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Storia della Microbiologia

La microbiologia è una disciplina scientifica che studia la vita di “piccoli”


organismi. L’esistenza di questi organismi non visibili ad occhio nudo fu
ipotizzata già dagli antichi greci, che però, non avendo a disposizione i mezzi
necessari per vederli, non ne poterono mai verificare l’effettiva esistenza.
Questa disciplina nasce, sicuramente, con l’invenzione degli strumenti necessari
per osservarli. Leuwenhock nel 1700 inventò il microscopio. Egli era un
benestante mercante olandese, che avendo curiosità di scoprire se ci fosse vita
in una goccia d’acqua iniziò ad utilizzare dei sistemi di piastre metalliche, lenti e
viti per osservare dei campioni che dovevano essere posizionati nello strumento
stesso. Ogni strumento, però, doveva essere costruito in base al campione che
doveva essere osservato. Alcuni suoi appunti sono ancora conservati e
ritraggono le forme che egli riuscì ad intravedere nei campioni osservati.
Andando avanti nel tempo, Spallanzani e Redi misero in dubbio la teoria della
generazione spontanea, che sosteneva che la vita nascesse direttamente dalla
sostanza organica. Come esempio veniva presa la carne in decomposizione, in cui nascevano larve
e poi mosche. Redi nel suo esperimento, ricoprì la carne con una retina e dopo pochi giorni notò
che su di essa non nascevano le larve, dimostrando che le mosche, per nascere, dovevano
necessariamente deporre le uova nella carne, che poi sarebbero diventate larve ed in seguito,
mosche. I sostenitori della teoria, però, continuavano a sostenere la sua validità, poiché se questa
non era più valida per le mosche, o gli insetti in generale, per
i batteri (con l’invenzione del microscopio si conoscevano)
non era possibile ancora dire il contrario, poiché, dopo
qualche giorno, la carne si decomponeva lo stesso anche in
assenza di mosche. A questo punto Spallanzani, utilizzò un
brodo di carne, che chiuse in un contenitore ermetico e lo
scaldò. Dopo alcuni giorni, ancora il brodo non si era
intorbidito e questo dimostrava che i batteri non si erano
formati al suo interno (cosa che invece accadeva se si
lasciava normalmente all’esterno). I
sostenitori ribatterono, visto che il
contenitore era stato chiuso
ermeticamente e questo non permetteva
alle forme di vita di essere rifornite di
ossigeno. L’esperimento di Spallanzani,
anche se non confutò definitivamente la
teoria della generazione spontanea, fornì
l’idea generale ad Appert, che introdusse per la prima volta i
cibi in scatola (Era Napoleonica). Uno dei padri della
microbiologia è sicuramente Pasteur. Egli confutò
definitivamente la teoria della generazione spontanea
utilizzando dei palloni in cui versò del brodo di carne. I
palloni avevano un collo stretto e lungo e tramite l’utilizzo di
una fiamma lo rimodellò piegandolo a forma di “collo di
cigno” (il collo del pallone rimaneva comunque aperto e connesso con l’ambiente esterno).
Conseguentemente scaldò il brodo e lo fece riposare. Pur essendo connesso con l’ambiente
esterno il brodo rimase limpido per giorni. Da questo constatò che i microrganismi nel brodo
erano stati uccisi e nonostante questo fosse a contatto con l’aria, non si intorbidiva e non si aveva
generazione spontanea di batteri. Egli notò anche che nella curva del collo, nel bordo, si poteva
osservare una parte appannata dovuta alla polvere trascinata dall’aria
e che poteva sicuramente trasportare anche batteri. Per capire se la
sua seconda constatazione fosse corretta, inclinò il pallone mettendo
in contatto il brodo con la parte del collo appannata. Dopo poco
tempo notò che il brodo si era intorbidito. Questo, oltre che confutare
definitivamente la teoria, ha permesso di trarre una seconda
conclusione, ossia che, effettivamente, erano presenti organismi
nell’aria. Con la seconda conclusione, Pasteur, individuò l’importanza
dei microrganismi nelle malattie infettive e nei processi industriali. La
correlazione fra batteri e malattie infettive non era al tempo scontata.
Questa consapevolezza permise di tenere sotto controllo un’epidemia di tifo a Londra, che era
causata dall’approvvigionamento da un pozzo contenente acqua contaminata. Nel 1867, Lister
introdusse l’asepsi chirurgica con uno spray di fenolo. Questo rivoluzionò completamente il
risultato di operazioni chirurgiche, le quali, anche se andavano a buon fine, nella maggior parte dei
casi il paziente finiva comunque per morire di infezione. Koch istituì le basi della batteriologia
medica (postulati di Koch, dimostrano incontrovertibilmente che un determinato organismo è
responsabile di una determinata patologia) e a lui è attribuita la scoperta del patogeno
responsabile della tubercolosi.

Postulati di Koch:
1) Il microrganismo deve essere presente in tutti gli individui malati, ma essere assente in
tutti quelli sani
Per dimostrarlo sviluppò una colorazione che permette di individuare microrganismi nei
tessuti di un individuo
2) Il microrganismo sospetto deve essere isolato e cresciuto in laboratorio in una coltura pura
Utilizzò del siero proveniente da sangue coagulato
3) Il microrganismo deve essere inoculato in un soggetto sano e la stessa malattia si deve
presentare
Il batterio venne inoculato in dei porcellini d’india
4) Dal soggetto malato deve poter essere isolato lo stesso organismo
Dai porcellini d’india ricavò nuovamente il batterio tramite il siero del sangue coagulato
La Microbiologia è basilare per diverse discipline scientifiche di tipo biologico, in particolare quelle
applicative
Caratteristiche dei microrganismi
- Sono all’origine di tutte le forme viventi.
- Hanno una diversità filogenetica superiore a quella delle piante e degli animali.
- Sono estremamente numerosi.
- Crescono in qualunque ambiente, basta che ci sia acqua allo stato liquido.
- Sono responsabili delle trasformazioni della materia necessarie per la vita.
- Trasformano la geosfera.
- Influenzano il clima.
- Sono coinvolti in simbiosi con piante, animali ed altri microrganismi.
- Causano malattie.
- Influenzano il comportamento delle piante e degli animali

Uso dei microrganismi


- Sono utilizzati per svolgere reazioni chimiche di rilevante importanza industriale.
- Vengono modificati geneticamente per produrre proteine utili (es. vaccini).
- Possono migliorare la produzione e conservazione degli alimenti.
- Possono contribuire alla salute pubblica (es. impianti di depurazione delle acque).
- Biorisanamento di siti inquinati.
- Uso malevolo: armi biologiche, bioterrorismo.
Tecniche microbiologiche
Sterilizzazione
Consiste nell’uccisione o rimozione di tutti gli organismi viventi e dei loro virus presenti in un
campione o in un terreno di coltura. Ce ne sono di diversi tipi:

• Sterilizzazione mediante calore:


Si uccidono i microrganismi fornendo calore al
campione in esame. La percentuale di microrganismi
che vengono uccisi è costante nel tempo e, in
generale, il tempo che ci vuole a portare la
popolazione a soglie prossime allo zero è tanto
minore quanto la temperatura è più alta. Un fattore
importante per paragonare temperature diverse a
cui sono esposti i microrganismi è il calcolo del
tempo di riduzione decimale, che è il tempo
necessario per uccidere il 90% delle cellule presenti
(ovvero per far in modo che rimangano in vita
soltanto il 10% delle cellule). Per esempio: se
lavoriamo a 50°C abbiamo una sopravvivenza del
10% dopo 40 minuti, se lavoriamo a 60°C abbiamo
una sopravvivenza del 10% dopo 12 minuti e se
lavoriamo a 70°C dopo circa 4 minuti. Quindi il
tempo di riduzione decimale diminuisce man
mano che si aumenta la temperatura. Ci dice
anche che, visto che il grafico è in scala
logaritmica, non si otterrà mai una sterilizzazione
completa dei microrganismi (non è possibile
calcolare il logaritmo di 0). Quindi non si può
parlare in modo effettivo di sterilizzazione, ma si
può introdurre il concetto di probabilità statistica, calcolando la probabilità che rimanga
qualche organismo vivo (ossia la probabilità che vi sia un organismo vivo in una quantità
considerata di volume). Al massimo si può considerare quale sia la temperatura ideale alla
quale si vuol fare in modo di ottenere una sterilizzazione il più possibile completa. Un altro
concetto da tenere a mente è la relazione tra temperatura e tasso di letalità. Se ad
esempio si prendono in considerazione due popolazioni batteriche, A e B, che se vengono
esposte a calore, entrambe risentono del fattore di riduzione decimale, il cui tempo si
abbassa con l’aumentare della temperatura. Se però la popolazione A ha tempo di
riduzione decimale sempre minore a B per ogni valore di temperatura, allora si può
concludere che A sia più sensibile alla stessa. Ogni microrganismo, infatti, ha una sua
temperatura ottimale per la crescita e quindi bisognerà tenere presente la temperatura di
sterilizzazione. Normalmente nei campioni sono presenti diverse popolazioni e se si vuole
sterilizzare bisogna tener conto anche di quelle più resistenti alla temperatura. Per
eliminare batteri, in laboratorio, ci si può servire di diversi strumenti:
- Fiamma: In laboratorio viene utilizzata la fiamma di un becco bunsen per
sterilizzare anse, aghi, bacchette di vetro. Su grande scala usato l’incenerimento.
Potrebbe incenerire anche il campione, quindi non può essere utilizzata per
selezionare popolazioni batteriche. La fiamma crea una corrente d’aria ascensionale
che non permette ai microrganismi di ricadere negli oggetti circostanti, ma possono
anche strappare gli organismi dal campione
- Calore secco: In stufa a 160°C per almeno 2-3 ore; l’aria è un cattivo conduttore per
cui sono necessari tempi lunghi. Utilizzato per vetreria ed altro materiale resistente
al calore. Nella fase di aumento della temperatura la cellula perde acqua e diventa,
però, anche più resistente al calore (in modo limitato comunque). Tutto ciò che
deve essere mantenuto sterile deve essere, in ogni caso, sigillato, perché una volta
aperta la stufa, microrganismi possono ricadere negli oggetti, contaminandoli
nuovamente.
- Calore umido: Usata nell’autoclave. Nella camera dove viene inserito il campione,
l’aria è sostituita dal vapore acqueo,
generato dall’acqua presente all’interno,
che evapora. La camera è chiusa per cui è
possibile aumentare la pressione (+1 atm. =
120°C). Sono necessari circa 30 min.
Utilizzata per sterilizzare soluzioni (es.
terreni di coltura). Per ottenere la
sterilizzazione il campione deve venire a
contatto con il vapore. L’autoclave è in
grado di uccidere anche i batteri più
resistenti al calore (anche
quelli che formano spore),
facendolo in temperature e
tempi minori (il calore viene
trasportato dal vapore
acqueo). In alcuni casi si fa
uso del vapore fluente, in
questo caso la valvola non viene chiusa e ci si ferma a 100°C, ma non si uccidono le
spore con questo metodo. In autoclave i lieviti e le muffe sono i più sensibili, poi si
hanno i batteri (quelli mesofili) ed infine i virus.
- Pastorizzazione: Scaldare a 60°- 65°C per 30 min. Uccide solo alcuni microrganismi
(riduce la carica microbica). Il latte viene pastorizzato per eliminare i batteri
patogeni. Nella pastorizzazione istantanea si scalda a 71°C per 15 secondi; questo
consente di applicare il processo in continuo. Il processo non uccide i lattobacilli

• Sterilizzazione mediante radiazioni:


- Raggi UV: I più efficaci sono quelli a 260 nm, perché agiscono sul DNA (dimeri di
timina, mutazioni). Non penetrano, per cui sono usati principalmente per
sterilizzare superfici (es. stanze, cappe, …ecc.). Sono dannose anche per l’operatore.
Nelle cappe da laboratorio sono spesso utilizzate per mantenere l’ambiente a bassa
carica batterica.
- Raggi X e γ: Sono pericolosi perché molto penetranti. Richiedono particolari
apparecchiature. Uccidono le cellule perché causano la formazione di ioni. I raggi γ
sono usati per sterilizzare materiale plastico monouso (es. siringhe) già chiuso nelle
confezioni. A livello industriale sono molto utilizzate. A livello alimentare si possono
utilizzare basse dosi di radiazioni per sterilizzare frutta e verdura

• Sterilizzazione mediante filtrazione:


Metodo che non uccide i microrganismi, ma li
rimuove dal campione liquido, che viene fatto
passare in un imbuto alla cui estremità è presente
una membrana filtrante (nitrocellulosa con pori di
0,45 o 0,22 micron). Le cellule batteriche (circa 1
micron) non riescono a passare oltre la
membrana. Per velocizzare la filtrazione, la beuta
codata su cui viene raccolto il liquido, viene
collegata ad una pompa a vuoto, che lo aspira
attraverso il filtro. È un sistema delicato per trattare il campione e non lo danneggia, d’altra
parte i virus e le impurezze non possono essere filtrate. A livello industriale viene utilizzata
nella produzione di vino e birra e mediante filtrazione si rimuovono i lieviti. Per volumi
molto piccoli si possono utilizzare siringhe alla cui estremità viene collegato un filtro.

• Sostanze chimiche disinfettanti:


- Fenolo e derivati: Primo agente disinfettante utilizzato. Attualmente il fenolo e i suoi
derivati, come i cresoli, sono impiegati come disinfettanti nei laboratori ospedalieri.
Agiscono denaturando le proteine e disgregando le membrane. Efficaci in presenza di
materiale organico e sono attivi per lungo tempo sulle superfici su cui vengono
applicati. Emanano un odore pungente e sgradevole e possono causare irritazione
cutanea.
- Alcoli: Sono tra i disinfettanti e antisettici più utilizzati. Non sono efficaci sulle spore. I
più utilizzati sono l’etanolo e l’isopropanolo al 70-80%.
- Acqua ossigenata (H2O2): Normalmente utilizzata al 3%. Deve il suo effetto al fatto che
rilascia ossigeno.
- Alogeni (Cl2 + H2O HCl + HClO) (HClO HCl + O): I più utilizzati sono il cloro e
lo iodio. Il cloro è il disinfettante di scelta per le acque. Il cloro gassoso in acqua forma
acido ipocloroso, che a sua volta libera ossigeno, svolgendo quindi una forte azione di
ossidazione. Lo iodio viene usato come antisettico cutaneo e svolge la sua azione per
iodinazione delle proteine cellulari.
- Sali dei metalli pesanti: I più usati sono argento e mercurio, che però sono piuttosto
tossici. Un’eccezione è il nitrato d’argento che in soluzione all’1% viene instillato negli
occhi dei neonati dopo il parto per prevenire infezioni provenienti dalla madre.
- Formaldeide (R-SH + HCHO R-S-CH2OH): Agisce legandosi ai gruppi solfidrilici. In
soluzione acquosa al 37% è chiamata formalina ed è usata per la conservazione dei
campioni biologici.
- Beta-propiolattone: Ha proprietà simili all’ossido di etilene. Agisce molto rapidamente
e, in soluzione acquosa, è idrolizzato ad acido acrilico, che è una forma inattiva.
- Ossido di etilene: Bolle a 10,8°C per cui è gassoso a temperatura ambiente. Molto
efficace e molto penetrante. Viene usato mescolato a CO2, perché esplosivo. È
estremamente volatile. Il trattamento con questa sostanza viene effettuato in speciali
camere

Uso dei disinfettanti nell’industria

Terreni di coltura
Sono le soluzioni nutrienti usate per far crescere i microrganismi in laboratorio. Ogni
microrganismo ha richieste nutrizionali diverse, quindi a seconda dell’organismo preso in
considerazione, dovremo utilizzare un terreno contenente nutrimenti differenti. Si possono
dividere in due grandi gruppi in base alla composizione:

• Terreni minimi (o chimicamente definiti): sono preparati con precise quantità di sostanze
organiche ed inorganiche, è nota l’esatta composizione chimica
• Terreni massimi (o terreni complessi): contengono sostanze altamente nutritive, ma
chimicamente indefinite (non conosciamo né quali sono le sostanze presenti né la loro
concentrazione)
I terreni di coltura solidi sono ottenuti inserendo all’interno
della miscela una polvere, chiamata agar (polisaccaride
ottenuto da alghe), che si scioglie ad alte temperature durante
la sterilizzazione del terreno stesso,
che generalmente avviene in
autoclave. L’agar ha punto di
fusione e solidificazione differenti
(sciolta ad 85°C rimane liquida fino a
che non raggiunge i 45°C, questo
permette di aggiungere eventuali
sostanze termolabili preparate a
parte dopo la sterilizzazione e prima
della solidificazione). Viene fatto
solidificare in piastre Petri o provette, formando un gel che permette la diffusione di sostanze
nutrizionali, fruibili alle colonie batteriche in superficie. L’agar è un substrato inerte poiché sono
pochi i batteri in grado di degradarlo. Una volta deposto il batterio nel terreno, questo comincia a
dividersi formando un ammasso di cellule chiamato colonia (si parla di colonie soltanto nei terreni
solidi)

Terreni minimi
Ingredienti base: Acqua, 1 litro di K2HPO4, 1g di MgSO4∙7H2O, 200mg di FeSO4∙7H2O, 10 mg CaCl2,
10 mg, Elementi in traccia (Mn, Mo, Cu, Co, Zn)
Gli elementi indispensabili per la sopravvivenza dei microrganismi, sono Carbonio e Azoto. Questi
possono essere reperiti dall’atmosfera, ma molte volte non bastano ai microrganismi, quindi è
necessario effettuare delle aggiunte, come NH4Cl, Glucosio e altre. Altri elementi hanno la loro
specifica funzione nel terreno:
- Potassio: Cofattore in numerose reazioni enzimatiche, particolarmente nella sintesi
proteica.
- Sodio: Insieme al cloruro regola la pressione osmotica; interviene sull’attività di alcuni
enzimi.
- Magnesio: Clorofilla; catione necessario nelle reazioni enzimatiche (es. produzione di ATP).
- Ferro: Centro reattivo di proteine contenenti l’eme (citocromi, catalasi, …ecc.)
- Cobalto: Vitamina B12
- Rame, Zinco, Molibdeno, Nichel, Tungsteno, Selenio: Componenti essenziali di alcuni
enzimi
Terreni differenziali
Sono terreni che permettono di evidenziare particolari attività metaboliche di un microrganismo
discriminandolo da altri. Per esempio:

• Esoproteasi: Al terreno viene aggiunta albumina che si denatura durante la sterilizzazione


in autoclave, per cui si ottengono delle piastre opache. Le cellule che producono
esoproteasi idrolizzano l’albumina formando un alone trasparente intorno alla colonia. Le
proteasi in industria servono per esempio, nei detersivi
• Fermentazione degli zuccheri: E. coli può essere cresciuto su un terreno EMB (Eosina - Blu
di Metilene, indicatori di pH, che variano colore quando varia il suo livello) contenente
lattosio. I batteri crescendo trasformano il lattosio in acidi organici (acido lattico e
piruvico), prima di degradarlo completamente a CO2. La presenza di acidi fa virare il terreno
(color rosso vinoso), mentre le colonie non fermentanti restano incolori.

Terreni selettivi
Sono terreni su cui possono crescere solo determinati microrganismi. Per esempio, un terreno
privo di fonti di azoto selezionerà microrganismi azoto fissatori (cioè fissano l’azoto atmosferico),
oppure un terreno contenente un antibiotico selezionerà microrganismi resistenti a tale
antibiotico. Ci riferiamo ad un terreno che serve ad isolare un determinato organismo (non
esistono terreni universali per la crescita dei microrganismi)

Morfologia delle colonie batteriche


È tipica di ogni specie batterica, ma è anche altamente condizionata dalle molecole nutrizionali
presenti al suo interno ed in generale dalle condizioni dell’ambiente circostante. Quindi fornisce
un’indicazione relativa
Osservazione al microscopio ottico
Quando si osserva una cellula batterica in modo diretto, questa si vede male perché c’è poco
contrasto fra la cellula e il mezzo in cui questa è immersa. Per osservarle è quindi necessario
utilizzare un’ottica particolare per il microscopio, ossia l’ottica a contrasto di fase. Il raggio di luce
che attraversa il batterio è deviato in modo troppo leggero per essere distinto dal mezzo, per
questo l’ottica a contrasto di fase utilizza un sistema che accentua la differenza di fase fra la luce
che attraversa il batterio e il mezzo. Alternativamente i batteri possono essere osservati mediante
diverse colorazioni. In particolare, noi osserveremo la colorazione di Gram (i batteri si dividono in
due grandi gruppi: Gram+ e Gram-). In generale in una colorazione si procede in questo modo:
1) Si dispone la coltura batterica a strato sottile sul vetrino, aiutandosi con un’ansa
2) Si fa asciugare all’aria il liquido in cui era immersa la colonia
3) Si fa passare il vetrino alla fiamma per fissare le cellule batteriche
4) Si ricopre il vetrino con il colorante, si risciacqua con acqua e si asciuga
5) Si osserva al microscopio (normalmente 100X)

Colorazione di Gram
Fu inventata da un microbiologo danese. La colorazione divideva i batteri in due grandi gruppi,
quelli che si coloravano e quelli che non lo facevano. Questo diverso comportamento è dovuto alla
differente struttura della parete batterica. Si svolge nel seguente modo:
1) Ricoprire lo striscio fissato al vetrino tramite calore con cristal violetto per un minuto
(tutte le cellule diventano viola). Il cristal violetto diffonde attraverso la cellula
2) Aggiungere la soluzione iodata (Lugol) per 3 minuti (le cellule rimangono viola). Lo iodio si
lega al cristal violetto che non può più uscire dalla cellula
3) Decolorare brevemente con alcol lo striscio. Le cellule Gram+ restano viola, le Gram- sono
incolori. Questo accade perché nei Gram+ si ha una parete spessa e uniforme, nei Gram- si
hanno due strati, uno rigido con la mureina e uno più esterno lipo-polisaccaridico,
chiamato membrana esterna. Nei primi l’alcol chiude i pori e il rilascio del colorante viene
rallentato, nei secondi lo strato della membrana esterna è solubile e il colorante viene
trascinato via (il tempo di rimozione del colorante è diverso). La colorazione avviene
soltanto su cellule integre
4) Controcolorare con safranina. Le cellule Gram- si colorano di rosso e le Gram+ rimangono
viola
A questo punto si può osservare al microscopio, poiché si hanno delle colorazioni diverse per i due
gruppi.

Coltura pura
È una coltura contenente un solo tipo di microrganismo. Tutte le cellule sono uguali fra loro. Per
ottenere una coltura pura si utilizza un terreno solido da cui si prelevano le cellule di una colonia
(la colonia si origina da una singola cellula iniziale, è formata da cloni). Prima di prelevare si
sterilizza l’ansa (nel punto metallico dell’occhiello), dopodiché si preleva con l’ansa il liquido in cui
è presente la colonia che vogliamo isolare. Successivamente si striscia l’occhiello dell’ansa in un
terreno solido, disegnando strisce parallele, si sterilizza l’ansa e si disegnano altre strisce parallele
sopra quelle precedenti e, facendo questo più volte, si trascinano le cellule isolandole sempre di
più. Si noterà che le prime strisce disegnate presenteranno una crescita confluente delle colonie.
Invece, dalle ultime si otterranno delle colonie isolate, da cui preleveremo le cellule.

Titolo di una coltura batterica


Il titolo batterico indica la concentrazione di cellule presenti in una coltura, ovvero, numero di
cellule/ml. Per arrivare a questo valore, ci possiamo fornire di due metodi:

• Titolo totale: Vengono contate tutte le cellule, sia vive che morte (molto meno informativo
rispetto al titolo vitale). Per
contare tutte le cellule presenti
nella coltura si osservano al
microscopio a contrasto di fase,
utilizzando una camera
contacellule con un rialzo,
presente in un vetrino
portaoggetto. La camera viene
coperta da un vetrino
coprioggetto. Fra il rialzo e il
vetrino vi è una distanza fissa di
0,01mm. Il liquido campione
viene fatto entrare per capillarità.
Nel rialzo è presente una griglia che permette di osservare le cellule al microscopio e ne
permette la conta. Contando le cellule presenti in una determinata area e conoscendo la
distanza fra vetrino e camera si può risalire al numero di cellule in un volume ben
determinato tramite una proporzione
• Titolo vitale: Vengono contate solo le cellule vive. Per riconoscere quelle vive da quelle
morte, basta valutare se queste siano in grado
o meno di riprodursi. Si contano, quindi, tutte
quelle cellule che sono in grado di formare
colonie. Da una beuta contenente una coltura
si preleva 1ml di liquido e si versa in una
provetta con 9ml di acqua, da questa se ne
preleva la stessa quantità e si versa in un’altra
contenente 9ml e da questa in un’altra ancora,
e così via effettuando delle diluizioni
(normalmente diluizioni da 1 a 10, fattore di
diluizione 10). Facendo così arriviamo a
provette con diluizioni di 10-7. Da ognuna di
queste provette si piastra 1ml in un terreno
solido e si nota che il numero di colonie
formate è tanto più basso tanto più alto è il
fattore di diluizione. Si scartano piastre con
troppe e con poche colonie formate (si
potrebbero introdurre degli errori) e si
contano le colonie formate nelle piastre
scelte. Adesso si moltiplica il numero di colonie contate per il fattore di diluizione del
liquido piastrato che proviene dalla provetta corrispondente e si ottiene il numero di
cellule che sono in grado di formare le colonie, che vengono chiamate CFU (unità formanti
colonie). Per esempio, piastrando 0,1 ml di una diluizione 10-5 di una coltura batterica si
ottengono 80 colonie e per calcolare il titolo della coltura basta fare questo calcolo:

80/(0,1 x 10-5) = 8 x 107 CFU/ml

Determinazione della massa cellulare


• Peso secco: Le cellule sono raccolte per centrifugazione o filtrazione e seccate a 100°C. Il
peso secco è il 20-25% di quello umido. Una cellula di E. coli pesa 3 x 10-13g. Le cellule
devono essere separate dalla matrice liquida. Il peso del filtro prima della filtrazione e dopo
la filtrazione ci dà il peso delle cellule presenti, ma visto che la cellula è costituita per l’80%
d’acqua in questo caso se ne calcolerebbe il peso umido. Per questo l’acqua viene fatta
evaporare e quando due pesate consecutive sono uguali vuol dire che tutta l’acqua è stata
rimossa. Lo svantaggio di questa tecnica è che richiede molto tempo e richiede anche
grandi quantità di campione, perchè le cellule pesano poco
• Volume: Si centrifuga un’aliquota della coltura in provette graduate e si osserva il volume
occupato dalle cellule. Misurando il volume del sedimento possiamo risalire alla massa
cellulare, visto che questa è proporzionale. Il metodo è più veloce rispetto a quello del
peso secco, ma molto meno preciso e richiede quantità del campione ancora più grandi
• Determinazione della massa cellulare mediante nefelometria o colorimetria: Si può
misurare in tempo reale nella coltura in esame. Ci fornisce una misura indiretta della
massa. Tramite dei filtri si possono selezionare delle determinate lunghezze d’onda
monocromatiche che
vengono fatte passare
attraverso la coltura in
esame (raggio
incidente, IO). Il raggio,
in parte viene assorbito
dalle cellule presenti nel
campione ed esce sullo
stesso asse con cui ha
attraversato la coltura (luce trasmessa, IT) ed in parte viene riflesso (luce riflessa, IR) con un
angolo ben preciso rispetto a quello dell’asse di entrata. Se si misura l’intensità della luce
riflessa otteniamo una misura di nefelometria, mentre se misuriamo l’intensità della luce
trasmessa otteniamo una misura di turbidimetria. Normalmente per queste misurazioni si
utilizza uno spettro fotometro, in cui si ha una sorgente luminosa che colpisce un prisma
che divide le diverse lunghezze d’onda, selezionando quale scegliere. Dopodiché si misura
la trasmittanza, ossia la luce trasmessa. La correlazione fra questa e la densità cellulare
presente nel campione è che: meno si avrà trasmittanza e più la quantità di cellule sarà
maggiore e viceversa. La trasmittanza è quindi inversamente proporzionale alla quantità di
cellule presenti, ma è un valore scomodo da utilizzare, per questo si utilizza il valore di
assorbanza, che è proporzionale alla quantità di luce che viene assorbita dal campione
(proporzionale al numero di cellule presenti).
Legge di Lambert-Beer: T = e-A dove T = trasmittanza ed A = assorbanza
Il vantaggio di questa misurazione è che è in tempo reale e si deve utilizzare quantità
contenute di campione
La Cellula
Possiamo suddividere le cellule in procariote ed eucariote. Le cellule procariote non hanno né
nucleo né organelli e sono molto piccole, le eucariote sono più grandi rispetto alle prime e hanno
nucleo (membrana nucleare che racchiude il materiale genetico) e strutture organizzate, quali gli
organelli. Le cellule procariotiche hanno la parete cellulare al di sopra della membrana
citoplasmatica.

Batteri ed Archea
La prima grande suddivisione dei viventi è nei tre Domini: Archea, Bacteria e Eukaryota.
Concentrandoci sui procarioti, le principali differenze fra Batteri e Archea sono le seguenti:
- Differiscono nelle proprietà chimiche della parete e della membrana cellulare.
- I Batteri sono sensibili agli antibiotici; gli Archea sono insensibili alla maggior parte degli
antibiotici.
- Gli enzimi degli Archea coinvolti nella sintesi delle proteine e degli acidi nucleici sono simili
a quelli eucarioti.
- I Batteri comprendono microrganismi patogeni per le piante egli animali; gli Archea no.
- Gli Archea tipici sono ipertermofili e metanogeni.
Le dimensioni di un procariote si aggirano intorno al
micron. Alcune cellule procariotiche possono essere
anche più grandi rispetto ad alcuni microrganismi
eucarioti, ad esempio l’Epulopiscium fishelsoni può
arrivare a dimensioni di 0,5mm. Questo rappresenta
quasi un’eccezione, visto che la vita di un organismo è
legata alla capacità di scambio con l’ambiente esterno,
che per i procarioti è legato alla superficie della propria
membrana plasmatica. Questo rende fondamentale il
rapporto fra superficie e volume; più quest’ultimo è
grande e più saranno le sostanze nutrizionali necessarie
alla sopravvivenza. Se schematizziamo la forma del batterio con quella di una sfera (ci semplifica i
calcoli), allora possiamo vedere che il rapporto superficie/volume è strettamente dipendente dal
raggio (se il raggio raddopia il rapporto si dimezza). Cellule batteriche giganti sono molto rare,
poiché difficilmente permetterebbero uno scambio ottimale. L’esempio riportato prima non si
trova libero nell’ambiente, ma si trova in una nicchia ecologica particolare, ossia l’organo di un
pesce.
Forme di cellule batteriche
I batteri si possono presentare in forme differenti. In genere ci sono 4 forme comuni:

• Cocchi: batteri di forma sferica

• Bacilli: batteri a forma di bastoncino

• Vibrioni: batteri a forma di virgola

• Spirilli: batteri a forma di cavatappi

La forma di un batterio, in genera, è caratteristica della specie batterica, ma è comunque


influenzata dall’ambiente.

