verrà incorporata in proteine. Questi
batteri vivono nel suolo e molti di questi sono in associazione con varie piante. Un esempio
di tali organismi è il Rhizobium. Questi organismi tendono ad associarsi con la radice nei
noduli instaurando una simbiosi: i batteri sono riforniti dalla pianta con sostanze
nutrizionali, permettendogli di effettuare l’azotofissazione. A sua volta il batterio rifornisce
la pianta con sostanze azotate. Pianta e batterio sono messi in comunicazione da vasi
linfatici. La pianta che può vivere in associazione con i microrganismi, rilasciano dalle radici
delle molecole segnale che vengono identificate da determinate specie azotofissatrici
(riconoscimento specifico, chemiotassi positiva). Quando il microrganismo si attacca ai peli
radicali si crea il nodulo. L’enzima indispensabile per l’azotofissazione si chiama nitrogenasi
e può lavorare soltanto in un ambiente anaerobio stretto (assenza di ossigeno necessaria,
la minima presenta lo inattiva permanentemente). La maggior parte degli azotofissatori,
però, è aerobia quindi devono conciliare i due aspetti. Per fare questo si servono di una
molecola chiamata leg-emoglobina, che trasporta l’ossigeno dove ce n’è bisogno
(all’interno della cellula non vi è ossigeno libero e la nitrogenasi può lavorare in modo
ottimale). Negli anni ’80 si studiarono i microrganismi azotofissatori in modo tale da
migliorare la produzione agricola. Tutti i tentativi, però, non diedero i risultati sperati
perché la richiesta energetica dell’azotofissazione è molto alta, quindi il batterio preferisce
adottare un’altra via metabolica.
Si stima che sulla Terra vi siano tra i 4 e i 6 x 1030 cellule procarioti. Secondo alcuni autori la
quantità di carbonio contenuta nelle cellule batteriche è uguale a quella presente in tutti gli altri
esseri viventi. La diversità microbica potrebbe essere 1012 specie batteriche
Orologi evolutivi
Solo una minima parte dei microrganismi presenti sulla terra è stata descritta (>1%?). Attualmente
si cerca di classificare i microrganismi in base a criteri filogenetici, alla luce dei risultati ottenuti in
studi molecolari. La distanza evolutiva tra due specie può essere misurata tramite la differenza
nella sequenza nucleotidica di geni omologhi presenti nelle due specie. Esistono dei ceppi di
riferimento che fanno da campione per l’identificazione e la nominazione di batteri. Due organismi
sono tanto più vicini fra di loro tanto quanto più vicino nel tempo è l’antenato comune. Questa
informazione è scritta nel genoma. Per determinare la vicinanza fra due organismi dobbiamo
costruire quelli che vengono detti orologi evolutivi. L’identificazione dei batteri utilizza fattori
filogenetici ricavata da dati molecolari. Gli orologi evolutivi sono delle sequenze di DNA che ci
danno un’idea di quando due batteri siano filogeneticamente vicini fra loro
Le sequenze idonee per questi studi devono avere queste caratteristiche:
1) La sequenza deve essere distribuita universalmente nel gruppo in esame
2) La sequenza deve codificare una funzione omologa in ogni organismo
3) E’ fondamentale poter allineare le sequenze, per identificare zone sia di omologia che di
diversità
4) La sequenza deve variare con una velocità commisurata alla distanza evolutiva da misurare
(quanto sia vicino o lontano l’antenato comune, se questo è molto lontano la sequenza ha
avuto molto tempo per cambiare). Una sequenza che cambia velocemente è utile per
misurare una distanza breve. Una che cambia lentamente è utile per misurare una distanza
lontana.
Tassonomia classica
Si basa sulle caratteristiche morfologiche e fisiologiche dei batteri. In particolare, si basa su:
- Morfologia e struttura: Forma della cellula e forma di eventuali forme associative.
Presenza ed eventuale distribuzione dei flagelli. Formazione di miceli (attinomiceti). Gram+
o Gram-.
- Caratteristiche colturali: Aerobi, anaerobi, fotosintetici, temperatura ottimale di crescita,
ecc. Morfologia della colonia su terreno solido.
- Attività biochimiche: Capacità di degradare o fermentare determinati zuccheri e prodotti
finali che si ottengono dalla loro utilizzazione. Capacità di idrolizzare substrati complessi
(cellulosa, amido, lignine).
- Patogenicità: Tipo di infezione prodotta, tipo di lesione, organismo ed organo colpiti,
produzione di tossine.
- Reazioni sierologiche: Utilizzati sieri (anticorpi) che riconoscono un antigene specifico del
batterio. Permette di distinguere batteri diversi all’interno dello stesso genere. Ad
esempio, sono noti 2.000 sierotipi di Salmonella.
Sistema biochimico Api 20E: Consente di analizzare contemporaneamente venti varianti colturali.
Si applica su enterobatteriacee (non si può applicare su altri). Su un supporto sono presenti dei
pozzetti contenenti colture differenti. Questi pozzetti vengono inoculati tutti con la stessa quantità
di microrganismo che vogliamo analizzare (coltura pura). Si mettono ad incubare ad una
temperatura ed un tempo ben preciso fornito dalla casa che ha costruito la striscia, si osserva a
questo punto sotto una striscia, dove abbiamo tutti i risultati negativi e sopra tutti risultati positivi.
Per ogni pozzetto il risultato positivo o negativo ha un codice numerico da osservare nel manuale
e quindi alla fine abbiamo un risultato numerico che consente, utilizzando le tabelle fornite dalla
ditta che produce il sistema di risalire alla specie microbica analizzata. Questi sistemi sono
abbastanza economici e consentono di analizzare una ventina di caratteristiche in contemporanea
Tassonomia molecolare
Impiega l’analisi molecolare di una qualsiasi delle biomolecole presenti nella cellula.
- Ibridizzazione DNA-DNA
- Ribotyping (analisi dei ribosomi)
- Analisi dei lipidi
Ibridazione genomica
Se si prendono due molecole di DNA denaturate, queste si possono riappaiare se sono
complementari, ma se sono frammenti non omologhi, si ha la formazione di doppia elica
proporzionale alla loro omologia. Dà un’idea di quanto le molecole di DNA siano simili fra loro. Se
si devono studiare quattro organismi diversi, se ne purifica il DNA e si denatura. Il DNA
dell’organismo di riferimento viene marcato per riconoscerlo (marcatore radioattivo). Si
mescolano il DNA dell’organismo con quello degli altri tre e si guarda la quantità di sequenze
complementari che sono presenti, dandoci un’idea di quanto due organismi siano simili fra loro. Se
l’omologia si aggira intorno a 75% gli organismi sono della stessa specie, se si aggira intorno al 25%
sono dello stesso genere, invece, se si aggira intorno al 7% gli organismi sono estranei fra di loro.
Ibridizzazione del DNA per l’individuazione di Legionella: L’ibridazione DNA-DNA può essere
utillizzata per l’identificazione di Legionella pneumofila, questo microrganismo causa la
legionellosi, simile alla polmonite e venne identificata per la prima volta in Florida, dove ci fu un
caso di legionellosi durante un convegno di soldati mercenari che si erano radunati in un albergo.
Si vide che questa era una malattia infettiva causata da un microrganismo, che solitamente si trova
nei condotti degli impianti di grosse strutture di condizionamento, il suo habitat ideale si trova
nelle torri di raffreddamento di diversi impianti. Al genere Legionella appartengono anche altri
organismi che non sono pneumofila e quindi non sono patogeni. Il test sfrutta l’ibridazione DNA-
DNA a livello di due sequenze (non tutto il genoma), uno presente soltanto in tutti i generi di
Legionella e uno presente soltanto nei pneumofila. In un supporto è indicato nel segno + la
presenza di DNA, nel segno – non è presente. Se il DNA dell’organismo studiato forma una doppia
elica con quello fissato, allora si può osservare con un pallino che si colora blu. Se non vi è legato
nulla non si colora. Se il segnale L e p si colorano si ha Legionella pneumofila. Se si colora solo L si
avrà un batterio di Legionella non pneumofila. Se non si colora nulla si avrà un batterio che non è
del genere Legionella.
Ribotyping
È una tecnica basata sull’analisi dell’RNA ribosomiale, ma non prevede il sequenziamento. Il DNA
di un microrganismo è digerito con enzimi di restrizione, i frammenti vengono separati e
rintracciati con una sonda di RNA ribosomiale. Consente di discriminare quattro specie batteriche
diverse
Specie batterica
Tutta questa introduzione è servita ad estendere il concetto di specie linneiana ai batteri (come
abbiamo detto, la definizione che abbiamo utilizzato all’inizio del paragrafo non era corretta).
