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28/11/22, 14:34 La lezione di Koch nell'era genomica - Aula di Scienze

Aula di Scienze
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BIOLOGIA E DINTORNI

La lezione di Koch nell'era


genomica
I postulati di Koch per provare che un microbo è
la causa di una malattia infettiva sono stati
aggiornati più volte, in parallelo con i progressi
scientifici e tecnologici. Ma la lezione del premio
Nobel tedesco resta quanto mai attuale per il
rigore, la perseveranza e la flessibilità necessari a
vincere battaglie con microbi mutevoli ed elusivi.

9 dicembre 2018
di Lisa Vozza

Qualcuno si ammala di qualcosa che i medici non sanno rintracciare nella


propria esperienza e conoscenza. La malattia passa da una persona all’altra,
sembra essere infettiva, i casi sono tanti, è un contagio. Come si fa a stabilire la
causa?
Una causa non è qualcosa di tangibile, che si vede, si tocca, si incontra
per strada. È piuttosto un’ipotesi che si formula con un ragionamento su eventi
che, manifestandosi, suggeriscono un legame ad alcuni possibili agenti. Tale
legame è però tanto più elusivo quanto più la causa è distante o remota e tanto
più il ragionamento è carente per mancanza di percezione sensoriale,
conoscenze, logica.
Per secoli il nostro cervello, una macchina alla ricerca
incessante di spiegazioni, ha immaginato che le epidemie fossero causate da
cose stranissime: dei arrabbiati che scagliavano punizioni come fulmini dal
cielo, costellazioni stellari, miasmi. D’altronde i microbi non si sono potuti vedere
per migliaia d’anni. Anche quando li si è visti, con i primi microscopi, c’è voluto
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molto tempo prima di provare e credere che esserini tanto piccoli fossero
all’origine di terribili miserie.
L’associazione di specifici microrganismi a una
particolare malattia è avvenuta poco più di un secolo fa, relativamente tardi
nella storia umana, come conseguenza del lavoro del medico tedesco Robert
Koch che nel 1905 avrebbe ricevuto il premio Nobel per la medicina o la
fisiologia.

Robert Koch (Wikipedia)

Nel 1884 Koch formulò quattro requisiti, poi detti postulati di Koch, che
dovevano essere soddisfatti per stabilire che un determinato patogeno fosse non
un innocuo commensale, ma il vero responsabile di una specifica malattia:

1. Il microrganismo dev’essere regolarmente associato alla malattia e alle sue


lesioni caratteristiche.
2. Il microorganismo dev’essere isolato dall’ospite ammalato e lo si deve poter
crescere in coltura.

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3. Quando una coltura pura del microorganismo è introdotta in un ospite


sensibile e sano, si deve riprodurre la malattia.
4. Lo stesso microrganismo dev’essere isolato nuovamente nell’ospite infettato
sperimentalmente.

I criteri di Koch hanno fornito un metodo scientifico razionale allo studio


delle malattie infettive e hanno cambiato per sempre la microbiologia e la
medicina. Koch li adoperò per stabilire che l’antrace, una malattia
principalmente degli animali erbivori, è causata dal Bacillus anthracis e che la
tubercolosi umana è provocata da una diversa specie di batteri. In seguito,
applicati ampiamente, in molti casi sono stati la premessa al controllo di malattie
incurabili tramite farmaci e vaccini.

Spore di Bacillus anthracis in coltura (CDC, Wikipedia)

I postulati hanno tuttavia qualche limite che lo stesso Koch aveva individuato
fin da subito. Per il colera, per esempio, lui stesso non era riuscito a soddisfare
tutti i requisiti, dato che il Vibrio cholerae, l’agente che causa la malattia, si trovava
sia nei malati sia in persone sane.
Ancora più complicato era il caso delle
malattie causate dai virus, che all’epoca di Koch non erano neppure stati
scoperti. Molti virus, come del resto parecchi batteri, non causano la malattia in
tutti gli individui infetti: per esempio il poliovirus provoca la poliomielite,

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paralizzando circa l’1% delle persone infette (oggi la malattia è pressoché


debellata grazie ai vaccini).

Rosanna Benzi, forse la più famosa malata di poliomielite in Italia, ha


passato gran parte della vita in un polmone d’acciaio in seguito
all’infezione (superando.it).