Aggregazioni cellulari nei batteri


• Diplococchi: Al momento della divisione le cellule non si separano completamente. Cellula
batterica sferica che quando
si divide rimane attaccata e si
presenta sempre in coppia
• Streptococchi: Cellule
batteriche a forma sferica che
quando si dividono restano
attaccate e formano delle
catenelle più o meno lunghe
• Stafilococchi: Cellule
batteriche sferiche che
formano un ammasso
irregolare
• Streptobacilli: Cellule batteriche a forma di bastoncino che sono attaccate test-coda l’una
all’altra, formando dei fili
• Sarcina: La distribuzione non è su un singolo piano, ma avviene nei quattro piani dello
spazio.
Anche se alcune cellule sono attaccate, queste se vengono divise le une dalle altre, restano
comunque vitali.
Morfologia di una cellula batterica
La cellula batterica è costituita da diverse strutture:
- Capsula: Struttura più esterna, non sempre presente. Alcuni batteri possono anche
decidere se produrla o meno
- Parete: Struttura fondamentale per le cellule batteriche, in particolare per la sua
sopravvivenza nell’ambiente. Quelle cellule che ne sono sprovviste hanno risolto questo
problema modificando la struttura della membrana
- Spazio periplasmatico: Presente fra la parete e la membrana plasmatica. Non sempre è
presente
- Membrana citoplasmatica: Separa il citoplasma dall’ambiente esterno e ne permette gli
scambi
- Citoplasma: Contiene tutto ciò che serve alla vita della cellula
- Nucleoide: Genoma della cellula batterica
- Flagello: Lunga struttura adibita al movimento
- Fimbria: Struttura simile al flagello, ma più corta adibita a diverse funzioni
Flagello
Filamento estremamente lungo. È molto sottile e quindi è visibile soltanto tramite specifiche
colorazioni. Le cellule batteriche possono essere suddivise in base al numero di flagelli:

• Monotrico: Cellula avente un solo flagello all’estremità (ad esempio Pseudomonas)


• Lofotrico: Cellula avente più di un flagello, un ciuffo all’estremità (ad esempio Spirillum)
• Peritrico: Cellula batterica che ha più flagelli sparsi per tutta la superficie (ad esempio
Proteus vulgaris)
La presenza del flagello è
legata alla presenza di una
sequenza genica. Se la
cellula non ce l’ha il flagello
non viene prodotto. Se il
flagello viene danneggiato la
cellula non muore, anche se
il flagello è importante per il
movimento, il batterio può essere spostato facilmente dai moti dell’acqua e dell’aria. Il fatto che i
batteri si possano muovere grazie al flagello può essere dimostrato depositando le cellule in un
particolare terreno solido che ne permette lo spostamento. In particolare, le cellule in periferia
della colonia si spostano all’esterno di essa per trovare maggiori quantità di risorse nutrizionali. I
batteri Gram- hanno una struttura del flagello leggermente diversa da quella dei Gram+, dovuta
alle differenze della parete fra i due tipi. La parte basale e agganciata alla membrana cellulare
tramite dei “piatti” e da questi cresce la struttura
che attraversa tutti i rivestimenti tramite un
manicotto. La parte più esterna forma, poi, un
uncino da cui si diparte il filamento del flagello
stesso. Nei batteri è composto unicamente da una
sola proteina, la flagellina, che viene fatta passare
attraverso la struttura e si deposita sulla punta,
accrescendo il flagello.
I due piatti sono collegati fra di loro e in mezzo ad
essi sono presenti altre proteine che formano una
sorta di motore, che permette la rotazione dei piatti,
e visto che il flagello è legato ai piatti anch’esso si
muoverà di conseguenza. L’energia per il movimento
è generata dalla forza protomotrice di membrana.
In generale, un batterio si muove alla velocità di 60 lunghezze cellulari/secondo, quindi circa 0,17
m/ora. Per comparazione un ghepardo si muove alla velocità massima di 110 km/ora, quindi circa
25 lunghezze/secondo. A parità di dimensioni si può dire che la cellula batterica sia più veloce di
un ghepardo. Il movimento del flagello può essere indotto all’utilizzo mediante deli stimoli di
diversa natura. Per ora ne consideriamo due:
∙ Chemiotassi: Movimento dato da uno stimolo chimico. La sostanza chimica può essere
attrattiva oppure tossica, da cui il batterio scappa. Per esempio, in una coltura, se si
immerge un capillare contenente glucosio si può osservare che in poco tempo si
manifesterà un addensamento delle cellule batteriche
∙ Fototassi: In questo caso le cellule batteriche si muovono in base ad uno stimolo luminoso,
in particolare i batteri fotosintetici si dispongono alle lunghezze d’onda meglio assorbite
dai loro pigmenti, se questi sono inseriti in una camera con zone esposta a diverse
lunghezze d’onda
Il flagello spinge la cellula in un verso ben preciso. Il movimento di propulsione è dato dal senso di
rotazione del flagello, che può essere in senso antiorario e in senso orario. Se prendiamo
l’esempio di un batterio peritrico con movimento flagellare totale in senso antiorario, tutti i flagelli
ruotano in maniera ordinata nella stessa direzione facendo andare la cellula in moto rettilineo. Se
la rotazione è in senso orario, i flagelli tirano ognuno dalla sua parte, facendo compiere alla cellula
delle capriole su sé stessa, non permettendole di muoversi. La rotazione di un singolo flagello non
può essere diversa dagli altri. L’alternanza di queste fasi permette di raggiungere il punto
prefissato. Se la rotazione antioraria porta la cellula verso la sostanza attraente, questa permane
per più tempo, mentre invece, se va in una direzione che l’allontana permane di più la fase
stazionaria che permette di riorientare la cellula verso il target. Per capire se sta andando nella
direzione giusta deve captare la differenza della concentrazione dell’attraente tra una zona ed
un’altra. Per fare questo è necessaria la presenza di un recettore nella membrana, che può captare
uno stimolo positivo o negativo. Se si capta un segnale si ha eccitazione del recettore.
L’eccitazione del recettore deve essere una cosa temporanea e per fare questo è necessario
effettuare un processo di adattamento, che fa in modo di poter riutilizzare il recettore in modo da
poter captare nuovamente il segnale. In seguito all’adattamento, però, il recettore per recepire il
segnale dovrà captare uno stimolo più forte rispetto a quello precedente. Questo fa in modo di
poter far capire alla cellula se questa si è avvicinata o meno alla sostanza attraente. Stessa cosa
vale per una sostanza tossica.
Oltre ai flagelli, sulla superficie della cellula possono essere presenti filamenti più corti, quali le
fimbrie. Queste, ad esempio, possono formare il pilo sessuale, se sono specializzate per la
coniugazione, oppure possono essere adibite all’ancoraggio al substrato e in questo caso si
chiamano cilia.

Capsula
Molto spessa. Può essere colorata con dei coloranti speciali. Non è un rivestimento indispensabile
per la vita della cellula. Può non essere presente nel genoma, oppure il batterio può decidere di
non produrla. La capsula è costituita da polimeri di zuccheri (glucidi) o polimeri di aminoacidi. Se
un batterio ha una capsula composta da glucidi, allora a seconda dei componenti del terreno in cui
viene fatto crescere, le colonie assumeranno una forma diversa. Nel caso del Leuconostoc, un
batterio che ha capsula formata da polimeri del glucosio, se questo viene messo in due terreni,
uno contenente glucosio e l’altro saccarosio, la forma delle colonie che si formeranno saranno
diverse. Nella piastra con saccarosio, questi batteri, scindono lo zucchero e utilizzano il fruttosio
per il loro metabolismo e il glucosio per formare la capsula, formando colonie capsulate grandi e
mucillagginose. Nella piastra con solo glucosio, le cellule, preferenzialmente, utilizzeranno il
glucosio per il loro metabolismo e la capsula non verrà prodotta perché questo potrebbe togliere il
nutrimento ai batteri; quindi, si otterranno colonie molto piccole e rugose.
Nei microrganismi che possono decidere se produrre o meno la capsula, si può notare che se
questi ne sono dotati allora sono patogeni perché, questa struttura, rallenta la risposta
immunitaria

Parete
Presente nella maggior parte dei procarioti. Fondamentale per la sopravvivenza della cellula.
Quelli che ne sono privi hanno una membrana modificata. È un rivestimento rigido, un guscio
rigido, ma non è un filtro delle sostanze che
possono entrare in contatto o meno con la
membrana, assomiglia più ad una gabbia solida. Se
in una soluzione ipotonica trattiamo una cellula
con parete con lisozima (un enzima che degrada la
parete), si può osservare che la cellula con la
parete intaccata, richiama acqua, si gonfia ed
esplode. Se ripetiamo lo stesso esperimento, ma in
una soluzione isotonica, la parete viene distrutta,
ma la cellula resta integra e sopravvive
(protoblasto). La vitalità di questa cellula può
essere verificata facendole ricrescere la parete. Questo esperimento ci dimostra che la parete
impedisce alla cellula di gonfiarsi oltre un certo livello (normalmente i batteri vivono in soluzioni
ipotoniche) poiché è una gabbia estremamente stretta. Il lisozima si può trovare sia nella saliva
che nelle lacrime (nell’occhio non ci sono cellule immunitarie, ma a proteggerlo c’è solo il lisozima,
infatti i primi trapianti realizzati sono stati quelli di cornea).
Il principale costituente della parete è il peptidoglicano (mureina), costituito da una parte proteica
e una glucidica. Le principali molecole costituenti il peptidoglicano sono:
- Acido N-acetilmuramico (NAM)
- N-acetilglucosammina (NAG)
- Altri aminoacidi (alcuni anche della forma D, normalmente tutti gli aminoacidi sono in
forma L. Sono convertiti nell’altra forma dall’enzima racemasi)
Il NAG e il NAM sono legati fra loro dal legame beta-1,4-glucosidico (legame glucosidico) e
formano una catena lineare. Gli altri aminoacidi sono legati al NAM. Ogni molecola di NAM ha
cinque aminoacidi. Le prime tre posizioni degli aminoacidi sono variabili. La posizione quattro e
cinque sono sempre la D-Alanina (più vicine alla membrana). La parete è diversa per Gram- e
Gram+. Nei Gram- si ha un legame diretto fra l’aminoacido in posizione tre e la D-Alanina in
posizione quattro della catena aminoacidica adiacente (legame peptidico). Questo legame
consolida l’intera struttura. Quando si forma la struttura il quinto aminoacido viene perso. Nei
Gram+ si ha lo stesso un legame fra l’aminoacido nella posizione tre e la D-alanina in posizione
quattro. Il tipo di legame però questa volta non è diretto ma è un ponte peptidico costituito da
cinque glicine. Altri microrganismi possono avere dei ponti differenti, più o meno lunghi e con
aminoacidi diversi.

Il lisozima scinde il legame fra NAM e NAG, spezzando la catena polisaccaridica, rompendo la
struttura della mureina

Nucleotide di Park:
Esiste una via biosintetica che permette di creare la mureina. Una molecola di NAM (connessa alla
catena pentapeptidica) viene legata, tramite due gruppi fosfato ad una molecola di uridina. Nelle
colture batteriche trattate con penicillina si aveva un accumulo di determinate sostanze, fra cui il
nucleotide di Park, notato dall’omonimo ricercatore. Si può suddividere la via biosintetica in due
tappe:
1) Formazione del nucleotide di Park: Si inizia con il fruttosio-6-P che viene trasformato in
glucosamina-6-P. L’acetil CoA dona il gruppo acetilico e si forma la N-acetilglucosamina-6-
P. Il gruppo fosforico passa dalla posizione 6 alla 1, trasformando la molecola in N-
acetilglucosamina-1-P. Con la reazione di UTP si ottiene la molecola UDP-N-
acetilglucosamina. Attraverso vari passaggi si trasforma la molecola precedente in UDP-N-
acetilmuramico. Si attaccano poi via via altri aminoacidi fino ad ottenere UDP-N-
acetilmuramico-tripeptide. A questo punto le D-Alanine vengono attaccate in modo
diverso. Due L-Alanine vengono convertite in D-Alanine dalla racemasi e con consumo di
energia si forma un dimero di questi due aminoacidi, che vengono attaccati alla molecola
precedente formando il nucleotide di Park.

2) Formazione della mureina: Il nucleotide di Park (UDP-NAM-Pentapeptide) è convertito in


Pentapeptide-NAM-P-P-Bactoprenolo (il bactoprenolo permette d trasferire la molecola
al’esterno della membrana). Poi la molecola precedente viene trasformata in NAG-NAM(-
polipeptide)-P-P-Bactoprenolo, formando il legame glucosidico. Prendendo tRNA
trasportanti glicine si trasferiscono questi aminoacidi a livello della catena pentapeptidica
in posizione tre, che serviranno a formare il ponte peptidico. Il Bactoprenolo-P-P porta la
molecola all’esterno della membrana in prossimità del punto di crescita della mureina. Il
Bactoprenolo, poi, perde uno dei due gruppi fosfato liberando l’energia necessaria per
tornare all’interno della membrana (trasportatore ciclico). Tramite il ponte peptidico, la
transpeptidasi, lega il ponte in posizione quattro della catena pentapeptidica adiacente. La
transpeptidasi ottiene l’energia necessaria per compiere l’operazione, tagliando la D-
Alanina in posizione cinque.

Differenze tra la parete di batteri Gram+ e Gram-

I Gram+ hanno spessore della parete molto più grande di quella dei Gram-. Lipidi e
lipopolisaccaridi sono tipici dei Gram-. Acidi tecoici e Polisaccaridi sono comuni per i Gram+. Tutti
contengono il peptidoglicano, ma nei Gram+ è più abbondante (questo non vuol dire che la parete
dei Gram- sia più fragile)
Nei Gram- si ha uno strato unico di peptidoglicano posizionato subito all’esterno della membrana
plasmatica. Oltre la parete è presente una membrana esterna, formata da lipidi e lipopolisaccaridi
(separati dal peptidoglicano). Formano una struttura simile ma non uguale alla membrana
plasmatica. Fra parete e le due membrane è presente uno spazio periplasmatico (piccolo o
assente nei Gram+). Questo ha una funzione di permettere di intrappolare le macromolecole e
introdurre in questo spazio enzimi che le degradano, mantenendone un’alta concentrazione in
questa area. Se non ci fosse lo spazio, gli enzimi riversati all’esterno verrebbero poi persi e non c’è
la garanzia che i nutrienti vegano trasportati all’interno della cellula, ma è possibile che vengano
“rubati” dalle cellule circostanti
Acidi teicoici: si indicano tutti i polimeri della parete, della membrana e della capsula contenenti
residui di glicerolfosfato e ribitolfosfato. Gli acidi teicoici sono tipici dei batteri Gram+.
A livello della parete dei Gram+ ci sono acidi teicoici e proteine associate. La parete aderisce alla
membrana plasmatica (lo spazio periplasmatico o è assente o è molto ridotto).
Nei Gram-, troviamo il peptidoglicano fra membrana plasmatica e membrana esterna.
Quest’ultima è piena di fosfolipidi, lipopolisaccaridi, …ecc, ed è estremamente permeabile. I
lipopolisaccaridi sono attaccati alla membrana esterna tramite il lipide posto nel foglietto esterno,
la parte polisaccaridica è quella più visibile e viene riconosciuta dal sistema immunitario. Questo
lipide, se viene rilasciato dalla cellula è tossico per l’organismo (endotossina). Sulla membrana
sono anche presenti dei tubi proteici di collegamento fra ambiente esterno e spazio
periplasmatico e sono chiamate porine. Le porine si dispongono l’una sull’altra e formano un tubo
e permettono il passaggio di molecole di 600/700 Dalton
Gli Archaea hanno una parete con struttura di mureina simile, ma non identica a quella batterica.
In particolare, la parete è formata da pseudopeptidoglicano. Questo differisce perché al posto del
NAM si ha l’acido N-acetiltalosaminuronico (NAT). L’altra differenza è data dal fatto che fra NAT e
NAG avviene con un legame glucosidico beta 1-3 (non beta 1-4), il che significa che questa parete
non è sensibile al lisozima.

Membrana plasmatica
È sempre presente ovviamente. Il suo
compito è quello di distinguere ambiente
interno da quello esterno. Discrimina le
molecole che devono entrare o uscire e
quelle che non devono farlo. È composta da
una regione idrofila, a contatto con le
soluzioni acquose (teste) e una regione
idrofoba interna, costituita dalle code di
acidi grassi. Il modello è a mosaico fluido,
cioè un mare di lipidi in cui sono immerse
delle proteine mobili.
f La membrana degli Archea è diversa da quella dei Bacteria. Il glicerolo fosfato è legato alla
catena di acido grasso mediante un legame etere, nelle altre membrane è invece estere. L’acido
grasso attaccato al glicerolo è una molecola chiamata fitanile (non è lineare, ma è ramificata). La
ramificazione è
riconducibile ai primi
idrocarburi formati,
che erano ramificati,
infatti gli Archea
sono gli organismi
più ancestrali. Due
fitanili uniti per la
coda formano una
molecola chiamata diglicerol tetraetere. La membrana degli Archea è quindi formata da un
monostrato lipidico (poiché i due strati di fitanili si legano alle estremità delle code). Questa
membrana ha la caratteristica di essere molto meno fluida, questo permette ad alcuni Archea di
vivere ad alte temperature.
La membrana plasmatica ha le seguenti funzioni:
- Barriera di permeabilità: Previene dispersioni e funziona come centro di transito per il
trasporto di nutrienti da e verso la cellula
- Sito di ancoraggio: Siti di molte proteine coinvolte nel trasporto, nella bioenergetica e nella
chemiotassi
- Conservazione dell’energia: Siti di origine e utilizzazione della forza protonmotrice
Le sostanze passano attraverso la membrana a seconda della loro struttura e delle loro proprietà
chimiche.
Le molecole più grandi, non possono diffondere attraverso la membrana, ma necessitano di
proteine di trasporto. Il trasporto può avvenire in diversi modi
- Uniporto: Si trasporta una singola molecola (trasporto del potassio)
- Antiporto: Il trasporto all’interno di una molecola avviene in contemporanea con il
trasporto all’esterno di un’altra (trasporto del sodio)
- Simporto: Il trasporto all’interno di una molecola avviene in contemporanea con il
trasporto all’interno di un’altra (trasporto del gruppo fosfato)
Esiste anche un sistema di trasporto in cui un prodotto viene trasportato all’interno della cellula in
forma modificata (Traslocazione di gruppo). Ad esempio, il glucosio viene trasportato all’interno
della cellula trasformandolo in glucosio-6-P (che non può uscire dalla cellula)
Funzioni svolte dalla membrana:
- Separazione fisica: Formazione di strutture lamellari nei batteri fotosintetici (gli enzimi
fotosintetici vengono concentrati in una zona precisa); formazione del mesosoma. Il
mesosoma forma il setto al momento della divisione e serve a ripartire il cromosoma nelle
due cellule figlie.
- Permeabilità: Regola l’ingresso di ioni e metaboliti all’interno della cellula, mantenendo
una concentrazione superiore a quella esterna.

Nucleoide
Materiale genetico della cellula. Il DNA presente all’interno della cellula ha una lunghezza enorme
rispetto alla cellula stessa (ad esempio Escherichia coli si aggira intorno ad 1 micron e se
srotoliamo il suo DNA questo raggiunge lunghezze pari ad 1 mm). Per contenere questa massa
enorme di materiale genetico all’interno di una cellula, questo deve essere compattato per
occupare il minor spazio possibile (allo stesso tempo si deve comunque accedere all’informazione
genica). Alcune cellule batteriche, fra cui il Gemmata obscuringlobus, hanno il DNA racchiuso in
una membrana, simile al nucleo ma molto differente. La molecola di DNA viene letta e trascritta in
RNA, in seguito l’RNA viene tradotto in proteine. Le proteine assumono poi diverse funzioni
(enzimi, proteine strutturale, ormoni, anticorpi, …ecc). Esiste anche un flusso inverso, in particolari
condizioni, che permette all’RNA di essere trasformato in DNA (trascrittasi inversa). Gli acidi
nucleici sono formati da nucleotidi, i nucleotidi sono composti da:
- Gruppo fosfato
- Base azotata
- Zucchero
Le basi azotate si possono suddividere in puriniche e pirimidiniche. Delle prime fanno parte
Adenina e Guanina e delle seconde Citosina, Timina (solo DNA) e Uracile (solo RNA). Le basi
puriniche si appaiano sempre alle pirimidiniche, in particolare l’Adenina si appaia alla Timina o
l’Uracile formando due legami ad idrogeno e la Citosina si appaia alla Guanina formando tre
legami ad idrogeno. In una doppia elica di DNA il primo filamento è complementare all’altro. I due
filamenti sono anche antiparalleli. L’RNA è sempre una sequenza nucleotidica, ma a singolo
filamento lineare. In natura spesso si piega su sé stessa e forma zone appaiate se ci sono regioni
complementare (viene anche utilizzata come regolazione dell’espressione genica.

Tipi di RNA:

• RNA messaggero (mRNA): contiene una copia dell’informazione genetica del DNA.
• RNA transfer (tRNA): molecole che funzionano da “adattatori” nella sintesi proteica;
trasportano gli aminoacidi.
• RNA ribosomiale (rRNA): componente strutturale importante dei ribosomi (deputati alla
sintesi proteica); ne sono noti diversi tipi.

Un aminoacido è composto da:


- Un carbonio alfa centrale, a cui sono legati i seguenti componenti
- Un atomo di idrogeno
- Un gruppo carbossilico
- Un gruppo aminico
- Un residuo carbonioso R, di natura variabile
Più aminoacidi uniti formano un polipeptide. Il legame che unisce due aminoacidi è chiamato
legame peptidico ed è un legame che avviene fra il gruppo carbossilico di un aminoacido e il
gruppo aminico dell’altro. Il legame è di condensazione, cioè si ha la perdita di una molecola
d’acqua
Una molecola di DNA all’interno di una cellula può essere replicata oppure le informazioni da lei
trasportate possono essere lette. Nel primo caso i due filamenti si aprono e ognuno dei due viene
utilizzato come stampo per creare un nuovo filamento (replicazione semiconservativa). Nel
secondo caso un filamento viene trascritto in RNA, che poi viene tradotto in proteine (ogni
codone, tripletta di basi, codifica per un aminoacido).
Nei procarioti tutto il processo avviene nel citoplasma. Il DNA batterico è altamente codificante e i
geni sono compattati fra loro. La RNA polimerasi può produrre trascritti che contengono
l’informazione di più geni (messaggeri policistronici, il termine deriva dalla genetica classica, dove
venivano utilizzate mappe genetiche, tra cui la complementazione cis-trans). Una volta tradotti i
due geni, che producono due proteine
differenti perché il ribosoma riconosce le
relative sequenze di inizio. Trascrizione e
traduzione avvengono in concomitanza. Negli
eucarioti la cosa è diversa perché la trascrizione
avviene nel nucleo e la traduzione nel
citoplasma. Nella maggior parte dei casi, in un
genoma eucariotico, sono presenti esoni
(porzione effettivamente codificante del gene)
ed introni. Il gene viene trascritto nella sua
interezza, con esoni ed introni. Attraverso il
processo di splicing si tagliano gli introni e si
legano insieme gli esoni. Dopo aver ultimato il
processo di maturazione, l’mRNA entra nel
citoplasma e qui avviene la traduzione. Il meccanismo di maturazione rende gli mRNA
monocistronici (singolo gene nell’mRNA). Questo crea dei problemi ai virus animali, sia perché il
materiale genetico è racchiuso nel nucleo e sia perché l’informazione genica del virus è
compattata e compaiono degli mRNA che producono più proteine, inoltre i tempi di trascrizione se
confrontati con quelli dei procarioti sono molto più lunghi.
Informazione genica nei procarioti: A livello cromosomico
si possono avere cromosomi lineari o cromosomi circolari.
Esistono anche dei DNA extracromosomici che trasportano
informazioni genetiche non presenti nel genoma del
cromosoma. Sequenze provenienti dal DNA
extracromosomico possono avere origini diverse, quali
origini virali. Queste informazioni non vengono utilizzate
più per creare virus perché sono state incorporate nel
genoma. Altre origini possono essere plasmidiche, cioè DNA
extracromosomico
plasmidico che si è
integrato nel
cromosoma. Infine si possono avere i trasposoni. Il
cromosoma batterico può essere quindi un misto derivante
da varie entità. Il DNA circolare chiuso può effettuare
superavvolgimenti. Se avviene un taglio su una singola elica
del DNA si ha il rilassamento e quindi lo srotolamento del
cromosoma. I superavvolgimenti vengono, però, spesso
utilizzati per compattare molecole di DNA circolari piccole
(quelle grandi no perché sarebbero sottoposte a troppo
stress). Nel caso di grandi molecole, il metodo è simile ma
concettualmente diverso, in pratica si creano delle anse stabilizzate da proteine che avvolgono il
DNA, che ne contiene la lunghezza. Questi tipi di proteine si chiamano iston-like proteins.
Nel mondo procariotico, gran parte dei cromosomi sono circolari. Negli eucarioti tutti i cromosomi
sono lineari e l’informazione genica è suddivisa fra più cromosomi. Nei procarioti, il più delle volte,
vi è un solo cromosoma (ne esistono alcuni con due o tre cromosomi). Le dimensioni di una
molecola di DNA sono espresse in Mb (milione di paia di basi). Gli eucarioti hanno una quantità di
DNA maggiore rispetto ai procarioti, nei primi si hanno circa 12 Mb, i secondi invece ne hanno
soltanto da 1 ai 4 Mb (se ne conoscono alcuni che hanno circa 5000 paia di basi, quelli che hanno
piccoli genomi normalmente sono parassiti). I batteri che raggiungono circa 8 Mb, solitamente
vivono nel terreno, perché possono sfruttare in modo ottimale la grande quantità di nutrienti
presenti. Tendenzialmente gli Archea hanno genomi più piccoli dei Bacteria
La duplicazione del DNA avviene in modo semiconservativo grazie all’azione della DNA polimerasi,
che necessita di un primer di RNA per la replicazione. La sintesi va in direzione 5’-3’. La doppia
elica si apre (bolla replicazione). In un filamento la sintesi avviene in modo continuo, nell’altro in
modo discontinuo (frammenti di Okazaki). La replicazione di un cromosoma circolare avviene da
un punto ben preciso chiamato ORI. Nelle due direzioni i filamenti si
replicano con la stessa velocità. Il fatto di aprire la forca in ORI crea dei
superavvolgimenti risolti dall’enzima girasi. La replicazione del DNA
deve avvenire in modo corretto. La DNA polimerasi ha anche un’attività
di “proofreading”, che riconosce l’inserimento di un nucleotide
sbagliato e lo sostituisce con quello giusto in direzione 3’-5’.
L’RNA polimerasi è responsabile della trascrizione (non
necessita di innesco) e trascrive soltanto zone
codificanti riconosciute dalla presenza di un promotore.
La RNA polimerasi è costituita da più subunità di tipo
proteico. Alcune sono sempre insieme e formano il core,
costituente il sito attivo. Il fattore sigma è una subunità
che si può staccare dal complesso e può riconoscere il
promotore, tramite delle sequenze con senso presenti,
permettendo l’attacco della RNA polimerasi al DNA. Una
sola delle due eliche viene trascritta. La trascrizione
termina con il riconoscimento di fattori che ne inducono
lo stop
Il codice genetico consente di decifrare la tripletta
nucleotidica (codone) per tradurla in un aminoacido. Un
aminoacido può essere codificato da più triplette (le prime due basi sono uguali, la terza cambia).
Esistono delle triplette di stop che vengono
riconosciute e fanno terminare la traduzione. Il
codice genetico è universale, perché è conservato
fra eucarioti e procarioti (non vale nei mitocondri,
è un’eccezione). La traduzione avviene a livello di
un ribosoma e un codone viene riconosciuto da un
tRNA avente un anticodone specifico. La terza
base è vacillante, l’anticodone è strettamente
complementare solo per le prime due. Il modo di
leggere un mRNA cambia totalmente
l’informazione, poiché se si “slitta” anche di una
base, i codoni mi danno aminoacidi
completamente diversi degli aminoacidi che
dovrebbero essere effettivamente richiamati. Potenzialmente si possono creare più proteine da
uno stesso mRNA. Un tRNA ha una struttura a quadrifoglio,, in cui in una estremità è posto
l’anticodone. Ogni aminoacido corrispondente è legato al suo tRNA tramite l’azione di specifici
enzimi (aminoacil-tRNA sintetasi). I ribosomi sono organelli fondamentali nel processo di
traduzione e sono differenti fra procarioti (70S) ed eucarioti (80S). I ribosomi di mitocondri e
cloroplasti sono molto simili a quelli dei procarioti. Sono formati da due subunità costituite da
proteine ed rRNA. A livello della sintesi proteica, nel ribosoma sono presenti tre siti sulla subunità
superiore:
- Sito A: Accettore
- Sito P: Peptidico
- Sito E: Uscita
Il tRNA con l’aminoacido entra in A, il ribosoma scorre e quello che era in A passa in P. In A ne
entra un altro e fra i due aminoacidi adiacenti si forma il legame peptidico. Quello in P, scarico,
passa in E e viene espulso, mentre invece quello in A legato alla catena polipeptidica entra in P ed
in A entra un nuovo tRNA e il processo si ripete.
I polisomi sono aggregati di ribosomi che traducono a catena un mRNA. Questo permette una
produzione di una particolare proteina avviene in tempi brevissimi, ottenendone grosse quantità.
Da notare che il processo di trascrizione e traduzione avvengono in contemporanea nei procarioti
Alcune proteine non ultimano la traduzione nel citoplasma, ma alcune di queste sono richiamate a
livello della membrana del RER, che vengono tramite la presenza di una sequenza segnale
(proteine di membrana, di secrezione, …ecc)

Citoscheletro procariotico
Omologhi di tutti e tre gli elementi citoscheletrici eucariotici (microfilamenti, filamenti intermedi
e microtubuli) sono stati recentemente identificati nei Bacteria, mentre uno è stato trovato negli
Archaea. Le loro funzioni comprendono ruoli nella divisione cellulare, nella localizzazione delle
proteine e nella determinazione della forma batterica. La struttura citoscheletrica nei procarioti è
a forma di spirale.

Vescicole gassose (Cianobatteri)


La colorazione verdastra di alcune acque è dovuta da organismi fotosintetici, i cianobatteri. Questi
si localizzano nella superficie tramite le vescicole gassose che tendono a far galleggiare la cellula.
Queste vescicole sono composte da delle proteine che diminuiscono la densità cellulare.