Secondo alcuni non esiste proprio una definizione corretta, però, per altri, due batteri
appartengono alla stessa specie se:
- Due microrganismi appartengono a specie diverse se le sequenze dei loro DNA, codificanti
per gli rRNA 16S hanno meno del 97% di similarità
- Due microrganismi appartengono alla stessa specie se i loro DNA ibridizzano per almeno il
70%. Se a livello genomico hanno una percentuale di omologia superiore al 70% (con un
30% di variabilità) rientrano comunque nella stessa specie. Per dare un’idea l’uomo e lo
scimpanzè hanno un’omologia genomica del 99% circa
I genomi batterici sono molto plastici e mutabili e perciò si fa riferimento al concetto di
pangenoma cioè non un genoma singolo, ma uno a livello di popolazione, anche perché parti di
DNA possono essere scambiate orizzontalmente al livello di diversi individui della popolazione.
Molti organismi sono isolati da colture pure e ne vengono ricavati i dati molecolari che ne
permettono la denominazione (normalmente un codice). Questo non ci dice, però, se l’organismo
è vivo o morto oppure se è attivo metabolicamente o meno.
Bacteria
• Magnetospirillum magnetotacticum:
Batterio avente un flagello ad ogni estremità. Ha dei corpuscoli elettrondensi all’interno del
citoplasma che sono chiamati magnetosomi. Questi sono dei depositi minerali
(biomineralizzazione) che hanno la capacità di identificare il campo magnetico terreste.
Vivono nelle acque tropicali, sia nell’emisfero Nord che Sud. Quelli che vivono a Nord
utilizzano i magnetosomi per andare verso il polo Nord, quelli che vivono a Sud li utilizzano
per andare verso il polo Sud. Sportarsi dall’equatore verso i poli vuol dire anche andare in
profondità, per questo riescono a indentificare l’alto e il basso in acqua. Questo è
necessario perché sono microarofili (le basse concentrazioni di ossigeno si trovano ad una
certa profondità)
• Hyphomicrobium (batteri gemmanti):
La formazione di una nuova cellula non avviene per scissione, ma
dalla creazione di un nuovo filamento, chiamato ifa, da cui si
stacca la nuova cellula. La nuova cellula generata è provvista di
flagello. Due forme: una flagellata che non è in grado di riprodursi
e l’altra derivata dalla trasformazione della prima, che perde il
flagello e forma l’ifa.
• Mixobatteri:
Formano delle spore di diffusione. Hanno un
aspetto particolare dato dall’aggregazione di
più cellule, che si possono vedere anche ad
occhio nudo. Questi batteri vivono in maniera
vegetativa e si dividono per scissione tipica.
Quando, però, l’ambiente è povero di nutrienti,
si emettono delle molecole segnale che
richiamano le cellule circostanti, che si
raggruppano. Una volta raggruppate si forma
una struttura detta corpo fruttifero nella cui
cima ci sono le mixospore, cioè le spore di
diffusione, che permettono di colonizzare
ambienti più ricchi di nutrienti
• Streptomiceti:
Appartengono al gruppo degli attinomiceti.
Devono il loro nome al fatto che la cellula
quando si accresce forma delle ife che formano
un micelio (come nei funghi, ma questi sono
procarioti). Sul micelio ancorato al substrato si
forma una struttura a spirale su la cui cima si
formano le spore di diffusione. Sono
importanti dal punto di vista farmaceutico
perché vengono utilizzati per produrre
antibiotici. Lo Streptomyces coelicolor ha una
morfologia che ricorda molto una muffa ed
inoltre producono dei pigmenti blu.
Archea
• Alofili estremi:
Necessitano di forti concentrazioni saline, minimo
2-2,5 M NaCl, ottimale 4-5 M. Si trovano nel Mar
Morto, nel Lago Salato e negli stagni di
evaporazione del sale, anche in ambienti in cui il
sale arriva a saturazione, come nelle saline.
All’interno la concentrazione salina è uguale a
quella esterna. I loro enzimi funzionano solo con
alte concentrazioni di sale. Ad esempio, Arcula ha
una forma quadrata. Hanno un processo di
fotosintesi che non usa la clorofilla, ma un pigmento, la batteriorodopsina. La rodopsina è
un pigmento dell’occhio. La batteriorodopsina occupa gran parte del volume interno e
questo serve a catturare la luce solare, ma anche a proteggere dalla consistente
esposizione
• Metanogeni:
E’ un gruppo molto vasto. Producono metano (respirazione anaerobia) a partire da CO2 e
H2 e, pur avendo un’ampia distribuzione, non si incontrano facilmente, perché sono molto
sensibili all’ossigeno. Vivono in ambienti anaerobi (muoiono se esposti all’ossigeno), spesso
in associazione con altri microrganismi (es. Clostridium) che metabolizzano la sostanza
organica producendo H2. Sono usati nei bioreattori, ossia grossi contenitori in cui si
accumulano scarti agricoli che vengono degradati da diversi organismi, fra cui i
metanogeni, che producono metano che viene utilizzato come fonte di energia.
I vari habitat dei metanogeni sono:
- Sedimenti anossici: paludi, sedimenti di laghi, risaie, zone umide di discarica.
- Tratto digestivo di animali: rumine di mucche, pecore, alci e cammelli; intestino
crasso di animali monogastrici (es. l’uomo); intestino superiore di insetti cellulolitici
(es. termiti).
- Sorgenti geotermali di H2 e CO2.
- Impianti artificiali di biodegradazione: digestori a fanghi attivi.
- Endosimbionti di vari protozoi endosimbionti.
Esperimento di Volta: Nei pressi di una palude, si prende un imbuto, si tappa in alto e si
immerge in acqua con la parte larga verso il basso. Dopo un certo periodo di tempo, se si
stappa e vi si appoggia un fiammifero acceso sopra l’imbuto si verificherà una fiammata,
dovuta alla combustione di metano generato dai metanogeni, che si era accumulato
all’interno
• Termoacidofili:
Vivono in sorgenti solforose calde a 80°-90°C e pH uguali o inferiori a 2 (il citoplasma deve
essere comunque neutro). Se si portano a temperature più basse muoiono, perché le
pompe necessarie a mantenere la differenza di pH non riescono più a svolgere la loro
funzione. Thermoplasma è un micoplasma (senza parete), vive nei mucchi dei residui di
carbone che bruciano senza fiamma. Il pH interno è vicino alla neutralità, se si abbassa la
temperatura muoiono, perché non può essere mantenuto il gradiente di pH.
• Archea ipertermofili:
Vivono a temperature superiori ai 90°C. Per la prima volta furono isolati alle sorgenti di
Yellowstone. Qui le acque sono dense di sali e a 100°C non raggiungono ancora la
temperatura di ebollizione. Altri posti molto simili sono le profondità marine, in cui si
hanno assenza di luce e di sostanze organiche, ma per via della pressione, nei pressi di
bocche vulcaniche l’acqua arriva a 200/300°C (qui nessun organismo può sopravvivere).
Man mano che ci si allontana da queste zone la temperatura scende e si possono trovare
sostanze inorganiche che possono essere utilizzate e organicate da alcuni microrganismi.
Gli enzimi di questi organismi operano ad alte temperature e possono essere utilizzati in
vari ambiti (Taq polimerasi)
• Archea adattati al freddo:
Si possono trovare in ambienti artici. Il vero problema di questi organismi non è il freddo,
ma la mancanza di sostanze nutrizionali, quindi crescono molto lentamente (i loro tempi di
generazione sono molto lunghi, anni, alcune volte anche decine di anni). Il loro
metabolismo è rallentato e possono aspettare che i ghiacci si sciolgano per crescere
• Bdelovibrio:
Ha un unico flagello ad un’estremità. Il suo flagello gli
permette di raggiungere alte velocità. Quando collide
con una cellula, penetra la sua membrana. All’interno
della cellula si riproduce e le copie vengono rilasciate in
seguito a lisi. Ha un ciclo di riproduzione relativamente
breve
• Clamidie:
Si possono trovare sotto due forme: il corpo
elementare, cellula piccola inferiore al micron, simile
alla spora batterica, si diffonde con questa forma, ma
non è capace di riprodursi e il corpo reticolato, forma
riproduttiva più grande che assume soltanto quando è
dentro la cellula, non può esistere al di fuori di essa, e
sfrutta i meccanismi dell’ospite per riprodursi. Quando
le copie usciranno dalla cellula assumeranno la forma
di corpo elementare. Non tutte le cellule possono
ospitare la clamidia, infatti deve avvenire un
riconoscimento specifico. Mediante fagocitosi il corpo
elementare viene trasportato all’interno e forma il
corpo reticolato, si produce e viene rilasciato sotto
forma di corpo elementare
Malattie causate dalla clamidia:
Antibiotici
Sostanza chimica, prodotta da un microrganismo, capace di uccidere o inibire la crescita di un altro
microrganismo. Le caratteristiche di un antibiotico ideale sono:
- Dovrebbe avere la capacità di distruggere o inibire diverse specie di microrganismi
patogeni (antibiotico ad ampio spettro d’azione).
