Sei sulla pagina 1di 315

INDICE

STORIA DELLA MICROBIOLOGIA………………………………………..........................3

CARATTERISTICHE DEI MICRORGANISMI………………………………………………...7

LE MACROMOLECOLE……………………………………………………………………………15

▪ PROTEINE…………………………………………………………………………………………………………………………………………………15
▪ CARRBOIDRATI E POLISACCARIDI……………………………………………………………………………………………………………..19
▪ ACIDI NUCLEICI…………………………………………………………………………………………………………………………………………21
▪ LIPIDI………………………………………………………………………………………………………………………………………………………..23

LA CELLULA PROCARIOTICA…………………………………………………………………..25

▪ MORFOLOGIA DEI PROCARIOTI………………………………………………………………………………………………………………….25


▪ RIVESTIMENTI CELLULARI PROCARIOTICI……………………………………………………………………………………………………29
▪ APPENDICI E RIVESTIMENTI………………………………………………………………………………………………………………………..40
▪ CITOPLASMA………………………………………………………………………………………………………………………………………………49

ISOLAMENTO E COLTURA DEI MICRORGANISMI………………………………………..57

▪ CRESCITA MICROBICA…………………………………………………………………………………………………………………………………57
▪ MEZZI DI COLTURA ED ISOLAMENTO MICROBICO……………………………………………………………………………………….62
▪ CONSERVAZIONE DELLE COLTURE MICROBICHE………………………………………………………………………………………….76

MISURA DELLA CRESCITA MICROBICA……………………………………………………..80

▪ MISURA DELLA CRESCITA MICROBICA…………………………………………………………………………………………………………80


▪ IL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA…………………………………………………………………………………………………………95

FATTORI AMBIENTALI E SVILUPPO MICROBICO……………………………………….100

▪ PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (A)……………………………………………………………………………………….100


▪ PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (B)……………………………………………………………………………………….105
▪ PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (C)……………………………………………………………………………………….111
▪ ENDOSPORA BATTERICA…………………………………………………………………………………………………………………………….121

METABOLISMO MICROBICO…………………………………………………………………….131

▪ INTRODUZIONE ED ENERGIA……………………………………………………………………………………………………………………..131
▪ RESPIRAZIONE AEROBICA DELLA SOSTANZA ORGANICA…………………………………………………………………………….140
▪ RESPIRAZIONE ANAEROBIA, CHEMIOLITOTROFIA, FERMENTAZIONE, FOTOSINTESI……………………………………146

GENETICA E TASSONOMIA MICROBICA……………………………………………………156

▪ GENETICA BATTERICA………………………………………………………………………………………………….……………………………..156
▪ TASSONOMIA MICROBICA…………………………………………………………………………………………………………………………..163

MICRORGANISMI EUCARIOTI-FUNGHI………………………………………………………171

▪ EUCARIOTI- I FUNGHI………………………………………………………………………………………………………………………………….171
▪ MICELIO FUNGINO E FISIOLOGIA…………………………………………………………………………………………………………………180
▪ STATI NUTRIZIONALI DEI FUNGHI………………………………………………………………………………………………………………..189
▪ I PHYLA FUNGINI………………………………………………………………………………………………………………………………………….192

1
DISTRIBUZIONE DEGLI ORGANISMI, INTERAZIONI E CICLI BIOGEOCHIMICI..206

▪ DISTRIBUZIONE DEI MICRORGANISMI E BIOFILM…………………………………………………………………………………………206


▪ CICLI BIOGEOCHIMICI – CICLO DEL CARBONIO I…………………………………………………………………………………………..217
▪ CICLO DEL CARBONIO II – METANOGENESI………………………………………………………………………………………………….231
▪ CICLO DELL’AZOTO I – AZOTOFISSAZIONE……………………………………………………………………………………………………236
▪ CICLO DELL’AZOTO II……………………………………………………………………………………………………………………………………248

RIZOSFERA, PGPR, MICORRIZE E BIOFERTILIZZANTI………………………………..258

▪ RIZOSFERA E PGPR………………………………………………………………………………………………………………………………………258
▪ MICORRIZE E BIOFERTILIZZANTI…………………………………………………………………………………………………………………..267

LA FILLOSFERA………………………………………………………………………………………276

BIORISANAMENTO E COMPOSTAGGIO……………………………………………………..285

▪ BIORISANAMENTO E TRATTAMENTO ACQUE REFLUE…………………………………………………………………………………285


▪ IL COMPOSTAGGIO……………………………………………………………………………………………………………………………………..296

LA LOTTA BIOLOGICA……………………………………………………………………………..308

2
STORIA DELLA MICROBIOLOGIA
La Microbiologia è una scienza molto legata agli strumenti tecnologici a disposizione.
In passato, nonostante gli strumenti di osservazione odierni non fossero ancora stati
realizzati, alcuni studiosi ipotizzarono l’esistenza dei microrganismi ed il loro ruolo
nell’insorgere delle malattie prima ancora della loro scoperta (Lucrezio 98-55 A.C. e
il medico Girolamo Fracastoro 1478-1553) (Consapevolezza che le malattie erano
causate da organismi invisibili)

Robert Hooke descrive nel 1665 le


strutture fruttifere di funghi mediante il
primo microscopio

Teoria della “Generazione spontanea” (confutata):


Alcuni studiosi sostenevano che alcuni organismi viventi (es: insetti) potessero
nascere a partire dalla materia inanimata. Tuttavia, gli esperimenti di Francesco Redi
(1626-1697) dimostrarono che ciò non valeva per gli insetti. Successivamente
Spallanzani (1722-1799), e Pasteur (1822-1895) dimostrano che anche i
microrganismi non si generano spontaneamente dalla materia inanimata.
Si arrivò quindi alla conclusione che i microrganismi esistono e non si sviluppano da
materia inanimata ma derivano da microrganismi progenitori
Nel 1700 si conosceva l’esistenza dei “microbi” ma non erano chiare né le
caratteristiche né la terminologia per definirli (si riusciva ad osservarli, ma non
c’erano criteri di classificazione ecc.…)
Il primo ad osservare e descrivere un batterio fu l’olandese
Antony van Leeuwenhoek (1632-1723).
Diede loro il nome di “Animalcules”, e ne abbozzò l’aspetto→il
disegno riesce già a definire le diverse morfologie dei batteri,
riesce addirittura a vedere che possono muoversi.

Luis Pasteur (1822-1895) scopre l’esistenza della vita in assenza di ossigeno e gli
agenti responsabili di molte malattie. Inoltre, chiarisce che esistono molti tipi di
3
microbi, che si possono differenziare in base alla morfologia e alle attività
metaboliche (introduce il concetto di diversità microbica). Dimostra che tutte le
fermentazioni sono dovute all’attività di batteri e lieviti.
Ernst Haeckel (1834-1919) ritenne che i microrganismi dovessero essere assegnati
ad un nuovo regno (diverso da regno animale e vegetale), il regno dei Protisti.
(primo tentativo di classificazione)
Alla fine del XIX secolo nasce la Microbiologia ambientale (prima la Microbiologia
era praticamnete legata solo all’ambito medico). Sergei Winogradsky, autore del
testo “Soil Microbiology”, intorno al 1890 riuscì a far luce sul “mistero” della
nitrificazione (processo attraverso il quale l’ammoniaca-NH3- viene trasformata in
nitrato) su cui i chimici agrari avevano dibattuto per anni. Individuò che il processo
che porta l’ammoniaca ad essere trasformata in nitrato nei suoli agrari avviene in
due fasi compiute da due diversi gruppi di microrganismi. Scoprì inoltre la
chemioautotrofia e la degradazione anaerobica della cellulosa.
Si deve a M.W. Beijerinck (1851-1931) la scoperta dell’”azotofissazione”, processo
mediante il quale i batteri riescono a “fissare” l’azoto atmosferico N2. (convertono
l’azoto atmosferico in forma ammoniacale, utilizzabile dalle piante)
MICRORGANISMI e MALATTIE→Evidenza indiretta data dal lavoro del chirurgo
inglese Joseph Lister (1827-1912) sulla prevenzione delle infezioni delle ferite
chirurgiche (notò che molte ferite non guarivano a causa della presenza di
microrganismi)
Prima dimostrazione diretta→studio del CARBONCHIO (rapporto causale tra la
malattia e Bacillus anthracis) effettuato dal medico tedesco Robert Koch (1843-
1910)
Criterio sperimentale:
Nel 1876 coltiva Bacillus anthracis a partire da sangue di animali infetti e stabilisce
che i batteri sono sempre presenti nel sangue di animali malati.
Prova diretta:
contagia con materiale proveniente da topi infetti e isolamento del bacillo dalla
milza infetta – l’inoculo del bacillo nel topo sano provocava la malattia. (scopre il
legame che c’è tra agente di malattia e malattia)
Criterio sperimentale:

4
Koch utilizzò questo approccio per la prima volta durante i suoi studi sul carbonchio
ma formulò i suoi postulati quando pubblicò, nel 1884, i suoi studi sulla tubercolosi.
Nel 1905 premio Nobel per la Fisiologia e la Medicina per la scoperta di
Mycobacterium tuberculosis come agente causale della tubercolosi
Postulati di Koch: pietra miliare nella definizione del legame patologia-agente
eziologico (tuttavia non tutti li rispettano poiché alcuni organismi non possono
essere isolati in coltura pura, es. Mycobacterium leprae, agente eziologico della
lebbra)
POSTULATI di KOCH
I. un microrganismo deve essere presente in ogni caso di una determinata
malattia ed assente nei sani→ può essere confutato dalla presenza di
portatori sani, scoperti però più avanti
II. I microrganismi sospetti devono poter essere isolati dall’ospite colpito da
quell’infezione e fatti crescere in coltura pura (anche se molto spesso si
presentano enormi difficoltà)
III. Inoculando una coltura pura del microrganismo in un organismo sano si
deve riprodurre la malattia specifica (stessi sintomi e stessa malattia)
IV. Dall’ospite infettato deve essere possibile isolare nuovamente il
microrganismo

Secolo XX prima parte (1900-1960):

Alexander Fleming nel 1928 scoprì la penicillina,


primo antibiotico noto all’uomo, prodotta da
Penicillium notatum (dimenticò la piastra Petri
aperta per sbaglio, assieme allo stafilococco
presente si sviluppò anche una colonia di
penicillium notatum che non faceva crescere bene
lo staphylococcus aureus perché produceva
penicillina).

Un’altra scoperta molto importante di questi anni è quella della prima portatrice
sana (una cuoca che aveva contratto il tifo, ma non ne mostrava i sintomi)
(confutato così il postulato di Koch)
5
Altre scoperte:
1915→I batteri possono essere colpiti da virus (chiamati batteriofagi)
Chaim Weizman (1874-1952) scopre processo fermentativo per produrre acetone
(impiegato nella produzione di esplosivi) ad opera di Clostridium acetobutylicum.
Dichiarazione Balfour (1917). Il governo britannico si esprime in favore della
creazione di un territorio ebraico in Palestina
1923→David Hendrikus Bergey diede vita al primo testo organico in cui venivano
descritti e riuniti in specie, generi e famiglie (in base a caratteri fenotipici) tutti i
batteri conosciuti: Bergey’s Manual of Determinative Bacteriology
1928→Federick Griffith osserva che alcuni batteri possono “trasformarsi” cioè
acquisire nuovi caratteri. Anni dopo il fenomeno viene chiarito e definito
“ricombinazione genetica”.
1931→Viene inventato il microscopio a trasmissione. Si conferma che esistono due
tipi diversi di cellule: dotate di nucleo (eucarioti) e sprovviste (procarioti). I batteri
sono procarioti
Secolo XX seconda parte:
1951→Scoperta struttura proteine
1953→Scoperta struttura doppia elica DNA
A partire dal 1960→Procedure per determinare la composizione in basi azotate
(%GC) e grado di similarità (%omologia) DNA/DNA (ereditarietà legata al DNA)
Possibilità di discriminare ceppi e specie batteriche stabilendo posizione filogenetica
(Bergey’s Manual Systematics) (Adattamento della sistematica alle nuove
conoscenze, basate sulla struttura e sequenza DNA)
Scoperta dei meccanismi di riparazione del DNA
Scoperta dei plasmidi
1993→Chiarimento del meccanismo di replicazione del DNA e scoperta/invenzione
della PCR (Reazione a catena della Polimerasi) ad opera di Kary Mullis.

6
CARATTERISTICHE DEI MICRORGANISMI
La Microbiologia studia i microrganismi→organismi, anche molto diversi tra loro,
aventi dimensioni minori di 0,1 mm (e per questo non visibili ad occhio nudo)
Esistono diverse tecniche e strumenti per osservarli:
• Microscopia→ ci sono microscopi più semplici o più complessi e precisi, in
generale questo strumento consente di studiare le cellule in termini di
morfologia.
• Isolamento e coltura→si tratta di una tecnica utilizzata per far crescere e
moltiplicare i microrganismi, in modo tale da favorirne lo studio.
• Metodi di coltura indipendenti→processo utilizzato per poter studiare in
modo preciso l’informazione genetica contenuta nei microrganismi (es: analisi
del DNA)
La maggior parte degli esseri viventi presenti sulla Terra sono microrganismi.
Essi costituiscono la quantità di “Biomassa” più elevata sulla Terra→L’intera
popolazione microbica racchiude il 50% del C e il 90% dell’N di origine biologica.

Ambiti di studio della Microbiologia:


• Agricoltura→Comprensione di come i microrganismi possano contribuire al
biorisanamento ed alla fertilità dei suoli.
• Energia→ Produzione di energia a partire dai microrganismi (es:
metanogenesi).
• Alimenti→Produzione di alimenti grazie ai meccanismi microbici (es:
fermentazione per vino) e studio delle alterazioni degli alimenti (es:
ammuffimento, carne avariata, decomposizione).
• Medicina→ Studio dei microrganismi come agenti patogeni, e studio del
microbioma umano ed animale, aspetto importante per la cura e la
prevenzione delle malattie.
Ecosistemi microbici→Sistemi naturali in cui si sviluppano e crescono i
microrganismi
• Oceani, acque dolci, ghiacciai, fonti geotermali
• Suolo, sottosuolo, sedimenti
• Piante, animali
• Alimenti
7
I microrganismi possono anche essere presenti in ecosistemi “creati” da organismi
superiori, come piante ed animali, con cui vivono in simbiosi, oppure infettano
comportandosi da agenti patogeni.
Sul nostro pianeta non esistono ecosistemi sterili.
Esempi di effetti portati dai microrganismi:
Alterazione fogliare data da azione
microbica→ data da patologia vegetale
Campo di mais→ci fa capire quanto sia
importante la fertilità biologica del suolo,
per un’efficiente produzione agricola
Vino→evocativo di alimenti prodotti
mediante processi microbiologici
Muffa→alterazione di un alimento
dannosa data da un organismo fungino
Microrganismi del suolo:
Il suolo è il substrato su cui crescono le piante, alcune stime recenti mostrano che
fino a 10000 km/m2 di ife fungine (strutture che contengono il citoplasma dei funghi
pluricellulari, vanno a colonizzare una parte molto importante del suolo→es: funghi
micorrizici) possono essere presenti su suolo fertile.
Nel suolo è presente moltissima biomassa (1 miliardo di batteri/ g di suolo) con un
elevato grado di diversità (fino a 1000 specie diverse)
In che modo favoriscono la produzione vegetale?
• Fissando l’azoto per mezzo dell’azotofissazione
• Rendendo disponibili in forma solubile, nutrienti necessari alla pianta
• Favorendo l’assorbimento di acqua da parte della pianta (es: funghi
micorrizici)
• Producendo ormoni che inducono la crescita e riducono lo stress dato dalle
condizioni ambientali e dagli agenti patogeni
Compostaggio (esempio di trasformazione agraria ad opera dei microrganismi):
Degradazione di matrici organiche per
produrre ammendante che può favorire
la fertilità dei suoli.
8
Biorisanamenti:
Tecniche anche molto diverse tra loro, che
sfruttano organismi (batteri, funghi o piante)
per trattare matrici inquinate. (immagini→
campionamento di un sito inquinato, schema di
un impianto di fitodepurazione dell’acqua,
biorisanamento di rifiuti tossici industriali)

Ogni organismo in un ecosistema interagisce con le componenti del sistema, ed in


alcuni casi modifica profondamente le caratteristiche dell’ecosistema stesso.
Tutti i microrganismi svolgono attività metaboliche→ Influenza sulle caratteristiche
fisico-chimiche degli ecosistemi (sistemi dati dall’interazione di componenti
abiotiche e biotiche)
Peculiarità del mondo dei microrganismi:
• Crescita e sviluppo rapidi in condizioni ottimali (es: E. coli raddoppia in
numero le cellule ogni 20 minuti) (molto più rapida di cellule più complesse)
• Estremofilia (i procarioti possono svilupparsi in ecosistemi così estremi da non
consentire lo sviluppo di altri organismi -es: temperature molto elevate o
molto basse, PH molto basso o molto alto)
• Anaerobiosi (alcuni procarioti e funghi possono svilupparsi in ambienti privi di
ossigeno)
• Diversità metabolica (nel mondo dei procarioti ci sono molti metabolismi
diversi, mentre in quello degli eucarioti sono tutti più o meno simili)
• Alcune reazioni sono esclusivamente microbiche (es fissazione Azoto) (l’uomo
le può sfruttare a suo vantaggio)
Esempi di impatti di microrganismi su vari ecosistemi:
Moltiplicazione eccessiva di alghe e
cianobatteri (contengono clorofilla),
conseguenza di eutrofizzazione.
Le saline si possono colorare di rosso (per le
stesse ragioni e modalità precedenti), anche
la neve può colorarsi di rosso, a causa di
un’alga che vive a temperature vicine allo 0.

9
Gli organismi modello per le cellule microbiche sono:
• Saccharomyces cerevisiae (Eucarioti)→ è uno lievito, appartiene ai funghi,
molte delle scoperte che hanno portato a conoscenze sulle cellule umane
sono state possibili grazie ad esso. (è infatti una cellula simile a quella umana)
• Escherichia coli (Procarioti)→ molto facile da trovare in natura e da coltivare
in laboratorio.
Il mondo microbico è vasto e diversificato→conseguenza della pressione selettiva
(adattamento all’ambiente ed ai nutrienti disponibili) (i microrganismi subiscono il
fenomeno della pressione selettiva in modo molto più marcato rispetto agli
organismi superiori, poiché si moltiplicano molto più velocemente)
Mutazioni e scambi di DNA→ Mutano sia casualmente, sia perché sono in grado di
scambiarsi DNA con altre specie, anche molto diverse.
Ci sono quattro livelli di diversità:
• Diversità genetica
• Diversità morfologica
• Diversità metabolica
• Diversità fisiologica
Quindi possiamo avere organismi che sono vicini geneticamente ma diversi
morfologicamente. Batteri che fisiologicamente hanno stesse funzioni ma magari
sono diversi geneticamente. Questi 4 livelli di diversità sono quindi da considerare in
maniera separata, mentre di solito abbiamo piante simili che hanno ciclo simile,
animali simili dal punto di vista delle specie che occupano zone simili, ma
soprattutto per i procarioti, la situazione è molto più complessa
I microrganismi possono essere suddivisi in:
• Procarioti→cellule prive di un vero e proprio nucleo (dal greco pro, prima, e
karyon, nucleo).

Si suddividono in Archaea e Bacteria (entrambi


procarioti ma due tipi di cellule evolutivamente
distanti), sono molto piccoli e con morfologie diverse
tra loro.
Hanno caratteristiche simili.

10
• Eucarioti→cellule dotate di un vero nucleo – dal greco eu, vero, e karyon,
nucleo.

Funghi→ sia pluricellulari (es: corpi fruttiferi-


prima immagine-) che unicellulari come
nell’ultima immagine(lieviti)

Alghe→ svolgono la fotosintesi ed hanno


morfologie particolari, la colorazione varia a
seconda dei pigmenti presenti.
Protozoi→ esseri più vicini agli animali, o
unicellulari o pluricellulari, sono organismi
parassiti o predatori di batteri.

• Virus→ Hanno tassonomia e classificazione propria, vengono considerati


microrganismi distinti.
Non possono moltiplicarsi autonomamente, ma hanno
bisogno di cellule ospiti, di solito contengono RNA o DNA,
sono racchiusi da materiale proteico (in genere infettano
l’ospite, sfruttandolo si moltiplicano, e successivamente
infettano altri)
Differenze tra eucarioti e procarioti:

I procarioti hanno cellula molto più semplice, principalmente possiedono solo


materiale genetico, ribosomi e plasmidi. Gli eucarioti hanno il nucleo, i lisosomi, il
reticolo endoplasmatico, l’apparato di Golgi ed i mitocondri (i mitocondri sono il sito
della respirazione cellulare (serve per produrre ATP e quindi energia) (nei procarioti i
processi della respirazione sono eseguiti sulla membrana cellulare)
11
Le funzioni svolte dagli organelli nella cellula eucariotica, nei procarioti vengono
svolte nel citoplasma oppure sulla membrana.
Gli eucarioti hanno differenziato varie strutture e sviluppato vari organelli per ogni
funzione.
Il citoplasma ha struttura molto semplice nei procarioti, è invece più complesso negli
eucarioti
La cellula procariotica presenta citoplasma
indifferenziato con visibile solo il materiale
genetico.
La cellula eucariotica è molto più complessa (è
un’alga), abbiamo un nucleo e differenze a livello di citoplasma (presenza di
organelli)
Tabella che elenca le principali differenze tra eucarioti e procarioti: (guardare bene!)

differenza dimensionale→ in generale i procarioti sono più piccoli.


Albero filogenetico della vita→ costruito andando
a confrontare il DNA di eucarioti, Archaea e
Bacteria (procarioti)
Il Tronco (tratto nero) rappresenta il progenitore
comune, prima cellula ancestrale che ha dato
origine alle altre (che si sono poi differenziate in
modi diversi)
Archaea e Bacteria nonostante siano simili ed entrambi attribuiti ai procarioti,
evolutivamente parlando sono distinti (rami diversi). Ad un certo punto dallo stesso

12
ramo degli Archaea si sono formati gli eucarioti, ciò indica che hanno alcuni aspetti
in comune nonostante apparentemente sembrino molto diversi.
Il termine “Procariota” non ha significato filogenetico, ma serve solo per
differenziare le cellule più semplici da quelle più complesse, infatti batteri ed archea
sono molto diversi.
Gli eucarioti racchiudono una diversità molto piccola, infatti sebbene gli animali
sembrerebbero essere molto differenti da funghi e piante, dal punto di vista
evolutivo sono in realtà simili.
I batteri invece, si evolvono molto più velocemente.
Differenze tra batteri ed Archaea:
• Differiscono per le proprietà chimiche della parete cellulare e della membrana
cellulare (la membrana degli Archaea è un po’ più simile a quella degli
eucarioti)
• I Bacteria sono sensibili agli antibiotici, gli Archaea sono resistenti a molti di
essi
• Gli enzimi che sintetizzano per proteine e acidi nucleici degli Archaea sono
simili a quelli degli Eucarioti
• I Bacteria comprendono patogeni di animali e piante, non così gli Archaea
• Gli Archaea tipici sono termofili estremi e produttori di metano (estremofili)
Processo evolutivo:
Quest’immagine rappresenta una scansione del
processo evolutivo, dalla prima cellula esistente alla
specie degli ominidi. I procarioti sono gli antenati di
tutte le altre forme di vita (tutti gli eucarioti, dai
semplici lieviti e alghe all’uomo derivano da
progenitori procariotici). La prima cellula era
anaerobica (l’ossigeno sulla Terra non era ancora
presente), dopodiché comparvero le prime cellule
batteriche anossigeniche (attuavano un tipo di
fotosintesi che non produceva ossigeno ma solo sostanze organiche).
Successivamente comparvero i cianobatteri ossigenici, che producevano ossigeno
assieme al meccanismo fotosintetico, conseguentemente arrivarono i batteri capaci
di respirazione aerobica e poi ancora i batteri denitrificanti e nitrificanti (in generale
batteri che hanno modificato l’assetto nutrizionale dell’intero ecosistema). Infine,
comparvero le prime cellule eucariotiche unicellulari, e poi organismi pluricellulari
13
sempre più complessi ed evoluti.
In generale si può quindi dire che i procarioti hanno una storia molto più lunga degli
eucarioti, ed in questa storia molto lunga si sono evoluti in modi diversi,
mantenendo pur sempre una certa semplicità cellulare, portando però anche
un’importante diversità metabolica, morfologica e fisiologica molto più importante
rispetto agli eucarioti che hanno storia molto più recente.
I procarioti che sono gli antenati di tutte le forme di vita, hanno anche contribuito
all’evoluzione degli eucarioti, perché alcune strutture all’interno degli eucarioti (es:
mitocondri e cloroplasti) derivano da endosimbiosi da parte dei procarioti:
Ad un certo punto dell’evoluzione degli eucarioti c’è
stato fenomeno di endosimbiosi dove dei batteri si
sono uniti alla linea nucleare (che poi sarebbe
diventata quella odierna) entrando nella cellula che
stava diventando eucariotica, hanno conferito diverse
caratteristiche:
• Confinare respirazione microbica→formato
mitocondri
• Conferire abilità fotosintetica→formato cloroplasti.
Il DNA all’interno dei cloroplasti e dei mitocondri è infatti simile rispettivamente a
quello dei cianobatteri ed a quello di Rizobium.

14
LE MACROMOLECOLE

• Le proteine sono diffuse in tutta la cellula


• Gli acidi nucleici contengono l’informazione genetica e si trovano
principalmente nel citoplasma
• I Lipidi si trovano nella membrana oppure vengono stoccati come riserva
• I polisaccaridi si trovano nella membrana oppure vengono stoccati come
riserva
Le proteine (nome deriva da proteos→ significa “che occupa il primo posto”,
costituiscono infatti da sole il 50% della sostanza secca della cellula) sono costituite
da catene di amminoacidi, ed in base al loro numero si distinguono in:
• Oligopeptidi con meno di 10 amminoacidi
• Polipeptidi tra 10-50 amminoacidi
• Proteine con più di 50 amminoacidi
Esistono tra 1012 e 1013 proteine diverse.
Possono esercitare diverse funzioni→ trasporto (dentro e fuori la cellula di
sostanze), catalizzatrice (enzimi) (importanti per far avvenire le reazioni), struttura,
ormonale...ed altre ancora.
Ogni amminoacido è composto da un carbonio centrale detto
“Carbonio alpha” a cui sono legati un Gruppo amminico
(NH2), un gruppo carbossilico (COOH), un idrogeno ed una
catena “R”. La catena R è diversa per ogni amminoacido. (ad
esempio, l’alanina presenta un gruppo metile CH3)

15
Gli amminoacidi che possono comporre le
proteine sono 20→ in quest’immagine sono
raggruppati in base alle caratteristiche chimiche
della catena R (leggi bene le categorie). Le
molecole possono essere cariche (positivamente o
negativamente) oppure non cariche. Lo stato di
carica dipende dal livello del PH (nell’immagine
qui a fianco si presuppone PH=7):
• A PH<7 il gruppo amminico è carico, mentre il
gruppo carbossilico è neutro.
• A PH=7 la carica è definita dal gruppo
amminico e dal gruppo carbossilico.
• A PH>7 il gruppo amminico è neutro ed il
gruppo carbossilico è carico.
Ciò andrà poi di conseguenza anche per le catene
polari.
Un aspetto determinante per le proteine è come sono legati gli amminoacidi che le
compongono, per questo è molto importante la loro struttura:
• Struttura primaria→ si riferisce alla sequenza degli amminoacidi che
compongono la proteina.
Legame instaurato tra di essi è il legame peptidico→
legame tra l’azoto del gruppo amminico di un
amminoacido ed il carbonio del gruppo carbossilico
dell’altro (durante il processo viene rilasciata una
molecola di H2O)
Esempio:
Nel legame sono coinvolti sempre il gruppo
carbossilico ed il gruppo amminico (e viene
rilasciata una molecola di H2O)→ in questo caso si
forma un dipeptide tra la glicina e l’alanina.

16
Esempio:
In questo caso si forma una catena
polipeptidica→ sono coinvolti 5 amminoacidi
e si formano 4 legami peptidici, nella catena
ci sarà un’estremità ammino-terminale ed
un’estremità carbossi-terminale (ciò ci indica
la direzione della sequenza proteica).
• Struttura secondaria→ riguarda una prima organizzazione tridimensionale
della catena amminoacidica.
α-elica→ la struttura è ad
elica, il carbonio centrale è lo
scheletro di questa, e le
catene R vanno a disporsi
esternamente all’elica stessa.
Β-foglietto→ le catene
amminoacidiche si
dispongono planarmente su
un foglietto piegato,
mantenendo una struttura
che viene stabilizzata da
legami deboli che si
instaurano tra catene diverse
che formano una struttura
denominata “beta foglietto”.
• Struttura terziaria→ Ulteriore disposizione tridimensionale oltre la secondaria
che va a rendere la molecola compatta ed organizzata (è la modalità con cui le
proteine si dispongono tridimensionalmente, andando ad assumere
morfologia e struttura utile al loro funzionamento)
Giallo→frammenti a β-foglietto.
Rosso→frammenti a α-elica.
Verde→frammenti che non si dispongono né a α-elica
né a β-foglietto, rimangono semplicemente una
struttura meno organizzata.
Queste 3 tipologie si ripiegano ed organizzano per
formare la proteina.

17
La struttura terziaria dipende dalle catene R degli Amminoacidi che compongono la
proteina.

Blu→ rappresenta i carboni alpha ed i legami


peptidici.
Le catene R sporgono dalla catena peptidica
primaria, queste si relazionano stabilizzando e
compattando la struttura terziaria

Le stabilizzazioni sono sostanzialmente conseguenza di legami deboli:


-Legami idrogeno
-Ponti salini (legame tra cariche opposte)
-Ponte disolfuro→ unico legame di tipo covalente, si crea quando due proteine
aventi due catene R contenenti zolfo vanno a formare un legame covalente (vedi
immagine)
-Van Der Waals
-Idratazione
A partire dalla struttura primaria con singoli
amminoacidi possiamo passare alla secondaria
con α-elica o β-foglietto e poi arrivare alla
terziaria. Una proteina che non ha la corretta
struttura terziaria per una data funzione, non
sarà in grado di esercitarla.

• Struttura quaternaria→ Organizzazione tridimensionale di più subunità


proteiche. Questo tipo di struttura non è applicabile a tutte le proteine,
poiché non tutte sono costituite da più subunità proteiche (alcune “si
fermano” alla struttura terziaria, poiché formate da una sola subunità).
Diversi frammenti proteici si organizzano nello spazio
tridimensionalmente con legami deboli. (es di proteina con
struttura quaternaria è l’emoglobina)

18
Denaturazione delle proteine→riguarda sempre la perdita della struttura dalla
quaternaria alla secondaria (la struttura primaria di solito non viene intaccata: è
molto difficile che una proteina rompa il legame peptidico, è un legame molto forte,
che, seppur semplice, ha quasi la forza di un doppio legame).
Perdendo le sue strutture superiori, la proteina non “funzionerà” più. Può succedere
che la proteina possa rinaturarsi se non denaturata troppo e non per lungo tempo.
Le cause della denaturazione possono essere ad esempio il PH, oppure la
temperatura.
Ogni proteina si è evoluta per avere le sue strutture superiori “intatte” in un
determinato range di temperatura (per alcuni batteri la temperatura ottimale è
70°C, proprio perché per le proteine rappresenta la condizione ottimale di
funzionamento)

In questo esempio la proteina perde la sua


struttura terziaria e rimane solo più la primaria.
Seppur chimicamente non ci sia differenza, la
proteina denaturata non funzionerà più.

CARBOIDRATI E POLISACCARIDI
I polisaccaridi sono catene di carboidrati (o glucidi, “carboidrati” significa “idrati del
carbonio”).
Sono formati da atomi di C, H ed O→ Formula generale CX(H2O)Y
I gruppi funzionali presenti solo il gruppo -OH e -C=O (carbossilico)

I carboidrati vengono utilizzati dalla cellula come riserva, oppure vengono prodotti
esternamente con funzione di protezione.

19
Possono essere molto diversi tra loro perché
possono avere diverso numero di atomi di
carbonio (es pentosi ed esosi).
Esempi di carboidrati:
• Ribosio e Desossiribosio costituiscono RNA e
DNA→sono praticamente identici, la differenza è
che nel desossiribosio abbiamo un OH, mentre
nell’altro nella stessa posizione c’è un H.
• Glucosio→ è uno zucchero a 6 atomi di
carbonio, è un esempio di fonte di energia
cellulare.
N-acetilglucosammina→ entra a far parte della
parete batterica, è simile al glucosio (è un
esoso), si chiama n-acetil perché ha un gruppo
acetile.

A seconda dei numeri di unità che le compongono, le catene di carboidrati


assumono diversi nomi:
• Monosaccaridi→ 1 unità
• Disaccaridi→ 2 unità
• Oligosaccaridi→ 2-10 unità
• Polisaccaridi→ + di 10 unità (es: cellulosa, l’amido e la chitina)
Legame glicosidico→ alcuni polimeri vengono usati
diversamente dai microrganismi, nonostante siano
composti tutti da glucosio, perché glucosio nei diversi
polimeri può essere legato in modi diversi:
• Conformazione α→ atomi disposti
tridimensionalmente dallo stesso lato dell’anello
• Conformazione β→atomi disposti su lati diversi
rispetto al piano dell’anello

20
Es:
Legame α, 1-4→ chiamato alpha perché gli H nel legame stanno dalla stessa parte,
1-4 significa che il legame è tra il C 1 di una molecola ed il C 4 dell’altra.
Legame β, 1-4→ chiamato beta perché gli atomi coinvolti stanno su piani opposti
rispetto al piano molecolare.
Il fatto di avere legami diversi ha come conseguenza un differente utilizzo delle
molecole.
Esempio di catene uguali ma con legami diversi:
• Amido→ energia per il nostro organismo
• Glicogeno→ riserva per il nostro organismo
• Cellulosa→A fronte di una composizione identica, il
fatto che siano legate in modo diverso, fa su che non
tutti gli organismi possano utilizzare cellulosa come
energia (tendenzialmente comunque non tutti i
microrganismi possono degradare la cellulosa,
generalmente viene degradata con meno efficienza)
Classificazione dei polisaccaridi in base alla funzione:
• Peptidoglicano→ importante per la parete
cellulare dei batteri
• Complessi→ non sono costituiti dalla
ripetizione di stessi monosaccaridi, ma la
composizione è varia, si trovano nelle
mucillagini prodotte dalle cellule all’esterno
della parete per protezione.
• Esopolisaccaridi→ importanti nella
composizione di biofilm microbici

ACIDI NUCLEICI
Sono costituiti da catene di nucleotidi,
generalmente li troviamo nel nucleoide (nel
genoma microbico), li possiamo però trovare
anche nei ribosomi che sono costituiti da RNA
ribosomiale.

21
I nucleotidi sono costituiti da uno zucchero (per il
DNA è il deossiribosio, mentre per l’RNA è il
ribosio), da un gruppo fosfato e da una base
azotata. Ciò che differenzia i nucleotidi facenti
parte di una catena di DNA o di RNA è la base
azotata.
Le basi possono essere:
Pirimidiniche→ l’anello che le costituisce è
pirimidinico (citosina, timina ed uracile)
Puriniche→ sempre per la natura chimica
dell’anello che le costituisce (adenina e guanina)
Il DNA ha una struttura a doppia elica che è stabilizzata dai legami deboli che si
instaurano tra due eliche opposte, le basi azotate sono tra loro complementari.
Relazione timina-adenina stabilizzata da due
legami H
Relazione guanina-citosina stabilizzata da 3
legami H
Base purinica e base pirimidinica sono sempre
affacciate le une alle altre (timina od uracile -
se RNA- con adenina, citosina con guanina)
La catena di DNA, ma anche quella di RNA, è tenuta insieme da legame glicosidico
che tiene insieme le unità zuccherine.
Gli atomi di carbonio evidenziati sono quelli coinvolti nei
legami tra nucleotidi→ la catena di DNA è formata da
legami successivi tra diversi nucleotidi, dove carbonio 3 e
carbonio 5 sono coinvolti nel legame di due nucleotidi
successivi.

La struttura del DNA è a doppia elica, formata da due


filamenti costituiti dai nucleotidi (lo scheletro
dell’elica sono gli atomi di carbonio, mentre ad
affacciarsi ed a stabilizzarla ci sono coppie di basi
azotate). I due filamenti sono antiparalleli, se i
carboni coinvolti nel legame di uno sono in direzione
5I-3I, quelli dell’altro allora saranno in direzione 3I-5I.

22
Codice genetico→ relazione che esiste tra DNA e
proteine. Gli aminoacidi sono codificati da sequenze di
nucleotidi sul DNA, chiamate codoni (costituiti da 3
nucleotidi) (ad ogni codone corrisponde un aminoacido,
poi ci sono anche quelli di inizio e di stop che indicano
quando cominciare la trascrizione e quando fermarsi)
Viene quindi indicata la corretta sequenza di aminoacidi
da legare per formare la proteina (es TTT codifica per fenilalanina, CCT per la
prolina).
Il codice genetico si dice “degenerato”, perché più triplette di nucleotidi (codoni)
codificano per uno stesso aminoacido, questa è una ragione evolutiva che va a
proteggerci in caso di mutazioni puntiformi (se si scambia un nucleotide con un altro
c’è più probabilità che non cambi nulla, perché può darsi che l’aminoacido codificato
sia lo stesso)

LIPIDI

I lipidi sono una classe di molecole molto variegata,


solitamente ricoprono funzione di riserva e
protezione, sono molto importanti per le membrane.

Gli acidi grassi sono i componenti più importanti dei


lipidi→ saturi (solo legami singoli) od insaturi
Ciò che li differenza è il numero dei c ed il numero e
la posizione di eventuali doppi legami.

Fosfolipidi:
I fosfolipidi hanno tutti due catene di acidi grassi
legate ad un’unità di glicerolo che a sua volta è
legata ad un gruppo fosfato e poi ad una parte
“variabile” che in questo esempio è la serina, (ma
che può anche essere un’altra)

23
La parte conservata è quindi costituita dalle due catene di acidi grassi (tenute
insieme da legame estere) e dalla molecola di glicerolo ed il gruppo fosfato.
La natura delle componenti ci permette di differenziare una parte idrofila ed una
parte idrofobica (idrofobica→ formata da legami C-H che hanno distribuito in modo
uniforme la carica e quindi sono apolari. Idrofila→ per la presenza di un gruppo
fosfato che conferisce polarità.)
Testa polare→ data da insieme di glicerolo,
gruppo fosfato e parte variabile.
Code apolari→ costituite dagli acidi grassi
La presenza eventuale di un doppio legame
comporta un ripiegamento della coda, ed è
importante per regolare la fluidità e la viscosità
delle membrane. I microrganismi in base al
numero ed alla posizione dei doppi legami sulle
code dei fosfolipidi consentono alle membrane di funzionare bene anche a
temperature diverse.
(Il fatto che la presenza od assenza di doppi legami (quindi di insaturazioni) vada a
modulare la fluidità degli acidi grassi, è facilmente immaginabile osservando, ad
esempio, la differenza tra olio (acidi grassi insaturi) e burro (acidi grassi saturi), sono
ad un differente stadio alla medesima temperatura (uno solido ed uno liquido),
perché hanno legami diversi). Quando si sente parlare di acidi grassi saturi ed
insaturi è proprio dovuto alla presenza ed al numero di doppi legami sulle catene
degli acidi grassi.
Le teste dei fosfolipidi nelle membrane cellulari vanno sempre a disporsi con le teste
polari all’esterno ed all’interno della cellula (perché ci sono ambienti idrofilici, quindi
è presente acqua), mentre nell’interstrato abbiamo le catene apolari di acidi grassi,
più o meno piegate (in base alla presenza di doppi legami) e quindi più o meno
fluide (in ambiente idrofobico, no acqua).

24
LA CELLULA PROCARIOTICA
La cellula procariotica è molto più semplice di quella eucariotica:
• Nucleoide→ non è contenuto da una membrana
nucleare ma è un cromosoma super avvolto all’interno
del citoplasma.
• Ribosomi→ sede della sintesi proteica (rappresentati
dai puntini nel citoplasma)
• Membrana cellulare→ contiene il citoplasma
• Parete cellulare→ulteriore rivestimento, esterno alla
membrana
• Avvolgimenti, strati protettivi→sono in questo caso
rappresentati dalla capsula (ma possono essere anche
diversi)
• Pili e Flagelli→ hanno diverse funzioni
MORFOLOGIA DEI PROCARIOTI
Con il termine “morfologia” ci si riferisce sostanzialmente
alle dimensioni ed alla forma.
In ogni caso i procarioti hanno un rapporto superficie
volume più elevato degli eucarioti→ di conseguenza
attuano risposte molto più rapide ai cambiamenti
ambientali (la velocità di scambio è maggiore), perciò
crescono e si adattano molto più velocemente.
Le dimensioni sono sempre espresse in micron (µm)
Ci sono range dimensionali molto ampi→Diametro 0,1 – 8 µm, Lunghezza 3 – 10 µm
(queste cellule sono piccole, ma possono, nel loro ambito, essere molto diverse) (es:
escherichia coli è più grande di pasteurella tularensis).
In maniera teorica è stato determinato il limite inferiore di dimensione dei procarioti
(0,15 µm di diametro)→ oltre questa dimensione, le cellule non possono esistere
perché non ci sarebbe abbastanza spazio per contenere le strutture necessarie (es:
nucleoide e ribosomi) (si parla teoricamente perché a livello sperimentale non tutti i
batteri sono stati scoperti e non tutti i batteri scoperti sono coltivabili, tuttavia si è
comunque supposto che il limite possa essere questo).
Gli Archaea rientrano più o meno nelle stesse dimensioni, in genere comunque sono
più piccoli dei batteri→ solitamente dimensione inferiore al micron di diametro.
25
Esempio→Questo è il batterio più grande che sia stato
isolato (un decimo di millimetro), è molto grande perché si
riempie di vescicole che contengono materiale di riserva
per la cellula, nonostante sembrino diverse cellule vicine le
une alle altre, in realtà la cellula è singola (riempita di
sostanze di riserva che fanno sì che la cellula si rigonfi molto
e diventi molto grande).
In generale i batteri sono raggruppati in relativamente poche tipologie morfologiche
rispetto alla grande diversità che presentano in termini metabolici→ le cellule
batteriche possono essere classificate in termini morfologici solo in determinate
tipologie di morfologia.
Cause della forma di una cellula:
• Ottimizzazione dell’assimilazione dei nutrienti
• Per mobilità (in ambito di ambienti diversi)
Le cellule si sono evolute grazie alla pressione selettiva in determinati modi, la
Morfologia è geneticamente controllata→ evoluzione del batterio viene tramandata
geneticamente→ la cellula si è evoluta per massimizzare la “fitness” di una specie in
un determinato habitat.
La forma e la dimensione hanno molta importanza per le funzioni cellulari,
consentono alla cellula di moltiplicarsi ed assorbire nutrienti, ciò risulta nella
sopravvivenza e nell’adattamento di ciascuna specie a diversi habitat.
Per questa ragione, il nome di molti generi batterici, prende origine dalla forma delle
cellule o dalla forma che queste cellule vanno a creare quando formano aggregati
(pur comunque rimanendo microrganismi unicellulari indipendenti).
In molti casi ci sono state riclassificazioni→ si è scoperto che molti batteri che erano
stati definiti in un certo modo perché avevano forma molto simile, in realtà erano
geneticamente distanti (per questa ragione sono stati riclassificati).
La forma cellulare secondo la quale i batteri sono classificati è una semplificazione,
in molti casi infatti ci sono deviazioni rispetto al modello standard (es ci sono cellule
che si chiamano cocchi perché hanno forma sferica, questa può non essere
perfettamente sferica, tuttavia viene semplificata affigliandola alla morfologia
sferica).
La morfologia non è mai predittiva rispetto al metabolismo (dalla forma non
possiamo prevedere la funzione od il metabolismo – cellule morfologicamente
identiche possono avere metabolismo diverso-)

26
Esempio dei cocchi→ cellule sferiche, possono
non esserlo perfettamente, ma vengono
comunque chiamate cosi.
Possono aggregarsi in diversi modi→cellule
tondeggianti in fila od a coppie, oppure in una
disposizione più o meno ordinata. Il nome del
genere si riferisce alla morfologia (hanno cocco)
Diplococco→ coppie.
Streptococco→ cocchi formano catene.
Sarcina→ tetradi impaccate le une sulle altre.
Stafilococchi→ cocchi impacchettati gli uni su
gli altri ma in maniera più disordinata.