Se un singolo virus può dare luogo a diverse malattie, ci sono malattie con gli
stessi sintomi, provocate da microrganismi differenti.Ma studiarli non è facile:
molti microbi sono refrattari alla coltura in laboratorio, in particolare i virus, che
essendo parassiti obbligati hanno bisogno di cellule vive per riprodursi. Per altri
microbi ancora oggi non è stato identificato un animale che può essere infettato e
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manifestare una malattia sufficientemente simile a quella provocata negli esseri


umani.
Insomma, un microbo che soddisfa i postulati di Koch è
verosimilmente la causa della malattia a esso associata, ma uno che non li
soddisfa non lo si può escludere con certezza. La potenza dei postulati di Koch,
in altre parole, non deriva tanto da una loro applicazione pedestre e rigida,
quanto dal rigore del ragionamento scientifico che deve essere seguito nel
raccogliere prove e osservazioni, anche a rischio di incappare in una o più
violazioni dei criteri stessi.Alla luce di queste considerazioni, negli anni Trenta
del secolo scorso Thomas Rivers, alla Rockefeller University di New York, aveva
rivisto per la prima volta i criteri.
Un’ulteriore revisione è avvenuta a fine
secolo scorso, quando ci si è resi conto che i postulati di Koch erano ancora
più difficili da applicare nella nostra epoca portentosa. Oggi un computer
collegato a una macchina per PCR (polymerase chain reaction) e a una che
analizza rapidamente sequenze di acidi nucleici ci dice in pochi secondi che nel
tale tessuto malato si trovano questo o quel pezzo di DNA o RNA microbico.E
questo può accadere senza che nessuno abbia ancora mai visto o isolato il
microrganismo a cui quei pezzi appartengono, o che sia possibile coltivare tale
batterio o virus in laboratorio. È un po’ come sentire l’odore dolciastro di banana
in un frullato, senza avere mai visto quel frutto lungo, giallo e un po’ storto da cui
l’odore è emanato, o senza essere in grado di farlo crescere in un frutteto.
Negli
ultimi 25-30 anni i prodigi genomici hanno mostrato che esistono moltissimi
batteri e virus in buona parte ignoti in individui sia malati sia sani, e che
ognuno di noi è un albergo per microbi.Questa potenza diagnostica, che ha
parzialmente liberato dalla necessità di coltura in vitro, sta trasformando la
medicina e la microbiologia moderne.
Ma trovare tracce di un microbo non
equivale a provare un nesso di causa ed effetto, e questo secondo passaggio è
diventato se possibile ancora più arduo, dato che gran parte dei microrganismi
oltre a essere sconosciuti si rifiutano di crescere in laboratorio.
Prendete il virus
dell’epatite C (HCV) e i virus del papilloma umano (HPV) per cui si sono
ottenuti forse i maggiori successi recenti di cura e prevenzione. Oggi non ci
sono dubbi che causino, rispettivamente, una forma di epatite e il cancro della
cervice uterina, ma per anni è stato impossibile propagare sperimentalmente
questi virus. L'esistenza dell'epatite C è stata ipotizzata nel 1970, quando la si
chiamava “non A non B", una doppia negazione che mostrava l’ignoranza
l’impotente nei confronti di un virus che sembrava impossibile da isolare.
Fortunatamente oggi, e da non molti anni, disponiamo di farmaci efficaci contro
l’HCV e di ottimi vaccini contro gli HPV, nonostante il filo da torcere che questi
virus hanno dato a scienziati persistenti e tenaci.

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Il virus dell’epatite C in una foto al microscopio elettronico (Center for


the Study of Hepatitis C, The Rockefeller University, Wikipedia),
ottenuta soltanto nel 2010, nel laboratorio diretto da Charles Rice, che
è anche riuscito a ottenere un topo in cui far crescere il virus umano.

Ecco dunque i postulati di Koch, aggiornati dai microbiologi David N.


Fredericks e David A. Relman, nel 1996, alle opportunità e ai limiti dell’epoca
genomica:

1. Una sequenza di acido nucleico appartenente a un patogeno putativo


dovrebbe essere presente nella maggior parte dei casi di malattia infettiva.
Gli acidi nucleici microbici si dovrebbero trovare preferenzialmente in
quegli organi o siti anatomici noti per essere colpiti dalla malattia, e non in
quelli non patologici.
2. Il numero di copie delle sequenze di acidi nucleici associate ai patogeni
dovrebbe essere inferiore o nullo in ospiti o tessuti non malati.
3. Con la risoluzione della malattia, il numero di copie delle sequenze di acidi
nucleici associate ai patogeni dovrebbe diminuire o diventare non rilevabile.
Viceversa, in caso di recidiva clinica, dovrebbe verificarsi il contrario.
4. Quando la sequenza di acido nucleico viene rilevata prima che la malattia si
manifesti, o il numero di copie della sequenza è correlato alla gravità della
malattia o della patologia, è più probabile che l'associazione tra malattia e
sequenza sia di tipo causale.
5. La natura del microrganismo desunta dalla sequenza disponibile dovrebbe
essere coerente con le caratteristiche biologiche note del gruppo di
microrganismi a cui esso appartiene.