- Dovrebbe impedire il rapido sviluppo di forme resistenti. L’antibiotico può selezionare
batteri resistenti e questo va il più possibile evitato
- Non dovrebbe avere effetti collaterali indesiderati nell’ospite (ipersensibilità, allergie,
danni al sistema nervoso, irritazione dei reni e del tratto gastrointestinale).
- Non dovrebbe eliminare la normale flora microbica dell’ospite. In alcuni casi si possono
verificare delle infezioni opportunistiche. Un esempio classico è rappresentato da Candida
albicans, un fungo, la cui crescita, in condizioni normali, viene inibita
dai microrganismi presenti nel nostro organismo. Se si fa utilizzo di
antibiotici questi microrganismi possono morire facendo proliferare la
Candida albicans
Valutazione della M.I.C: Dobbiamo avere una coltura pura del batterio in esame. Prima,
sicuramente, sarà stato fatto l’antibiogramma. Si creano una serie di colture in terreno liquido,
ognuna contenente una concentrazione crescente dell’antibiotico ed insieme a queste si
preparano anche delle provette di controllo, senza inoculo batterico, ma soltanto con terreno
liquido e antibiotico alla relativa concentrazione. Tutte le provette vengono inoculate con la stessa
quantità di cellule. Si fanno incubare i terreni. Su alcuni si sarà sicuramente effettuata una crescita,
soprattutto su quelle con la concentrazione di antibiotico più bassa. La provetta con la quantità di
antibiotico più bassa in cui non si è verificata crescita batterica (corrisponde alla prima provetta
limpida) ci dà la M.I.C
La differenza fra un antibiotico battericida e uno batteriostatico può
essere osservata in un grafico sulle cui ascisse viene riportato il tempo
e sulle ordinate le cellule vive in scala logaritmica. Nel secondo caso, il
numero di cellule non cresce più, ma
resta bloccato (plateau), nel primo,
invece, si ha il calo di cellule vive al
momento dell’aggiunta. Nella maggior
parte dei casi il battericida non riesce ad
uccidere tutte le cellule. Se aggiungiamo
un antibiotico battericida, per basse
concentrazioni si ha una inibizione della crescita e via via
aumentando la concentrazione si ha un blocco, cioè un effetto
batteriostatico (M.I.C.), quindi anche un battericida può essere un batteriostatico ed infine, ad alte
concentrazioni, si arriva ad un rapido abbassamento della popolazione batterica, che non arriva
mai allo zero però. Il più delle volte un antibiotico battericida arriva soltanto a svolgere una
funzione batteriostatica.
• Cefalosporine
Molto utilizzate. Più complesse delle penicilline, ma comunque contenenti l’anello beta-
lattamico.
• D-Cicloserina
Simile al monomero di D-Alanina in configurazione attiva. Agisce nelle fasi iniziali della
formazione della mureina (stesso meccanismo delle penicilline)
• Streptomicina
Storicamente, fu il primo antibiotico di questo genere ad essere utilizzato. La tubercososi
non poteva essere ancora curata da penicillina. Il batterio responsabile della tubercolosi,
non avendo la mureina, è resistente alla penicillina. La streptomicina si lega ai ribosomi
(quelli procarioti sono diversi da quelli
eucarioti) e ne
inibisce la sintesi
proteica. Per
individuare la
subunità su cui
agisce, fu effettuato
un esperimento
(anche in vitro i
ribosomi sono
sensibili
all’antibiotico). Si
avevano ribosomi resistenti alla streptomicina ed altri sensibili a questa. Le due subunità
sono facilmente separabili da entrambi. Con la stessa facilità è possibile rimetterle insieme,
facendo questo si costituiscono dei ribosomi ibridi. I ricercatori videro che nel caso del
ribosoma ibrido che aveva la subunità minore sensibile alla streptomicina, rimaneva ancora
sensibile, al contrario, quello avente la subunità maggiore sensibile risultava resistente.
Questo esperimento dimostrò che la streptomicina interagiva con i ribosomi 70S legandosi
a livello della loro subunità minore. Generalmente questi antibiotici inibitori della sintesi
batterica sono batteriostatici, ma non nel caso della streptomicina perché il legame alla
subunità minore fa “impazzire” il ribosoma, che inizia a tradurre indipendentemente
mRNA, tRNA e talvolta anche segmenti di DNA, facendo riempire la cellula di proteine
inutili o dannose, che uccidono il microrganismo. L’uso della streptomicina presenta
problematiche: seleziona facilmente organismi resistenti e in una percentuale di persone
genera sordità. Deve essere utilizzato soltanto in specifici casi.
• Cloranfenicolo
Anche questo blocca la sintesi proteica. Viene prodotto in
parte da un microrganismo, ma per la maggior parte viene
prodotto per sintesi chimica. Abbastanza efficacie, ma viene
limitatamente utilizzato a causa dei suoi effetti secondari:
causa il blocco delle cellule del sistema emopoietico
(produzione cellule del sangue), in molti individui è
irreversibile, in altri no ed è letale (il trapianto di midollo è
l’unica soluzione)
• Tetracicline
La caratteristica di base è avere quattro anelli a cui
sono agganciati vari gruppi che conferiscono
proprietà diverse. Non è detto che antibiotici che
hanno come bersaglio i ribosomi procarioti non
vadano a danneggiare quelli eucarioti (ad esempio
possono colpire i ribosomi dei mitocondri, comunque
in terapia il loro effetto è limitato)
• Cicloesimide
Antibiotico che è attivo sulle cellule
eucariotiche, ma non sulle procariotiche
(dannosa per l’ospite, ma non contro il
patogeno). Esattamente l’opposto di quello
che un antibiotico vogliamo che faccia. Sono
comunque usate in ricerca. Alcuni
microrganismi la producono, ma in
concentrazione minore a quella efficace, in
particolare viene utilizzata come molecola segnale
• Mitomicina C
Stabilizza la doppia elica del DNA, ma lo fa con una
reazione enzimatica creando dei legami covalenti che
bloccano la doppia elica (i legami non son ad idrogeno)
• Inibitori della girasi
Sono antibiotici che inibiscono la girasi dei
procarioti. Questo enzima ha un ruolo
importante nella replicazione del DNA e
permette di ridurre la tensione provocata da i
superavvolgimenti, srotolandoli. Se l’enzima
viene bloccato si blocca anche la replicazione.
• Rifampicina
Uno dei pochi antibiotici scoperti in Italia. È una
molecola complessa e il suo bersaglio è la RNA
polimerasi batterica. È servita a curare la
tubercolosi
L’introduzione degli antibiotici, nel giro di un secolo, ha permesso di debellare malattie che
risultavano le prime cause di morte per l’uomo. In particolare, oggi, le morti dovute ad agenti
infettivi sono relativamente molto basse se confrontate con altre patologie
Comparsa di batteri resistenti agli antibiotici
La tubercolosi, debellata nei paesi industrializzati, decretò anche un blocco della ricerca. La
malattia rimaneva comunque presente nei paesi in via di sviluppo. Con la globalizzazione, negli
anni ’90, la tubercolosi ritornò anche a colpire i paesi industrializzati. Gli strumenti per combattere
questa malattia, sono gli stessi, ma bisogna dare il via di una terapia prolungata che permetta di
tenere sotto controllo il batterio che può anche andare in quiescenza. L’interruzione della terapia
può permettere il selezionamento di batteri resistenti, determinando la sua inefficacia e
permettendone, quindi, la diffusione (nei paesi in via
di sviluppo, non molte persone hanno le possibilità
economiche per portare a termine la terapia). La
tubercolosi tutt’ora esiste. Ad esempio, Stafilococcus
aureus è pericoloso per individui debilitati e nel
tempo è diventato sempre più resistente agli
antibiotici, tanto è vero, sembra si stia adattando a
quasi tutti gli antibiotici a nostra disposizione. È
necessario fare un uso corretto degli antibiotici,
ridurre il loro uso a scopo zootecnico e tenere sotto
chiave quelli nuovi, permettendo di rallentare
l’insorgenza di resistenze da parte dei batteri
Meccanismi di resistenza agli antibiotici
La resistenza può essere a livello di geni collocati sul cromosoma batterico oppure su plasmidi. I
meccanismi di resistenza sono molteplici:
1) Viene modificato il bersaglio su cui va ad agire l’antibiotico. Nel caso della streptomicina
viene modificata la subunità minore dei ribosomi
2) Viene degradato l’antibiotico. Le penicillasi tagliano l’anello beta-lattamico ed inibiscono
l’antibiotico
3) Viene prodotto un enzima che modifica l’antibiotico. L’antibiotico viene inattivato
4) Pompe di efflusso. L’antibiotico viene espulso dalla cellula e non gli permette di
raggiungere la concentrazione efficace a svolgere la sua funzione
Lieviti
Sono forme fungine unicellulari, eucarioti. Quello più conosciuto è sicuramente Saccharomyces
cerevisiae. Appartiene agli Ascomiceti, è un fungo che ha tutto il suo ciclo cellulare allo stato
unicellulare, ma può trovarsi allo stato aploide
o diploide. Ciclo vitale aplodiplonte, può
esistere sia in forma aploide che diploide in
modo stabile ed intercambiabile. Questo
significa che può riprodursi sia in modo
vegetativo che sessuale. Le cellule aploidi
possono dividersi vegetativamente a tempo
indeterminato, tramite gemmazione. Il ciclo
aploide può durare molto a lungo. Due cellule
aploidi di tipo riproduttivo diverso possono
dare vita ad una cellula diploide. La forma
diploide può anche dare vita ad un ciclo
vegetativo aploide tramite meiosi (porta alla
formazione di spore), ma può anche rimanere
in forma diploide dividendosi per gemmazione.