Endospora
Si trova all’interno della cellula madre, che poi la libera mediante lisi della cellula stessa. Può
essere prodotta soltanto da due generi di batteri:

• Clostridium
• Bacillus
Il compito delle spore è quello di permettere la sopravvivenza della cellula in situazioni ambientali
avverse. La spora è una cellula metabolicamente quiescente, è resistente ad agenti chimici,
temperature e sono resistenti alle radiazioni perché hanno enzimi in grado di riparare il DNA
all’interno della spora. Una spora è in grado di sopravvivere decenni (alcuni studi sembrano
dimostrare che possano vivere anche secoli). Pare che alcune spore possano sopravvivere
all’interno di meteoriti. Ogni specie ha una determinata posizione in cui si dispone la spora
all’interno della cellula made (si può osservare al microscopio a contrasto di fase):

• Terminale: Verso un estremo della cellula


• Subterminale: Verso un lato della cellula, ma non all’estremo
• Centrale: Al centro della cellula
Una spora batterica è composta dalle seguenti strutture (dall’esterno all’interno):
- Esosporio
- Tuniche
- Membrana citoplasmatica esterna
- Membrana citoplasmatica interna
- Corteccia
- Citoplasma
- DNA
Nella parte centrale della spora è presente
un'unica copia del genoma ed è
estremamente compattato. Il DNA è
circondato da una porzione ridotta di
citoplasma. È ridotto perché nel processo di sporificazione si elimina gran parte d’acqua, poiché la
renderebbe debole in situazioni ambientali avverse. I rivestimenti superiori rendono la struttura
rigida e isolata (le due membrane vicine fra loro e a polarità opposta non fanno passare nulla). Il
lisozima non intacca l’integrità della spora. Quando la cellula deve produrre la spora innesca una
serie di attività metaboliche. Una delle molecole che viene sintetizzata è l’acido dipicolinico che
viene incorporata nei
rivestimenti esterni. Più
molecole si legano fra
loro grazie a ioni calcio.
L’acido dipicolinico,
negli strati superiori,
abbatte sensibilmente
il contenuto di acqua e
contribuisce alla
rifrangenza osservabile
al microscopio a
contrasto di fase.
La formazione della spora va incontro a vari
passaggi. Il primo passaggio è innescato da un
segnale intracellulare che comunica alla cellula
il cambiamento delle caratteristiche
ambientali. Se si supera un certo stadio la
cellula va avanti nel processo di sporificazione
(altrimenti ritorna allo stadio vegetativo). In
una zona si forma la pre-spora, separata dalla
membrana plasmatica dalla cellula madre.
Durante l’intero processo la cellula madre e la
pre-spora comunicano. Quando la spora viene
ultimata, si avrà la lisi cellulare della cellula
madre e la spora verrà rilasciata all’esterno. La spora permane fino a quando non si verificheranno
le condizioni necessarie per la duplicazione cellulare. In questo caso la spora dovrà ritornare allo
stadio vegetativo tramite il processo di germinazione. La germinazione avviene in seguito ad un
segnale intracellulare che viene controllato finemente dalla spora stessa, solo a questo punto, la
spora apre gli involucri ed esce dagli stessi, ritornando vegetativa.
La spora rappresenta per il batterio una struttura estremamente resistente, che per l’uomo può
rappresentare un patogeno insidioso
La produzione della spora porta alla produzione di numerose molecole non presenti nella cellula
vegetativa, ad esempio, Bacillus
thuringiensis, produce una grande
quantità di proteine, che si addensano a
formare aggregati cristallini, chiamati
cristalli parasporali. Questi sono
importanti perché possono essere
ingeriti da alcune larve di lepidottero,
dove all’interno del loro intestino,
vengono scissi liberando tossine che
uccidono la larva. Visto che, molto
spesso, questi tipi di lepidotteri sono
dannosi dal punto di vista agronomico, i
cristalli parasporali vengono utilizzati come insetticidi biologici (non sono tossici per animali e
piante). Alcune specie vegetali transgeniche esprimono proteine di origine batterica, fra cui i
cristalli parasporali e questo le rende resistenti all’attacco di specie mirate di lepidotteri.
Se una colonia batterica è in quiescenza, durante alcuni momenti, un numero molto limitato di
queste cellule si risveglia e se le condizioni sono ancora proibitive muoiono, ma se le condizioni
non sono negative queste cominciano a comunicare con le altre, risvegliandole. Queste dinamiche
di popolazione sono state osservate soltanto recentemente.
Crescita batterica
La maggior parte delle cellule batteriche si
riproduce per scissione: la cellula aumenta di
dimensioni, duplica il DNA, si forma un setto di
divisione in due aree separate, ognuna con il suo
cromosoma batterico. Una volta separate le due
cellule, queste possono ricominciare il ciclo. Due
cellule da una iniziale; le due cellule figlie sono
identiche tra di loro. Il tempo di generazione è il
tempo necessario per dare vita a due cellule. Il
tempo di generazione è applicabile anche ad una
popolazione di cellule, infatti quando la
popolazione iniziale è raddoppiata vuol dire che è
passata una generazione. Il setto di divisione è
chiamato divisoma ed è composto da proteine
specifiche che permettono la separazione fra le due
cellule. Le proteine del divisoma sono a forma di anello e strozzano la cellula dividendola in due. I
rivestimenti delle cellule figlie saranno per metà derivati dalla cellula che si divide e per metà di
neosintesi. Le cellule batteriche crescono molto velocemente, talmente tanto che i cicli di
divisione cellulare si accavallano fra loro (se le condizioni lo permettono). Le proteine del
citoscheletro sono implicate nel mantenimento della forma e nella divisione cellulare. La proteina
MreB, simile all’actina eucariotica, sembra sia implicata nella morfologia cellulare e nella
migrazione dei cromosomi. La regione d’origine di ciascun cromosoma neoreplicato si associa alla
proteina.
Il tempo di generazione minimo della crescita batterica è strettamente dipendente dalla specie
batterica, in generale siamo intorno ai 30 minuti.
Come esempio prendiamo come riferimento una cellula iniziale e un tempo di generazione di 30
minuti. Al tempo 0 abbiamo una cellula, a 30 minuti si hanno due cellule, a 60 ne abbiamo quattro,
a 90 ne abbiamo otto, a 120 ne abbiamo sedici e così via. Quindi ogni 30 minuti le cellule si

raddoppiano. Se mettiamo questi dati in un grafico otteniamo una curva esponenziale: parte
lentamente e poi cresce rapidamente. Da un punto di vista della rappresentazione grafica, i valori
diventano troppo grandi e non sono più osservabili. Per questo utilizziamo un grafico in scala semi-
logaritmica (il tempo è riportato nell’asse X, il numero delle cellule batteriche, nell’asse delle y,
viene riportato in scala logaritmica in base 10. I cicli delle cellule riportate sono tre: 10, 100, 1000).
In questo grafico si ottiene una linea retta, che è più facile da utilizzare rispetto ad una curva
esponenziale. L’utilità del grafico è, ad esempio, importante per ricavare il tempo di generazione.
Una curva esponenziale può essere rappresentata da una equazione. Questo ci permette di
ricavare una equazione che descrive la crescita esponenziale di una coltura batterica:
N = N o x 2n
Dove: N è il numero finale di cellule, No è il numero iniziale di cellule e n è il numero di generazioni.
Il 2 è dovuto al fatto che le cellule si dividono per scissione (due cellule). N e No sono ricavabili
sperimentalmente.
Per risolvere l’equazione in base ad n si svolgono i seguenti passaggi:
logN = log No + nlog2 n = (logN – logNo)/log2 log2 = 0,301

Il tempo di generazione G è uguale a:


G = t/n
Dove: t è il tempo passato e n è il numero di generazioni
Esercizio: In 10 ore una coltura batterica è passata da 102 a 108 cellule. Calcolare il tempo di
generazione (G).
n = (log108 – log102)/ log2 n = (8-2)/0,3 n = 6/0,3 = 20
G = t/n G = 10/20 = 0,5 quindi 30 minuti G = (10 x 60)/20 = 30 minuti

Esercizio: Partendo da una singola cellula, una coltura batterica cresce in modo esponenziale per
36 ore, con un tempo di generazione di 30 min. Calcolare il peso delle cellule al termine di questa
crescita (il peso media di una cellula è circa 3x10-13g)
n = 36 x 2 = 72 generazioni oppure n = t/G = (36 x 60)/30 = 72 generazioni N = N o x 2n
N = 1 x 272 = 4,7x1021
Peso = 4,7x1021 x 3x10-13 = 1,4x109 g

Fasi della crescita batterica


Se andiamo ad osservare la crescita di una popolazione batterica possiamo suddividerla in diverse
fasi:
1) Fase di latenza: Al momento iniziale, le cellule appena inoculate nel terreno di coltura non
crescono perché si devono adattare metabolicamente al nuovo ambiente. La durata di
questo periodo è influenzata dalla condizione delle cellule (più lunga se erano quiescenti) e
dalle condizioni ambientali (più lunga se il terreno precedente era un terreno più ricco di
nutrienti, più brevi se il terreno precedente era minimo)
2) Fase esponenziale: La crescita è rapida, la cellula sfrutta le risorse del terreno e la cellula si
divide velocemente.
3) Fase stazionaria: I nutrienti, velocemente metabolizzati, ad un certo punto iniziano a
scarseggiare e quindi la fase esponenziale si arresta. Il numero di cellule presenti non
cambia nel tempo (le cellule non muoiono oppure il numero di cellule morte eguaglia il
numero delle cellule che nascono)
4) Fase di morte: I nutrienti
diventano sempre più scarsi
ed inoltre l’ambiente
accumula sostanze di scarto
prodotte dai batteri stessi.
Questo terreno non
sostenta più la vita cellulare
(alcune cellule invece di
morire possono andare in
quiescenza)
Questo nel caso di terreni di coltura da laboratorio. Nell’ambiente naturale si ha una situazione di
iponutrizionalità, quindi la crescita è limitata. Se, però, si hanno situazioni in cui si ha un grande
apporto di nutrienti si ha una crescita esponenziale che porta in seguito ad una fase stazionaria e
poi la morte. Gli scarti prodotti da una specie batterica, però, possono rappresentare il nutrimento
di un’altra, facendola accrescere a sua volta e creando una reazione a catena.
La fase di morte, solitamente, non porta alla morte totale di tutti gli organismi, ma generalmente
ne rimane qualcuno che può ridare vita a colonie se la situazione del terreno migliora. In alcuni
casi, in questa fase, alcune cellule vanno incontro a morte programmata, per consentire alla
popolazione di avere i nutrienti necessari per continuare a sopravvivere; i nutrienti vengono forniti
anche dalla cellula suicida stessa (da notare la dinamica di gruppo). In altri casi ancora delle cellule
entrano in uno stato di morte apparente, in cui non si riproducono (nel titolo vitale non
compaiono). Queste cellule però in determinate condizioni si riproducono. Questa sorta di
“animazione sospesa” della cellula crea dei grandi problemi dal punto di vista sanitario perché il
microrganismo può rimanere in stato di latenza nell’organismo, facendo pensare che la malattia
sia stata debellata.
La crescita batterica non è sincronizzata, in pratica ogni
cellula svolge le sue attività in modo indipendente. Se
la crescita fosse sincrona si potrebbe ottenere un
grafico che ci mostrerebbe che in un momento preciso
le cellule si duplicano. Il numero di cellule non si
accresce in modo continuo, ma con un andamento che
ricorda degli scalini. Se valutiamo l’incremento della
misura la massa cellulare, però, si può osservare un
valore di crescita esponenziale. Le colture continue
sono un sistema in cui le cellule vengono mantenute
costantemente in una fase, generalmente quella
esponenziale. Lo strumento che viene utilizzato per le
colture continue è il chemostato. Questo strumento è
costituito da una camera di crescita in cui viene
utilizzato un terreno di coltura liquido, nel quale la sostanza nutrizionale presente è in
concentrazione limitante, ossia consente la crescita
fino ad un certo punto. Nel sistema si immette
continuativamente un terreno liquido con la stessa
composizione di quello presente e
contemporaneamente una quantità identica del
terreno presente viene estratta. In pratica si ha un
afflusso continuo di sostanze nutrizionali. Il
chemostato consente di mantenere una
popolazione in crescita esponenziale per lunghi
periodi. In ecologia microbica consente di imitare le
basse concentrazioni di substrato che si trovano in
natura; è possibile studiare la competitività tra i vari
microrganismi per la stessa risorsa. Da un inoculo
misto, utilizzando terreni di arricchimento e
variando la velocità di diluizione si può selezionare una popolazione stabile. Può essere utilizzato
anche per fini industriale

Fattori che influenzano la crescita batterica


- Temperatura:
Esiste una temperatura ottimale per ogni batterio e qui si raggiunge la velocità massima di
riproduzione. Al di sotto di questa la velocità di riproduzione si abbassa raggiungendo lo
zero, che corrisponde al valore di temperatura minima. Se invece si alza la temperatura si
ha un piccolo arco e poi si ha
un picco che porta la
velocità allo zero; questa
rappresenta la temperatura
massima. Minima, ottimale
e massima sono chiamate
temperature cardinali e,
come abbiamo detto, sono
tipiche di ogni batterio.
Questi livelli di temperature
sono riferiti alla capacità di
riprodursi. Nel caso delle
spore non si può definire
una temperatura massima,
perché in questo stadio non
sono in grado di riprodursi. Se la temperatura tende a quella minima, la fluidità della
membrana diminuisce e alla minima diventa impermeabile a tutte le sostanze, bloccando il
metabolismo. A questa temperatura la cellula non muore (a differenza degli eucarioti), ma
si arresta in attesa di un rialzamento della temperatura (non avviene una sterilizzazione).
Se si va sopra la temperatura minima, la cellula cresce, in concomitanza con la
velocizzazione delle reazioni (in genere, le reazioni chimiche sono favorite da temperature
più alte). Se si porta la temperatura a livelli anche di poco superiori a quella ottimale
(velocità di riproduzione massima, le reazioni enzimatiche avvengono alla velocità massima
possibile), si ha un crollo della velocità di replicazione della popolazione. Sopra la
temperatura massima le cellule muoiono (sterilizzazione) perchè la membrana si disgrega.
In base ai valori delle temperature cardinali, si possono suddividere i batteri in classi
differenti (hanno anche metabolismo differente l’una con l’altra):
• Psicrofili: Temperature ottimali fra i 10 e i 20°C. Non riescono a vivere oltre 30°C. La
temperatura minima è legata alla disponibilità di acqua allo stato liquido ed è
correlata alla loro riproduzione. Temperatura minima di circa -10°C. Molto spesso
vivono nelle acque e nel terreno. Un esempio è rappresentato dalle alghe psicrofile
unicellulari, che crescono nella neve e la colorano di un colore rossastro
• Mesofili: Temperatura ottimale fra i 30 e i 40°C, minima intorno ai 10°C e la
massima di solito non supera i 50°C. Fra questi troviamo tutti i patogeni (si adattano
a crescere alla temperatura corporea)
• Termofili: Temperatura ottimale tra i 50 e i 70°C, la massima è 90°C. Si trovano
soprattutto nelle acque termali
• Ipertermofili: La temperatura minima di crescita deve essere sopra i 90°C. La
ottimale è intorno ai 90°C. La massima potrebbe essere sui 140°C (il DNA è
altamente instabile). Si trovano, ad esempio nelle sorgenti termali di Yellowstone,
in cui le temperature delle acque superano i 100°C perché sono ricche di sali
minerali. Si possono trovare anche nelle prossimità di zone vulcaniche.

In condizioni ottimali di crescita, a temperatura ottimale, il tempo di generazione, in


generale, diminuisce.
Tutti gli esseri viventi hanno tempi di generazione. Più un organismo è complesso e più
questo è sensibile alla temperatura.
Molto spesso, se si parla di organismi di interesse industriale, gran parte delle risorse
vengono investite in meccanismi in grado di abbassare la temperatura generata dall’attività
metabolica, in modo da riportare la temperatura quanto più possibile vicina a quella
ottimale o in generale a quella desiderata.
- Valore di pH:
Il pH va da 0 a 14, il valore neutrale è 7. Diversi batteri vivono a livelli di pH diversi. Alcuni
possono vivere all’interno del nostro stomaco, a pH acidi. Alcuni possono anche
sopravvivere nei saponi. In generale, comunque, il citoplasma cellulare deve essere intorno
ad un valore di pH neutrale. Per fare questo devono utilizzare una grande quantità di
energia a livello della membrana plasmatica per mantenere la differenza di valori di pH fra
il citoplasma e l’esterno della cellula.

- Concentrazione di ioni:
Prendiamo come esempio la concentrazione dello ione sodio. Diversi organismi rispondono
in maniere differenti nei confronti della concentrazione di sodio e si possono suddividere in
• Nonalofili: Anche a basse concentrazioni di sodio la crescita viene inibita
(Escherichia coli)
• Alotolleranti: A besse concentrazioni di sodio riescono a crescere, ma la loro
tolleranza è limitata (Staphylococcus aureus)
• Alofili: Hanno bisogno di sodio per crescere (in sua assenza non crescono). Si arriva
comunque ad una concentrazione tale da inibirne la crescita (Vibrio fischeri)
• Alofili estremi: Tanto più sodio c’è e tanto meglio per loro è (raggiungono
comunque un plateau che porta a saturazione il sodio in acqua). Si trovano nel Mar
Morto o le saline. (Halobacterium salinarum)
- Quantità di ossigeno:
Prendiamo come riferimento un terreno di coltura liquido in una provetta. Man mano che
scendiamo nella colonna della provetta abbiamo quantità sempre più basse di ossigeno. Le
cellule batteriche possono essere suddivise in:
• Aerobi obbligati: Si dispongono sulla superficie della provetta. Hanno bisogno di
ossigeno per vivere.
• Anaerobi stretti: Si dispongono nel fondo della provetta. Per loro l’ossigeno è
tossico e devono vivere in ambienti che ne sono privi
• Anaerobi facoltativi: Disposti per tutta la colonna di liquido, ma la concentrazione
maggiore è sulla superficie della provetta. Possono vivere sia in presenza che in
assenza di ossigeno, ma preferiscono l’ambiente aerobio
• Microaerofili: Disposti in una zona sottostante alla superficie. Vivono in
concentrazioni di ossigeno più basse rispetto a quelle atmosferiche
• Anaerobi tolleranti: Si dispongono su tutta la colonna di liquido. Non hanno una
preferenza fra assenza e presenza di ossigeni
Queste quattro classi
rispecchiano quattro tipi di
metabolismo differenti
(tralasciando i
microareofili). Quando si
lavora con colture
batteriche è necessario
sapere quali sono le
esigenze metaboliche dei
batteri per farli crescere al
meglio. Per alcuni batteri è
proprio necessario
utilizzare camere speciali,
ermeticamente chiuse e prive di ossigeno, il quale viene sostituito da altri gas. Per altri,
fra cui i clostridi, che sono sporigeni e anaerobi, la crescita è effettuata mediante
l’utilizzo di giare per anaerobiosi, contenitori in cui vengono inserite le colture e un
piccolo sacchetto. Poi vengono chiuse ermeticamente e il sacchetto, che è un
generatore di idrogeno, permette di eliminare l’ossigeno.
Genetica batterica
Mutazione: Cambiamento ereditabile in una sequenza di basi dell’acido nucleico genomico di un
organismo.
Ricombinazione genetica: Processo mediante il quale segmenti genetici contenuti in due genomi
separati vengono messi insieme in un’unica unità.
Generalmente la mutazione induce nella cellula cambiamenti genetici di piccola entità. Al
contrario, la ricombinazione comporta cambiamenti più significativi.
Prendiamo come esempio le mutazioni che
avvengono nell’Aspergillus nidulans. Le colonie
non mutate sono di colore verdastro, mentre
invece se le colonie sono mutate sono bianche o
gialle. Quelle bianche hanno ereditato una
mutazione a livello del gene che produce il
pigmento, quelle gialle sono costituite da mutanti
che non riescono a convertire il pigmento
prodotto in uno di colore normale, ma se ne produce uno intermedio di colore giallo.
Mutazioni che influiscono su vie metaboliche possono avere effetti diversi e dipendono dal punto
del gene in cui avvengono.
Le mutazioni possono essere di diversi tipi:
- Mutazione missenso: La mutazione avviene a livello della prima base di un codone. Viene
richiamato un aminoacido diverso (proteina difettosa)
- Mutazione nonsenso: La mutazione avviene a livello della terza base di un codone. Il
codone viene trasformato in un codone di stop (proteina più corta)
- Mutazione silente: La mutazione avviene a livello della terza base di un codone. Richiama
lo stesso aminoacido (stessa proteina)
L’inserzione o la delezione possono avere effetti drastici sulla lettura dei codoni, in pratica si slitta
il modo di leggere le sequenze di codoni.
Nel processo di ricombinazione si parte da una doppia elica di DNA e se ne ottengono due in cui
delle sequenze sono state modificate.
Molte volte le mutazioni sono dannose, ma un rimodellamento genomico è necessario perché un
genoma troppo stabile porta all’estinzione

Test di fluttuazione
Viene selezionata la resistenza di E. coli ad un batteriofago. Una coltura venne suddivisa in 50
colture più piccole in provetta e una grande uguale alla somma delle 50 colture piccole. Ognuna
delle 50 colture in provetta venne piastrata in un terreno con il batteriofago e la coltura grande
venne piastrata in 50 terreni. Se l’antibiotico avesse causato il cambiamento, allora tutte le piastre
si sarebbero presentate allo stesso modo. Se la mutazione fosse stata post-adattativa allora il
cambiamento sarebbe dipeso dal momento in cui avveniva la mutazione. Il risultato fu che il
numero di mutanti era lo stesso nella coltura grande, ma vi era una grossa variabilità in quelle
piastrate dalle provette. La mutazione era dunque pre-adattativa.

Test di replica plating


Test che sfruttava una tecnica in grado di “fotocopiare” una crescita di un terreno solido su altre
piastre. Questo crea un’immagine speculare nelle altre piastre. Test che serve per dimostrare che
si possono ottenere delle colture pure di cellule mutate senza che esse siano mai state messe in
contatto con l’agente selettivo.

Esperimento di sib-selection
Cavalli Sforza e Lederberg, nel 1956, sfruttano il fatto che è possibile arricchire una coltura
batterica, contenente cellule resistenti, mediante diluizione.
Esempio: Se in una coltura con 109 batteri/ml ci sono 103 batteri resistenti/ml, il rapporto è
103/109 = 10-6. La coltura viene diluita 10-4, per cui ci saranno 105 batteri/ml e 0,1 batteri
resistenti/ml. Questo vuol dire che su 10 campioni da 1 ml, uno conterrà 1 cellula resistente; in
questo campione il rapporto diventa 1/105 = 10-5. Si può osservare che, rispetto al rapporto
iniziale, abbiamo ottenuto una probabilità maggiore che vi sia il mutante nella provetta (10 volte
tanto)
In colture indipendenti hanno valutato se vi erano presenti mutanti. Hanno selezionato le colture
che ne presentavano di più e poi li hanno inoculati in altre colture indipendenti e così via. Ad ogni
passaggio ottenevano un arricchimento di mutanti. Il terreno utilizzato era liquido

Mutazioni dirette o “adattative”


Osservazione: un ceppo di E. coli lac- riacquista più rapidamente la capacità di utilizzare il lattosio
quando questo è l’unica fonte di carbonio disponibile (nel terreno è presente solo lattosio). Qui
notarono la presenza di batteri lac+, come mutazione spontanea wild-type. In particolare, la
frequenza di mutazione del lac+ era maggiore.
Ipotesi alternativa (e controversa): alcuni batteri possono selezionare quali mutazioni far avvenire
per adattarsi meglio all’ambiente
La spiegazione potrebbe essere che entrano in uno stato di ipermutabilità (si alza la frequenza di
mutazioni, in modo casuale. Molte sono dannose, ma alcune si possono rivelare vincenti):
generazione casuale di mutazioni multiple in cui solo le cellule con mutazioni favorevoli possono
sopravvivere (ipotesi più accreditata).

Tasso di mutazione
Il tasso di mutazione ci dice che probabilità ha un batterio di mutare, ogni volta che si divide
a = m/d
Dove: a è tasso di mutazione, m è il numero di mutazioni e d è il numero di divisioni cellulari
Ci dà la probabilità che una cellula muti durante la duplicazione. La mutazione si vede soltanto al
momento della divisione perché la mutazione può essere collocata soltanto in una delle due eliche

Tipi di mutanti batterici


Colture pure batteriche dove tutte le cellule portano un tipo ben preciso di mutazione. Sono
raggruppabili in:

• Mutanti di resistenza: resistenza ad antibiotici, sostanze chimiche, fagi. Si ottengono in un


solo passaggio (one-step) o in più passaggi (multi-step). Le one-step sono selezionate
inserendo in un terreno contenente questi batteri una determinata quantità di antibiotico
a cui vogliamo che resistano tali batteri. Se cresce qualche colonia sappiamo che questa è
costituita da batteri che sono resistenti e possiamo creare una linea pura (è possibile che le
colonie non crescano). Nei multi-step si selezionano colonie che riescono a resistere ad
esposizioni di concentrazioni crescenti dell’antibiotico, fino ad arrivare alla concentrazione
a cui vogliamo che essi resistano. La resistenza è data da un insieme di mutazioni
• Mutanti biochimici o auxotrofi: richiedono una sostanza nutrizionale per crescere (hanno
mutazioni che non permettono di sintetizzare tale nutriente)
• Mutanti morfologici: hanno una diversa morfologia di colonia
• Mutanti di fermentazione: sono incapaci di utilizzare un particolare zucchero
• Mutanti temperatura sensibili: esprimono la mutazione solo a temperatura non
permissiva. Se la mutazione è letale muoiono con l’innalzamento della temperatura.
Normalmente la proteina prodotta è termolabile

Test di Ames
Il test di Ames dimostra la sicurezza di una sostanza
che deve essere messa in commercio (se questa è
cancerogena o mutagena, in genere sostanze
mutagene aumentano la probabilità di creare cellule
tumorali). Nel test venne utilizzata una coltura di
Salmonella auxotrofa per istidina. Queste cellule
vengono introdotte in un terreno con poca istidina
(controllo) e in un terreno minimo con poca istidina
e il potenziale mutageno. Se nel terreno senza
istidina crescono colonie allora vuol dire che queste
sono i revertanti spontanei (sono in grado di mutare
e quindi attivare il gene che codifica per l’istidina).
Nell’altro terreno, quello minimo, se crescono altre
colonie e sono di più rispetto all’altro, allora vuol
dire che la sostanza inserita all’interno è effettivamente mutagena perché ha aumentato la
probabilità di mutazioni a livello del gene codificante per l’istidina. Si utilizza un terreno con poca
istidina invece che zero perché si devono consentire un numero limitato di divisioni, altrimenti la
mutazione potrebbe non manifestarsi.

Processi mediante i quali il DNA viene trasferito dal donatore alla cellula batterica
ricevente
In genere la possibilità di scambio di materiale genetico fra procarioti è molto maggiore rispetto a
quella degli eucarioti

• Trasformazione: La cellula donatrice


rilascia il suo DNA all’esterno e quella
ricevente lo assimila
• Trasduzione: Lo scambio di materiale genetico fra due cellule avviene con un virus
(vettore) che ha incamerato l’informazione
genica della cellula donatrice

• Coniugazione: Avviene per contatto fra cellula


donatrice e ricevente. Il trasferimento può
essere di uno o più plasmidi oppure di una
intera o parziale copia del cromosoma
batterico

Esperimento di Griffith
Griffith effettuò l’omonimo esperimento con l’intenzione di studiare la capsula batterica, ma
dimostrò che se si mescola ceppi vivi ma non virulenti (perché senza capsula) con ceppi capsulati,
quindi virulenti, uccisi, si può riottenere ceppi virulenti vivi. Questo dimostrò che era presente un
processo di trasformazione che rimodellava il corredo genetico dei batteri vivi, tramite
ricombinazione

Da notare che non tutti i batteri sono trasformabili. In laboratorio si sono ottenuti batteri
artificialmente trasformabili, modificandone alcuni che in natura non lo sono (ad esempio
Escherichia coli)
Il processo di trasformazione può essere effettuato soltanto se il batterio è in uno stato di
competenza, generalmente quando è in crescita. In questo stato, il batterio rilascia dei fattori
all’esterno. Quando la concentrazione dei fattori è abbastanza alta, questi si vanno a legare a dei
recettori presenti sulla membrana. Quando questo avviene si attivano i geni responsabili per la
competenza, fra cui proteine che possono trasportare all’interno del citoplasma frammenti di DNA
presenti all’esterno. Normalmente questo avviene quando si ha la fine della crescita esponenziale
della popolazione. In Bacillus subtilis, la cellula competente lega il DNA nel mezzo esterno, si
spezza la doppia elica e si porta dentro una sola elica (ricava l’energia necessaria degradando la
seconda elica). Il DNA, ora all’interno della cellula, si ricombina con il genoma batterico. L’effetto
di ricombinazione si può vedere soltanto a seguito di una replicazione. Perché possa avvenire la
ricombinazione si deve avere
una forte omologia fra DNA del
genoma batterico e DNA
esogeno (è più probabile che
avvenga fra cellule
appartenenti allo stesso ceppo
batterico). La competenza si
sviluppa alla fine della crescita
esponenziale perché si
ultimano i nutrienti nel terreno.
La trasformazione rappresenta
un tentativo da parte della
cellula per cercare di acquisire
un’informazione genica che permetta di sopravvivere il più a lungo possibile. In passato si pensava
che la trasformazione avvenisse raramente in natura perché si pensava che il DNA venisse
facilmente degradato all’esterno. In realtà questo non accade perché il DNA si complessa con
particelle del suolo che lo proteggono e lo schermano dalle radiazioni. Una teoria afferma che la
trasformazione sia nata come processo per l’acquisizione di nutrienti (il DNA era trattato come
“cibo”) e nel tempo si sia specializzato nell’integrazione di questo del genoma (molto
probabilmente ha fornito vantaggi evolutivi)

Plasmidi
Sono molecole di DNA, indipendenti dal cromosoma, che sono in grado di autoreplicarsi. Spesso
sono circolari, ma ne esiste qualcuno lineare

Coniugazione
La coniugazione è legata alla presenza di un particolare
plasmide, il fattore F (fattore di fertilità, chiamato così perché
consente di trasferire il DNA ad una cellula che è priva di
questo fattore). Questo plasmide contiene dei geni coinvolti
nella coniugazione, nella duplicazione del plasmide, sequenze
IS e un ORI particolare, chiamato ORI-T (trasferimento) e
permette di trasferire il DNA
plasmidico dalla donatrice
alla ricevente. Le cellule che
contengono il plasmide sono
chiamate F+ e quelle che ne sono prive sono chiamate F-. Le
cellule F+ possiedono una speciale fimbria specializzata,
chiamata pilus, le cui informazioni necessarie per generarla sono contenute all’interno del
plasmide. Il pilus serve a mettere in contatto la donatrice con la ricevente. Quando le due si
agganciano, si mettono in contatto e si crea un collegamento che innesca dei processi che portano
alla replicazione del materiale plasmidico (parte da ORI-T): avviene con un meccanismo di
replicazione chiamato “a cerchio rotante”, meccanismo che avviene solo con molecole di DNA
circolari, su ORI-T avviene un taglio su una delle due eliche. L’elica tagliata genera un’estremità 3’-
OH e una 5’-P. Il 3’-OH costituisce il sito di attacco per la sintesi di DNA da parte della DNA
polimerasi. Questa mentre sintetizza apre la doppia elica, scalzando un filamento e
sintetizzandone uno nuovo al suo posto. La DNA polimerasi può continuare a girare sull’altro
filamento creando più copie dello stesso plasmide. Nel caso della coniugazione, il filamento
scalzato viene spinto nella cellula ricevente e solo dentro a questa verrà duplicato, ritornando a
doppio filamento e con forma circolare. Una cellula F+ in mezzo ad una colonia F- effettua tale
processo molto velocemente trasformando in poco tempo tale colonia in F+.
Il sito di attacco fra donatrice e ricevente è mediato da
diverse proteine. Il trasferimento del DNA parte
sempre da ORI-T. Questo è importante perché quando
avviene la coniugazione fra F+ e F-, la cellula ricevente
diventa molto velocemente anch’essa F+. Alcune
cellule F- possono anche ricevere informazioni
presenti nel cromosoma della cellula donatrice
(fenomeno raro). Cellule F+ in grado di fornire anche
porzioni cromosomale vennero chiamate cellule Hfr.
Queste sono cellule F+ in cui il plasmide si è integrato
nel cromosoma con un singolo crossing-over. Il
crossing-over, per avvenire, deve presentare un’alta
omologia a livello delle sequenze di DNA. Questa omologia è data dal fatto che sul plasmide e il
cromosoma sono presenti sequenze omologhe, le IS (insertion sequences), individuate per la
prima volta grazie a questo processo. Il plasmide integrato è fiancheggiato dalle sequenze IS. Sono
presenti più sequenze IS nel cromosoma, quindi il plasmide si può integrare in più punti. La
coniugazione fra Hfr e F- parte sempre da ORI-T e si trasferisce un singolo filamento. Il DNA che
arriva è il cromosoma più il plasmide F, questo perché il cromosoma viene replicato tutto con il
metodo del “cerchio rotante”. Il processo che permette di trasferire tutta questa quantità di DNA
è molto lento ed in genere il pilum si rompe prima che si sia ultimato. Quindi la cellula F- è molto
probabile che ottenga informazioni cromosomali, ma è molto più raro che diventi F+ perché per
farlo, necessiterebbe dell’intera informazione del plasmide F (al massimo ne riceve un
frammento). In pratica il passaggio dell’informazione genetica è lineare e ordinato nel tempo (nel
tempo passano i geni più vicini ad ORI-T e più tardi quelli lontani). I ceppi Hfr possono essere
anche diversi, perciò l’integrazione di F avviene in punti diversi del cromosoma e stessa cosa vale
per il trasferimento, originabile da più punti. Se meccanicamente interrompiamo la coniugazione
Hfr con F-, separando le cellule, si possono osservare quali geni sono passati dalla donatrice alla
ricevente ed ingenerale quelli che passano prima (la distanza di comparsa rispetta una distanza di
collocamento nel cromosoma donatore, questo permette anche di mappare il collocamento dei
geni nel cromosoma batterico). Il fatto che ai lati di F integrato nel cromosoma ci siano le
sequenze IS, permette anche che si presenti un evento di autoexcisione del plasmide dal
cromosoma, passando da cellula Hfr a F+. Può succedere
che se il taglio di excisione non avviene precisamente, il
plasmide si porti
dietro con sé un
pezzo di DNA del
cromosoma (si
ottiene un
plasmide più
grande di quello
originale). In
questo caso il
plasmide generato
viene chiamato F’.
Parte
dell’informazione
cromosomica viene trasferita nel plasmide. Se questo viene perso si perde anche l’informazione
genica che serve a codificare proteine necessarie per la cellula. Se una cellula F’ coniuga con una F-
si ottiene una situazione di diploidia parziale per i geni cromosomici presenti in F’ (due geni
ripetuti, uno presente nel cromosoma della ricevente e uno presente in F’).
Oltre ad F esistono altri tipi di plasmidi, fra cui il fattore R. In
passato l’introduzione degli antibiotici andò di pari passo con
l’identificazione di microrganismi resistenti agli stessi. Se alcuni
di questi erano resistenti ad un antibiotico, allora venivano
trattati con un altro. All’inizio degli anni ’50, si trovarono ceppi
batterici non più resistenti ad un solo antibiotico, ma a più di
questi. Questo creò vari problemi. Lo studio della resistenza a
vari antibiotici permise di capire che questa era localizzata a
livello di un plasmide, il fattore R appunto. Il fattore R oltre che
ai geni della resistenza conteneva anche i geni necessari per la
coniugazione. A differenza di F, il fattore R solitamente non
coniuga (la sua coniugazione è repressa), ma se la repressione viene eliminata, il fattore inizia a
coniugare trasferendo la resistenza. Questa resistenza viene trasmessa generazione per
generazione. All’interno di una popolazione non resistente ad un farmaco, se questa viene esposta
al plasmide R, questa diventa velocemente immune. Quindi sussistono due aspetti: le resistenze
multiple (trasferimento verticale) e il trasferimento a cellule della stessa generazione
(trasferimento orizzontale). I geni che codificano per la resistenza sono sempre fiancheggiati da
sequenze IS, trasformandoli in trasposoni. Se in una cellula arrivano due fattori R trasportanti due
resistenze diverse, questi, tramite trasposizione generano un plasmide R che trasporta resistenze
multiple (grosso problema sanitario).
Plasmidi che conferiscono resistenza al mercurio e ad altri ioni metallici pesanti: Alcuni ceppi di
Staphylococcus aureus e di Pseudomonas sono resistenti all’azione tossica dei metalli pesanti
come Hg, As, Cd e Pb. Di particolare interesse è la resistenza al Hg, perché in particolari condizioni
il Hg inorganico è trasformato in composti organici ad alta tossicità che si accumulano nei tessuti e
possono arrivare ad altri organismi più grandi attraverso la catena alimentare. La resistenza al Hg
organico è data da una idrolasi che stacca l’Hg. L’utilizzo di questi plasmidi è stato studiato per il
risanamento ambientale
Plasmidi ad attività catabolica: In alcuni ceppi di Pseudomonas i plasmidi conferiscono la capacità
di ricavare energia ed atomi di carbonio da composti organici inusuali (es. naftalina, xilolo, canfora,
ottano). Sfruttando questi plasmidi sono stati creati microrganismi capaci di degradare il 70% dei
composti del petrolio grezzo. Il loro utilizzo nel risanamento dell’inquinamento derivato da
idrocarburi (ad esempio perdita da petroliere) si è rilevato un insuccesso perché, se poste dalla
coltura all’ambiente esterno, queste cellule entrano in competizione con altre popolazioni
dell’ambiente, venendo di conseguenza sconfitte a causa dei loro lunghi tempi di adattamento.
Invece di inoculare le cellule, si cerca di favorire l’operato di batteri già presenti.
Plasmidi ed iperplasia delle piante: La galla a corona delle piante è una malattia causata da un
plasmide portato da Agrobacterium tumefaciens. Questo plasmide viene utilizzato anche per
introdurre nuovi geni nelle piante (si trasmette da batteri a piante). Il plasmide nelle piante porta
al rilascio di ormoni che creano una sorta di forma tumorale. Estremamente interessante dal
punto di vista della ricerca, perché rappresenta una sorta di scambio genetico fra procarioti ed
eucarioti
Plasmidi e fattori di virulenza: Diversi batteri patogeni devono la loro virulenza alla presenza di un
plasmide. Per esempio produzione di tossine. La patogenicità è una caratteristica del batterio, ma
non è necessaria alla sua sopravvivenza
Il processo di diffusione plasmidica tramite coniugazione può essere scambiato fra diversi ceppi
batterici (nel caso della trasformazione i ceppi devono essere gli stessi, a causa dell’omologia)
Trasposoni
Sono sequenze di DNA mobili. Le sequenze IS sono esse stesse elementi trasponibili. Un caso più
complesso è rappresentato da porzioni di DNA fiancheggiate da sequenze IS alle due estremità.
Nella trasposizione si individua una sequenza bersaglio in cui
vi si inserisce il trasposone, copiando in entrambe le
estremità la sequenza bersaglio.
L’elemento mobile si può spostare da un punto all’altro
oppure può trasferire una sua copia in un altro elemento
bersaglio.
Un segmento di DNA può essere rappresentato da due sequenze ripetute in modo diretto
separate da un tratto più o meno lungo di DNA. Queste sequenze essendo omologhe possono dare
luogo ad un crossing-over che si tramuta nella delezione del tratto di DNA che separa le due
sequenze ripetute. Se questo DNA non è plasmidico viene eliminato, se invece è plasmidico
tornerà nella sua forma originaria, in cui potrà sia scambiarsi con coniugazione che autoreplicarsi.
Se però le due sequenze sono ripetute in modo invertito, anche in questo caso si appaiano, ma lo
devono fare nella stessa direzione. Il risultato non è un excisione, ma una inversione della
sequenza nucleotidica compresa. La Salmonella ha sviluppato una difesa dal nostro organismo
perché regolarmente cambia la struttura del suo flagello, produce due tipi di flagellina, la H1 e la
H2 (il nostro sistema immunitario attacca alcune strutture batteriche facilmente riconoscibile, fra
cui i flagelli). Il cambio della flagellina deve essere riconosciuto dal sistema immunitario e questo
richiede tempo. Le flagelline sono codificate dai geni H1 e H2. H1 viene prodotta soltanto se il
gene di H2 viene spento. Quando viene trascritto il gene H2 questo codifica anche un repressore
che si lega al promotore di H1, inibendone la trascrizione. Accanto al gene che produce H2 e il
repressore, vi è un altro gene chiamato Hin, con un suo promotore. Agli estremi fra il promotore di