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6. I correlati alla sequenza individuata nei tessuti dovrebbero essere ricercati


anche nelle cellule: si dovrebbero fare tentativi per dimostrare l’ibridazione
in situ specifica della sequenza microbica in aree in cui i tessuti sono
patologici e dove i microrganismi sono visibili o in aree in cui si presume
che si trovino i microrganismi.
7. Queste evidenze di causalità basate sulle sequenze microbiche dovrebbero
essere riproducibili.

Alla luce delle trasformazioni tecnologiche e della conoscenza è molto utile e


importante che i criteri di Koch siano stati aggiornati, e che continuino a
esserlo in futuro. Tuttavia il numero di requisiti, cresciuto da 4 a 7, e la perdita
di semplicità nel linguaggio ci dicono che il vasto e fantasioso mondo microbico,
plasmato in millenni di evoluzione, continuerà a beffare anche la lista più
raffinata e sottile, con continue eccezioni e varianti.
Secondo una stima neppure
recentissima, le circa 50.000 specie di vertebrati sono capaci di ospitare,
ciascuna, una media di circa 20 virus endogeni. Ciò predice l’esistenza di circa
un milione di virus diversi, più del 99,9% sconosciuti. Molti possono fare salti di
specie e causare malattie umane, agli animali di allevamenti o a quelli selvatici. E
stiamo parlando solo di virus.
I microbi mutano continuamente e a volte basta
la sostituzione di un nucleotide con un altro nel genoma per variare radicalmente
la capacità di trasmissione da un ospite a un altro e per causare una malattia
lieve o grave. Le manifestazioni di una malattia dipendono poi moltissimo dalla
suscettibilità genetica dell’ospite, dall’età, dallo stato di nutrizione e salute
generale, e dalle precedenti esposizioni ad agenti simili.
Provare il nesso
causale è poi particolarmente difficile quando i microbi causano effetti
remoti nel tempo o nello spazio, per esempio quando rilasciano una tossina che
agisce dopo che il batterio è scomparso. In altri casi, cofattori o infezioni
concomitanti sono necessari perché il virus o il batterio provochino una malattia.
In certi casi il nesso causale è provato definitivamente solo quando un vaccino o
un trattamento efficaci dimostrano che è possibile prevenire o curare la malattia.
La lezione di Koch resta dunque rilevante non tanto per il suo valore letterale,
limitato già in origine, quanto per il suo insegnamento di rigore, persistenza e
flessibilità nel ragionamento scientifico. Koch, ammettendo che il suo metodo
era perfettibile, ancora oggi ci dice che le inevitabili eccezioni non ci devono
spaventare né frustrare, e che sono anzi opportunità per continuare ad adeguare
il ragionamento alla varietà del mondo biologico. I microbi saranno sempre
sfuggenti e un passo oltre ogni nostro tentativo, anche il più rigoroso, tenace,
tecnologico, di star loro dietro. Eppure, con i nostri umani limiti, qualche
battaglia con i piccoletti la vinceremo ancora se persistiamo a osservare,
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riflettere e agire ragionando.


 
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Per scrivere questo post ho letto, tra le altre cose:
Vincent Racaniello, Koch’s postulates in the 21st century (22/10/2010) e Leaving Koch
behind (15/12/18), Virology Blog; D.N Fredericks, D.A. Relman, Sequence-based
identification of microbial pathogens: a reconsideration of Koch's postulates, Clinical
Microbiology Reviews (1/1996); W. Ian Lipkin, Microbe hunting in the 21st century, PNAS
(2009). In apertura (Wikipedia) Robert Koch, terzo da destra, durante una spedizione in
Egitto nel 1884 per studiare il colera.
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Salute e benessere, Biologia, Medicina

PAROLE CHIAVE

antrace, batteri, causa, contagi, effetto, epatite C, HPV, infezioni, microbi, postulati,
Robert Koch, tubercolosi, virus

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