Visto che appartiene agli Ascomiceti, le quattro
spore (gameti) che si originano dall’evento meiotico vengono mantenute all’interno di un astuccio
chiamato asco. L’inizio della gemmazione è individuabile da un rigonfiamento a livello della cellula
madre, che si ingrandirà e poi si staccherà. La gemmazione genera una cicatrice a livello della
cellula madre (nella quale non si potrà più avere tale processo, quindi ogni cellula ha un numero
finito di cellule che può creare).
Mating type in lievito: Se si prendono due spore di tipo diverso si ottiene un individuo diploide. Se
prendiamo una coltura contenente un solo tipo riproduttivo, alcune cellule cambiano tipo
permettendo comunque la formazione
dell’individuo diploide. Il tipo della
cellula dipende da quale gene è stato
trascritto. Sul cromosoma del lievito
sono presenti entrambe le copie. Il
gene che si trova a livello del
cromosoma che identifica il tipo
sessuale del lievito, viene, ad intervalli
regolari degradato e sostituito da una
copia del gene opposto. In questo
modo non viene preclusa la possibilità
di coniugare, se nella coltura fossero
presenti spore di un tipo sessuale
unico.
Uso industriale del lievito
- Birra (Saccharomyces cerevisiae o S. Carlsbergensis): Il malto d'orzo viene miscelato con
acqua calda; dopo la conversione enzimatica dell'amido (i semi vengono fatti prima
germinare), il mosto viene bollito con il luppolo e poi fermentato con il lievito.
- Vino (S. ellipsoideus, vari ceppi): Mosto d'uva con zucchero fino al 22%; è aggiunta anidride
solforosa per ridurre la velocità di fermentazione; il mosto è lasciato fermentare con un
particolare ceppo di lievito, o con il lievito presente sull'uva (resistono bene ad alti livelli di
etanolo).
- Lievitazione del pane: Pasteur fu il primo a studiare i lieviti utilizzati a livello industriale.
Questi lieviti sono anaerobi facoltativi (se c’è l’ossigeno preferiscono utilizzarlo, infatti
hanno i mitocondri)
Muffe
Forme fungine che producono il micelio, ossia filamenti che si intrecciano fra loro. Due forme:
lievito e muffa, ad esempio Candida albicans (quella unicellulare non è patogena, quella miceliale
sì).
Funghi
Forme fungine provviste di corpo fruttifero macroscopico. Ciclo vitale che prevede la formazione
di spore.
Licheni
Associazione simbiotica tra un fungo ed un’alga o un cianobatterio.
Il fungo utilizza le sostanze organiche prodotte dall’alga attraverso la fotosintesi. L’alga sfrutta i
minerali rilasciati dalla pietra che viene attaccata dagli acidi prodotti dal fungo. Il fungo protegge
l’alga da condizioni ambientali avverse (siccità o presenza di sostanze chimiche tossiche). Crescono
in ambienti poveri dal punto di vista nutrizionale. Rappresentano dei danni ai beni culturali
Virus
I virus sono elementi genetici che possono replicarsi indipendentemente dai cromosomi cellulari,
ma non dalle cellule stesse. Solo all’interno della cellula ospite si possono riprodurre, ma hanno
una loro informazione genetica
Virione: Struttura attraverso la quale il genoma virale è trasportato dalla cellula in cui è stato
prodotto ad un’altra cellula.
Tutti i virus contengono, nel virione, un solo acido nucleico. Questo può essere o a DNA o ad RNA
(non possono coesistere insieme).
• Virus a RNA
- Lineare
- Segmentato
∙ Singolo filamento
∙ Doppio filamento
Dimensioni acidi nucleici virali
• DNA:
1.2 x 106 – 2 x 108 Daltons 3,000 – 375,000 bp
(vanno dal range di alcuni plasmidi a genomi più grandi di alcune cellule)
• RNA:
1.2 x 106 – 7 x 106 Daltons 3,000 – 30,000 bp
(vanno dal range di alcuni plasmidi a genomi inferiori per almeno 10 volte a quelli formati
da DNA)
Le dimensioni massime dei due tipi di genomi sono diverse perché molecole troppo grandi di RNA
creano un problema nel mantenimento genico (si crea una pressione selettiva su virus che hanno
genoma ad RNA più corto)
Virus complessi
Difficile classificazione. Genoma più piccolo rispetto a quello dei batteri. Non esiste un organismo
che non sia infettabile da virus. Metodi di classificazione utilizzati:
- Organismo ospite (batteri, animali, piante)
- Assenza o presenza di rivestimento
- Genoma (DNA a doppio filamento, DNA a singolo filamento, RNA a singolo filamento)
• Batteriofagi:
Il modulo utilizzato per sbarcare sulla Luna è stato ispirato alla sua forma. Struttura
complessa formata da più parti. Gli ospiti sono batteri
• Virus Animali:
Gli ospiti sono animali. Genomi eterogenei. Gli RNA+ o RNA- sono diversi. RNA+ sono anche
codificanti per la sintesi proteica oltre che portatori dell’informazione genica. Gli RNA-
devono essere sintetizzati in DNA all’interno dell’ospite
• Virus vegetali:
Numero estremamente ridotto, hanno il rivestimento. Un numero elevato ha un genoma a RNA a
singolo filamento
Classificazione secondo Baltimore
La classificazione secondo Baltimore è basata sul rapporto esistente tra il genoma virale e l’RNA
messaggero utilizzato durante l’espressione del genoma virale. Per convenzione, l’mRNA usato per
la sintesi proteica è definito come l’elica positiva (+).
Al centro della classificazione secondo Baltimore c’era l’RNA messaggero (+), per arrivare a questo
mRNA si possono avere virus a doppia elica di DNA o singola elica di DNA, nel caso di un genoma a
DNA a singolo filamento nella maggior parte dei casi la riproduzione dei virus prevede un
intermedio di DNA a doppio filamento, quindi la situazione diventa omologa a quella dei virus con
DNA a doppio filamento. A questo punto una della due eliche del DNA funzionerà da stampo per
dare l’elica dell’RNA messaggero. Abbiamo poi dei genomi a RNA a doppio filamento, vuol dire che
l’elica + e l’elica – sono insieme, o il messaggero si originerà tramite una trascrizione dell’elica –
dell’RNA, avremo una RNA polimerasi RNA dipendente. Nel caso di virus con genomi a RNA di
singolo filamento di segno + il messaggero ed il genoma coincidono. Nel caso in cui il genoma sia
una molecola di RNA a singolo filamento di segno – il messaggero dovrà originarsi in modo simile a
quello dei genomi a doppio filamento di RNA, ovvero con sintesi de messaggero utilizzando come
stampo l’RNA di segno negativo.
Abbiamo poi una classe a sé stante, i retrovirus, caratterizzati da un genoma a RNA a singolo
filamento ma che nella loro riproduzione passano attraverso un DNA a doppio filamento e quindi
anche il messaggero verrà sintetizzato direttamente su questa molecola di DNA a doppio
filamento. Quindi il tentativo di classificare i virus di Baltimore si basa sulle vie scelte per arrivare
alla produzione dell’RNA messaggero all’interno della cellula ospite.
Nel caso dei virus dell’epatite questi sono stati raggruppati tutti insieme perché hanno un effetto a
livello delle cellule del fegato ma in realtà sono virus completamente diversi sia a livello genomico
che delle altre caratteristiche
Titolazione di un virus batterico
Per avere un’idea di quante particelle virali sono presenti in un mezzo liquido si effettuano degli
stratagemmi. Si potrebbe contare i virus attraverso il TEM, ma vi è anche un numero molto alto di
virus non in grado di riprodursi. Per conteggiare quelli in grado di infettare si utilizza una provetta
contenente un terreno liquido con una quantità di agar inferiore della metà rispetto al normale,
che viene tenuto ad una temperatura più alta di quella ambiente. In questa si aggiungono dei
batteri sensibili al fago che vogliamo titolare e poi una diluizione del fago in questione. Dopo aver
mescolato si versa il tutto in una piastra con terreno solido, facendo solidificare il tutto. Si mette
ad incubare la piastra. Le cellule si duplicano, stessa cosa vale per i fagi che hanno infettato le
cellule, che vanno ad infettare, a cascata, le cellule circostanti. Dove si avevano le cellule infettate
si avrà un alone di lisi di cellule morte circostanti alla cellula originariamente infetta.