Immagine di cocchi al microscopio ottico colorati con la


colorazione di Gram.

Esempio della forma bastoncellare che possono assumere i batteri:


(Sx microscopio ottico, Dx microscopio elettronico)
Hanno forma allungata e molto regolare→ generi
che hanno questa forma sono Bacillus, Clostridium,
Lactobacillus ed Escherichia (in questo caso ci sono
generi che dal nome non aiutano a ricordare la
forma)
Forme batteriche meno regolari:

Vibrioni→ forma Spirilli→ forma a Spirochete→ si tratta di un


spirale molto bacillo un po' più
bastoncellare
assume aspetto regolare allungato, che però non è
ripiegato, un po' dritto, ed assume una
a virgola forma un po' più irregolare

27
Esistono poi delle eccezioni:
Batteri “pleomorfi”→ cambiano morfologia a seconda
delle condizioni in cui si trovano
Es: Corynebacterium
Nelle immagini al microscopio ottico viene posto in
ambienti con diversi nutrienti→ a seconda che si trovi in
ambienti differenti con nutrienti diversi, assume
morfologie differenti (da del tutto bastoncellare, ad una
praticamente sferica) (il batterio rimane comunque lo stesso)
Altri esempi di batteri che presentano differenze rispetto alla norma:
Gallionella ferruginea→ batterio responsabile di
una funzione ambientale→ ossidazione del
ferro. Caratteristica di avere attaccato alla
cellula dei filamenti (nell’immagine la cellula
non si vede, si vedono solo i filamenti), che
sono caratterizzati dalla formazione di questi granuli (Dx), che sono poi alla fine
ossidi di ferro (È presente nei corsi d’acqua ricchi di ferro in cui, per la sua presenza,
si forma una fanghiglia rossastra).
Genere Clostridium→ è un batterio sporigeno, la
produzione dell’endospora batterica in Clostridium (Sx
microscopio elettronico, Dx microscopio ottico) fa sì
che questa venga prodotta ad un apice cellulare,
andando a modificarne la morfologia, formando un
rigonfiamento terminale (quando produce l’endospora si modifica la morfologia che
ha di solito).
Archaea:
Gli Archaea hanno forme cellulari diverse da quelle dei
batteri→di solito hanno morfologie molto più irregolari.
Possono comunque avere forme regolari come i batteri
(A, si avvicina ai cocchi), ma troviamo anche morfologie
assolutamente irregolari (tutte le altre immagini).
La morfologia degli Archaea è meno conosciuta perché
sono una scoperta relativamente recente.

28
RIVESTIMENTI CELLULARI PROCARIOTCI
La membrana e la parete cellulare sono due strutture distinte con funzioni diverse.
I procarioti hanno un citoplasma molto semplice, le funzioni più importanti per la
cellula vengono svolte nella membrana (costituita da un doppio strato fosfolipidico e
ricca di proteine) e nella parete cellulare (mentre, per assolvere alle funzioni svolte
dalle proteine sulla membrana dei procarioti, gli eucarioti, che ne presentano una
minore varietà, svolgono le loro principali funzioni per mezzo di specifici organelli
presenti nel citoplasma).
La membrana cellulare eucariotica è anche costituita da steroli, che non sono invece
presenti in quella procariotica.
Funzioni della membrana cellulare nei procarioti:
• Confine→contenimento citoplasma
• Sede in cui la cellula regola gli scambi con
l’esterno→trasporto e secrezione delle molecole
• Funzione importante nei processi di divisione
cellulare (divisione della membrana della cellula
madre per formare le cellule figlie).
• Sede della fotosintesi e della respirazione
cellulare (produzione di energia) (negli eucarioti
queste funzioni vengono rispettivamente svolte
nei cloroplasti e nei mitocondri)
• Sede dei processi di sintesi per i componenti
cellulari.
Le membrane cellulari vengono definite “a mosaico fluido” perché i fosfolipidi e le
proteine che le costituiscono sono messi “a mosaico”, impaccati in una struttura
fluida (non “statica”)→la membrana funziona bene quando è al corretto stato di
fluidità (i procarioti mettono in atto meccanismi per regolarlo)
Nell’immagine viene rappresentata una membrana cellulare (spessore di circa 6-8
nm – visibile al microscopio ottico a trasmissione-) con proteine disposte a α-elica.
Funzioni principali della membrana cellulare:
• Regolazione degli scambi con l’ambiente.
• Omeostasi→ a prescindere dai cambiamenti esterni, la cellula grazie
all’omeostasi mantiene inalterato il suo contenuto (esempio: se cambia il PH
esterno, quello cellulare rimane comunque inalterato).

29
La membrana cellulare non protegge la cellula dalla lisi osmotica (ciò e svolto dalla
parete cellulare). Una cellula in cui la membrana è danneggiata e non funzionante
morirà ed andrà in lisi.
Modificazioni della membrana (in alcuni gruppi batterici -fotosintetici e nitrificanti-):
esempio: Cianobatteri (batteri che svolgono fotosintesi
ossigenica come le piante). Ci sono modificazioni della
membrana, come ad esempio i Tilacoidi→ derivano da
modificazioni della membrana che si sviluppano verso il
citoplasma (sono i sistemi di membrane su cui si depositano i
pigmenti per svolgere la fotosintesi ossigenica (in questo caso))
I procarioti possono regolare la fluidità della membrana:
La membrana cellulare dei procarioti è composta
principalmente da fosfolipidi, questi sulle catene di acidi
grassi possono presentare una o più insaturazioni (ciò
significa che possono presentare uno o più doppi legami-
anche sulla medesima catena-).
In generale i fosfolipidi delle membrane batteriche sono in maggioranza saturi, il
rapporto tra acidi grassi saturi ed insaturi contribuisce a regolare la fluidità della
membrana→ ogni tipo di doppio legame va nella direzione di maggiore fluidità,
mentre gli acidi grassi saturi sono quelli che invece vanno nella direzione di una
maggiore viscosità.
Oltre al numero ed alla posizione dei doppi legami,
un altro fattore che contribuisce a definire una
maggiore fluidità, è il fatto che questi doppi legami
abbiano un determinato tipo di isomeria→l’isomeria
cis dei doppi legami favorisce la fluidità della
membrana (questo per posizione ed assetto degli
atomi nel doppio legame, in un doppio legame cis il ripiegamento sarà maggiore,
quindi ci sarà maggiore fluidità).

Immagine riassuntiva→Acido grasso con coda


lipofila (quindi idrofobica), i doppi legami
influiscono sul ripiegamento della molecola.

30
Fattori esterni ambientali come la temperatura possono influire sulla viscosità o
fluidità della membrana→ l’abbassamento della temperatura aumenta la viscosità
(rende la membrana più solida), in questo caso la sintesi di acidi grassi insaturi, cioè
la produzione di doppi legami, fa sì che le membrane mantengano un corretto livello
di fluidità.
Allo stesso modo i procarioti possono:
• Accorciare/allungare acidi grassi
• Produrre Acidi grassi ramificati
• Introdurre/eliminare dei doppi legami
Gli enzimi dedicati alla produzione/eliminazione dei doppi legami per contrastare
l’eccessiva viscosità o fluidità, vengono definiti “Desaturasi”.
Membrana plasmatica degli Archaea:

• Doppio strato lipidico→ L’interstrato idrofilo/idrofobico è lo stesso dei batteri,


ciò che cambia è che mentre nei batteri abbiamo una testa idrofilica in cui al
glicerolo è legato l’acido grasso con legame estere, negli Archaea la parte
idrofobica è legata al glicerolo con un legame etere ed in più gli acidi grassi
non sono proprio degli acidi grassi, ma sono degli altri tipi di lipidi, chiamati
“terpeni” ( concettualmente comunque la cosa non cambia, perché anche
questi sono sempre idrofobici)
• Monostrato lipidico→Un'altra tipologia di membrana negli Archaea è quella
monostratificata costituita da tetraetere, non abbiamo più una soluzione di
continuità tra uno strato e l’altro, ma è unico, ossia non abbiamo due
fosfolipidi che si interfacciano, ma abbiamo due teste polari e due uniche
code apolari nell’interstrato (non abbiamo quindi due fosfolipidi che si
interfacciano, ma abbiamo un unico tetraetere che ha un polo della molecola
idrofilico verso l’interno ed un polo della molecola sempre idrofilico, verso
l’esterno).

31
Alcuni procarioti (batteri) chiamati “Tenericutes”, non presentano una vera e
propria parete cellulare (di solito deputata alla protezione della cellula)→nella
membrana presentano gli “opanoidi” che sono sempre appartenenti alla classe dei
lipidi, ma sono molecole molto più rigide, simili agli steroli, che svolgono un ruolo
importante nello stabilizzare la membrana e nell’adattamento a condizioni avverse,
(in batteri che non hanno una vera e propria parete).
Proteine di membrana:
•Proteine integrali di membrana
(transmembrana)→Attraversano la membrana e
solitamente, nell’interstrato, a contatto con le
catene di acidi grassi dei fosfolipidi, ci sono delle
porzioni (domini) a α-elica in cui le catene R
degli aminoacidi sono idrofobiche (idrofobico va
con idrofobico), mentre a contatto con il
citoplasma e l’ambiente esterno sono presenti
dei domini idrofilici (idrofilico va con idrofilico).
• Proteine ancorate alla membrana→direttamente ancorate (vengono definite
sempre proteine integrali di membrana?) (controlla)
• Proteine periferiche→Legate a proteine transmembrana.
La membrana cellulare gestisce l’ingresso e
l’uscita delle molecole, quelle che di solito
passano sono idrofobiche e molto piccole, quindi
per passare devono essere di dimensione ridotta
ed apolari (esempi: O2, CO2, N2, benzene).
A mano a mano che le molecole diventano più
grandi e più polari, la membrana fa da barriera
selettiva, quindi queste molecole non possono
entrare se non attraverso dei canali proteici,
perciò in particolare, per grandi molecole polari e ioni servono strutture che medino
il passaggio.
Il trasporto avviene attraverso specifiche proteine dotate di domini a α-elica (per
interazione con la parte idrofobica della membrana) e progettate per legare
determinati substrati e farli entrare/uscire.
Mentre il substrato passa attraverso la membrana, queste proteine possono
cambiare la loro conformazione.

32
Tipi di trasporto:
• Passivo (diffusione facilitata)→ le
molecole attraversano liberamente la
membrana, “con l’aiuto” di proteine
transmembrana, ma passano sempre
comunque secondo gradiente (ci può ad
esempio essere un gradiente chimico per
cui il soluto passa liberamente, come succede per il fenomeno della pressione
osmotica, l’acqua passa liberamente per andare ad equilibrare la
concentrazione di soluti -mediato dalle acquaporine-). La diffusione facilitata
si serve di canali ionici (sono sempre proteine) altamente specifici, si
riferiscono a ioni specifici (esempi: acquaporine, pompa sodio-potassio…)
in questo caso, la cellula non compie nessun lavoro e non c’è dispendio di
energia.
• Trasporto attivo→i soluti attraversano la membrana contro gradiente per
mezzo delle proteine transmembrana, ed in questo caso c’è dispendio di
energia.
Ci sono diversi tipi di trasporto attivo:
-Primario→ necessario che venga idrolizzato ATP
(molecola in cui risiede proprio l’energia), la cellula
spende ATP per far passare molecole all’interno od
all’esterno della cellula
-Secondario→ sfrutta il gradiente elettrochimico di
membrana, insieme alla molecola trasportata, passa
anche uno ione, si dice “simporto” se la molecola co-trasportata e lo ione
vanno nella stessa direzione, “antiporto” se vanno in direzioni opposte.
-Di gruppo→ insieme alla molecola trasportata, abbiamo anche il
trasferimento di un gruppo fosfato.

Parete cellulare
La parete cellulare è la struttura esterna alla membrana. Posseduta dalla maggior
parte dei procarioti (es: assente nei Tenericutes -o micoplasmi- che posseggono gli
opanoidi), nel caso dei batteri è la tipologia di parete che ci permette di distinguere i
Gram + ed i Gram- (due tipologie che differiscono per alcune caratteristiche della
parete, il nome è dato dalla differente colorazione che i batteri acquisiscono con la
colorazione di Gram).
33
Le funzioni principali della parete sono quelle di:
• protezione della cellula dai danni meccanici
• contrasto della pressione osmotica interna
I procarioti sono cellule singole, quindi a maggior ragione hanno la necessita di
proteggersi dagli stress esterni, questa funzione è svolta dalla parete.
La morfologia cellulare è data dalla parete (la forma es: cocchi, bastoncelli ecc…) se
venissero privati di parete tutti avrebbero la stessa forma.
La parete cellulare ha un’adeguata porosità per permettere il passaggio di molecole
(scambi), ma non le seleziona (non è una barriera selettiva).
La parete cellulare è una struttura elastica che permette alla cellula di crescere di
dimensioni quando necessario.
La parete cellulare dei procarioti contiene solitamente peptidoglicano (mureina), nel
caso di batteri, gli Archaea invece contengono pseudo-mureina (simile)
Esempio→Cellule di Bacillus (Dx) e parete cellulare priva del
suo contenuto (ottenuta con l’utilizzo di appositi enzimi)
(mantiene inalterata la sua forma) (Sx)

I batteri possono presentare due tipi di parete cellulare:


Gram+ e Gram- → chiamate cosi perché in base alle
differenze delle loro pareti, si colorano in modo
diverso con la colorazione di Gram (viola- + - o rosso-
rosati - - -), le differenze tra le pareti sono quelle che
di solito influiscono sull’efficacia degli antibiotici.
La membrana plasmatica (parte rossa) non fa
parte della parete cellulare, ne fa invece parte
tutto ciò che le è esterno.
• Gram +→ parete costituita unicamente da uno
strato abbastanza spesso di peptidoglicano.
• Gram-→ è presente uno spazio periplasmico,
con successivamente strato abbastanza sottile di
peptidoglicano ed una membrana esterna.

34
Peptidoglicano:
l’immagine rappresenta la struttura di base del
peptidoglicano→è il monomero del peptidoglicano,
(il peptidoglicano è fatto di tante ripetizioni di
questa unità).
Parte peptidica→costituita da aminoacidi (parte
fuori dal riquadro)
Parte glicanica→ parte zuccherina (leggi slide), i due
zuccheri sono legati insieme dal legame beta 1-4,
molto simile a quello della cellulosa, è infatti molto
difficile degradarlo (il legame) ( meno degradabile
dei legami alpha), non è quindi un caso che si trovi
nella parete cellulare
All’acido N-acetilmuramico è legata una coda di aminoacidi (definita “tetrapeptide“
perché costituito da quattro aminoacidi) (non bisogna ricordare la sequenza ed i
nomi).
Questa unità (si intende tutto il monomero) si ripete nello spazio, formando catene
tenute insieme da legami beta 1-4. Al NAM è sempre legata una catena
amminoacidica.
Due tetrapeptidi di due catene vicine si
legano insieme, andando a formare un
reticolo. Il peptidoglicano è come una
rete le cui maglie sono formate da una
catena di zuccheri e queste sono tenute
insieme da legami che intercorrono tra
le code amminoacidiche.
L’Immagine rappresenta il legame che
c’è (in questo caso mediato da 5 glicine,
caratteristica dei Gram+) tra due
tetrapeptidi attigui.
La parete cellulare non è vitale per le cellule procariotiche.
l’immagine mostra dei bacilli privati enzimaticamente delle
loro pareti, queste cellule sono mantenute in mezzo isotonico
(non c’è pressione osmotica, la concentrazione interna di
soluti è uguale a quella esterna, le cellule non sono quindi

35
sottoposte a stress osmotico e per questo rimangono vitali). Le cellule private della
parete cellulare vengono definite “protoplasti”.
Il legame peptidico è la ragione per cui la parete cellulare è cosi rigida e resistente
da proteggere la cellula dai danni osmotici.
Il legame peptidico è formato dal gruppo carbossilico e
dal gruppo amminico di due aminoacidi vicini (gruppi
“non usati” si legheranno poi anche ad altri -secondo lo
stesso principio- formando catene, osserva immagine)
Ciò avviene anche nei 4 aminoacidi unità fondamentale
del peptidoglicano.
Il legame peptidico è molto forte rispetto agli altri legami singoli, perché gli elettroni
che sono coinvolti nel doppio legame tra carbonio ed ossigeno, “saltellano” nel
legame tra carbonio ed azoto e si dice che siano “stabilizzati per risonanza”, in
pratica, gli elettroni che contribuiscono al doppio legame stabilizzano anche l’altro.
È un legame molto forte, rigido, attorno al quale gli atomi non possono ruotare.
La presenza di tanti legami peptidici a tenere e legare insieme i tetrapeptidi è ciò che
contribuisce alla resistenza e rigidità del peptidoglicano.

In questo caso è evidenziata la lisina (è vero che non è così importante la sequenza
del tetrapeptide, ma in alcuni punti chiave è necessaria la presenza di un certo tipo
di aminoacido) che è coinvolta in 3 legami peptidici (uno con il glutammato, uno con
un’alanina ed uno con la glicina), l’importante è che gli aminoacidi messi in questa
posizione siano in grado di formare 3 legami peptidici (uno con il gruppo
carbossilico, l’altro con il gruppo amminico e l’altro con la catena R) (all’incrocio
sono presenti solitamente aminoacidi con questa caratteristica) (l’acido
diaminopimelico può addirittura formare 4 legami peptidici) ( perché la catena R
formi legami peptidici, essa deve possedere ovviamente od un gruppo amminico od
un gruppo carbossilico, può comunque anche avere entrambi)

36
5 glicine che “mediano” il legame→ presenti solamente nel caso
dei Gram +, nel caso dei Gram - due catene sono tenute insieme
da legame diretto
(la “riga” fra pallina verde e pallina rossa rappresenta il
legame beta tra zuccheri). Il fatto che il legame nei
Gram + sia mediato da 5 glicine significa che ci sono più
legami peptidici rispetto ai Gram -, per questo il loro
peptidoglicano è più resistente.

Nei Gram – abbiamo un solo strato di peptidoglicano e


poi una membrana esterna.
Il peptidoglicano dei Gram+, oltre che essere più
resistente, è anche più stratificato.
Nei Gram + abbiamo anche delle componenti che si
aggiungono al peptidoglicano pluristratificato, che
sono gli acidi teicoici (serve per stabilizzare
ulteriormente il peptidoglicano della parete) e gli acidi
lipoteicoici (si chiamano così perché hanno una parte
lipidica che interagisce con la parte lipidica della
membrana, andando ad ancorarci la parete).

Gli acidi teicoici sono solitamente polimeri di ribitolo fosfato o glicerolo fosfato
legati a polimeri di residui glicosidici e di alanina (Verde→ ribitolo fosfato,
Rosso→glicerolo fosfato). Le composizioni possono variare a seconda dei ceppi
batterici, delle specie batteriche dei Gram +.

37
Il lipoteicoico rispetto al teicoico ha semplicemente in più la parte idrofobica che va
ad ancorarsi alla membrana.
Gram-
Gram - → il peptidoglicano è fatto nello stesso
modo rispetto ai Gram + ma è più sottile e non
c’è la pentaglicina, ma il legame è diretto tra i
tetrapeptidi. In più nei Gram – c’è una membrana
esterna, che però è molto meno selettiva rispetto
a quella interna.
Questa membrana ha anche strutture che in quella interna solitamente non ci
sono→ lipopolisaccaridi e lipoproteine (servono per legare questa membrana al
peptidoglicano).
Il lipopolisaccaride è una struttura formata da una parte lipidica e da una parte
polisaccaridica:
Lipide A (parte lipidica)→ simile alla parte lipidica dei
fosfolipidi→ parte idrofilica e code di acidi grassi
(struttura simile a quella dei fosfolipidi).
Polisaccaride del core→attaccata alla testa polare,
verso l’esterno della cellula abbiamo prima un
polisaccaride, una sequenza di zuccheri.
(entrambe queste parti sono abbastanza costanti tra
tipi di batteri diversi)
La composizione di una parte di questo polisaccaride (che è sempre costituita da
zuccheri) dipende dal ceppo batterico (all’interno delle specie noi possiamo avere
diversi ceppi batterici ed è proprio questa una differenza tra ceppi diversi, cambia la
parte terminale del lipopolisaccaride).
Immagine sempre riferita alla membrana
esterna dei Gram- →ci sono porine (proteine
che consentono il passaggio di soluti – sempre
comunque meno selettive della membrana
interna-), polisaccaridi che protrudono verso
l’esterno (sono attaccati alla parte lipidica
delle LPS) e le “lipoproteine” che sono
connesse al peptidoglicano per ancorare la
membrana esterna al peptidoglicano stesso

38
La colorazione di Gram è necessaria, perché al
microscopio ottico i batteri sono troppo piccoli per essere
osservati, quindi bisogna colorali (Gram + sono viola,
Gram – sono rosso-rosati) (utile per osservare la
morfologia che senno non sarebbe visibile)
Colorazione di Gram, passaggi:
Si prepara un vetrino con una sospensione di
cellule e si aggiunge il “cristalvioletto” (anche
detto colorante di Gram).
Il cristalvioletto è solubile, perciò entra nelle
cellule, nel citoplasma, ed agisce per circa un
minuto. Poi si aggiunge il “mordente” (ioduro di
potassio), serve per rendere insolubile il
cristalvioletto, che quindi precipita nella cellula e
diventa insolubile (anche in questo caso se
andassimo ad osservare le cellule sarebbero comunque entrambe colorate di viola
come il cristalvioletto)
Decolorazione→ si aggiunge al vetrino l’alcool che va a solubilizzare la membrana
esterna dei Gram-, questi hanno un peptidoglicano troppo sottile, per cui, grazie al
fatto che l’alcool ha solubilizzato la membrana, e per il fatto che il peptidoglicano è
molto sottile, l’alcol lava via il cristalvioletto.
L’alcool non riesce a fare ciò con i Gram +, perché il cristalvioletto è insolubile ed il
peptidoglicano è molto più stratificato e fitto.
A questo punto avremmo i Gram – trasparenti ed i Gram + colorati.
Come ultimo passaggio, si aggiunge un colorante, chiamato “safranina” (deriva dal
pigmento dello zafferano) che va a colorare di rosa i Gram –.
A questo punto i Gram + saranno viola, mentre i Gram – saranno rosa.
Si può quindi dedurre che i batteri acquistino colorazioni diverse per ragioni legate
alla loro composizione.
Parete cellulare degli Archaea
La parete cellulare degli Archaea viene definita
“pseudomureina” (Mureina= peptidoglicano dei batteri).
In questa immagine è sempre rappresentata l’unità di base, che
poi va ripetersi nello spazio, in questo caso mediante legami
glicosidici che vanno a legare insieme la parte glicosidica e
legami peptidici che vanno a legare insieme le code peptidiche.

39
La pseudomureina è un po’ diversa in termini di composizione (rispetto alla mureina
dei batteri), abbiamo sempre l’N-acetilglucosammina ma non abbiamo più l’acido N-
acetilmuramico, ma abbiamo l’acido N-acetiltalosaminuronico (che è diverso
dall’acido N-acetilmuramico).
L’altra differenza rispetto alla mureina, è che non abbiamo un legame β-1,4 , ma un
legame β-1,3 , sono quindi coinvolti atomi di carbonio diversi.
All’acido N-acetiltalosaminuronico abbiamo sempre legata una coda di aminoacidi,
che può essere però in composizione diversa rispetto ai batteri.

In questa immagine vengono evidenziate le differenze


sopra citate (vedi indietro l’immagine del peptidoglicano
per vedere bene).

APPENDICI E RIVESTIMENTI
Esternamente alla parete possiamo avere delle appendici e degli strati protettivi
(sempre legato al fatto che i procarioti sono unicellulari e quindi è molto importante
l’interazione con l’ambiente esterno) principalmente adibiti a:
• Movimento
• Protezione
• Ancoraggio
• Scambio di materiale genetico
Le appendici sono ascrivibili a 3 categorie, che differiscono in termini di diffusione e
composizione chimica:
• Flagelli→ costituiti da flagellina
• Fimbrie o pili→ costituiti da pilina
(Possiamo avere microrganismi che hanno entrambe le cose)
Le appendici sono state utilizzate in passato come criterio per la classificazione
tassonomica dei batteri (questo perché si usavano principalmente metodiche di
osservazione, ora invece si utilizzano molto di più metodologie genetiche)
Le fimbrie ed i pili (tipiche delle cellule dei Gram -) sono formati da pilina (è una
proteina)→ sono strutture fibrillari in cui c’è questa proteina che è ripetuta attorno
40
ad una cavità a formare una simmetria sostanzialmente elicoidale. (circa 1m
lunghezza; Ø 3-5 nm(diametro)).
Le fimbrie ed i pili differiscono sostanzialmente per la funzione che svolgono.
Fimbrie→ in genere sono numerose e servono unicamente a scopo di adesione
• tessuti animali in caso di batteri patogeni
• superfici solide in ambiente acquatico (esempio: i batteri acquatici, hanno
sviluppato le fimbrie per restare aderiti ad una superficie, per ottimizzare
l’accesso ai nutrienti ed in generale quindi incrementare il loro sviluppo)
• tessuti vegetali
• particelle di suolo

Fimbrie, più lunghe e numerose.

Pili→simili alle fimbrie ma meno numerosi e più lunghi.


Rappresentano il sito di attacco per i virus.
Si possono suddividere in diverse classi in base alla struttura ed alla funzione:
• Sessuali: servono per il fenomeno della coniugazione, in cui i batteri si
scambiano il DNA
• Possono essere usati anche per adesioni (ad esempio dai patogeni per andare
ad infettare ospiti specifici).
• Pili di tipo IV: funzioni di movimento (contrattile)
Fenomeno della coniugazione→ una cellula produce un pilo
sessuale che aderisce ad una cellula ricevente, durante questo
processo, si scambiano il DNA ed in particolare i plasmidi.

Sx→ Pili, più corti e meno numerosi rispetto alle


fimbrie.
Dx→ Fimbrie e pili ingranditi al microscopio
elettronico, in modo tale da poter facilmente
osservare le subunità di pilina che li compongono.

41
I flagelli sono strutture extracellulari che sono deputate solo al movimento.
Sono diversi dai pili e dalle fimbrie perché sono anche costituiti da una proteina
diversa, che è la “flagellina” (sono lunghe appendici extracellulari di natura
proteica). Hanno simmetria elicoidale attorno ad una cavità (bisogna immaginarsi un
filamento vuoto) (5-20 m lunghezza; Ø 10-20 nm).
I flagelli non sono vitali, se subiscono danni possono essere rigenerati.
Sono costituiti da 3 unità:
• Filamento
• Gancio
• Corpo basale→ punto in cui il flagello è ancorato alla cellula (è il punto da cui il
flagello parte a svilupparsi verso l’esterno), il movimento del flagello è dovuto
alla rotazione in senso orario (conseguenza è movimento di traino) od
antiorario (movimento di spinta) del corpo basale.
Il movimento dei flagelli è un movimento “propulsore rotatorio”, ciò vuol dire che la
rotazione del corpo basale viene trasmessa al filamento mediante la rotazione
attorno all’asse del flagello.
L’energia con cui questi flagelli possono funzionare (quella che serve per farli
muovere), è data dalla forza proton-motrice.
Chemiotassi e fototassi rappresentano gli stimoli per cui le cellule possono
muoversi.
Le cellule hanno sviluppato capacità di muoversi, rispondendo a degli stimoli chimici,
ad esempio per raggiungere dei nutrienti (chemiotassi positiva), oppure per
allontanarsi da una molecola potenzialmente dannosa (chemiotassi negativa).
La Fototassi è un fenomeno che riguarda le cellule che si muovono per necessità
legate alla presenza di luce (esempio: batteri che si muovono in diversi punti per
essere esposti meglio alla luce, in modo tale da esporre nelle migliori condizioni i
loro pigmenti per la fotosintesi).
Il numero e la posizione dei flagelli possono variare tra le diverse cellule:

• Monotrico→ un unico flagello ampolo.


• Anfitrico→ due flagelli a poli opposti.
• Lofotrico→ ciuffi di flagelli.
• Peritrico→ flagelli distribuiti sull’intero perimetro cellulare.
42
Struttura del flagello:
Il corpo basale è costituito da anelli che,
nei Gram –, si vanno ad inserire nelle
due membrane.
Nei Gram + ci sono due anelli in meno,
perché questo tipo di batteri, non ha
una membrana esterna alla parete.
(nel video allegato si vede come il
flagello può ruotare in una direzione
piuttosto che un’altra, e di come il
filamento venga sintetizzato a partire
dall’uncino, quindi se il filamento viene
perso, questo può venire risintetizzato).
Il movimento può essere differente a seconda che la rotazione sia in verso orario od
antiorario:
•Antiorario→ movimento a spinta (il flagello spinge la cellula
verso una determinata direzione)
•Orario→movimento a traino (il flagello ruotando trascina la
cellula verso una determinata direzione)

Quando il movimento della cellula è dovuto all’azione di un


unico flagello, tendenzialmente è un movimento un po’più “a
scatti”.
Quando invece i flagelli coinvolti nel movimento sono tanti, il
movimento è “in linea retta” ed un po’ più lento e costante.

Non tutti i batteri sono mobili, ma in certi ambienti la possibilità di muoversi


costituisce un vantaggio selettivo (ad esempio in ambienti in cui ci sono gradienti di
concentrazione di sostanze “attraenti” o “repellenti”)
(gradiente: vuol dire quando una sostanza ha concentrazioni diverse in un
determinato spazio)

43
I fenomeni di movimento in risposta ai gradienti chimici sono:
• Chemotassi (che viene definita positiva oppure negativa, a seconda che ci si
muova rispettivamente in avvicinamento od in allontanamento da
determinate molecole), sulla cellula sono presenti proteine (Chemiorecettori
e Proteine MCP -metil accettrice per la chemotassi-) connesse all’anello
interno dei flagelli, che riconoscono gli stimoli che inducono il movimento
della cellula.
• Fototassi→ batteri fotosintetici che hanno bisogno di migliorare la captazione
della luce da parte dei loro pigmenti, potranno quindi muoversi in direzione di
una migliore qualità della luce (con la lunghezza d’onda adatta ai loro
pigmenti)
• Aerotassi→ movimento in avvicinamento od in allontanamento da
concentrazioni più o meno elevate di ossigeno.
Conseguenze:
• Se poniamo un batterio dotato di
flagello, in una soluzione in cui non c’è un
gradiente nutritivo (è una soluzione
omogenea), vedremo che il movimento
della cellula sarà confuso, ci saranno
infatti più capovolgimenti che
avanzamenti.
• Nel caso in cui invece abbiamo un
gradiente di concentrazione nutrizionale
(quindi il nutrente ha concentrazioni
diverse, da bassa ad elevata), avremo
invece un movimento più costante che va
nella direzione dell’avanzamento (vd link
video)
Esperimento in cui hanno scomposto la luce a
diverse lunghezze d’onda lungo lo spettro→ Si
può notare che i batteri si spostano e si fermano
a lunghezze d’onda di 400 nm e 600 nm. Ciò si
verifica perché in questo caso essi hanno
pigmenti che assorbono la luce in maniera
ottimale a queste due lunghezze d’onda.

44
Altre tipologie di mobilità:
Mobilità basata sui pili di tipo IV→ al movimento
sono adibiti i pili di tipo IV in maniera specifica.
La mobilità in questo caso è un po’ diversa rispetto
quella flagellare, il pilo viene emesso, si ancora alla
superficie, e poi viene ritratto, dal ritrarsi la cellula si
muove.
Un altro tipo di mobilità è quella detta “a
scivolamento”, che è tipica dei batteri che degradano
la sostanza organica.
L’immagine mostra un tessuto vegetale ricco di
batteri intenti a degradarlo (degradano la cellulosa,
l’emicellulosa e le pectine a scopi nutrizionali).
I batteri capaci di degradare la sostanza organica
vegetale, possono muoversi su un substrato solido grazie alla mobilità per
scivolamento, che deriva dall’emissione di sostanze mucillaginose che consentono
alla cellula di muoversi scivolando.
Se osserviamo da vicino una colonia di questi batteri, vediamo che la colonia che si
va a formare su una piastra Petri, avrà un contorno molto frastagliato, proprio
perché queste cellule sono in grado di scivolare sul terreno di coltura. (nella foto
vicino ci sono batteri immobili che invece hanno contorni netti (B)).
L’emissione di sostanze mucillaginose, prevalente
ad un polo della cellula, fa sì che essa venga
spinta dall’emissione di questa sostanza nella
direzione opposta a quella di emissione.
Questo tipo di mobilità avviene solo su supporto
solido, non in ambiente acquoso.
Le cellule che solitamente utilizzano questo tipo
di mobilità sono Cytophaga e Flavobacterium (famosi per essere degradatori della
sostanza organica).
Rivestimenti:
Si intende tutto ciò che può avvolgere la cellula esternamente alla parete cellulare:
• Strato S (S-LAYER)
• Capsula
• Strati mucosi
• Guaina
45
La natura è differente→ ciò che differenzia quelli qui scritti è la composizione
chimica. Tutti sono rivestimenti esterni alla parete, in alcuni casi possono anche
sostituirla (es in alcuni casi lo strato S può sostituire la parete). La funzione
solitamente è sempre quella di proteggere la cellula o di favorire l’adesione delle
cellule a determinate superfici.
Strato S→ Strato non vitale presente sia in alcuni batteri che in alcuni Archaea.
La natura dello strato S è proteica o glicoproteica.
Nei Gram + è direttamente connesso al peptidoglicano ed è esterno ad esso. Nei
Gram – aderisce alla membrana esterna, perché in questo caso lo strato più esterno
è la membrana esterna alla parete.
Nel caso di alcuni Archaea lo strato S può sostituire la parete cellulare, e quindi può
proteggere la cellula da lisi osmotica e da danni fisici (svolge le medesime funzioni
della parete)
Quando è presente, ricopre interamente la parete cellulare ed è
presente in tutte le fasi di crescita della cellula.
Gli strati S sono quindi strati proteici e consistono in un unico
strato di proteine esterno alla cellula. (guarda strato s sul libro)

Costituito da subunità (costituite da proteine) uguali che si


ripetono in modo ordinato formando strutture cristalline
(quindi strutture ordinate), che formano degli strati solidi che si
avvolgono all’esterno della parete.
Le subunità cristalline si possono allontanare tra loro, lo strato
S può quindi disgregarsi, perché magari usiamo certi tipi di
detergente che fanno sì che le subunità proteiche perdano la struttura quaternaria,
ma questa struttura può riassociare spontaneamente in vitro.
Sugli strati S sono stati trovati dei recettori, cioè delle molecole alle quali alcuni
virus, che attaccano i batteri (batteriofagi), riescono ad aderire (ad associarsi) (le
particelle virali quindi si attaccano alla cellula legandosi alle proteine degli strati S)
(adesione anche proprio del batterio ad altro -batteri lattici intestinali-).
Immagini al microscopio elettronico→ci sono
strutture ordinate, che sono le subunità
proteiche, che si attaccano le une alle altre. In
questo caso (Dx) sono in una struttura un po'
scomposta, che però può riassociarsi andando
ad avvolgersi attorno alla parete cellulare.
46
Capsula→ è il rivestimento esterno alla parete più
comune. È formato da polisaccaridi (quindi la sua
composizione è diversa da quella degli strati S).
L’aspetto è diverso, è un po’ più disordinato e non
cristallino come gli strati s. La capsula non serve
alla cellula per funzioni vitali, essa viene prodotta di
continuo e serve essenzialmente per protezione
dagli stress esterni.
È una sostanza formata da
esopolisaccaridi che creano una
sorta di gelatina viscosa ed
amorfa. Quando è presente, si
vede anche al microscopio
ottico perché forma una sorta di alone attorno alla cellula. La presenza di capsula fa
sì che le colonie di batteri che la posseggono abbiano un aspetto traslucido, proprio
per la presenza di queste sostanze polisaccaridiche protettive.
Strati mucosi→ sono gli stessi prodotti dalla cellula nel momento in cui questa sta
degradando sostanze ricche di molecole organiche, sono di natura
eteropolisaccaridica (quindi sono costituiti da polisaccaridi diversi).
Esempio→Cytophaga degrada cellulosa e chitina e mentre
lo sta facendo produce uno strato mucoso che favorisce lo
scivolamento

Guaine→ strutture, rivestimenti, prevalentemente presenti in ambiente acquatico,


danno origine ad uno strato esterno alla parete denso e molto organizzato, formato
da polisaccaridi ma anche da amminozuccheri.
Nelle acque tipicamente in movimento, alcuni tipi di batteri
sono in grado di organizzarsi in catene tenute insieme dalle
guaine.

Aggregati di cellule:
I procarioti in alcuni casi possono aggregarsi tra di loro a formare delle strutture.

47
Tricoma→ tipico dei cianobatteri. Le lineette sono tutte
cellule singole che si sono organizzate a formare una struttura
più complessa in ambiente acquatico.
Il tricoma può addirittura differenziare alcune cellule→ le
cellule, che rimangono comunque “di natura
indipendente” tra loro, possono cambiare rispetto alle
altre e specializzarsi a svolgere alcune funzioni (possono
formarsi eterocisti o degli acinete). In questo caso si può
dire che ci sono delle cellule uguali che si aggregano a
formare una struttura, ed alcune si specializzano a
svolgere delle funzioni utili alla comunità.
Altro esempio→ l’immagine mostra una cellula singola di
oscillatoria (genere di batterio appartenente ai
cianobatteri) e la medesima cellula quando va ad
aggregarsi ad altre per formare il tricoma

Ci sono cellule che si chiamano actinomiceti (o


actinobatteri) che formano il cosiddetto pseudomicelio
(la parola micelio indica la struttura di propagazione di
diffusione dei funghi, che sono eucarioti e non c’entrano
niente con i batteri che sono procarioti), questi si
chiamano actinomiceti e formano uno pseudomicelio
perché anche se in realtà sono batteri, inizialmente erano
stati confusi con i funghi, proprio perché danno uno sviluppo che è simile a quello
del micelio fungino, in realtà sono cellule indipendenti tra loro che però rimangono
associate a seguito della moltiplicazione(per cui anche queste, rimanendo quindi
aggregate, formano un'unica struttura, formata però da cellule indipendenti).
In quest’immagine è rappresentata la struttura dello
pseudomicelio. Sembra formata da filamenti tutti
attaccati insieme, in realtà sono delle cellule da
immaginare come cellule singole, simili a delle
spirochete (quindi dei bacilli un po' allungati e forma
irregolare), che rimangono tutte attaccate e formano
una struttura chiamata pseudomicelio (proprio per
differenziarla dal vero micelio fungino).

48
CITOPLASMA
La composizione del citoplasma procariotico è
molto più semplice di quello eucariotico.
Citoplasma→Matrice che contiene al 70-80%
acqua, mentre il restante 20-30% è costituito da
proteine, amminoacidi, acidi nucleici, zuccheri,
grassi, vitamine e ioni organici. Ha una
consistenza densa (elevata viscosità) e non è
liquido, ma è trasparente ed elastico. Presenta
un’elevata concentrazione di ribosomi che gli fa
assumere un aspetto lievemente granulare.
Componenti del citoplasma procariotico:
• Componenti costitutivi (presenti in tutte le cellule e svolgono funzioni che
servono sempre):
- Nucleoide (informazione genetica)
- Ribosomi (sintesi di proteine)
• Componenti di adattamento (definite anche corpi di inclusione, non sono
presenti in tutti i batteri ma solo in alcuni, sono strutture di adattamento
perché favoriscono lo sviluppo delle cellule in determinati ecosistemi, oppure
favoriscono alcune funzioni della cellula):
- Polimeri di riserva
- Magnetosomi
- Carbossisomi
- Clorosomi
- Tilacoidi
- Vescicole
• I Plasmidi non sono inclusi in nessuna delle due categorie. Possono esserci nel
citoplasma, ma il fatto che non ci siano non ha ricadute sul metabolismo
cellulare (possono quindi esserci come no). Tuttavia, non si possono
nemmeno definire un componente di adattamento, perché sono presenti in
maniera trasversale un po' in tutti gli ecosistemi.
Nucleoide→ definisce una regione del citoplasma in cui è addensato il materiale
genetico, costituito da DNA a doppia elica. Nel caso dei procarioti abbiamo un unico
cromosoma, che se fosse disteso ed aperto avrebbe forma circolare ed arriverebbe
alla dimensione di circa 1 mm (quindi una dimensione estremamente più grande
della cellula procariotica stessa).
49
L’immagine rappresenta una cellula in cui è
stato indotto il rilascio del cromosoma→ i
filamenti rappresentano il cromosoma rilasciato,
si può notare quindi come questo abbia
dimensioni molto più grandi della cellula stessa
(si vede anche nell’ immagine a destra, che
mostra ciò che resta della cellula che è andata in lisi, e quello che era il cromosoma,
andato all’esterno).
Nel nucleoide il cromosoma è superavvolto→ il
cromosoma circolare si avvolge attorno a nodi
successivi fino a creare una struttura
superavvolta che va ad ottimizzare la sua
dimensione (e quindi lo spazio che occupa nel
citoplasma). La lunghezza del cromosoma aperto
è di circa 4x106 coppie di basi (si parla di coppie
di basi perché abbiamo una doppia elica, quindi l’unità di misura della lunghezza del
DNA di solito è espressa in paia di basi -acronimo è bp-).
Ribosomi→ Strutture presenti in tutte le cellule, ed in tutte governano la sintesi
proteica. Sono costituiti da un 60% di rRNA e da un 40% di proteine.
In alcuni casi li possiamo trovare debolmente associati alla membrana plasmatica.
Possono essere molto numerosi, ad esempio in fase di attiva crescita escherichia coli
può avere fino a 200 mila ribosomi nel citoplasma (aspetto granulare).
Durante la traduzione (processo per produrre proteine) possono essere formati dei
poliribosomi, cioè ribosomi attaccati insieme che insieme vanno a formare delle
proteine (sembrano catene).
Struttura del ribosoma procariotico→costituito
da una subunità maggiore ed una subunità
minore, viene definito 70 “S” (unità di misura→
unità di Svedberg, indica la velocità di
sedimentazione di una particella che è
sottoposta a centrifugazione, in pratica quindi
racchiude al suo interno sia la dimensione, che
la forma, che il volume, non è direttamente correlata al peso molecolare, nel senso
che ovviamente ne è influenzata, ma è particolare. Se noi abbiamo le due subunità
del ribosoma batterico, una 30S (minore) ed una 50S (maggiore), la loro somma non
darà 80s, ma 70s, proprio perché in realtà sarebbe la velocita di sedimentazione e
non un peso od una dimensione).
50
(microscopio elettronico a trasmissione)
Poliribosomi→ sono delle catene di ribosomi dove
mentre il DNA viene letto dall’RNA polimerasi
(enzima che si occupa di andare a produrre l’mRNA
-quello che serve poi per produrre le proteine-),
queste leggono cosa c’è scritto sul trascritto di DNA
(mRNA -formato dai nucleotidi-) che indica qual è la
sequenza degli aminoacidi delle proteine da
assemblare. I ribosomi vanno a produrre a partire
dall’mRNA (riga rossa) le proteine (i poliribosomi si
hanno quindi quando questi sono legati tutti insieme a leggere la medesima
molecola di mRNA per produrre le proteine).
Confronto tra ribosoma procariotico e ribosoma
eucariotico (in particolare questo è quello di un
ratto)→ il ribosoma eucariotico è sempre
costituito da RNA ribosomiale (L’rRNA è un tipo di
RNA che non diventa proteina, ma serve solo per
costruire il ribosoma) e proteine, ma è più grande
(80s) (anche lui costituito da due subunità).
La subunità minore del procariotico è costituita da
RNA ribosomiale 16S e da 21 proteine, la subunità
maggiore è costituita da RNA ribosomiale 23s,
RNA ribosomiale 5s e da 31 proteine (non è così
importante sapere questi dati).
La subunità minore del ribosoma eucariotico è costituita da rRNA 18S e da 33
proteine, la subunità maggiore da rRNA 28S, rRNA 5,8S e da 49 proteine.
Le sequenze del DNA che codificano per l’rRNA
16s (della subunità minore del ribosoma dei
procarioti) e per l’rRNA 18s (della subunità
minore degli eucarioti), è il DNA che viene
utilizzato per costruire l’albero filogenetico
della vita→ ci racconta le differenze e ci
evidenzia in maniera grafica, l’evoluzione e la
differenziazione in filotipi di: Bacteria, Archaea ed Eukaryota. Viene costruito
mettendo insieme le informazioni che si trovano sul DNA che codifica per questi due
rRNA (16S per i procarioti e 18S per gli eucarioti).