Hin e la fine del promotore di H2 vi sono delle sequenze altamente ripetute invertite. Questo
permette a questa sequenza di DNA di poter essere ruotata di 180°. Per fare questo è necessaria la
proteina codificata da Hin, che catalizza il processo. Quando la concentrazione della proteina Hin
arriva ad un certo livello, si attiva il processo e la sequenza viene ribaltata. Quando questo accade,
il promotore di H2 finisce dalla parte opposta, non potendo trascrivere H2 e repressore. A questo
punto la trascrizione di H1 viene sbloccata. Hin funziona una sola volta e poi viene distrutta, quindi
la sua concentrazione crolla, ma la sua produzione non cessa visto che il suo promotore è interno
alla zona ribaltata e quindi la sua trascrizione può continuare. Alla fine, quando si otterrà
abbastanza Hin, la sequenza verrà ribaltata nuovamente, facendo produrre di nuovo H2.
Restrizioni e modificazioni
Prendendo due ceppi di E.
coli, K e B, dei ricercatori
osservarono che se un
batteriofago veniva fatto
propagare in una coltura K, i
virus prodotti infettavano con
grande efficienza i K, ma con
bassa efficienza i B. Stessa
cosa valeva al contrario. La crescita di questi virus, era quindi ristretta al ceppo batterico sul quale
si erano propagati e durante la crescita venivano modificati in modo tale da infettare un ceppo,
ma non l’altro.
Questo fenomeno era legato ad enzimi presenti all’interno del batterio, chiamati enzimi di
restrizione. Questi riconoscono particolari sequenze di DNA e facendolo, tagliano in questi punti
(solitamente dalle 4 alle 8 paia di basi). I virus a DNA che infettano la cellula batterica, ogni qual
volta inseriscono il loro DNA, questo viene tagliato se contiene queste sequenze. Gli enzimi non
discriminano DNA virale o batterico, ma tagliano ogni qual volta individuano il punto di taglio. La
cellula però si protegge producendo un enzima di modificazione in accoppiata, che riconosce la
stessa sequenza, modificandola (ad esempio metilando una citosina). Queste modificazioni
permangono anche dopo la replicazione del DNA.
Gli enzimi di restrizione sono stati
ampiamente utilizzati per selezionare e
copiare frammenti di DNA. I DNA plasmidici
sono facilmente purificabili e possono
essere modificati. Essi portano un unico sito
di restrizione che viene riconosciuto da un
enzima di restrizione chiamato EcoR1, che
rileva una sequenza di sei paia di basi
tagliando il sito in modo sfalsato, portando
alla formazione di un DNA lineare con
estremità coesive. Prendendo poi un DNA
donatore, si taglia con lo stesso enzima e in
questo modo si ottengono tante piccole
sequenze coesive complementari a quello
plasmidico. Mescolando i due DNA trattati
si forma l’appaiamento dei due e tramite la
ligasi, si crea un plasmide integro che oltre
la sua sequenza ne porta uno del DNA
estraneo. Si prende il plasmide modificato e
si inserisce in un batterio tramite
trasformazione, permettendo, poi, la sua
amplificazione.
Metabolismo microbico
Il metabolismo è l’insieme di tutte le reazioni chimiche che avvengono nella cellula. Si divide in
due parti:

• Catabolismo: sono le reazioni che conservano


energia (producono energia)
• Anabolismo: la sintesi di complesse molecole
organiche a partire da quelle più semplici (richiede
energia)
La molecola di ATP è estremamente importante perché
immagazzina l’energia generata nei processi catabolici
(attraverso i legami ad alta energia formati con i due
gruppi fosfato) e la fornirà durante i processi anabolici.
Ogni essere vivente ha processi metabolici che
producono ATP
All’interno di una cellula i processi metabolici sono basati su reazioni chimiche. Queste, per
passare da reagenti a prodotti devono superare una certa energia di attivazione. Gli enzimi
servono ad abbassare l’energia di attivazione e quindi
facilitando la reazione stessa. Gli enzimi presentano dei
siti di legame che legano i substrati, che si trovano vicini
gli uni agli altri, bloccati nella configurazione corretta,
necessitando di un’energia inferiore per far avvenire la
reazione. Gli enzimi, quindi, per abbassare l’energia di
attivazione:
- Aumentano le concentrazioni dei substrati al sito
attivo dell’enzima.
- Orientano correttamente i substrati l’uno rispetto
all’altro per formare il transition-state complex

Classificazione dei batteri in base alle vie biosintetiche (fonti di carbonio) utilizzate
• Eterotrofi: Come fonte di carbonio non usano la CO2, ma una sostanza organica.
• Autotrofi: Come fonte di carbonio usano la CO2 sfruttando la fotosintesi o il catabolismo di
sostanze organiche.

Classificazione dei batteri in base alla fonte di energia utilizzata per generare ATP
• Fototrofi: Usano la luce.
• Chemiotrofi: Usano substrati organici o inorganici (reazioni di ossido riduzione).

Mescolando fonte di energia e fonte di carbonio si ottiene:


• Metabolismo chemiorganotrofo: Si ricava energia da reazioni di ossido-riduzione che
utilizzano come substrato molecole organiche. Le reazioni di ossido riduzione si tracciano
seguendo il loro flusso di elettroni e il flusso degli atomi di carbonio, utilizzati per la
biosintesi (alcuni sono rilasciati sotto forma di CO2

• Metabolismo chemiolitotrofo: Il flusso degli elettroni passa da composti inorganici. La via


biosintetica parte da CO2 per formare molecole organiche. L’energia viene generata da
reazioni chimiche che funzionano anche al buio

• Metabolismo fototrofo: La fonte di energia è la luce, che genera un flusso di elettroni che
produce ATP. Qui si hanno due strade diverse:
∙ Fotoautotrofia: L’ATP generato attiva la biosintesi di molecole organiche a partire
dalla CO2
∙ Fotoeterotrofia: L’ATP viene utilizzato per trasformare composti organici (non
partono dalla CO2)
Tipi di metabolismo utilizzati dai microrganismi chemiotrofi
• Fermentazione: L’accettore finale di elettroni è un composto organico che deriva dal
composto di partenza.
• Respirazione aerobia: L’accettore finale di elettroni è l’ossigeno.
• Respirazione anaerobia: L’accettore finale è un composto (di solito inorganico) diverso
dall’ossigeno.
La fermentazione è una via metabolica, ma se l’ossigeno è presente non vuol dire che non debba
avvenire sempre. Alcune fermentazioni utilizzano il glucosio, ma lo trasformano seguendo una via
diversa da quella glicolitica

Glicolisi
Via metabolica di degradazione del glucosio. Da una molecola di glucosio (sei atomi di carbonio)
se ne ottengono due di acido piruvico (tre atomi di carbonio). È presente in gran parte dei
microrganismi, ma non tutti. Parte iniziale di respirazione aerobia e fermentazioni (non tutte)
Fermentazione omolattica
Da una molecola di acido piruvico se ne ottiene una di acido lattico. Utilizzata nella industria
casearia (latte e formaggi). Operata da Streptococchi e lattobacilli

Fermentazione alcolica
In una prima fase l’acido piruvico viene decarbossilato ad acetaldeide che poi viene trasformata in
etanolo. I prodotti finali sono CO2 ed etanolo. Utilizzata per produrre bevande alcoliche (vino e
birra) e nella panificazione. Operata da lieviti (Saccharomyces cerevisiae)

Fermentazione propionica
Da tre molecole di acido piruvico se ne ottengono due di acido propionico e una di acido acetico
e una di CO2. Gli organismi possono utilizzare l’acido lattico per ottenere l’acido piruvico (invece
che demolire il glucosio). Viene utilizzata nella produzione di Emmenthal svizzero (buchi del
formaggio si formano con l’accumulo dei gas prodotti). Operata da Propionibacterium e
Veillonella.
Fermentazione misto-acida
Dall’acido piruvico si ottiene un prodotto misto di acidi diversi (non vengono prodotti tutti
sempre, ma la loro formazione dipende da varie condizioni) e se si produce acido formico si
ottiene H2 e CO2. Operata da E. coli ed altri enterobatteri. Avviene in un ambiente privo di
ossigeno

Fermentazione butilen-glicole
Da due molecole di acido piruvico si ottiene il glicole 2,3-butilenico. Operata da Enterobacter,
Bacillus e Pseudomonas.

Fermentazione butirrica, butanolica e acetonica


Da 4 molecole di acido piruvico si ottengono varie molecole. I prodotti sono gli stessi ottenibili
dall’industria petrolifera, ma non sono convenienti da utilizzare industrialmente. Operata da
Clostridium.
Fermentazione eterolattica
Dal glucosio si ottiene acido lattico, acido acetico, CO2 ed etanolo. Utilizzata nell’industria
casearia per la produzione di Kefir. Operata da Leuconostoc ed alcuni lattobabacilli.

Fermentazione di Entner-Doudoroff
Dal glucosio si ottiene CO2 ed etanolo. I prodotti finali sono uguali alla fermentazione alcolica,
infatti si utilizza nella produzione di bevande alcoliche. Operata da Zymomonas, enterobatteri e
Acinetobacter.
Aerobiosi ed anaerobiosi
Si possono suddividere i batteri in base alle loro vie metaboliche:

• Aerobi obbligati: necessitano di ossigeno (bacillo della tubercolosi, alcuni bacilli sporigeni).
Respirazione aerobia
• Anaerobi obbligati: crescono solo in assenza di ossigeno (clostridi); i microaerofili
necessitano di una bassa tensione d'ossigeno. Respirazione anaerobia o fermentazione
• Anaerobi facoltativi: crescono sia in presenza che in assenza d'ossigeno, hanno
metabolismo sia aerobio che anaerobio (lieviti, enterobatteri). Comunque, preferiscono la
presenza di ossigeno perché ne ricavano più energia. Respirazione aerobia e fermentazione
• Anaerobi tolleranti: crescono sia in presenza che in assenza d'ossigeno, ma operano solo la
fermentazione (molti lattobacilli).
Per gli organismi anaerobi stretti l’esposizione anche a basse concentrazioni di ossigeno è fatale,
perché per loro è tossico. L’ossigeno all’interno della cellula può diventare superossido, poi acqua
ossigenata che si scinde in acqua. Le cellule aerobie sono in grado di neutralizzare questi
intermedi, grazie alla presenza di vari enzimi, fra cui la catalasi, che scinde due molecole di acqua
ossigenata in acqua e una molecola di ossigeno atmosferico. I microrganismi anaerobi non hanno
questi enzimi, per questo l’ossigeno per loro è tossico. Per discriminare organismi cha producono
catalasi da quelli che non ce l’hanno basta porre in una goccia di acqua ossigenata una
sospensione batterica. Se la goccia rimane uguale i batteri non hanno la catalasi, se la goccia forma
delle bollicine allora la producono.

Respirazione anaerobia
L’accettore finale è una molecola diversa dall’ossigeno (miglior accettore finale di elettroni). Gli
accettori migliori finali dopo l’ossigeno sono, ad esempio, lo ione Fe3+ e i nitrati. Un accettore
particolare è la CO2 che si riduce a CH4 (metano)

Biomineralizzazione
Produzione di minerali da parte di microrganismi. Ad esempio, si produce trisolfuro di arsenico
insolubile durante la riduzione di arsenato, ad opera del batterio Desulfotomaculum
auripigmentum. Si può sfruttare questo processo per il risanamento di ambienti inquinati da
arsenico. Questo processo ci dice anche che l’attività di microrganismi è implicata nella produzione
di rocce, in tempi lunghi. Hanno un impatto nell’ambiente (geobiologia)

Fototrofia
Utilizzo della luce per la produzione di ATP. Facciamo riferimento alla fotosintesi. Nelle piante, la
molecola fondamentale è la clorofilla. Nei batteri fotosintetici, la fotosintesi si effettua mediante
una molecola molto simile alla clorofilla, che è la batterioclorofilla. Entrambe le molecole sono
accomunate dal fatto di avere tutte e due un atomo di Mg al centro della molecola. Tutti i batteri
fotosintetici effettuano una fotosintesi batterica, a differenza dei cianobatteri che svolgono quella
delle piante. La clorofilla serve a catturare l’energia solare, inoltre quella delle piante e quella
batterica hanno spettri di assorbimento diversi. Altri picchi di assorbimento sono dovuti ad altri
pigmenti, quali i carotenoidi, che permettono di ampliare lo spettro di assorbimento totale. I
carotenoidi servono anche a schermare la cellula da forti dosi di radiazioni luminose che la
potrebbero danneggiare. Le colture pure di microrganismi fotosintetici hanno diversi colori dovuti
alla presenza di diversi pigmenti. La fotosintesi vegetale è ossigenica (si produce ossigeno), mentre
invece quella batterica è anossigenica (non si produce ossigeno). Nei batteri non vi sono
cloroplasti, ma utilizzano altri metodi per catturare la luce. Possono utilizzare ripiegamenti della
membrana citoplasmatica, chiamate membrane lamellari, su cui vi si ancorano gli enzimi deputati
al processo fotosintetico oppure si possono servire di clorosomi, ossia delle vesciche che
contengono gli stessi enzimi (è tipica di organismi fotosintetici che vivono un po' al di sotto della
superficie e i clorosomi permettono di captare la luce al meglio). La fotosintesi vegetale è
composta da due cicli, quella batterica da uno solo. Nella fotosintesi anossigenica arrivano fotoni
che attivano un processo ciclico di elettroni, un flusso di elettroni che parte da un punto e ritorna
al punto di partenza (non vi è la necessità di donatori). In altri casi è necessario avere un donatore,
che però non è mai l’acqua, ma di solito è un composto solforato. La generazione di ATP coinvolge
la forza protomotrice di membrana. Il composto solforato viene accumulato in granuli di zolfo. La
generazione di zolfo elementare insolubile, con conseguente precipitazione sarebbe tossica per la
cellula, per questo viene stipato in granuli. Un esempio di batterio che effettua questo processo è
il batterio purpureo Chromatium okenii.
Vie metaboliche possono portare anche alla biosintesi di aminoacidi ed altri prodotti. Tutte le vie
sono diramate ed altamente intrecciate fra loro. Una via metabolica può portare alla formazione di
più aminoacidi.

Regolazione dell’espressione genica


La cellula ha la capacità di regolare i suoi processi metabolici. La regolazione può avvenire in
diversi modi:
∙ Costitutiva:
L’enzima è sempre prodotto e sempre attivo. Questi enzimi sono indispensabili per la
cellula, non ne può fare a meno (es. DNA polimerasi)

∙ Regolazione dell’attività enzimatica:


L’enzima viene sempre
prodotto, ma la sua attività
può essere regolata. È il caso
della inibizione da
feedback. A partire da un
composto iniziale attraverso
vari intermedi per arrivare
ad un prodotto finale.
Quando la concentrazione di
prodotto finale è troppo
elevata, questo interagisce
con l’enzima che catalizza la trasformazione del primo intermedio e lo blocca. Lo blocca
legandosi ad un sito allosterico, distorcendo la configurazione del sito attivo (se il sito
allosterico è vuoto l’enzima catalizza senza problemi). Il legame con il sito allosterico è
reversibile. È dispendioso dal punto di vista energetico ma la regolazione è molto fine
poiché è tarata sulla quantità di prodotto finale, che deve avere la giusta concentrazione
all’interno della cellula, inoltre richiede tempi brevi per avvenire.

∙ Blocco della traduzione:


L’mRNA viene prodotto, ma l’enzima può
essere non tradotto. In alcuni casi dei
piccoli RNA (RNA regolatore antisenso)
prodotti sono complementari all’mRNA e
ad esso vi si legano, formando una zona
a doppia elica che se si trova a livello del
sito di attacco del ribosoma, blocca la traduzione.
Un’altra possibilità è la traduzione dell’mRNA, ma la
proteina sintetizzata ha una sequenza, chiamata
inteina, che va ad interrompere la sequenza della
proteina stessa (si excide). Se la proteina non matura
non è attiva. Accade, ad esempio, nel batterio
Mycobacterium leprae.

∙ Blocco della trascrizione:


Blocca tutto a monte, perciò si risparmia energia. È molto rapido come processo regolativo.
In molti casi si ha a che fare con geni policistronici. Questo comporta che geni coinvolti
nella stessa via metabolica si trovino vicini. Hanno un unico punto di inizio, il promotore,
che viene riconosciuto dalla subunità
sigma della RNA polimerasi. Se si va a
valutare il tempo e a crescita batterica
in un terreno minimo per arginina, la
crescita è esponenziale e inizialmente
l’incremento dell’enzima che codifica
l’arginina va di pari passo con quello
della crescita. Ad un certo punto se si
aggiunge l’arginina, la crescita
continua esponenzialmente, ma gli
enzimi che producono l’arginina non
vengono più tradotti (quelli che sono
già presenti rimangono, ma non ne
vengono prodotti altri). Quindi è l’arginina stessa a inibire la trascrizione dell’mRNA
codificante questi enzimi. Un altro caso è rappresentato sempre da un terreno minimo in
cui vi sono delle cellule in grado di utilizzare lattosio anche in assenza di questo. La crescita
è esponenziale, ma non essendo presente il lattosio, l’enzima beta-galattosidasi, necessario
per utilizzarlo, non viene prodotto. Se si aggiunge lattosio, però, rapidamente, aumenta la
concentrazione di beta-galattosidasi. Se non vi è lattosio, quindi, la beta-galattosidasi non
viene prodotta, ma se c’è sì. È il lattosio stesso ad indurre la produzione dell’enzima.

Processo di repressione: Ad esempio il caso


dell’arginina. L’insieme di geni trascritti a
partire da un singolo promotore è detto
operone. Tra il promotore ed il primo gene è
presente l’operatore, una sequenza a cui può
legarsi un repressore (generato in un gene,
anche lontano dalla sequenza). In questo caso
il repressore viene sintetizzato in forma inattiva
e quindi non si lega all’operatore, facendo
trascrivere i geni alla RNA polimerasi. In questo caso l’arginina non è presente nel terreno e
deve essere sintetizzata ex-novo. Nel caso dell’aggiunta di arginina al terreno non c’è più
necessità di sintetizzarla e dunque essa agisce come corepressore, legandosi al repressore
stesso, attivandolo. Il repressore attivato si lega all’operatore e non permette più la
trascrizione

Processo di induzione: Ad esempio nel caso


dell’operone lac. La situazione è identica a quella
di prima, soltanto che il repressore è sintetizzato
in forma attiva e si lega da subito all’operatore. In
questo caso il lattosio non è presente nel terreno.
Se si aggiunge il lattosio, si deve attivare la
trascrizione. Qui il lattosio funziona come
induttore, che si va a legare al repressore,
inattivandolo. Il repressore inattivato si stacca
dall’operatore e la RNA polimerasi può
cominciare la trascrizione dell’operone.
Controllo positivo dell’induzione di un enzima: Ad esempio nel caso dell’operone
maltosio. Deve funzionare come l’operone lac. In questo caso non vi è un operatore, ma
solo un promotore. Prima del promotore è presente l’activator binding site, che non
permette alla RNA polimerasi di legarsi al promotore a meno che non vi si leghi una
proteina specifica. Questa proteina attivatrice viene prodotta in forma inattiva e viene
attivata soltanto dal legame con una molecola di maltosio (attivatore). Una volta attiva si
lega al sito attivatore e consente il legame della RNA polimerasi al promotore, iniziando la
trascrizione. Se il sito attivatore è molto lontano dal promotore (migliaia di basi), la
proteina attivatrice interagisce con l’RNA polimerasi formando un loop.

Crescita diauxica: Se si valuta la crescita la crescita cellulare e i livelli di beta-galattosidasi in


una coltura batterica inserita in un terreno con quantità limitante di glucosio, si può
osservare una crescita esponenziale, che ad un certo punto si arresta, formando un
plateau. Dopo circa un’ora la crescita ritorna esponenziale.
Fino alla prima crescita le cellule non producono beta-
galattosidasi. Durante il plateau si ha l’inizio di produzione di
questo enzima, la cui crescita in concentrazione coincide con
la ripresa della seconda crescita della popolazione batterica. In
pratica la produzione di beta-galattosidasi è responsabile
dell’inizio della seconda crescita. Nella prima fase le cellule
utilizzano glucosio. Quando il glucosio si esaurisce si ha il
plateau, durante il quale le cellule si adattano all’utilizzo di un
nuovo metabolismo, producendo l’enzima. Alla
concentrazione giusta della beta-galattosidasi la crescita
riparte, perché i batteri iniziano a demolire il lattosio. Si chiama crescita diauxica, perché le
cellule utilizzano due molecole, prima il glucosio e poi il lattosio.

A livello dell’operone lac vi è una ulteriore regolazione legata ad un attivatore. Due


controlli, uno del repressore e uno dell’attivatore, che deve aiutare la RNA polimerasi a
legarsi al promotore. La proteina attivatrice viene a sua volta attivata dall’AMP ciclico
(cAMP, molecola molto utilizzata nella regolazione genica). Se i livelli di cAMP sono alti,
allora la proteina viene attivata, se sono bassi questo non avviene. Se c’è glucosio nel
terreno, i livelli di cAMP vengono abbattuti perciò la proteina attivatrice non si attiva e non
si lega al sito di attivazione, non permettendo alla RNA polimerasi di legarsi al promotore,
quindi non trascrive. Viceversa, se il glucosio non c’è, i livelli di cAMP salgono, la proteina
attivatrice si attiva e si lega al sito attivatore, permettendo il riconoscimento del promotore
da parte dell’RNA polimerasi, che inizia a trascrivere. Il glucosio è favorito perché gli enzimi
che lo demoliscono sono costitutivi (ha la precedenza su tutti gli altri zuccheri)

Operone triptofano: Oltre ai trascritti


dell’operone triptofano si trovavano anche
trascritti molto piccoli che corrispondevano ad
una trascrizione che partiva dal promotore e
arrivava al primo gene dell’operone. Il
meccanismo di regolazione viene chiamato per
attenuazione. Si ha un promotore, un
operatore e una sequenza leader, codificante
un oligopeptide che contiene due residui di
triptofano. Il triptofano è un aminoacido raro
da trovare (infatti è codificato da un solo
codone). Il fatto che si trovasse all’interno del
trascritto leader fece intuire una sua capacità
regolatrice. Il tratto di sequenza regolatrice ha
al suo interno quattro zone distinguibili al suo
interno (1,2,3 e 4). Queste zone, ripiegandosi fra di loro formano delle doppie eliche. Gli
appaiamenti possibili sono fra la zona 1 e la 2, la 2 può appaiarsi con la 3 e la 3 può
appaiarsi con la 4 (se si forma la 2 e 3, gli altri appaiamenti non sono possibili). In una
cellula con alte quantità di triptofano, la RNA polimerasi parte a trascrivere la parte di RNA
iniziale. Appena è disponibile il sito di
attacco per i ribosomi, questi si legano al
sito che è sulla sequenza 1. Qui
sintetizzano tutta la sequenza da 1 a 2,
questo vuol dire che quando è stato
sintetizzato il 2 questo non si poteva
appaiare all’1 e quando è stato
sintetizzato il 3, questo non poteva
appaiarsi al 2 perché era ricoperto dai
ribosomi. Quando viene trascritto il 4,
questo si lega al 3. L’appaiamento fra 3 e
4 rappresenta un segnale che
interrompe la trascrizione, con
conseguente distacco, prima di
trascrivere i geni strutturali. All’inizio si
ha una sosta di sincronizzazione fra
trascrizione ad opera di RNA polimerasi e traduzione da parte di ribosomi. Se non vi è
triptofano nella cellula, si sintetizza il segmento 1 e i ribosomi iniziano a tradurre, ma
quando arrivano ai codoni del triptofano, non trovano tRNA carichi, poiché non è presente
a livello cellulare e perciò si fermano. Il segmento 1, dove ci sono i codoni codificanti il
triptofano rimane coperto dai ribosomi, che non ricoprono il 2 che si può appaiare con il 3
quando verrà trascritto. Il 4 non può formare appaiamenti e questo dà il via libera alla RNA
polimerasi per continuare la trascrizione dei geni strutturali

Sono stati studiati altri operoni di aminoacidi. Tutti trascrivono dei peptidi leader che
hanno nella sequenza lo stesso aminoacido che viene prodotto dal processo. In genere il
numero di questi aminoacidi facenti parte del loro relativo leader è superiore al numero di
triptofani presenti nel leader dell’operone triptofano perché questi aminoacidi sono più
comuni e vi sono più triplette che codificano per tali aminoacidi, quindi più tRNA presenti
capaci di trasportare questi aminoacidi.

L’operone triptofano ha due regolazioni: repressione ed attenuazione. Gli operoni degli


altri aminoacidi hanno soltanto l’attenuazione. Il vantaggio della doppia regolazione è che
la repressione è sensibile alla presenza del triptofano nell’ambiente esterno, quello di
attenuazione misura la quantità di triptofano legato al tRNA, cioè quello disponibile alla
sintesi proteica. Ci possono essere tRNA scarichi per l’assenza di triptofano all’interno della
cellula oppure perché vi è una sintesi proteica consistente in atto, che sequestra quello
presente nella cellula, non rendendone disponibile abbastanza per caricarlo sui relativi
tRNA. Questo comunica alla cellula di produrne di più.
Dal punto di vista evolutivo, per spiegare la doppia regolazione del triptofano, sembra
fossero coinvolti due operoni, questo che abbiamo appena descritto ed un altro. L’altro è
regolato soltanto tramite repressore, lo stesso dell’altro. La cellula ha trovato comodo
copiare il repressore per entrambi, perché sono entrambi coinvolti nella sintesi del
triptofano. In pratica con un unico repressore può far in modo di spegnere
contemporaneamente entrambi gli operoni

Esempi di controllo globale in E. coli: Questo batterio è un anaerobio facoltativo ed ha due


metabolismi. Se è presente uno deve essere inattivo l’altro. Più geni devono essere
regolati. A fare questo interviene il cAMP. Entrano anche in gioco più fattori sigma che
riconoscono diversi promotori codificanti per operoni diversi. Questo permette di
accendere e spegnere diversi geni
∙ Quorum sensing
È un sistema di regolazione dipendente dalla percezione della densità delle cellule della
stessa specie presenti nella popolazione (stessa specie o regolazione di più specie viventi
nello stesso luogo). Nei Gram-negativi è
dato dalla produzione di omoserina
lattone acilato (AHL), che è una
molecola segnale. L’AHL diffonde
all’esterno della cellula. Quindi
all’interno della cellula raggiunge
elevate concentrazioni solo se nelle
vicinanze ci sono numerose cellule che
producono la stessa molecola. Queste
molecole segnale, quando
interagiscono con i recettori della membrana citoplasmatica, innescano un determinato
segnale a cui segue il relativo stimolo. Il quorum sensing è responsabile di numerose
dinamiche di gruppo a livello dei procarioti.
Regolazione mediante quorum sensing:
- Regolazione della bioluminescenza in alcuni batteri (luciferasi). Questi batteri
producono una molecola segnale, che quando raggiunge una determinata
concentrazione innesca un processo che permette la sintetizzazione di luciferasi. La
presenza di organi bioluminescenti in pesci o organismi abissali è dovuta alla
presenza di questi tipi di batteri al suo interno. Questo enzima viene spesso
utilizzato come sostituto di isotopi radioattivi.
- In Pseudomonas aeruginosa regola l’espressione di numerosi geni; questo
contribuisce alla formazione di biofilm. I biofilm sono formati attraverso un
aggregato batterico, in cui, tramite quorum sensing, le cellule cominciano a
produrre esopolisaccaridi che consentono l’adesione cellulare anche sulle superfici
meno adesive. In pratica si produce una sorta di pellicola mucillagginosa.
Normalmente si possono formare comunità miste di batteri. Il biofilm offre
protezione dall’ambiente, permette di salvaguardare più specie batteriche ed è
resistente alle sostanze chimiche e agli antibiotici
- Regola l’espressione di numerosi geni di virulenza (patogenicità) in Staphylococcus
aureus.

Cicli biogeochimici
Un ciclo biogeochimico descrive le trasformazioni di elementi fondamentali per gli organismi
viventi, causate sia da processi biologici che da processi chimici. In questi cicli sono coinvolti molti
microrganismi appartenenti a generi e specie diverse e, in molti casi, essi sono gli unici agenti
biologici capaci di rigenerare le forme degli elementi necessari ad altri organismi. La
trasformazione degli elementi necessari per la vita deve essere ciclica. I batteri, da soli, possono
chiudere i cicli biogeochimici, senza bisogno di piante e animali

• Ciclo del Carbonio:


La fonte di carbonio principale è presente in atmosfera come CO2, che può essere
trasformata in sostanza organica da organismi autotrofi (piante, ma soprattutto batteri).
Questo processo avviene anche nell’acque poiché
parte della CO2 si scioglie anche in acqua. La
sostanza organica verrà utilizzata dagli eterotrofi,
che in parte la trasformeranno in sostanza
organica e in parte la useranno per ricavare
energia, degradandola e reimmettendola
nell’atmosfera sotto forma di CO2. Alcuni
metabolismi trasformano CO2 a CH4. Alcuni
organismi metabolizzano anche CH4. La materia
organica morta verrà degradata, ma, ad esempio,
il materiale vegetale rimasto sotto le falde
acquifere, con il tempo, può essere trasformato in
idrocarburi dagli organismi. Questo materiale è
stato separato dal ciclo del carbonio, ma
utilizzandolo per produrre energia lo reintroduciamo in atmosfera provocando l’effetto
serra. Gli organismi viventi, quando muoiono, vengono degradati da comunità di
microrganismi, restituendo il carbonio al ciclo sotto forma di sostanza organica e CO2 in
atmosfera.