Se si prendono in considerazione virus animali e vegetali, la situazione si complica. Nel caso dei
virus animali si devono utilizzare colture di cellule animali che possono essere evidenziate da
placche di lisi, però il numero di queste colture in grado di dare questo risultato è limitato. Il
numero di virus è dato dalle unità formanti placche (P.F.U.). Nel caso delle piante non viene fatta
la titolazione, ma si vanno ad osservare delle lesioni necrotiche a livello della foglia, ma non ci dà
un’idea precisa del numero virale
Batteriofagi virulenti
Fago T4:
Tutti i fagi numerati T hanno come ospite E.coli e
sono tutti litici, cioè distruggono la cellula alla fine
del loro ciclo riproduttivo. La testa è dove viene
conservato il genoma, che è a DNA lineare a
doppio filamento. La testa si ancora alla coda,
costituita da due parti: una parte cava centrale, lo
stilo, che è avvolto dalla guaina. La coda poi si
innesta nella parte basale costituita da una piastra
su cui sono ancorate delle fibre.
1) Attacco: Il virus si poggia con le
fibre sulla superficie di un
batterio. Con le fibre si sposta e
cerca il recettore
2) Adsorbimento: Quando trova il
recettore, con le spine presenti
sul fondo della piastra si
aggancia
3) Contrazione della coda: La
guaina che avvolge la coda si
contrae in modo tale che lo stilo
venga estroflesso
4) Penetrazione: Lo stilo penetra i
rivestimenti batterici
5) Iniezione di DNA: attraverso il
lume centrale dello stilo si inietta il DNA nel citoplasma batterico
Esperimento one-step
Una coltura di E.coli venne infettata con T4. Per sincronizzare l’infezione utilizzarono cianuro.
Tutte le cellule vengono infettate simultaneamente. Questo si ottiene infettando in presenza di
cianuro (il cianuro non è letale per le cellule, ma blocca la produzione di ATP): il virus può iniettare
il proprio DNA, ma poi si arresta nei primi momenti del ciclo infettivo. Allontanando il cianuro
dopo un breve tempo, l’infezione procede simultaneamente; il fago non assorbito viene
allontanato o diluendo la coltura o usando un anticorpo. Il numero delle unità formanti placca
(P.F.U.) presenti viene determinato mediante il metodo delle placche di lisi.
Il grafico viene chiamato “a singolo scalino”. Sulle ascisse viene riportato il tempo e nelle ordinate
il rapporto del numero di P.F.U., cioè il numero di P.F.U. misurati ad un certo momento fratto il
numero di P.F.U. misurati al tempo iniziale (che è uno). Man mano che si va avanti si ha un periodo
di latenza in cui non si ha l’aumento del rapporto, poi cresce fino ad arrivare ud un valore di
plateau.
Al tempo iniziale la singola P.F.U. è data dalle cellule infettate. Ad un certo punto si verifica un
incremento dovuto all’infezione, in cui le cellule si lisano e rilasciano virioni. Poi si ha un plateau in
cui il rapporto non cambia perché i virioni non trovano altre cellule da infettare. Se noi dividiamo il
numero di P.F.U. per il numero iniziale, allora dividiamo il numero di virioni liberati per le cellule
infettate. Il rapporto ci dice, mediamente, quanti sono i virioni rilasciati da una cellula infettata. La
riproduzione di un virus all’interno di una cellula può avvenire in circa 25 minuti, come si può
vedere dal primo periodo di latenza.
Batteriofagi lisogeni
Fago lambda:
Il ciclo del fago lambda ha una fase iniziale
sostanzialmente analoga a quella del T4. Ha DNA
lineare a doppio filamento. Il suo genoma circolarizza
all’interno e a questo punto deve andare incontro al
ciclo litico o meno. Nel caso di scelta del ciclo litico i
meccanismi sono molto simili al T4. Nel caso di scelta
del ciclo lisogenico, il DNA virale viene integrato
all’interno del genoma batterico. Il DNA integrato è
detto profago e la cellula che trasporta il profago è
detta lisogenica per lambda. Ogni volta che una
cellula lisogenica si dividerà, duplicherà il DNA virale.
L’informazione virale piò rimanere nella cellula per
tempi molto lunghi. Con la presenza di un certo
segnale, il profago viene indotto a riprodursi ed entrare nel ciclo litico
Il DNA di lambda è lineare a doppio filamento, ma le estremità coesive e complementari che si
legano tra loro una volta che entrano dentro la cellula, formando una molecola di DNA a doppio
filamento circolare.
Il DNA del virus può trovarsi nelle condizioni di lisogenia o del ciclo litico, a seconda del caso
Ciclo litico di Lambda
Dal tempo 0 a 3 minuti: Sono disponibili solo
due promotori, PR e PL. La trascrizione che
parte dai due promotori termina subito e
porta alla trascrizione di due geni che da un
lato danno la proteina cro e dall’altro la
proteina N. La N è molto importante per
attivare la classe successiva di geni, perché N è
un antiterminatore.
Dal tempo di 3 a 9 minuti: La trascrizione da PL
va verso sinistra e quella da PR va verso destra.
La trascrizione di TR porta alla formazione di
due trascritti che creano due tipi di terminatori
e nella trascrizione dei geni verso destra si
produce Q che può attivare PR’, promotore
della trascrizione tardiva.
Dal tempo 9 a 45 minuti: PR’ è l’ultimo
promotore attivato e si ha la sintesi delle
proteine strutturali del virus
4) Sintesi di CI da PRE
La trascrizione di questo promotore verso sinistra codifica per CI, un repressore che reprime il ciclo
litico, facendolo entrare, invece, nel ciclo lisogeno. La trascrizione da PRE da sinistra è antagonista
alla trascrizione di PR, ossia alla sintesi della proteina cro, che instaura il ciclo litico. Il repressore CI
inibisce PR e PL.
5) Sintesi di CI da PRM
Quando PR e PL sono spenti, CI oltre che a mantenerli spenti, attiva il promotore PRM, che trascrive
esclusivamente CI. La lisogenia viene mantenuta da lambda finché si ha il mantenimento della
produzione di CI
Trasduzione
Processo di trasferimento del materiale genetico fra batteri. A
dimostrare l’esistenza di questo processo si effettuò un
esperimento in cui si utilizzava una camera di crescita a U,
dove i due terreni di coltura erano separati da un tappo
poroso che permetteva il passaggio dei liquidi, ma non delle
cellule. I due liquidi venivano mescolati tramite una pompa a
pressione, che ne forzava il passaggio dal. Nei due terreni
venivano utilizzati due batteri diversi con auxotrofia
differente per diversi marcatori genetici. Nei terreni veniva
anche introdotta una DNAsi che taglia il DNA che si perdeva
all’esterno della cellula. Dopo un certo periodo di tempo si ottenevano a livello di questi terreni
dei batteri prototrofi. Questo voleva dire che avevano ottenuto del materiale genetico che
permetteva la sintesi del marcatore mancante (la mutazione spontanea che permette la
prototrofia in questo caso ha una percentuale molto bassa). L’esperimento dimostrò che il vettore
che portava tali sequenze era un virus, che proteggeva anche il DNA dall’effetto dell’enzima DNAsi.
Il genoma dei retrovirus è molto semplice e lineare, con estremità ripetute e ci sono almeno
tre geni fondamentali. Quindi, contiene:
- Sequenze R: Presenti in entrambe le estremità e sono sequenze ripetute
- gag: Codifica proteine strutturali
- env: Codifica proteine dell’envelope
- pol: Codifica la trascrittasi inversa
Infezione da retrovirus:
Avviene il riconoscimento fra cellula e virus. Il
Rivestimento virale e la membrana si fondono e il
nucleocapside entra dentro la cellula rilasciando il
genoma, un tRNA particolare e la trascrittasi inversa.
La trascrittasi ha tre funzioni:
- DNA polimerasi RNA dipendente
- RNAsi H (degrada una molecola di RNA che sia
legata ad un DNA, ibrido DNA-RNA)
- DNA polimerasi DNA dipendente.
Il genoma retrovirale porta una
molecola di tRNA, che funziona
come innesco, in un sito specifico.
La trascrittasi inversa utilizza il
tRNA come innesco ed inizia a
sintetizzare il DNA dall’RNA virale.