51
Diversi tipi di antibiotici uccidono i
procarioti, in particolare i batteri, proprio
perché hanno effetto sulle subunità
ribosomiali→ vanno a bloccarle, creando dei
ribosomi inattivi, che non riuscendo a
funzionare portano alla morte cellulare.
Gli Archaea hanno ribosomi 70s, sono quindi
simili a quelli dei batteri, però su questi
ribosomi gli antibiotici non hanno effetto.

Plasmidi→ sono delle inclusioni citoplasmatiche che nei batteri possono essere
presenti o meno.
Sono costituiti da DNA a
doppia elica (contengono
quindi l’informazione
genetica), ma sono molto
più piccoli del cromosoma
e ne sono indipendenti
(possono replicarsi
autonomamente nella
cellula e mantenersi per
generazioni, costituiti dai
50 ai 100 geni). Inoltre, non contengono come il cromosoma delle informazioni vitali
per la cellula, ma contengono delle informazioni che possono favorire la
sopravvivenza del microrganismo in un determinato ambiente.
Diversi plasmidi contengono infatti ad esempio resistenze ad antibiotici (le
resistenze sono solitamente sui plasmidi), questi DNA a doppia elica molto più
piccoli rispetto al cromosoma contengono quindi anche un po’ dell’informazione
genetica del batterio (usare antibiotici può lasciar sopravvivere batteri con
resistenze particolari che si possono moltiplicare, ma anche combinare questa
resistenza con altri).
Possono essere trasferiti da una cellula ad un’altra mediante il trasferimento genico
orizzontale (cioè questo plasmide che contiene informazioni accessorie, può essere
trasferito ad un’altra cellula).
Il plasmide può anche andarsi ad integrare al cromosoma→ quindi in questi casi non
è più indipendente, ma ne diventa parte (si chiama “episoma”). Tuttavia, ad un certo
punto questo episoma può separarsi dal cromosoma e tornare ad essere plasmide.
52
I plasmidi si trasferiscono mediante la coniugazione→ il pilo
sessuale serve per trasferire uno o più plasmidi ad una cellula
ricevente.

Polimeri di riserva→ sono delle sostanze che i microrganismi possono accumulare


ed utilizzare in momenti di necessità. Non tutti i batteri li producono, ma il fatto che
alcuni li possono produrre rende questi ultimi interessanti dal punto di vista
industriale (vengono ad esempio utilizzati nei fermentatori industriali per produrre
certe sostanze).
Esempio di sostanza accumulabile→ Poli-β-idrossibutirrato
(PHB, riserva di lipidi), questo polimero di riserva è formato
dall’acido β-idrossibutirrico, che si va ad aggregare
formando dei granuli di riserva che vanno ad occupare
anche grandi porzioni del citoplasma (in alcuni casi anche
fino al 50% del peso secco della cellula). Sono caratteristici delle cellule che li usano
come riserva di lipidi e sono frequenti nelle cellule in fase di sporulazione.
Ci possono anche essere delle riserve di glicogeno
ed amido (anche nel mondo animale e vegetale
rivestono un ruolo di riserva)→ rappresentano una
riserva di zuccheri e carboidrati. Vengono poi
demoliti quando la cellula ne ha bisogno, in modo
da essere utilizzati come fonte di energia e di
carbonio. Si è visto che il genere Streptococcus
(batterico), può andare ad accumulare una riserva
di carboidrati fino al 30% del suo peso secco.

I batteri, che non riescono ad accumulare questi polimeri di riserva, possono


sacrificare, in carenza nutrizionale in termini di carbonio e fonti di energia, ribosomi
ed RNA ed utilizzarli come nutrienti.
Accumulo di fosforo (elemento molto importante nella
cellula perché serve per costruire molecole importanti, ad
esempio i nucleotidi hanno un gruppo fosfato, anche i
fosfolipidi e l’ATP che ne ha 3 di gruppi fosfato)→ il fosfato
53
può essere accumulato dalle cellule in quelli che si chiamano “granuli di volutina” o
“granuli metacromatici” che contengono semplicemente delle catene lineari di
polifosfati, che possono servire alle cellule per sintetizzare principalmente acidi
nucleici e fosfolipidi, oppure come fonte di energia per la sintesi di ATP da ADP. La
loro formazione in alcuni tipi di cellule può diventare talmente rilevante da andare a
deformare la cellula stessa. La produzione di questi polimeri è molto importante nel
processo di depurazione delle acque reflue.
Vescicole gassose→ sono un’inclusione citoplasmatica di adattamento che è tipica
dei batteri che si sviluppano in ambiente acquatico. Sono delle vere e proprie
vescicole che contengono gas, sono costituite da un involucro proteico che delimita
uno spazio cavo in cui i gas sono liberi di diffondere. Fanno sì che le cellule possano
galleggiare ed in particolare compiere degli spostamenti verticali (gonfiandole e
sgonfiandole), le membrane proteiche che le costituiscono sono impermeabili
all’acqua e permeabili solamente ai gas.
Cellula in cui la presenza di vescicole gassose
è molto consistente, possono andare ad
occupare un’ampia parte del citoplasma.
Possono essere da poche fino a centinaia.
Le dimensioni sono variabili, da molto piccole
(45nm) oppure più grandi (200nm), quindi comunque di dimensioni considerevoli
rispetto alla dimensione cellulare.
In alcune cellule acquatiche (che possono avere anche flagelli), l’efficienza del
movimento tramite vescicole è maggiore che con i flagelli.
Magnetosomi (sempre ambiente acquatico)→ sono dei microcristalli di ferro, avvolti
da una membrana che forma una sorta di vescicola, sono presenti in batteri
acquatici che possono muoversi (tramite flagelli o vescicole) e sono microaerofili,
cioè si sviluppano in ambienti con poco ossigeno.
La sintesi di questi magnetosomi si basa sulla
formazione di vescicole e sull’assimilazione del
ferro (che il microrganismo si procura
trasportandolo dall’esterno all’interno delle
vescicole). Successivamente il ferro viene poi
mineralizzato ed ossidato a formare ossidi di ferro,
e poi queste catene di ossidi di ferro incluse in vescicole, vanno a formare delle
catene parallele lungo l’asse longitudinale della cellula.
La funzione dei magnetosomi è quella di consentire alle cellule (che sono mobili in

54
acqua), di orientarsi lungo il campo magnetico terrestre, quindi funzionano come
bussole, sfruttano il campo magnetico terrestre per orientarsi in una certa direzione,
in maniera che il movimento non venga disperso, quindi sia più facile direzionarsi
lungo un gradiente.
Disposizione del magnetsoma lungo l’asse longitudinale
della cellula, in questo caso è una cellula che ha due flagelli
ai poli opposti. Questa cellula si può orientare lungo il
campo magnetico terrestre grazie ai magnetosomi, di cui,
nell’immagine a fianco ne viene semplificata la sintesi.
(assimilazione del ferro, costruzione delle vescicole e poi la
disposizione di queste contenenti gli ossidi di ferro, lungo
l’asse principale della cellula).
Carbossisomi→ struttura presente nel citoplasma di batteri che usano la CO2 come
fonte di carbonio (le piante prendono la CO2 e la trasformano in zuccheri, la
trasformano in sostanza organica, alcuni batteri fanno la medesima cosa).
L’enzima necessario per organicare la CO2, trasformandola in molecole organiche
come ad esempio gli zuccheri, è l’enzima RUBISCO (acronimo di
ribulosiobifosfatocarbossilasi). I carbossisomi sono delle inclusioni cellulari in cui
viene localizzata la rubisco, affinché la CO2 possa essere fissata.
Questi carbossisomi sono presenti nei
batteri chemioautotrofi (autotrofi vuol
dire che si procurano il carbonio dalla
CO2) e poi sono anche presenti nei
cianobatteri che sono dei batteri
fotosintetici che anch’essi usano la CO2
come fonte di carbonio.
Se la CO2 comincia a diminuire, i batteri
che producono carbossisomi iniziano a
produrre tanto enzima rubisco per avere più facilità di fissarla (per avere più affinità
per la CO2). Sono connessi, talvolta legati alla membrana plasmatica, e servono
proprio per far sì che la cellula possa prendere la CO2 e trasformarla in carboidrati.
Clorosomi→ costituiti da un sistema di membrane monostratificate e sono coinvolti
nei processi fotosintetici, in particolare sono implicati nella fotosintesi anossigenica
(e non in quella ossigenica), questo processo sfrutta pigmenti differenti dalla
clorofilla, ed utilizza la luce ad una lunghezza d’onda diversa rispetto alla lunghezza
d’onda che sfruttano le piante, le alghe ed i cianobatteri (che infatti invece utilizzano

55
la clorofilla). Si trovano appoggiati alla membrana citoplasmatica ed hanno una
forma ellissoidale appiattita. Sono implicati in vari processi fotosintetici.
I batteri verdi-sulfurei ed i batteri verdi-
filamentosi sono batteri anaerobi che fanno
questo tipo di fotosintesi diversa→utilizzano
i clorosomi proprio per collocare in punti
favorevoli i loro pigmenti, che sono proprio
diversi da quelli usati nella fotosintesi
ossigenica. Vanno quindi a localizzare questi
pigmenti in queste vescicole, per andare ad
ottimizzare la captazione della luce a
lunghezze d’onda solitamente presenti in ambiente anaerobico (esempio: acqua in
profondità, la luce entra nell’acqua ma avrà una lunghezza d’onda differente
rispetto a fuori oppure a quella dell’acqua superficiale)
Tilacoidi→ per la fotosintesi ossigenica ci sono dei batteri, che sono i cianobatteri,
che non hanno i clorosomi ma hanno i tilacoidi (già citati come modificazioni della
membrana).
In questo caso la membrana costruisce questi altri
sistemi di membrana in cui si vanno a localizzare i
pigmenti fotosintetici dei cianobatteri (quindi in
pratica la clorofilla). Possono occupare buona parte
del citoplasma.

I tilacoidi sono molto presenti in questa cellula, sono la


sede della fotosintesi (questa cellula è appartenente ad
un cianobatterio). I puntini sono i ribosomi, mentre la
parte verde sono le membrane tilacoidali in cui sono
presenti i pigmenti fotosintetici.

56
ISOLAMENTO E COLTURA DEI MICRORGANISMI
I microrganismi hanno effetto sull’ambiente solo se sono vitali, ed un microrganismo
viene considerato “vitale” solo se in grado di moltiplicarsi.
La gran parte dei microrganismi presenti in natura però, non siamo in grado di farli
crescere in laboratorio, pertanto non si presentano vitali in tali condizioni, ma non è
detto che non lo siano nel loro ecosistema naturale.
Per i procarioti e per gli eucarioti pluricellulari, il significato di crescita è differente:
Per gli organismi unicellulari come i procarioti, si intende crescita come
moltiplicazione, quindi un aumento in numero.
Mentre negli eucarioti pluricellulari (es funghi pluricellulari o piante), il significato è
diverso, perché l’organismo cresce quando aumenta di dimensione.
Negli eucarioti abbiamo sia la moltiplicazione (principalmente mediante
gemmazione) (quindi aumento in numero) ma abbiamo anche la riproduzione, in
questo caso si intende la riproduzione sessuale.
I procarioti si moltiplicano principalmente per scissione binaria, alcuni di loro
possono anche crescere per gemmazione:

Scissione binaria→ la cellula madre ha un


cromosoma che si duplica, ne vengono creati 2
identici. Quando questo processo è completato,
la cellula comincia a divedersi, quindi a separare
il citoplasma e si comincia a formare un setto, al
termine di questo passaggio abbiamo due cellule
figlie identiche alla cellula madre e del tutto
indipendenti.

Gemmazione→ diversa dalla scissione binaria, la


cellula madre comincia a produrre un’estroflessione,
formando una piccola gemma, a questo punto la
gemma comincia a crescere incrementando il
contenuto di citoplasma, dopodiché, mediante una
strozzatura, si rende completamente indipendente dalla cellula madre, quindi alla
fine avremo una cellula madre “un po’ più vecchia” ed una cellula figlia più recente.
Ovviamente all’inizio di questa gemmazione avremo anche in questo caso la
duplicazione del cromosoma.
57
Definizioni:
Un microrganismo viene considerato sia vivo che vitale (che sono due concetti
separati) quando è in grado di dare una progenie.
• Vivo ma non vitale→ espleta le sue funzioni metaboliche, ma non dà origine
ad una progenie. Trascrive il proprio DNA in mRNA, e quindi poi produrrà
delle proteine, svolge metabolismo, ma non si moltiplica.
• Morto→ oltre a non dare origine ad una progenie, non svolge metabolismo e
non trascrive il proprio DNA in mRNA.
• Vivo ma non coltivabile→ non siamo in grado di coltivarli in laboratorio,
perché questi microrganismi si moltiplicano solo nell’ambiente naturale in cui
si sviluppano.
Tempo di generazione→ dà informazioni
sull’efficienza energetica di una cellula, è il tempo che
intercorre da quando la cellula madre inizia a
replicare il proprio DNA, (inizia quindi il processo di
scissione binaria), fino a quando si creano due cellule
figlie indipendenti. Sarebbe quindi il tempo che
intercorre dall’inizio alla fine della scissione binaria.
Può essere più o meno lungo a seconda delle
caratteristiche che hanno le cellule che consideriamo.
Crescita esponenziale (connesso al concetto di
scissione binaria)→ noi a partire da una cellula
abbiamo due cellule figlie, dopo il tempo di
generazione diventeranno 4 poi dopo diventeranno
8 (1 generazione 2 ^1. Seconda generazione 2^2,
terza generazione 2^3, in questo caso il
microrganismo preso in considerazione, ha un
tempo di generazione di 20 minuti).
Il tempo di generazione dipende da:
• Fattori genetici→ dipende dalla specie a cui appartiene il microrganismo
considerato.
• Fattori ambientali→ dipende dalle condizioni in cui questo microrganismo
andrà a moltiplicarsi.
Anche in condizioni ottimali il tempo di generazione sarà variabile, è fortemente
legato alla tipologia di metabolismo, ci sono microrganismi particolarmente
58
efficienti dal punto di vista metabolico, che hanno un tempo di generazione molto
breve (come ad esempio escherichia coli -molto rapido nella moltiplicazione-), ma
anche microrganismi che crescono mettendoci molto più tempo. Quindi se le
condizioni sono uguali (ottimali) per tutti, il tempo di generazione dipende dalle
caratteristiche insite di ogni microrganismo.
(tabella→ zona centrale, sono
mezzi di coltura differenti, ognuno
di questi è ottimale per la specie a
cui fa riferimento. Esempio: per
Streptococcus lactis il mezzo di
coltura ottimale è il latte, tempo di
generazione non inferiore a 26
minuti).
Per definizione, il tempo di generazione di una specie, è il tempo necessario alla
popolazione, per raddoppiare numericamente durante la fase esponenziale della
crescita. Il tempo di generazione, è misurato in condizioni ottimali.
L’immagine esprime graficamente la crescita
esponenziale di un microrganismo→essa è
rappresentata dalla curva verde (andamento
tipico di una curva esponenziale). Sull’asse delle
x c’è il tempo, mentre su quello delle y c’è il
numero di cellule. Se noi esprimiamo in
notazione logaritmica il numero delle cellule,
questa curva si trasformerà in una retta, anche
qui in ogni intervallo abbiamo il tempo di
generazione, che ci consente di passare da una
generazione all’altra.

Ci sono diversi parametri che possiamo calcolare per valutare la crescita della
popolazione, ad esempio:
• Nt=2nN0→ siamo in grado di calcolarci il numero di batteri presenti ad un certo
tempo t, che è uguale a 2n (rappresenta il numero di generazioni passate -
dipende dal tempo di generazione-) moltiplicato a N0(che rappresenta il
numero di batteri iniziali).
• n→numero di generazioni

59
• K→velocità di crescita=numero di generazioni fratto il tempo considerato=n/t.
• g→tempo di generazione=tempo t fratto il numero di generazioni=t/n.
I parametri di crescita, soprattutto su cellule molto piccole e molto semplici come i
batteri, che rispondono molto velocemente ai cambiamenti esterni (ambientali),
sono influenzati dal tipo di specie microbica (quindi dall’efficienza del metabolismo
della specie), ed anche dai parametri ambientali ( se messa in condizioni diverse di
presenza di nutrienti, temperatura, PH, ossigeno ecc… man mano che si allontana da
quelle che sono le sua condizioni ottimali, il tempo di generazione varia)
Quando vogliamo studiare la crescita di un microrganismo, e ad esempio vogliamo
determinare il suo tempo di generazione, valutiamo l’andamento della sua crescita
in un “sistema chiuso” (i sistemi chiusi vengono anche definiti “colture batch”, cioè
delle colture chiuse). Perché in tale condizione, una popolazione microbica segue un
andamento caratteristico (graficamente sempre lo stesso) che viene definito “curva
di crescita”→ espressione grafica semilogaritmica dell’andamento della crescita
microbica in un sistema chiuso (in una coltura batch).
Sistema chiuso→ un qualsiasi ecosistema,
confinato a scale differenti (non importa se è un
contenitore da laboratorio, oppure se è un
fermentatore molto più grande). Il sistema è
considerato chiuso, quando viene data una certa
quantità di nutrienti, vengono messe delle cellule
microbiche iniziali, dopodiché il sistema non entra in comunicazione con l’esterno e
non vengono più aggiunti nutrienti man mano che vengono consumati.
Sistema aperto→ un esempio è il suolo, perché noi
abbiamo una certa quantità di nutrienti per i
microrganismi, poi magari delle piante e gli organismi
vegetali rilasciano della sostanza organica, e quindi la quantità di nutrienti viene
continuamente riciclata e messa a loro disposizione. In questo caso abbiamo una
situazione di equilibrio, o di crescita continua dove non abbiamo la definizione di
una curva di crescita nel tempo, ma abbiamo una sorta di equilibrio che può essere
alterato da altri parametri (ad esempio quelli stagionali)
Se mettiamo qualche cellula di un tipo di microrganismo in una beuta in laboratorio
abbiamo una crescita in un sistema chiuso. Mettendo in grafico l’andamento della
crescita, abbiamo sempre questo tipo di andamento→ curva di crescita.
È una curva semilogaritmica→ sull’asse delle x c’è il tempo (qui non è
specificatamente indicato perché stiamo parlando di un microrganismo generico),
60
sull’asse delle y invece il numero di cellule vitali (quindi di cellule che sono in grado
di moltiplicarsi) in notazione logaritmica.
Si possono individuare 4 fasi di crescita (in un sistema chiuso ci sono sempre):

• Fase di latenza (o Fase lag)→ i microrganismi che abbiamo posto nel sistema
chiuso si adattano all’ambiente, riconoscono l’ambiente, ed iniziano ad
utilizzare i nutrienti che hanno a disposizione, in questa fase il numero di
cellule non cambia. Le cellule possono crescere di dimensioni, ma ancora non
si moltiplicano.
• Fase di crescita esponenziale→ le cellule iniziano a moltiplicarsi in modo
esponenziale (andamento dato dalla equazione delle slide precedenti).
Questa fase dura fino a quando nel nostro sistema chiuso abbiamo un
esaurimento dei nutrienti
• Fase stazionaria→ il numero complessivo di cellule vitali non varia, si
bilanciano le cellule vitali (che si moltiplicano) con le cellule che non si
moltiplicano più.
• Fase di morte→ le cellule vitali sono sempre meno rispetto a quelle non vitali.
Slide riassuntiva:
• Fase di latenza→ le cellule sono attive ma non si dividono, possono
incrementare di volume, si adattano al substrato. A seconda di quando le
abbiamo messe nella nostra coltura chiusa, cioè in che stato di vitalità erano
le cellule (se erano solo vive o se erano già vive e vitali), possiamo avere una
variazione nella durata di questa fase di latenza.
• Fase esponenziale→ le cellule esprimono la loro massima capacità di
accrescimento, e si sincronizzano avendo tutte il medesimo tempo di
generazione. La durata della fase esponenziale è fino a quando si accumulano
61
i prodotti di scarto e diminuiscono i nutrienti messi a disposizione in
precedenza.
• Fase stazionaria→ il numero delle cellule non varia più, parte delle cellule
muoiono, parte delle cellule continuano a moltiplicarsi ma non più alla stessa
velocità, a seconda dei microrganismi la fase stazionaria può durare più o
meno a lungo.
• Fase di morte→ le cellule via via perdono di vitalità, iniziano ad andare in lisi.
Diminuiscono gli individui della popolazione, perché le condizioni iniziali sono
cambiate eccessivamente e si ha una decisa carenza nutrizionale ed un
eccessivo accumulo di metaboliti.

La curva di crescita anche in condizioni batch è variabile a


seconda delle condizioni ambientali. Cioè se la coltura che
andiamo a coltivare ha una temperatura ottimale a 20 °C, e la
andiamo ad incubare a temperature diverse, ci sarà sempre la
stessa successione delle fasi, ma le fasi stesse saranno
caratterizzate da un andamento diverso perché ad esempio la
crescita esponenziale avrà una crescita diversa, perché il
tempo di generazione sarà più lungo, quindi la pendenza della
nostra retta esponenziale sarà diversa proprio perché il
tempo di generazione, via via che ci allontaniamo dall’ottimo
per questa determinata cellula (in cui in questo esempio la
temperatura ottimale è di 20 °C), sarà più lungo (la crescita
rallenta e non è la stessa) (?) (controlla sul libro).
MEZZI DI COLTURA ED ISOLAMENTO MICROBICO
Coltura dei microrganismi→ realizzazione dello sviluppo (incremento numerico,
moltiplicazione) (moltiplicare e crescere) in un ambiente controllato, di una
determinata popolazione di cellule in un determinato substrato nutritivo.
A prescindere dallo scopo, tutte le procedure di coltura hanno un medesimo
percorso:
• Preparazione del terreno di coltura e sua sterilizzazione (in realtà non si
sterilizza solo il terreno di coltura, ma tutto ciò che verrà in contatto con i
microrganismi)
• Incubazione (inoculare le cellule nel terreno di coltura preparato)
• Osservazione e valutazione della crescita delle cellule

62
• Conservazione (se ad esempio si tratta di una coltura pura) (per utilizzarle in
seguito)
Scopi:
• Scopi industriali→ qualsiasi azienda che si occupi di microrganismi deve avere
delle collezioni che in maniera continuativa coltiva (es: aziende che
producono il lievito da cucina).
• Ricerca→ per studiare le caratteristiche fisiologiche o metaboliche di un
determinato gruppo microbico.
• Isolamento e conta→ per isolare, contare il numero dei microrganismi ed
eventualmente identificare un certo microrganismo che può essere presente
in un campione di origine naturale.
• Valutazioni delle preparazioni farmaceutiche→ ad esempio se voglio verificare
l’efficacia degli antibiotici, devo avere dei microrganismi che coltivo a contatto
con questi antibiotici per vedere se sono efficaci o meno.
Isolamento di un microrganismo→ viene attuato al fine di creare una coltura pura.
Viene separato un certo individuo dagli altri con cui convive in popolazioni miste
negli ecosistemi (esempio il suolo), e lo si fa sviluppare in laboratorio (essendo un
solo individuo insufficiente per lo studio), al fine di ottenere una coltura pura.
Coltura pura→ coltura costituita da cellule del tutto identiche tra loro, che derivano
da un’unica cellula madre (cellule che derivano da un’unica cellula madre, sono
identiche ad essa)
Terreno/mezzo di coltura→ substrato che deve contenere tutto ciò di cui le cellule
hanno bisogno, sia per sintetizzare e produrre i componenti cellulari (esempio:
parete, ribosomi ecc), sia per produrre energia (tutte le reazioni cataboliche)
Inoculo→ operazione manuale eseguita da un operatore, che in condizioni sterili,
asettiche quindi in assenza di altri microrganismi, trasferisce un’aliquota di cellule
(poche o tante che siano, tanto non cambia) da una coltura ad un’altra (significa
quindi trasferire delle cellule ad esempio in un terreno di coltura)
Sterilizzazione→ volendo studiare i microrganismi che ci interessano, dobbiamo far
sì che questi non vengano contaminati dagli eventuali microrganismi presenti
nell’ambiente (ad esempio sugli strumenti da laboratorio, nel mezzo di coltura se
non lo sterilizziamo, sui camici, sulle mani, nell’aria…). La sterilità viene ottenuta, a
seconda dei casi, mediante radiazioni UV, temperatura, disinfettanti, antibiotici…

63
Lavoro in condizioni di sterilità→ tutte le procedure che gli operatori devono
mettere in atto per evitare di contaminare le nostre colture microbiche di interesse
con organismi estranei presenti nell’ambiente di lavoro.
Becco buncen→ serve perché la
fiamma prodotta, crea un’area
attorno alla fiamma in cui c’è
sterilità (dovuta in questo caso al
calore). Possiamo avere anche delle
procedure di lavoro che prevedono
l’utilizzo di cappe microbiologiche, in cui l’ambiente all’interno della cappa viene
mantenuto sterile, mediante dei flussi d’aria forzata, in questo caso la griglia serve
per far sì che i campioni non vengano contaminati, perché l’aria viene
continuamente aspirata.
Incubazione→ dopo aver fatto un inoculo in condizioni di sterilità, le nostre colture
devono essere incubate, cioè mantenute in una condizione ideale al loro sviluppo
(esempio: di temperatura, di PH, in presenza od in assenza di ossigeno, in presenza
di nutrienti diversi… tutto a seconda dei microrganismi considerati).
Sostanzialmente è quindi il periodo di tempo che passa (che serve) per la
realizzazione della nostra coltura.
Se io utilizzo due terreni di coltura diversi o due diverse temperature per coltivare
uno stesso microrganismo, avrò due velocità di crescita differenti (essa è maggiore
nel momento in cui vengono ricreate le condizioni ottimali di crescita del
microrganismo).
Uno stesso microrganismo, posto in condizioni differenti, presenta diverse curve di
crescita:
Misura della crescita (in questo caso misurata con la densità
ottica)→Abbiamo lo stesso microrganismo in condizioni
diverse, la curva di crescita varia. Varia la fase di latenza e
varia l’andamento esponenziale allontanandoci via via dalle
condizioni ottimali (in questo caso la condizione 3 è così
negativa, che fa sì che il microrganismo praticamente non
cresca, o cresca veramente in maniera minima.)
Colonia→ popolazioni microbiche, aggregati di cellule, che si formano
esclusivamente su un terreno solido (perché ad esempio su uno liquido, le cellule
non rimangono tutte attaccate tra di loro, mentre su uno solido si). Questi aggregati
cellulari derivano da un’unica cellula. In un terreno di coltura solido, una colonia è
64
un gruppo di cellule che si origina da una sola cellula. Alcune delle tecniche
microbiologiche più comuni, che possono essere le colture vitali, oppure
l’isolamento, si basano sulla produzione di colonie.
Colonie (tutti puntini) su una piastra Petri (piastre che servono per
far crescere i microrganismi in laboratorio).

Colonia al microscopio elettronico, rende l’idea di tutte cellule


identiche che si sono formate per scissioni binarie successive a
partire da un’unica cellula madre.

Se non lavoriamo con determinate accortezze, su una piastra Petri si può formare
una “Patina microbica”:
Quando le colonie si sviluppano troppo attaccate le une
alle altre, per cui non abbiamo una soluzione di continuità
tra una colonia e l’altra (ho cercato su internet, con
“soluzione di continuità” si intende un “intervallo che
divide”, pertanto in questo caso significa che le colonie
non sono separate ma sono tutte attaccate) , le colonie
rimangono tutte attaccate andando a formare la cosiddetta Patina microbica, che in
laboratorio è un aspetto negativo, perché una piastra contenente una patina è poco
servibile sia per la conta che per l’isolamento. È causata appunto dal fatto che le
cellule in origine erano troppo vicine, e quindi le singole cellule si sono moltiplicate
andando a creare delle colonie sovrapposte tra di loro.
Le colonie non sono tutte uguali, l’aspetto, la forma e la dimensione variano a
seconda del tipo di microrganismi, ed in alcuni casi possiamo anche noi indurre un
cambiamento, ad esempio di colore, andando ad utilizzare terreni di coltura
particolari.
C’è differenza tra colonie di tipo fungino (Sx) e colonie
di tipo batterico (Dx), tipicamente si distinguono le une
dalle altre perché le colonie di tipo fungino sono in
genere più grandi (parliamo di funghi micellari) ed
hanno un colore che ha distribuzione radiale a partire dal centro, mentre in genere
le colonie batteriche hanno una colorazione più uniforme e generalmente non
65
hanno un aspetto così “vellutato” come le colonie fungine. La tassonomia
soprattutto nel passato quando veniva fatta esclusivamente osservando gli aspetti
fenotipici delle cellule (e non mediante analisi genetica), utilizzava la caratteristica
morfologia colore e distribuzione delle colonie, come caratteristica che serviva a
classificare i microrganismi.
Terreni di coltura:
• Naturali→ non sono costruiti in laboratorio (pane è terreno solido) (mosto è
terreno liquido), difficilmente sono utilizzati in laboratorio, perché non
standardizzati.
• Sintetici→ preparati in laboratorio a partire da miscele commerciali o
componenti puri. Solitamente sono idrosolubili (gli sciogliamo in acqua)
proprio perché sono “standardizzati”, cioè hanno una composizione standard
e sappiamo cosa contengono.
La composizione dei terreni di coltura riflette necessariamente i nutrienti di cui
hanno bisogno le cellule.
Principali elementi presenti nella cellula:
• Carbonio.
• Ossigeno.
• Azoto.
• Idrogeno.
• Fosforo→ acidi nucleici.
• Zolfo→ proteine.
• Nutrienti sempre importanti, ma un po’
meno presenti (da sodio a ferro).
• Micronutrienti (ultima riga)→ sono in
concentrazioni molto molto basse, ma
comunque importanti.
Quando consideriamo il peso totale della
cellula, l’80-90% di questo è costituito da
acqua.
A seconda dell’organismo che dobbiamo coltivare il terreno di coltura avrà
caratteristiche differenti:
Fototrofi→ sono microrganismi “come le piante” nel senso che ottengono la loro
energia sfruttando la radiazione luminosa. Quindi per loro non è necessario

66
aggiungere una fonte di energia, ma dobbiamo
aggiungere tendenzialmente il carbonio, valutando se
questi organismi sono fotoautotrofi (come le piante
utilizzano il carbonio presente nella CO2 atmosferica,
quindi non c’è bisogno di aggiungere carbonio organico,
al limite possiamo insufflare della CO2 (gas)nel mezzo) o fotoeterotrofi (eterotrofi→
vuol dire che hanno bisogno di carbonio organico -come noi-).
Chemiotrofi→ tutti gli organismi che utilizzano
l’energia chimica come fonte di energia (quindi non la
radiazione luminosa, ma l’energia chimica).
È necessario quindi aggiungere una fonte di energia
nel loro terreno (questa fonte di energia è diversa per
ogni tipo di microrganismo) ed oltre a questa dobbiamo aggiungere carbonio
organico o CO2 a seconda che gli organismi siano chemioautotrofi o
chemioeterotrofi.
Possibili fonti di Carbonio che possiamo aggiungere ad un terreno di coltura:
• Monosaccaridi (zuccheri: esempio è il glucosio)→solitamente esosi, più
raramente pentosi.
• Polimeri (costituiti da zuccheri)→ a seconda del microrganismo e della sua
capacità di utilizzarli, possiamo aggiungere l’amido, la cellulosa o la lignina
(raramente utilizzata come fonte di carbonio in laboratorio, più utilizzata in
natura).
• CO2→ se parliamo di autotrofi
Fonti di azoto (è un altro elemento molto presente nella cellula, ad esempio nelle
proteine, negli acidi nucleici…):
• Sali ammoniacali
• Nitrati
• Urea
• Proteine e peptoni→ i peptoni sono dei “lisati” proteici (quindi non sono delle
intere proteine, ma sono dei pezzi di proteine).
• N2
Fonte di zolfo:
• Sottoforma di sale→ MgSO4
• Cisteina→ aminoacido

67
• Estratto di lievito→ solitamente contiene adeguate quantità di zolfo da poter
essere usato come fonte
Fonti di fosforo:
• Fosfati (sali)
• Cationi
• Vitamine
• Aminoacidi
Possiamo quindi comporre il nostro terreno di coltura a seconda delle necessità
I terreni di coltura sintetici possono essere semplici o complessi:
• Semplici→ anche definiti come “chimicamente definiti”, la composizione di
questo terreno di coltura è chimicamente definita, quindi ci sono
concentrazioni note di ogni elemento che lo compone.
Di solito vengono composti con:
- Base Minerale→ dei Sali minerali disciolti in acqua
- Fonte di carbonio→ un'unica fonte di carbonio (può essere uno
zucchero, piuttosto che un altro)
- Fonte di azoto→ ad esempio un sale ammoniacale oppure un nitrato.
(gli azotofissatori possono usare l’azoto atmosferico, quindi possiamo
anche non aggiungerlo)
- Fonte di energia→ se non sono fototrofi
In alcuni casi la fonte di carbonio e la fonte di energia possono coincidere.

Si parte da una base minerale che contiene acqua e Sali minerali poi:
- Cianobatteri→ non dobbiamo aggiungere nulla, perché sono fototrofi
(non c’è bisogno di aggiungere fonte di energia) e sono anche autotrofi
(non bisogna aggiungere carbonio) e sono anche azotofissatori (non
hanno bisogno di una fonte di azoto)

68
- Azotobacter→ bisogna aggiungere una fonte di energia (non è
fotoautotrofo), quindi si aggiunge glucosio, e poi, avendo necessità
particolari, si aggiunge anche del sodio
- Escherichia coli→ è in grado di sintetizzarsi tutti gli aminoacidi, si
aggiunge fonte di carbonio (glucosio), fonte di energia (sempre
glucosio) ed una fonte di azoto (solfato di ammonio)
- Escherichia coli auxotrofo per istidina (vuol dire che non è capace di
produrre questo aminoacido)→è un altro tipo di escherichia coli, nel
terreno aggiungiamo (rispetto al precedente) anche l’istidina.
Si può notare quindi come la composizione di questi terreni sia molto molto
precisa.
• Terreni complessi→terreno di coltura di cui non abbiamo una composizione
chimica dettagliata in termini di dosaggi di ogni elemento. I terreni complessi
soddisfano le esigenze nutrizionali di microrganismi diversi, anche se
differenti.
Contengono:
- Peptoni (idrolizzati proteici)→ invece che uno zucchero ed un sale
ammoniacale come fonte di carbonio e di azoto.
- Estratto di carne, estratto di lievito (fonte di fosforo?)
- A questi “ingredienti complessi” possiamo poi andare ad aggiungere
una singola fonte di carbonio che ci manca o di energia.
I terreni semplici vengono utilizzati quando sappiamo qual è il microrganismo che
vogliamo coltivare, quindi andiamo a preparare il terreno per le sue specifiche
esigenze. I terreni complessi invece permettono la coltura di specie con esigenze
nutrizionali diverse non note.
In laboratorio vengono utilizzati dei preparati commerciali disidratati (il peptone ad
esempio non viene preparato in laboratorio andando a lisare delle proteine, ma è
semplicemente un ingrediente commerciale che si va semplicemente a disciogliere
in acqua).
I terreni di coltura che siano semplici o complessi, possono avere due tipi di
consistenze, cioè due tipi di stato:
• Liquidi→ sono allo stato liquido, nei
terreni liquidi, le cellule quando crescono
non formano colonie, ma piuttosto fanno
sì che il terreno diventi torbido (colture in
beuta -Sx- e tubi da batteriologia -Dx-)

69
• Solidi→ si realizza una crescita per cui le cellule
producono delle colonie visibili, in cui ogni
colonia è formata da tutte cellule derivanti da
una stessa cellula madre. Per solidificare un
terreno di coltura, viene utilizzato l’Agar (estratto di alghe rosse, che dal
punto di vista chimico è costituito da una miscela di polisaccaridi. Ha la
caratteristica di diventare solubile oltre gli 85 °C e poi quando si raffredda,
intorno a valori inferiori a 40 °C, gelifica.
Quando è ancora in stato liquido, viene versato nelle piastre Petri e mischiato ai vari
altri ingredienti del terreno di coltura, ciò fa sì che si crei un terreno di coltra solido.
L’Agar viene impiegato come agente solidificante, perché non è utilizzato dalle
cellule. Cioè se ad esempio solidifichiamo un terreno di coltura semplice con l’agar,
non andiamo a variare la composizione del terreno di coltura (in termini di nutrenti
e sostanze impiegabili dalla cellula), ma rimane la stessa (soltanto il genere
Cytophaga può utilizzare l’agar ed in questo vengono utilizzati al suo posto, altri
agenti solidificanti. Ma per gli altri microrganismi l’agar è un inerte).
Schema che rappresenta come
viene preparato un terreno
solido→ si aggiunge l’agar al
terreno di coltura liquido che
abbiamo preparato andando a
sciogliere i nostri vari ingredienti,
questo terreno liquido insieme
all’agar viene scaldato oltre gli 85°C
e viene versato ancora liquido nelle
piastre Petri, dopodiché a valori inferiori a 40°C si solidifica, lasciando una piastra,
con un terreno di coltura di consistenza gelatinosa, sul quale i microrganismi
possono svilupparsi.
L’Agar può anche essere preparato ed
aliquotato in tubi da batteriologia, questo
viene fatto in particolare quando vogliamo
conservare delle colture microbiche. Questa
formazione particolare che viene prodotta
facendo solidificare l’agar nei tubi, con uno
spessore in corrispondenza del tappo viene ottenuta mediante la posizione inclinata
del tubo da batteriologia, che fa si che l’agar si solidifichi formando un angolo, che
serve solo per ottimizzare e massimizzare la superficie di contatto dell’Agar con le
70
cellule. Questa particolare preparazione si chiama “becco di clarino” (perché è simile
proprio al becco del clarinetto).
I terreni di coltura possono anche articolarsi in terreni: Selettivi, differenziali e
selettivi-differenziali.
Produciamo questi tipi di terreni, a seconda delle esigenze che abbiamo in
laboratorio:
• Selettivo→ consente la crescita solo di alcuni microrganismi (quindi non di
tutti) (può essere sia solido che liquido).
Ad esempio, possiamo avere un terreno che si chiama:
- LB broth-LB+ampicillina (l’ampicillina è un antibiotico)→ soltanto i
microrganismi che sono resistenti all’ampicillina cresceranno su questo
terreno.
- Agar-Lisina (con Lisina unica fonte di azoto)→ cresceranno soltanto i
microrganismi che sono capaci di degradare e demolire la lisina per
ottenere azoto.
- Terreno selettivo per Azotofissatori→ se noi non aggiungiamo azoto al
terreno di coltura, solo i microrganismi che sono in grado di utilizzare
azoto atmosferico si andranno a sviluppare.
• Differenziali→ consentono la distinzione di specie microbiche diverse in base
all’aspetto che le colonie assumono o alle trasformazioni che inducono nel
terreno di coltura (sia liquidi che solidi) (consentono la distinzione di
organismi diversi a seconda della specie delle colonie).
Esempio: agar-lattosio→ la presenza di lattosio
all’interno del terreno di coltura, e di un colorante (che
solitamente è un indicatore di PH), fa sì che certi tipi di
organismi (soltanto alcuni), quelli che sono capaci, in
questo caso, di fermentare il lattosio, generino delle
colonie di colore giallo. Il terreno prima dell’inoculo è blu, quando poi le colonie
si sviluppano, se hanno la possibilità di fermentare il lattosio, diventano gialle.
• Differenziale-selettivo→ terreno dove abbiamo sia la selettività (soltanto certi
microrganismi possono svilupparsi), sia il fatto di essere differenziale (cioè il
fatto di avere le colonie che si colorano in maniera
differente) (sia liquidi che solidi).

71
L’isolamento microbico comporta l’isolamento di un’unica cellula, e delle sue cellule
figlie, da una comunità complessa (perché normalmente in un qualsiasi ecosistema,
dai più semplici ai più complessi, abbiamo delle popolazioni di microrganismi miste).
L’obbiettivo e quello di isolare da una popolazione che contiene tanti microrganismi
diversi (per funzione, morfologia, metabolismo), una o più colture pure.
L’isolamento si ottiene mediante diverse strategie→ tutte riguardano la
modulazione della composizione dei mezzi di coltura (io posso utilizzare, se voglio
isolare una certa cellula, il terreno di coltura che so che quella cellula avrà come
terreno preferenziale, posso poi usare un mezzo selettivo… si possono applicare un
po' tutte le informazioni che sono state fornite in precedenza).
La ragione per cui viene attuato l’isolamento microbico, è quello di ottenere una
coltura pura, cioè quello di ottenere una popolazione di cellule che sono identiche
alla cellula madre che le ha originate.
Colture pure costituite da tutte cellule uguali originate
da un’unica cellula madre.

Metodologie di isolamento:
• Isolamento diretto→ eseguito direttamente senza una preparazione
precedente. Viene attuato quando i microrganismi (diversi, ma con
caratteristiche comuni) che devono essere isolati, sono numericamente
rilevanti (ad esempio voglio isolare un microrganismo che so che in quel
formaggio, in quel vino, in quel suolo è molto presente). Il campione, per
avere la nostra colonia da cui partire, deve essere inoculato su una piastra
Petri.
Schema della prima fase→ mediante una pipetta
ed un puntale, vado a prelevare, da una
sospensione microbica, (ad esempio da un latte, o
da un suolo), una certa aliquota che andrò ad
inoculare su un terreno di coltura (che ho
precedentemente preparato in condizioni di sterilità), questa goccia di
sospensione microbica viene “spatolata” (utilizzando lo strumento
nell’immagine, che si chiama spatola) su tutta la superficie della piastra Petri,
affinché, trascorso il tempo di incubazione, si vadano a sviluppare delle
colonie. Per evitare che si formi la patina ( che è quel caso in cui tutte le
colonie sono sovrapposte e poi per l’isolamento abbiamo difficoltà), la fase di
72
spatolamento deve essere fatta molto bene, cioè vado a spatolare questo
liquido che ho aggiunto alla piastra Petri, in maniera molto molto accurata, in
modo tale che le cellule si vadano a distribuire su tutta la piastra Petri,
occupando tutto lo spazio possibile, cosicché le colonie poi si sviluppino
separatamente le une dalle altre.
Piastra Petri su cui è stata inoculata una goccia di una
sospensione microbica e l’operatore la sta spatolando sulla
piastra.
Metodo di inclusione→ fatta quando
andiamo ad isolare o coltivare dei
microrganismi che ad esempio non si
sviluppano bene con eccessiva presenza di
ossigeno (ad esempio i microrganismi
“microaerofili”, i cosiddetti anaerobi
facoltativi), poniamo in questa fase (?) i microrganismi che non apprezzano la
concentrazione di ossigeno atmosferica (21%) ma hanno bisogno di una
concentrazione di ossigeno minore. Allora invece di andare ad inoculare la
sospensione microbica su un terreno di coltura, la andiamo ad inoculare
direttamente sulla nostra piastra Petri vuota (sterile), andiamo ad aggiungere
il terreno di coltura (composto da Agar) e lo andiamo versare quando ancora
liquido, ma non deve essere troppo caldo (la temperatura deve essere intorno
ai 40°C ma superiore). Questo poi andrà a solidificarsi ed in questo caso le
cellule delle nostre colonie si andranno a sviluppare sulla superficie dell’agar,
ma all’interno dell’agar stesso, queste colonie batteriche quindi non saranno a
diretto contatto con l’ossigeno, ma saranno inglobate all’interno dello strato
di agar.
Esempio che puntualizza che la spatola è una
spatola generalmente in vetro, che è stata
sterilizzata mediante immersioni in alcol prima,
e poi sterilizzata alla fiamma, poi utilizzata sulla
piastra Petri (di solito si usano spatole
monouso, se usa una sola per ogni piastra).

Lo sviluppo di colonie superficiali (Sx) è differente


dallo sviluppo di colonie che invece sono incluse
nell’agar (Dx).