Divisione degli organismi in basi ai livelli trofici: si ha un sistema piramidale dove gli
organismi di un determinato livello vivono grazie agli
organismi presenti nel livello inferiore, c’è un livello
di base costituito dagli organismi autotrofi
(produttori primari). Su questi si innestano tutti gli
altri livelli, ad ogni livello gli organismi diminuiscono
come numero mentre la materia organica viene in
parte trasformata ed in parte utilizzata e reimmessa
in atmosfera sotto forma di CO2. Quando gli
organismi viventi muoiono la materia organica viene
degradata. I degradatori sono comunità batteriche che lavorano in aerobiosi ed
anaerobiosi e che assicurano la degradazione completa della materia organica restituendo i
minerali al suolo ed il carbonio all’atmosfera sotto forma di CO2.

• Ciclo dell’azoto:
La fonte più abbondante nella atmosfera è
l’azoto molecolare (tenuto insieme da tre
legami covalenti, molecola molto stabile,
gas inerte). In natura alcuni organismi sono
in grado di trasformare N2 in NH3, ma
essendo tossica, viene subito assimilata
sotto forma di aminoacidi e quindi proteine.
Questi composti verranno utilizzati dalle
piante e in alcuni processi che poi lo
restituiscono all’atmosfera come azoto
molecolare. In passato, si notò che se
regolarmente i campi venivano messi a
riposo e si alternavano con coltivazioni di
interesse i campi crescevano senza problemi. Questo perché le piante per crescere hanno
bisogno di sali azotati (se si pianta sempre lo stesso vegetale il suolo si impoverisce). Il
terreno si riarricchisce se si utilizzano particolari piante, fra cui quelle che hanno dei noduli
a livello delle radici (leguminose). In questi noduli crescono dei batteri azotofissatori che
trasformano l’azoto atmosferico in ammoniaca che verrà incorporata in proteine. Questi
batteri vivono nel suolo e molti di questi sono in associazione con varie piante. Un esempio
di tali organismi è il Rhizobium. Questi organismi tendono ad associarsi con la radice nei
noduli instaurando una simbiosi: i batteri sono riforniti dalla pianta con sostanze
nutrizionali, permettendogli di effettuare l’azotofissazione. A sua volta il batterio rifornisce
la pianta con sostanze azotate. Pianta e batterio sono messi in comunicazione da vasi
linfatici. La pianta che può vivere in associazione con i microrganismi, rilasciano dalle radici
delle molecole segnale che vengono identificate da determinate specie azotofissatrici
(riconoscimento specifico, chemiotassi positiva). Quando il microrganismo si attacca ai peli
radicali si crea il nodulo. L’enzima indispensabile per l’azotofissazione si chiama nitrogenasi
e può lavorare soltanto in un ambiente anaerobio stretto (assenza di ossigeno necessaria,
la minima presenta lo inattiva permanentemente). La maggior parte degli azotofissatori,
però, è aerobia quindi devono conciliare i due aspetti. Per fare questo si servono di una
molecola chiamata leg-emoglobina, che trasporta l’ossigeno dove ce n’è bisogno
(all’interno della cellula non vi è ossigeno libero e la nitrogenasi può lavorare in modo
ottimale). Negli anni ’80 si studiarono i microrganismi azotofissatori in modo tale da
migliorare la produzione agricola. Tutti i tentativi, però, non diedero i risultati sperati
perché la richiesta energetica dell’azotofissazione è molto alta, quindi il batterio preferisce
adottare un’altra via metabolica.

• Ciclo dello zolfo:


La fonte di zolfo più abbondante è lo
zolfo elementare, a livello dei minerali.
Questo può essere ossidato dai batteri
a solfati. I solfati vengono incorporati
dalle piante sotto forma di proteine.
Questi composti vengono utilizzati e
vengono poi liberati sotto forma di
acido solfidrico. Alcuni batteri, poi, lo
possono ossidare a zolfo, facendo
ricominciare il ciclo. Se si escludono
piante e animali, i solfati e lo zolfo
stesso possono essere trasformati
direttamente in acido solfidrico. Nelle
miniere a cielo aperto, l’estrazione delle rocce rilascia lo zolfo, che viene utilizzato da
organismi trasformandolo in acidi forti. Le piogge lavano via gli acidi, che inquinano le falde
e a livello dei corsi d’acqua sono riconoscibili dal colore rossastro perché si portano dietro
ossidi di ferro. Gli effetti di questo sono visibili, per l’assenza di piante nel suolo e quando si
brucia il carbone, pieno di zolfo, si rilascia dei gas che in atmosfera, con le piogge acide,
vengono riportati sul terreno (danni a livello della vegetazione e dei beni culturali). Il
Dimetilsolfoniopropionato è un composto meno significativo nel ciclo dello zolfo.
Utilizzato dal batterioplancton come fonte di zolfo. Questo viene trasformato in
dimetilsolfuro (DMS) e questo può influire sui processi atmosferici (non permette la
formazione di nubi).
Classificazione e identificazione dei microrganismi
Tipo di classificazione binomiale (linneiana), ossia due nomi indicanti genere e specie. Alla base vi
è il concetto di specie:
Due organismi fanno parte della stessa specie se sono interfecondi e la loro prole è fertile
Il tipo di classificazione è binomiale, ma i batteri non rispettano completamente il concetto di
specie.
I primi reperti fossili di presenza di vita batterica rinvenuti sono le stromatoliti. Questi fossili non
sono di batteri, ma sono rimanenze visibili della loro attività metabolica. Gli stromatoliti sono delle
rocce calcaree, le cui rimanenze sono esclusivamente di origine biologica. Attualmente vi sono
soltanto dei particolari posti in cui si ha la formazione di stromatoliti (Australia), ma, milioni di anni
fa vi erano le condizioni adatte per produrle in modo più consistente. Sono depositi che si formano
in centinaia o migliaia di anni. Le stromatoliti possono essere datate e da qui si può risalire
all’inizio della loro formazione e risalire, quindi, alla nascita della vita sulla Terra. Le prime forme di
vita sono comparse fra 3,5/3,7 miliardi di anni fa. Le condizioni ambientali e l’atmosfera a quel
tempo erano completamente diverse. Le prime forme di vita comparvero nell’acqua ed erano
batteri e cianobatteri. La nascita dei cianobatteri è stata fondamentale, perché la loro fotosintesi
ossigenica ha permesso di rilasciare ossigeno nell’atmosfera per miliardi di anni. Questo ha
permesso di trasformare la atmosfera terrestre da anossica a quella che conosciamo tutt’ora,
ideale per la crescita di organismi animali e vegetali. Man mano che ci avviciniamo ai giorni nostri
la varietà di forme viventi è aumentata, data anche dal fatto che le capacità adattative sono
migliorate.
Il mondo a RNA: La vita pre-cellulare si suppone fosse basata sull’ RNA world poiché l’RNA può
autoreplicarsi (ribozimi) e catalizzare reazione chimiche. Dall’RNA si sarebbe originato per
duplicazione della singola elica il DNA. Prove a favore del mondo a RNA:
- La molecola di scambio energetico delle attuali cellule è l’ATP, un ribonucleotide
- L’RNA può contribuire a regolare l’espressione genica.

Si stima che sulla Terra vi siano tra i 4 e i 6 x 1030 cellule procarioti. Secondo alcuni autori la
quantità di carbonio contenuta nelle cellule batteriche è uguale a quella presente in tutti gli altri
esseri viventi. La diversità microbica potrebbe essere 1012 specie batteriche

Orologi evolutivi
Solo una minima parte dei microrganismi presenti sulla terra è stata descritta (>1%?). Attualmente
si cerca di classificare i microrganismi in base a criteri filogenetici, alla luce dei risultati ottenuti in
studi molecolari. La distanza evolutiva tra due specie può essere misurata tramite la differenza
nella sequenza nucleotidica di geni omologhi presenti nelle due specie. Esistono dei ceppi di
riferimento che fanno da campione per l’identificazione e la nominazione di batteri. Due organismi
sono tanto più vicini fra di loro tanto quanto più vicino nel tempo è l’antenato comune. Questa
informazione è scritta nel genoma. Per determinare la vicinanza fra due organismi dobbiamo
costruire quelli che vengono detti orologi evolutivi. L’identificazione dei batteri utilizza fattori
filogenetici ricavata da dati molecolari. Gli orologi evolutivi sono delle sequenze di DNA che ci
danno un’idea di quando due batteri siano filogeneticamente vicini fra loro
Le sequenze idonee per questi studi devono avere queste caratteristiche:
1) La sequenza deve essere distribuita universalmente nel gruppo in esame
2) La sequenza deve codificare una funzione omologa in ogni organismo
3) E’ fondamentale poter allineare le sequenze, per identificare zone sia di omologia che di
diversità
4) La sequenza deve variare con una velocità commisurata alla distanza evolutiva da misurare
(quanto sia vicino o lontano l’antenato comune, se questo è molto lontano la sequenza ha
avuto molto tempo per cambiare). Una sequenza che cambia velocemente è utile per
misurare una distanza breve. Una che cambia lentamente è utile per misurare una distanza
lontana.

Una delle sequenze più utilizzate è quella dell’RNA ribosomale. I


ribosomi sono presenti in tutti gli organismi viventi. I ribosomi sono
costituiti da due subunità e sono presenti tre tipi di rRNA, il 5S, il 16S e il
23S. Quella del 5S è piccola, facile da determinare, ma poco informativa.
La 23S è grande, molto più
informativa, ma difficile
determinare la sequenza
(teniamo conto che questi
lavori sono iniziati negli anni
’80). Il lavoro venne
concentrato sulla 16S, la
sequenza intermedia. Il sequenziamento di un tratto di
DNA necessita la presenza di più copie dello stesso. Per
questo si utilizza la PCR, che amplifica le copie del tratto
di DNA ogni ciclo. Ad ogni ciclo si
raddoppia la quantità della
sequenza target. Nella PCR si
utilizza una particolare DNA
polimerasi, chiamata Taq
polimerasi, ricavata da un
organismo termofilo. Alcune
sequenze di DNA codificante il 16S
sono più conservate, altre sono
più variabili, ma in generale
vengono normalmente utilizzati
dei primer che tendono a
sintetizzare la maggior parte di
queste sequenze e sono chiamate
primer universali.
Albero filogenetico
L’analisi delle sequenze ha portato alla formazione dell’albero genetico, che individuò tre domini
Archaea, Bacteria ed Eukarya

Principali caratteristiche degli Archea


- La parete non contiene peptidoglicano ma pseudopeptidoglicano (un analogo del
peptidoglicano), o polisaccaridi, proteine o glicoproteine.
- Le membrane di alcuni Archea, specie di quelli ipertermofili, sono formate da un
monostrato lipidico. I lipidi di membrana presentano legami etere e lunghe catene
ramificate di idrocarburi.
- Le RNA polimerasi sono strutturalmente più complesse e hanno più subunità rispetto a
quelle dei batteri. Sono molto più simili a quelle degli Eukarya (molte subunità) rispetto a
quelle dei Bacteria

Tassonomia classica
Si basa sulle caratteristiche morfologiche e fisiologiche dei batteri. In particolare, si basa su:
- Morfologia e struttura: Forma della cellula e forma di eventuali forme associative.
Presenza ed eventuale distribuzione dei flagelli. Formazione di miceli (attinomiceti). Gram+
o Gram-.
- Caratteristiche colturali: Aerobi, anaerobi, fotosintetici, temperatura ottimale di crescita,
ecc. Morfologia della colonia su terreno solido.
- Attività biochimiche: Capacità di degradare o fermentare determinati zuccheri e prodotti
finali che si ottengono dalla loro utilizzazione. Capacità di idrolizzare substrati complessi
(cellulosa, amido, lignine).
- Patogenicità: Tipo di infezione prodotta, tipo di lesione, organismo ed organo colpiti,
produzione di tossine.
- Reazioni sierologiche: Utilizzati sieri (anticorpi) che riconoscono un antigene specifico del
batterio. Permette di distinguere batteri diversi all’interno dello stesso genere. Ad
esempio, sono noti 2.000 sierotipi di Salmonella.

Sistema biochimico Api 20E: Consente di analizzare contemporaneamente venti varianti colturali.
Si applica su enterobatteriacee (non si può applicare su altri). Su un supporto sono presenti dei
pozzetti contenenti colture differenti. Questi pozzetti vengono inoculati tutti con la stessa quantità
di microrganismo che vogliamo analizzare (coltura pura). Si mettono ad incubare ad una
temperatura ed un tempo ben preciso fornito dalla casa che ha costruito la striscia, si osserva a
questo punto sotto una striscia, dove abbiamo tutti i risultati negativi e sopra tutti risultati positivi.
Per ogni pozzetto il risultato positivo o negativo ha un codice numerico da osservare nel manuale
e quindi alla fine abbiamo un risultato numerico che consente, utilizzando le tabelle fornite dalla
ditta che produce il sistema di risalire alla specie microbica analizzata. Questi sistemi sono
abbastanza economici e consentono di analizzare una ventina di caratteristiche in contemporanea

Tassonomia molecolare
Impiega l’analisi molecolare di una qualsiasi delle biomolecole presenti nella cellula.
- Ibridizzazione DNA-DNA
- Ribotyping (analisi dei ribosomi)
- Analisi dei lipidi

Ibridazione genomica
Se si prendono due molecole di DNA denaturate, queste si possono riappaiare se sono
complementari, ma se sono frammenti non omologhi, si ha la formazione di doppia elica
proporzionale alla loro omologia. Dà un’idea di quanto le molecole di DNA siano simili fra loro. Se
si devono studiare quattro organismi diversi, se ne purifica il DNA e si denatura. Il DNA
dell’organismo di riferimento viene marcato per riconoscerlo (marcatore radioattivo). Si
mescolano il DNA dell’organismo con quello degli altri tre e si guarda la quantità di sequenze
complementari che sono presenti, dandoci un’idea di quanto due organismi siano simili fra loro. Se
l’omologia si aggira intorno a 75% gli organismi sono della stessa specie, se si aggira intorno al 25%
sono dello stesso genere, invece, se si aggira intorno al 7% gli organismi sono estranei fra di loro.
Ibridizzazione del DNA per l’individuazione di Legionella: L’ibridazione DNA-DNA può essere
utillizzata per l’identificazione di Legionella pneumofila, questo microrganismo causa la
legionellosi, simile alla polmonite e venne identificata per la prima volta in Florida, dove ci fu un
caso di legionellosi durante un convegno di soldati mercenari che si erano radunati in un albergo.
Si vide che questa era una malattia infettiva causata da un microrganismo, che solitamente si trova
nei condotti degli impianti di grosse strutture di condizionamento, il suo habitat ideale si trova
nelle torri di raffreddamento di diversi impianti. Al genere Legionella appartengono anche altri
organismi che non sono pneumofila e quindi non sono patogeni. Il test sfrutta l’ibridazione DNA-
DNA a livello di due sequenze (non tutto il genoma), uno presente soltanto in tutti i generi di
Legionella e uno presente soltanto nei pneumofila. In un supporto è indicato nel segno + la
presenza di DNA, nel segno – non è presente. Se il DNA dell’organismo studiato forma una doppia
elica con quello fissato, allora si può osservare con un pallino che si colora blu. Se non vi è legato
nulla non si colora. Se il segnale L e p si colorano si ha Legionella pneumofila. Se si colora solo L si
avrà un batterio di Legionella non pneumofila. Se non si colora nulla si avrà un batterio che non è
del genere Legionella.

Ribotyping
È una tecnica basata sull’analisi dell’RNA ribosomiale, ma non prevede il sequenziamento. Il DNA
di un microrganismo è digerito con enzimi di restrizione, i frammenti vengono separati e
rintracciati con una sonda di RNA ribosomiale. Consente di discriminare quattro specie batteriche
diverse

Analisi degli esteri metilici di acidi grassi (FAME)


Utilizza acidi grassi, non acidi nucleici. Si estraggono gli acidi grassi, si trasformano in esteri
metilici. La composizione in acidi grassi di un batterio è specifica ed è variabile fra diverse specie.
Si può effettuare un’analisi cromatografica, che permette di individuare gli acidi grassi che
compongono un batterio. Tramite delle banche dati si può identificare il batterio in esame. È una
buona alternativa all’analisi degli acidi nucleici, ma è una tecnica costosa e particolare

Specie batterica
Tutta questa introduzione è servita ad estendere il concetto di specie linneiana ai batteri (come
abbiamo detto, la definizione che abbiamo utilizzato all’inizio del paragrafo non era corretta).
Secondo alcuni non esiste proprio una definizione corretta, però, per altri, due batteri
appartengono alla stessa specie se:
- Due microrganismi appartengono a specie diverse se le sequenze dei loro DNA, codificanti
per gli rRNA 16S hanno meno del 97% di similarità
- Due microrganismi appartengono alla stessa specie se i loro DNA ibridizzano per almeno il
70%. Se a livello genomico hanno una percentuale di omologia superiore al 70% (con un
30% di variabilità) rientrano comunque nella stessa specie. Per dare un’idea l’uomo e lo
scimpanzè hanno un’omologia genomica del 99% circa
I genomi batterici sono molto plastici e mutabili e perciò si fa riferimento al concetto di
pangenoma cioè non un genoma singolo, ma uno a livello di popolazione, anche perché parti di
DNA possono essere scambiate orizzontalmente al livello di diversi individui della popolazione.
Molti organismi sono isolati da colture pure e ne vengono ricavati i dati molecolari che ne
permettono la denominazione (normalmente un codice). Questo non ci dice, però, se l’organismo
è vivo o morto oppure se è attivo metabolicamente o meno.

Bacteria

Vediamo qualche organismo come esempio:

• Magnetospirillum magnetotacticum:
Batterio avente un flagello ad ogni estremità. Ha dei corpuscoli elettrondensi all’interno del
citoplasma che sono chiamati magnetosomi. Questi sono dei depositi minerali
(biomineralizzazione) che hanno la capacità di identificare il campo magnetico terreste.
Vivono nelle acque tropicali, sia nell’emisfero Nord che Sud. Quelli che vivono a Nord
utilizzano i magnetosomi per andare verso il polo Nord, quelli che vivono a Sud li utilizzano
per andare verso il polo Sud. Sportarsi dall’equatore verso i poli vuol dire anche andare in
profondità, per questo riescono a indentificare l’alto e il basso in acqua. Questo è
necessario perché sono microarofili (le basse concentrazioni di ossigeno si trovano ad una
certa profondità)
• Hyphomicrobium (batteri gemmanti):
La formazione di una nuova cellula non avviene per scissione, ma
dalla creazione di un nuovo filamento, chiamato ifa, da cui si
stacca la nuova cellula. La nuova cellula generata è provvista di
flagello. Due forme: una flagellata che non è in grado di riprodursi
e l’altra derivata dalla trasformazione della prima, che perde il
flagello e forma l’ifa.

• Mixobatteri:
Formano delle spore di diffusione. Hanno un
aspetto particolare dato dall’aggregazione di
più cellule, che si possono vedere anche ad
occhio nudo. Questi batteri vivono in maniera
vegetativa e si dividono per scissione tipica.
Quando, però, l’ambiente è povero di nutrienti,
si emettono delle molecole segnale che
richiamano le cellule circostanti, che si
raggruppano. Una volta raggruppate si forma
una struttura detta corpo fruttifero nella cui
cima ci sono le mixospore, cioè le spore di
diffusione, che permettono di colonizzare
ambienti più ricchi di nutrienti

• Streptomiceti:
Appartengono al gruppo degli attinomiceti.
Devono il loro nome al fatto che la cellula
quando si accresce forma delle ife che formano
un micelio (come nei funghi, ma questi sono
procarioti). Sul micelio ancorato al substrato si
forma una struttura a spirale su la cui cima si
formano le spore di diffusione. Sono
importanti dal punto di vista farmaceutico
perché vengono utilizzati per produrre
antibiotici. Lo Streptomyces coelicolor ha una
morfologia che ricorda molto una muffa ed
inoltre producono dei pigmenti blu.
Archea

- Gruppo molto eterogeneo per morfologia, fisiologia ed ecologia.


- Vivono prevalentemente in habitat anaerobici, ipersalini e ad alta temperatura.
- Vivono anche in habitat marini artici e tropicali.

Gli Archea possono essere suddivisi in:

• Alofili estremi:
Necessitano di forti concentrazioni saline, minimo
2-2,5 M NaCl, ottimale 4-5 M. Si trovano nel Mar
Morto, nel Lago Salato e negli stagni di
evaporazione del sale, anche in ambienti in cui il
sale arriva a saturazione, come nelle saline.
All’interno la concentrazione salina è uguale a
quella esterna. I loro enzimi funzionano solo con
alte concentrazioni di sale. Ad esempio, Arcula ha
una forma quadrata. Hanno un processo di
fotosintesi che non usa la clorofilla, ma un pigmento, la batteriorodopsina. La rodopsina è
un pigmento dell’occhio. La batteriorodopsina occupa gran parte del volume interno e
questo serve a catturare la luce solare, ma anche a proteggere dalla consistente
esposizione
• Metanogeni:
E’ un gruppo molto vasto. Producono metano (respirazione anaerobia) a partire da CO2 e
H2 e, pur avendo un’ampia distribuzione, non si incontrano facilmente, perché sono molto
sensibili all’ossigeno. Vivono in ambienti anaerobi (muoiono se esposti all’ossigeno), spesso
in associazione con altri microrganismi (es. Clostridium) che metabolizzano la sostanza
organica producendo H2. Sono usati nei bioreattori, ossia grossi contenitori in cui si
accumulano scarti agricoli che vengono degradati da diversi organismi, fra cui i
metanogeni, che producono metano che viene utilizzato come fonte di energia.
I vari habitat dei metanogeni sono:
- Sedimenti anossici: paludi, sedimenti di laghi, risaie, zone umide di discarica.
- Tratto digestivo di animali: rumine di mucche, pecore, alci e cammelli; intestino
crasso di animali monogastrici (es. l’uomo); intestino superiore di insetti cellulolitici
(es. termiti).
- Sorgenti geotermali di H2 e CO2.
- Impianti artificiali di biodegradazione: digestori a fanghi attivi.
- Endosimbionti di vari protozoi endosimbionti.
Esperimento di Volta: Nei pressi di una palude, si prende un imbuto, si tappa in alto e si
immerge in acqua con la parte larga verso il basso. Dopo un certo periodo di tempo, se si
stappa e vi si appoggia un fiammifero acceso sopra l’imbuto si verificherà una fiammata,
dovuta alla combustione di metano generato dai metanogeni, che si era accumulato
all’interno

• Termoacidofili:
Vivono in sorgenti solforose calde a 80°-90°C e pH uguali o inferiori a 2 (il citoplasma deve
essere comunque neutro). Se si portano a temperature più basse muoiono, perché le
pompe necessarie a mantenere la differenza di pH non riescono più a svolgere la loro
funzione. Thermoplasma è un micoplasma (senza parete), vive nei mucchi dei residui di
carbone che bruciano senza fiamma. Il pH interno è vicino alla neutralità, se si abbassa la
temperatura muoiono, perché non può essere mantenuto il gradiente di pH.

• Archea ipertermofili:
Vivono a temperature superiori ai 90°C. Per la prima volta furono isolati alle sorgenti di
Yellowstone. Qui le acque sono dense di sali e a 100°C non raggiungono ancora la
temperatura di ebollizione. Altri posti molto simili sono le profondità marine, in cui si
hanno assenza di luce e di sostanze organiche, ma per via della pressione, nei pressi di
bocche vulcaniche l’acqua arriva a 200/300°C (qui nessun organismo può sopravvivere).
Man mano che ci si allontana da queste zone la temperatura scende e si possono trovare
sostanze inorganiche che possono essere utilizzate e organicate da alcuni microrganismi.
Gli enzimi di questi organismi operano ad alte temperature e possono essere utilizzati in
vari ambiti (Taq polimerasi)
• Archea adattati al freddo:
Si possono trovare in ambienti artici. Il vero problema di questi organismi non è il freddo,
ma la mancanza di sostanze nutrizionali, quindi crescono molto lentamente (i loro tempi di
generazione sono molto lunghi, anni, alcune volte anche decine di anni). Il loro
metabolismo è rallentato e possono aspettare che i ghiacci si sciolgano per crescere

Microrganismi parassiti intracellulari


Organismi che per vivere hanno bisogno di parassitarne altri. Il loro stato di parassitismo è legato
ad un genoma di dimensioni ridotte. Non hanno un metabolismo proprio.

• Bdelovibrio:
Ha un unico flagello ad un’estremità. Il suo flagello gli
permette di raggiungere alte velocità. Quando collide
con una cellula, penetra la sua membrana. All’interno
della cellula si riproduce e le copie vengono rilasciate in
seguito a lisi. Ha un ciclo di riproduzione relativamente
breve

• Clamidie:
Si possono trovare sotto due forme: il corpo
elementare, cellula piccola inferiore al micron, simile
alla spora batterica, si diffonde con questa forma, ma
non è capace di riprodursi e il corpo reticolato, forma
riproduttiva più grande che assume soltanto quando è
dentro la cellula, non può esistere al di fuori di essa, e
sfrutta i meccanismi dell’ospite per riprodursi. Quando
le copie usciranno dalla cellula assumeranno la forma
di corpo elementare. Non tutte le cellule possono
ospitare la clamidia, infatti deve avvenire un
riconoscimento specifico. Mediante fagocitosi il corpo
elementare viene trasportato all’interno e forma il
corpo reticolato, si produce e viene rilasciato sotto
forma di corpo elementare
Malattie causate dalla clamidia:

∙ C. psittaci: Causa la psittacosi, malattia epidemica degli uccelli (ad esempio


pappagalli importati illegalmente), occasionalmente trasmessa all’uomo. Provoca
sintomi simili a quelli della polmonite.

∙ C. trachomatis: Causa il tracoma, malattia debilitante dell’occhio, caratterizzate da


lesioni alla cornea (principale causa di cecità nell’uomo). Alcuni ceppi infettano il
tratto uro-genitale e sono causa di una delle principali malattie trasmesse per via
sessuale.
Antibiotici
Una delle spinte maggiori allo studio dei microrganismi è stata la patogenicità di alcuni di loro. La
ricerca si è basata soprattutto sullo studio di metodi per contrastare le malattie da loro causate.
Questi metodi hanno avuto sempre a che fare con l’utilizzo di una sostanza ben precisa, che in
generale si chiama sostanza chemioterapica. Le proprietà di una sostanza chemioterapica sono:
- Distrugge o impedisce l’attività di un parassita senza danneggiare le cellule dell’ospite.
- Riesce a giungere a contatto con il parassita penetrando nelle cellule e nei tessuti
dell’ospite in concentrazioni efficaci.
- Lascia inalterati i meccanismi naturali di difesa dell’ospite, quali la fagocitosi e la
produzione di anticorpi.
Salvarsan: Per molti secoli, la cura alla sifilide era paradossalmente alla base di assunzione di sali
di mercurio, che uccidevano il malato. Per trovare una cura bisogna aspettare gli inizi del
Novecento, in cui si mise in commercio il Salvarsan, che per quanto fosse efficace contro la sifilide,
aveva comunque degli effetti collaterali dovuti all’arsenico presente nella molecola. Per trovare
una effettiva cura bisognerà aspettare la fine della Seconda Guerra mondiale

Antibiotici
Sostanza chimica, prodotta da un microrganismo, capace di uccidere o inibire la crescita di un altro
microrganismo. Le caratteristiche di un antibiotico ideale sono:
- Dovrebbe avere la capacità di distruggere o inibire diverse specie di microrganismi
patogeni (antibiotico ad ampio spettro d’azione).
- Dovrebbe impedire il rapido sviluppo di forme resistenti. L’antibiotico può selezionare
batteri resistenti e questo va il più possibile evitato
- Non dovrebbe avere effetti collaterali indesiderati nell’ospite (ipersensibilità, allergie,
danni al sistema nervoso, irritazione dei reni e del tratto gastrointestinale).
- Non dovrebbe eliminare la normale flora microbica dell’ospite. In alcuni casi si possono
verificare delle infezioni opportunistiche. Un esempio classico è rappresentato da Candida
albicans, un fungo, la cui crescita, in condizioni normali, viene inibita
dai microrganismi presenti nel nostro organismo. Se si fa utilizzo di
antibiotici questi microrganismi possono morire facendo proliferare la
Candida albicans

Antibiogramma: Serve per valutare l’efficacia di un antibiotico. È un test che ci


dice a quali antibiotici è sensibile o resistente un certo organismo. In un
terreno di coltura solido si semina una quantità ben precisa di cellule del
microrganismo in esame. Queste cellule devono essere sparse
omogeneamente a livello della piastra in modo tale che formino una patina e
non delle colonie sparse. Prima di effettuare l’incubazione si appoggiano sul
terreno dei dischetti di carta imbevuti di un antibiotico a concentrazione ben
precisa. Una volta incubata, l’antibiotico diffonde sul terreno. Se la cellula è
sensibile all’antibiotico, sul bordo del dischetto non avverrà la crescita di microrganismi (un alone
in cui la crescita è inibita. La grandezza dell’alone dipende dalla sua efficacia)

Se in un grafico riportiamo i microgrammi di antibiotico utilizzato sulle


ascisse e sull’asse delle ordinate la % di inibizione in alto e la % di
sopravvivenza in basso questo ci dà un’idea sull’efficacia
dell’antibiotico sul microrganismo preso in esame. Un punto
importante del grafico è rappresentato dal M.I.C, ossia la quantità
minima dell’antibiotico necessaria per bloccare l’intera crescita
batterica (percentuale di inibizione del 100%). Il M.I.C. varia a seconda
dell’antibiotico e del batterio in esame. Al di sopra di questo valore, le
cellule tendono a morire con un andamento esponenziale. Anche
quando l’antibiotico viene utilizzato in quantità superiori al valore
M.I.C. non si otterrà mai la morte completa di tutti gli organismi. Il
risultato finale è molto influenzato dalla risposta che il nostro sistema
immunitario tenderà a sviluppare.

Valutazione della M.I.C: Dobbiamo avere una coltura pura del batterio in esame. Prima,
sicuramente, sarà stato fatto l’antibiogramma. Si creano una serie di colture in terreno liquido,
ognuna contenente una concentrazione crescente dell’antibiotico ed insieme a queste si
preparano anche delle provette di controllo, senza inoculo batterico, ma soltanto con terreno
liquido e antibiotico alla relativa concentrazione. Tutte le provette vengono inoculate con la stessa
quantità di cellule. Si fanno incubare i terreni. Su alcuni si sarà sicuramente effettuata una crescita,
soprattutto su quelle con la concentrazione di antibiotico più bassa. La provetta con la quantità di
antibiotico più bassa in cui non si è verificata crescita batterica (corrisponde alla prima provetta
limpida) ci dà la M.I.C
La differenza fra un antibiotico battericida e uno batteriostatico può
essere osservata in un grafico sulle cui ascisse viene riportato il tempo
e sulle ordinate le cellule vive in scala logaritmica. Nel secondo caso, il
numero di cellule non cresce più, ma
resta bloccato (plateau), nel primo,
invece, si ha il calo di cellule vive al
momento dell’aggiunta. Nella maggior
parte dei casi il battericida non riesce ad
uccidere tutte le cellule. Se aggiungiamo
un antibiotico battericida, per basse
concentrazioni si ha una inibizione della crescita e via via
aumentando la concentrazione si ha un blocco, cioè un effetto
batteriostatico (M.I.C.), quindi anche un battericida può essere un batteriostatico ed infine, ad alte
concentrazioni, si arriva ad un rapido abbassamento della popolazione batterica, che non arriva
mai allo zero però. Il più delle volte un antibiotico battericida arriva soltanto a svolgere una
funzione batteriostatica.