La sintesi porta alla formazione di
un ibrido DNA-RNA che viene
degradato dall’RNAsi H creando
una parte di DNA neosintetizzato a
singolo filamento. Questo ha una
sequenza all’estremità che è
complementare a quella terminale
dell’RNA virale. Il DNA si lega
all’altra estremità esponendo un 3’
libero che permette alla DNA
polimerasi di sintetizzare il
filamento di DNA
complementare all’RNA virale
(retrotrascrizione). Si forma di
nuovo, quindi, un ibrido DNA-
RNA che viene degradato dalla
RNAsi H (resta solo un piccolo
frammento di RNA che
funziona da innesco per la
DNA polimerasi). A questo
punto si risintetizza il breve
tratto e si rimuove l’innesco.
Le due estremità dei filamenti
sono complementari e si
forma un loop (le due
sequenze di innesco del tRNA
nei due filamenti diversi si legano) su cui agisce la trascrittasi inversa, creando un filamento fino a
quando non finisce l’elica. La trascrittasi inversa adesso si trasferisce sull’altra estremità e
completa la sintesi del DNA, formando un doppio filamento. A questo punto il doppio filamento
viene integrato nel genoma dell’ospite. L’informazione virale può rimanere quiescente per tempi
molto lunghi e si può rivelare molto dannosa. Il DNA virale che vuole riprodursi, non verrà mai
excisso, ma si replicherà quando la RNA polimerasi dell’ospite lo trascriverà. In parte i trascritti
diverranno i genomi virali ed in parte verranno utilizzati per la sintetizzazione delle proteine
strutturali del virus. Una volta ricreato il virus completo, questo verrà rilasciato per gemmazione.
La cellula potrà produrre virus per tutta la vita. Per quanto riguarda l’HIV, questo virus colpisce i
linfociti T helper ed ogni volta che si riproduce uccide queste cellule, andando ad abbassare le
difese immunitarie.
• Virus dell’influenza: Sulla superficie hanno delle spine. Il
genoma virale è una molecola di RNA segmentato,
suddiviso su 8 segmenti di diverse dimensioni (per essere
funzionale il virus deve avere tutti e 8 i segmenti). Le
proteine sulla superficie sono di due tipi:
- Emoagglutinina (H)
- Neuraminidasi (N)
Entrambe sono importanti per il riconoscimento
immunitario del virus. Una volta che il sistema riconosce
il virus lo riconosce per sempre, il problema è che le proteine H ed N tendono a mutare
ogni anno, quindi la risposta immunitaria non è sempre in grado di proteggere dal virus. Il
rilascio del virus dell’influenza avviene
mediante gemmazione dalla cellula
ospite. Periodicamente appaiono virus
con H ed N completamente differenti,
quindi la diffusione è molto veloce ed
efficiente. Un caso di pandemia
influenzale è stata la Asiatica del 1957.
Nella storia vi sono state diverse
epidemie che hanno colpito su scala Mondiale. Fra quelle da riportare è sicuramente la
Spagnola del 1918, in cui le morti ricadevano soprattutto sui giovani (differentemente dal
solito). Causò circa 500 milioni di morti. L’aggressività della Spagnola scatenava una
risposta immunitaria violenta (le persone con sistema immunitario più forte erano le più
sensibili). La pandemia Suina del 2009 si è originata dai maiali e il ceppo ricalcava quello
della Spagnola. Le pandemie sono causate dal fatto che i virus si possono riprodurre anche
su animali e il loro contatto è molto probabile e i virus possono essere molto diversi da
quelli iniziali ed essere irriconoscibili dal punto di vista immunitario
Virus vegetali
I virus vegetali per infettare devono superare la cuticola che protegge le cellule vegetali. Questo
può avvenire:
- Evitando il problema: il virus viene passato da una generazione all’altra attraverso polline o
semi infetti, oppure con la riproduzione asessuale
- Per inoculazione meccanica: quando la cuticola viene danneggiata, ad esempio da animali
che brucano.
- Attraverso vettori (artropodi): gli insetti trasportano i virus da una pianta all’altra e lo
iniettano quando pungono per nutrirsi.
I virus vegetali non riconoscono nessun recettore posto sulla superficie cellulare. Questo non è
sorprendente perché vengono trasferiti con meccanismi che danneggiano gli involucri cellulari.
L’ambito d’ospite è determinato dalla presenza/assenza di geni o funzioni necessari per la
riproduzione del virus.
La maggior parte dei virus vegetali hanno un genoma a RNA positivo (utilizzato come mRNA)
Molti di questi virus sono multipartiti: il genoma a RNA è segmentato in due o più molecole,
ognuna avvolta dal proprio nucleocapside. L’infezione è data dall’ingresso di tutti i nucleocapsidi.
Tutte queste componenti devono essere presenti nella cellula perché il virus possa riprodursi.
Questo è possibile dato che il virus è trasmesso attraverso connessioni citoplasmatiche o tramite
un vettore. Il fatto che il virus sia segmentato in più nucleocapsidi è vantaggioso perché riduce la
possibilità di errori ed inoltre permette la regolazione temporale
Caulimovirus:
Virus a DNA. L’informazione è portata da DNA a
singolo filamento, in particolare tre filamenti: alfa,
beta e gamma. Si formano degli appaiamenti fra i
filamenti. Vengono sintetizzati anche diversi RNA, fra
cui il 35S, che contiene l’intera informazione
nucleotidica portata dal DNA. Quando si deve
riprodurre utilizza come stampo l’RNA 35S. L’innesco
è ancora una volta un tRNA e la sintesi avviene con i
criteri della trascrittasi inversa, che produce le tre
molecole di DNA genomico.
L’infezione che causa l’affusolamento del tubero della patata è capace di infettare anche le piante
di pomodoro. Le piante di pomodoro infettate si presentano più piccole e fragili. L’agente infettivo
è diverso dagli altri perché non presenta un
capside. L’agente infettivo, di fatti, è una
molecola di RNA, chiamata viroide. I viroidi
sono molecole di RNA circolare che possono
presentare appaiamenti interni. I viroidi sono abbastanza comuni in natura e hanno molecole di
RNA molto più piccole rispetto agli altri virus ed hanno le quattro basi standard (alcuni virus hanno
basi modificate). Costituiti sempre da una singola molecola di RNA
Replicazione dei viroidi: Per la loro replicazione i viroidi usano gli enzimi cellulari, che di solito
sono capaci di replicare molecole di DNA. Il genoma dei viroidi non viene mai copiato in una
molecola di DNA. Non sono mai state trovate queste molecole di DNA. Invece sono state trovate
molecole di RNA più lunghe della singola unità genomica.
Prioni
Agente infettivo di origine proteica che è in grado di replicarsi. Resistente al calore e ad enzimi
proteolitici. Responsabile della malattia della Mucca pazza. Alcune malattie prioniche possono
colpire l’uomo (morbo di Creutzfeld-Jakob). La malattia della Mucca pazza, però, fu la prima
malattia prionica a passare ad altre specie, fra cui l’uomo (prima si erano osservati soltanto casi
specie-specifici). Pare che l’infezione prionica sia passata all’uomo attraverso l’utilizzo di farine
animali, create dagli scarti di macelleria, con cui si nutrivano i bovini, che si infettavano fra loro.
Pare che da alcuni bovini sia passato anche agli uomini. Questo si tramutò nel bando della vendita
di alcuni tipi di carne. Comunque, la malattia restò sempre abbastanza marginale nell’uomo.
Geni che codificano il prione sono posseduti da quasi tutti gli organismi viventi, quindi è una
proteina estremamente importante per la vita cellulare. La differenza fra le proteine che
normalmente devono essere sintetizzate e il prione, non risiede a livello amminoacidico, ma nella
struttura tridimensionale (in pratica è un errore nel folding che origina il prione). I prioni, per agire,
devono essere in grandi quantità e devono raggiungere le cellule del cervello. I prioni entrano in
contatto con la proteina sana e cambiano la sua conformazione, trasformandola in prione. Questo
evento si riversa a cascata su tutta le cellule, generando un danno a livello cerebrale.
Farmaci antivirali
Nel caso delle malattie virali, sicuramente, l’arma migliore è la prevenzione visto che l’efficacia di
farmaci antivirali non è assolutamente correlabile a quella dei farmaci batterici. È possibile
combattere il virus solo quando esso ha già infettato le cellule. Prendiamo come esempio i farmaci
anti-HIV, la ricerca in questo settore è sicuramente la più avanzata, poiché quando si scoprì il virus,
che colpì anche una buona parte della popolazione più facoltosa, le donazioni alla ricerca non
mancarono. Dalla scoperta del virus ad oggi sono passati circa 40 anni e i farmaci anti-HIV utilizzati
sono:
Modalità di ingresso:
- Inalazione (virus dell’influenza).
- Ingestione, di solito via oro-fecale (Salmonella, colera, E. coli).
- Punture d’insetto (malaria).
- Contatto sessuale (malattie a trasmissione sessuale, HIV).