73
Una volta che abbiamo ottenuto le nostre colonie
sviluppate sull’agar, quello che facciamo è andare
a prelevare con attenzione solo una colonia per
volta, con uno strumento che si chiama “ansa”
(sempre sterile e monouso), e si va a comporre il
cosiddetto “striscio” (che significa, come dice la
parola stessa, andare a strisciare l’ansa con cui
abbiamo prelevato la colonia, successivamente sulla piastra Petri, in modo da
avere una parte dello striscio su cui le sono tutte appiccicate su di loro cellule
-perché andando a prelevare una colonia, in realtà stiamo prelevando milioni
di cellule-, perché troppo concentrate, ed un’altra dove si avranno delle
colonie molto ben separate le une dalle altre, poiché mano a mano che si
esegue lo striscio, le cellule diminuiscono sempre di più sull’ansa. Tutte le
colonie presenti sullo striscio, se abbiamo lavorato bene, saranno colonie che
in origine derivano tutte dalla stessa cellula che inizialmente si è sviluppata
sulla piastra (a), producendo inizialmente una colonia. Da una piastra in cui
abbiamo tante colonie diverse (a), possiamo passare ad una con colonie
separate (da ogni colonia possiamo produrre uno striscio diverso) (cerca sul
libro).

Utilizzo di un’ansa in ferro (in questo caso non è


monouso) che viene di volta in volta, per ogni striscio,
sterilizzata alla fiamma.

Striscio concluso, abbiamo delle colonie separate


(puntini a Sx) che sono costituite da cellule identiche a
parti a Dx e sopra, ma essendoci troppe cellule in una
colonia, fa sì che nelle prime parti dello striscio, le
cellule siano troppo concentrate, e quindi che
sviluppandosi diano origine in effetti ad una patina. Ma
nella fase terminale dello striscio, dove sulla nostra ansa le cellule erano più
diluite, abbiamo delle colonie belle separate.

• Isolamento per arricchimento→ si va ad isolare non direttamente (non


facendo direttamente i passaggi appena descritti prima), ma facendo prima
dei passaggi della nostra popolazione microbica, in un liquido che ha
caratteristiche selettive.

74
Questo tipo di isolamento viene fatto quando noi la preparazione di partenza
contiene soltanto in minima parte gli organismi che ci interessano (esempio:
vogliamo isolare Saccharomyces cerevisiae dalle bacche d’uva→ mentre esso
è molto presente nel mosto e nel vino, sulla superficie delle bacche d’uva, è
molto poco presente). Quindi nel caso in cui vogliamo fare questo tipo di
isolamento, dobbiamo prima arricchire (così come dobbiamo prima arricchire
se vogliamo andare a ricercare organismi che sono in grado di svolgere
nell’ambiente particolari attività, magari prima dobbiamo arricchire la
popolazione e fare in modo che questa venga selezionata).
L’arricchimento viene fatto per arricchire dei microrganismi che hanno delle
caratteristiche comuni, oppure di una sola specie.
Viene solitamente utilizzato un terreno liquido all’inizio, prima
dell’isolamento, per dare il vantaggio solamente ai microrganismi che
vogliamo arricchire ed isolare. Per ottenere la nostra coltura pura, l’ultimo
stadio di arricchimento verrà inoculato su una piastra Petri e si seguirà tutto il
percorso dell’isolamento diretto.
Quello che cambia quindi è la preparazione iniziale. Tuttavia, non è detto che
l’arricchimento riguardi per forza la necessità di ottenere una coltura pura.
L’arricchimento può essere utilizzato non a scopo di isolamento ma a semplice
scopo di arricchire una popolazione capace di svolgere una certa attività (ad
esempio se voglio arricchire un consorzio di microrganismi -quindi
microrganismi diversi tra loro- ad esempio capaci di degradare un certo
inquinante).
Schema dell’isolamento per
arricchimento→invece che prelevare
direttamente dalla nostra sospensione di
suolo (che nel caso dell’isolamento
diretto sarebbe stata inoculata
direttamente nella nostra piastra
agarizzata), in questo caso facciamo fare
dei passaggi intermedi (qui in questo
caso ne vengono rappresentati 3, ma
possono essercene 2, come 10 come di più), dove abbiamo un terreno di
coltura liquido contenente degli ingredienti che selezionano il microrganismo
che vogliamo arricchire→ questo passaggio talvolta è necessario perché
magari ad esempio il microrganismo che ci interessa occupa solo lo 0,1% della
popolazione, quindi vuol dire che se io faccio un isolamento diretto, devo
andare a strisciare almeno 1000 colonie(sulla slide c’è scritto isolati) per avere
75
la probabilità di avere una colonia di quel microrganismo. Quindi andando ad
arricchire, semplicemente faccio diventare il mio microrganismo che
inizialmente era solo presente allo 0,1%, magari al 50%, od all’80%, in modo
tale che andando a fare il passaggio in Petri, la maggior parte delle colonie
sulla piastra, appartengano al microrganismo che mi interessa.
La composizione del terreno di coltura liquido è diversa a seconda del
microrganismo che voglio isolare.
Esempi di necessità di arricchimento:
- Se voglio isolare degli azotofissatori non simbionti da campioni di suolo,
perché come scopo ho la necessità di produrre un biofertilizzante
commerciale.
- Isolare lieviti vinari (come appartenenti a Saccharomyces cerevisiae)
dalla superficie di acini d’uva.
- Oppure posso isolare microrganismi capaci di degradare una
determinata sostanza
Esempio di un esperimento dove il terreno
liquido che utilizzano per l’arricchimento
contiene un pesticida, un fitofarmaco, che
hanno la necessità di degradare con una
procedura di biorisanamento. Questo
pesticida rappresenta l’unica fonte nutritiva
in questo terreno di arricchimento, quindi vuol dire che solo i microrganismi
presenti nel suolo campionato capaci di degradare questa molecola ed utilizzarla
come nutriente, si andranno a moltiplicare nelle fasi successive del nostro
arricchimento.

CONSERVAZIONE DELLE COLTURE MICROBICHE


Dopo aver isolato le colture pure dobbiamo sapere come preservarle in laboratorio.
Ragioni per cui è utile preservarle:
• Mantenimento per lo studio e la ricerca
• Applicazione industriale o biotecnologica (ad esempio o per la produzione di
farmaci o per la vendita proprio di microrganismi sotto varie forme)
• Conservazione di ceppi microbici che sono destinati ai centri di risorse
biologiche, ci sono diverse banche dati che si occupano di conservare dei
ceppi isolati in diverse condizioni.

76
A prescindere dal fine, la procedura di conservazione ottimale, mantiene la nostra
coltura pura senza contaminazioni.
Le colture devono poter essere riportate allo stato vitale, senza subire nessun tipo di
danno.
3 tipologie di conservazione:
• Trasferimento periodico su terreno di coltura fresco→è la modalità più
comune quando in laboratorio si lavora su una coltura in periodi di tempo
ravvicinati.

Si traferisce semplicemente la coltura periodicamente su un terreno di coltura


fresco. Esempio di procedura standard: si usa sempre un’ansa, prendiamo
un’aliquota della nostra coltura pura e la trasferiamo su un terreno di coltura
fresco, sempre in prossimità di una fiamma (intorno c’è quindi ambiente
sterile), dopodiché tappiamo il tubo da batteriologia, ripassiamo le provette al
buncen e risterilizziamo anche l’ansa.
Procedura per microrganismi microaerofili: invece di depositare le cellule che
abbiamo prelevato in superficie, le andiamo a depositare in profondità nella
provetta (non in eccessivo contatto con l’ossigeno).
Becchi di clarino (nelle provette da batteriologia), si ha poi lo
sviluppo della coltura pura sulla superficie che abbiamo
creato andando a depositare il nostro terreno di coltura
agarizzato (quando ancora liquido), in pendenza.
A prescindere che sia una piastra Petri od una provetta da batteriologia, la
nostra coltura viene conservata, nel caso del trasferimento periodico su
terreno di coltura fresco, alla temperatura di 4°C (temperatura normale in
frigo), tuttavia, una volta che conservo questa coltura in frigo, ogni tanto la
devo comunque trapiantare. Lo svantaggio è dovuto dal fatto che visto che
bisogna fare dei trapianti successivi, posso commettere errori, errori che
possono essere ad esempio dovuti alla contaminazione (posso non
77
trapiantare nella maniera corretta, perché non lavoro nella maniera corretta
vicino al buncen, e quindi la mia coltura viene contaminata).
Un altro errore che capita frequentemente con i batteri, è che dopo tanti
trapianti, possono subire delle mutazioni (variazione del DNA che possono
avvenire in maniera casuale, il continuo trasferimento da un terreno ad un
altro aumenta la frequenza di mutazioni, soprattutto nei batteri).
Questa quindi è una modalità economica e molto utilizzata quotidianamente,
che tuttavia non viene utilizzata quando si lavora con colture preziose.
• Liofilizzazione:
Per eseguire questa tecnica, si usa una macchina che si
chiama “liofilizzatore”→essa crea il vuoto a bassa
temperatura in questi “palloni” in cui vengono depositati i
microrganismi. Il vuoto e la bassa temperatura servono per
far avvenire il fenomeno della sublimazione, avviene
quindi un essicamento della coltura a freddo, l’acqua viene
eliminata.
Lo svantaggio della liofilizzazione è che alcune specie non
sopravvivono al processo (esempio→gli lieviti tipicamente vengono liofilizzati
e si mantengono bene come tali, mentre molti tipi di batteri invece no).
• Ultracongelamento:
La temperatura è inferiore od uguale ai -80°C, le colture vengono conservate
negli ultracongelatori che però prima di esserci poste dentro, devono essere
trattate con del criopreservante, che solitamente è glicerolo. Il glicerolo viene
aggiunto al terreno di coltura con una concentrazione finale del 10%.
In pratica quindi usiamo una coltura che è stata
disciolta in un terreno liquido, a questo terreno
liquido viene poi aggiunto un 10% di glicerolo, e la
coltura liquida con il glicerolo viene poi posta in
ultracongelamento.

L’ultracongelamento può anche essere attuato in maniera più rapida,


congelando prima la coltura con azoto liquido, e ponendola solo dopo questo
passaggio, in ultracongelamento. Vengono utilizzate di solito delle provette
particolari, che in genere sono costituite da materiali che hanno una buona
conservabilità anche a temperature molto basse.
Questo è in assoluto il sistema migliore per conservare le colture, perché tutte
sopportano bene l’ultracongelamento (a patto ovviamente di aver aggiunto il
criopreservante).
78
Le colture in ultracongelamento sono molto stabili dal punto di vista genetico
(per cui si conservano anche per molti anni).

Schema con maggiore dettaglio della durata possibile, delle possibili


problematiche, dei diversi metodi di conservazione (sopra)→ Liofilizzazione
ed ultracongelamento sono i metodi di conservazione migliori
(ultracongelamento è il migliore in assoluto).
L’ultracongelamento non viene utilizzato per colture su cui si sta lavorando in
un dato momento, perché si tende a non porre in ultracongelamento e riporre
continuamente le colture in ultracongelatore man mano che ci si lavora.
Solitamente infatti, si preleva un’aliquota, questa man mano che ci si lavora
viene trasferita periodicamente in terreno di coltura fresco, e poi una volta
terminato di lavorarci si mette di nuovo in ultracongelatore.

79
MISURA DELLA CRESCITA MICROBICA
Misurare la crescita microbica significa determinare il numero di microrganismi
presenti in una data matrice mediante diversi metodi:
• Diretti→ si basano sul fatto che noi andiamo a contare tutte le cellule, le
contiamo direttamente partendo dalla matrice tal quale o diluita mediante le
“diluizioni seriali”. I metodi diretti vengono svolti mediante l’utilizzo del
microscopio.
• Indiretti→ consentono di contare solamente le cellule vitali (passaggio molto
importante perché i microrganismi che sono in grado di avere un effetto
sull’ecosistema che occupano, sono quelli vitali – cioè le cellule che sono in
grado di moltiplicarsi-). I metodi indiretti vengono utilizzati senza la necessità
di una visione al microscopio, ma si comportano di diversi passaggi, a partire
dalla scelta dal mezzo di coltura opportuno, all’inoculo dei microrganismi,
all’incubazione di queste cellule ed alla crescita delle medesime. Vengono
contate successivamente alla loro crescita.
• Misure della torbidità (possono essere un complemento ad entrambe le due
tipologie precedenti)
Diluizioni seriali decimali→ principio su cui si basano tutte le tecniche di analisi dei
microrganismi (isolamento, conta…). I microrganismi sono tanti, per contarli, per
studiarli, in molti casi abbiamo la necessità di preparare delle diluizioni.
Viene scelto il diluente, normalmente il
diluente che viene utilizzato in laboratorio è la
soluzione di Ringer. Vengono utilizzati dei tubi
da batteriologia, nei quali poniamo 9 ml di
soluzione di Ringer (ovviamente tutto ciò che
viene utilizzato, deve essere sterile). Ora
prepariamo le diluizioni: andiamo a prelevare
la nostra matrice (in questo caso può essere
una sospensione di suolo, od un latte, una matrice liquida qualsiasi, se abbiamo una
matrice solida eventualmente dobbiamo prima discioglierla), andiamo a comporre la
prima diluizione, ponendo 1gr della nostra matrice (liquida o solida) in 9ml (quindi in
una delle provette che abbiamo preparato) di diluente (in questo caso di Ringer).
Facendo il rapporto tra 1gr e 9ml (ossia 9gr), noi in questo modo abbiamo preparato
una diluizione che sarà 1 a 10, e quindi la chiameremo 10-1 (In una diluizione 1 a 10,
si ha che 1 ml di soluzione concentrata viene diluito a 10 ml. Considerando i volumi
additivi, e quindi effettuando una piccolissima approssimazione, si ha che ad ogni ml
80
di soluzione concentrata devono essere aggiunti 9 ml di acqua). Dopo aver
preparato questa prima diluizione, andiamo a preparare 1 ml da questa 10-1 e la
mettiamo in altri 9ml di Ringer (quindi in un'altra provetta), in questo caso la nostra
diluizione in rapporto al campione iniziale sarà una diluizione 1:100, quindi sarà 10-2.
Dalla 10-2 prenderemo 1ml e lo metteremo in 9 ml di Ringer, andando a produrre
una diluizione 1:1000, perciò 10-3.
Mediante la stessa procedura possiamo proseguire a preparare le diluizioni fino a
quando ci richiede il nostro studio (ad esempio anche fino a 10-12, quando pensiamo
di avere un campione molto molto ricco di microrganismi).
La scelta su dove fermarci con le diluizioni, prevede che noi sappiamo almeno in
linea di massima l’ordine di grandezza di cellule che il nostro campione potrebbe
contenere, ed andiamo un po' oltre, producendo quindi delle diluizioni in eccesso.
Si chiamano diluizioni seriali decimali perché le prepariamo in serie (per una
diluizione usiamo la precedente), e perché le diluizioni variano in rapporto di 1:10
una rispetto all’altra.
Soluzione di Ringer→In sua assenza, si può usare una soluzione fisiologica qualsiasi,
sono soluzioni isotoniche.
Ingredienti→contiene una quantità di Sali inorganici disciolti in acqua che servono
per mantenere la soluzione isotonica, ossia una soluzione che abbia la medesima
pressione osmotica rispetto al contenuto cellulare (in modo che le cellule non
subiscano uno shock osmotico quando dalla matrice di partenza vengono messe in
diluente). La soluzione di Ringer non contiene però i nutrienti in termini di carbonio,
azoto, vitamine ed aminoacidi che sono necessari alle cellule per moltiplicarsi.
Infatti, le diluizioni seriali decimali sono un passaggio in cui vogliamo mantenere le
cellule vive, ma non vogliamo che comincino a moltiplicarsi, in quanto la conta
avviene successivamente. Quindi vogliamo che le cellule rimangano inalterate
rispetto alla loro condizione osmotica, ma vogliamo anche fare in modo che non si
moltiplichino ancora rispetto al campione di partenza, altrimenti ciò andrebbe ad
inficiare la successiva conta.
Conta diretta:
La tipica conta diretta che può essere fatta in
laboratorio utilizza la camera di Burker ed il
microscopio (con ingrandimenti 10, 40 e 100,
normalmente per la conta vengono utilizzati
ingrandimenti 10 o 40, a seconda delle dimensioni
cellulari).

81
Camera di Burker→ è un vetrino che
acquistiamo già predisposto (è un prodotto
commerciale che ha già determinate
caratteristiche). Ha due camere di conta. Il
campione viene inserito nella camera vera e
propria che è questa depressione nel vetrino,
e poi viene coperto da un vetrino
coprioggetto.
Due parti evidenziate nell’immagine (dove si
mette il campione)→sono parti della camera che vengono incise con un laser che va
a produrre delle scanalature/una griglia che ci serve come riferimento spaziale per
capire in quale volume stiamo contando (avendo una depressione, quando noi
andiamo a contare le cellule nella camera, stiamo contando le cellule in un
determinato volume).
Il volume della camera solitamente viene indicato sulla camera stessa (vedi
immagine)→ camera in cui il quadrato in cui andiamo a contare ha questo volume
(primo valore in alto). Avendo quindi un volume di 0,004 mm3 (0,2 di lunghezza per
0,2 di larghezza per 0,1 di spessore), facendo il rapporto rispetto a 1ml, troviamo
che nel nostro spazio di conta abbiamo un rapporto di 1:250000 rispetto a 1ml.
Quindi in pratica quando contiamo le cellule in un riquadro mediante il microscopio,
andiamo poi a moltiplicare il valore per il nostro rapporto volumetrico ed
eventualmente per il coefficiente di diluizione (perché abbiamo magari contato una
diluizione e non la soluzione tal quale), e ci troviamo il numero di cellule per ml.
La camera è incisa al laser, abbiamo un settore in cui andiamo a
contare le cellule che è di 0,2X0,2X0,1(mm) di spessore, ed
arriviamo ad un volume di 0,004 mm3, in 1ml (che solitamente
è l’unità volumetrica a cui si riferiscono le misure in
microbiologia) abbiamo 1000mm3, quindi 1000mm3:0,004=
250000. (Questo è quello che ha spiegato la professoressa,
adesso qui scrivo la spiegazione per come ho capito io la cosa -spero sia giusta ma
non ne sono sicuro→ controlla o chiedi a qualcuno-. Praticamente il volume di uno
dei 9 settori della camera di Burker è 0,004 mm3, mentre il volume di 1 ml in mm3 è
1000mm3. Facendo un rapporto -ovvero 1000:0,004= 250000- vediamo che 1 ml è
uguale in volume a 250000 settori della camera pieni, pertanto per trovare il
numero di cellule per ml di una soluzione, bisogna moltiplicare il numero totale di
cellule che abbiamo contato nel settore per 250000. Nel caso in cui per facilitarci la
82
conta nel settore, abbiamo diluito la soluzione di partenza, dobbiamo moltiplicare il
risultato trovato per il coefficiente di diluizione).
I limiti della camera di Burker:
• Impossibile distinguere le cellule vive dalle cellule morte, o dalle cellule che
invece sono magari vive ma non vitali→è un grosso limite, perché magari
contiamo delle cellule morte che non hanno alcun tipo di funzione
nell’ecosistema che stiamo analizzando.
• Difficoltà quando i campioni anche nella loro forma non diluita sono molto
poco concentrati (es: acqua oligotrofica, acqua abbastanza pulita in cui ci sono
pochi batteri)→ rischiamo che nella nostra visione al microscopio non siamo in
grado di vedere cellule.
• Problemi di messa a fuoco→ nella camera di Burker, stiamo guardando
attraverso un volume, ciò implica che noi abbiamo diversi piani di messa a
fuoco quando guardiamo al microscopio e ciò vuol dire che mettendo a fuoco
posso non arrivare al giusto piano di fuoco in cui ci sono delle cellule e quindi
non vederle.
• Le cellule possono essere mobili→ alcune cellule possono muoversi all’interno
della sospensione, e quindi noi possiamo erroneamente contarle più volte
nella stessa area.
Tutto ciò si amplifica poi nella soggettività dell’operatore, ovvero possiamo avere
operatori poco esperti che amplificano la probabilità di errore.
Ciò che si può vedere al microscopio (in questo
caso è un microscopio che è un po' diverso da
quelli ottici presenti in laboratorio)→ Si
vedono le incisioni fatte al laser sulla camera di
conta, che ci aiutano a contare le cellule
all’interno di uno spazio che sarà la nostra
unità di volume. Quindi contiamo proprio
quante cellule ci sono all’interno del nostro
spazio di conta. Queste cellule possono essere
però mobili, e possono quindi spostarsi al volume dello spazio vicino, e possiamo
avere dei problemi di messa fuoco (nell’immagine c si capisce meglio che ci possono
essere dei problemi di messa a fuoco in una matrice liquida). Nella figura d abbiamo
il caso in cui abbiamo un campione molto poco concentrato, quindi non si vedono
cellule e possiamo avere un errore molto molto importante.
La camera di conta per quanto abbia così tante problematiche, viene utilizzata in
83
laboratorio a scopo esplorativo, cioè viene utilizzata prima di procedere con i metodi
indiretti, per metterci nella condizione di capire spannometricamente quante cellule
abbiamo nei nostri campioni o nelle nostre diluizioni (solitamente non ci si basa sulle
camere di conta per fornire dei dati realistici, è una modalità molto economica e
rapida, che può essere utilizzata in maniera preliminare. Ad oggi non viene di solito
usata quando vogliamo misurare realmente delle cellule e soprattutto le cellule
vitali)
Conte indirette o conte vitali:
In questo caso noi non andiamo a contare direttamente le cellule (come nel caso
della camera di Burker) ma andiamo a contare una manifestazione della loro crescita
(ad esempio le colonie, il fatto che noi andiamo a contare le colonie implica che noi
andiamo a contare delle cellule vitali, ovvero quelle cellule si sono moltiplicate a
formare quella determinata colonia).
Siamo in grado di decidere cosa andare a contare, perché possiamo decidere il
mezzo di coltura sul quale far sviluppare le nostre cellule. Successivamente poi
andiamo contarle.
Possiamo anche scegliere le condizioni di incubazione ed eventualmente possiamo
anche decidere di utilizzare degli specifici gruppi, perché magari utilizziamo dei
mezzi di coltura selettivi in cui si sviluppano solo certi gruppi di cellule. Oppure
possiamo usare dei terreni di coltura e dei metodi di incubazione che possono
favorire lo sviluppo di molte cellule diverse (in questo caso andremo nella direzione
di una conta totale).
Tutte le conte indirette o vitali richiedono sempre di allestire diluizioni seriali in
Ringer (mentre per la conta nella camera di Burker, nel caso in cui i campioni non
siano eccessivamente concentrati, può anche essere fatta sul tal quale).
Conta su piastra→conta più utilizzata in ogni tipologia di laboratorio (ha in sé diversi
aspetti che la rendono molto utile) (utilizzando le piastre di conta possiamo
utilizzare le colonie che andiamo ad utilizzare ai fini della conta, anche come colonie
che poi possono essere successivamente isolate ed utilizzate per preparare le
colture pure). Si contano soltanto le cellule vitali e coltivabili (chiaramente i
microrganismi che non sono coltivabili in laboratorio, seppur vitali nel loro
ecosistema non possono essere contati mediante questa tipologia di approccio). Il
risultato che otteniamo viene espresso in UFC (unità formanti colonia) /ml oppure
UFC/g (UFC deve sempre essere riferito o ad un volume -ad esempio ml- o ad un
peso -ad esempio g-) (in inglese è CFU -Colony Forming Unit-).
Agiamo modulando le condizioni di incubazione, per cui se io utilizzo un’incubazione
anaerobia, andrò a consentire la crescita dei soli microrganismi anaerobi, e quindi
84
loro saranno gli unici a moltiplicarsi.
Allo stesso modo posso utilizzare una composizione del mezzo di coltura diversa:
• Posso utilizzare terreni che fanno sviluppare microrganismi diversi (utilizzando
mezzi selettivi/discriminativi) (rifletti e pensa bene!!!).
• posso scegliere di utilizzare mezzi di coltura che si adattano ad organismi che
si sviluppano in ecosistemi differenti (ad esempio se devo contare i
microrganismi in un’acqua oligotrofica -ovvero che contiene pochi nutrienti
rispetto ad un suolo in cui i nutrienti sono molti-, vado a scegliere un mezzo di
coltura differente).
Esempio:
Sono due terreni di coltura che da un
punto di vista generico qualitativo
sono simili, ma che invece da un
punto di vista quantitativo sono
molto diversi. PCA ed R2A sono due
terreni agarizzati (cioè aggiunti di
agar per poter essere aggiunti in
piastre Petri e quindi poter
consentire lo sviluppo di colonie).
Sono riportate le quantità in g/L dei
componenti. La quantità di agar è la
stessa, perché l’agar è un
componente inerte che serve solo
per solidificare il terreno di coltura.
Per il resto però abbiamo quantità
molto diverse, questi sono entrambi
terreni di coltura complessi (quindi vuol dire che non contengono una fonte di
azoto, una fonte di carbonio, vitamine e Sali minerali, ma hanno una composizione
mista, contengono peptoni, estratto di lievito, zuccheri…). Ad esempio, PCA ha 5,0
g/L di Peptone, mentre R2A ha 0,5 g/L di Peptone, l’R2A che viene solitamente
utilizzato per misurare la quantità di batteri in acque oligotrofiche, contiene tanti
tipi di nutrienti, ma in quantità ridotte. Mentre il PCA che serve per quantificare i
batteri in matrici un po’ più ricche (come gli alimenti od il suolo), è un terreno
complesso che ha una quantità di nutrienti un po' più consistente. Questo perché i
microrganismi che si sviluppano in un certo ecosistema sono abituati alla quantità di
nutrienti che il sistema contiene, quindi per farli crescere è bene porli in un mezzo di
coltura che abbia caratteristiche quanto più simili all’ecosistema in cui si evolvono.
85
Scegliendo uno dei due terreni di coltura, vado a scegliere tra due terreni simili, ma
diversi come quantità, e li utilizzo per due tipologie di matrici differenti.
Procedura da seguire:
Abbiamo preparato le nostre
diluizioni seriali (da 10-1 a 10-5 in
questo caso) che contengono
solamente un agente isotonico
(come la soluzione di Ringer od una
soluzione salina), per cui le cellule
che c’erano inizialmente rimangono
quelle (non si moltiplicano) e non
subiscono stress osmotico.
A partire da ogni diluizione,
andiamo ad inoculare una piastra
Petri nella quale abbiamo messo un terreno di coltura che abbiamo scelto tra le
possibilità che abbiamo in laboratorio (un mezzo selettivo, un mezzo complesso ma
generico, a seconda dei microrganismi che vogliamo contare nel nostro
esperimento, scegliamo un mezzo di coltura opportuno). Si vanno ad inoculare 0,1
ml dalla nostra diluizione nel nostro terreno di coltura selettivo. Andiamo a
spatolare il nostro inoculo (con la stessa tecnica che viene utilizzata per
l’isolamento), a questo punto andiamo ad incubare le nostre piastre per il tempo
necessario che dia la possibilità ai microrganismi di svilupparsi. Passato il periodo di
incubazione, sulle nostre piastre di coltura, si saranno sviluppate delle colonie. Ogni
colonia è corrispondente a quella che in origine era una cellula, perché ad una
cellula corrisponde una colonia. Quindi vedremo che nelle diluizioni poco diluite (ad
esempio nella 10-1) potremmo avere una situazione per cui, le cellule erano
talmente tante che nonostante l’avessimo distribuite con la spatola sulla superficie
agarizzata, le cellule erano talmente tante che le colonie si sono sovrapposte
(perché le cellule erano troppe). Viceversa, nelle diluizioni molto molto diluite può
succedere che non ci siano proprio cellule (in questo caso nella 10-5). Pertanto, noi
andiamo semplicemente a contare le colonie nelle piastre in cui sono contabili
(nell’esempio in questo caso nelle prime due le colonie sono troppo numerose ed
appicciate le une alle atre, mentre vengono utilizzate per la conta le due subito
successive – 65 e 6 colonie-). È importante notare che nelle diluizioni seriali
decimali, due diluizioni seriali successive, danno un risultato che in rapporto a quello
dell’altra è più o meno di 1:10 (65 e 6) (questo è ciò che dovrebbe succedere se
abbiamo lavorato bene, perché effettivamente noi siamo partiti da due diluizioni 1 a
86
10 rispetto all’altra, se noi avessimo trovato 60 colonie anche in quella che sarebbe
dovuta essere stata da 6, vorrebbe dire che noi avremmo commesso un qualche tipo
di errore nel procedere con il nostro esperimento. A partire da due diluizioni in
rapporto 1 a 10 rispetto all’altra, dobbiamo avere un valore di circa 1/10, 1 a 10, di
differenza che va nella diminuzione del numero di cellule, man mano che andiamo
nella direzione di diluizioni più diluite).
Piastre per fare la conta vitale (che però sono diverse dalle
piastre Petri, vengono ad esempio utilizzate per le
misurazioni in campo -dove non ci si porta dietro tanta
roba-) (prodotto commerciale) costituite da una sorta di
cartolina con una pellicola sopra. Ci sono molte tipologie
diverse, a seconda dei microrganismi che vogliamo
trattare. All’interno di questa piastra vi è un terreno
disidratato che consente di far crescere delle colonie, che poi si coloreranno (sono
preparate in modo che le colonie una volta cresciute diventino visibili e colorate), ed
a questo punto saremo in grado di contarle.
Schema di preparazione del petrifilm→ metto la
goccia di inoculo nel cartoncino, la ricopro con una
pellicola (nella prima immagine si vede), poi dopo
con uno strumento che vendono (nella seconda
immagine, quella roba di plastica trasparente),
faccio aderire il liquido al cartoncino sotto ed alla
pellicola. Il liquido di inoculo serve per reidratare il
terreno contenuto nella piastra. Queste piastre vengono poi incubate in un
termostato esattamente come le piastre Petri.
Risultato finale→la prima immagine in alto mostra come le colonie
siano effettivamente visibili anche senza il microscopio (il terreno in
quest’immagine in particolare è un petrifilm che è stato preparato
con un terreno discriminativo che viene utilizzato per andare a
valutare la contaminazione fecale di acque), l’altro è un terreno
generico, l’equivalente della conta totale.

Nel caso in cui non abbia senso preparare le diluizioni, perché le cellule sono troppo
poche, ma addirittura le cellule siano così poco numerose da non poter essere
nemmeno contate sul tal quale, è necessario concentrare le cellule. Ad esempio,
quando abbiamo un’acqua molto oligotrofica in cui abbiamo ad esempio solo 6 o 7
87
cellule per ml, rischiamo che anche andando a mettere 1ml sulla nostra piastra, le
nostre 6-7 colonie non si sviluppino o quantomeno sia molto difficile trovarle nel
nostro inoculo, è necessario quindi concentrare le cellule nel nostro volume
acquoso.
Beuta codata (è una beuta da
laboratorio) (tutto deve essere
sterile). Tra l’imbuto superiore e
quello inferiore viene posta una
membrana filtrante (l’immagine più
in basso della slide). Dopo aver
assemblato la beuta, andiamo a porre
il campione liquido che viene
costretto a passare attraverso la
membrana filtrante, perché attaccato
la beuta c’è un sistema aspirante
(tubicino attaccato alla beuta). Dopo aver filtrato qualche litro di volume (1, 2 ,5 L…)
andiamo a raccogliere il filtro e lo andiamo a porre in una piastra Petri con un
terreno di coltura. Il filtro trattiene i microrganismi, perché è proprio progettato in
modo da avere un diametro di poro molto piccolo (solitamente inferiore a 0,2
micron), quindi necessariamente le cellule vengono trattenute. Dopo l’incubazione,
visto che abbiamo utilizzato un terreno discriminativo, le colonie si sono colorate e
sono diventate ben visibili (nell’immagine se ne contano 30, una trentina di cellule
che magari sono presenti in 5L di acqua filtrata, difficilmente infatti saremmo riusciti
a contarle senza il filtraggio).
L’immagine in bianco e nero
sopra è un’immagine al
microscopio elettronico che
mostra come la membrana
filtrante non faccia passare i
microrganismi. Le altre due
immagini mostrano lo sviluppo dei microrganismi su piastre Petri, in cui grazie ad un
terreno discriminativo, le loro colonie assumono un certo colore. Ciò ci dà modo
quindi di contarle. Per riferire il numero di cellule che erano inizialmente presenti
nella matrice di partenza all’unità di volume, bisogna sapere quanto volume
abbiamo filtrato (è fondamentale avere sempre un’indicazione al volume od al peso,
quando dobbiamo indicare una carica microbica in qualsiasi matrice).

88
Conta vitale in substrato liquido:
Non tutte le cellule crescono bene in piastra Petri, in alcuni casi abbiamo bisogno di
far crescere i nostri microrganismi in substrato liquido, quindi privo di agar. Questa
tecnica si chiama MPN (most probable number) e si basa sul calcolo probabilistico
(quindi non sulla diretta quantificazione del numero di colonie e quindi del numero
di cellule presenti in origine, ma in questo caso ci andremmo ad affidare a delle
tavole predisposte per questo calcolo probabilistico). Il risultato della conta lo
andremo ad esprimere in MPN/ml oppure in MPN/g a seconda della matrice che
andiamo a misurare.
Passaggi:
• Allestimento delle diluizioni→ sono sempre diluizioni seriali decimali prodotte
in diluente inerte (come una soluzione fisiologica, o la soluzione di Ringer)
• A partire dalle diluizioni, andiamo ad inoculare dei tubi da batteriologia
contenenti un mezzo di coltura liquido (la procedura MPN prevede che per
ogni diluizione vengano allestiti 3 oppure 5 tubi -scelta che viene fatta
all’inizio, gli esempi che noi vediamo sono su 3 tubi-)
• Dopo aver inoculato i tubi contenenti il terreno liquido, andiamo ad incubarli
(stiamo infatti facendo una conta vitale, quindi andiamo a contare solo i
microrganismi capaci di moltiplicarsi nel nostro terreno di coltura).
• La verifica su tubi positivi o negativi (in base alla torbidità nel substrato
liquido. Le cellule non producono colonie, ma il liquido diventa
semplicemente torbido)
• Andremo poi a determinare il cosiddetto numero caratteristico, e la diluizione
limite.
Si parte dalle diluizioni, noi abbiamo allestito
delle diluizioni seriali (in questo caso da 100-
che indica il tal quale, non diluito- a 10-4)
(anche in questo caso siamo sempre noi che
decidiamo dove fermarci) con soluzione
isotonica, poi andiamo ad inoculare per ogni
diluizione 3 tubi da batteriologia che abbiamo
preventivamente riempito con un terreno di
coltura liquido sterile. Aggiungiamo quindi 1 ml
in ognuno dei tubi a partire dalla medesima
diluizione (nel caso in cui sappiamo già che il
nostro campione è già molto ricco di
microrganismi, possiamo cominciare questo
89
passaggio non dalle prime diluizioni, ma già dalle successive). Una volta
inoculate le nostre diluizioni, ci sarà un periodo di incubazione (dobbiamo
aspettare che le cellule possano moltiplicarsi), dopo questo periodo, dove le
cellule si sono effettivamente moltiplicate il terreno sarà diventato torbido,
mentre dove il terreno non ha nessun aumento di torbidità significa che le
cellule non si sono moltiplicate (magari anche solo perché semplicemente non
erano presenti -ad esempio nelle diluzioni più avanti, nell’esempio in 10-4-). Si
chiama MPN perché man mano che passiamo da una diluizione in cui ci sono
tante cellule, ad una in cui le cellule via via sono sempre più diluite fino a
scomparire, più c’è probabilità che nel nostro tubo di coltura le cellule non
vengano inoculate, quindi diano origine a tubi da batteriologia che non
diventeranno mai torbidi, perché non contengono cellule (nell’esempio i tubi
colorati sono quelli torbidi, i bianchi sono limpidi perché non hanno cellule).
Andiamo ad attribuire il codice 1 ad ogni tubo “positivo” (con positivo
intendiamo i tubi che sono diventati torbidi). Tal quale: 3 tubi positivi, 10-1: 3
tubi positivi, 10-2: 2 tubi positivi, 10-3: 2 tubi positivi, 10-4: nessun tubo
positivo.
Determinazione del:
• Diluizione limite→ diluizione più spinta nella quale ci sono il massimo di tubi
positivi (nell’esempio con l’utilizzo di 3 tubi per ciascuna diluizione, il massimo
è 3. Pertanto, la diluizione limite è la 10-1).
• Numero caratteristico→ si comincia dalla diluizione limite che ha 3 tubi
positivi, poi andando avanti se ne hanno 2, poi altri 2 e poi non ce ne sono più.
Il numero caratteristico per questo esempio è 3-2-2.
Come si fa a passare dal numero caratteristico e la diluizione limite, al numero di
microrganismi?
Si prende il numero caratteristico e lo si va a confrontare
su delle tavole (tavole di McCrady -determinate in maniera
probabilistica da McCrady che è un microbiologo che ha
inventato questo sistema, ed ha fatto uno studio caso per
caso-) già predisposte che servono per convertirlo al
numero più probabile di microrganismi in quel
determinato caso. Noi non facciamo quindi altro che
andare a cercare il nostro numero caratteristico nella
tavola (Per l’esempio andiamo a cercare 3-2-2 e troviamo
che corrisponde a 210 microrganismi)
90
In questo caso dobbiamo moltiplicare per il reciproco della diluizione limite, in
quanto in questo modo riusciamo a riferirci al tal quale (quindi moltiplico 210 per
10, e trovo il numero di cellule per ml) (nell’immagine sopra viene riportato su 1ml,
la nostra tavola invece è su 100ml).
Esempio in cui abbiamo un MPN, dopo l’incubazione
abbiamo come positivi, 3 per 10-2, 3 per 10-3, 2 per 10-4,
niente per 10-5 e 10-6. In questo caso il nostro numero
caratteristico sarebbe 3-2-0 e la nostra diluizione limite
sarebbe 10-3, per cui dobbiamo moltiplicare il numero
che troviamo nella tavola di McCrady per 103. (ci sono 93
cellule nella diluizione 10-3, per cui moltiplichiamo 93 per
103 e troviamo il numero di microrganismi nel tal quale).

Esempio che ci fa capire proprio quanto lo sviluppo


microbico sia visibile nel caso dei terreni liquidi con un
aumento della torbidità.

Se noi prendiamo il primo esempio (quello con le provette disegnate), e prendiamo


come diluizione limite la diluizione 10-2, troviamo il numero caratteristico e lo
convertiamo in MPN, troviamo lo stesso numero che avremmo trovato scegliendo
normalmente la diluizione 10-1, cioè se vado a riferire 210 (nel caso di 3-2-2) al tal
quale otteniamo lo stesso numero che ricaviamo portando al tal quale 21 (nel caso
di 2-2-0). Pertanto, non è tanto importante scegliere la diluizione limite giusta, è
molto importante invece capire quando i tubi sono positivi o negativi, infatti in
alcuni casi questa determinazione può essere difficile. Se osserviamo l’immagine con
i tubi da batteriologia ingranditi (quelle con le diluizioni da 10-6 a 10-8), vediamo che
in realtà il primo tubo della diluizione 10-7 potrebbe sembrare negativo, mentre in
realtà è positivo. Infatti, non sempre abbiamo una manifestazione di torbidità così
intensa come per 10-6, ma questa può essere debole. Sappiamo però con certezza
che un tubo che è anche seppur minimamente torbido, bisogna considerarlo
positivo, perché la presenza di torbidità significa che sono presenti microrganismi.

91
Misura della torbidità:
Anche se non direttamente utilizzabile per
determinare il numero di cellule, in alcuni casi
può essere utile per determinare la quantità di
biomassa del nostro campione (ad esempio
perché stiamo determinando una curva di
crescita in laboratorio, quindi vogliamo essere in grado di capire quando i
microrganismi hanno iniziato la loro fase esponenziale). Si basa sul fatto che una
sospensione di cellule diventa torbida perché le cellule presenti all’interno, per
quanto siano piccole, disperdono parte della luce e quindi ciò che noi visualizziamo è
un aumento di torbidità. Noi non siamo in grado di discriminare quanto l’aumento di
torbidità sia proporzionale all’aumento di biomassa, perché visivamente non siamo
in grado di distinguere due soluzioni che hanno diversa torbidità se non quando
queste sono molto diverse.
In generale più aumenta la torbidità, più la massa cellulare presente è grande.
Quindi posso usare la misura della torbidità per determinare la massa cellulare
presente, ed in alcuni casi il numero di cellule. Necessariamente è necessario avere
una matrice liquida che può essere posta in un tubo da batteriologia oppure in una
beuta.
Per misurare la torbidità si usa lo spettrofotometro→ proietta un fascio di luce sul
campione. Questo fascio di luce viene disperso in maniera proporzionale al numero
degli ostacoli che incontra (quindi in questo caso della cellula). Per i batteri, che
sono unicellulari, la misura della torbidità è proporzionale al numero di individui, è
può essere usata come metodo di conta (ciò implica però una taratura preventiva
dove vado a determinare il coefficiente di proporzionalità).
Esempio di spettrofotometro→ abbiamo una camera in cui
andiamo ad inserire la provetta con la sospensione. Lo
spettrofotometro ci permette di scegliere la lunghezza
d’onda che vogliamo utilizzare come luce incidente nel
nostro campione. Avviata la misura, lo strumento come dato
ci restituisce sullo schermo o l’assorbanza (luce che viene
intrappolata, riflessa dal nostro campione) o la trasmittanza
(luce che attraversa liberamente il campione) (dipende da cosa decidiamo di
utilizzare). In questo modo quindi siamo in grado di determinare quale dei due
campioni ha maggiore torbidità, ed eventualmente utilizzare la torbidità come
metodo di conta.