Selettività d’azione di un antibiotico


I meccanismi con cui gli antibiotici sviluppano la loro selettività è differente, alcuni sono più
specifici di altri:
- Nell’ospite manca il bersaglio dell’antibiotico (es. parete batterica).
- Bersagli omologhi, ma con proprietà diverse (es. ribosomi 70S e 80S).
- Differenza di permeabilità.
- Nell’ospite esistono vie metaboliche alternative e per il batterio no
- Maggiori dimensioni dell’ospite. L’effetto tossico si manifesta prima sui batteri che
sull’ospite. Questi antibiotici vengono utilizzate come antitumorali più che come
antibatterici
Sulfamidici: Molecole in grado di bloccare la crescita batterica. Furono scoperti perché, visto che
esistono diversi coloranti specifici per i batteri, allora i ricercatori pensarono che la stessa cosa
sarebbe dovuta valere anche per delle sostanze in grado di inibire la crescita batterica. Nel ’35
venne scoperta la Prontosil (un sulfamidico), che se somministrato in vivo bloccava la crescita
microbica, ma se applicata in un terreno non sortiva effetto. Questa molecola, a livello del fegato,
veniva trasformata in sulfanilamide (attiva sia in vitro che in vivo). L’azione dei sulfamidici si basa
sul fatto che l’acido p-aminobenzoico viene trasformato in acido folico, necessario per la
biosintesi di basi azotati; la sulfanilamide, molto simile strutturalmente all’acido p-aminobenzoico,
viene scambiata per questo dall’enzima e questo blocca il processo di trasformazione in acido
folico. Se l’acido folico non viene prodotto non si sintetizzano basi azotate e quindi non si ha
replicazione del DNA. Non agisce sull’ospite, perché le cellule eucariote non sono in grado di
sintetizzare acido folico, ma viene assunto con la dieta, quindi il blocco metabolico non avviene. La
membrana procariotica non consente l’ingresso all’interno dell’acido folico, quindi deve essere
necessariamente sintetizzato

Antibiotici che agiscono a livello della parete della cellula batterica


Uno di questo tipo di antibiotici è la Penicillina. La Penicillina fu scoperta da Alexander Fleming
Alexander Fleming: al termine della pausa estiva Fleming tornò nel suo
laboratorio e si mise a controllare le vecchie piastre con le colture batteriche.
Su una delle piastre che aveva lasciato un mese prima sul bancone era
cresciuta una colonia verdognola. Nelle vicinanze della muffa le colonie di
stafilococchi avevano segni di dissoluzione, dove le cellule batteriche non
erano in grado di crescere. Con l’identificazione dell’organismo si osservò
che questo apparteneva al genere Penicillum. Fleming era alla ricerca di un
agente battericida. Quando scoppiò la Prima Guerra mondiale partì in
Francia in quanto voleva organizzare un ospedale da campo per aiutare le
vittime di guerra. Rimase sconvolto però dai soldati che morivano per
l’infezione delle ferite più che per le ferite stesse. Fleming vide giovani e
anziani morire per le polmoniti e donne e bambini per le scarse condizioni
igieniche. A quei tempi le ferite venivano curate con una soluzione di acido
fenico che però era tossico anche per gli altri tessuti organici. Questo
derivato del fenolo era stato utilizzato per la prima volta nel 1877 sulla scia
degli studi di Pasteaur. Grazie a quest’ultimo fu individuato nei germi la causa di infezioni e molte
malattie e si iniziò quindi a ricercare sostanze che potessero rimediare alle infezioni batteriche.
Pochi anni prima nel 1909 Paul Ehrlich, aveva trovato una sostanza contro la sifilide, il Salvarsan,
composto derivato dall’arsenico che rappresentava la prima sostanza artificiale capace di
sconfiggere gli agenti batterici. Al termine della guerra, Fleming cominciò a lavorare con sostanze
chimiche e colture batteriche. Nel 1922 scoprì il lisozima, una molecola con proprietà
antibatteriche che si trova nei fluidi corporei. Pochi anni dopo, nel 1928, Alexander Fleming scoprì
la penicillina, da una piastra di coltura con spore di Penicillum che era stata inquinata. Alcune volte
questi inquinamenti sono inevitabili, ad esempio, quando la piastra deve essere aperta ed
analizzata. La spora di Penicillum germinandum forma ife settate, allo stesso tempo si formano ife
riproduttive che formano un corpo chiamato penicillo, somigliante ad una spazzola. Fleming iniziò
a condurre esperimenti su Penicillum per l’effetto che questo aveva sui batteri, scoprì che questa
muffa produceva una sostanza antibatterica ad azione selettiva e che era liberamente diffusiva
nell’agar. Scoprì inoltre che la penicillina era in grado di uccidere le cellule batteriche
provocandone la lisi, ma risultava completamente innocua per i tessuti organici. Fu la prima
sostanza scoperta che distruggeva i batteri senza interessare in alcun modo i leucociti. La
penicillina nasce come una sostanza battericida mentre fino a quell’epoca c’erano state soltanto
sostanze batteriostatiche. Intorno al 1936 compaiono i sulfamidici e si iniziò a trattare tutte le
infezioni con sostanze chemioterapiche. Altri studiosi successivamente ripresero gli studi di
Fleming andando ad ottenere una penicillina prodotta tramite processi chimici. I primi esperimenti
sui topi erano stupefacenti e quindi iniziarono anche gli esperimenti sull’uomo. Gli scienziati
irradiarono le muffe con raggi X per indurre mutazioni e far crescere il Penicillum il più
velocemente possibile. Il passo decisivo venne fatto quando un microbiologo americano suggerì di
far crescere le muffe in colture sommerse in grandi taniche. Nel 1943 grandi industrie
farmaceutiche iniziarono a produrre la penicillina e la sostanza venne utilizzata per curare le ferite
di guerra. Nel frattempo, Fleming continuò a studiare l’antibiotico e si occupò di migliorare il
dosaggio della penicillina e di capire il meccanismo con cui essa agisce nell’organismo. Negli anni
successivi grazie alla scoperta di Fleming si verificò un boom demografico a causa della
decimazione delle malattie infettive a causa della penicillina che portò ad una crescita
esponenziale della popolazione.
La piastra inquinata da penicillum può essere causata da correnti che pare abbiano portato delle
spore dal laboratorio sottostante a quello di Fleming dove erano cresciuti questi ceppi di
Penicillum. La casualità è stata molto ampia in questo caso. La produzione della penicillina, che
veniva fatta crescere inizialmente sul terreno solido aveva un costo che rapportato ai giorni d’oggi
era tra i 500-1000€, dovuto alla fatica con cui veniva estratta, quindi c’erano poche dosi.
Successivamente la produzione fu spostata in una ditta di fermentazione che faceva crescere
Penicillum in terreno liquido su substrati molto economici, derivati da scarti di vario tipo. Questo
ha consentito di abbattere notevolmente i costi della penicillina.
Lo sviluppo e l’isolamento di ceppi
capaci di produrre quantità
maggiori di antibiotico, ottenuti o
per selezione naturale o
inducendo mutazioni fu protratta
nel tempo. Il ceppo commerciale
che troviamo oggi si è formato
dopo circa 30 anni di lavoro e
produce una quantità di
antibiotico migliaia di volte
superiore rispetto al Penicillum
scoperto da Fleming. Le tecniche
odierne possono accorciare i tempi
di sviluppo di questo ceppo ma c’è
comunque un forte impegno
economico. Un problema è che se
abbiamo trovato un ceppo
antibiotico capace di produrre una
quantità di antibiotico enorme è
possibile che queste cellule non lo
producano sempre perché a loro
non serve necessariamente per
sopravvivere, questo, infatti,
rappresenterebbe un peso
metabolico troppo elevato, qualunque variante che produce meno antibiotico ha un vantaggio
selettivo e quindi prende il sopravvento. Sono ceppi instabili e il microbiologo deve mantenere la
qualità degli inoculi, perché utilizzare inoculi che producono meno antibiotico ha un danno
enorme dal punto di vista industriale. Partendo da un inoculo con spore utilizzate per inoculare
una prima coltura da laboratorio, questa sarà utilizzata per inoculare volumi maggiori di terreno
fino ad arrivare al fermentatore in cui si ha la vera produzione dell’antibiotico in cui andranno
messe in opera varie metodiche, tra cui anche quella che decide quale substrato utilizzare. Il
fermentatore finale deve essere tenuto sotto controllo per avere il massimo della produzione.
Essendo una crescita in terreno liquido è poi facile separare il micelio dal terreno in cui è presente
l’antibiotico che infine verrà poi purificato dal terreno liquido, in questo modo si hanno costi
inferiori per questo processo perché è semplificato.
In questo grafico si ha il tempo di crescita nel
fermentatore finale, sull’asse delle ordinate la
concentrazione di varie sostanze tenute sotto controllo,
la produzione di penicillina in rosso. Dovrà essere
individuato il momento opportuno in cui bloccare il
sistema per avere la quantità massima di produzione
della penicillina. La distribuzione a livello generale della
penicillina avverrà solo dopo la Seconda Guerra
mondiale (1945). Gli antibiotici entreranno in uso
comune solo dopo il 1945, quindi sono circa 70 anni che
vengono utilizzati, un tempo relativamente molto breve.
• Penicilline
Ci sono tante molecole con questa struttura di
base (l’anello beta-lattamico è importante), ma
ne esistono diversi tipi dovuti alla
modificazione a livello di un residuo. A seconda
del nutrimento che diamo a Penicillum, esso ci
può dare Penicillina G o V (tutte e due le
molecole sono attive su i Gram+, ma non sui
Gram-, o meglio, dobbiamo fornirgli una
quantità mille volte superiore rispetto agli
altri). Il bersaglio della penicillina è la mureina
(presente su tutta la parete dei Gram+, nei
Gram- è collocata fra la membrana interna e
quella esterna). La produzione di penicilline
semisintetiche è interessante perché l’anello
centrale è prodotto da Penicillium, ma il
residuo R è introdotto per modificazione chimica. L’Ampicillina fu una delle prime
semisintetiche realizzate e fornisce alla molecola una permeabilità alla membrana esterna
dei Gram- ed agisce sia su questi che sui Gram+
L’Ampicillina agisce sulla biosintesi della mureina (agisce solo su batteri in crescita). Ha una
configurazione tridimensionale rigida, dovuta all’anello beta-lattamico. La struttura
dell’Ampicillina è molto simile alla conformazione del dimero di D-Alanina a livello del
quarto e quinto aminoacido della catena che insieme alle sue altre componenti forma la
mureina. La conformazione dell’Ampicillina confonde l’enzima transpeptidasi, che non si
lega al dimero di D-Alanina, ma alla molecola di Ampicillina. Questo legame è irreversibile e
questo inattiva la transpeptidasi, quindi non va avanti la sintesi della mureina. La cellula
interpreta questo come un errore e corre ai ripari, attivando degli enzimi litici che
demoliscono la mureina (il fine ultimo sarebbe quello di ricostruirla correttamente). La
cellula, a questo punto, privata di parete, si trova in ambiente ipotonico e perciò scoppierà,
morendo.
L’anello beta-lattamico è fondamentale. Le resistenze alla penicillina sono basate su un
enzima che agisce proprio a livello di questo e si chiama penicillasi. La penicillasi rompe
l’anello e di conseguenza la struttura tridimensionale della molecola, inattivando la
penicillina. La produzione della penicillasi è esterna e questo permette, oltre ai batteri che
la producono, anche a batteri non resistenti all’antibiotico di sopravvivere se si trovano nei
pressi della colonia batterica resistente. Si è cercato di arginare producendo penicilline più
resistenti a questo enzima (scarso successo) e di molecole che inibiscono le penicillasi (ad
esempio l’Augmentin, cioè amoxicillina più acido clavulinico)

• Cefalosporine
Molto utilizzate. Più complesse delle penicilline, ma comunque contenenti l’anello beta-
lattamico.
• D-Cicloserina
Simile al monomero di D-Alanina in configurazione attiva. Agisce nelle fasi iniziali della
formazione della mureina (stesso meccanismo delle penicilline)

Antibiotici che inibiscono la sintesi proteica


Le differenze fra sintesi proteica eucariotica e procariotica vengono sfruttate dagli antibiotici.

• Streptomicina
Storicamente, fu il primo antibiotico di questo genere ad essere utilizzato. La tubercososi
non poteva essere ancora curata da penicillina. Il batterio responsabile della tubercolosi,
non avendo la mureina, è resistente alla penicillina. La streptomicina si lega ai ribosomi
(quelli procarioti sono diversi da quelli
eucarioti) e ne
inibisce la sintesi
proteica. Per
individuare la
subunità su cui
agisce, fu effettuato
un esperimento
(anche in vitro i
ribosomi sono
sensibili
all’antibiotico). Si
avevano ribosomi resistenti alla streptomicina ed altri sensibili a questa. Le due subunità
sono facilmente separabili da entrambi. Con la stessa facilità è possibile rimetterle insieme,
facendo questo si costituiscono dei ribosomi ibridi. I ricercatori videro che nel caso del
ribosoma ibrido che aveva la subunità minore sensibile alla streptomicina, rimaneva ancora
sensibile, al contrario, quello avente la subunità maggiore sensibile risultava resistente.
Questo esperimento dimostrò che la streptomicina interagiva con i ribosomi 70S legandosi
a livello della loro subunità minore. Generalmente questi antibiotici inibitori della sintesi
batterica sono batteriostatici, ma non nel caso della streptomicina perché il legame alla
subunità minore fa “impazzire” il ribosoma, che inizia a tradurre indipendentemente
mRNA, tRNA e talvolta anche segmenti di DNA, facendo riempire la cellula di proteine
inutili o dannose, che uccidono il microrganismo. L’uso della streptomicina presenta
problematiche: seleziona facilmente organismi resistenti e in una percentuale di persone
genera sordità. Deve essere utilizzato soltanto in specifici casi.

• Cloranfenicolo
Anche questo blocca la sintesi proteica. Viene prodotto in
parte da un microrganismo, ma per la maggior parte viene
prodotto per sintesi chimica. Abbastanza efficacie, ma viene
limitatamente utilizzato a causa dei suoi effetti secondari:
causa il blocco delle cellule del sistema emopoietico
(produzione cellule del sangue), in molti individui è
irreversibile, in altri no ed è letale (il trapianto di midollo è
l’unica soluzione)

• Tetracicline
La caratteristica di base è avere quattro anelli a cui
sono agganciati vari gruppi che conferiscono
proprietà diverse. Non è detto che antibiotici che
hanno come bersaglio i ribosomi procarioti non
vadano a danneggiare quelli eucarioti (ad esempio
possono colpire i ribosomi dei mitocondri, comunque
in terapia il loro effetto è limitato)
• Cicloesimide
Antibiotico che è attivo sulle cellule
eucariotiche, ma non sulle procariotiche
(dannosa per l’ospite, ma non contro il
patogeno). Esattamente l’opposto di quello
che un antibiotico vogliamo che faccia. Sono
comunque usate in ricerca. Alcuni
microrganismi la producono, ma in
concentrazione minore a quella efficace, in
particolare viene utilizzata come molecola segnale

Antibiotici che agiscono a livello degli acidi nucleici


Non discriminano fra procarioti ed eucarioti.

• Trimetoprim, Metotrexato e Pirimetamina


L’acido folico i trova alla base della via
biosintetica per la formazione delle basi.
L’acido diidrofolico viene trasformato ad
acido tetraidrofolico, catalizzato
dall’enzima deidrofolato reduttasi. Tutte e
tre le molecole bloccano questo enzima.
Questo enzima ha una struttura diversa da quella
degli eucarioti
Trimetoprim: blocca l’enzima dei procarioti
Metotrexato: blocca anche l’enzima degli
eucarioti (antitumorale, blocca la proliferazione
del tumore)
Pirimetamina: agisce sulla malaria (antimalarico)
• Attinomicina D
Molecola che va ad intercalarsi tra le basi C e G attraverso la doppia
elica. Forma legami ad idrogeno fra queste coppie di basi. I legami
stabilizzano la molecola e questo rappresenta un problema, perché la
doppia elica si deve aprire per trascrizione e replicazione. Il primo
enzima che ne risente è la RNA polimerasi, ma all’aumento delle
molecole che si legano ne risente anche la DNA polimerasi. L’azione
della molecola è automatica in tutte le cellule, sia procarioti che
eucarioti

• Mitomicina C
Stabilizza la doppia elica del DNA, ma lo fa con una
reazione enzimatica creando dei legami covalenti che
bloccano la doppia elica (i legami non son ad idrogeno)
• Inibitori della girasi
Sono antibiotici che inibiscono la girasi dei
procarioti. Questo enzima ha un ruolo
importante nella replicazione del DNA e
permette di ridurre la tensione provocata da i
superavvolgimenti, srotolandoli. Se l’enzima
viene bloccato si blocca anche la replicazione.

• Rifampicina
Uno dei pochi antibiotici scoperti in Italia. È una
molecola complessa e il suo bersaglio è la RNA
polimerasi batterica. È servita a curare la
tubercolosi

L’introduzione degli antibiotici, nel giro di un secolo, ha permesso di debellare malattie che
risultavano le prime cause di morte per l’uomo. In particolare, oggi, le morti dovute ad agenti
infettivi sono relativamente molto basse se confrontate con altre patologie
Comparsa di batteri resistenti agli antibiotici

Per alcuni antibiotici si hanno alte percentuali di batteri


resistenti. L’utilizzo degli antibiotici in zootecnia (la maggior
parte viene utilizzata così, in terapia si utilizzano al massimo
microgrammi) ha permesso il controllo di epidemie a livello
del bestiame e anche il suo accrescimento. Questo sviluppo
su ampia scala, però, ha permesso il selezionamento di
organismi resistenti.

Il batterio responsabile della gonorrea, in meno di un


decennio, ha aumentato la percentuale del 9% del numero
di ceppi resistenti agli antibiotici. Rappresenta un
campanello di allarme perché se osserviamo il grafico,
questo evidenzia un andamento esponenziale

La tubercolosi, debellata nei paesi industrializzati, decretò anche un blocco della ricerca. La
malattia rimaneva comunque presente nei paesi in via di sviluppo. Con la globalizzazione, negli
anni ’90, la tubercolosi ritornò anche a colpire i paesi industrializzati. Gli strumenti per combattere
questa malattia, sono gli stessi, ma bisogna dare il via di una terapia prolungata che permetta di
tenere sotto controllo il batterio che può anche andare in quiescenza. L’interruzione della terapia
può permettere il selezionamento di batteri resistenti, determinando la sua inefficacia e
permettendone, quindi, la diffusione (nei paesi in via
di sviluppo, non molte persone hanno le possibilità
economiche per portare a termine la terapia). La
tubercolosi tutt’ora esiste. Ad esempio, Stafilococcus
aureus è pericoloso per individui debilitati e nel
tempo è diventato sempre più resistente agli
antibiotici, tanto è vero, sembra si stia adattando a
quasi tutti gli antibiotici a nostra disposizione. È
necessario fare un uso corretto degli antibiotici,
ridurre il loro uso a scopo zootecnico e tenere sotto
chiave quelli nuovi, permettendo di rallentare
l’insorgenza di resistenze da parte dei batteri
Meccanismi di resistenza agli antibiotici
La resistenza può essere a livello di geni collocati sul cromosoma batterico oppure su plasmidi. I
meccanismi di resistenza sono molteplici:
1) Viene modificato il bersaglio su cui va ad agire l’antibiotico. Nel caso della streptomicina
viene modificata la subunità minore dei ribosomi
2) Viene degradato l’antibiotico. Le penicillasi tagliano l’anello beta-lattamico ed inibiscono
l’antibiotico
3) Viene prodotto un enzima che modifica l’antibiotico. L’antibiotico viene inattivato
4) Pompe di efflusso. L’antibiotico viene espulso dalla cellula e non gli permette di
raggiungere la concentrazione efficace a svolgere la sua funzione
Lieviti
Sono forme fungine unicellulari, eucarioti. Quello più conosciuto è sicuramente Saccharomyces
cerevisiae. Appartiene agli Ascomiceti, è un fungo che ha tutto il suo ciclo cellulare allo stato
unicellulare, ma può trovarsi allo stato aploide
o diploide. Ciclo vitale aplodiplonte, può
esistere sia in forma aploide che diploide in
modo stabile ed intercambiabile. Questo
significa che può riprodursi sia in modo
vegetativo che sessuale. Le cellule aploidi
possono dividersi vegetativamente a tempo
indeterminato, tramite gemmazione. Il ciclo
aploide può durare molto a lungo. Due cellule
aploidi di tipo riproduttivo diverso possono
dare vita ad una cellula diploide. La forma
diploide può anche dare vita ad un ciclo
vegetativo aploide tramite meiosi (porta alla
formazione di spore), ma può anche rimanere
in forma diploide dividendosi per gemmazione.
Visto che appartiene agli Ascomiceti, le quattro
spore (gameti) che si originano dall’evento meiotico vengono mantenute all’interno di un astuccio
chiamato asco. L’inizio della gemmazione è individuabile da un rigonfiamento a livello della cellula
madre, che si ingrandirà e poi si staccherà. La gemmazione genera una cicatrice a livello della
cellula madre (nella quale non si potrà più avere tale processo, quindi ogni cellula ha un numero
finito di cellule che può creare).
Mating type in lievito: Se si prendono due spore di tipo diverso si ottiene un individuo diploide. Se
prendiamo una coltura contenente un solo tipo riproduttivo, alcune cellule cambiano tipo
permettendo comunque la formazione
dell’individuo diploide. Il tipo della
cellula dipende da quale gene è stato
trascritto. Sul cromosoma del lievito
sono presenti entrambe le copie. Il
gene che si trova a livello del
cromosoma che identifica il tipo
sessuale del lievito, viene, ad intervalli
regolari degradato e sostituito da una
copia del gene opposto. In questo
modo non viene preclusa la possibilità
di coniugare, se nella coltura fossero
presenti spore di un tipo sessuale
unico.
Uso industriale del lievito
- Birra (Saccharomyces cerevisiae o S. Carlsbergensis): Il malto d'orzo viene miscelato con
acqua calda; dopo la conversione enzimatica dell'amido (i semi vengono fatti prima
germinare), il mosto viene bollito con il luppolo e poi fermentato con il lievito.
- Vino (S. ellipsoideus, vari ceppi): Mosto d'uva con zucchero fino al 22%; è aggiunta anidride
solforosa per ridurre la velocità di fermentazione; il mosto è lasciato fermentare con un
particolare ceppo di lievito, o con il lievito presente sull'uva (resistono bene ad alti livelli di
etanolo).
- Lievitazione del pane: Pasteur fu il primo a studiare i lieviti utilizzati a livello industriale.
Questi lieviti sono anaerobi facoltativi (se c’è l’ossigeno preferiscono utilizzarlo, infatti
hanno i mitocondri)

Muffe
Forme fungine che producono il micelio, ossia filamenti che si intrecciano fra loro. Due forme:
lievito e muffa, ad esempio Candida albicans (quella unicellulare non è patogena, quella miceliale
sì).

Funghi
Forme fungine provviste di corpo fruttifero macroscopico. Ciclo vitale che prevede la formazione
di spore.
Licheni
Associazione simbiotica tra un fungo ed un’alga o un cianobatterio.
Il fungo utilizza le sostanze organiche prodotte dall’alga attraverso la fotosintesi. L’alga sfrutta i
minerali rilasciati dalla pietra che viene attaccata dagli acidi prodotti dal fungo. Il fungo protegge
l’alga da condizioni ambientali avverse (siccità o presenza di sostanze chimiche tossiche). Crescono
in ambienti poveri dal punto di vista nutrizionale. Rappresentano dei danni ai beni culturali
Virus
I virus sono elementi genetici che possono replicarsi indipendentemente dai cromosomi cellulari,
ma non dalle cellule stesse. Solo all’interno della cellula ospite si possono riprodurre, ma hanno
una loro informazione genetica
Virione: Struttura attraverso la quale il genoma virale è trasportato dalla cellula in cui è stato
prodotto ad un’altra cellula.
Tutti i virus contengono, nel virione, un solo acido nucleico. Questo può essere o a DNA o ad RNA
(non possono coesistere insieme).

Storia della virologia


Molte epidemie di malattie virali sono avvenute prima che si capisse la natura dei loro agenti
causali. Evidenze storiche suggeriscono che le epidemie causate dai virus del morbillo e del vaiolo
furono fra le cause della caduta dell’Impero Romano.
Lady Wortley Montagu (primi del 1700):
- Propose l’inoculo di materiale prelevato dalle lesioni del vaiolo nei bambini
- Aveva osservato questa pratica nelle donne turche.
Edward Jenner (1798): pubblicò un “case report” di tentativi di successo di prevenzione del vaiolo
umano mediante esposizione al virus del vaiolo vaccino.
Charles Chamberland (1884): sviluppò i filtri di porcellana per i batteri usati in seguito nella
scoperta dei virus
Dimitri Ivanowski (1892): dimostrò che l’agente causale della malattia del mosaico del tabacco
passava attraverso i filtri di porcellana. Si pensò che l’agente fosse una tossina
Frederick Twort (1915): fu il primo ad isolare i virus che infettano i batteri (batteriofagi o fagi).
Felix d’Herelle (1917):
- Confermò l’esistenza dei batteriofagi
- Immaginò un metodo per contarli
- Dimostrò che i batteriofagi si riproducono solamente nei batteri viventi
Acidi nucleici virali
• Virus a DNA
- Doppio filamento
∙ Circolare
∙ Lineare
- Singolo filamento
∙ Circolare
∙ Lineare
- Doppio filamento con una elica segmentata
- Doppio filamento con entrambe le estremità chiuse covalentemente
- Doppio filamento circolare con nessuna delle due eliche chiuse covalentemente

• Virus a RNA
- Lineare
- Segmentato
∙ Singolo filamento
∙ Doppio filamento
Dimensioni acidi nucleici virali
• DNA:
1.2 x 106 – 2 x 108 Daltons 3,000 – 375,000 bp
(vanno dal range di alcuni plasmidi a genomi più grandi di alcune cellule)

• RNA:
1.2 x 106 – 7 x 106 Daltons 3,000 – 30,000 bp
(vanno dal range di alcuni plasmidi a genomi inferiori per almeno 10 volte a quelli formati
da DNA)
Le dimensioni massime dei due tipi di genomi sono diverse perché molecole troppo grandi di RNA
creano un problema nel mantenimento genico (si crea una pressione selettiva su virus che hanno
genoma ad RNA più corto)

Composizione dei virus


Capside: Rivestimento proteico del virione, all’interno del quale è contenuto l’acido nucleico. E’
formato da singole molecole proteiche.
Capsomeri: Unità morfologica del capside (osservabile al M.E.) formato da varie subunità
strutturali.
Nucleocapside: Insieme di acido nucleico e proteine impacchettati all’interno del capside.
Involucro pericapsidico: Membrana che avvolge alcuni virus (specie quelli animali).
Virus con strutture regolari
• Simmetria elicoidale (bastoncellare): I singoli capsomeri sono disposti elicoidalmente e
l’acido nucleico segue la disposizione degli stessi
• Simmetria icosaedrica (sferoidale): Strutture regolari ed ordinate (capsidi). Molti di questi
virus vengono studiati con la cristallografia

Virus complessi
Difficile classificazione. Genoma più piccolo rispetto a quello dei batteri. Non esiste un organismo
che non sia infettabile da virus. Metodi di classificazione utilizzati:
- Organismo ospite (batteri, animali, piante)
- Assenza o presenza di rivestimento
- Genoma (DNA a doppio filamento, DNA a singolo filamento, RNA a singolo filamento)

• Batteriofagi:
Il modulo utilizzato per sbarcare sulla Luna è stato ispirato alla sua forma. Struttura
complessa formata da più parti. Gli ospiti sono batteri
• Virus Animali:
Gli ospiti sono animali. Genomi eterogenei. Gli RNA+ o RNA- sono diversi. RNA+ sono anche
codificanti per la sintesi proteica oltre che portatori dell’informazione genica. Gli RNA-
devono essere sintetizzati in DNA all’interno dell’ospite

• Virus vegetali:
Numero estremamente ridotto, hanno il rivestimento. Un numero elevato ha un genoma a RNA a
singolo filamento
Classificazione secondo Baltimore
La classificazione secondo Baltimore è basata sul rapporto esistente tra il genoma virale e l’RNA
messaggero utilizzato durante l’espressione del genoma virale. Per convenzione, l’mRNA usato per
la sintesi proteica è definito come l’elica positiva (+).
Al centro della classificazione secondo Baltimore c’era l’RNA messaggero (+), per arrivare a questo
mRNA si possono avere virus a doppia elica di DNA o singola elica di DNA, nel caso di un genoma a
DNA a singolo filamento nella maggior parte dei casi la riproduzione dei virus prevede un
intermedio di DNA a doppio filamento, quindi la situazione diventa omologa a quella dei virus con
DNA a doppio filamento. A questo punto una della due eliche del DNA funzionerà da stampo per
dare l’elica dell’RNA messaggero. Abbiamo poi dei genomi a RNA a doppio filamento, vuol dire che
l’elica + e l’elica – sono insieme, o il messaggero si originerà tramite una trascrizione dell’elica –
dell’RNA, avremo una RNA polimerasi RNA dipendente. Nel caso di virus con genomi a RNA di
singolo filamento di segno + il messaggero ed il genoma coincidono. Nel caso in cui il genoma sia
una molecola di RNA a singolo filamento di segno – il messaggero dovrà originarsi in modo simile a
quello dei genomi a doppio filamento di RNA, ovvero con sintesi de messaggero utilizzando come
stampo l’RNA di segno negativo.
Abbiamo poi una classe a sé stante, i retrovirus, caratterizzati da un genoma a RNA a singolo
filamento ma che nella loro riproduzione passano attraverso un DNA a doppio filamento e quindi
anche il messaggero verrà sintetizzato direttamente su questa molecola di DNA a doppio
filamento. Quindi il tentativo di classificare i virus di Baltimore si basa sulle vie scelte per arrivare
alla produzione dell’RNA messaggero all’interno della cellula ospite.
Nel caso dei virus dell’epatite questi sono stati raggruppati tutti insieme perché hanno un effetto a
livello delle cellule del fegato ma in realtà sono virus completamente diversi sia a livello genomico
che delle altre caratteristiche
Titolazione di un virus batterico
Per avere un’idea di quante particelle virali sono presenti in un mezzo liquido si effettuano degli
stratagemmi. Si potrebbe contare i virus attraverso il TEM, ma vi è anche un numero molto alto di
virus non in grado di riprodursi. Per conteggiare quelli in grado di infettare si utilizza una provetta
contenente un terreno liquido con una quantità di agar inferiore della metà rispetto al normale,
che viene tenuto ad una temperatura più alta di quella ambiente. In questa si aggiungono dei
batteri sensibili al fago che vogliamo titolare e poi una diluizione del fago in questione. Dopo aver
mescolato si versa il tutto in una piastra con terreno solido, facendo solidificare il tutto. Si mette
ad incubare la piastra. Le cellule si duplicano, stessa cosa vale per i fagi che hanno infettato le
cellule, che vanno ad infettare, a cascata, le cellule circostanti. Dove si avevano le cellule infettate
si avrà un alone di lisi di cellule morte circostanti alla cellula originariamente infetta.

Se si prendono in considerazione virus animali e vegetali, la situazione si complica. Nel caso dei
virus animali si devono utilizzare colture di cellule animali che possono essere evidenziate da
placche di lisi, però il numero di queste colture in grado di dare questo risultato è limitato. Il
numero di virus è dato dalle unità formanti placche (P.F.U.). Nel caso delle piante non viene fatta
la titolazione, ma si vanno ad osservare delle lesioni necrotiche a livello della foglia, ma non ci dà
un’idea precisa del numero virale

Caratteristiche generali della replicazione dei virus


1) Attacco: Adsorbimento del virione ad una cellula ospite suscettibile. Per infettare una cellula un
virus deve riconoscere dei siti di attacco presenti sulla superficie cellulare.
2) Penetrazione: Iniezione del virione o del suo acido nucleico nella cellula. Avviene con meccanismi
diversi a seconda del virus. In alcuni casi entra il virione, con il nucleocapside e gli enzimi virali
necessari, in altri solo l’acido nucleico
3) Sintesi dell’acido nucleico e delle proteine: Il virus riprogramma il metabolismo cellulare per
sintetizzare nuove molecole di acido nucleico e proteine (tramite diverse procedure). La
regolazione dell’espressione genica virale è temporale (fase precoce e tardiva, anche più classi
temporali). Nella fase tardiva sono sintetizzate le proteine strutturali.
4) Assemblaggio: Le subunità strutturali si aggregano in modo automatico ed impacchettano l’acido
nucleico nei nuovi virioni
5) Rilascio: Uscita dei virioni maturi dalla cellula. La cellula può essere lisata o il rilascio avviene
continuamente senza morte cellulare

Recettori dei batteriofagi


Questi recettori sono spesso coinvolti in processi indispensabili alla cellula. Perderli
significherebbe avere uno svantaggio riproduttivo

Batteriofagi virulenti

Fago T4:
Tutti i fagi numerati T hanno come ospite E.coli e
sono tutti litici, cioè distruggono la cellula alla fine
del loro ciclo riproduttivo. La testa è dove viene
conservato il genoma, che è a DNA lineare a
doppio filamento. La testa si ancora alla coda,
costituita da due parti: una parte cava centrale, lo
stilo, che è avvolto dalla guaina. La coda poi si
innesta nella parte basale costituita da una piastra
su cui sono ancorate delle fibre.
1) Attacco: Il virus si poggia con le
fibre sulla superficie di un
batterio. Con le fibre si sposta e
cerca il recettore
2) Adsorbimento: Quando trova il
recettore, con le spine presenti
sul fondo della piastra si
aggancia
3) Contrazione della coda: La
guaina che avvolge la coda si
contrae in modo tale che lo stilo
venga estroflesso
4) Penetrazione: Lo stilo penetra i
rivestimenti batterici
5) Iniezione di DNA: attraverso il
lume centrale dello stilo si inietta il DNA nel citoplasma batterico

Esperimento one-step
Una coltura di E.coli venne infettata con T4. Per sincronizzare l’infezione utilizzarono cianuro.
Tutte le cellule vengono infettate simultaneamente. Questo si ottiene infettando in presenza di
cianuro (il cianuro non è letale per le cellule, ma blocca la produzione di ATP): il virus può iniettare
il proprio DNA, ma poi si arresta nei primi momenti del ciclo infettivo. Allontanando il cianuro
dopo un breve tempo, l’infezione procede simultaneamente; il fago non assorbito viene
allontanato o diluendo la coltura o usando un anticorpo. Il numero delle unità formanti placca
(P.F.U.) presenti viene determinato mediante il metodo delle placche di lisi.
Il grafico viene chiamato “a singolo scalino”. Sulle ascisse viene riportato il tempo e nelle ordinate
il rapporto del numero di P.F.U., cioè il numero di P.F.U. misurati ad un certo momento fratto il
numero di P.F.U. misurati al tempo iniziale (che è uno). Man mano che si va avanti si ha un periodo
di latenza in cui non si ha l’aumento del rapporto, poi cresce fino ad arrivare ud un valore di
plateau.
Al tempo iniziale la singola P.F.U. è data dalle cellule infettate. Ad un certo punto si verifica un
incremento dovuto all’infezione, in cui le cellule si lisano e rilasciano virioni. Poi si ha un plateau in
cui il rapporto non cambia perché i virioni non trovano altre cellule da infettare. Se noi dividiamo il
numero di P.F.U. per il numero iniziale, allora dividiamo il numero di virioni liberati per le cellule
infettate. Il rapporto ci dice, mediamente, quanti sono i virioni rilasciati da una cellula infettata. La
riproduzione di un virus all’interno di una cellula può avvenire in circa 25 minuti, come si può
vedere dal primo periodo di latenza.