- Ferite infette.
- Trapianto di organi (cornee, trasfusioni di sangue).
Patogenicità: Capacità di un microrganismo di indurre una malattia. Inizia con l’adesione del
microrganismo alle cellule dell’ospite ed è seguita dalle fasi di colonizzazione e proliferazione, che
determinano lesioni ai tessuti dell’ospite. Non tutti sono patogeni, ma possono acquisire la
patogenicità
Virulenza: Indica la capacità relativa di un patogeno di indurre una malattia. Organismi altamente
virulenti uccidono più individui con un numero minore di cellule infettate rispetto ad organismi
moderatamente virulenti.
Tossicità: Capacità di un organismo di svolgere il suo ruolo patogeno attraverso la produzione di
tossine che inibiscono le funzioni della cellula o la uccidono.
Invasività: Capacità di un organismo di proliferare nei tessuti fino a raggiungere numeri così
elevati da inibire le funzioni dell’ospite. Un microrganismo, anche se non produce tossine, può
determinare una malattia grazie alle sue proprietà invasive.
La maggior parte dei microrganismi patogeni utilizza una combinazione di tossicità ed invasività.
Postulati di Koch
Un microrganismo causa una certa malattia se soddisfa tutti i punti del postulato
1) Il microbo deve essere sempre trovato associato alla malattia
2) Il microbo deve essere isolato in forma pura su terreni artificiali, in laboratorio
3) Il microbo isolato deve produrre una malattia simile, quando viene inoculato in un animale
da laboratorio
4) Il microbo deve essere recuperato in forma pura dall'animale infettato
Può passare molto tempo fra l’arrivo dell’organismo e l’insorgenza della malattia. I terreni di
coltura possono far crescere solo alcuni organismi e se non crescono possono essere trovati grazie
a studi epidemiologici. Non sempre può esistere un animale da laboratorio che presenta la stessa
malattia dell’uomo.
Esotossine
Le esotossine sono proteine rilasciate nell’ambiente circostante da un microrganismo in crescita.
Esse possono causare danno in regioni lontane dal sito dove sono state prodotte.
• Tossine citolitiche (emolisine): causano la lisi della cellula. Si utilizza l’agar sangue per far
crescere i microrganismi patogeni. I patogeni sono circondati da aloni chiari dovuti alla lisi
degli eritrociti causata dal loro enzima litico.
• Tossina difterica (Corynebacterium diphteriae): A livello della sintesi proteica sono
importanti i fattori di allungamento. La tossina viene prodotta con due componenti A e B.
La B individua la cellula bersaglio legandosi a particolari recettori e permette di far entrare
all’interno della cellula la componente A. Una volta entrata, le due componenti si scindono.
La subunità A entra in contatto con i fattori di allungamento, si lega ad essi e li inattiva. La
sintesi proteica a questo punto non avviene più e la cellula muore.
• Tossina botulinica (Clostridium botulinum): Tra i veleni più potenti in natura. Interferisce
con la trasmissione dell’impulso nervoso. I neuroni ricevono un segnale e inducono il
muscolo a contrarsi. Il segnale è dato dal neurotrasmettitore acetilcolina. La tossina
botulinica si lega al neurone e blocca il rilascio del neurotrasmettitore e questo porta ad
una paralisi che colpisce tutta la muscolatura (sia a livello cardiaco che della respirazione) e
causa la morte. È utilizzata anche nella terapia medica (impiegata nel movimento
spasmodico muscolare) e in campo estetico
• Tossina tetanica (Clostridium tetani): Anche questa agisce a livello dell’impulso nervoso
collegato al movimento muscolare. I neuroni inibitori rilasciano molecole segnale a livello
del neurone che rilascia l’acetilcolina, bloccandone il trasporto. La tossina blocca il segnale
inibitorio, che causa un rilascio continuo dell’acetilcolina che causa una contrazione
continua
Enterotossine
Le enterotossine sono esotossine che agiscono sull’intestino tenue, provocando generalmente
un’abbondante secrezione di fluidi nel lumen intestinale, che porta a vomito e diarrea.
• Enterotossina colerica (Vibrio cholerae): Gli ioni sodio presenti nel lume intestinale
passano nella circolazione sanguigna. Gli ioni cloro tendono a non muoversi. Quando arriva
il batterio e produce la tossina, questa si lega sui recettori dell’epitelio intestinale. Questo
legame ha un effetto su un enzima, l’adenil ciclasi, che trasforma l’ATP in cAMP. La
produzione di cAMP ha effetto sul trasporto degli ioni. L’assunzione degli ioni sodio viene
bloccata e gli ioni cloro vengono invece richiamati verso il lume intestinale. Nel lume si ha
l’aumento di concentrazione di NaCl che causa un forte richiamo di acqua verso il lume
intestinale, che può provocare disidratazione a causa della diarrea. L’assunzione del
patogeno è dovuta ad acqua contaminata o ingerimento di verdure non accuratamente
lavate.
Anche E. coli può produrre delle tossine che possono causare la diarrea del viaggiatore
Endotossine
I batteri Gram- producono, come componenti dell’involucro esterno, i lipopolisaccaridi, che in
molte circostanze sono tossici. Queste sostanze sono chiamate endotossine, perché vengono
rilasciate solo quando la cellula va incontro a lisi.
• Immunità aspecifica: immunità di tipo non specifico presente sin dalla nascita
• Immunità acquisita: Deve essere sviluppata dal sistema immunitario. È estremamente
specifica nei confronti dell’agente infettivo. Porta alla produzione di anticorpi
• Immunità umorale: data dagli anticorpi presenti nel sangue e nella linfa e prodotti dai
linfociti B.
• Immunità mediata da cellule: data dai linfociti T, che sono direttamente coinvolti nella
risposta immunitaria.
Entrambe cooperano nella risposta immunitaria. Il sistema immunitaria discrimina quello che è
proprio dell’organismo (self) e quello che non lo è (not self). Quello che è not self deve essere
eliminata. La risposta immunitaria è specifica per ogni individuo (anche se possono esistere delle
analogie)
Antigeni: sono sostanze che introdotte in un animale scatenano la risposta immunitaria. Le
proteine not self sono altamente immunogene, lo stesso dicasi per i polisaccaridi. L’anticorpo
reagisce solo contro una parte della molecola (determinante antigenico o epitopo).
L’antigene può essere piccolo o molto grande. Il sistema immunitario è in grado di riconoscere
strutture di dimensioni contenute, ossia gli epitopi. Più grande è un antigene e più epitopi
differenti avrà (più anticorpi verranno prodotti)
Aptene: molecola non immunogena, che però può divenirlo se legata ad una molecola carrier. Una
volta prodotti, gli anticorpi riconoscono l’aptene anche in assenza della molecola carrier. Hanno
dimensioni molto ridotte e non vengono riconosciute dal sistema immunitario. Vengono
riconosciute solo se sono legate ad altre molecole più grandi
Immunoprecipitazione
Saggio immunologico utilizzato anche in campo microbiologico. In una provetta contenente una
soluzione con un polisaccaride (può provocare una risposta immunitaria), si aggiunge delle gocce
di siero immune prelevato da un animale. La soluzione diventa torbida e la sua torbidità aumenta
ad ogni aggiunta. Se lasciamo riposare per un tempo abbastanza lungo possiamo osservare che si
formano due fasi: un precipitato e un sopranatante limpido. Quindi gli anticorpi reagiscono con
l’antigene e formano un precipitato insolubile facilmente individuabile. La visibilità del precipitato
è alla base di molti saggi immunologici.
Se in una provetta sono presenti gli anticorpi e via via aggiungiamo a questa quantità crescenti di
antigene si può misurare la quantità di
precipitato ottenuta. Il precipitato aumenta
fino ad un massimo oltre il quale non si ha
ulteriore ottenimento di corpo di fondo. Oltre
questo picco, la quantità di precipitato
comincia a diminuire.
1) Fase iniziale: La quantità di anticorpi è
maggiore rispetto a quella di antigene
2) Fase centrale: Quantità di anticorpo e
antigene si equivalgono
3) Fase finale: La quantità di antigene è
superiore a quella degli anticorpi
L’andamento della curva è spiegabile dal fatto che l’antigene può
legare più anticorpi. L’anticorpo può legare solo due antigeni.
Nella fase iniziale ogni antigene cerca di legare il maggior numero
possibile di anticorpi, formando una struttura a rete molto
grande che precipita. Nella fase centrale, ogni antigene lega solo
due anticorpi e ogni anticorpo due antigeni. Si forma una lunga
catena che è insolubile e precipita. Nella fase finale, con eccesso
di antigene, ogni anticorpo lega un antigene ed ogni antigene si
lega soltanto ad un anticorpo, creando una piccola struttura
solubile, che non forma precipitato. Queste strutture si
modificano in base al rapporto antigene-anticorpo
Immunodiffusione su agar: Su una soluzione agarizzata vengono scavati due pozzetti: in una è
stata versata una soluzione di BSA (albumina di siero bovino) e nell’altra una sospensione di
anticorpi anti-BSA. Le due sospensioni diffonderanno in modo concentrico nell’agar. Nel punto di
incontro delle due si formerà una banda di precipitazione evidente. Questo metodo dà risposte
particolari in base alle sospensioni utilizzate.