92
Schema che ci permette di vedere come in una
soluzione liquida limpida (sopra), la fonte di
luce attraversa il campione liberamente
(proprio perché non ci sono microrganismi
all’interno). L’assorbanza sarà minima e la
Trasmittanza sarà massima. Quando nel nostro
campione ci sono dei microrganismi, molta luce
verrà riflessa dal campione, mentre poca lo
trapasserà. Quindi avremo un’assorbanza più
alta ed una trasmittanza più bassa.
Per la determinazione della biomassa microbica
ci sono 3 possibilità di lunghezze d’onda
utilizzate (nei risultati ottenuti la lunghezza
d’onda utilizzata viene sempre specificata). Le
lunghezze d’onda più corte (540 nm) sono più
sensibili, quindi ci permettono di discriminare meglio tra due soluzioni che sono
poco diverse l’una dall’altra. Ma le lunghezze d’onda più lunghe vanno meglio
quando abbiamo tanti microrganismi all’interno (verso 660 nm).
OD, oppure densità ottica, oppure assorbanza, ci dicono la stessa identica cosa,
ovvero sono unità di misura della torbidità (vuol dire che quella quantità che
vediamo è stata misurata grazie alla misura della torbidità).
La massa cellulare è proporzionale
all’assorbanza solo ad alcune condizioni.
È proporzionale solo in un certo
intervallo (che varia a seconda delle
condizioni sperimentali). Abbiamo un
intervallo in cui assorbanza e massa
cellulare sono direttamente
proporzionali, (quindi calcolandoci il
coefficiente di questa retta siamo in
grado di calcolarci la massa cellulare a partire dall’assorbanza). Quando la
concentrazione diventa troppo importante, l’assorbanza diventa troppo grande e di
conseguenza anche la massa cellulare, andiamo in un intervallo in cui la
proporzionalità diretta non è più rispettata, pertanto quando effettuiamo la nostra
misura dobbiamo accertarci di essere nel giusto intervallo, ovvero quando le due
grandezze hanno proporzionalità diretta. L’assorbanza come misura è (formula
nell’immagine).
Per effettuare delle misure di massa cellulare utilizzando la turbidimetria, dobbiamo
93
avere un terreno di coltura che di per sé sia limpido (non deve avere una matrice le
cui componenti vanno ad opacizzarla), cioè avere una matrice liquida, limpida e
trasparente. L’aumento di torbidità deve essere dovuto esclusivamente all’aumento
del numero di cellule (abbiamo casi in cui la matrice del terreno di coltura per
qualche modo va ad inficiare la misura della torbidità perché di per sé magari il
terreno è torbido. Nella fase di crescita l’unico momento in cui abbiamo
proporzionalità tra aumento dell’assorbanza e numero di cellule è durante la fase
esponenziale. Perché durante la fase di latenza possiamo avere un aumento di
torbidità dovuto semplicemente alle cellule che si stanno adattando al terreno,
quindi aumenta leggermente l’assorbanza, ma le cellule nella realtà non aumentano,
così come nella fase stazionaria possiamo avere un aumento della torbidità dovuto
alla produzione di materiale di scarto e non quindi ad un effettivo aumento di
cellule. La taratura quindi è necessaria, perché siamo in grado di determinare la
proporzionalità tra assorbanza e numero di cellule solamente nella fase di crescita
esponenziale.
L’assorbanza è proporzionale non solo alla numerosità, ma anche alla dimensione ed
alla forma di ogni cellula (e batteri diversi solitamente hanno forma e dimensioni
differenti), pertanto dobbiamo sapere che microrganismi stiamo contando.
Possiamo usare quindi questa metodica solo per contare dei microrganismi
nell’intervallo della loro crescita esponenziale, ma solamente, previa curva standard,
ma anche dobbiamo contare determinati microrganismi, cioè non possiamo contare
una miscela di microrganismi diversi con questa metodica.
Curva standard→ associare a valori di assorbanza (che ci restituisce lo
spettrofotometro) concentrazioni cellulari specifiche di cellule (si va quindi a fare
una taratura dove andiamo leggere concentrazioni di cellule note – di un
determinato microrganismo -allo spettrofotometro-).
Conoscendo la curva di taratura di un microrganismo, siamo in grado di seguire la
curva di crescita di questo microrganismo misurando solamente l’assorbanza.
Vantaggi misure turbidimetriche (tenendo sempre conto che può essere utilizzata
solo previa costruzione di una curva di taratura, e che può essere utilizzata soltanto
durante la fase esponenziale di crescita)→ Rapido, semplice ed economico (non
dobbiamo passare attraverso la produzione di terreni di coltura). Siamo in grado di
misurare molto velocemente. Sono misure non distruttive, cioè possiamo misurare
all’interno di un tubo da batteriologia senza andare ad aprirlo e quindi andare ad
inficiare la crescita microbica. Questa tecnica può essere utilizzata solo quando le
cellule non tendono spontaneamente ad aggregare (attinomiceti e cianobatteri,
vanno a formare degli aggregati). Se si aggregano non vanno a distribuirsi in modo
uniforme nella matrice liquida. Quindi quando vanno ad aggregarsi dobbiamo
94
utilizzare un altro metodo di conta, oppure far avvenire l’incubazione (quindi la
crescita) su un agitatore da laboratorio, dove le nostre sospensioni vengono agitate
in continuazione, quindi si disperdono naturalmente non andando a formare degli
aggregati che altrimenti inficerebbero la nostra misura.

IL LABORATORIO DI MICROBIOLOGIA
I laboratori hanno caratteristiche specifiche a seconda delle classi di microrganismi
che vi possono studiare (più il microrganismo è pericoloso per l’uomo, più il grado di
sicurezza adottato è alto). Dobbiamo avere il livello di biosicurezza adatto, con i
locali adatti ed appositamente studiati per poter trattare in sicurezza un certo
microrganismo.
• Armadi di materiale apposito per il laboratorio e con serrature di sicurezza.
• Superfici da lavoro costituite da materiale resistente agli agenti chimici.
• Cappe microbiologiche diverse a seconda dei microrganismi che andiamo a
trattare. Con un flusso d’aria eludono l’interazione tra l’operatore ed i
microrganismi.
• Termostati→ impostati ad una data temperatura ottimale per certi tipi di
microrganismi.
• Becco buncen→ dispositivo che serve per sterilizzare gli utensili e l’aria in cui
sto trattando dei microrganismi. Viene utilizzato inoltre ad esempio nel caso
della colorazione di Gram per fissare il preparato batterico sul vetrino che
verrà poi successivamente colorato.
Il becco buncen è una sorta di fornellino a gas metano nel quale abbiamo diversi
sistemi che ci consentono di regolare la fiamma. Quelle che possiamo creare
mediante regolazione sono diverse, anche il colore della fiamma varia a seconda
della regolazione che ho a disposizione.

Faccio passare molto ossigeno→ fiamma ossidante (blu).


Faccio passare poco ossigeno→ fiamma riducente (verso il giallo).
L’area più calda della fiamma è quella che sta alla fine della fiamma blu più intensa
95
(ad esempio quindi se devo sterilizzare un’ansa, andrò proprio a posizionarla in
corrispondenza di quel punto). La fiamma che viene di solito utilizzata per lavorare è
quella blu (fiamma ossidante), la fiamma riducente viene semplicemente lasciata
accesa quando si fa una pausa dall’utilizzo, per far vedere agli altri che è acceso e di
far attenzione a non bruciarsi.
Stufe a secco→ stufe molto calde sia per la sterilizzazione
degli utensili e per la determinazione del peso secco di un
campione. Ad esempio, voglio determinare quanti
microrganismi sono presenti in un grammo di suolo, in
questo caso vado a determinare il numero di cellule
(mediante le tecniche descritte in “misura della crescita
microbica”), tuttavia poi il dato lo devo riportare
necessariamente alla mia matrice secca. Per fare ciò vado a determinare il peso
secco del campione in una stufa, andando quindi a determinare la percentuale di
umidità del mio campione all’inizio, ed andando a pesare il campione dopo averlo
lasciato per un certo tempo in stufa, proprio per vedere la percentuale di umidità
del mio campione di partenza.
Autoclave→ attrezzatura che funziona come fosse una sorta
di pentola a pressione. Serve per far raggiungere al nostro
materiale di lavoro temperature elevate, ma anche una
pressione elevata per far sì che queste temperature siano più
efficaci. Solitamente l’autoclave funziona con vapore acqueo
sottopressione che serve per sterilizzare sia materiali ma
soprattutto mezzi di coltura. Quindi solitamente quando
prepariamo un terreno di coltura liquido o solido (perché ci
aggiungiamo l’agar), solitamente prima di andare ad inoculare i nostri campioni, li
dobbiamo sterilizzare mediante autoclave.
Cappe di sicurezza→ consentono la protezione
dell’operatore ed evitano la contaminazione del
campione. A seconda dei microrganismi trattati
vengono utilizzate cappe a diversi livelli di sicurezza
(in basso a dx→ cappa con livello di sicurezza
superiore, perché l’operatore è completamente
isolato dal piano di lavoro).

96
Incubatori-termostati→ siamo in grado di
imporre la temperatura, in quelli più
avanzati possiamo imporre anche lampade
per la crescita di microrganismi
fotosintetizzanti ed in alcuni possiamo
anche regolare l’umidità relativa dell’aria.
Alcuni termostati hanno la possibilità di
incubare i microrganismi in agitazione continua, hanno un supporto per l’agitazione
(Dx) per evitare che si formino aggregati. Termostati più sono avanzati, più ci danno
la possibilità di modulare diversi parametri.

Lavoro in condizioni di sterilità→ oltre che prevedere l’utilizzo di cappe


microbiologiche, prevede che gli operatori siano formati a lavorare in condizioni di
sterilità (sapere come usare il becco buncen, sterilizzare ad ogni passaggio le anse
che stiamo utilizzando – ad esempio per fare un isolamento. Oltre al becco buncen si
possono usare anche degli inceneritori ad infrarossi. Bisogna avere l’aria attorno al
campione più sterile possibile).
Il concetto di sterilità è legato all’assoluta mancanza di microrganismi nei materiali
di laboratorio e nei terreni di coltura (in tutto ciò che andremo ad utilizzare per le
nostre analisi), ed è un concetto identico in tutte le sue declinazioni:
Ad esempio, in una camera operatoria, tutti gli strumenti devono essere sterili (ad
esempio i bisturi vengono sterilizzati quando ancora impacchettati – sono in
confezioni monouso-, in maniera che quando viene aperto, precedentemente a
quell’apertura non sia stato contaminato da nessun tipo di microrganismo). “Sterile”
implica che nessun organismo sia presente in quel sistema, ma non soltanto di
microrganismi patogeni, ma anche di microrganismi non patogeni (quindi sterile
implica la non presenza di qualsiasi microrganismo). Nei laboratori è importante poi
mantenere la sterilità, cioè proteggere il campione che stiamo trattando da
contaminazioni esterne. Per cui andiamo a lavorare in modo corretto per far sì che
ad esempio, la piastra Petri che stiamo utilizzando per effettuare una conta
microbica, non venga contaminata ad esempio dall’aria attigua alla nostra area di
lavoro. Quindi ci mettiamo in prossimità di un buncen.
97
La protezione del campione deve sempre essere effettuata e garantita, altrimenti si
va ad inficiare il risultato finale.
La protezione dell’operatore diventa sempre più importante man mano che ci
rivolgiamo a microrganismi patogeni. In generale però comunque tutti gli operatori
che operano in laboratori di microbiologia, attuano una serie di procedure mirate ad
evitare comunque di venire in contatto con i microrganismi (anche quindi con quelli
innocui).
Indicazioni riguardo alla terminologia che viene utilizzata per definire/declinare la
sterilità in tutti i suoi aspetti:

• Asepsi→ quando si va a rendere un oggetto asettico. Andiamo ad attuare delle


pratiche per far si che i microrganismi indesiderati non siano presenti (ad
esempio, passiamo alla fiamma l’imboccatura di una beuta, così uccidiamo
tutti i microrganismi che sono presenti all’imboccatura. Ciò ci consente di
andare a chiudere la beuta senza che microrganismi esterni vadano a
contaminare l’interno del contenitore) (dopo aver pastorizzato il latte -che
non significa sterilizzarlo, ma semplicemente eliminare i patogeni-, dobbiamo
chiuderlo/confezionarlo in modo che microrganismi esterni non possano
entrare – anche in questo caso andiamo ad agire sull’asepsi-)
• Antisepsi→ riduciamo il numero di microrganismi presenti in un determinato
sistema (ad esempio prima di effettuare un’iniezione, andiamo a pulire la cute
con un batuffolo di cotone imbevuto di alcool. Quindi noi non eliminiamo
proprio tutti i batteri presenti nel sistema, ma andiamo ad eliminare una
parte dei microrganismi da una parte di un tessuto vivente, per evitare una
contaminazione).
98
• Disinfezione→ quando andiamo a ridurre il numero di microrganismi su una
superficie inanimata (ad esempio quando andiamo a pulire la superficie di
lavoro con dell’alcool – in questo caso non stiamo facendo un’antisepsi ma
una disinfezione, perché la superficie che stiamo trattando è inanimata-).
• Sterilizzazione→ processo che distrugge ogni forma di vita (comprese le spore)
su un determinato oggetto (ad esempio in laboratorio si sterilizzano i terreni
di coltura in autoclave prima di andare ad utilizzarli).
• Sanitizzazione→ eliminazione dei microrganismi patogeni da oggetti o luoghi
utilizzati dal pubblico (ad esempio sanificazione delle strade, delle toilette).
Vengono utilizzati dei prodotti per disinfettare delle cose che vengono a
contatto con il pubblico.

Esempio di cappa microbiologica→Ci fa capire quanto il flusso d’aria che genera sia
importante per proteggere il campione e l’operatore. Ad esempio, un’aria forzata
per essere verticale rispetto all’operatore, fa sì che non ci sia un’emissione di aria in
orizzontale verso l’operatore ed eventualmente verso il campione che si trova sul
piano. Ma l’aria che viene costretta a questo percorso verticale, fa sì che sia il
campione che l’operatore vengano separati proprio fisicamente dal flusso d’aria. In
queste cappe è normalmente presente uno sportello protettivo.
L’operatore che è separato dal campione dal flusso d’aria che passa attraverso i fori
sul piano, fa sì che eventuali cellule microbiche che sta studiando/esaminando non
possano contaminarlo ed allo stesso modo non possano essere contaminate
dall’operatore stesso. I guanti evitano che eventuali contaminazioni presenti sulle
mani passino ai campioni, ed anche quando questi vengono utilizzati, viene anche
proprio passato l’alcool sui guanti, per evitare che ci siano microrganismi che
possono andare ad alterare il nostro esperimento.

99
FATTORI AMBIENTALI E SVILUPPO MICROBICO
PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (A)
Si intende tutte le componenti esterne alle cellule, che vanno ad influenzarne lo
sviluppo.
Lo sviluppo dei microrganismi, proprio in termini di crescita, di velocità di crescita, è
influenzato dai parametri fisico-chimici dell’ambiente in cui si trovano le cellule.
Ogni specie ha condizioni ambientali ottimali per la crescita, nelle quali si moltiplica
alla migliore velocità possibile, cioè ha il minor tempo di generazione. In queste
condizioni tutto il metabolismo della cellula funziona in condizioni ottimali (tutte
queste condizioni ottimali sono diverse da microrganismo a microrganismo,
pertanto si parla di “Diversità fisiologica”→ cioè abbiamo microrganismi che
preferiscono un certo PH e microrganismi che ne preferiscono un altro).
Quando i microrganismi si trovano in un sistema in cui le condizioni non sono
ottimali, man mano che ci allontaniamo dai parametri ottimali le cellule si
moltiplicano sempre più lentamente fino ad arrestare la loro crescita.
Se poi le condizioni si allontanano troppo dalle condizioni ottimali, molto spesso,
anche riportando le condizioni a quelle ottimali, la cellula non è poi più in grado di
essere vitale (può anche morire).
Nell’immagine sono riportati i più importanti parametri che vanno a definire quello
che si chiama “Habitat”. Quando parliamo di habitat per i microrganismi,
intendiamo tutti i componenti fisico-chimici che vanno a definirne le condizioni
ottimali di crescita. Quindi l’Habitat ottimale di una data specie sarà composto da:
• PH ottimale
• Concentrazione e qualità di nutrienti ottimali
• Dalla giusta disponibilità di acqua
• Dalla giusta disponibilità di ossigeno
• Ecc….
Ci sono alcuni parametri, come la luce, che non
influiscono sull’habitat di tutti i microrganismi,
ma solo su quello di alcuni (ad esempio solo i
microrganismi fotosintetici saranno influenzati
dalla luce, quelli non fotosintetici non ne
saranno influenzati).

100
Temperatura:
Quando parliamo di temperatura ne possiamo definire 3
(dette “Temperature cardinali”):
• Temperatura minima→ temperatura al di sotto della
quale i microrganismi smettono di crescere (V=0).
• Temperatura ottimale→ temperatura a cui la velocità
di crescita è massima.
• Temperatura massima→oltre la temperatura
massima i microrganismi non crescono più.
La temperatura ottimale non si trova esattamente a metà tra temperatura minima e
temperatura massima, ma si trova un po’ più verso la temperatura massima.
Questo perché man mano che aumenta la temperatura, le cellule crescono sempre
più velocemente, poi quando andiamo verso la temperatura massima, visto che le
temperature quando aumentano tendono a portare eventualmente ad una
denaturazione delle proteine, abbiamo una rapida diminuzione della velocità di
crescita.
Temperatura minima e temperatura massima non hanno proprio il medesimo
significato per i microrganismi:
Quando i microrganismi sono ad una temperatura molto bassa rispetto alla
temperatura ottimale, solitamente smettono di crescere (ad esempio quando noi
mettiamo i cibi in frigo questi si conservano, quando però li tiriamo fuori, gli
eventuali microrganismi che possono andare a causare dei marciumi ricominciano la
loro attività). Quindi si dice che la temperatura minima (o comunque le temperature
basse) possono essere “batteriostatiche”. Mentre quando andiamo verso certi valori
di temperatura più alta di quella ottimale, possiamo andare incontro ad una
denaturazione delle proteine che può essere irreversibile.
I microrganismi si suddividono in base alla loro temperatura ottimale in diverse
categorie:
• Mesofili→ sono la maggior parte dei microrganismi, sono ampiamente diffusi,
la loro temperatura ottimale è tra 20 e 45°C
• Psicrofili→ temperatura ottimale tra 10 e 15°C (ad esempio è la temperatura
di molte acque marine)
• Psicrotrofi→ sono diversi, perché hanno una temperatura ottimale intorno ai
37°C, ma crescono anche se non con la loro velocità ottimale di crescita,
anche a temperature intorno allo 0 (che possono essere suolo oppure acque
fredde. Un esempio sono i batteri che colonizzano il frigorifero, quando
101
andiamo a mettere la carne in frigo, questa non si conserva per sempre al suo
interno poiché, anche se lentamente, si sviluppano comunque dei
microrganismi che causano il suo deterioramento).
• Termofili→ temperatura ottimale tra 45 e 70 °C (sorgenti termali, aree
vulcaniche, compost -il sistema di compostaggio ha una fase cosiddetta
termofila che vuol dire che le temperature salgono fino a 70°C-)
• Ipertermofili→ temperatura ottimale tra i 70 ed i 110°C (per la maggior parte
sono Archaea) (sono infatti estremofili rispetto alla temperatura) (aree
vulcaniche sottomarine, sorgenti termali).
Normalmente i microrganismi vengono definiti “Stenotermali”, cioè la maggior parte
dei microrganismi si sviluppano di solito in un intervallo di 30 °C (cioè tra
temperatura minima e temperatura massima c’è un intervallo di 30°C).
Ci sono però dei microrganismi detti “Euritermali” che possono ricoprire un
intervallo di temperatura più ampio (quindi possono svilupparsi anche a delle
temperature che stanno in un intervallo maggiore di 30 °C).
Proprio perché le alte temperature velocizzano
le reazioni (questo perché con l’aumento della
temperatura le molecole hanno una maggiore
energia cinetica e le molecole hanno più
probabilità di entrare in contatto), la
conseguenza sulla vita microbica è che se noi
osserviamo queste curve di crescita che
raggruppano gli psicrofili, i psicrotrofi, i mesofili, i termofili e gli ipertermofili sono un
po’ diverse. Cioè hanno più o meno quell’andamento “a campana” descritto
precedentemente (che risulta un po’ più accentuato nel caso degli psicrotrofi che
hanno la crescita ottimale a temperature anche di 30°C ma possono crescere anche
a temperature un po’ più basse -quindi l’andamento della curva è un po’ diverso-).
In generale comunque quello che osserviamo è che il tasso di crescita (quindi la
velocità di crescita) aumenta man mano che andiamo verso le temperature più alte.
Si può quindi dire che un ipertermofilo alla sua temperatura ottimale si
moltiplicherà più velocemente rispetto ad un termofilo.
Questo perché man mano che aumentano le temperature, aumenta la velocità con
cui avvengono le reazioni, e di conseguenza le moltiplicazioni (quindi il tasso di
crescita).

102
Distribuzione di microrganismi, animali e
piante rispetto alla temperatura→Abbiamo
un range molto più ampio di Bacteria ed
Archaea rispetto al range termico. Cioè
solitamente gli estremofili sono batteri ed
Archaea. Tra i microrganismi eucariotici ci
sono in realtà alcuni lieviti ed alcune muffe
che possono svilupparsi anche a
temperature abbastanza estreme
(possiamo avere anche delle alghe). In genere comunque gli animali e le piante
(quindi gli organismi eucariotici più evoluti) di solito si sviluppano in un intorno
molto più ridotto.
Ciò significa che ci sono degli ecosistemi che possono essere o molto freddi, oppure
molto caldi, in cui in pratica ci sono solamente microrganismi (Chlamydomonas
nivalis→ne ha parlato nella lezione “caratteristiche dei microrganismi”: aveva
parlato della distribuzione dei microrganismi e del fatto che sono ubiquitari - ci sono
ovunque- e possono influenzare particolarmente l’ecosistema che colonizzano. Ci
aveva fatto vedere il fenomeno della neve rossa, che è dovuta a quest’alga che si
sviluppa a temperature prossime allo 0) (Psychromonas ingrahami→ batterio che si
sviluppa a temperature molto basse) (verso le temperature più alte invece abbiamo
per la maggior parte degli Archaea).
Regolazione della fluidità della membrana plasmatica→ il fatto di
poter colonizzare ambienti freddi ed ambienti caldi, si basa sul
fatto che i microrganismi hanno delle composizioni di acidi grassi
di membrana che consentono loro di avere il giusto grado di
fluidità a temperature molto basse od a temperature molto alte.
Se noi prendiamo una cellula mesofila e la portiamo a temperature molto basse,
succede che la sua membrana tende a diventare troppo viscosa (troppo rigida).
Mentre se la portiamo a temperature eccessivamente alte, ad un certo punto questa
membrana andrà in lisi perché diventa troppo fluida. Il fatto di avere membrane
adatte ad ambienti caldi ed ambienti freddi, o comunque che riescono ad adattarsi
con un certo limite al cambiamento termico, dipende proprio dalla possibilità di
modificare la saturazione degli acidi grassi della membrana. La presenza di doppi
legami, soprattutto in conformazione cis, è quella che va nella direzione di una
maggiore fluidità. Quindi microrganismi psicrofili tenderanno ad avere delle
membrane in cui sono presenti dei doppi legami. Invece gli ipertermofili, che devono
contrastare l’eccessiva fluidità tenderanno ad avere delle membrane più ricche di
acidi grassi in cui non sono presenti doppi legami.
103
In risposta ad improvvisi abbassamenti od innalzamenti di temperatura, i
microrganismi producono delle proteine (che magari non sintetizzano durante tutto
il loro processo di sviluppo, ma solo proprio in risposta ai cambiamenti termici),
definite “proteine da stress” che sono:
• HSP (heat-shock proteins)→ adattamento a stress caldo.
• CSP (cold shock proteins)→ adattamento a stress freddo.
I microrganismi eucariotici in genere sono meno estremofili degli organismi
procariotici. Possiamo comunque dire che lieviti e muffe di solito coprono un
intervallo di crescita tra gli 0 ed i 47°C. La maggior parte di lieviti e muffe ha un
ottimo di temperatura tra i 25 ed i 30 °C (quindi li definiremo mesofili).
Alcuni lieviti (pochi in realtà) possono anche essere termofili, quindi svilupparsi
anche a temperature intorno ai 70°C. In genere però lieviti, ma in generale i funghi
termofili sono pochi proprio perché le cellule sono poco resistenti alle alte
temperature. La struttura fungina più resistente alle alte temperature solitamente è
quella delle spore (in particolare quella delle spore sessuali). Alcune muffe possono
resistere al congelamento (ciò non vuol dire che nell’ambiente sottozero siano
attive, ma possono comunque sopravvivere).
Elenco di batteri, Archaea, lieviti e muffe e le loro
temperature cardinali. (per quanto riguarda i nomi:
ad esempio Acetobacterium tundrae. Il primo nome
ci indica il genere (Acetobacterium), mentre il
secondo ci indica la specie (Tundrae). La sua
temperatura minima è di 1°C, minima è di 20°C,
massima è di 32°C). Sulle temperature ipertermofile
abbiamo tendenzialmente organismi che
appartengono al dominio degli Archaea.

104
PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (B)
I procarioti sono molto diversi tra di loro per quanto riguarda il modo di rapportarsi
all’ossigeno in forma molecolare (O2). In generale gli eucarioti hanno bisogno
dell’ossigeno. Tra i procarioti e gli eucarioti fungini possiamo avere dei
comportamenti diversificati nei confronti dell’ossigeno.
Esistono infatti dei microrganismi che si possono sviluppare in ecosistemi dove
l’ossigeno non è presente.
Per questo motivo, dalla loro interazione con l’ossigeno ci sono diverse tipologie:
• Aerobi obbligati→ utilizzano l’ossigeno per la respirazione, ne hanno necessità
per lo sviluppo.
• Anaerobi obbligati→ non solo non usano l’ossigeno per la respirazione, ma ne
subiscono anche la tossicità. In particolare, non direttamente dall’ossigeno,
ma per uno stress ossidativo che l’ossigeno va a creare andando a produrre
all’interno di alcune cellule le cosiddette “Reactive Oxygen species”. Quindi gli
anaerobi obbligati non hanno dei sistemi di protezione da queste specie
reattive dell’ossigeno, perciò per loro è tossico. Utilizzano comunque altre
molecole per la respirazione.
• Anaerobi facoltativi→ possono scegliere e modulare la respirazione tra
aerobia ed anaerobia (se c’è l’ossigeno lo usano, sennò usano altro).
• Anaerobi aerotolleranti→ non hanno bisogno dell’ossigeno. Si sviluppano
tranquillamente in sua assenza usando altre molecole e nel caso in cui questo
sia presente non ne subiscono tossicità (ne sono insensibili).
• Microaerofili→ organismi che hanno bisogno di ossigeno, tuttavia tollerano
una presenza di ossigeno solo inferiore a quella atmosferica (in atmosfera è
21%, ma loro hanno bisogno di svilupparsi in un ecosistema in cui la
concentrazione è invece del 2-3%).
Schema dove ci sono degli ipotetici tubi da batteriologie con un mezzo di
coltura in cui le cellule sono libere di muoversi, in cui le cellule andranno a
distribuirsi diversamente rispetto alla loro reazione all’ossigeno.
• Gli aerobi si disporranno in superficie in
modo da avere accesso diretto all’ossigeno
atmosferico per il loro metabolismo (la
respirazione è fondamentale per la cellula).
• Gli anerobi obbligati vanno in fondo
perché rifuggono proprio l’ossigeno
essendo per loro tossico e può
danneggiare le cellule.
105
• Gli Anaerobi facoltativi si dispongono in modo uniforme ed utilizzano
l’ossigeno oppure no a seconda della disponibilità. Questi microrganismi se
c’è l’ossigeno lo preferiscono rispetto alle altre molecole che possono
sfruttare, perché usando l’ossigeno il loro metabolismo è più veloce rispetto a
quello che avrebbero utilizzando le altre. Per questo motivo si ha una
concentrazione maggiore in superficie (maggiore accesso all’ossigeno).
• I Microaerofili non vanno troppo in superficie (poiché in questa zona è troppo
concentrato), ma si disporranno in una zona in cui l’ossigeno è meno
concentrato (tra il 2 ed il 10%).
• Gli anaerobi aerotolleranti si andranno a distribuire in maniera del tutto
casuale, perché non hanno bisogno dell’ossigeno e ne sono insensibili (non ne
sono influenzati).
In qualsiasi tipo di metabolismo aerobio si producono delle molecole radicaliche:
• Anione superossido
• Radicale idrossile
• Perossido di idrogeno
Sono molecole che vengono dette Specie reattive dell’ossigeno, perché possono
causare nelle cellule il cosiddetto stress ossidativo.
Gli organismi aerobi ed aerotolleranti sono dotati di diversi enzimi:
• Superossido dismutasi
• Perossidasi
• Catalasi
Vengono usati per proteggersi dalle forme tossiche dell’ossigeno
Per coltivare i microrganismi anaerobi, vengono usati dei
sistemi che sono le camere anaerobiche→ camere collegate a
bombole che rilasciano dei gas diversi dall’ossigeno fino a
saturazione della camera. I microrganismi al loro interno
vengono maneggiati con guanti speciali per evitare proprio di contaminare con
forme tossiche dell’ossigeno, e tutto ciò che viene utilizzato nella camera passa per
una pre-camera proprio per evitare la contaminazione (ambiente interno non
direttamente collegato con esterno) (esempio di microrganismi anaerobi sono i
metanogeni, i quali sono degli Archaea coinvolti nella produzione di metano).

106
Sistemi un po’ più piccoli per far moltiplicare gli anaerobi sono le
cosiddette Giare, che hanno un tappo a tenuta. Dentro vengono messi i
microrganismi ed una bustina che contiene sostanze che intrappolano
ossigeno trasformandolo in anidride carbonica, così all’interno non ci
sarà più ossigeno libero ed i microrganismi saranno liberi di
moltiplicarsi.
pH extracellulare (esterno alle cellule)
pH cardinali:
• pH ottimale→ crescita è alla sua massima espressione, alla sua massima
velocità possibile. Alcune specie possono avere non un solo pH ottimale, ma
alcuni.
• pH minimo
• pH massimo
Negli ecosistemi naturali, ci sono diversi ambienti in cui troviamo situazioni estreme
rispetto al pH, ad esempio ci sono le sorgenti acide che hanno pH intorno ad 1,
oppure i laghi di soda e le saline che hanno pH superiore ad 11 (quindi sono molto
basici). In media la maggior parte degli ecosistemi naturali ha un pH compreso tra 5
e 9, quindi di conseguenza la maggior parte dei microrganismi ha un intervallo di pH
ottimale tra questi valori.
I microrganismi vengono suddivisi in diverse tipologie, rispetto al loro PH ottimale:
• Neutrofili→ pH ottimale prossimo alla neutralità
• Acidofili→ pH 3-5
• Ultracidofili→ pH 1-2
• Alcalinofili→pH 8,5-9
• Ultralcalinofili→ pH da 11 in poi
Così come i microrganismi in termini termici si sviluppano di solito in un intervallo di
30°C di temperatura, solitamente in termini di pH si sviluppano tra 2-3 unità di pH
(variazione consistente).
La maggior parte dei microrganismi cresce in un intervallo di pH tra 2 e 9, e la
maggior parte di questi preferisce un pH tra 4 e 6.
In generale i funghi sono acidotolleranti→ cioè non amano un pH acido, ma posti in
pH acido comunque si moltiplicano (nell’ambiente forestale trovano i loro “substrati
preferiti”, che sarebbe sostanza organica vegetale, tuttavia in questo modo si
sviluppano in ambiente che non ha per loro pH ottimale -il suolo forestale è un
ambiente tendenzialmente acido-).
107
La modalità con cui qualsiasi microrganismo mantiene inalterato il pH intracellulare,
a prescindere dai cambiamenti esterni, ed a prescindere dal pH extracellulare, viene
detta omeostasi, ed è un meccanismo caratteristico mantenuto dalla membrana
plasmatica.
Distribuzione della crescita dei microrganismi rispetto al pH:
Andamento a campana simile ma comunque un
po' diverso rispetto a quello della temperatura→
abbiamo meno asimmetria→ abbiamo comunque
la velocità di crescita che cresce fino a pH
ottimale, dopodiché decresce. Si ha una differenza
tra gli acidofili e gli altri, perché ragioni di natura
chimica, fanno sì che tra un pH 1 e 2, la crescita sia
leggermente rallentata, e lo si può notare da una
leggera flessione della velocità di crescita nella parte iniziale, la velocità di crescita
“aumenta di meno” tra pH 1 e 2, e poi dopo aumenta di più.
Perché il pH influisce sulla crescita batterica, ed a livello più generale, sulle cellule?
Si ha un effetto sulle catene R, ed in
generale su tutti i gruppi chimici
funzionali degli aminoacidi. A seconda
del pH cambia lo stato dei gruppi
funzionali (COOH oppure COO-, NH3+
oppure NH2 a seconda del pH→
questa è una conseguenza degli equilibri acido-base). Allo stesso modo il pH va ad
influire sulla stabilizzazione della struttura terziaria, perché noi abbiamo le catene R
che reagiscono a stabilizzare la struttura terziaria grazie a legami deboli (che sono ad
esempio legami ad idrogeno). Se cambia il pH, questi legami deboli non si formano
più, quindi le proteine vanno a denaturarsi, e comunque non funzionano più
correttamente (per il funzionamento delle proteine è fondamentale l’organizzazione
spaziale delle catene proteiche, e quindi la loro stabilizzazione, che essendo dovuta
proprio a legami deboli, è influenzata dal pH).
Il pH influisce anche sulla disponibilità dei nutrienti→ perché i nutrienti sono in uno
stato di ionizzazione differente, in uno stato di dissociazione differente a seconda
del pH (esempi: ammoniaca che può essere sottoforma di ione ammonio NH4+
oppure NH3 in base al pH presente, quindi i microrganismi si ritrovano con nutrienti
differenti a seconda dell’equilibrio di dissociazione, che a sua volta è influenzato dal
pH).

108
Per le stesse ragioni, cioè di stabilità delle molecole ma anche di possibilità di sintesi
delle molecole, abbiamo un effetto su DNA ed RNA→ sono delle molecole molto
importanti, per cui se il pH intracellulare cambia, queste molecole non
funzioneranno più nello stesso modo (per questo motivo i microrganismi usano
l’omeostasi per mantenere inalterato il pH intracellulare, affinché di per se la cellula
non cambi).
Acidofili:
Gli acidofili devono contrastare un pH esterno acido sulla cellula. Gli acidofili hanno
bisogno di pH acido, perché per loro la membrana è stabile solamente se il pH è
molto basso. Quando il pH si avvicina alla neutralità i microrganismi acidofili hanno
delle membrane che vanno in lisi, perché non sono più stabilizzate (la stabilità della
membrana è fondamentale, perché se la membrana cellulare va in lisi, la cellula
muore, anche se è presente la parete) (quindi per gli acidofili è estremamente
importante avere un’elevatissima concentrazione di protoni esterna alla membrana,
affinché questa si mantenga stabile) (ad esempio c’è un microrganismo -Picrophilus-
che cresce in maniera ottimale a pH 0,7, va in lisi a pH 4 -che sarebbe addirittura
ancora acido-).
Basofili:
Colonizzano habitat molto alcalini (laghi salati, suoli ad elevato contenuto di
carbonati). Sono soprattutto Archaea. Alofili estremi.
Omeostasi:
Processo per cui il pH intracellulare viene mantenuto costante anche se il pH
esterno varia. Il pH intracellulare viene mantenuto solitamente intorno a valori
prossimi alla neutralità, e questi valori sono essenziali, perché altrimenti gli enzimi
non funzionerebbero, perché se cambiasse troppo il pH, e la cellula non fosse in
grado di mantenere l’omeostasi, poi le proteine non funzionerebbero più.
Anche il pH di acidofili e basofili si discosta di poco dalla neutralità→ quindi la cellula
è proprio progettata affinché il pH intracellulare sia vicino alla neutralità,
nonostante il pH esterno sia molto diverso.
In che modo queste cellule mantengono un pH interno vicino alla neutralità,
nonostante quello esterno?
• Funzionamento di sistemi di trasporto sulla membrana
• Produzione di sostanze tampone (che funzionano esattamente come le
sostanze tampone. vd chimica generale)

109
Le cellule possono poi rispondere in maniera diversa agli stress che eventualmente
si trovano a dover contrastare:
• In un certo limite anche un microrganismo neutrofilo può dare risposta allo
stress acido andando a produrre delle proteine ATR (pH tra 5.5 e 6) (acid
tolerance response), per andare a contrastare l’eventuale effetto inibente del
pH acido.
• Per pH più bassi (inferiori a 5.5) vengono prodotte invece delle proteine da
stress acido ASP (acid shock proteins).
Queste sono delle proteine che normalmente non vengono prodotte, ma in risposta
allo stress, in questo caso di natura acida vengono prodotte affinché in qualche
modo possano contrastare il cambiamento del pH intracellulare, ed i danni
eventualmente causati dal cambiamento del pH esterno.
I funghi utilizzano un enzima chiamato ATPasi (è un enzima fondamentale coinvolto
nella sintesi dell’ATP) che normalmente funziona facendo entrare ioni H+, e mentre
entrano nella cellula gli ioni H+, questo enzima produce ATP. I funghi spesso per
contrastare uno stress dovuto al pH, fanno funzionare questo enzima al contrario
(pompa all’esterno della cellula gli ioni H+ utilizzando energia) (ATPasi sarebbe la
classe degli enzimi, sulla slide c’è scritto che il nome di questo enzima per H+ è
H+ATPasi).
È importante tenere conto del pH e delle sue variazioni anche in laboratorio, perché
dobbiamo mantenere dei sistemi che consentano lo sviluppo dei microrganismi che
dobbiamo coltivare, anche se questi durante il loro sviluppo possono variare il pH. Il
microrganismo con il suo effetto può far variare il pH, e per arginare il cambiamento
di pH e non inibire la crescita del microrganismo, possiamo utilizzare diverse
tecniche:
• Utilizzare soluzioni tampone→ vengono utilizzati dei tamponi diversi a
seconda dell’intervallo di pH in cui i microrganismi devono funzionare.
• Utilizzare degli indicatori→ sono molecole colorate che in base al
cambiamento di pH cambiano di colore. In questo modo mentre una coltura
sta crescendo siamo in grado di capire se il pH sta cambiando troppo e quindi
dobbiamo agire arginando questo cambiamento, per consentire alle cellule di
continuare a crescere.

110
PARAMETRI AMBIENTALI E MICRORGANISMI (C)
Tra i fattori che influenzano la crescita microbica è importante l’acqua.
L’acqua è fondamentale per i microrganismi, così come lo è per tutte le cellule (la
maggior parte del citoplasma è costituito da acqua). L’acqua è quindi fondamentale
per la sopravvivenza e per la crescita dei microrganismi. Nell’acqua poi sono
disciolte tutta una serie di sostanze che i microrganismi possono utilizzare come
nutrienti.
Bisogna sottolineare che “disponibilità di acqua” è diverso da “presenza di acqua”→
cioè noi possiamo avere acqua presente ma non disponibile (ciò può succedere
perché ad esempio può essere “requisita” da elevate concentrazioni di zuccheri e
Sali). Quindi possono esserci delle matrici che di per sé contengono molta acqua,
che però può non essere disponibile per i microrganismi (esempio: per capire questo
meccanismo pensa al miele. Il miele è un gel ricchissimo di acqua. Tuttavia, il miele
che compriamo, anche una volta aperto, dura nella dispensa per molto tempo. Esso
non ammuffisce, non si altera, anche se in realtà sarebbe un substrato perfetto per i
microrganismi. Questo perché l’acqua nelle matrici come il miele è presente ma non
è disponibile, perché requisita da un’elevatissima concentrazione di zuccheri).
Disponibilità di acqua:
Viene espressa come “Attività dell’acqua” aw, che è un numero che si calcola come
pressione di vapore dell’acqua in una data soluzione (nel nostro ecosistema che
consideriamo) fratto la pressione di vapore dell’acqua pura.
Teoricamente la water activity è compresa come valori
possibili, tra 0 ed 1 (considerando che la aw dell’acqua
pura è =1).In pratica se noi andiamo ad aumentare
progressivamente la concentrazione di soluti, l’attività
dell’acqua diminuisce (se noi ad esempio prendiamo dell’acqua pura e cominciamo
ad aggiungere progressivamente dei soluti, man mano l’attività dell’acqua diminuirà,
e sarà sempre meno disponibile per i microrganismi).
aw è teoricamente tra 0 ed 1, ma in realtà il range in cui cresce la maggior parte dei
microrganismi è più limitato, ovvero tra 0,995 e 0,998 (valori prossimi allo 0,9),
mentre la crescita della stragrande maggioranza dei microrganismi, anche se ci sono
delle eccezioni, cresce a valori superiori allo 0,9 (quindi la crescita si arresta oltre lo
0,9 (scendendo)).
Misura dell’attività dell’acqua di alcuni alimenti:
Attività dell’acqua più alta ce l’hanno alimenti che sono più
deperibili di altri. Mentre hanno attività dell’acqua molto bassa

111
gli alimenti che hanno scadenza più lunga (data comunque anche da altri fattori).
(frutta fresca deperisce molto rapidamente. Biscotti, verdure disidratate, pasta,
hanno attività dell’acqua molto bassa, per questo vengono alterati difficilmente).
Ci sono microrganismi che hanno attività dell’acqua
ottimale differente→Alcuni hanno necessità di
un’elevatissima attività dell’acqua (quindi di una
quantità di acqua disponibile molto alta),e poi
abbiamo invece dei microrganismi che possono
svilupparsi anche ad attività dell’acqua molto bassa (questi sono quelli che si sono
evoluti per pressione selettiva e sanno usare l’acqua in modo più efficiente – un
esempio sono le muffe, i funghi pluricellulari riescono molto bene ad attirare a se
l’eventuale acqua disponibile, perché il micelio fungino è costruito in un modo per
cui le muffe riescono ad andare a “catturare” l’acqua anche quando essa è poco
disponibile).
Tabella che evidenzia le differenze tra l’attività dell’acqua ottimale di diversi
microrganismi, e in riferimento, i prodotti e le matrici che corrispondono a quella
determinata attività dell’acqua:

Al di sotto di un’attività dell’acqua


di 0,6, si ritiene che non ci sia
proliferazione microbica (stiamo
parlando di matrici ed alimenti in
cui l’acqua è presente, ma è
trattenuta molto bene dagli
eventuali zuccheri o Sali presenti).

112
Effetto della pressione osmotica sulle cellule
Cosa succede ad un microrganismo unicellulare se si trova in una soluzione:
• Ipotonica→la soluzione ha un contenuto minore di soluti, rispetto al
contenuto cellulare (un esempio è l’acqua distillata).
• Ipertonica→la soluzione ha un contenuto si soluti maggiore rispetto al
contenuto cellulare (un esempio è un ambiente ipersalino, come un lago
salato).
• Isotonica→ la soluzione ha un contenuto di soluti uguale al contenuto
cellulare (non si intende in termini di natura del soluto, ma in termini di
concentrazione) (un esempio è la soluzione di Ringer).
Per via dell’effetto della pressione osmotica, una cellula (forma gialla) che si trova in
un ambiente in cui la soluzione è:
• Ipotonica→ l’acqua per effetto della pressione
osmotica tenderà a migrare verso il comparto che ha il
maggiore contenuto di soluti, quindi in questo caso la
cellula. L’effetto è che la cellula si rigonfia di acqua fino
ad eventualmente esplodere.
• Ipertonica→ la cellula a causa dell’acqua che va ad
equilibrare la concentrazione di soluti esterna, perde
acqua, quindi va a disidratarsi, a rimpicciolirsi e
tendenzialmente a morire.
• Isotonica→ La cellula non ha nessun tipo di
sofferenza.
I microrganismi durante il corso della loro esistenza possono trovarsi in condizioni
variabili, che si avvicinano ad una di queste tre situazioni.
Quando abbiamo un contenuto di soluti molto elevato, diciamo che il
microrganismo si trova in un ambiente ad elevata “Osmolarità”→ essa esprime il
contenuto di soluti di una soluzione (un ambiente ad elevata osmolarità contiene un
elevata concentrazione di soluti -che possono essere ad esempio zuccheri o Sali- per
cui porta ad elevata osmolarità). L’osmolarità diminuisce via via fino ad arrivare ad
una soluzione ipotonica in cui la concentrazione di soluti è molto bassa.
Questo discorso non è scollegato dalla disponibilità di acqua, perché l’acqua
disponibile per i microrganismi aumenta man mano che diminuisce l’osmolarità
dell’ambiente.