Ingresso del DNA fagico nella cellula batterica


Il meccanismo di ingresso del DNA varia da fago a fago ed è poco conosciuto. Il processo avviene
con alta efficienza (la molecola non viene danneggiata anche se molto lunga, vedi T4) e molto
velocemente: 3000-4000 paia di basi al secondo. Per paragone, durante la coniugazione e la
trasformazione il DNA entra ad una velocità di 100 paia di basi al secondo. L’aggancio alla
superficie cellulare è molto labile, quindi deve avvenire rapidamente
Tradizionalmente si dice che la guaina della coda si “contrae” e, spingendo lo stilo attraverso la
parete cellulare, inietta il DNA nel citoplasma. Questa analogia con una siringa è, però, errata. La
guaina non si contrae ma si riorganizza. Normalmente la guaina è formata da 24 anelli di 6
proteine ciascuno. Il contatto con la parete batterica causa un riarrangiamento e si formano 12
anelli con 12 proteine ciascuno. Questo spinge lo stilo attraverso i rivestimenti cellulari.

Sequenza temporale dell’infezione del fago T4


Una volta che il DNA virale entra nella cellula, dovrà essere letto. La prima parte che verrà letta,
quella dei geni precoci, ha lo scopo di indirizzare il metabolismo cellulare alla produzione di
proteine virali. Alcune volte si rompe anche il genoma batterico per creare nuove copie di quello
virale. I geni tardivi vengono letti più avanti e codificano per le proteine della testa, la coda, la
piastra, le fibre…ecc. Poi si avrà l’autoassemblaggio ed infine la lisi della cellula, con rilascio dei
virus.

Ridondanza terminale nei fagi T pari (T2, T4, T6)


Il genoma di questi fagi ha una ridondanza
terminale ed una permutazione circolare: Il DNA è
lineare a doppio filamento e le estremità sono
leggermente più lunghe del normale, si duplicano
i geni iniziali e finali (sono gli stessi). Tutti i ceppi
hanno ridondanza terminale, ma hanno punto di
inizio variabile. Permutazione circolare, perché
inizio e fine cambia nei vari genomi. Questo ha
una ripercussione nelle mappe genetiche della
genetica classica. La permutazione circolare crea
una mappa genetica circolare.

Replicazione di un DNA lineare a doppio filamento


Nella duplicazione di un DNA lineare a doppio filamento si ha lo
stop della replicazione all’estremità degli stampi, che però sono
più corte in 3’ (si ha un’origine di duplicazione, parte la forca
replicativa nelle due direzioni e la duplicazione termina quando
si arriva alla fine degli stampi, si hanno due molecole di DNA
dove in entrambe si ha un’estremità 3’ a singolo filamento, la DNA polimerasi non può completare
la sintesi).
Formazione di molecole mature di DNA in T4
Quando una molecola a ridondanza terminale viene copiata, le
loro copie hanno l’estremità iniziale complementare a quella
finale di una loro copia. Si possono creare eventi di
ricombinazione (a causa delle estremità coesive) che creano una
gigantesca molecola chiamata concatenamero, dove si ripete più
volte la sequenza genomica. Viene utilizzata per impacchettare il
DNA all’interno del capside. Questo consente di metterci tanto
DNA quanto ce ne può entrare. Quando la testa è piena si taglia
a livello di una ripetizione. Questo crea la ridondanza terminale e
la permutazione circolare.
I virus hanno sviluppato delle difese per non essere attaccati
dagli enzimi di restrizione della cellula batterica. Nel caso di T4, la citosina presente sul DNA è
metilata ad 5-idrossimetilcitosina, questo fa sì che tutte le sequenze riconosciute dagli enzimi di
restrizione dove c'è una citosina non potranno essere attaccate dagli enzimi di restrizione. Durante
l'infezione virale una prima proteina che verrà prodotta sarà l'enzima che andrà a metilare la
citosina, questo è importante perchè la metilcitosina non può essere usata per la sintesi degli acidi
nucleici cellulari.

Modificazioni dell’RNA polimerasi di E. coli da parte di T4


La regolazione dell’espressione genica temporale
porta alla produzione di un fattore che consente
la trascrizione dei geni successivi. Inoltre, le
classi di geni precoci contengono sequenze che
codificano una subunità sigma della RNA
polimerasi in grado di riconoscere i promotori
dei geni tardivi. I promotori dei geni precoci
sono molto affini alle subunità sigma già presenti
all’interno della cellula, per questo vengono
trascritti per primi.
Assemblaggio di T4
Le singole componenti vengono sintetizzate indipendentemente e poi
si assemblano in modo automatico

Formazione della testa in batteriofagi complessi

La testa viene sintetizzata vuota e quindi


necessita di una impalcatura proteica per non
collassare. Quando viene riempita con il DNA
si toglie l’impalcatura (il DNA contribuisce alla
stabilizzazione della forma della testa)

Batteriofagi lisogeni
Fago lambda:
Il ciclo del fago lambda ha una fase iniziale
sostanzialmente analoga a quella del T4. Ha DNA
lineare a doppio filamento. Il suo genoma circolarizza
all’interno e a questo punto deve andare incontro al
ciclo litico o meno. Nel caso di scelta del ciclo litico i
meccanismi sono molto simili al T4. Nel caso di scelta
del ciclo lisogenico, il DNA virale viene integrato
all’interno del genoma batterico. Il DNA integrato è
detto profago e la cellula che trasporta il profago è
detta lisogenica per lambda. Ogni volta che una
cellula lisogenica si dividerà, duplicherà il DNA virale.
L’informazione virale piò rimanere nella cellula per
tempi molto lunghi. Con la presenza di un certo
segnale, il profago viene indotto a riprodursi ed entrare nel ciclo litico
Il DNA di lambda è lineare a doppio filamento, ma le estremità coesive e complementari che si
legano tra loro una volta che entrano dentro la cellula, formando una molecola di DNA a doppio
filamento circolare.
Il DNA del virus può trovarsi nelle condizioni di lisogenia o del ciclo litico, a seconda del caso
Ciclo litico di Lambda
Dal tempo 0 a 3 minuti: Sono disponibili solo
due promotori, PR e PL. La trascrizione che
parte dai due promotori termina subito e
porta alla trascrizione di due geni che da un
lato danno la proteina cro e dall’altro la
proteina N. La N è molto importante per
attivare la classe successiva di geni, perché N è
un antiterminatore.
Dal tempo di 3 a 9 minuti: La trascrizione da PL
va verso sinistra e quella da PR va verso destra.
La trascrizione di TR porta alla formazione di
due trascritti che creano due tipi di terminatori
e nella trascrizione dei geni verso destra si
produce Q che può attivare PR’, promotore
della trascrizione tardiva.
Dal tempo 9 a 45 minuti: PR’ è l’ultimo
promotore attivato e si ha la sintesi delle
proteine strutturali del virus

Integrazione del DNA di lambda all’interno del


cromosoma della cellula ospite
Il DNA quando entra nella cellula batterica circolarizza.
Sul DNA dell’ospite e su quello di lambda esistono delle
sequenze complementari presenti tra il gene gal ed il
gene bio. L’integrazione avviene mediante un singolo
crossing over che integra il DNA di lambda nel genoma
batterico. In un secondo momento le sequenze possono
anche excidersi.
Lisogenia di lambda

1) Organizzazione della regione controllo di lambda

2) Sintesi della proteina antiterminatore N

3) Sintesi di CII e CIII


La trascrizione di questi due geni porterà alla sintesi delle relative proteine. CII e CIII lavorano
insieme e attivano due promotori, fra cui PRE

4) Sintesi di CI da PRE
La trascrizione di questo promotore verso sinistra codifica per CI, un repressore che reprime il ciclo
litico, facendolo entrare, invece, nel ciclo lisogeno. La trascrizione da PRE da sinistra è antagonista
alla trascrizione di PR, ossia alla sintesi della proteina cro, che instaura il ciclo litico. Il repressore CI
inibisce PR e PL.

5) Sintesi di CI da PRM
Quando PR e PL sono spenti, CI oltre che a mantenerli spenti, attiva il promotore PRM, che trascrive
esclusivamente CI. La lisogenia viene mantenuta da lambda finché si ha il mantenimento della
produzione di CI
Trasduzione
Processo di trasferimento del materiale genetico fra batteri. A
dimostrare l’esistenza di questo processo si effettuò un
esperimento in cui si utilizzava una camera di crescita a U,
dove i due terreni di coltura erano separati da un tappo
poroso che permetteva il passaggio dei liquidi, ma non delle
cellule. I due liquidi venivano mescolati tramite una pompa a
pressione, che ne forzava il passaggio dal. Nei due terreni
venivano utilizzati due batteri diversi con auxotrofia
differente per diversi marcatori genetici. Nei terreni veniva
anche introdotta una DNAsi che taglia il DNA che si perdeva
all’esterno della cellula. Dopo un certo periodo di tempo si ottenevano a livello di questi terreni
dei batteri prototrofi. Questo voleva dire che avevano ottenuto del materiale genetico che
permetteva la sintesi del marcatore mancante (la mutazione spontanea che permette la
prototrofia in questo caso ha una percentuale molto bassa). L’esperimento dimostrò che il vettore
che portava tali sequenze era un virus, che proteggeva anche il DNA dall’effetto dell’enzima DNAsi.

• La trasduzione generalizzata è basata sul fatto


che quando il batteriofago impacchetta il suo
DNA all’interno della testa, a fine
riproduzione, vi è una piccola probabilità che
impacchetti anche segmenti di DNA
cromosomico dispersi nella cellula. Dopo la lisi
e il rilascio, questi virioni infettano altre
cellule, ma quello avente il inglobato il DNA
dell’ospite, inietta del DNA cromosomico di un
batterio in un altro, che può ricombinarlo a
livello del suo genoma. La cellula ottenuta, che ha acquisito informazioni da un’altra è
detta cellula trasdotta. La dimensione del segmento è relativa al capside

• La trasduzione specifica è caratterizzata dall’impacchettamento all’interno del capside di


una sequenza ben precisa e non una casuale. È opera di batteri lisogeni che hanno un
profago integrato. Quando viene indotto il ciclo litico, il DNA
di lambda viene excisso, ma questa excisione non sempre
avviene in modo preciso. Il DNA che si escinde in modo non
regolare viene tagliato all’interno del DNA cromosomico in
un’estremità e quello di lambda nell’altra. Il DNA che si
excide deve avere necessariamente le dimensioni di lambda.
Impacchettano nel capside sia parte del DNA di lambda che
quello batterico. Una volta infettata un’altra cellula, lamba
in questo caso non ha tutte le informazioni necessarie per
produrre nuovi virioni. Il DNA verrà però integrato nella
cellula ospite che otterrà sia informazioni da lambda che
dalla cellula batterica precedentemente infettata. Spesso si possono ottenere diploidi
parziali, se la sequenza introdotta è già presente nel cromosoma batterico
Virus capaci di entrare in lisogenia sono responsabili del trasporto di informazioni che possono
essere utilizzati dalla cellula batterica. Alcuni profagi causano la patogenicità di alcuni organismi
che di per sé sarebbero innocui. I geni dei virus, infatti, se tradotti possono produrre tossine.
Si possono individuare nel cromosoma di alcuni batteri, delle sequenze dovute a lisogenia virale.
Alcune volte, queste, diventano parte integrale del batterio e non possono più excindersi a causa
della perdita di molte informazioni virali che sono in grado di permettere la riproduzione dei virus.

Acquisizione dei geni della virulenza da parte dei batteriofagi


- Il gene viene acquisito a seguito di un’excisione imprecisa da un ospite batterico
ancestrale. Indicazioni di questi eventi sono dati da quei geni di virulenza che sono
collocati, sul DNA fagico, vicino al sito di attacco.
- Acquisizione di moduli di DNA batterico contenenti i propri promotori e terminatori.
- Il gene è parte integrante del genoma fagico. In questo caso il prodotto genico è
importante anche per il fago (es. componente strutturale)

Cambiamenti sequenziali che modificano un profago completamente inducibile:


1) Comparsa di mutazioni puntiformi cruciali (può aver bloccato il passaggio principale per il
profago per poter tornare allo stato libero e causare un ciclo litico)
2) Perdita della maggior parte del genoma del profago
3) Eliminazione totale del DNA profagico, ad eccezione di quei profagi che conferiscono un
vantaggio selettivo alla cellula batterica (dovrebbe allungare il processo di duplicazione,
trascrizione ecc…) quindi dal punto di vista evolutivo tutti i fenomeni di delezione del DNA
fagico che non favoriscano la cellula batterica sono per appunto favoriti.
Batteriofagi a DNA a singolo filamento
Uno degli esempi più importanti è rappresentato da Phi-X174. È
importante perché la sua molecola di DNA che è stata la prima ad
essere sintetizzata in vitro, ricreando il virus. Ha un DNA
estremamente piccolo, ha i geni necessari per indirizzare il
metabolismo dell’ospite alla ricreazione del virus ed ha i geni che
codificano per le sue proteine strutturali. Si possono individuare vari
geni sovrapposti (ad esempio il gene A contiene A*, B e parte di K).
Il DNA, una volta trascritto potrà essere letto in tre modi diversi,
inoltre può essere trascritto a partire dal promotore di A o di A*,
creando due mRNA diversi. La possibilità di utilizzare la stessa
sequenza DNA per diverse proteine, quindi, è legata sia alla
modalità di lettura che al tipo di promotore all’interno della stessa
che viene scelto come inizio. È molto sensibile a mutazioni, se ne avviene una può inattivare più
proteine. Questo virus si riproduce sintetizzando l’elica complementare (formando un doppio
filamento circolare e poi si replica in modo classico). Quando, però, deve essere impacchettata
all’interno del capside, deve entrare soltanto un filamento di DNA all’interno della testa. Per fare
questo si taglia una delle due eliche in un punto preciso (sarà quella che verrà impacchettata). Il
taglio avviene grazie alla proteina A che riconosce la sequenza specifica. Questa proteina ha anche
la capacità di attaccarsi al capside virale (la proteina è anche attaccata al 5’ del DNA). Il 3’ scoperto
viene legato dalla DNA polimerasi che effettua nuovamente la sintesi di un nuovo filamento.
Mentre questo avviene la proteina A trascina il filamento all’interno del capside, ma quando
riconosce l’arrivo di una sequenza già impacchettata, quindi ripetuta, effettua il taglio, andando
poi a saldare la prima parte di DNA che è entrata nella testa e l’ultima parte, quella avente
l’estremità in cui è avvenuto il taglio. In questo modo si rilascia il DNA circolare a singolo
filamento.
Batteriofagi a RNA
Il genoma è a RNA. Alcuni di questi
possono attaccarsi ai pilus di cellule F+.
Spesso sono stati utilizzati per ibridare
alcune cellule soggette a coniugazione.
Ad esempio, il genoma di MS2 è molto piccolo ed oltre all’informazione genetica per il rilascio di
altri virioni ha anche un gene che codifica per una replicasi, che è un enzima RNA polimerasi RNA
dipendente (sintetizza una nuova molecola di RNA utilizzando come stampo l’RNA stesso). Se
l’RNA è di segno +, questo può lavorare anche da messaggero, ma se è – no, ed in questo caso è
complementare all’RNA+. Il genoma a RNA
entra all’interno della cellula ed è utilizzato
come messaggero (RNA+) per produrre la
replicasi. Questa sintetizza il filamento
complementare dell’RNA+ introdotto, quindi
si ottiene l’RNA-, che servirà come stampo
per la sintetizzazione di RNA+, alcuni dei quali
serviranno anche da stampo per la
sintetizzazione di proteine virali strutturali.
Alla fine, gli RNA+ prodotti verranno inseriti
all’interno del capside e verranno rilasciati
dalla cellula. Anche in questo caso si hanno
geni precoci e geni tardivi, ma la regolazione
temporale è diversa da quella dei virus a DNA.

Regolazione dell’espressione genica in MS2


Generalmente diversa dai virus a DNA. Si basa sul genoma stesso, costituito da RNA a singolo
filamento, che però, si può
appaiare in particolari zone. Per
effettuare la traduzione i
ribosomi si devono attaccare e
tradurre dal codone di inizio, ma
lo possono fare soltanto se il
filamento non è appaiato. I
ribosomi una volta attaccati al
singolo filamento possono
procedere ed aprire le zone
appaiate, che comunque saranno
generalmente sintetizzate dopo
quelle già disposte a singolo filamento non appaiate.
Esistono anche virus che infettano anche gli Archea
Infezione da parte dei virus animali
Quando un virus animale infetta una cellula ospite si ha inizialmente un riconoscimento cellulare
specifico. Il virus entra all’interno e si possono verificare diversi casi:
- Infezione litica: Sistema simile ai batteriofagi con rilascio in seguito a lisi
- Infezione persistente o permanente:
L’informazione virale rimane all’interno della
cellula e continua a riprodursi
- Trasformazione: la cellula ospite si riproduce in
modo incontrollato in seguito ad infezione
(tumore)
- Infezione latente: L’informazione virale rimane
nella cellula ma non si riproduce e non
trasforma la cellula. Non si riproduce perché
mancano delle molecole specifiche che vengono
prodotte dall’ospite in determinate condizioni
(fattore di permissività)
Nel caso dell’infezione latente si può fare riferimento all’Herpes labiale, che infetta le cellule
nervose e può rimanere latente per molto tempo. Quando il fattore di permissività è prodotto, in
seguito a stress, il virus si attiva ed attacca le mucose di naso e bocca

Ingresso dei virus animali


Tre possibili casi:
1) Ingresso diretto del genoma: Il virus entra nella cellula inserendo all’interno soltanto il
genoma
2) Ingresso mediante fusione
del rivestimento virale con
la membrana cellulare: Il
virus fonde il suo
rivestimento virale con la
membrana dell’ospite, poi il
nucleocapside rilascia il
genoma nel citoplasma,
all’interno della cellula
3) Ingresso mediante
endocitosi: Invece di far
avvenire la fusione fra
involucro virale e membrana,
questo viene trasportato
tutto all’interno. Solo nel
citoplasma avviene la
fusione, che rilascia capside e poi genoma all’interno dell’ospite
Virus animali a RNA

• Retrovirus: Tutti quei virus a RNA che per


riprodursi hanno bisogno di un intermedio a
DNA (ad esempio HIV). Nel virione sono
presenti due molecole di RNA, due copie del
genoma (virioni diploidi). Il capside è avvolto
da un rivestimento membranoso derivato
dalla cellula ospite e sulla sua superficie ci
sono proteine virali che servono a trovare i
recettori specifici dell’ospite. Oltre alle due
copie vi sono anche degli enzimi, fra cui la
trascrittasi inversa

Il genoma dei retrovirus è molto semplice e lineare, con estremità ripetute e ci sono almeno
tre geni fondamentali. Quindi, contiene:
- Sequenze R: Presenti in entrambe le estremità e sono sequenze ripetute
- gag: Codifica proteine strutturali
- env: Codifica proteine dell’envelope
- pol: Codifica la trascrittasi inversa

Infezione da retrovirus:
Avviene il riconoscimento fra cellula e virus. Il
Rivestimento virale e la membrana si fondono e il
nucleocapside entra dentro la cellula rilasciando il
genoma, un tRNA particolare e la trascrittasi inversa.
La trascrittasi ha tre funzioni:
- DNA polimerasi RNA dipendente
- RNAsi H (degrada una molecola di RNA che sia
legata ad un DNA, ibrido DNA-RNA)
- DNA polimerasi DNA dipendente.
Il genoma retrovirale porta una
molecola di tRNA, che funziona
come innesco, in un sito specifico.
La trascrittasi inversa utilizza il
tRNA come innesco ed inizia a
sintetizzare il DNA dall’RNA virale.
La sintesi porta alla formazione di
un ibrido DNA-RNA che viene
degradato dall’RNAsi H creando
una parte di DNA neosintetizzato a
singolo filamento. Questo ha una
sequenza all’estremità che è
complementare a quella terminale
dell’RNA virale. Il DNA si lega
all’altra estremità esponendo un 3’
libero che permette alla DNA
polimerasi di sintetizzare il
filamento di DNA
complementare all’RNA virale
(retrotrascrizione). Si forma di
nuovo, quindi, un ibrido DNA-
RNA che viene degradato dalla
RNAsi H (resta solo un piccolo
frammento di RNA che
funziona da innesco per la
DNA polimerasi). A questo
punto si risintetizza il breve
tratto e si rimuove l’innesco.
Le due estremità dei filamenti
sono complementari e si
forma un loop (le due
sequenze di innesco del tRNA
nei due filamenti diversi si legano) su cui agisce la trascrittasi inversa, creando un filamento fino a
quando non finisce l’elica. La trascrittasi inversa adesso si trasferisce sull’altra estremità e
completa la sintesi del DNA, formando un doppio filamento. A questo punto il doppio filamento
viene integrato nel genoma dell’ospite. L’informazione virale può rimanere quiescente per tempi
molto lunghi e si può rivelare molto dannosa. Il DNA virale che vuole riprodursi, non verrà mai
excisso, ma si replicherà quando la RNA polimerasi dell’ospite lo trascriverà. In parte i trascritti
diverranno i genomi virali ed in parte verranno utilizzati per la sintetizzazione delle proteine
strutturali del virus. Una volta ricreato il virus completo, questo verrà rilasciato per gemmazione.
La cellula potrà produrre virus per tutta la vita. Per quanto riguarda l’HIV, questo virus colpisce i
linfociti T helper ed ogni volta che si riproduce uccide queste cellule, andando ad abbassare le
difese immunitarie.
• Virus dell’influenza: Sulla superficie hanno delle spine. Il
genoma virale è una molecola di RNA segmentato,
suddiviso su 8 segmenti di diverse dimensioni (per essere
funzionale il virus deve avere tutti e 8 i segmenti). Le
proteine sulla superficie sono di due tipi:
- Emoagglutinina (H)
- Neuraminidasi (N)
Entrambe sono importanti per il riconoscimento
immunitario del virus. Una volta che il sistema riconosce
il virus lo riconosce per sempre, il problema è che le proteine H ed N tendono a mutare
ogni anno, quindi la risposta immunitaria non è sempre in grado di proteggere dal virus. Il
rilascio del virus dell’influenza avviene
mediante gemmazione dalla cellula
ospite. Periodicamente appaiono virus
con H ed N completamente differenti,
quindi la diffusione è molto veloce ed
efficiente. Un caso di pandemia
influenzale è stata la Asiatica del 1957.
Nella storia vi sono state diverse
epidemie che hanno colpito su scala Mondiale. Fra quelle da riportare è sicuramente la
Spagnola del 1918, in cui le morti ricadevano soprattutto sui giovani (differentemente dal
solito). Causò circa 500 milioni di morti. L’aggressività della Spagnola scatenava una
risposta immunitaria violenta (le persone con sistema immunitario più forte erano le più
sensibili). La pandemia Suina del 2009 si è originata dai maiali e il ceppo ricalcava quello
della Spagnola. Le pandemie sono causate dal fatto che i virus si possono riprodurre anche
su animali e il loro contatto è molto probabile e i virus possono essere molto diversi da
quelli iniziali ed essere irriconoscibili dal punto di vista immunitario

Virus vegetali
I virus vegetali per infettare devono superare la cuticola che protegge le cellule vegetali. Questo
può avvenire:
- Evitando il problema: il virus viene passato da una generazione all’altra attraverso polline o
semi infetti, oppure con la riproduzione asessuale
- Per inoculazione meccanica: quando la cuticola viene danneggiata, ad esempio da animali
che brucano.
- Attraverso vettori (artropodi): gli insetti trasportano i virus da una pianta all’altra e lo
iniettano quando pungono per nutrirsi.
I virus vegetali non riconoscono nessun recettore posto sulla superficie cellulare. Questo non è
sorprendente perché vengono trasferiti con meccanismi che danneggiano gli involucri cellulari.
L’ambito d’ospite è determinato dalla presenza/assenza di geni o funzioni necessari per la
riproduzione del virus.
La maggior parte dei virus vegetali hanno un genoma a RNA positivo (utilizzato come mRNA)
Molti di questi virus sono multipartiti: il genoma a RNA è segmentato in due o più molecole,
ognuna avvolta dal proprio nucleocapside. L’infezione è data dall’ingresso di tutti i nucleocapsidi.
Tutte queste componenti devono essere presenti nella cellula perché il virus possa riprodursi.
Questo è possibile dato che il virus è trasmesso attraverso connessioni citoplasmatiche o tramite
un vettore. Il fatto che il virus sia segmentato in più nucleocapsidi è vantaggioso perché riduce la
possibilità di errori ed inoltre permette la regolazione temporale

Caulimovirus:
Virus a DNA. L’informazione è portata da DNA a
singolo filamento, in particolare tre filamenti: alfa,
beta e gamma. Si formano degli appaiamenti fra i
filamenti. Vengono sintetizzati anche diversi RNA, fra
cui il 35S, che contiene l’intera informazione
nucleotidica portata dal DNA. Quando si deve
riprodurre utilizza come stampo l’RNA 35S. L’innesco
è ancora una volta un tRNA e la sintesi avviene con i
criteri della trascrittasi inversa, che produce le tre
molecole di DNA genomico.

L’infezione che causa l’affusolamento del tubero della patata è capace di infettare anche le piante
di pomodoro. Le piante di pomodoro infettate si presentano più piccole e fragili. L’agente infettivo
è diverso dagli altri perché non presenta un
capside. L’agente infettivo, di fatti, è una
molecola di RNA, chiamata viroide. I viroidi
sono molecole di RNA circolare che possono
presentare appaiamenti interni. I viroidi sono abbastanza comuni in natura e hanno molecole di
RNA molto più piccole rispetto agli altri virus ed hanno le quattro basi standard (alcuni virus hanno
basi modificate). Costituiti sempre da una singola molecola di RNA
Replicazione dei viroidi: Per la loro replicazione i viroidi usano gli enzimi cellulari, che di solito
sono capaci di replicare molecole di DNA. Il genoma dei viroidi non viene mai copiato in una
molecola di DNA. Non sono mai state trovate queste molecole di DNA. Invece sono state trovate
molecole di RNA più lunghe della singola unità genomica.

Prioni
Agente infettivo di origine proteica che è in grado di replicarsi. Resistente al calore e ad enzimi
proteolitici. Responsabile della malattia della Mucca pazza. Alcune malattie prioniche possono
colpire l’uomo (morbo di Creutzfeld-Jakob). La malattia della Mucca pazza, però, fu la prima
malattia prionica a passare ad altre specie, fra cui l’uomo (prima si erano osservati soltanto casi
specie-specifici). Pare che l’infezione prionica sia passata all’uomo attraverso l’utilizzo di farine
animali, create dagli scarti di macelleria, con cui si nutrivano i bovini, che si infettavano fra loro.
Pare che da alcuni bovini sia passato anche agli uomini. Questo si tramutò nel bando della vendita
di alcuni tipi di carne. Comunque, la malattia restò sempre abbastanza marginale nell’uomo.
Geni che codificano il prione sono posseduti da quasi tutti gli organismi viventi, quindi è una
proteina estremamente importante per la vita cellulare. La differenza fra le proteine che
normalmente devono essere sintetizzate e il prione, non risiede a livello amminoacidico, ma nella
struttura tridimensionale (in pratica è un errore nel folding che origina il prione). I prioni, per agire,
devono essere in grandi quantità e devono raggiungere le cellule del cervello. I prioni entrano in
contatto con la proteina sana e cambiano la sua conformazione, trasformandola in prione. Questo
evento si riversa a cascata su tutta le cellule, generando un danno a livello cerebrale.

Farmaci antivirali
Nel caso delle malattie virali, sicuramente, l’arma migliore è la prevenzione visto che l’efficacia di
farmaci antivirali non è assolutamente correlabile a quella dei farmaci batterici. È possibile
combattere il virus solo quando esso ha già infettato le cellule. Prendiamo come esempio i farmaci
anti-HIV, la ricerca in questo settore è sicuramente la più avanzata, poiché quando si scoprì il virus,
che colpì anche una buona parte della popolazione più facoltosa, le donazioni alla ricerca non
mancarono. Dalla scoperta del virus ad oggi sono passati circa 40 anni e i farmaci anti-HIV utilizzati
sono:

• Azidotimidina: Analogo della timina ed interferisce con


la duplicazione degli acidi nucleici. La trascrittasi inversa
è altamente sensibile a questo analogo, che blocca la
retrotrascrizione. I retrovirus sono a RNA e sono soggetti
spesso a mutazioni e sono frequenti le resistenze
all’azidotimidina

• Nevirapina: La trascrittasi inversa è specifica per la riproduzione del


virus, per questo si ricercò una molecola che si legasse direttamente
alla trascrittasi inversa, bloccandola a livello del suo sito catalitico.
Possibile comunque l’insorgenza di resistenze

• Saquinavir: Molecola utilizzata oggi come anti-HIV. Come


bersaglio hanno una proteasi che permette di far
maturare le proteine virali. L’inibizione della proteasi
blocca la riproduzione del virus. Si lega al sito attivo della
proteasi e la blocca. È stata disegnata al computer e poi
sintetizzata in laboratorio. Blocca l’infezione ma non la
sconfigge
Ecologia fagica
L’ecologia fagica è stata studiata principalmente nei settori:
- Industria alimentare: I microrganismi utilizzati sono sensibili all’infezione da parte dei
batteriofagi. Questo può portare ad un fallimento del processo di fermentazione
(importante nell’industria casearia).
- Terapia fagica: I fagi potrebbero essere utilizzati per controllare infezioni microbiche. C’è
un rinnovato interesse dato lo sviluppo di resistenze agli antibiotici.
L’ambiente più studiato è quello marino, dove il rapporto virus-batterio varia tra 3 e 10. I fagi
infettano ed uccidono la popolazione batterica vincente, cioè quella che si accresce più
rapidamente. È stata misurata una mortalità giornaliera del 15% del batterioplancton. L’infezione
fagica tende a mantenere la sostanza organica (batteri lisati) nella parte alta delle acque, senza
farla precipitare. L’infezione fagica può influenzare il clima, causando il rilascio di DMS
(dimetilsulfossido), un gas responsabile della formazione delle nuvole
Batteriofagi sono stati isolati dalla cavità orale. In Streptococcus pyogenes dei profagi forniscono
dei fattori di virulenza.
A livello della vagina i lattobacilli svolgono un ruolo utile perché, producendo acido lattico,
perossido d’idrogeno ed altre sostanze ad azione antimicrobica, impediscono la crescita di batteri
patogeni. Molti lattobacilli sono lisogenici. È stato osservato che la vaginosi batterica potrebbe
essere dovuta all’induzione dei profagi. Fumare aumenterebbe il rischio, perché il benzopirene
(mutageno presente nel fumo) si ritrova nelle secrezioni vaginali.
Fagi ed industria casearia: L’industria casearia è particolarmente sensibile alla presenza dei
batteriofagi, perché questi possono inattivare gli inoculi. La produzione dello yogurt ne risente di
meno, perché tratta volumi minori di latte ed inoltre lo scalda a 90°C. La produzione di formaggio
è più sensibile, perché il latte è pastorizzato o non trattato affatto. Non c’è selezione di ceppi
batterici resistenti, perché ogni volta si parte con un nuovo inoculo.
Lo studio della distribuzione dei batteriofagi nei vari ambienti ci sta facendo capire che questi
giocano un ruolo importante nel regolare le dimensioni delle popolazioni batteriche.
Uso dei batteriofagi per controllare le infezioni batteriche
I batteri possono essere uccisi anche infettandoli con fagi litici. Le mucose sono spesso un
serbatoio di molti microrganismi patogeni (pneumococchi, streptococchi, stafilococchi).
L’eliminazione di questi serbatoi ridurrebbe la frequenza di infezioni a livello ospedaliero. L’uso di
antibiotici è sconsigliato, perché può portare alla selezione di microrganismi resistenti. In questo
contesto, i batteriofagi, e gli enzimi da loro prodotti, possono tornare utili. Gli enzimi litici utili,
dette lisine, prodotte dai batteriofagi sono:

• Lisozima: Agisce sulla catena glucidica della mureina


• Endopeptidasi: Agiscono sul ponte aminoacidico che lega le catene di mureina.
• Amidasi: Idrolizzano il legame amidico che lega lo zucchero alla catena peptidica.
La maggior parte delle lisine sono delle amidasi

Struttura delle lisine fagiche:


Sono composte da due parti:
- Dominio catalitico: Conservato in tutte le lisine ed agisce a livello della mureina
- Dominio di legame alla parete: Cambia per ogni lisina ed è specifico
Cambiando il dominio di legame alla parete è possibile determinare il batterio che verrà attaccato
Interazioni microrganismo-ospite
I microrganismi patogeni generano malattie
perché sono in condizioni di causarle, ma queste
non sono necessarie alla sopravvivenza del
microrganismo. L’incontro con un ospite è detto
colonizzazione. Durante l’incontro è possibile che
i microbi vengano eliminati o che diano luogo ad
un’infezione. L’infezione è una colonizzazione che
ha portato alla riproduzione dl microrganismo, ma
non è detto che dia luogo alla malattia, in questo
caso si parla di microflora normale. Nel caso in cui
si riproducano e poi vengano eliminati si parla di
infezione apparente. Nel caso in cui siano patogeni si parla di malattia
Nel corpo umano sono presenti già molti organismi e sono estremamente importanti (microbiota
normale). Quelli presenti nel lume intestinale sono fondamentali per l’assimilazione degli alimenti
ed inoltre producono delle vitamine.