Un esempio di reazione di immunodiffusione particolare ha utilizzato estratto di mammoth
congelato. Nell’esperimento i ricercatori hanno utilizzato tre pozzetti: uno contenente antisiero
contro l’albumina di elefante, uno con albumina di elefante e l’ultimo contenente estratto dai
tessuti di mammoth. Nei fronti di incontro dei due pozzetti con quello dell’antisiero si sono create
delle bande di precipitazione. Questo ci dice che alcuni anticorpi sono in grado di riconoscere sia
proteine provenienti da elefanti che da mammoth (i mammoth sono antenati degli elefanti)
Saggio RIA
Saggio radioimmunologico. Si possono individuare particolari antigeni (ad esempio insulina)
mediante l’uso di anticorpi specifici marcati con isotopi radioattivi. La formazione antigene-
anticorpo è misurabile creando un grafico in cui nelle ascisse si ha l’antigene nel campione di siero
e nelle ordinate la radioattività.
Saggio ELISA diretto
Test immunologico legato alla
reazione enzimatica. Si utilizzano
dei micropozzetti di plastica su cui si
fissano anticorpi specifici per
l’antigene (si possono lavare senza
che la molecola legata si stacchi). Se
il campione è positivo si ha il
legame antigene-anticorpo, poi si
lava. Si aggiunge una sospensione di
anticorpi che riconosce sempre
l’enzima che noi vogliamo trovare,
però, questi anticorpi hanno legato
un enzima. L’anticorpo con l’enzima
si lega all’antigene e poi si lava (non
si lega se non è presente l’antigene
ovviamente, inquesto caso viene
lavato via). A questo punto si
aggiunge al pozzetto un substrato
incolore che, se è presente
l’enzima, si colora, mentre invece
rimane incolore se non è presente
l’enzima. La quantità di colore rilasciata è osservabile con uno spettro fotometro ed in generale ci
può dare l’idea della quantità presente di antigene.
Anticorpi fluorescenti
Gli anticorpi vengono marcati da una molecola fluorescente (se esposta ad una certa lunghezza
d’onda emette una lunghezza d’onda differente, solitamente si utilizza luce ultravioletta). Gli
anticorpi individuano antigeni presenti sulla superficie di un microrganismo e legandosi
irreversibilmente, in microscopia a fluorescenza si possono vedere le cellule colorate. Possono
essere anche molto specifici
Immunoelettroforesi
Vengono analizzate proteine presenti in un
campione. In una prima fase il campione è
separato per elettroforesi, le proteine migreranno
in base alla carica elettrica e la loro velocità di
migrazione sarà proporzionale al loro peso
molecolare. A lato della corsia di migrazione si
scava un canale dove si pone l’antisiero e si forma
un precipitato dove si ha un riconoscimento
specifico.
Immunoglobulina G
La struttura è formata da due braccia definite da una catena
pesante ed una leggera. Catene pesanti e leggere sono
tenute assieme da ponti disolfuro nelle regioni costanti. La
struttura delle IgG ha una forma ad Y con due braccia,
quest’ultime definite sia dalla catena pesante che da quella
leggera. Le parti terminali delle braccia hanno le regioni
variabili. La parte terminale variabile è quella che andrà a
legare l’anticorpo, quindi, siccome il riconoscimento tra
anticorpo e antigene è tridimensionale queste regioni
variabili devono cambiare struttura in base alla specificità dell’anticorpo per potersi attaccare
all’epitopo. La parte costante delle catene fa in modo che le catene che costituiscono le
immunoglobuline possano essere raggruppate, nel caso delle catene leggere ne esistono due tipi:
Kappa e Lambda. La presenza di uno o l’altro tipo di catena leggera varia e comunque si trovano in
tutte le classi di immunoglobuline, la classe delle immunoglobuline è definita dalla parte costante
delle catene pesanti. Le catene pesanti possono essere divise in 5 classi in base alla sequenza
amminoacidica: α per le IgA, δ per le IgD, ε per le IgE, γ per le IgG ed infine μ per le IgM. Ogni
immunoglobulina G è capace di legare due antigeni, le immunoglobuline più abbondanti sono le
igG, igM e igA.
Immunoglobulina M
Sono formate dalla ripetizione per 5 volte da una subunità
identica alla struttura della IgG, la sezione costante delle
catene pesante è di tipo μ. Questo tipo di immunoglobulina
è tenuta insieme da proteine, le immunoglobuline M hanno
teoricamente 10 siti di legame per gli epitopi ma in generale
è molto difficile che ne leghino così tanti. Sia IgG che IgM
circolano nel sangue.
Immunoglobulina A
Hanno una struttura formata dalla ripetizione di
due monomeri della struttura di base delle IgG,
quindi si avranno 4 siti di legame per l’antigene,
le due unità sono legate da un peptide. Grazie ad
un altro peptide queste immunoglobuline sono
portate nelle secrezioni, ad esempio a livello del
lume intestinale dove rappresentano la prima
difesa contro agenti estranei che entrano a livello del lume intestinale. Non sono in circolo nel
sangue come le due immunoglobuline precedenti
Vaccinazione
Edward Jenner osservò che i mungitori si ammalavano
molto meno frequentemente di vaiolo rispetto al
resto della popolazione. Questa osservazione lo porto
a studiare il fenomeno e si scopri che il motivo era che
i mungitori si ammalavano meno in quanto nel
bestiame bovino esisteva un virus del vaiolo bovino
simile a quello umano ma non patogeno. I mungitori
entrando in contatto con questo virus sviluppavano
una risposta immunitaria che li proteggeva anche dal
virus batterico del vaiolo umano, quindi la
popolazione fu trattata iniettando il virus del vaiolo
vaccino. Il termine vaccinazione deriva da questa prima pratica di immunizzazione. I vaccini si
basano sullo stesso grafico che abbiamo descritto precedentemente. In pratica, consiste
nell’immettere nell’organismo un qualcosa con le stesse caratteristiche antigeniche dell’agente
patogeno senza però scatenare la malattia. Quindi i sintomi non si manifestano ma essendo
qualcosa di estraneo c’è una risposta primaria del sistema immunitario, rappresentata dal primo
picco di produzione degli anticorpi, si formano quindi anche le cellule della memoria. Se andiamo
incontro successivamente ad un’infezione naturale c’è una risposta secondaria immediata dove si
ha subito la produzione delle immunoglobuline che bloccano il patogeno, quindi il vaccino
percorre i processi della risposta immunitaria primaria, stimolando senza malattia la produzione di
cellule della memoria che in un secondo momento potranno rispondere immediatamente
all’antigene.
Tipi di vaccino
• Vaccini con microrganismi uccisi: I batteri o i virus sono stati inattivati al calore o con
irradiazione ultravioletta o con formalina. Sono efficaci nel produrre una risposta
immunitaria poiché contengono tutti gli antigeni del patogeno, i problemi sono il fatto che
l’inattivazione deve essere effettuata in modo sicuro e che il patogeno deve essere
cresciuto in quantità molto elevate. Ad esempio, il vaccino antinfluenzale è preparato in
questa maniera
• Vaccini vivi attenuati: Sono costituiti da ceppi mutanti di virus o batteri che hanno perso la
loro capacità di causare una malattia. Il virus può comunque riprodursi e mantiene le
caratteristiche antigeniche del patogeno, la risposta immunitaria prodotta sarà efficace. Il
fatto che si riproduca è un vantaggio poiché quando iniettato all’interno di un organismo
aumenterà la quantità di antigeni presenti e quindi anche di anticorpi prodotti. Le
problematiche potrebbero essere collegate a fenomeni di regressione, infatti il virus
attenuato può riacquisire la patogenicità anche se è molto raro. È un vaccino molto
economico, facile da distribuire ed efficace. Ad esempio, vaccino antipolio o contro il vaiolo
• Tossoidi: Sono tossine inattivate. Questi vaccini sono utilizzati per quelle malattie che sono
causate da tossine batteriche. L’esempio più famoso è l’antitetanica.
• Vaccini a componenti: Sono costituiti da singoli antigeni purificati. Bisogna individuare la
componente in grado di dare una risposta immunitaria efficace quindi in grado di inattivare
il patogeno, successivamente si deve produrre la componente in grande quantità. Le
tecniche di ingegneria genetica hanno permesso di aggirare il problema della crescita dei
patogeni e purificazione per l’ottenimento di determinate componenti. Attualmente sono i
più utilizzati