113
I microrganismi contrastano gli effetti dovuti ad elevata osmolarità attivando i
meccanismi di trasporto a livello della membrana cellulare→I meccanismi di
trasporto cercano di mantenere la concentrazione intracellulare dei metaboliti,
affinché le vie metaboliche e tutte le funzioni restino inalterate ed intervengono nei
confronti dell’osmoregolazione.
I microrganismi rispetto alla loro capacità di contrastare gli effetti dovuti ad elevata
osmolarità si differenziano in:
• Osmofili→ crescono in maniera ottimale in soluzioni ad elevata osmolarità.
Quindi in partica questi microrganismi riescono a contrastare la perdita di
acqua e la disidratazione (in ambiente ipertonico).
• Osmotolleranti→ Tollerano soluzioni ad elevata osmolarità, quindi riescono
anche questi a contrastare la disidratazione, tuttavia non hanno una crescita
ottimale.
• Osmodurici→ entrano in uno stato di quiescenza in soluzioni ad elevata
osmolarità (concentrazioni elevate di soluti).
Quando parliamo di osmolarità, noi parliamo di soluti in senso generale, quindi
parliamo sia di zuccheri che di Sali. In realtà in natura nell’ambiente in particolare,
ma anche in alcuni alimenti, i microrganismi incontrano elevata osmolarità in
particolare in presenza di elevate concentrazioni saline, ed in particolare di NaCl
(cloruro di sodio) (esempio di ambienti ipersalini: laghi salati, alcune stratificazioni
dell’acqua di mare, alimenti sottosale).
La maggior parte dei microrganismi tollera dal 3 al 5% di concentrazione di NaCl.
Tuttavia, i microrganismi che colonizzano ambienti ipersalini riescono a crescere in
maniera ottimale ad elevatissime concentrazioni di NaCl (fino al 36%, che è un limite
vicino alla saturazione, ciò vuol dire che il sale in pratica non si scioglie più). Questo
tipo di microrganismi vengono detti Alofili.
Alofili→ microrganismi che crescono in maniera ottimale ad elevate concentrazioni
di NaCl (quindi in ambienti ipersalini). Il sodio (Na+) è comunque un nutriente
fondamentale per tutte le cellule, ma nel caso di queste cellule in particolare riveste
ancor di più un ruolo importante per la funzionalità cellulare (per l’attività catalitica
(quindi l’attività enzimatica), per i meccanismi di trasporto…). Anche se il sodio
comunque rientra in queste funzioni anche in cellule non per forza alofile (ma
comunque negli alofili in particolare).
Osmofilo ed Alofilo hanno due significati differenti→ un microrganismo osmofilo è
adattato in generale ad elevate concentrazioni di soluti. Un microrganismo alofilo
invece cresce in maniera ottimale ad elevate concentrazioni saline. Quindi in pratica
114
tutti gli alofili rientrano nella categoria degli osmofili, ma non tutti gli osmofili sono
per forza alofili (quindi tollerano elevate concentrazioni di NaCl).
Elevata osmolarità od elevata salinità comportano necessariamente una ridotta
disponibilità di acqua (ridotta aw).
La terminologia da utilizzare per raggruppare i microrganismi rispetto alla loro
presenza per l’alofilia vede:
• Batteri debolmente alofili→ tollerano tra il 2 ed il 5% di concentrazione di
NaCl (questi sono la maggior parte dei microrganismi).
• Batteri moderatamente alofili→ tollerano concentrazione di Sali tra il 5-20%
• Batteri estremamente alofili→ tollerano concentrazioni di Sali tra il 20 e 30%.
Gli alotolleranti non hanno bisogno di elevate concentrazioni di NaCl per il loro
metabolismo, ma riescono comunque a tollerare, quindi a crescere nonostante una
concentrazione di NaCl tra il 10 ed il 15%.
In che modo i microrganismi, ed in particolare quelli moderatamente ed
estremamente alofili riescono a contrastare lo stress osmotico che dovrebbero
presentare in una condizione di elevata concentrazione di Sali?
Possono attivare due tipi di risposte:
• Risposta salt-in→è una strategia più rara. Portata avanti da un gruppo di
Archaea (Halobacteriaceae -si chiamano così perché inizialmente erano
considerati batteri, ma adesso si sa che sono Archaea), che sono i maggiori
colonizzatori degli ambienti ipersalini. Questa strategia comporta per questi
microrganismi l’accumulo di cloruro di potassio (KCl) all’interno della cellula,
in modo tale da aumentare la concentrazione di soluti intracellulare, e quindi
di impedire all’acqua di fuoriuscire. Quindi l’ambiente è ipersalino, e la cellula
per così com’è potrebbe perdere acqua perché tenderebbe ad uscire. L’acqua
non fuoriesce perché il microrganismo aumenta all’interno del suo citoplasma
la concentrazione di cloruro di potassio richiamandolo dall’esterno.
• Risposta salt-out→ attuata dalla maggior parte dei microrganismi capaci di
crescere in ambienti ad elevata osmolarità ed in particolare elevata salinità.
Questa strategia si basa sull’accumulo più comune di soluti compatibili.
Quando un microrganismo cresce in presenza di elevata osmolarità o salinità,
per arginare la perdita di acqua ed avere la possibilità di recuperare acqua
dall’esterno, aumenta l’osmolarità intracellulare accumulando soluti che però
non sono soluti qualsiasi, ma sono soluti che derivano dal suo metabolismo.
Per cui invece che accumulare Sali o soluti presenti nell’ambiente, va ad
115
accumulare zuccheri, aminoacidi, alcoli, o comunque tutte molecole che già di
per sé rientrano nel metabolismo cellulare. Quindi concentra il citoplasma di
molecole utili (cioè compatibili) con il metabolismo, in maniera che l’acqua
non fuoriesca (l’acqua può addirittura in questo modo essere richiamata
all’interno della cellula).
Queste immagini Mostrano l’effetto della presenza di
batteri alofili nell’ambiente:
Questo è il pink lake (Australia). La colorazione di questo
lago deriva proprio dalla presenza di microrganismi, ed in
particolare dalla simbiosi di due organismi che sono
Halobacterium salinarum e ad un’alga (microrganismo
eucariota alofilo). L’interazione tra questi due
microrganismi che sono dotati di pigmenti, porta ad una
colorazione molto intensa (in particolare nei periodi caldi
estivi ad elevate temperature, perché l’acqua tende ad
evaporare e per questa ragione si concentra il sale, e
proprio in corrispondenza di un’elevata concentrazione
salina questi microrganismi raggiungono il loro ambiente ottimale e si moltiplicano
in maniera evidente) di un rosa molto vivo.
Un altro fattore che influisce sui microrganismi è l’”affinità per la pressione
idrostatica”→ la maggior parte dei microrganismi che insistono sull’ambiente
terrestre prediligono una pressione atmosferica ambientale a seconda dell’ambiente
in cui normalmente si trovano (ad esempio al mare, oppure a quote più elevate).
Sappiamo che il nostro pianeta è occupato per la maggior parte da acqua, molti
ecosistemi marini sono molto profondi, quindi c’è un’elevatissima pressione
idrostatica in questi ecosistemi. Questi ecosistemi non sono sterili, ma al loro
interno ci sono dei microrganismi per la maggior parte procarioti, che diventano
globalmente molto significativi dal punto di vista ecologico, cioè a livello di biomassa
diventano molto importanti.
Ci sono dei microrganismi detti “piezofili” isolati da prelievi fatti con dei dispositivi in
remoto nella fossa delle Marianne (11000 metri di profondità). Lo studio dei
microrganismi piezofili è abbastanza recente, perché ha richiesto e richiede tuttora
costi molto elevati e difficoltà anche oggettive per il campionamento e la coltura di
questi microrganismi. Ciò che si sa ad oggi dei microrganismi piezofili, quindi di
quelli che prediligono elevate pressioni idrostatiche (e che alle nostre pressioni
atmosferiche tendenzialmente muoiono), è che esiste un’associazione tra la
piezofilia (affinità per le elevate pressioni) e le condizioni che si trovano
116
normalmente nel fondo delle profondità marine. Quindi preferiscono una
temperatura più bassa (per cui sono normalmente psicrofili) e sono normalmente
oligotrofi (quindi hanno necessità nutrizionali molto ridotte, perché in questi
ecosistemi non ci sono le piante, ci sono pochi nutrienti).
Il limite massimo di resistenza e di affinità per la pressione idrostatica non è stato
ancora definito a causa delle difficoltà nella coltura di questi microrganismi. Un’altra
informazione di cui siamo però a conoscenza è che molti di questi microrganismi
piezofili sono affini geneticamente al microrganismo progenitore ancestrale (cioè
alla prima cellula da cui hanno avuto origine tutte le cellule procariotiche ed
eucariotiche. Infatti, si è evoluta la piezofilia in ambienti in cui all’inizio la pressione
era molto elevata). Dal punto di vista cellulare quello che si sa sugli organismi
piezofili è abbastanza ridotto, sappiamo però sicuramente che questi microrganismi
attuano delle strategie cellulari per evitare ciò che succede a microrganismi non
piezofili che vengono assoggettati ad elevate pressioni idrostatiche. Cioè se noi
prendiamo una cellula procariotica molto semplice e la sottoponiamo ad una
pressione idrostatica molto elevata notiamo che:
La membrana da fluida diventa rigida, le proteine
perdono la loro associazione in subunità (quindi
perdono la struttura quaternaria), ed anche la struttura
terziaria, la cellula perde la mobilità (se ne era dotata in
precedenza) e si perde la capacità di sintetizzare le
proteine.
Quindi questi microrganismi hanno degli adattamenti cellulari non ancora del tutto
compresi, che tendono a contrastare questi effetti dannosi sul metabolismo
cellulare.
Nutrienti:
• Macronutrienti→ devono essere concentrati da mg/L a g/L, perché devono
essere presenti in maniera un po’ più consistente affinché la cellula funzioni.
• Micronutrienti→ sono sufficienti nell’ordine dei μg/L.
La necessità di nutrienti rispecchia la composizione delle cellule e la natura delle
macromolecole contenute nelle cellule, che sono:
• Proteine (55%).
• Acidi nucleici (24%).
• Lipidi (9%).
• Polisaccaridi (5%).
117
C’è poi una percentuale più piccola di nucleotidi, che sono precursori metabolici, e
che quindi entrano poi a far parte di queste categorie (elenco sopra) nel momento in
cui vengono assemblate.
Tipologie di macronutrienti:

Direttamente coinvolti
nella sintesi di macromolecole

Ci sono poi dei macronutrienti che sono comunque necessari in elevata quantità,
che nelle cellule vengono utilizzati soprattutto per la regolazione nutrizionale,
oppure ad esempio per il corretto funzionamento della membrana:
• Sodio (rientra lui soprattutto nel funzionamento dei sistemi di trasporto)
• Potassio
• Calcio
• Magnesio
• Ferro (usato nei magnetosomi)
• Zolfo
Abbiamo quindi due categorie di macronutrienti, ovvero quelli che sono un po' più
importanti e quelli che sono comunque necessari ma in quantità inferiori.
Abbiamo poi dei micronutrienti che sono sempre necessari ma a concentrazioni
ancora inferiori, e spesso sono coinvolti in funzioni come il corretto funzionamento
del sito attivo di alcuni enzimi:
• Manganese
• Cobalto
• Nickel
• Vanadio
• Boro
• Rame
• Zinco
• Molibdeno
Poi altri che le cellule magari non sono in grado di sintetizzare (quindi dobbiamo
fornirle come nutrienti):
• Vitamine
• Aminoacidi

118
Sono sempre dei nutrienti, ma talvolta vengono anche considerati anche come
“fattori di crescita”.

Percentuale dei vari elementi nella cellula (già vista in


precedenza).

Non tutti gli organismi hanno le medesime esigenze nutrizionali, perché ad esempio
alcuni hanno bisogno di carbonio in forma organica, altri no, oppure alcuni
organismi possono avere bisogno in generale di azoto come nutriente nel terreno di
coltura, altri invece riescono a procurarsi l’azoto dall’atmosfera.
Quindi stessi nutrienti possono essere assimilati in forme diverse (possiamo avere
dei microrganismi che prediligono l’azoto in forma amminica piuttosto che
ammoniacale, nitrica o molecolare).
Lo stesso nutriente può essere necessario a diversi microrganismi in diverse forme.
I macronutrienti principali sono C ed N.
Abbiamo poi microrganismi che si distinguono in:
• Auxotrofi → microrganismo che non è in grado di sintetizzare un determinata
vitamina, un determinato aminoacido, un determinato fattore di crescita.
(l’uomo ad esempio è auxotrofo per la vitamina c, dobbiamo per forza
assumerla da altro).
• Prototrofi→ microrganismo che invece è in grado.
Il carbonio è necessario perché presente negli scheletri di tutte le molecole
organiche, ed in base alla tipologia di carbonio utilizzato come nutriente i
microrganismi si distinguono in:
• Eterotrofi→ Hanno bisogno di C organico nel loro ecosistema (es: E.coli)
• Autotrofi→ Utilizzano il C inorganico sottoforma di CO2 (cianobatteri, piante)
L’azoto è importante perché componente fondamentale delle proteine.
Normalmente la maggior parte dell’azoto disponibile alle cellule è in forma
inorganica, quindi gli organismi dall’ambiente utilizzano le forme inorganiche di
azoto (tenendo a mente che l’azoto in forma molecolare, ovvero N2 è utilizzabile
sono da microrganismi che vengono definiti azotofissatori) (quasi tutti utilizzano
NH3, solo alcuni NO3-).

119
Il ferro è un altro importante elemento, perché riveste un punto chiave negli enzimi
che sono responsabili del trasporto di elettroni durante la respirazione (aspetto
molto importante nel metabolismo).
Il ferro nell’ambiente può essere in diverse forme:
• In Anaerobiosi (ambienti anaerobi)→ abbiamo solitamente maggior presenza
di Fe2+ (ferro due), quindi di ferro ridotto che è anche solubile.
• In Aerobiosi→ abbiamo maggiore presenza di Fe3+ (ferro tre), che quindi di
ferro ossidato che forma dei precipitati (insolubile).
Siderofori→ sono delle molecole organiche che sia i batteri che le piante, utilizzano
per andarsi a procurare il ferro al di fuori della cellula (quando c’è ferro disponibile
al di fuori della cellula ed i microrganismi devono andare a prelevare questo ferro
per trasportarlo all’interno della cellula, utilizzano questi sistemi che si chiamano
siderofori – si legano al ferro e lo trasportano all’interno-).
Alcuni batteri appartenenti al genere Lactobacillus (ma sono comunque delle
eccezioni) nel caso in cui non sia disponibile ferro, possono utilizzare il manganese
Mn2+ (possono quindi crescere anche in assenza di ferro).
Rappresenta un sideroforo→ i siderofori sono delle molecole
organiche di diversa tipologia (acidi idrossamici, siderofori
fenolici, siderofori peptidici). Hanno un’elevata affinità per il
ferro, che vanno a legare con un legame di coordinazione,
nella loro parte centrale. Vanno quindi a chelare il ferro. Il
ferro in questa forma viene poi trasportato all’interno della
cellula. Il sideroforo è la modalità con cui anche i batteri che
hanno i magnetosomi, si procurano il ferro.

120
Fattori di crescita:
• Vitamine
• Aminoacidi
• Purine
• Pirimidine
La richiesta di vitamine è variabile a seconda del microrganismo. Ci sono alcuni
batteri (come Streptococcus, Lactobacillus e Leuconostoc) che richiedono molte più
vitamine rispetto ad altri, e questo proprio perché alcuni di essi ne sono auxotrofi
(quindi non sono capaci di sintetizzare le vitamine, quindi devono essere per forza
presenti nell’ambiente).
Stiamo parlando di fattori che influiscono sulla crescita microbica, quindi la presenza
dei nutrienti (tutti quelli visti), va ad influire sul fatto che ci sono dei microrganismi
che si sviluppano in un certo ecosistema piuttosto che un altro.
• Fototrofi→ sono gli organismi che ricavano
l’energia grazie alla radiazione luminosa (dai
fotoni), e questa poi mediante tutta una serie di
reazioni cellulari si trasforma in ATP. Parlando di
procarioti, questi microrganismi fototrofi
possono utilizzare come fonte di C per le
biosintesi (come nutriente):
- Il carbonio organico→ Fotoeterotrofi
- L’anidride carbonica→ Fotoautotrofi
• Chemiotrofi→ non utilizzano la radiazione luminosa (che per loro è
indifferente), ma utilizzano composti chimici per sintetizzare ATP, ed anche
loro possono utilizzare come fonte di C per le biosintesi:
- Il carbonio organico→ Chemioeterotrofi
- L’anidride carbonica→ Chemioautotrofi

ENDOSPORA BATTERICA
Abbiamo visto che lo sviluppo microbico influisce sulla crescita
dei microrganismi, quindi in pratica sono le caratteristiche
dell’habitat che vanno a definire quali microrganismi
andranno a svilupparsi. Per cui se le condizioni tendono a non
essere quelle ottimali, i microrganismi tendono a non
svilupparsi, e se diventano molto negative, tendono a morire.
121
Ci sono alcuni microrganismi che anche a fronte di condizioni decisamente
sfavorevoli, riescono a produrre una struttura di resistenza che consente loro di
continuare a rimanere nell’habitat ed in pratica resistere agli effetti negativi dovuti
alle condizioni avverse. Queste strutture di resistenza vengono definite
“endospore”.
Endospora batterica→ è prodotta attraverso il processo cosiddetto di
“sporulazione”, ed è una forma di resistenza e sopravvivenza. Non ha funzioni
metaboliche attive importanti, ma serve ai microrganismi per resistere,
sopravvivere, non essere danneggiati da fattori ambientali avversi.
L’endospora è una struttura altamente differenziata, perché nonostante abbia
origine da una cellula batterica, è una struttura nettamente differente. Infatti ha
delle caratteristiche particolari che la differenziano nettamente dalla cellula
vegetativa.
L’endospora batterica è molto resistente a:
• Temperatura
• Agenti chimici
• Radiazioni
• Stress idrici→ la disponibilità di acqua è fondamentale per le cellule ma non
per l’endospora batterica.
Le cellule vegetative capaci di produrre endospora, a fronte di uno stress idrico o
termico, possono resistere mediante la produzione dell’endospora.
Durante l’esistenza dell’endospora batterica, si dice che questa attua la Criptobiosi
(che significa metabolismo nascosto), cioè la cellula rimane in una sorta di standby
metabolico per cui soltanto pochissime funzioni rimangono attive e la maggior parte
sono ferme.
Non tutti i batteri sono capaci di produrre endospora, e questa capacità è
geneticamente codificata, ed è presente nei microrganismi che sono dotati dei geni
Spo (deputati alla produzione dell’endospora) e dei geni Ger (deputati alla
germinazione -che sarebbe il ritorno allo stato di cellula vegetativa (cellula attiva che
svolge le sue funzioni normali)).
Questi batteri sono:
• Gram + aerobi, anaerobi facoltativi ed anaerobi.
• In particolare, appartenenti al genere Bacillus e Clostridium.

122
Le endospore possono essere trasportate in ecosistemi diversi rispetto
all’ecosistema di origine (andando quindi a colonizzare eventualmente altri
ecosistemi).
Il ciclo cellulare dei batteri sporigeni è molto semplice:
Abbiamo una cellula vegetativa→ questa riconosce che ci sono dei fattori ambientali
che diventano carenti o nocivi→ a questo punto comincia a trascrivere mediante i
geni Spo delle proteine specifiche che servono poi per produrre l’endospora→
Quest’endospora può rimanere nell’ambiente per un certo tempo (che ad oggi è
indefinito -non sappiamo qual è la durata massima di esistenza come endospora-).
Quando riconosce poi che le condizioni ambientali sono tornate favorevoli, trascrive
i geni Ger (deputati alla germinazione) e ritorna ad essere cellula vegetativa.
Se mettiamo in coltura chiusa un organismo sporigeno, la sporulazione avviene alla
fine della fase esponenziale e all’inizio di quella stazionaria (momento in cui
cominciano ad essere carenti i nutrienti e le cellule smettono di essere vitali -cioè
diminuisce la vitalità delle cellule e la loro capacità di moltiplicarsi-) (quindi il
batterio sporigeno comincia a produrre endospora nella fase stazionaria). La
produzione di endospora viene definita anche “divisione cellulare asimmetrica”,
perché ha delle caratteristiche che la accomunano alla scissione binaria (nel senso
che inizia come la scissione binaria -replicazione del cromosoma-, ma poi prende
subito tutto un altro percorso).
La divisione cellulare asimmetrica viene innescata da segnali che provengono
dall’esterno della cellula (come ad esempio la scarsità di nutrienti) e si innesca con
l’espressione dei geni Spo. Si ha poi la fase di “determinazione” e “differenziazione”
dell’endospora.
La cellula vegetativa moltiplica il proprio
cromosoma (quindi inizia tutto come una
scissione binaria). Avviene poi la fase di
sporulazione, in cui uno dei due cromosomi
viene circondato da tutta una serie di
rivestimenti, e si crea la “prespora”, che viene
poi rilasciata per lisi (a partire da ciò che
rimane della cellula vegetativa che la
produce), si forma così poi l’endospora
matura. Quando poi le condizioni ambientali
saranno di nuovo favorevoli, l’endospora germinerà producendo la cellula
vegetativa.

123
All’inizio si ha la replicazione del DNA,
quindi la cellula conterrà poi due
molecole di DNA che andranno
confinate ai due poli opposti della
cellula. Nella parte che poi diventerà
endospora ci sarà racchiuso meno
citoplasma, questa prespora viene
circondata grazie ad invaginazioni
successive da più sistemi di membrana
(che poi si trasformeranno in
rivestimenti protettivi.
Dopo la maturazione l’endospora viene poi liberata nell’ambiente, e la restante
parte della cellula vegetativa andrà in lisi liberando DNA e contenuto citoplasmatico
nell’ambiente (per cui rimane solo più l’endospora). L’endospora potrà poi andare a
rigerminare in risposta a stimoli ambientali.
La sporulazione comincia appunto con un processo simile
alla scissione binaria (qualcosa che accenna alla possibile
produzione di due cellule identiche) (a), poi invece il
contenuto della parte dedicata alla produzione di
endospora è asimmetrico rispetto all’altro (c’è una parte
più piccola ed una parte più grande). Man mano mediante
invaginazioni successive si va a creare l’endospora che via
via matura sempre di più fino al suo stadio finale, in cui viene liberata all’esterno.
Quello che possiamo notare è che durante la sua produzione, l’endospora acquisirà
una decisa rifrangenza al microscopio che fa si che sia molto visibile nonostante non
sia colorata (rifrange la luce del microscopio ed i rivestimenti che la rivestono la
rendono particolarmente visibile).
Fasi della sporificazione:

(Struttura dell’endospora nella cellula madre


vista al microscopio elettronico)

124
Normalmente vengono individuate una fase 0 e poi 7 fasi successive.
• Fase 0→ rappresenta l’innesco. La
cellula vegetativa si comporta come
una cellula madre che va a
suddividersi in due cellule figlie
identiche. Quindi replica il proprio
cromosoma in due copie identiche.
• Fase 1→ “Filamentazione assiale”.
I due cromosomi identici vanno a
disporsi al centro della cellula
(sull’asse principale della cellula) e
vengono fatti migrare ai poli opposti
della cellula stessa.
• Fase 2→ “Divisione asimmetrica”. Il citoplasma di chiude in due comparti
asimmetrici. Quello che contiene la prespora contiene solo il cromosoma
batterico intero ed alcuni ribosomi, ma molto meno citoplasma.
• Fase 3,4,5→ “Invaginazione”. Avvengono poi delle invaginazioni, nel
frattempo la cellula vegetativa continua a sintetizzare tutti i componenti che
servono per far maturare la spora, come ad esempio la corteccia e la tunica
(sono due rivestimenti che rendono l’endospora ancora più resistente).
• Fase 6,7→ l’endospora va poi in Maturazione e quando è completamente
matura la cellula madre va in lisi e libera l’endospora, che a questo punto
diventa spora indipendente all’esterno.
La durata di questo processo è variabile a seconda delle specie. Sommariamente
dura dalle 7 alle 15 ore.
Maturazione della spora:
Ciò che avviene durante la maturazione della spora, sono dei processi molto
importanti. Uno dei principali è la Disidratazione→ cioè l’endospora ha un “core”
(che sarebbe ciò che resta del citoplasma) molto molto disidratato. Si parte infatti da
una cellula vegetativa che ha circa un 85% d’acqua ed arriviamo attorno ad un 17-
32% (che sono valori molto bassi, siamo in una situazione di forte disidratazione). La
disidratazione serve all’endospora per essere ancora più resistente soprattutto
rispetto alle variazioni termiche (in partica la resistenza alle elevate temperature è
anche in funzione della quantità di acqua nella cellula. Una determinata struttura è
più resistente alle temperature se ha meno acqua).

125
Mentre la cellula si disidrata, si accumula all’interno del core il Dipicolinato di
calcio→ è una molecola esclusiva dell’endospora batterica, viene sintetizzata
apposta in questo momento. Può arrivare fino al 10% del peso secco dell’endospora.
Si chiama Dipicolinato di calcio perché è un polimero del
dipicolinato (od acido dipicolimico a seconda dello stato di
dissociazione). Questo monomero si lega ai monomeri successivi
mediante la coordinazione di calcio (che serve proprio per creare
il polimero, che è il dipicolinato di calcio).

La funzione del dipicolinato di calcio è quella di stabilizzare il DNA, e lo fa assieme ad


altre proteine specializzate (che vengono sempre sintetizzate mediante i geni Spo). Il
DNA è il componente più prezioso dell’endospora, il senso di creare questa struttura
resistente è proprio quello di conservare il proprio DNA e di poterlo poi propagare
quando le condizioni saranno opportune (per cui il dipicolinato di calcio e le proteine
specializzate servono per proteggere il DNA della cellula).
Caratteristiche della struttura dell’endospora:
• Fortemente rifrangente al microscopio→ se noi
facciamo la colorazione di Gram di un batterio che sta
producendo endospora, notiamo che le cellule
vegetative (che devono ancora cominciare il processo)
appaiono normalmente colorate con il cristalvioletto (perché l’endospora
viene prodotta solo dai Gram +, e quindi in quest’immagine i batteri ci
compaiono viola), mentre l’endospora ci appare come trasparente ma visibile
(cioè rifrangente). Questo perché in pratica ha dei rivestimenti così spessi che
fanno si che la luce del microscopio non l’attraversi, ma risulti visibile, quindi
non trasparente.

• Impermeabile alla maggior parte dei


coloranti→ ad esempio il colorante di Gram non
entra nell’endospora. Solitamente infatti non
coloriamo le cellule perché l’endospora si vede
comunque al microscopio, ma volendo esistono
126
delle colorazioni specifiche che riescono ad entrare all’interno dell’endospora
(immagine in centro→ è una colorazione particolare fatta in corrente di
vapore ed impiega un colorante che si chiama verdemalachite. Le endospore
si colorano di verde, mentre le cellule vengono colorate con un colorante di
contrasto, ed appariranno rosse).
• Grandi differenze rispetto alla cellula vegetativa→manifestata dalla capacità o
meno dei coloranti di entrare nell’endospora rispetto alla cellula vegetativa.
Struttura dell’endospora:
• Core→ originato dal citoplasma che era stato
confinato ad un lato della cellula generatrice. Quindi
qui troviamo il DNA complessato con il dipicolinato di
calcio e le proteine specifiche. L’ambiente è molto
disidratato. Sono presenti anche alcuni ribosomi.
• Corteccia, Tunica ed Esosporio→ sono degli
avvolgimenti, dei rivestimenti, tipici dell’endospora e
sintetizzati appositamente, che danno ancora
un’ulteriore protezione.
La criptobiosi (definita anche come quiescenza/dormienza o vita latente) fa si che
l’endospora possa sopravvivere per periodi di tempo molto lunghi, e ritornare ad
essere vegetativa quando le condizioni tronano ad essere ottimali (ad esempio
infatti sono state trovate endospore capaci di germinare in cellule vegetative,
associate con le bende delle mummie egizie -quindi parliamo di migliaia di anni-).
La longevità dell’endospora dipende dal fatto che questa struttura ha una pressoché
totale assenza di metabolismo→ questo si può misurare, in quanto se noi andiamo a
misurare quantitativamente i livelli delle molecole coinvolte nei processi metabolici
(ad esempio ATP e NADH, NADPH), possiamo osservare che sono concentrate
addirittura 1000 volte meno rispetto alla cellula vegetativa. In pratica l’unica attività
è quella degli enzimi che sono rivolti a monitorare i fattori ambientali e nel
momento in cui questi diventassero favorevoli, indurre la germinazione e quindi la
ripresa dell’attività metabolica (quindi quella poca attività l’endospora la dedica alla
percezione dell’ambiente esterno).
La germinazione dell’endospora è un processo che avviene in 3 fasi:
• Attivazione→ si manifesta quando vengono captate le condizioni favorevoli
(ad esempio un miglioramento della temperatura o nuova disponibilità di
nutrienti)
127
• Germinazione→ fase in cui l’endospora perde la rifrangenza al microscopio e
la resistenza (andando a perdere tutti i rivestimenti che la proteggono).
• Esocrescita→fase in cui la cellula comincia a rigonfiarsi, perché si reidrata,
quindi accumulando acqua ricomincia a riprendere tutte le funzioni cellulari
come la sintesi di RNA e tutte le trascrizioni, la sintesi proteica e tutti i
fenomeni coinvolti nel metabolismo.
La degradazione della corteccia (la prof dice sempre cortex!) e dei rivestimenti è
molto importante affinché l’acqua possa entrare all’interno della cellula. L’ingresso
di acqua provoca il discioglimento dei composti solubili come il dipicolinato di calcio
ed altre molecole. Quindi il conseguente abbassamento della rifrangenza e la
perdita delle caratteristiche di resistenza.
La resistenza dell’endospora a disinfettanti, antibiotici, radiazioni e temperature
dipende da:
• Spessore ed impermeabilità degli involucri protettivi
• Dal fatto che c’è il dipicolinato di calcio complessato al DNA (che lo va a
proteggere)
• Dal fatto che durante la fase di produzione dell’endospora vengono anche
prodotte delle proteine specifiche che vanno a proteggere in molti modi
l’endospora dagli agenti esterni.
• La disidratazione contribuisce alla resistenza alle alte temperature, perché la
presenza di acqua fa si che le cellule siano più soggette alla denaturazione
proteica (che è una conseguenza dell’elevata temperatura).
La resistenza al calore varia tra specie differenti (esempio, Clostridium
thetmosaccharolyticum 121°C, Clostridium botunium 80°C, sono due specie
appartenenti al genere Clostridium che hanno resistenza differente) e dipende da:
• Caratteristiche intrinseche della cellula che genera l’endospora
(caratteristiche genetiche)→ quindi abbiamo maggiore predisposizione a
resistere alle temperature di alcune specie rispetto ad altre.
• Situazione idrica dell’ambiente→ più c’è acqua nell’ambiente, più l’endospora
sarà comunque soggetta a denaturazione delle proteine nel caso in cui la
temperatura sia elevata (perché la presenza di acqua diminuisce
necessariamente la resistenza termica).
• Condizioni termiche in cui è avvenuta la sporificazione→più le condizioni
termiche erano elevate quando la cellula ha sporificato, più la spora sarà
resistente alle alte temperature.

128
Il fatto che le spore siano resistenti al calore, comporta anche delle ripercussioni sul
fatto che esistono degli alteranti alimentari tipicamente sporigeni, che in alcuni casi
sono anche nocivi dell’uomo (es: Clostridium botulinum, può essere pericoloso per
l’uomo, ed è pericoloso nella preparazione delle conserve a livello domestico, in
quanto a livello domestico non abbiamo la possibilità di raggiungere le pressioni di
vapore acqueo che ad esempio però possiamo raggiungere mediante l’utilizzo
dell’autoclave. 121°C per 15 minuti sottopressione ci garantisce l’eliminazione di
tutti gli sporigeni (condizione standard usata ovunque)).
La maggioranza degli sporigeni deriva dal suolo, e dal suolo possono raggiungere
altri comparti (ad esempio Clostridium botulinum è un batterio tipicamente
presente nel suolo, e finisce nelle conserve domestiche perché arriva dagli ortaggi
come contaminazione da suolo).
Sporigeni patogeni→ La spora generalmente è innocua (eventualmente possono
essere nocive le tossine associate alla spora), è la cellula vegetativa che è patogena. I
batteri sporigeni sono pericolosi, perché il fatto di essere sottoforma di endospora,
facilita il trasporto, cioè il migrare della spora dal comparto di origine (ad esempio il
suolo) ad un altro (esempio: l’ecosistema di un alimento).
La maggior parte dei batteri sporigeni sono anaerobi facoltativi, e molti sono anche
in grado di fermentare, a seconda delle condizioni ambientali.
Non tutti gli sporigeni hanno un’accezione negativa (perché sono alteranti o
patogeni), ma alcuni sono anzi molto utili per l’uomo. Ci sono 3 tipologie:
• Bioinsetticidi→ un esempio è Bacillus thuringiensis, che è il bacillo più
utilizzato a livello mondiale, in quanto ha la possibilità di andare ad attaccare
in maniera selettiva stadi larvali di diversi tipi di insetti, ed è innocuo per
l’uomo (quindi utilizzato come agente di lotta biologica in alternativa agli
insetticidi di sintesi).
• Produzione di metaboliti secondari→ possono essere utilizzati nell’industria,
ad esempio alcune specie sporigene appartenenti a Bacillus producono alcuni
polimeri che possono essere trasformati dall’industria (bioplastiche
biodegradabili).
• Integratori probiotici→ alcuni probiotici che assumiamo per migliorare la
nostra microflora intestinale sono sporigeni, ed il fatto di essere sporigeni
facilita per loro la migrazione attraverso lo stomaco per raggiungere
l’intestino (non vengono intaccati dai liquidi gastrici).

129
Esempi di alcuni batteri sporigeni appartenenti al
genere Bacillus e Clostridium (sono due generi
filogeneticamente vicini, appartengono entrambi
al Phylum dei Phirmicutes). Il genere Clostridium
durante la produzione e maturazione
dell’endospora, la confina in un angolo della
cellula, che di per sé nella fase vegetativa è una
cellula bacillare, che però assume una forma
particolare quando produce endospora.
Il genere Bacillus invece produce endospora in
posizione centrale, per cui non assume la
morfologia che invece assume Clostridium.

130
METABOLISMO MICROBICO
INTRODUZIONE ED ENERGIA
Ogni organismo in un ecosistema interagisce con tutte le componenti del sistema
stesso. Le attività metaboliche dei microrganismi (cioè il modo in cui producono e
consumano energia) hanno effetto profondo sugli ecosistemi che occupano.
Il termine “Metabolismo” racchiude al suo interno due tipologie di reazioni molto
diverse:
• Catabolismo→ riguarda delle reazioni che hanno lo scopo di produrre energia.
Normalmente sono reazioni degradative, quindi implicano la trasformazione
di una sostanza che poi porta al guadagno di energia (ad esempio le nostre
cellule degradano il glucosio per produrre ATP cellulare – i microrganismi
svolgono delle reazioni molto simili-)
• Anabolismo→ riguarda delle reazioni che consumano energia (energia che è
prodotta dalle reazioni cataboliche). Le reazioni che consumano energia
riguardano le sintesi dei componenti cellulari (quindi come la cellula
costruisce sé stessa andando a sintetizzare tutte le molecole che le servono -
lipidi, aminoacidi…-)
Queste reazioni sono catalizzate da dei Catalizzatori→ sono degli enzimi (che sono
delle proteine) che aiutano la cellula a svolgere queste attività.
Riassume funzionamento reazioni
cataboliche ed anaboliche→ ci sono dei
nutrienti che vengono utilizzati come
Energia
fonte di energia, in particolare vengono
Energia per trasporto,
movimento ecc
sfruttati nelle reazioni cataboliche,
infatti vengono trasformati in energia
cellulare e prodotti di scarto. L’energia
cellulare così prodotta verrà utilizzata
dalle reazioni anaboliche che
utilizzeranno altri nutrienti per
costruire i componenti cellulari.
Lo stesso meccanismo del catabolismo serve anche per convogliare parte
dell’energia cellulare in altre reazioni che non sono anaboliche, ma sono ad esempio
reazioni che servono per il movimento cellulare (pensa ad esempio ai flagelli ed al
fatto che sono innescati da un’energia cellulare che in particolare è la forza proton-
motrice). Il catabolismo (produzione di energia cellulare), riguarda soprattutto nel
mondo microbico, reazioni veramente molto diverse tra di loro.
131
Rientrano nelle reazioni cataboliche:
• Respirazioni→ sono messe al plurale proprio perché le respirazioni,
soprattutto per quanto riguarda i procarioti, possono essere molto diverse.
Innanzitutto, abbiamo le respirazioni aerobiche ed anaerobiche, quindi quelle
che sfruttano l’ossigeno e quelle che sfruttano altre molecole.
• Fermentazioni→anche in questo caso parliamo al plurale, in quanto abbiamo
fermentazioni che portano alla produzione di prodotti diversi.
• Fotosintesi→anche in questo caso si possono definire due tipi di fotosintesi
differenti.
Lo scopo di tutte queste reazioni è la produzione di ATP→ è la molecola che
all’interno della cellula viene proprio utilizzata come scambio di energia. L’energia
cellulare quindi rientra nella costruzione della molecola di ATP.
L’anabolismo invece riguarda l’utilizzo di energia cellulare per sintetizzare tutte le
molecole che servono alle cellule, sia per costruire la cellula stessa, che per
moltiplicarsi:
• Zuccheri- polisaccaridi
• Aminoacidi-proteine
• Acidi grassi
• Nucleotidi
La sintesi di tutte queste molecole consuma ATP.
La cosa molto interessante riguardo il metabolismo microbico, soprattutto nei
procarioti (perché i procarioti presentano generalmente metabolismo più semplice),
è la varietà di meccanismi→ infatti si parla di “Diversità metabolica”→ i procarioti
infatti sono caratterizzati dal fatto di poter essere molto diversi dal punto di vista
metabolico (morfologicamente possono anche essere molto simili, ma è possibile
che dal punto di vista del metabolismo siano invece molto diversi).
Il fatto che i procarioti presentino una così ampia diversità metabolica, fa sì che tutti
gli ecosistemi possano essere colonizzati→ questo perché in base agli elementi
disponibili, questi organismi possono occupare ecosistemi anche molto diversi tra di
loro. Ciò diventa fondamentale per il ciclo degli elementi, perché in tutti gli
ecosistemi abbiamo dei microrganismi che con le loro attività trasformano in
continuazione la materia e quindi prendono parte a quelli che vengono definiti “Cicli
biogeochimici”.

132
Siamo coscienti del fatto che probabilmente alcune vie metaboliche dei
microrganismi siano ancor oggi sconosciute (quindi noi ragioniamo sulle vie
metaboliche ad oggi conosciute, dando per scontato che ne esistano comunque
delle altre). Un esempio di questa complicazione nello studiare tutte le vie
metaboliche possibili, è data dall’Anammox→è una reazione che fa parte del ciclo
dell’azoto→ è un esempio di metabolismo scoperto abbastanza recentemente, che
fino ad un certo punto si era ritenuto un metabolismo che non fosse possibile.
Sarebbe l’ossidazione anaerobica dell’ammonio→ ad oggi però sappiamo che ci
sono dei microrganismi che anche in anaerobiosi ossidano l’ammonio (tuttavia in
passato si riteneva che questo metabolismo fosse inesistente).
Abbiamo quindi in generale difficoltà nell’identificazione di possibili metabolismi
microbici, e soprattutto fino a quando non arriviamo alla conoscenza di un dato
metabolismo, e delle caratteristiche fisiologiche dei microrganismi che compiono
questo metabolismo, siamo impossibilitati a coltivarli in laboratorio, perché non
sappiamo quali siano le loro esigenze (specie non coltivabili).
Definizioni importanti:
Processi anabolici (sintesi delle molecole dei componenti cellulari)→ si parte dal
presupposto che tutte le cellule hanno bisogno di carbonio, quindi tutti gli organismi
si possono suddividere in:
• Eterotrofi→ ricavano il carbonio da molecole organiche (dal glucosio, da
zuccheri diversi dal glucosio, dagli aminoacidi, dai lipidi…).
- Eucarioti→ animali, protozoi, funghi (i funghi sono tutti eterotrofi, e
questo è un aspetto molto importante per quanto riguarda la loro
funzione agraria).
- Procarioti→ molti batteri e molti Archaea
• Autotrofi→ ricavano il carbonio dall’anidride carbonica, quindi da carbonio
inorganico.
- Eucarioti→ piante (non hanno bisogno di carbonio organico, ma anzi lo
sintetizzano) e alghe (mondo microbico).
- Procarioti→ molti batteri e molti Archaea.
I batteri e gli Archaea rispetto all’assimilazione del carbonio possono essere diversi.
Inoltre, ci sono batteri ed Archaea che sono in grado di utilizzare a seconda della
disponibilità carbonio organico o CO2, e questi vengono detti Mixotrofi.

133
Per quanto riguarda invece i processi Catabolici, una definizione importantissima
riguarda la fonte di energia. Tutte le cellule hanno bisogno di fonti di energia esterne
alla cellula, che servono per produrre l’energia cellulare (costituita dall’ATP).
Rispetto alle fonti di energia utilizzate, gli organismi di suddividono in:
• Chemiotrofi→ Ricavano l’energia (che serve per produrre l’ATP) dalle
molecole, quindi da molecole organiche od inorganiche. Per cui per i
chemiotrofi le fonti di energia equivalgono a dire fonti di elettroni (perché nel
processo catabolico il trasferimento di elettroni è importantissimo)
- Eucarioti→ Animali, protozoi, funghi (i funghi sono esclusivamente
chemiotrofi)
- Procarioti→ molti batteri e molti Archaea
• Fototrofi→ Ricavano l’energia dalla luce, quindi la loro fonte di energia sono i
fotoni (per cui non coincidono con la fonte di elettroni – nel caso della
fotosintesi ossigenica è l’acqua, infatti alle piante diamo l’acqua-).
- Eucarioti→ Piante ed alghe
- Procarioti→ Alcuni batteri (ad esempio i Cianobatteri) e alcuni Archaea.
Quindi possiamo notare che per i procarioti abbiamo sia chemiotrofi che fototrofi.
I chemiotrofi si suddividono in:
• Chemiorganotrofi→ ricavano energia dalle molecole organiche.
- Eucarioti→ animali, protozoi, Funghi (ad esempio noi siamo animali, e
siamo eterotrofi e chemiorganotrofi, quindi utilizziamo la sostanza
organica sia come fonte di carbonio, che come fonte di energia) (i
funghi sono eterotrofi e chemiorganotrofi)
- Procarioti→ molti Batteri e molti Archaea
• Chemiolitotrofi→ ricavano energia (e quindi gli elettroni) dalle molecole
inorganiche (lito indica la componente inorganica).
- Procarioti→ Alcuni batteri ed Archaea (non ci sono eucarioti).
Le reazioni cataboliche (che servono per produrre ATP) sono delle reazioni
Esoergoniche, mentre le reazioni anaboliche sono delle reazioni endoergoniche.
Ciò significa quindi che le reazioni esoergoniche (quindi cataboliche), avvengono
spontaneamente, liberano energia, e presentano un ΔG0 negativo (ΔG0 è la
variazione di energia libera, quando avviene una certa reazione).
Le reazioni endoergoniche sono quelle che invece richiedono energia, e per questo
presentano un ΔG0 positivo.

134
I microrganismi sfruttano l’energia liberata dalle reazioni esoergoniche, per far
avvenire quelle endoergoniche (di sintesi, ad esempio le reazioni che portano alla
moltiplicazione cellulare).
Quindi il catabolismo (e le reazioni esoergoniche) devono produrre una quantità di
energia sufficiente a sostenere l’anabolismo→ si può quindi affermare che maggiore
è l’energia prodotta dal catabolismo, maggiore sarà la velocità di crescita dei
microrganismi in questione, perché avranno un tempo di generazione più breve.
Quindi tanto più il catabolismo è efficiente, tanto più i microrganismi tendono a
moltiplicarsi in modo più rapido (minor tempo di generazione).
Diversi microrganismi, posti nelle proprie condizioni ottimali, hanno tempi di
generazione diversi, ciò è dovuto al fatto che presentano una diversa efficienza
catabolica.
Le fonti di energia (e di elettroni) sono trasformate in:
• ATP→ energia chimica cellulare.
• Potere riducente→ Trasportatori di elettroni: NAD+/NADH, FAD/FADH2
Non è quindi solo l’ATP da considerarsi come energia cellulare. Infatti, ci sono tutta
una serie di molecole che rientrano sotto la terminologia di “Potere riducente”, che
sono in pratica dei trasportatori di elettroni, per cui non sono ancora ATP, ma “lo
diventeranno”, quindi in pratica è un’energia che nella cellula è già presente.
La trasformazione da fonti di energia ad ATP o potere riducente avviene mediante il
verificarsi in sequenza di reazioni di ossidoriduzione (reazioni in cui abbiamo
qualcosa che si ossida e qualcosa che si riduce). L’energia liberata da queste reazioni
redox è utilizzata per la sintesi di ATP e potere Riducente.
L’ATP ed il potere riducente vengono prodotti grazie al fatto che c’è un passaggio di
elettroni da un donatore ad un accettore, quindi abbiamo dei trasportatori
intermedi che spostano gli elettroni da donatore ad accettore, questo flusso di
elettroni fa sì che avvengano queste reazioni Redox in sequenza, che via via
producono ATP e potere riducente.
La catena di trasporto degli elettroni, che è coinvolta nella produzione di ATP, nei
procarioti è situata sulla membrana citoplasmatica (infatti la membrana
citoplasmatica dei procarioti assume funzioni molto importanti, come la
respirazione). Mentre negli eucarioti è situata nei mitocondri (sistema respiratorio a
livello dei mitocondri).