Modalità di ingresso:
- Inalazione (virus dell’influenza).
- Ingestione, di solito via oro-fecale (Salmonella, colera, E. coli).
- Punture d’insetto (malaria).
- Contatto sessuale (malattie a trasmissione sessuale, HIV).
- Ferite infette.
- Trapianto di organi (cornee, trasfusioni di sangue).

Patogenicità: Capacità di un microrganismo di indurre una malattia. Inizia con l’adesione del
microrganismo alle cellule dell’ospite ed è seguita dalle fasi di colonizzazione e proliferazione, che
determinano lesioni ai tessuti dell’ospite. Non tutti sono patogeni, ma possono acquisire la
patogenicità
Virulenza: Indica la capacità relativa di un patogeno di indurre una malattia. Organismi altamente
virulenti uccidono più individui con un numero minore di cellule infettate rispetto ad organismi
moderatamente virulenti.
Tossicità: Capacità di un organismo di svolgere il suo ruolo patogeno attraverso la produzione di
tossine che inibiscono le funzioni della cellula o la uccidono.
Invasività: Capacità di un organismo di proliferare nei tessuti fino a raggiungere numeri così
elevati da inibire le funzioni dell’ospite. Un microrganismo, anche se non produce tossine, può
determinare una malattia grazie alle sue proprietà invasive.
La maggior parte dei microrganismi patogeni utilizza una combinazione di tossicità ed invasività.
Postulati di Koch
Un microrganismo causa una certa malattia se soddisfa tutti i punti del postulato
1) Il microbo deve essere sempre trovato associato alla malattia
2) Il microbo deve essere isolato in forma pura su terreni artificiali, in laboratorio
3) Il microbo isolato deve produrre una malattia simile, quando viene inoculato in un animale
da laboratorio
4) Il microbo deve essere recuperato in forma pura dall'animale infettato
Può passare molto tempo fra l’arrivo dell’organismo e l’insorgenza della malattia. I terreni di
coltura possono far crescere solo alcuni organismi e se non crescono possono essere trovati grazie
a studi epidemiologici. Non sempre può esistere un animale da laboratorio che presenta la stessa
malattia dell’uomo.

Esotossine
Le esotossine sono proteine rilasciate nell’ambiente circostante da un microrganismo in crescita.
Esse possono causare danno in regioni lontane dal sito dove sono state prodotte.

• Tossine citolitiche (emolisine): causano la lisi della cellula. Si utilizza l’agar sangue per far
crescere i microrganismi patogeni. I patogeni sono circondati da aloni chiari dovuti alla lisi
degli eritrociti causata dal loro enzima litico.
• Tossina difterica (Corynebacterium diphteriae): A livello della sintesi proteica sono
importanti i fattori di allungamento. La tossina viene prodotta con due componenti A e B.
La B individua la cellula bersaglio legandosi a particolari recettori e permette di far entrare
all’interno della cellula la componente A. Una volta entrata, le due componenti si scindono.
La subunità A entra in contatto con i fattori di allungamento, si lega ad essi e li inattiva. La
sintesi proteica a questo punto non avviene più e la cellula muore.
• Tossina botulinica (Clostridium botulinum): Tra i veleni più potenti in natura. Interferisce
con la trasmissione dell’impulso nervoso. I neuroni ricevono un segnale e inducono il
muscolo a contrarsi. Il segnale è dato dal neurotrasmettitore acetilcolina. La tossina
botulinica si lega al neurone e blocca il rilascio del neurotrasmettitore e questo porta ad
una paralisi che colpisce tutta la muscolatura (sia a livello cardiaco che della respirazione) e
causa la morte. È utilizzata anche nella terapia medica (impiegata nel movimento
spasmodico muscolare) e in campo estetico
• Tossina tetanica (Clostridium tetani): Anche questa agisce a livello dell’impulso nervoso
collegato al movimento muscolare. I neuroni inibitori rilasciano molecole segnale a livello
del neurone che rilascia l’acetilcolina, bloccandone il trasporto. La tossina blocca il segnale
inibitorio, che causa un rilascio continuo dell’acetilcolina che causa una contrazione
continua
Enterotossine
Le enterotossine sono esotossine che agiscono sull’intestino tenue, provocando generalmente
un’abbondante secrezione di fluidi nel lumen intestinale, che porta a vomito e diarrea.

• Enterotossina colerica (Vibrio cholerae): Gli ioni sodio presenti nel lume intestinale
passano nella circolazione sanguigna. Gli ioni cloro tendono a non muoversi. Quando arriva
il batterio e produce la tossina, questa si lega sui recettori dell’epitelio intestinale. Questo
legame ha un effetto su un enzima, l’adenil ciclasi, che trasforma l’ATP in cAMP. La
produzione di cAMP ha effetto sul trasporto degli ioni. L’assunzione degli ioni sodio viene
bloccata e gli ioni cloro vengono invece richiamati verso il lume intestinale. Nel lume si ha
l’aumento di concentrazione di NaCl che causa un forte richiamo di acqua verso il lume
intestinale, che può provocare disidratazione a causa della diarrea. L’assunzione del
patogeno è dovuta ad acqua contaminata o ingerimento di verdure non accuratamente
lavate.
Anche E. coli può produrre delle tossine che possono causare la diarrea del viaggiatore

Endotossine
I batteri Gram- producono, come componenti dell’involucro esterno, i lipopolisaccaridi, che in
molte circostanze sono tossici. Queste sostanze sono chiamate endotossine, perché vengono
rilasciate solo quando la cellula va incontro a lisi.

Proprietà delle esotossine e delle endotossine


Ulcera gastrica (Helicobacter pylori): Lesione della parete dello stomaco, dovuto al suo acido, che
può causare sanguinamento. L’ulcera è dovuta alla presenza di un microrganismo, che sopravvive
grazie alla produzione dell’enzima ureasi. Questo enzima degrada l’urea che rilascia ammoniaca, la
quale, essendo alcalina, degrada gli acidi dello stomaco. A causare le lesioni non è il
microrganismo stesso, ma il sistema immunitario, che produce una risposta infiammatoria che
degrada i rivestimenti delle cellule dello stomaco, che vengono intaccate dagli acidi.
Agrobacterium tumefaciens può provocare tumori a livello delle piante, collegate ad un plasmide
del microrganismo che viene passato alla cellula vegetale
Risposta Immunitaria
Ogni organismo ha delle resistenze naturali nei confronti di un patogeno. Le resistenze naturali
possono essere:

• Di specie: alcuni organismi possono attaccare alcune specie ed altre no


• Razziale: alcuni organismi possono attaccare alcune razze ed altre no
• Individuale: alcuni individui si ammalano più facilmente ad altri
• Meccanismi esterni: Impediscono l’entrata del patogeno all’interno dell’organismo,
oppure lo possono espellere una volta entrato:
∙ Cute, mucose, altre barriere meccaniche
∙ Tosse, starnuti, traspirazione e processi affini
Le prime tra resistenze sono collegate a livello genomico e possono essere tramandate.
Oltre alla resistenza naturale, la cellula, ha anche meccanismi di difesa interni, fra cui:

• Immunità aspecifica: immunità di tipo non specifico presente sin dalla nascita
• Immunità acquisita: Deve essere sviluppata dal sistema immunitario. È estremamente
specifica nei confronti dell’agente infettivo. Porta alla produzione di anticorpi

Quando si parla di difesa immunitaria, possiamo distinguere due tipi di immunità:

• Immunità umorale: data dagli anticorpi presenti nel sangue e nella linfa e prodotti dai
linfociti B.
• Immunità mediata da cellule: data dai linfociti T, che sono direttamente coinvolti nella
risposta immunitaria.
Entrambe cooperano nella risposta immunitaria. Il sistema immunitaria discrimina quello che è
proprio dell’organismo (self) e quello che non lo è (not self). Quello che è not self deve essere
eliminata. La risposta immunitaria è specifica per ogni individuo (anche se possono esistere delle
analogie)
Antigeni: sono sostanze che introdotte in un animale scatenano la risposta immunitaria. Le
proteine not self sono altamente immunogene, lo stesso dicasi per i polisaccaridi. L’anticorpo
reagisce solo contro una parte della molecola (determinante antigenico o epitopo).
L’antigene può essere piccolo o molto grande. Il sistema immunitario è in grado di riconoscere
strutture di dimensioni contenute, ossia gli epitopi. Più grande è un antigene e più epitopi
differenti avrà (più anticorpi verranno prodotti)
Aptene: molecola non immunogena, che però può divenirlo se legata ad una molecola carrier. Una
volta prodotti, gli anticorpi riconoscono l’aptene anche in assenza della molecola carrier. Hanno
dimensioni molto ridotte e non vengono riconosciute dal sistema immunitario. Vengono
riconosciute solo se sono legate ad altre molecole più grandi

Tipi di immunità acquisita specificamente


• Attiva: Anticorpi prodotti in conseguenza della stimolazione da parte di organismi vivi,
uccisi o attenuati o dei loro prodotti (antigeni); l’immunità si sviluppa lentamente e diventa
efficace in parecchie settimane.
• Passiva: Anticorpi prodotti da un individuo vengono trasferiti a un altro; fornisce
protezione immediata, ma temporanea.
• Attiva naturale: La formazione di anticorpi è stimolata dalla presenza di organismi vivi o
dei loro prodotti che causano la malattia. Solitamente l’immunità dura tutta la vita.
• Attiva artificiale: La produzione di anticorpi è stimolata dalla somministrazione di
microrganismi vivi, uccisi o attenuati o di prodotti tossici detossificati. Protezione valida per
molti anni (vaccini).
• Passiva naturale: Trasferita al piccolo da una madre immune mediante trasferimento
placentare o colostro. Completa, ma temporanea (fino a 1 anno).
• Passiva artificiale: Conferita da inoculazioni di siero prelevato da un animale o da un uomo
immune; usata per conferire protezione immediata in casi di esposizione nota all’infezione
o durante epidemie. Completa per 2 o 3 settimane.

Immunoprecipitazione
Saggio immunologico utilizzato anche in campo microbiologico. In una provetta contenente una
soluzione con un polisaccaride (può provocare una risposta immunitaria), si aggiunge delle gocce
di siero immune prelevato da un animale. La soluzione diventa torbida e la sua torbidità aumenta
ad ogni aggiunta. Se lasciamo riposare per un tempo abbastanza lungo possiamo osservare che si
formano due fasi: un precipitato e un sopranatante limpido. Quindi gli anticorpi reagiscono con
l’antigene e formano un precipitato insolubile facilmente individuabile. La visibilità del precipitato
è alla base di molti saggi immunologici.
Se in una provetta sono presenti gli anticorpi e via via aggiungiamo a questa quantità crescenti di
antigene si può misurare la quantità di
precipitato ottenuta. Il precipitato aumenta
fino ad un massimo oltre il quale non si ha
ulteriore ottenimento di corpo di fondo. Oltre
questo picco, la quantità di precipitato
comincia a diminuire.
1) Fase iniziale: La quantità di anticorpi è
maggiore rispetto a quella di antigene
2) Fase centrale: Quantità di anticorpo e
antigene si equivalgono
3) Fase finale: La quantità di antigene è
superiore a quella degli anticorpi
L’andamento della curva è spiegabile dal fatto che l’antigene può
legare più anticorpi. L’anticorpo può legare solo due antigeni.
Nella fase iniziale ogni antigene cerca di legare il maggior numero
possibile di anticorpi, formando una struttura a rete molto
grande che precipita. Nella fase centrale, ogni antigene lega solo
due anticorpi e ogni anticorpo due antigeni. Si forma una lunga
catena che è insolubile e precipita. Nella fase finale, con eccesso
di antigene, ogni anticorpo lega un antigene ed ogni antigene si
lega soltanto ad un anticorpo, creando una piccola struttura
solubile, che non forma precipitato. Queste strutture si
modificano in base al rapporto antigene-anticorpo

Caratteristiche dell’affinità antigene-anticorpo


Gli anticorpi si legano più fortemente agli antigeni che li hanno indotti. Gli anticorpi riconoscono
preferenzialmente le parti esterne (più esposte) dell’antigene. Gli anticorpi riescono a discriminare
molto bene anche tra molecole estremamente simili.
Certe volte gli anticorpi reagiscono anche contro antigeni eterologi (reazione crociata) perché: La
preparazione di antigeni, usata per indurre gli anticorpi, non era pura oppure ci possono essere
molecole con determinanti antigenici (epitopi) simili od uguali.

Immunodiffusione su agar: Su una soluzione agarizzata vengono scavati due pozzetti: in una è
stata versata una soluzione di BSA (albumina di siero bovino) e nell’altra una sospensione di
anticorpi anti-BSA. Le due sospensioni diffonderanno in modo concentrico nell’agar. Nel punto di
incontro delle due si formerà una banda di precipitazione evidente. Questo metodo dà risposte
particolari in base alle sospensioni utilizzate.
Un esempio di reazione di immunodiffusione particolare ha utilizzato estratto di mammoth
congelato. Nell’esperimento i ricercatori hanno utilizzato tre pozzetti: uno contenente antisiero
contro l’albumina di elefante, uno con albumina di elefante e l’ultimo contenente estratto dai
tessuti di mammoth. Nei fronti di incontro dei due pozzetti con quello dell’antisiero si sono create
delle bande di precipitazione. Questo ci dice che alcuni anticorpi sono in grado di riconoscere sia
proteine provenienti da elefanti che da mammoth (i mammoth sono antenati degli elefanti)

Gruppo sanguigno AB0


L’antigene è posto sulla superficie degli eritrociti. L’anticorpo lega cellule differenti. Non si verifica
una precipitazione, ma un’agglutinazione cellulare. Il gruppo sanguigno è legato alla presenza
sull’antigene presente sugli eritrociti. Per individuarlo bisogna avere una preparazione di anticorpi,
una specifica per A e l’altra per B
- Tipo 0: Non si ha agglutinazione né con il siero anti-A né con l’anti-B
- Tipo A: Si ha agglutinazione con l’anti-A, ma non con l’anti-B
- Tipo B: Si ha agglutinazione con l’anti-B, ma non con l’anti-A
- Tipo AB: Si ha l’agglutinazione con l’aggiunta di entrambi i sieri
Test di gravidanza
Si basa sull’individuazione di HCG (gonadotropina
corionica umana), un ormone che compare poco dopo
la fecondazione nelle urine di una donna gravida. Nel
kit sono presenti delle sferette di plastica ricoperte
dall’antigene di HCG. Sono presenti anche degli
anticorpi della HCG. Se gli anticorpi vengono messi
insieme al campione di urine che non contengono HCG
ed in seguito vengono uniti alle sferette si ha
agglutinazione e quindi il test è negativo. La quantità di
anticorpi è calibrata in modo tale da essere la quantità
minima necessaria per dare agglutinazione con le
nostre microsferette. Se, invece, nel campione di urine
si ha HCG, gli anticorpi si legano all’ormone, allora
quando si aggiungono le microsferette non si ha
agglutinazione (la quantità di anticorpi è minima per
far avvenire l’agglutinazione, quindi anche una minima
sottrazione di questi, impedirà l’agglutinazione).
L’assenza di agglutinazione ci dice che il test di gravidanza è positivo

Saggio RIA
Saggio radioimmunologico. Si possono individuare particolari antigeni (ad esempio insulina)
mediante l’uso di anticorpi specifici marcati con isotopi radioattivi. La formazione antigene-
anticorpo è misurabile creando un grafico in cui nelle ascisse si ha l’antigene nel campione di siero
e nelle ordinate la radioattività.
Saggio ELISA diretto
Test immunologico legato alla
reazione enzimatica. Si utilizzano
dei micropozzetti di plastica su cui si
fissano anticorpi specifici per
l’antigene (si possono lavare senza
che la molecola legata si stacchi). Se
il campione è positivo si ha il
legame antigene-anticorpo, poi si
lava. Si aggiunge una sospensione di
anticorpi che riconosce sempre
l’enzima che noi vogliamo trovare,
però, questi anticorpi hanno legato
un enzima. L’anticorpo con l’enzima
si lega all’antigene e poi si lava (non
si lega se non è presente l’antigene
ovviamente, inquesto caso viene
lavato via). A questo punto si
aggiunge al pozzetto un substrato
incolore che, se è presente
l’enzima, si colora, mentre invece
rimane incolore se non è presente
l’enzima. La quantità di colore rilasciata è osservabile con uno spettro fotometro ed in generale ci
può dare l’idea della quantità presente di antigene.

Anticorpi fluorescenti
Gli anticorpi vengono marcati da una molecola fluorescente (se esposta ad una certa lunghezza
d’onda emette una lunghezza d’onda differente, solitamente si utilizza luce ultravioletta). Gli
anticorpi individuano antigeni presenti sulla superficie di un microrganismo e legandosi
irreversibilmente, in microscopia a fluorescenza si possono vedere le cellule colorate. Possono
essere anche molto specifici
Immunoelettroforesi
Vengono analizzate proteine presenti in un
campione. In una prima fase il campione è
separato per elettroforesi, le proteine migreranno
in base alla carica elettrica e la loro velocità di
migrazione sarà proporzionale al loro peso
molecolare. A lato della corsia di migrazione si
scava un canale dove si pone l’antisiero e si forma
un precipitato dove si ha un riconoscimento
specifico.

I saggi immunologici sono estremamente sensibili e necessitano di un numero ben preciso di


anticorpi per dare un risultato

Origine dei linfociti

Nella risposta immunitaria sono coinvolti i linfociti B per la


produzione di anticorpi e i linfociti T per la risposta
immunitaria mediata da cellule. I linfociti T hanno ruoli diversi
nella risposta immunitaria e si originano nel midollo osseo e si
possono trovare a livello della milza ad esempio. Sia i T che i B
sono capaci di rispondere ad una sostanza estranea. Una
singola cellula T o B è capace di riconoscere soltanto un
epitopo (estremamente specifici). Una volta attivati i linfociti T
questi aiutano i linfociti B a produrre anticorpi.
Proprietà dei linfociti

Teoria della selezione clonale


Per ogni epitopo esiste un linfocita B specifico che mantiene
la sua specificità per tutta la vita. Quando un antigene entra
dentro il corpo, i linfociti B presenti nell’organismo iniziano a
sondarlo e soltanto quello che lo riconosce, inizia a dividersi e
quindi si clona formando diverse cellule uguali fra loro.
Quando queste raggiungono un numero elevato cominciano a
differenziarsi in due gruppi:

• Plasmacellule: Cellule incaricate di produrre anticorpi


• Cellule della memoria: Cellule che non producono
anticorpi, ma mantengono la memoria e si
riproducono. Intervengono qualora l’antigene entri
un’altra volta nell’organismo
La clonazione e la differenziazione richiedono tempo, quindi
se il patogeno si riproduce rapidamente, allora potrebbe
sopraffare l’organismo se questo non lo ha mai riconosciuto. Se invece ci sono cellule della
memoria per il patogeno, queste si riproducono molto velocemente formando le plasmacellule
che producono l’anticorpo necessario.
Struttura delle Immunoglobuline
Tutte le immunoglobuline hanno la stessa struttura di base, ossia quattro catene polipeptidiche:
due identiche catene pesanti, due identiche catene leggere. Le catene pesanti e leggere sono
connesse tra loro da ponti disolfuro
Entrambi i tipi di catene contengono due differenti regioni:
- Regioni Costanti (C) (CL e CH): Sequenza amminoacidica presente in tutte le catene
- Regioni Variabili (V) (VL e VH): Sequenza amminoacidica che cambia sempre

Immunoglobulina G
La struttura è formata da due braccia definite da una catena
pesante ed una leggera. Catene pesanti e leggere sono
tenute assieme da ponti disolfuro nelle regioni costanti. La
struttura delle IgG ha una forma ad Y con due braccia,
quest’ultime definite sia dalla catena pesante che da quella
leggera. Le parti terminali delle braccia hanno le regioni
variabili. La parte terminale variabile è quella che andrà a
legare l’anticorpo, quindi, siccome il riconoscimento tra
anticorpo e antigene è tridimensionale queste regioni
variabili devono cambiare struttura in base alla specificità dell’anticorpo per potersi attaccare
all’epitopo. La parte costante delle catene fa in modo che le catene che costituiscono le
immunoglobuline possano essere raggruppate, nel caso delle catene leggere ne esistono due tipi:
Kappa e Lambda. La presenza di uno o l’altro tipo di catena leggera varia e comunque si trovano in
tutte le classi di immunoglobuline, la classe delle immunoglobuline è definita dalla parte costante
delle catene pesanti. Le catene pesanti possono essere divise in 5 classi in base alla sequenza
amminoacidica: α per le IgA, δ per le IgD, ε per le IgE, γ per le IgG ed infine μ per le IgM. Ogni
immunoglobulina G è capace di legare due antigeni, le immunoglobuline più abbondanti sono le
igG, igM e igA.

Immunoglobulina M
Sono formate dalla ripetizione per 5 volte da una subunità
identica alla struttura della IgG, la sezione costante delle
catene pesante è di tipo μ. Questo tipo di immunoglobulina
è tenuta insieme da proteine, le immunoglobuline M hanno
teoricamente 10 siti di legame per gli epitopi ma in generale
è molto difficile che ne leghino così tanti. Sia IgG che IgM
circolano nel sangue.
Immunoglobulina A
Hanno una struttura formata dalla ripetizione di
due monomeri della struttura di base delle IgG,
quindi si avranno 4 siti di legame per l’antigene,
le due unità sono legate da un peptide. Grazie ad
un altro peptide queste immunoglobuline sono
portate nelle secrezioni, ad esempio a livello del
lume intestinale dove rappresentano la prima
difesa contro agenti estranei che entrano a livello del lume intestinale. Non sono in circolo nel
sangue come le due immunoglobuline precedenti

Sottoclassi delle immunoglobuline


Ogni immunoglobulina può essere suddivisa in tre classi:

• Isotipo: è determinato dalla parte costante delle catene.


• Allotipo: all’interno di ogni isotipo, sono varianti alleliche della parte codificante la zona
costante delle catene, non cambia la classe delle immunoglobuline ma si hanno varianti
alleliche.
• Idiotipo: è dato dalla sequenza amminoacidica variabile di catene leggere e pesanti, quindi
dalla specificità dell’immunoglobulina
Risposta primaria e risposta secondaria
Sull’asse delle x è riportato il tempo, nelle y, in
scala logaritmica, la quantità di anticorpo
prodotta. Il giorno 0 è il giorno in cui si
somministra l’antigene. Si attiva il percorso
della selezione clonale, che termina nella
produzione di immunoglobuline e cellule della
memoria. Le prime immunoglobuline prodotte
saranno le IgM. La loro produzione avviene
dopo circa 5-6 giorni (nessuna risposta
immunitaria in questo lasso di tempo).
Successivamente compaiono anche le IgG,
facendo calare la produzione di IgM. Quando l’antigene è stato eliminato Le IgG iniziano a calare,
ma non andranno mai a 0 (stessa cosa vale per le IgM). Si ha un intervallo di tempo in cui
l’antigene non è più presente nel corpo. Se entra nuovamente si ha la risposta secondaria in cui si
ha una produzione rapida di IgG (e relativamente poca di IgM). L’antigene o l’agente patogeno
verrà quindi velocemente eliminato. Nel periodo necessario per sviluppare una risposta primaria ci
si ammala, ma la risposta secondaria è talmente rapida che questo non avviene.

Vaccinazione
Edward Jenner osservò che i mungitori si ammalavano
molto meno frequentemente di vaiolo rispetto al
resto della popolazione. Questa osservazione lo porto
a studiare il fenomeno e si scopri che il motivo era che
i mungitori si ammalavano meno in quanto nel
bestiame bovino esisteva un virus del vaiolo bovino
simile a quello umano ma non patogeno. I mungitori
entrando in contatto con questo virus sviluppavano
una risposta immunitaria che li proteggeva anche dal
virus batterico del vaiolo umano, quindi la
popolazione fu trattata iniettando il virus del vaiolo
vaccino. Il termine vaccinazione deriva da questa prima pratica di immunizzazione. I vaccini si
basano sullo stesso grafico che abbiamo descritto precedentemente. In pratica, consiste
nell’immettere nell’organismo un qualcosa con le stesse caratteristiche antigeniche dell’agente
patogeno senza però scatenare la malattia. Quindi i sintomi non si manifestano ma essendo
qualcosa di estraneo c’è una risposta primaria del sistema immunitario, rappresentata dal primo
picco di produzione degli anticorpi, si formano quindi anche le cellule della memoria. Se andiamo
incontro successivamente ad un’infezione naturale c’è una risposta secondaria immediata dove si
ha subito la produzione delle immunoglobuline che bloccano il patogeno, quindi il vaccino
percorre i processi della risposta immunitaria primaria, stimolando senza malattia la produzione di
cellule della memoria che in un secondo momento potranno rispondere immediatamente
all’antigene.
Tipi di vaccino
• Vaccini con microrganismi uccisi: I batteri o i virus sono stati inattivati al calore o con
irradiazione ultravioletta o con formalina. Sono efficaci nel produrre una risposta
immunitaria poiché contengono tutti gli antigeni del patogeno, i problemi sono il fatto che
l’inattivazione deve essere effettuata in modo sicuro e che il patogeno deve essere
cresciuto in quantità molto elevate. Ad esempio, il vaccino antinfluenzale è preparato in
questa maniera
• Vaccini vivi attenuati: Sono costituiti da ceppi mutanti di virus o batteri che hanno perso la
loro capacità di causare una malattia. Il virus può comunque riprodursi e mantiene le
caratteristiche antigeniche del patogeno, la risposta immunitaria prodotta sarà efficace. Il
fatto che si riproduca è un vantaggio poiché quando iniettato all’interno di un organismo
aumenterà la quantità di antigeni presenti e quindi anche di anticorpi prodotti. Le
problematiche potrebbero essere collegate a fenomeni di regressione, infatti il virus
attenuato può riacquisire la patogenicità anche se è molto raro. È un vaccino molto
economico, facile da distribuire ed efficace. Ad esempio, vaccino antipolio o contro il vaiolo
• Tossoidi: Sono tossine inattivate. Questi vaccini sono utilizzati per quelle malattie che sono
causate da tossine batteriche. L’esempio più famoso è l’antitetanica.
• Vaccini a componenti: Sono costituiti da singoli antigeni purificati. Bisogna individuare la
componente in grado di dare una risposta immunitaria efficace quindi in grado di inattivare
il patogeno, successivamente si deve produrre la componente in grande quantità. Le
tecniche di ingegneria genetica hanno permesso di aggirare il problema della crescita dei
patogeni e purificazione per l’ottenimento di determinate componenti. Attualmente sono i
più utilizzati

Il virus dell’epatite B ha un genoma a DNA ed


attacca il fegato provocando danni. Le persone
malate e poi guarite producevano, oltre al virus
completo, anche agglomerati di particelle HbsAg
capaci di indurre una risposta immunitaria.
Queste particelle sono aggregati di capsidi senza
acido nucleico. Se ad un individuo vengono
iniettate queste molecole produce una risposta
immunitaria. Un tempo per ottenere queste
particelle, bisognava purificarle dal sangue di una
persona guarita, ma era una procedura molto
costosa. Con lo sviluppo delle tecniche di
ingegneria genetica, si individuò ed isolò il gene
che era responsabile della produzione del
capsomero presente nel genoma del virus. La
sequenza venne trasferita in un plasmide in
grado di riprodursi in cellule di lievito. Grazie alla
capacità di autoreplicarsi del plasmide si ottennero varie copie. Grazie a questo fu possibile
ottenere grandi quantità di proteine HbsAg, inoltre impiegando il lievito si utilizza un organismo
sicuro per la salute umana. Con questa procedura ci si slega dall’agente patogeno in quanto la
produzione della molecola demandata è dovuta ad un microrganismo sicuro per l’uomo. Quello
per l’epatite B è un esempio di vaccino a componenti, molti altri vaccini attuali si stanno
sviluppando secondo questo metodo. Un grande problema è portare i vaccini in zone del mondo
con sistemi sanitari carenti e le spese pro capite annuali del sistema sanitario sono inesistenti.

Alcuni tipi di vaccino

L’utilizzo della ingegneria genetica può creare delle


piante transgeniche in grado di produrre proteine che
possono dare una risposta immunitaria. Ottenere una
pianta transgenica può essere utile per ottenere le
molecole di interesse sanitario e poi purificarle. È stato
osservato di recente che piante di patata, se il loro
tubero veniva mangiato da dei topi, questi reagivano dal
punto di vista immunitario all’antigeno di interesse.
Alcuni studi simili si stanno nelle banane. Una
vaccinazione per far in modo che sia efficiente deve
raggiungere il maggior numero di persone e questo è un
problema visto che gran parte della popolazione
mondiale non ha i mezzi necessari per vaccinarsi. La
produzione di un vaccino è un sistema estremamente
complesso e lungo, ma è uno strumento molto efficace,
ma in generale per quanto riguarda le malattie virali, la
prevenzione è l’unica arma efficace a nostra
disposizione, infatti abbiamo visto come le sostanze ad azione antivirale siano poco efficienti.
Risposta allergica
È una risposta immunitaria (esattamente uguale a
quella che abbiamo visto, con risposta primaria e
secondaria), ma le plasmacellule, se stimolate
dall’antigene (allergene), produrranno le
immunoglobuline E (IgE), che hanno la caratteristica di
legarsi alle mast-cellule nella risposta primaria (non dà
problemi). Quando l’organismo viene messo
nuovamente a contatto con l’antigene, dunque con la
risposta secondaria, le IgE vanno a legarsi all’antigene
e le prime inducono le mast-cellule a rilasciare i loro
contenuti, generando la risposta allergica, che può
essere molto violenta, portando anche a shock. Esiste
anche una risposta allergica per contatto, ad esempio
con il nichel. La risposta allergica è molto comune nei
confronti del polline.
Il sistema immunitario è un mezzo molto potente per
la protezione nei confronti di agenti esterni, ma deve
essere in grado di riconoscere questi agenti. Alcune
volte riconoscimento può non funzionare in modo
corretto, andando ad attaccare strutture self. L’attacco
di strutture self è alla base di una risposta autoimmune, che genera diverse malattie.
Durante la gravidanza, si ha la crescita di un feto all’interno della madre, che per la metà ha
antigeni not-self. Qui entrano in gioco una serie di meccanismi che non permettono al sistema
immunitario di aggredire il figlio. Se questo riconoscimento si attiva per sbaglio, si ha un aborto di
tipo spontaneo. Nel caso del gruppo sanguineo Rh si può avere una determinata risposta
(l’antigene Rh è localizzato sugli eritrociti). Un individuo con Rh- non ha antigeni di questo tipo
sugli eritrociti, uno che è Rh+ ce li ha. Una madre Rh- che ha un feto Rh+ non sviluppa anticorpi
per l’antigene, ma al momento del parto si ha un grande afflusso di sangue fetale all’interno del
sistema circolatorio della madre e si ha una risposta primaria con relativa produzione di anticorpi.
Alla seconda gravidanza, se di nuovo il figlio è Rh+, si scatena una risposta immunitaria, in cui gli
anticorpi danneggiano il bambino, facendolo nascere con grandi problemi (non si ha l’aborto
spontaneo). Per ovviare questo problema, al momento del parto, si può effettuare
un’immunizzazione passiva della madre con immunoglobuline anti-Rh. Le immunoglobuline
cattureranno ed elimineranno gli antigeni Rh e appena questi entreranno in circolo e quindi la
madre non avrà tempo per svolgere una risposta immunitaria primaria, quindi una seconda
gravidanza sarà identica alla prima ed il processo può essere ripetuto

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