135
Questo aspetto ci riconduce ad un aspetto molto
importante (parlato nella lezione “caratteristiche dei
microrganismi)→ I mitocondri si sono originati grazie ad
un fenomeno di endosimbiosi, per cui l’eucariote
primitivo che si stava sviluppando, è diventato più
simile all’eucariote moderno, perché un batterio è
entrato in endosimbiosi, trasformandosi poi nell’attuale
mitocondrio (infatti il DNA dei mitocondri ha molta
affinità con il DNA batterico, ed anche il loro aspetto è
simile a quello di una cellula batterica).
Quindi Il trasporto di elettroni funzionale alla sintesi di ATP avviene:
• Eucarioti→ mitocondri.
• Procarioti→ sulla membrana citoplasmatica.
ATP (adenosinatrifosfato)→ costituito da
una base azotata (adenina), legata al
ribosio, che è legato a tre gruppi fosfato.
L’energia cellulare viene immagazzinata al
livello del legame del terzo gruppo fosfato
con la molecola di ADP (ultimo a Sx) (per
sintesi di ATP -produzione e
immagazzinamento di energia-, ADP diventa
ATP per l’aggiunta di un terzo gruppo
fosfato, mentre per quanto riguarda il
consumo di energia, esso riguarda la
liberazione di un gruppo fosfato dall’ATP (reazione di consumo dell’energia sulla
slide)) Ogni volta che “si stacca” il terzo gruppo fosfato viene liberata energia,
mentre quando viene “attaccato” alla molecola di ADP, l’energia viene
immagazzinata.
Potere riducente→ riguarda soprattutto
due molecole, che sono NAD+ e FAD.
Vengono chiamate così quando sono nella
loro forma ossidata, quindi quando non
stanno trasportando elettroni. NAD+ e FAD
si legano a due elettroni e due protoni,
quindi si comportano da trasportatori di
elettroni. Prendendo questi elettroni su di
136
sé, si riducono a NADH e FADH2, i quali possono andare a cedere la coppia di
elettroni che trasportano (entrambi trasportano una coppia di elettroni) ad altre
molecole. (questo quindi è il potere riducente, cioè molecole di trasportatori di
elettroni, che possono legare a sé degli elettroni, per trasportarli e cederli ad altre
molecole. Per fare un esempio si può dire che siano proprio come dei veicoli che
caricano gli elettroni -sottraendoli ad una molecola- per cederli ad un’altra
molecola-).
• Forma ossidata→ NAD+ e FAD
• Forma ridotta→ NADH e FADH2
Respirazione:
La respirazione è uno dei più importanti catabolismi, essa si può considerare come
una catena di ossidoriduzioni, dove abbiamo dei donatori di elettroni, e degli
accettori di elettroni.
Nella respirazione, i donatori di elettroni possono essere:
• Organici (come ad esempio il glucosio)→ se parliamo di chemiorganotrofi
• Inorganici (ad esempio lo ione ammonio)→ se parliamo di chemiolitotrofi
Gli accettori di elettroni invece per quanto riguarda la respirazione, sono sempre
inorganici:
• Respirazione aerobia→ ossigeno (O2)
• Respirazione Anaerobia (praticamente esclusiva dei procarioti)→ altri tipi di
molecole (es: NO3-, Fe3+, CO2)
Gli accettori sono molecole ossidate, infatti una molecola può accettare elettroni e
ridursi solo quando è ossidata.
Gli elettroni non passano dal donatore all’accettore in maniera diretta, ma il
passaggio dal donatore all’accettore finale avviene mediante i trasportatori. Poiché
abbiamo un flusso di elettroni su questa catena di trasporto (in membrana cellulare
nei procarioti e nei mitocondri negli eucarioti), l’effetto che abbiamo da questo
catabolismo, è che durante il trasferimento di elettroni il donatore si ossida (perché
cede appunto degli elettroni), mentre l’accettore si riduce (perché acquista
elettroni) (quindi ad esempio se abbiamo il glucosio come donatore, se si ossida
produce CO2 -questo è ciò che avviene nelle nostre cellule-, l’accettore, che può
essere ad esempio l’ossigeno, si riduce e diventa acqua).
Tutte le reazioni respiratorie sono mediate da enzimi.

137
Non tutti i meccanismi catabolici sono efficienti allo stesso modo. Perché?
Riporta i potenziali di riduzione. Il potenziale di
riduzione esprime la capacità che ha una
sostanza di cedere od acquistare elettroni:
• Potenziali più negativi→ sostanze che
normalmente cedono elettroni.
• Potenziali più positivi→ sostanze che
normalmente accettano elettroni.
Il potenziale di riduzione ci indica la direzione
della reazione redox, quindi avremo un donatore
di elettroni (che in questa tabella sta più in alto)
che cede elettroni ad un accettore (che in questa
tabella sta più in basso).
Quindi gli elettroni “cadono” da sostanze con
potenziali di riduzione più negativi, verso quelle
con potenziale più positivo (direzione degli
elettroni è freccia a fianco della tabella).
Maggiore è la differenza di potenziale di
riduzione tra donatore ed accettore, maggiore
sarà l’energia rilasciata (il valore di ΔG0 sarà
sempre negativo, ma ora ne stiamo parlando in
valore assoluto), pertanto i microrganismi
avranno uno sviluppo più rapido, e quindi un minor tempo di generazione.
Pertanto, i catabolismi più efficienti sono quelli in cui i potenziali di riduzione del
donatore e dell’accettore sono molto distanti (nella tabella). Mediante (formula)
possiamo calcolare in linea teorica il potenziale rilascio di energia catabolica (ΔG0) da
un organismo, a partire dai potenziali di riduzione di donatore e accettore.
Infatti, la “Resa energetica” (quantità di ATP prodotto) è variabile tra i
microrganismi, ed è funzione della differenza di potenziale delle coppie redox
coinvolte (ovvero donatore ed accettore)
Esempio di che cosa sono le coppie redox→
normalmente le coppie redox (esempio sono CO2
e glucosio) vengono espresse scrivendo prima la
forma ossidata (CO2) e poi la forma ridotta
(glucosio) (per convenzione). Se noi abbiamo ad
esempio un microrganismo che utilizza il glucosio
138
come fonte di elettroni (come donatore di elettroni) e l’ossigeno come accettore di
elettroni, vuol dire che le due coppie redox coinvolte saranno CO2/glucosio e
O2/H2O. Quindi la differenza di E0 nel caso di un catabolismo di questo tipo verrà
calcolata utilizzando -0,43 e +0,85→ esempio di calcolo (slide).
Esercizio→ ipotetico microrganismo che utilizza
l’idrogeno (H2) come donatore di elettroni, e
l’ossigeno come accettore di elettroni. Individuate le
due coppie redox coinvolte (quella dell’idrogeno e
quella dell’ossigeno) (nello scrivere le coppie redox,
per convenzione la direzione che si segue è quella
della riduzione -quindi scriviamo forma ossidata
/forma ridotta), andiamo a vedere i loro potenziali di riduzione. Dopodiché si calcola
il ΔE0 della reazione, tenendo presente la verifica della direzione (cioè da dove
vanno gli elettroni), per la quale teniamo conto che gli elettroni vanno da valori
negativi a valori positivi. Infine, andiamo a calcolarci il ΔG0 (la resa energetica di
questa reazione) con la formula (n= numero di elettroni che si scambiano, F=
costante di Faraday= 96,48kJ). In questo caso si ha = -237,34 kJ, che ci dice che se un
organismo utilizza l’idrogeno e l’ossigeno rispettivamente come donatore ed
accettore di elettroni, produce una quantità di energia consistente (quindi rispetto
ad altri è un catabolismo abbastanza rapido), e verifichiamo che è un catabolismo,
proprio perché il risultato è negativo.
Esempi in cui abbiamo i potenziali di riduzione, ed è già
stato fatto il calcolo dell’esercizio precedente, su
reazioni differenti (esempio: idrogeno molecolare come
donatore e la molecola di fumerato come accettore).
In generale abbiamo dei ΔG0 negativi, ciò significa che
sono delle reazioni da considerarsi cataboliche (quindi
che producono energia). I valori di ΔG0 sono molto
diversi, ed il valore più alto in valore assoluto è quello
dell’organismo che utilizza l’ossigeno come accettore,
ciò significa che fra quelli qui rappresentati, è quello che
ha il metabolismo più efficiente (dopodiché in ordine
c’è quello che usa il nitrato per la respirazione -perché in questo caso la fa
anaerobia-, e poi quello che usa il fumerato come accettore di elettroni – in questo
caso è più una fermentazione, non è propriamente una respirazione-). Questi tre
microrganismi avranno tempi di generazione molto diversi. Quello che utilizza
l’ossigeno come accettore (il terzo) si moltiplicherà molto più velocemente.
139
RESPIRAZIONE AEORBICA DELLA SOSTANZA ORGANICA
Questo tipo di respirazione è attuata dai microrganismi aerobi e dagli anaerobi
facoltativi. La molecola organica normalmente considerata è il glucosio (perché è più
semplice da utilizzare per i microrganismi), ed è un donatore di elettroni, mentre
l’ossigeno (O2) è l’accettore di elettroni.
Il mondo microbico ha un’ampia versatilità nutrizionale. Quindi i microrganismi oltre
che il glucosio, possono anche utilizzare un’ampia gamma di altri nutrienti organici,
e da qui deriva il fatto che i microrganismi sono in grado di degradare (perché li
utilizzano proprio come fonti di energia), anche delle molecole organiche molto
lontane dal glucosio, che possono anche essere nocive per altri organismi (ad
esempio gli xenobiotici ed i pesticidi possono essere degradati proprio perché i
microrganismi possono utilizzarli come fonti di energia). Questo è un aspetto molto
importante per garantire il flusso di carbonio nell’atmosfera (proprio perché queste
molecole nonostante siano normalmente estranee all’utilizzo come fonti di energia,
possono essere trasformate e contribuire al riciclo del carbonio).
Le molecole organiche che possono essere utilizzate dai microrganismi derivano dal
fatto che i microrganismi si adattano ed evolvono rapidamente, e la pressione
selettiva data dall’ambiente in cui si sono sviluppati, ha conferito loro la capacità di
poter sfruttare molte fonti di energia diverse (molti donatori di elettroni) (noi
consideriamo comunque il glucosio come modello).
Il glucosio si ossida e l’ossigeno si riduce (vengono trasferiti gli elettroni dal glucosio
all’ossigeno). Gli elettroni vengono trasportati lungo la catena dei trasportatori, che
hanno dei potenziali sempre più positivi fino ad arrivare a quello dell’ossigeno.
La respirazione aerobica del glucosio, che si parli di organismi più complessi (piante,
animali), o più semplici (batteri), è sempre la stessa (reazione):
Reazione→ donatore ed accettore di
elettroni vengono trasformati dal
percorso catabolico in anidride carbonica, acqua ed ATP (questo è il risultato che
otteniamo anche nelle nostre cellule. Noi utilizziamo l’ossigeno e produciamo la
CO2).Questo tipo di reazione è molto comune perché è molto energetica, genera
Energia sottoforma di ATP e acqua.
Il carbonio organico viene ossidato a CO2 (questo è un aspetto molto importante
nella microbiologia agraria, perché porta alla “mineralizzazione” della sostanza
organica→ cioè le molecole organiche vengono trasformate in CO2. Ad esempio, una
conseguenza visibile di questo fenomeno, è la sostanza organica vegetale che viene
degradata fino a scomparire ad un certo punto -quando una foglia cade al suolo,
questa viene degradata fino a scomparire, questo perché i microrganismi la
trasformano le molecole organiche in CO2 per mezzo della respirazione. Questo
140
fenomeno viene definito “Mineralizzazione”→ passaggio da una molecola organica
ad una molecola inorganica-).
Nel corso della respirazione aerobica della sostanza organica, l’ATP viene prodotto
in due modi differenti:
• Fosforilazione (ossidativa) per trasporto di elettroni
• Fosforilazione a livello del substrato

Fosforilazione a livello del substrato:


Rappresenta il fosfenolpiruvato (substrato)
(molecola presente nella glicolisi):
Un gruppo fosfato che è presente nel
substrato (quello con P rossa) (in
quest’immagine il substrato è legato ad un
enzima -enzima è parte blu-) (nel
fosfenolpiruvato) viene staccato e viene
attaccato all’ADP, che quindi si trasforma in
ATP. Il risultato è che non abbiamo più il fosfenolpiruvato, ma questo viene
trasformato in acido piruvico (che è il prodotto finale della glicolisi).
Quindi la fosforilazione a livello del substrato avviene quando c’è un enzima che fa si
che un gruppo fosfato si stacchi da una molecola e si attacchi all’ADP, mediante
appunto una fosforilazione.

Fosforilazione ossidativa:
È il meccanismo mediante il quale la cellula produce la
maggior parte dell’ATP, ed avviene a livello di un enzima
che si chiama ATPasi (enzima importantissimo molto
conservato tra organismi -ad esempio presente con
caratteristiche molto simili sia nei batteri che nelle
nostre cellule. Sempre però a livello della membrana
cellulare nelle cellule batteriche, e nella membrana
mitocondriale negli eucarioti-)→ è una proteina
costituita da più subunità, che fa si che l’ingresso nella
cellula di ioni H+ (gli ioni H+ attraversano l’enzima) venga
utilizzato come Energia. Quindi questo flusso protonico genera energia che poi a
livello enzimatico, ma nel citoplasma, viene immagazzinata nel legame del terzo
fosfato all’ADP, per produrre ATP.

141
Tappe della produzione di ATP nella respirazione della sostanza organica (ma anche
nella respirazione anaerobica):
• Molecola organica come fonte di elettroni e di energia
• Glicolisi
• Ciclo di Krebs (prodotto della glicolisi finisce nel ciclo di
Krebs)
• Trasporto di elettroni fino all’ossigeno→ fosforilazione
ossidativa→il risultato finale è la produzione di ATP
Glicolisi:
La glicolisi è il catabolismo del
glucosio, cioè come il glucosio
viene trasformato nella cellula a
partire da uno zucchero a 6 atomi
di carbonio, ad acido piruvico,
con il risultato di produrre ATP e
NADH.
(non è importante ricordare i
passaggi intermedi, l’importante
è ricordare che comincia dal
glucosio e finisce con il piruvato).

La glicolisi è suddivisa in due momenti:


• Uno stadio a 6 atomi di carbonio
• Uno stadio a tre atomi di carbonio (avviene due volte, perché abbiamo uno
stadio a 6 atomi che si suddivide in due stadi a 3 atomi).
Nello stadio a 6 atomi di carbonio, noi abbiamo non solo una mancata produzione di
energia, ma addirittura un consumo di ATP. Quindi nella prima fase della glicolisi
abbiamo il consumo di due molecole di ATP.
Nello stadio a tre atomi di carbonio (che avviene due volte) abbiamo la produzione
di due molecole di ATP per fosforilazione a livello del substrato. Visto che questo
stadio a tre atomi di carbonio avviene due volte, non saranno solo due molecole di
ATP ad essere prodotte, ma complessivamente saranno 4. Sottraendo le due che
sono state consumate all’inizio, la resa finale della glicolisi sono 2 molecole di ATP.
Nello stesso momento nella glicolisi viene anche ridotto un NAD+ che si prende gli
elettroni dalla gliceraldeide (anche se l’importante è solo ricordare che viene
prodotto un NADH a partire dal NAD+).

142
Quindi complessivamente nella glicolisi come risultato finale abbiamo:
• 2 molecole di ATP per fosforilazione a livello del substrato
• 1 NADH
• (Piruvato)
Nel caso della respirazione aerobica, il piruvato entra nel ciclo di Krebs (fase
successiva) (anche in questo caso non è importante conoscere tutti i passaggi del
ciclo di Krebs, è importante però sapere cosa succede complessivamente) (è
importante ricordare i prodotti del ciclo di Krebs):
Il piruvato entra nel ciclo di Krebs (si chiama
“ciclo” perché ha andamento ciclico)→ il piruvato
entra in continuazione, ed alla fine viene
prodotto ossalacetato che grazie al piruvato
entra nel ciclo.
Abbiamo la trasformazione dei due trasportatori
di elettroni NAD+ e FAD+→ proprio a livello del
ciclo di Krebs sottraggono via via gli elettroni a
partire dal piruvato (sostanza organica).

Il primo risultato del ciclo di Krebs è la produzione in più momenti di:


• NADH
• FADH2
La CO2 che risulta dall’ossidazione della molecola organica che viene utilizzata come
donatore di elettroni, viene prodotta nel ciclo di Krebs, dove avviene l’ossidazione
completa del carbonio in ingresso a CO2. Quest’andamento è ciclico, quindi la CO2
viene prodotta in continuazione man mano che il piruvato entra nel ciclo. Pertanto,
possiamo affermare che come risultato complessivo del ciclo di Krebs abbiamo:
• Produzione di trasportatori di elettroni ridotti→ “Macchine che si sono
caricate di elettroni” che hanno preso dalle molecole organiche, e che quindi
ora sono ridotte e diventano NADH e FADH2.
• Produzione di CO2
Se andiamo a fare un bilancio tra glicolisi e ciclo di Krebs abbiamo:
Consumo di ATP nella prima fase della glicolisi, ma poi produzione di ATP nella
seconda fase della glicolisi per fosforilazione a livello del substrato. Invece sia nella
glicolisi (in parte), che soprattutto nel ciclo di Krebs, abbiamo la produzione di NADH
e FADH2. Man mano che le molecole organiche si ossidano nel ciclo di Krebs, si
produce CO2.
143
NADH e FADH2 come fanno poi come potere riducente ad essere trasformati in ATP?
Gli elettroni che hanno sottratto durante il ciclo di Krebs alle molecole organiche,
vengono trasportati alla catena di trasporto degli elettroni (quella che si trova sulla
membrana cellulare -procarioti-→ nell’immagine infatti si vede il doppio strato
fosfolipidico)→ Il NADH cede gli elettroni (e si trasforma in NAD+) ai trasportatori di
elettroni, secondo un ordine, un percorso, che è determinato dal potenziale di
riduzione (che comunque anche questi trasportatori hanno). Quindi passeranno per
un certo numero di trasportatori, fino ad arrivare all’ossigeno, che è l’accettore
terminale. L’ossigeno si trasformerà poi in acqua.
Quindi abbiamo gli elettroni che
vengono ceduti dal NADH e FADH2
(che si sono generati nel ciclo di Krebs
ed in parte nella glicolisi) alla catena
di trasporto degli elettroni, dove ogni
trasportatore si riduce e si riossida
cedendo gli elettroni al trasportatore
successivo, fino all’ossigeno che si
trasforma in acqua.
Mentre gli elettroni vengono trasportati dal NADH e dal FADH2 all’ossigeno, alcuni
trasportatori trasportano anche protoni verso l’esterno (nell’immagine il periplasma
(l’esterno) è la parte sopra la membrana). Tra i trasportatori abbiamo ad esempio
delle flavoproteine e dei citocromi, che fanno si che la cellula in seguito al passaggio
di elettroni, emetta all’esterno gli H+ (è importante notare che i trasportatori di
elettroni, nelle loro forme ridotte trasportano anche dei protoni -vedi immagine
indietro di NADH e FADH2).
I protoni vengono emessi all’esterno della cellula e trasferiti grazie al fatto che
vengono trasportati degli elettroni all’accettore finale.

144
La catena di trasporto degli elettroni è costituita da enzimi REDOX (specializzati nelle
ossidoriduzioni, dedicati al trasporto di elettroni) (sarebbero alcune delle proteine di
membrana dedicate alla respirazione -ne ha parlato parlando della membrana
citoplasmatica-):
• NADH deidrogenasi
• Flavoproteine
• Proteine ferro-zolfo
• Citocromi
L’ordine in cui sono disposti nella catena di trasporto dipende dal loro potenziale di
riduzione. Nel trasporto di elettroni tra donatore ed accettore, gli elettroni vanno
sempre da un potenziale più negativo ad un potenziale più positivo (NADH
deidrogenasi per prima e successivamente i citocromi -ultimi-). L’ultimo
trasportatore cede gli elettroni all’ossigeno.
I citocromi sono disposti secondo un determinato
ordine ed il NAD è prima (infatti il NADH cede gli
elettroni alle flavoproteine e così via fino ai citocromi -
vedi immagine prima con membrana-) (in questa
tabella gli elettroni vanno dall’alto verso il basso-)
(anche i citocromi hanno un loro ordine -citocromo b è
prima del citocromo c, ciò vuol dire che gli elettroni non
potranno andare al contrario – a meno di un consumo
di energia-, ma andranno sempre in maniera spontanea
in questa direzione).

I protoni che si accumulano all’esterno della


membrana, fanno si che ci sia un gradiente protonico
(sarebbe quella che si chiama forza proton-motrice -
serve anche per far muovere i flagelli-). La forza proton-
motrice costringe i protoni a seguire un gradiente, per
cui essi tenderanno a rientrare nella cellula (perché ce
ne sono tanti fuori e pochi dentro) attraverso l’ATPasi,
e grazie proprio a quest’ultima, il movimento di
protoni, servirà per andare ad immagazzinare
quest’energia nel legame dell’ATP (e questo è proprio il
risultato della fosforilazione ossidativa).

145
Se andiamo a vedere il risultato energetico
della respirazione aerobica della sostanza
organica, abbiamo come resa complessiva 38
ATP. Queste 38 Atp vengono prodotte in modo
diverso, abbiamo infatti 2 ATP prodotti per
fosforilazione a livello del substrato, e la
maggior parte dell’ATP viene prodotto grazie
alla fosforilazione ossidativa data
dall’intervento di NADH e FADH2.
La resa energetica della respirazione aerobica della sostanza organica è molto alta.
Pochissima energia viene prodotta per fosforilazione a livello del substrato, mentre
la maggior parte viene prodotta per fosforilazione ossidativa.

RESPIRAZIONE ANAEROBIA, CHEMIOLITOTROFIA, FERMENTAZIONE, FOTOSINTESI


La respirazione anaerobica è uno dei fattori che ha portato all’evoluzione sul nostro
pianeta, ed è la tipologia di respirazione cellulare più antica, in quanto era già
presente nei procarioti quando l’atmosfera terrestre era priva di ossigeno.
La respirazione anaerobica è caratteristica dai microrganismi anaerobi (sia obbligati
che facoltativi).
L’accettore di elettroni non è l’ossigeno, ma possono essere altre molecole
organiche ossidate→devono essere ossidate (o comunque anche solo parzialmente
ossidate), perché altrimenti non hanno la possibilità di accettare elettroni dal
donatore (NO3- (nitrato), SO42- (solfato), Fe3+ (ferro nella sua forma ossidata), Mn4+,
CO2…).
La resa energetica della respirazione anaerobia è sempre inferiore a quella della
respirazione aerobica (a parità di donatore). In generale nella respirazione anaerobia
viene prodotto meno ATP perché tutti gli accettori di elettroni che in questo caso
possono essere utilizzati, hanno un potenziale di riduzione meno positivo
dell’ossigeno (quindi gli elettroni fanno meno strada. Conseguentemente l’energia
prodotta è minore).
In ambiente anaerobio abbiamo una competizione tra microrganismi sia per il
donatore (fonte di energia) (es: glucosio) che per l’accettore di elettroni (in
ambiente aerobio, solitamente l’ossigeno non è limitante, mentre in ambiente
anaerobio possiamo avere una carenza di accettori di elettroni, quindi prevarranno i
microrganismi che li riescono a sfruttare in maniera più efficiente -li sottraggono agli
altri-).

146
Respirazione anaerobica di composti organici:
Avviene in Habitat anaerobici (es: suolo di risaia→ ambiente anerobico nella fase in
cui abbiamo il flooding del riso -non nelle fasi di asciutta-). Anche in anaerobiosi
abbiamo la mineralizzazione della sostanza organica (quindi la sostanza organica
può essere degradata e trasformata in CO2 anche in ambiente anaerobico).
Come la respirazione aerobica abbiamo:
• Glicolisi
• Ciclo di Krebs
• Catena di trasporto degli elettroni
Non c’è quindi grande differenza dalla respirazione aerobica di composti organici, se
non che non abbiamo una quantità stabile (ben definita) di ATP prodotto, ma
dipende dalla reazione, quindi in particolare dall’accettore di elettroni (che può
essere diverso).
Solo parte del ciclo di Krebs “funziona” in condizioni anaerobiche→ quindi abbiamo
anche un po' meno NADH e FADH2 prodotti.
Non tutti i trasportatori di elettroni in membrana partecipano alla respirazione
anaerobica→ Quindi in pratica la resa energetica dipenderà dal potenziale di
riduzione dell’accettore.
Esempio nel caso in cui venga utilizzato Fe3+→ Fe3+
ha un potenziale di riduzione che è più positivo di
quello del citocromo c. Ciò significa che il citocromo
c non verrà utilizzato. A fronte di una catena di
trasporto degli elettroni che funziona in maniera
completa, avremo il citocromo c che non viene
utilizzato. In pratica gli elettroni verranno ceduti al
ferro senza che vengono in nessun modo “toccati”
dal citocromo c→ questo significa che il citocromo
c non espellerà H+ all’esterno della cellula (quindi
complessivamente il loro numero sarà minore).
Essendoci quindi meno H+ che rientrano attraverso
l’ATPasi, verrà prodotto meno ATP.
A seconda dell’accettore terminale di elettroni, può
cambiare il complesso enzimatico coinvolto (ad
esempio in membrana ambiamo l’enzima nitrato-
riduttasi, che serve quando l’accettore terminale è
il nitrato).

147
In conclusione:
La respirazione anaerobica utilizza accettori alternativi all’ossigeno, che hanno in
generale un potenziale di riduzione meno positivo dell’ossigeno, e quindi la loro resa
energetica sarà comunque inferiore a parità di donatore di elettroni.
Esempi di respirazioni anaerobiche:
• Denitrifcazione→ è un meccanismo che avviene ad esempio nei suoli di risaia,
e che influisce molto sulla disponibilità di azoto per il riso. I batteri
denitrificanti utilizzano il nitrato (NO3-) come accettore di elettroni, e lo
trasformano in forme volatili (il nitrato presente nel suolo viene volatilizzato
in atmosfera→ quindi c’è meno azoto nel suolo) (esempi di batteri
denitrificanti: Pseudomonas e Bacillus).
• Riduzione del solfato→ batteri che utilizzano il solfato (SO42-) come accettore
di elettroni. Producono acido solfidrico (H2S) (es: desulfovibrio)
• Metanogenesi→ Sono Archaea. Utilizzano la CO2 come accettore di elettroni, e
producono metano.

Chemiolitotrofia→ microrganismi che sono in grado di utilizzare composti inorganici


come donatori di elettroni:
Le molecole inorganiche per essere donatori devono essere ridotte. Nella
chemiolitotrofia come accettore di elettroni viene di solito utilizzato l’ossigeno (O2),
ma ci sono microrganismi che utilizzano anche altri accettori di elettroni.
Il ricavo di ATP sarà solamente per fosforilazione ossidativa, in quanto la glicolisi ed il
ciclo di Krebs sono due vie metaboliche che interessano solo le molecole organiche,
e non quelle inorganiche.
Quindi gli elettroni finiscono direttamente dal donatore di elettroni alla catena di
trasporto senza passare attraverso glicolisi e ciclo di Krebs (perché appunto le
molecole inorganiche non sono interessate da queste vie metaboliche).
Ci sono dei microrganismi chemiolitotrofi che non solo utilizzano composti
inorganici come fonte di energia, ma utilizzano anche la CO2 come fonte di
carbonio→ in questo caso vengono definiti Chemiolitoautotrofi.
• Chemo= energia chimica (il suo
contrario è foto).
• Lito= la fonte di energia è inorganica.
• Autotrofia= ci dice che anche il
carbonio è inorganico.

148
La Chemiolitoautotrofia è un catabolismo molto importante, perché è del tutto
indifferente alle molecole organiche, quindi del tutto svincolato dalla produzione
primaria dei vegetali, od anche dalla luce (dalla fotosintesi), ma nonostante questo
si mantiene a partire da molecole inorganiche sia come fonte di carbonio che come
fonte di energia (aspetto rilevante nei cicli biogeochimici, perché i microrganismi
chemiolitoautotrofi sono in grado di svolgere delle reazioni in molti ecosistemi,
fondamentali per il riciclo degli elementi).
Nella chemiolitotrofia abbiamo una resa
energetica variabile in quanto dipende
dalla coppia donatore-accettore→ Se il
donatore ha un potenziale di riduzione
non troppo negativo, verrà prodotta
poca energia.
In generale comunque sono dei meccanismi (tabella) molto poco energetici. I
chemiolitotrofi sono organismi che si moltiplicano lentamente→Hanno un vantaggio
nutrizionale (perché utilizzano delle molecole che gli altri microrganismi non sono in
grado di utilizzare), ma si moltiplicano lentamente perché hanno un catabolismo
poco efficiente, proprio perché le coppie redox coinvolte danno origine ad un ΔG
che è poco significativo.
Facendo un paragone con l’ossidazione aerobica del glucosio (valore in basso), si
può notare che questi valori sono molto bassi.
La chemiolitoautotrofia è quindi un meccanismo poco competitivo dal punto di vista
energetico, ma è vantaggioso per l’andamento degli ecosistemi, perché ha grande
importanza per i cicli biogeochimici. Un po' del catabolismo già di per sé così poco
efficiente, serve perché tutti gli organismi autotrofi la CO2 non la possono utilizzare
così com’è come fonte di carbonio, ma necessariamente deve prima essere
organicata (quindi essere trasformata in carbonio organico). Quindi un po' degli
elettroni non verranno utilizzati per produrre ATP, ma verranno utilizzati per
organicare la CO2 (questo vale per ogni organismo autotrofo→ deve ridurre la CO2 a
carbonio organico).
La chemiolitoautotrofia, anche se poco efficiente dal punto di vista energetico, è un
metabolismo vantaggioso in assenza di sostanza organica (per cui vantaggioso
quando le piante non sono presenti).
Solitamente sono autotrofi obbligati, ma alcuni di essi sono mixotrofi (cioè se è
presente della sostanza organica, la possono utilizzare). Talvolta possono non aver
bisogno di sostanze organiche come fonte di energia, ma possono aver bisogno di
tracce di sostanze organiche come ad esempio le vitamine nel caso in cui non siano
capaci a sintetizzarsele (questo aspetto ovviamente varia a seconda della specie, per
149
cui nel momento in cui li andiamo a coltivare, dobbiamo nel caso prendere eventuali
accorgimenti).
Donatori di elettroni per chemiolitotrofia:
Da un punto di vista chimico, molte molecole ridotte potrebbero essere utilizzate
come fonti di elettroni, e quindi come fonti di energia. In realtà però i
chemiolitotrofi ne utilizzano relativamente poche, che sarebbero quelle più
abbondanti, quelle più disponibili:
• H2 (idrogeno)
• NH3 (ammoniaca)
• NO2- (nitrito)→ è particolare, perché è in uno stato di ossidazione per il quale
può comportarsi sia da donatore che da accettore.
• Fe2+
• H2S
• Cu+
I chemiolitotrofi tendono ad utilizzare questi pochi donatori rispetto al grande
numero che potrebbero utilizzare, perché magari le altre molecole sono troppo
ridotte dal punto di vista della concentrazione, cioè hanno una concentrazione
troppo bassa negli ecosistemi (mentre le molecole ridotte più presenti negli
ecosistemi sono quelle elencate prima).
Queste altre molecole poco disponibili non hanno attuato una sufficiente pressione
selettiva per far evolvere ad oggi degli organismi capaci di utilizzarle.
Esempi di microrganismi chemiolitotrofi:
Organismi che utilizzano l’idrogeno molecolare (H2) come
fonte di elettroni→ Ce ne sono molti perché l’idrogeno
molecolare è una fonte di elettroni che in natura è molto
abbondante→ utilizzano degli enzimi che si chiamano
“idrogenasi” e utilizzano l’ossigeno come accettore (usati
nell’esempio per il calcolo del ΔG).
Questi microrganismi sono di generi diversi, sia Gram + che
Gram - → quindi presentano un’importante diversità
filogenetica, e sono molto diffusi e molto diversi perché la
pressione selettiva dell’idrogeno è molto importante,
proprio perché l’idrogeno molecolare è molto presente.

150
Organismi in cui il donatore di elettroni è il ferro ridotto
(Fe2+)→ ce ne sono appartenenti a diversi generi. È un
processo poco redditizio dal punto di vista energetico,
perché il potenziale di riduzione della coppia redox è già un
po' positivo (quindi la differenza tra Fe2+ e O2 è molto bassa,
per cui il ΔG sarà anche piccolo). Sono degli organismi
mixotrofi (che possono utilizzare la sostanza organica). C’è
una difficoltà oggettiva nello studio di questi microrganismi,
perché soprattutto quelli che crescono a pH 7, si fa fatica a
studiarli in laboratorio, perché a pH 7 il ferro si ossida
spontaneamente senza che loro lo possano utilizzare (quindi
in laboratorio è proprio difficile farli crescere).
Immagine (b)→ gallionella ferruginea, è responsabile del colore rossastro che si può
vedere nei canali di drenaggio (fanghiglia rossa che si forma in presenza di acqua).
Cellula alla quale sono attaccati dei filamenti di molecole organiche, sui quali vanno
a formarsi dei cristalli di ossidi di ferro, che danno origine al colore rossastro in
ambiente acquatico.
Fermentazione:
La fermentazione è un catabolismo del tutto diverso rispetto alla respirazione. Nella
fermentazione solitamente abbiamo come donatore un composto organico (con
rare eccezioni), e l’accettore è sempre un composto organico derivato dal donatore.
La fermentazione è un processo anaerobio, ma non è corrispondente alla
respirazione anaerobica (respirazione anaerobica e fermentazione sono due
processi diversi, perché nella fermentazione l’accettore è sempre organico).
Questo processo può essere portato avanti da anaerobi obbligati o da anaerobi
facoltativi.
I substrati più importanti della fermentazione sono:
• Carboidrati
• Aminoacidi
• Purine
• Pirimidine
In generale lo sono tutte le sostanze che hanno un grado di ossidoriduzione
paragonabile a quello della cellula. Gli eventuali polisaccaridi prima di essere
utilizzati, devono essere idrolizzati a monomeri (questo vale anche per la
respirazione) (es: cellulosa ed amido devono essere idrolizzati nei loro monomeri

151
esternamente alla cellula, perché altrimenti non possono poi entrare ed essere
utilizzati).
La fermentazione viene anche definita come “ossidazione incompleta” perché il
composto organico che funge da donatore, non si ossida completamente a CO2
come nella respirazione, ma rimane parzialmente organico (e lo si vede nei risultati
metabolici della fermentazione).
Quindi non sono presenti degli accettori di elettroni “esogeni” (quindi che derivano
dall’esterno della cellula, presenti nell’ambiente -come ad esempio l’ossigeno, il
nitrato, il solfato-), ma l’accettore è interno. Nella fermentazione l’ATP è prodotto
esclusivamente per fosforilazione a livello del substrato→ ovvero non viene
utilizzata (anche se presente) la catena di trasporto degli elettroni in membrana.
La fermentazione e un processo che si verifica e si conclude nel citoplasma, non
arriva alla membrana.
Il composto organico donatore non si ossida completamente, infatti noi durante le
fermentazioni abbiamo tipicamente la produzione di molecole che sono ancora
organiche (come l’etanolo, l’acido lattico, e così via) (NOZIONE SCONNESSA→ sono
organiche le molecole che presentano atomi di C con numero di ossidazione minore
di +4).
La fermentazione comincia con la glicolisi→ nella glicolisi
abbiamo la produzione di NADH ed in pratica gli elettroni
vengono presi ed accettati più a valle della stessa via
metabolica. Cioè gli elettroni del NADH non vengono ceduti
alla catena di trasporto degli elettroni (che comunque non
funziona durante la fermentazione) ma vengono ceduti ad
un composto organico più a valle→ e questa è la ragione
per cui non abbiamo mai una completa ossidazione, perché
alla fine avremo sempre un composto organico, in quanto non abbiamo
un’ossidazione completa, perché un po' di elettroni verranno comunque portati dal
NAD al prodotto finale che quindi rimarrà parzialmente organico.
Esempio con fermentazione alcolica (portata avanti
da lieviti come Saccharomyces cerevysiae)→ il
glucosio entra nella via glicolitica (da glucosio a
piruvato è sempre glicolisi), abbiamo il consumo di
2 molecole di ATP e la produzione di 4 ATP (la via
glicolitica è la stessa che abbiamo visto anche in
precedenza). Dopodiché nella fermentazione
alcolica noi abbiamo il piruvato che produce prima
152
acetaldeide e poi etanolo, ed il NADH che viene prodotto nella glicolisi, cede
elettroni all’acetaldeide che diventa etanolo→ quindi come risultato della
fermentazione alcolica con Saccharomyces cerevisiae abbiamo etanolo e CO2.
La CO2 deriva da quel poco carbonio che si ossida completamente, ma rimarrà
sempre un carbonio organico come prodotto, perché gli elettroni vengono scaricati
dal NADH poco prima della fine della fermentazione.
Ci sono diversi tipi di fermentazioni. Tutti i processi
fermentativi cominciano con la glicolisi, che produce
piruvato, poi a partire dal piruvato a seconda del
microrganismo e della genetica di quel determinato
microrganismo, verranno intraprese diverse vie
fermentative (alcolica→ etanolo e anidride
carbonica...)
Ciò che hanno comunque in comune tutte le fermentazioni, è che il loro prodotto è
sempre e comunque organico.
Fotosintesi:
In ambiente terrestre è portata avanti prevalentemente dalle piante, mentre in
ambiente acquatico la fotosintesi è portata aventi prevalentemente da
microrganismi (cioè da alghe e da procarioti). La luce serve per “Staccare” gli
elettroni dall’acqua (H2O), e poi il passaggio di elettroni serve per produrre ATP. I
trasportatori di elettroni nella fotosintesi hanno un gruppo fosfato→ quindi non
abbiamo il NAD, ma abbiamo il NADP.
Tutti gli eucarioti fotosintetizzanti (piante ed alghe) sono fotoautotrofi.
Mentre da un punto di vista metabolico nei procarioti abbiamo maggiore diversità→
abbiamo addirittura dei microrganismi che fanno fotosintesi, ma che utilizzano
come fonte di carbonio il carbonio organico. Quindi nei procarioti la fotosintesi non
è necessariamente assegnata all’autotrofia, cosa che invece è vera negli eucarioti
(piante ed alghe sono fotosintetiche ed autotrofe, mentre i procarioti possono
anche essere fotoeterotrofi).
La fotosintesi si basa sulla presenza di pigmenti→ i
pigmenti sono localizzati nei cloroplasti (per gli
eucarioti) e nei tilacoidi e clorosomi per i procarioti. I
cloroplasti degli eucarioti sono stati originati a seguito di
un evento di endosimbiosi, in cui una cellula procariotica
fotosintetica è entrata come endosimbionte nella cellula
che stava diventando l’eucariote moderno.
153
Quindi gli eucarioti che hanno assimilato le cellule fotosintetiche procariotiche sono
diventate cellule vegetali oppure alghe.
I pigmenti assorbono luce a lunghezze d’onda diverse (ad esempio in ambiente
acquatico ci sono microrganismi che si trovano a profondità diverse, ed ognuno avrà
bisogno di un determinato pigmento per assorbire al meglio la luce alla lunghezza
d’onda presente a quella determinata profondità). I fotoni (che sono la fonte di
energia dei fototrofi) vengono catturati dai pigmenti, e grazie ai loro doppi legami,
quest’energia viene trasferita ai centri di reazione.
La luce è divisa in diverse lunghezze d’onda.
Abbiamo pigmenti diversi che hanno il loro
picco di assorbimento a lunghezze d’onda
diverse→ quindi i procarioti fotosintetizzanti
non avranno tutti gli stessi pigmenti, ma a
seconda della lunghezza d’onda che è presente
nell’ecosistema che occupano, avranno a causa
della pressione selettiva un certo tipo di
pigmento.

Nei microrganismi ci sono due tipi di fotosintesi:


• Fotosintesi ossigenica→ produce ossigeno (O2). Per quanto riguarda i
microrganismi coinvolti abbiamo sempre cianobatteri ed alghe. Il donatore di
elettroni è l’acqua (H2O). (fotosintesi simile a quella delle piante)
• Fotosintesi anossigenica→ non produce ossigeno. È portata avanti da diversi
procarioti, come i batteri rossi ed i batteri verdi. Il donatore di elettroni non è
l’acqua, ma sono altre molecole ridotte, come l’acido solfidrico (H2S),
l’idrogeno molecolare (H2) o gli acidi organici. Infatti, a seconda dei batteri
fotosintetici anossigenici, abbiamo delle differenze oltre che per quanto
riguarda i pigmenti, anche rispetto ai donatori di elettroni.
Gli eucarioti svolgono solo fotosintesi ossigenica, mentre i procarioti possono
svolgere entrambe.
Fotosintesi anossigenica:
È dovuta alla presenza di un unico fotosistema (mentre la fotosintesi ossigenica ne
prevede 2). Le caratteristiche sono diverse tra i diversi batteri che compiono questo
tipo di fotosintesi.

154
Il fotosistema coinvolto in questa fotosintesi non ha un potenziale di riduzione
sufficientemente positivo da poter utilizzare l’acqua come donatore di elettroni
(nonostante in ambiente acquatico l’acqua sia molto presente) (energeticamente
non è possibile)→ quindi vengono utilizzati altri donatori di elettroni che hanno
tendenzialmente un potenziale più negativo rispetto alla coppia redox
acqua/ossigeno, quindi producono prodotti diversi rispetto all’ossigeno (che invece
è il prodotto della fotosintesi ossigenica).
Solitamente come pigmenti utilizzano le batterioclorofille→ pigmenti che hanno
solitamente un assorbimento a lunghezze d’onda maggiori rispetto a quelle che
sono le clorofille di cianobatteri ed alghe (che invece assorbono come per le piante
ad una lunghezza d’onda “più normale”)→ questo perché questi batteri hanno la
necessità di colonizzare ambienti acquatici, anche a profondità elevate dove la
lunghezza d’onda che va a colpire i loro pigmenti sarà diversa.

155
GENETICA E TASSONOMIA MICROBICA
GENETICA BATTERICA

156
La parte preponderante del genoma batterico è il
cromosoma (è circolare ed unico. Sarebbe molto più
grande della cellula ma è superavvolto). Possono però
esserci anche i plasmidi, che sono sempre delle molecole
circolari costituite da DNA a doppia elica, ma sono molto
più piccole del cromosoma principale, e possono essere
trasferite da un batterio all’altro (complessivamente quindi si può dire che il DNA
batterico rientra in questi due comparti).
Il DNA è costituito da due eliche complementari costituite da nucleotidi (guanina,
citosina, adenina, timina) (A→T C→G). Grazie al principio di complementarità delle
basi la cellula è in grado di sintetizzare una nuova doppia elica partendo da un solo
filamento della doppia elica originaria.
Quando una cellula comincia a moltiplicarsi, il primo avvenimento durante la
scissione binaria è la replicazione del cromosoma→ ciò avviene grazie alla
formazione di “forche replicative” che sarebbero poi anche il punto in cui comincia
la replicazione nel cromosoma (questo per dire che la replicazione non comincia
solo in un punto, ma in più punti diversi). A livello delle forche replicative, la doppia
elica originaria si separa (si apre) e vengono sintetizzate le due eliche
complementari, per cui si creeranno due doppie eliche identiche che poi sfoceranno
nei due cromosomi delle cellule figlie.
Il DNA serve perché all’interno delle cellule viene trascritto in RNA grazie ad un
enzima che è l’RNA polimerasi. L’RNA polimerasi si lega al DNA, lo legge, e sintetizza
l’RNA. Ci sono diversi tipi di RNA:
• mRNA (RNA messaggero)→ codifica per le proteine (c’è quindi scritto come
fare le proteine). È una sequenza di nucleotidi che corrisponde alla sequenza
amminoacidica delle proteine. L’mRNA ha un’emivita molto breve, cioè viene
prodotto rapidamente, ed una volta che viene sintetizzato, viene degradato
rapidamente (nella capacità di sintetizzare RNA messaggero e degradarlo sta
una delle ragioni alla rapida risposta agli stimoli ambientali che hanno i
microrganismi).
• rRNA (RNA ribosomiale)→non codifica per nessuna proteina, ma va soltanto a
far parte dei ribosomi (va quindi a costruirli, i ribosomi sono infatti costituiti
da proteine e rRNA)
• tRNA (RNA transfer)→ serve per la costruzione delle proteine. Il suo compito
è quello di trasportare gli aminoacidi in corrispondenza di dove si stanno
formando le proteine (cioè a livello dei ribosomi).

157
Per mezzo della trascrizione (che può avvenire
sia sul cromosoma che sui plasmidi) abbiamo
la sintesi di RNA, che a partire dal cromosoma
batterico può essere rRNA (che va a costruire
le subunità dei ribosomi), oppure mRNA.
L’mRNA viene letto dai ribosomi (processo di
traduzione→ sintesi proteica), che vanno a
costruire un peptide. Il tRNA serve per
trasportare gli aminoacidi a livello della catena
proteica che si sta formando (immagine rossa
di microscopio ottico a trasmissione, si vedono
i ribosomi legati all’ mRNA che stanno
formando grazie al tRNA le catene proteiche).
Speciazione:
È il processo che porta alla formazione delle specie biologiche (quindi non si sta
parlando solo delle specie batteriche, ma anche delle altre specie animali e vegetali).
L’evoluzione (e quindi la produzione di nuove specie) nei batteri è molto rapida,
perché i procarioti hanno una cellula molto semplice, che risponde molto
rapidamente ai cambiamenti ambientali, adattandosi.
Oltre alle mutazioni casuali, per quanto riguarda i procarioti, esistono delle altre
modalità che vanno a crearne di nuove, e quindi da queste nuove mutazioni
possono andare a definirsi nuove specie.
Queste modalità sono di trasferimento genico orizzontale (o laterale)→ quindi
anche microrganismi che non sono collegati tra di loro, possono trasferirsi e
scambiarsi tra loro il DNA (cosa che negli organismi superiori non è possibile -noi
non siamo in grado di trasferire DNA al di fuori della nostra specie-, mentre tra
batteri ed Archaea questo è possibile)
Evoluzione:
Il percorso dell’evoluzione si basa sul fatto che avvengono delle mutazioni (che
possono essere dovute ad eventi casuali, oppure a trasferimento genico), e nel caso
in cui queste mutazioni siano vantaggiose, vengono mantenute e nel caso dei batteri
vengono trasferite alle cellule figlie, ed eventualmente andrà a formarsi una nuova
specie (nel caso in cui invece queste mutazioni siano svantaggiose, quindi negative,
vengono perdute). Negli eucarioti i procedimenti sono più lenti e più complicati,
però si può comunque dire che avviene praticamente la stessa cosa (Dal punto di

158
vista delle sequenze del DNA ciò che è vantaggioso viene mantenuto, mentre ciò che
è svantaggioso viene perso).
Tutte le specie originano dal cambiamento, dall’evoluzione, di specie precedenti→
noi siamo quindi in grado di seguire il percorso evolutivo, e quindi capire (a maggior
ragione nei batteri, che sono più semplici) da dove sono originate le nuove specie
(nessuna specie si crea dal nulla, ma evolve da specie precedenti che sono mutate).
Più gli organismi sono vicini da un punto di vista evolutivo (quindi nell’albero
filogenetico li troviamo raggruppati nella stessa zona), più saranno simili, cioè
avranno delle caratteristiche comuni, in quanto derivano dallo stesso progenitore
(definito quindi per loro “comune”) rispetto al quale avranno mantenuto alcune sue
caratteristiche (tuttavia nei batteri l’evoluzione è così rapida che fa sì che delle volte
si abbiano anche a livello dello stesso gruppo, dello stesso Phylum, delle diversità tra
specie anche molto rilevanti).
L’evoluzione dal punto di vista della specializzazione delle cellule, procede di solito
nella direzione di una maggiore complessità→ ad esempio gli eucarioti si sono
sviluppati dopo i procarioti, e sono cellule più complesse (ogni cellula si è
specializzata per essere un po' diversa dalle altre, ma soprattutto alcune funzioni
sono state localizzate a livello di strutture specifiche). I procarioti, pur essendo
cellule molto semplici, sono comunque tra di loro molto diversi, perché ogni cellula
si è specializzata a colonizzare un certo tipo di ecosistema) (quindi da un unico
progenitore comune si sono evoluti diversi organismi, che man mano che si va
avanti con l’evoluzione, differiscono sempre di più).
Mutazioni:
Sono modificazioni del DNA, che possono essere casuali (a livello di trascrizione,
viene incorporato un nucleotide piuttosto che un altro, oppure quando avviene la
scissione binaria, nella duplicazione del cromosoma viene incorporato un nucleotide
piuttosto che un altro…).
Il cambiamento del DNA e il fenomeno della pressione selettiva sono alla base
dell’evoluzione (se il cambiamento (mutazione) è vantaggioso, viene mantenuto,
altrimenti se svantaggioso, viene perso).
Quando si parla di pressione selettiva, si parla di ambiente→ cioè l’ambiente va a
“premere” sull’organismo che lo occupa, in modo tale che questo organismo si
possa adattare (ad esempio in un suolo, quando arriva un inquinante, tra i
microrganismi presenti in questo suolo prima dell’evento di inquinamento, c’erano
microrganismi molto differenti tra di loro, magari incapaci di sopravvivere in suolo
inquinato→ tuttavia alcuni di questi microrganismi possono mutare ed acquisire un

159
vantaggio selettivo in questo ambiente rispetto ad altri -ad esempio poter essere in
grado di utilizzarlo nel loro metabolismo-. I microrganismi che hanno acquisito
questo vantaggio, lo manterranno e potranno eventualmente definire una nuova
specie).
Le mutazioni possono anche essere indotte dall’uomo→ noi siamo in grado di far
mutare molte cellule (soprattutto batteriche, perché sono molto facili da far
mutare), e questa è un’operazione che viene fatta quando si studiano delle funzioni
cellulari (moltissimi studi vengono fatti andando a confrontare il DNA di ceppi
mutati rispetto ai cosiddetti ceppi “wild type” -ceppi non mutati-).
Possibili cause delle mutazioni:
• Trasferimento genico orizzontale.
• Sostanze chimiche o condizioni fisiche (ad esempio i raggi UV possono essere
mutageni).
• Mutazioni spontanee→ avvengono casualmente (ad esempio a causa di un
errore a livello della cellula).
Le mutazioni e l’azione della pressione
selettiva hanno portato a partire dal
progenitore comune, ad evolvere tutta la
complessità di organismi presenti ad oggi.

Trasferimento genico nei batteri:


• Trasferimento verticale→ la cellula madre trasferisce il DNA alle cellule figlie
(scissione binaria). Viene definito “trasferimento verticale” perché avviene da
una generazione alla generazione successiva.
• Trasferimento orizzontale→ trasferimento di DNA nell’ambito della stessa
generazione (ad esempio nel caso dei procarioti è possibile questo
trasferimento orizzontale in cui il DNA viene trasferito anche tra
microrganismi diversi tra di loro, nell’ambito della stessa generazione -quindi
non è conseguente ad un evento di replicazione-) (addirittura il trasferimento
genico orizzontale può anche avvenire tra batteri ed Archaea, cioè tra
microrganismi appartenenti a due domini diversi).
Avviene mediante 3 modalità:
- Trasformazione
- Coniugazione
- Trasduzione
160
Coniugazione:
Ci possono essere dei determinati plasmidi all’interno
della cellula, che possono essere trasferiti ad una cellula
ricevente, perché la cellula che possiede il plasmide
(plasmide F) va a produrre il pilo sessuale, ed a trasferire
attraverso il pilo sessuale, il DNA del plasmide. La cellula
donatrice va a separare i due filamenti del DNA a doppia
elica ed a cedere attraverso il pilo uno di questi due
filamenti alla cellula ricevente. Nella cellula donatrice
verrà poi sintetizzato il filamento di DNA
complementare (perché il DNA è stabile e funzionale
solo quando è a doppia elica), cosa che avverrà poi
anche nella cellula ricevente. Quindi in pratica alla fine
della coniugazione, entrambe le cellule saranno dotate
del medesimo plasmide. (Quindi la coniugazione avviene
mediante i pili sessuali, e ciò che viene trasferito è il
DNA dei plasmidi) (immagine coniugazione a pagina 51)
Trasduzione:
Il processo di trasduzione è mediato dai virus (i virus
sono degli organismi -anche se filosoficamente non
tutti li accettano come organismi- che non sono capaci
di moltiplicarsi autonomamente, quindi hanno la
necessità di infettare delle cellule per utilizzare il loro
apparato di trascrizione e traduzione del DNA)→ un
organismo virale va ad infettare una cellula batterica,
ed inietta il proprio DNA nella cellula batterica al fine di
sfruttare il sistema di trascrizione e traduzione della
cellula infettata. La cellula comincia quindi a replicare,
trascrivere e tradurre insieme al proprio DNA anche
quello virale, quindi ne produce diverse copie e lo
decodifica producendo proteine che vanno ad
incapsulare il nuovo DNA virale appena prodotto.
Terminato questo processo i virus così prodotti
vengono liberati dalla cellula (generalmente la cellula
infettata va in lisi)→ può tuttavia succedere che
insieme al DNA virale venga anche incapsulato parte
del DNA “sano” della cellula infettata, quindi può
161
accadere che questi virus “sani” vadano ad iniettare questo DNA in un’altra cellula,
ed a questo punto la nuova cellula ricevente avrà questo DNA, che derivando da
un’altra cellula batterica, si andrà ad integrare eventualmente al cromosoma (il virus
quindi in questo caso trasporta DNA cromosomico “sano” da una cellula ad un’altra).
Trasformazione:
È un evento molto diffuso nel suolo, perché il suolo
è una matrice microbiologica complessa dove
abbiamo molti microrganismi.
Una cellula che va in lisi (per qualche ragione)
libera tutto il contenuto citoplasmatico all’esterno,
DNA compreso. Il DNA è una molecola abbastanza
resistente alla degradazione, quindi magari viene
frammentato, ma la sua degradazione richiede
tempo→ quando il DNA viene parzialmente
degradato, può succedere che un’altra cellula che
in quel momento è “competente” (quindi è in uno
stato di predisposizione all’acquisizione di DNA
esogeno), lo va ad assimilare (un po' come se fosse
un nutriente)→ questo DNA (che deriva da una
cellula che è andata in lisi tempo prima) può
essere consumato dalla cellula come nutriente
oppure anche solo parzialmente integrato
all’interno della cellula che lo ha assimilato.
(immagine→ lettere maiuscole DNA cellula
ricevente, lettere minuscole DNA cellula che è
andata in lisi). La cellula ricevente riceve un pezzo del DNA della cellula che è andata
in lisi, all’interno del citoplasma potrà degradare anche parzialmente questo DNA,
ma come si vede in questo esempio, il gene b viene inglobato nella cellula ricevente.
(cellula competente→cellula in uno stato fisiologico adatto all’assimilazione di DNA).
Questo fenomeno che avviene in natura siamo in grado di replicarlo in laboratorio
artificialmente, ed è una delle modalità con cui si producono gli organismi OGM (per
cui se noi dobbiamo trasferire un gene all’interno di una cellula batterica, una delle
cose che possiamo fare è indurre la trasformazione).

162
TASSONOMIA MICROBICA
È la scienza che si occupa della classificazione dei microrganismi, rispettando le
relazioni naturali che ci sono tra di essi. È quindi necessario fornire dei criteri
universali di identificazione e di classificazione in modo che gli organismi vengano
chiamati con i nomi giusti, e vengano classificati in base ai rapporti filogenetici che
hanno con i loro progenitori. La scienza legata alla tassonomia ed alla sistematica
microbica è una scienza che ha subito cambiamenti nel corso del tempo, dovuti
principalmente alle nuove possibilità che si hanno per conoscere i microrganismi
(fino ad un certo punto ad esempio non avevamo la possibilità di studiare il DNA,
quindi fino ad allora la tassonomia era più legata a manifestazioni fenotipiche dei
microrganismi piuttosto che alla loro informazione genetica).
I raggruppamenti che consideriamo (i Taxa microbici) sono stati modificati,
riarrangiati e riorganizzati seguendo le possibilità tecniche di studio dei
microrganismi.
In generale la tassonomia è suddivisa in 3 aree (correlate tra di loro):
• Classificazione→ classificare un microrganismo significa ordinarlo,
raggrupparlo, rispetto alle somiglianze che ha con altri microrganismi. Quindi
si vanno a creare delle unità tassonomiche. Taxon (singolare), Taxa (plurale).
Quindi classificare significa organizzare le unità tassonomiche e farci rientrare
i microrganismi man mano che vengono identificati.
• Nomenclatura→riguarda delle regole per cui siamo in grado di assegnare un
nome ai Taxa (queste regole sono internazionali, in maniera che la
nomenclatura sia univoca).
• Identificazione→ è diversa rispetto alla classificazione. Esempio→ quando noi
troviamo un organismo che non rientra in nessuna delle classificazioni
precedenti (perché abbiamo isolato questo microrganismo nuovo mai isolato
prima), lo andiamo a classificare. Se invece questo microrganismo che
abbiamo isolato è già riconducibile ad un determinato Taxon, allora quello che
facciamo è un’identificazione (lo identifichiamo e lo inseriamo nel taxon a cui
appartiene).
Tutti questi tre ambiti sono stati rivisti e riarrangiati più volte proprio per andare a
seguire i criteri tassonomici che a loro volta erano influenzati dalle possibilità
metodologiche di studio (soprattutto per quanto riguarda i microrganismi→ i
microrganismi sono invisibili ad occhio nudo ed hanno molte caratteristiche che non
siamo in grado di misurare direttamente).

163
Classificazione:
Riguarda la collocazione degli organismi in unità tassonomiche.
Ciò viene fatto in base alla loro somiglianza ed in particolare in base alle loro
relazioni filogenetiche→ questo perché fino a quando non è stata possibile la
tassonomia molecolare (cioè la tassonomia moderna basata sullo studio del DNA), i
microrganismi venivano classificati in base alla loro somiglianza.
Pertanto, storicamente all’inizio i procarioti venivano classificati in base al fenotipo
(morfologia, colorazione di Gram, presenza od assenza di flagelli, posizione dei
flagelli, caratteristiche biochimiche, utilizzo di determinati substrati…).
Al giorno d’oggi invece la classificazione si basa sull’informazione genetica.
Non sempre la classificazione filogenetica ha corrisposto alla classificazione
fenotipica.
Confronta la classificazione più vecchia basata
su fenotipi (Dx) e quella più attuale (Sx)→
Abbiamo dei microrganismi che in base alla
classificazione attuale (basata sullo studio del
DNA) rientrano in filotipi anche molto distanti
tra di loro, mentre nella classificazione
precedente appartenevano addirittura allo
stesso genere.
La classificazione filogenetica grazie allo studio del DNA ha permesso di differenziare
maggiormente i microrganismi tra di loro. (quando andiamo a studiare od a
ricercare un microrganismo sulle fonti bibliografiche, spesso troviamo due nomi,
uno è il nome attuale e l’altro è quello precedente).
Le unità tassonomiche per i microrganismi seguono come per gli organismi superiori
un ordinamento gerarchico→ quindi abbiamo delle unità tassonomiche più grandi
che vanno sempre più nello specifico ad unità tassonomiche in cui i microrganismi
sono sempre più simili, fino ad arrivare all’unità tassonomica fondamentale (che è la
specie).
Quindi nei procarioti abbiamo:
Dominio (i domini dei procarioti sono ad esempio batteri ed Archaea)→ Regno (che
però non viene utilizzato nel caso dei procarioti)→ Phylum (sinonimo di divisione)→
all’interno di uno stesso phylum abbiamo diverse classi→ all’interno di una classe
abbiamo diversi ordini→ all’interno di un ordine abbiamo diverse famiglie→
all’interno di una famiglia abbiamo diversi generi→ all’interno di un genere abbiamo
diverse specie.
164
Nel caso dei procarioti la nomenclatura più utilizzata è la nomenclatura binomiale
(tiene conto del genere e della specie).
Esempio di classificazione (escherichia coli) (nomenclatura
binomiale→ questo microrganismo viene chiamato
escherichia coli -genere e specie sono i riferimenti
fondamentali-).
Ad oggi sono stati definiti 18 phyla
principali (si dice “ad oggi” perché
possono essere classificati nuovi phyla
nel momento in cui vengono isolati nuovi
microrganismi. In ognuno di questi phyla
esistono delle colture pure di laboratorio
di riferimento che servono per
classificare questi microrganismi – quindi
in microrganismi non coltivabili, fino a
quando non vengono coltivati non possono essere classificati- I non coltivabili sono
stati definiti non esattamente dalle colture pure, ma si conosce a grandi linee dove
collocarli nell’albero filogenetico grazie alle loro sequenza di DNA. Tuttavia, ciò non
sostituisce la necessità di doverli coltivare per andare eventualmente a classificare
un nuovo phylum.
Esempio di dove si colloca escherichia coli:

Avere delle specie coltivate è importante perché serve un riferimento.


L’unità tassonomica “specie”, è l’unità tassonomica fondamentale non soltanto nel
mondo microbico, ma anche negli organismi superiori. Si può notare che all’interno
delle specie batteriche c’è una variabilità superiore rispetto a quella che c’è in
animali e piante (l’uomo è un nucleo che fa parte di organismi che appartengono
alla stessa specie, ma tra di noi siamo simili -in generale abbiamo un DNA molto più
165
simile rispetto a quello di batteri che appartengono alla stessa specie-)
Nella medesima specie microbica, noi possiamo avere diversi “ceppi”→ Le cellule
che appartengono ad uno stesso ceppo sono tutte identiche, e diversi ceppi (che
possono essere anche molto diversi tra di loro) possono far parte della stessa specie,
Ci sono poi dei ceppi particolari che vengono definiti “ceppi tipo” che sono i
riferimenti universali ai quali ci affidiamo per capire se un certo microrganismo
appartiene ad una stessa specie oppure no.
Quindi “ceppi tipo” o “ceppi di riferimento” sono microrganismi che derivano tutti
dallo stesso individuo (all’interno di uno stesso ceppo sono tutti identici).
All’interno di una stessa specie possiamo avere ceppi diversi che rappresentano la
variabilità genetica nell’ambito della medesima specie.
Esempio→ nell’ambito della specie escherichia coli possiamo avere diversi ceppi,
alcuni dei quali molto tossici per l’uomo, ed altri più innocui (quindi nei batteri c’è
un elevato grado di diversità filogenetica anche nell’ambito della stessa specie).
Per quanto riguarda i procarioti, si è dovuta trovare una definizione di specie
pertinente alle loro caratteristiche. In passato quando ci si basava sulla tassonomia
fenotipica (quindi basata sulle osservazioni) non si era in grado di dare una
definizione esatta di specie (negli organismi superiori è molto più semplice dare una
definizione di specie. Perché sono una specie gli organismi che sono interfertili --
quindi che sono in grado di dare origine ad un individuo-. Nel caso dei procarioti
dove invece non abbiamo la riproduzione sessuale, la definizione di specie è più
complicata).
Definizione classica→ una specie è una collezione di batteri con in comune molte
caratteristiche, la quale però differisce significativamente rispetto ad altri gruppi.
In questa definizione c’è un’imprecisione di fondo, cioè non abbiamo dei “paletti”
che ci consentono di dire con certezza ciò che è appartenente ad un determinata
specie e ciò che non lo è.
Oggi invece le specie sono identificate per confronto con i ceppi tipo→ noi
sappiamo che ad esempio nella specie escherichia coli abbiamo diversi ceppi tipo di
riferimento, i cui dati sono definiti e pubblicati su portali internazionali, e siamo in
grado di definire quindi se un organismo appartiene ad una determinata specie per
una similarità con i ceppi tipo (noi abbiamo delle colture di riferimento ben
caratterizzate, quindi quando isoliamo un nuovo microrganismo siamo in grado di
capire se appartiene ad una certa specie, perché siamo in grado di confrontarlo con i
ceppi tipo e quindi identificarlo o classificarlo).

166
Saranno quindi inclusi nella specie tutti i ceppi con caratteristiche sufficientemente
simili al ceppo tipo. Ciò significa che con l’attuale tassonomia molecolare siamo in
grado di confrontare gli isolati che otteniamo in laboratorio con ceppi tipo di
riferimento e quindi dal grado di similarità dire con maggiore precisione se il
batterio appartiene o meno ad una determinata specie).
I ceppi tipo rientrano in una collezione di
microrganismi che sono a disposizione della
comunità scientifica→ sono dei laboratori
che possiamo considerare della “banche” di
ceppi tipo, in cui sono conservate le colture
pure di riferimento dei ceppi tipo delle
diverse specie batteriche.
Parametri per classificare i microrganismi:
I parametri sono stati decisi “a tavolino”, dopo aver avuto informazioni sulla
variabilità genetica dei batteri (quindi quando siamo stati in grado di studiare il DNA
dei batteri e di farci un’idea della complessità e della diversità microbica).
Ad oggi definiamo specie un gruppo di ceppi che hanno un’omologia di DNA uguale
o superiore al 70% (ad esempio dopo aver sequenziato il DNA cromosomiale di un
microrganismo che abbiamo isolato in laboratorio, andiamo ad inserire i dati
ottenuti su dei portali pubblici, e questi ci restituiscono una percentuale che
rappresenta il grado di similarità del DNA cromosomiale del nostro microrganismo
rispetto a quello dei ceppi tipo – siamo quindi poi in grado di dire se il nostro
microrganismo appartiene alla specie selezionata oppure ad un’altra-).
Un’alternativa è quella di considerare il DNA che codifica per l’rRNA 16S (il gene che
codifica per l’rRNA ribosomiale 16S viene utilizzato normalmente per ragioni di
tassonomia) (l’albero filogenetico è stato costruito mettendo insieme tutte le
sequenze dei geni codificanti per l’rRNA 16S, perché è considerato un buon
marcatore molecolare). Pertanto, l’altra definizione di specie ci dice che un batterio
il cui gene per l’rRNA 16S abbia una sequenza che presenti il 97% di similarità (o più)
viene considerato appartenente alla stessa specie. Quindi in generale non abbiamo
in questo caso una definizione di specie così “aleatoria” basata su similarità e
differenze non ben definite, ma una molto più precisa (in entrambi i casi).
Perché viene considerato il gene che codifica per l’rRNA ribosomiale 16S?
Il gene che codifica per l’rRNA 16S è un gene che è presente in tutti i batteri, ed è
presente anche negli Archaea (il riferimento per gli Eukarya non è il 16S ma il 18S,
perché negli eucarioti il 16S non c’è), viene scelto perché i ribosomi (che sono le
167
strutture che nella cellula servono per sintetizzare le proteine), hanno subito poche
mutazioni, e se venissero mutati (per mutazioni casuali) solitamente queste
mutazioni non vengono mantenute perché danno origine a ribosomi non
funzionanti, quindi rispetto ai batteri che mutano così rapidamente, l’RNA
ribosomiale muta ad una velocità minore (muta di meno), quindi può essere un
ottimo marcatore molecolare per avere una definizione di specie e studiare la
classificazione dei microrganismi.
Si sceglie in particolare il 16S rispetto ad altri RNA ribosomiali per un fatto di
lunghezza (di dimensione)→ cioè da un punto di vista dell’informazione genetica
essendo lungo 1500 b (il DNA che lo codifica sarà invece 1500 pb -paia basi, perché il
DNA è a doppia elica-), è un buon compromesso tra il 5S ed il 23S che invece sono
rispettivamente troppo piccolo e troppo grande.
Quindi in generale si può dire che viene scelto l’rDNA (DNA ribosomiale)
(confrontare l’rRNA oppure il rDNA che lo codifica ha praticamente lo stesso
significato) rispetto agli altri perché i ribosomi subiscono poche mutazioni.
Sul rDNA abbiamo delle regioni maggiormente conservate, cioè che sono
abbastanza simili in tutti i batteri (ci possono aiutare a confrontare microrganismi
che non sono così vicini filogeneticamente), e delle regioni più variabili che ci
servono per confrontare microrganismi più strettamente correlati.
Quindi se io devo confrontare due microrganismi che sono lontani tra di loro andrò a
confrontare una parte dei geni che sono più conservati, mentre i geni più variabili mi
servono per confrontare dei microrganismi che sono invece più simili tra di loro.
Esistono dei database di sequenze, in cui noi possiamo andare a confrontare le
sequenze che otteniamo in laboratorio (un esempio di database è quello dell’NCBI).
Nomenclatura:
È internazionale, e basata sul sistema binomiale:
È molto importante che il nome del genere sia
scritto in maiuscolo e che sia genere che
specie siano scritti in corsivo! (quindi avrei dovuto cambiare tutti i nomi che ho
scritto fino ad ora e scriverli nel modo giusto).
Il nome della specie non può mai essere abbreviato, mentre il nome del genere si.
La specie non è mai utilizzata senza che prima venga messo il genere

I microrganismi possono avere dei nomi comuni e non sistematici

168
Esempio→ Meningococco (sarebbe Neisseria meningitis), Botulino (sarebbe
Clostridium Botulinum).
Quando abbiamo un microrganismo che non può essere inserito in taxa noti (perché
magari è tassonomicamente sconosciuto e noi siamo stati i primi ad isolarlo in
laboratorio), è necessario che andiamo a caratterizzare ed a descrivere una nuova
specie (per fare ciò il microrganismo deve essere coltivato, mantenuto in coltura
pure e classificato).
Quando invece abbiamo a che fare con microrganismi che non possiamo coltivare in
laboratorio non siamo in grado di classificarli, ma possiamo identificarli basandoci su
caratteristiche filogenetiche (non possiamo però collocarli tassonomicamente)
(possiamo quindi più o meno capire dove si collocano nell’albero filogenetico, però
non possiamo classificarli con sicurezza, perché non siamo in grado di dare delle
informazioni sui caratteri fenotipici, che non ci servono per definire la specie, ma ci
servono per andare a classificarli -dobbiamo dare delle informazioni nella
classificazione che riguardano anche degli aspetti fenotipici-)
Identificazione (identificare):
Significa caratterizzare un organismo in base alle caratteristiche che noi siamo in
grado di misurare in laboratorio.
Il nuovo ceppo che abbiamo isolato lo andiamo a confrontare con dei gruppi
tassonomici noti, e quindi andiamo a capire dove questo microrganismo può essere
collocato dal punto di vista dell’identificazione (quindi prendo un suolo, faccio
l’isolamento, prendo in coltura pura il mio ceppo, vado a studiare il ceppo e poi a
questo punto vado ad identificarlo e quindi a capire a che specie appartiene).
L’identificazione in pratica è la comprensione della specie di appartenenza
dell’organismo che abbiamo isolato in laboratorio. Se poi questo organismo non
appartiene a nessuna specie conosciuta, lo andiamo a classificare. Il riferimento
della microbiologia è il Bergey (Bergey’s Manual of Deterministic bacteriology), in
cui tutte le classificazioni vengono pubblicate ed aggiornate.
Procedura di identificazione:
Si parte da una matrice e da un isolamento (può essere diretto o per arricchimento).
Si ottiene quindi una coltura pura, da questa selezioniamo una colonia e la poniamo
in una microprovetta in cui raccogliamo il materiale cellulare.
Da questo materiale cellulare servendosi di appositi kit andiamo ad estrarre il DNA,
questo DNA estratto poi viene sequenziato (normalmente ci si appoggia ad aziende
che svolgono questo servizio in esterna – si manda fisicamente il DNA estratto per
posta, l’azienda si occupa di sequenziare il DNA, ed invia il risultato del
169
sequenziamento-), successivamente noi andiamo ad inserire il risultato nel sito
dell’NCBI (portale pubblico) ed il sito ci restituisce delle percentuali di similarità (ci
verrà quindi fuori se l’organismo appartiene ad una taxon nota -quindi è già stato
classificato-, oppure se è un organismo non noto – in questo caso lo classificheremo
noi-).

170
MICRORGANISMI EUCARIOTI-FUNGHI
EUCARIOTI-FUNGHI
I microrganismi eucarioti nell’albero filogenetico si trovano nella parte degli
Eukarya, ed in particolare sono:
• Funghi
• Protozoi→ sono distribuiti variamente
sull’albero filogenetico (in basso a Dx),
quindi non sono troppo “compatti”.
• Alghe (in questo albero filogenetico non
sono scritte, ma sono presenti)

Caratteristiche:
Le cellule eucariotiche hanno una cellula molto
più complessa ed articolata rispetto ai procarioti.
Moltissime delle funzioni che nei procarioti sono
svolte liberamente nel citoplasma od a livello di
membrana, negli eucarioti sono svolte a livello di
organuli specifici (ad esempio ci sono l’apparato
del citoscheletro, il reticolo endoplasmatico,
l’apparato di Golgi, i mitocondri, il nucleo…).
La respirazione negli eucarioti avviene a livello dei mitocondri, inoltre, anche se sono
microrganismi, negli eucarioti è possibile che si abbia una moltiplicazione sessuale
(meiosi) (oltre ovviamente a quella asessuata -mitosi-).
Gli eucarioti presentano il nucleo, che contiene il materiale genetico, mentre nei
procarioti non è presente.
I ribosomi degli eucarioti sono del tutto simili come funzione e struttura a quelli dei
procarioti, ciò che cambia è la dimensione (le subunità
hanno un peso differente, quindi a fronte di un
ribosoma procariotico di 70S, negli eucarioti abbiamo
un ribosoma di 80S) e le tipologie di RNA che vi sono
incluse→ anche nel caso degli eucarioti abbiamo
l’rRNA, ma quando andiamo a considerare l’rRNA
come marcatore molecolare, ciò che viene paragonato
nei batteri ed Archaea per fare gli alberi filogenetici è
il 16S, mentre nel caso degli eucarioti è il 18S.
171
I ribosomi sono costituiti sia da rRNA che proteine, e sono formati da una subunità
maggiore e da una subunità minore. Nel loro ruolo attivo devono essere assemblati
in modo che le due parti vengano a contatto. Il loro compito negli eucarioti è lo
stesso di quello che rivestono nei procarioti, ovvero si occupano della sintesi di
proteine.

La cellula eucariotica deriva da fenomeni di endosimbiosi


in cui la cellula che stava diventando l’eucariota moderno
ha assimilato da una parte i cloroplasti (trasformazione in
cellule vegetali) e dall’altra i mitocondri (ed acquisito la
possibilità di svolgere la respirazione). Quindi le cellule
eucariotiche moderne derivano da fenomeni di
endosimbiosi con i procarioti.

Protozoi:
I protozoi sono degli eucarioti, quindi si presentano come cellule molto
differenziate. In greco protozoi significa “primi animali” perché svolgono delle
funzioni, ed hanno delle caratteristiche, che li avvicinano molto al gruppo
filogenetico degli animali. Sono comunque filogeneticamente diversi (sull’albero
filogenetico sono “distribuiti” mentre i funghi, le piante e gli animali sono
abbastanza vicini, cioè sono dei gruppi molto definiti -protozoi invece sono in basso
a Dx da Flagellates a Diplomonads-).
Sono degli organismi che ad un certo punto hanno preso la loro linea evolutiva, però
sono anche abbastanza diversi tra loro.
I protozoi sono molto presenti in habitat acquatici,
infatti spesso hanno modalità di movimento per
cui negli habitat acquatici riescono a muoversi per
captare le condizioni migliori.
I protozoi spesso sono parassiti (spesso parassiti degli animali. Sono veicolo di
malattie, in quanto si avvicinano alla cellula animale proprio per sfruttarne le
caratteristiche nutrizionali).
Possono nutrirsi di batteri e di Archaea mediante un fenomeno di fagocitosi→
vanno ad assimilare per intero la cellula batterica per nutrirsi (questo è un
172
fenomeno rilevante nel suolo e nelle acque, perché in questi habitat i protozoi fanno
una sorta di “regolazione” del numero di batteri presenti, cioè predandoli agiscono
sull’equilibrio di popolazioni batteriche). Il fatto che siano filogeneticamente diversi
li rende distribuiti sull’albero filogenetico.

Alcuni gruppi di protozoi. Molti di quelli qui


rappresentati colonizzano le acque, infatti si
possono vedere diverse strutture deputate al
movimento.

Alghe:
Le alghe ricavano l’energia necessaria al loro metabolismo dalla luce.
Anche le alghe sono filogeneticamente diverse (tuttavia non diverse quanto i
protozoi), hanno la caratteristica di avere relazioni da un punto di vista filogenetico
sia con le piante che con i protozoi (hanno dei tratti comuni sia con le piante che con
i protozoi).
Le alghe possono essere sia unicellulari che pluricellulari (quelle pluricellulari
vengono definite “filamentose”). Hanno un’ampia diffusione ambientale, cioè
troviamo delle alghe da ecosistemi molto freddi, oppure caldi ed umidi, quindi
possiamo dire che non hanno ecosistemi prediletti per svilupparsi.
Tuttavia, solitamente però richiedono la presenza di acque, a meno che non siamo
in situazioni particolari di simbiosi per cui possono svilupparsi anche in ambienti
aridi. Come distribuzione rispetto ai parametri ambientali, la pressione selettiva ha
creato dei phyla che si sono adattati anche a condizioni estreme.
Alcune alghe sono acidofile (ad esempio un’alga rossa appartenente al genere
Cyanidium si sviluppa in maniera ottimale a pH 2).
Alghe endolitiche→ colonizzano ambienti freddi e secchi, ma in questo caso sono di
solito in simbiosi (in comunità) con cianobatteri e funghi a formare dei licheni
(quindi nel caso in cui le alghe rientrino a contribuire alla simbiosi, che sfocia nella
costruzione dei licheni, possono presentarsi anche in ambienti secchi, sennò hanno
bisogno di un ambiente acquatico).
Le alghe dal punto di vista energetico e di assimilazione del carbonio hanno molti
punti in comune con le piante→ cioè come fonte di energia utilizzano la luce, e
come fonte di carbonio utilizzano la CO2, quindi sono fotosintetiche ed autotrofe.
173
Ciò non toglie che però molte alghe possono accumulare delle sostanze di riserva e
carbonio organico direttamente dall’ambiente.
La parete cellulare è di cellulosa (sono molto vicine alle cellule vegetali).
Da un punto di vista morfologico le alghe sono molto
differenziate→ le morfologie possono essere molto
varie, e questo ci consente di effettuare un
riconoscimento in base alla morfologia, cioè
guardandole al microscopio siamo in grado di
riconoscere il gruppo filogenetico a cui
appartengono (non proprio il genere e la specie, ma
almeno il gruppo filogenetico si) (nei procarioti invece la morfologia non ci consente
di riconoscerli tramite osservazione al microscopio, salvo rarissimi casi).
Le alghe svolgono fotosintesi attraverso i cloroplasti (esattamente come le piante),
quindi si può dire che sono degli eucarioti recenti e fotosintetici.
Le alghe inoltre hanno possibilità di svilupparsi in ecosistemi oligotrofi (quindi in
ecosistemi in cui i nutrienti non sono abbondanti, ma il loro livello è molto basso -
caratteristico di diversi ecosistemi acquatici-), nei quali svolgono la funzione di
produttività primaria (che sarebbe la stessa funzione che svolgono le piante negli
ecosistemi terrestri), cioè la produzione e mobilizzazione di nutrienti che poi altri
organismi potranno utilizzare.
Funghi:
I funghi sono degli eucarioti, quindi presentano una cellula molto più complessa
rispetto ai procarioti, con funzioni specifiche localizzate.
Da un punto di vista nutrizionale tutti i funghi sono eterotrofi→ questo è un aspetto
molto importante, perché il fatto di essere eterotrofi, è proprio ciò che ne governa il
comportamento, l’ecologia e le funzioni (cioè il fatto di avere necessità di substrati
organici sia come fonte di energia che come fonte di carbonio). I funghi si possono
sviluppare solamente a spese di carbonio organico (che possono ricavare in diversi
modi).
I funghi da un punto di vista metabolico sono più semplici dei procarioti, cioè hanno
un metabolismo molto più conservato (tutti i funghi sono eterotrofi, quasi tutti i
funghi sono aerobi -anche se ci sono eccezioni-) (sommariamente hanno tutti tra di
loro simile funzione, mentre i procarioti presentano una diversità più marcata)
I funghi possono essere:
• Pluricellulari→ muffe o funghi filamentosi
• Unicellulari→ lieviti
174
Nonostante i funghi pluricellulari ed unicellulari possano sembrare radicalmente
diversi, hanno comunque delle cellule che funzionano allo stesso modo (cellule
eucariotiche ed eterotrofe).
Dal punto di vista dell’habitat, a patto che sia presente del carbonio organico
disponibile, i funghi sono le forme di vita più adattabili→ colonizzano tantissimi
substrati organici, tessuti animali, tessuti vegetali (anche tessuti vegetali ormai
morti, quindi partecipano attivamente alla degradazione della sostanza organica), e
per questo vengono considerati degli importantissimi regolatori di ecosistemi
(perché praticamente tutta la materia organica vegetale che ci circonda, viene
degradata e riciclata negli ecosistemi dai funghi -ad esempio i nutrienti contenuti nel
legno vegetale vengono degradati e riciclati principalmente ad opera di funghi-).
I funghi li troviamo in particolare negli ecosistemi forestali, proprio perché sono
ricchi di sostanza organica, quindi è la sostanza organica disponibile che ne regola la
distribuzione.
I funghi sono anche importanti nei fenomeni di fertilità vegetale, e nel caso specifico
delle “micorrize”, ma sono anche importanti in altre forme di simbiosi, come ad
esempio i licheni.
Alcuni funghi (come gli lieviti) intervengono nella produzione di alimenti e bevande
(visto che sono attivi degradatori della sostanza organica. Ad esempio, alcuni di essi
si sono evoluti per fermentare, e la fermentazione è un punto chiave nella
produzione di alimenti e bevande).
I funghi però possono produrre sostanze tossiche e tossine che sono accompagnate
al loro metabolismo (diversi funghi producono tossine durante tutto lo stadio di
sviluppo dell’organismo fungino).
I funghi possono essere patogeni per le piante e per gli animali (anche per l’uomo)→
sono patogeni perché il loro obbiettivo è sempre quello di assimilare carbonio
organico, ed alcuni di essi si sono evoluti diventando patogeni.
I funghi sono molto diversi tra di loro,
nonostante abbiano un metabolismo comune.
In alto a Sx→ muffe che troviamo a degradare e
ad alterare gli alimenti.
In alto a Dx→Sono funghi anche quelli che
troviamo normalmente distribuiti sugli apparati
vegetali (alcuni sono patogeni, altri parassiti).
In basso a Sx→ piastra Petri con colonie fungine. Le colonie fungine, soprattutto di
funghi pluricellulari, sono molto riconoscibili perché hanno un aspetto vellutato, che
è dovuto allo sviluppo miceliare del fungo (colonie vellutate con aspetto concentrico
-parte centrale ben definita che si irradia su una parte più periferica -). La
175
colorazione deriva dal fatto che possono produrre delle melanine e pigmenti
colorati nonostante in nessun modo facciano fotosintesi (i funghi contengono dei
pigmenti, ma questi pigmenti non vengono utilizzati per la fotosintesi).
In basso a Dx→ immagine che rappresenta lo sviluppo di funghi forestali (questi
sono dei basidiomiceti, che sono i funghi che normalmente hanno questa
manifestazione visibile del corpo fruttifero, ed è quella che normalmente la gente
chiama funghi. Tuttavia, il corpo fruttifero dei basidiomiceti è soltanto una parte
dell’enorme micelio fungino che si sviluppa nel suolo, e che prende i nutrienti a
partire dalla sostanza organica vegetale, per questo sono presenti in ambienti
riccamente vegetati, proprio perché degradano la sostanza organica vegetale, e da
essa acquisiscono l’energia per produrre anche il corpo fruttifero. Il corpo fruttifero
è deputato esclusivamente a diffondere le spore nell’ambiente -il vero fungo, il tallo
fungino, è in realtà sotterraneo-)
Marciume bianco→ è il tipico sviluppo del micelio fungino
visibile di colorazione chiara, che interviene quando la
degradazione dei tessuti legnosi è già abbastanza avanti.
Quando il legno viene degradato, ciò avviene ad opera di
funghi che agiscono in successione, questo in particolare è
un agente di marciume bianco, quindi sono dei funghi che riescono a degradare
anche la lignina, e che portano poi alla completa degradazione del legno.
In queste immagini si può vedere meglio
rispetto a quella precedente, l’andamento
concentrico delle colonie fungine (aspetto
radiale con colorazioni -ma anche se colore
è verde simile a quello della clorofilla,
questo verde non è dovuto alle clorofille, ed in nessun modo permette di svolgere
fotosintesi). Questo micelio è diretta espressione della struttura del fungo e delle
sue modalità di diffusione.
Così come gli eucarioti in generale, i funghi si possono riprodurre mediante due
modalità:
• Per mezzo di spore sessuali
• Per mezzo di spore asessuali
I funghi hanno quindi questa predisposizione per svolgere entrambe queste
modalità di riproduzione. A seconda delle specie e dei filotipi le modalità però
saranno diverse (non tutte le spore sessuali vengono prodotte allo stesso modo, ma
a seconda dei phyla vengono prodotte in maniera diversa. Anche le spore asessuali
176
hanno delle caratteristiche di diversità a seconda dei filotipi, in più ciò che il fungo
dedica alla moltiplicazione sessuale od asessuale è molto influenzato anche dalle
condizioni ambientali -i corpi fruttiferi dei basidiomiceti non vengono prodotti
sempre, infatti i funghi si vanno a raccogliere solo in un certo periodo dell’anno. Le
condizioni ambientali sono anche importanti, in generale ci sono quando si ha un
evento piovoso e successivamente un rialzo termico, perché i basidiocarpi (legati
alla riproduzione sessuale) dei basidiomiceti sono prodotti soltanto a seguito del
verificarsi di alcune condizioni ambientali -i basidiomiceti svolgono però sempre una
moltiplicazione asessuale, che però non è visibile-).
Quindi il filotipo e le condizioni ambientali determinano la suddivisione, ed
influiscono sulla produzione, di spore meiotiche (sessuali) e mitotiche (asessuali).
Ogni gruppo di funghi ha spore caratteristiche, ed in genere la moltiplicazione
asessuata è più comune rispetto a quella sessuale, questo perché la riproduzione
sessuale ha in genere dei dispendi energetici maggiori, in quanto le spore sessuali
sono in genere più durature e si mantengono di più nell’ambiente. Quindi
normalmente i funghi attuano moltiplicazione asessuata, e solo in determinate
condizioni invece svolgono quella sessuale.
Da un punto di vista genetico le fasi nel ciclo vitale dei funghi si alternano→ i funghi
possono essere:
• Aploidi→ n
• Diploidi→ 2n
• Dicariotici→ n+n
Possono essere durante tutta la durata del loro ciclo vitale in una sola situazione,
oppure possono alternare queste tre modalità.
La parete cellulare dei funghi fa sì che
queste cellule siano molto resistenti agli
stress fisici. Come struttura è molto simile
alla parete con cellulosa, ma in questo
caso non abbiamo la cellulosa ma la
chitina (polimero lineare simile alla
cellulosa) (la chitina è esclusiva del
mondo fungino).
Questa similarità agli organismi vegetali ci fa capire quanto lo studio dei funghi sia
stato complicato prima dell’avvento della biologia molecolare, in quanto non si
sapeva se considerarli più vicini ai vegetali od agli animali→ questo perché i funghi
sono effettivamente degli organismi che hanno delle caratteristiche comuni sia con
177
gli animali che con i vegetali (ad esempio hanno crescita apicale come le piante,
però il metabolismo non è fotosintetico, ma è più simile a quello degli animali –
metabolismo respiratorio della sostanza organica-. Lo sviluppo delle ife fungine del
micelio è del tutto simile allo sviluppo delle radici, inoltre i funghi hanno una parete
nelle ife, esattamente come le cellule vegetali. Il glicogeno esattamente come gli
animali è il polisaccaride di riserva). Infatti, se andiamo a guardare l’albero
filogenetico, possiamo notare che da un punto di vista evolutivo sono vicini ad
entrambi. Fino ad un certo punto c’è stato un progenitore comune per questi 3 tipi
di organismi (hanno lo stesso progenitore comune) (i funghi hanno mantenuto
caratteristiche vicine sia agli animali che ai vegetali).
Parete cellulare fungina:

La componente principale della parete cellulare fungina è la chitina, che è costituita


da n-acetilglucosammina (ricorda→ è un amminozucchero presente anche nel
peptidoglicano) (quindi abbiamo batteri con pareti di peptidoglicano, funghi con
pareti di n-acetilglucosammina, piante con pareti di cellulosa). Ciò che le pareti di
funghi, batteri e piante hanno in comune è il fatto di avere un legame β-1,4
(presente nella chitina, nella cellulosa e nel peptidoglicano), che è un legame
resistente alla degradazione, ed è per questo che è stato “scelto” da numerosi
organismi nel corso dell’evoluzione.
La parete cellulare fungina presenta anche altre componenti, ma queste rispetto alla
chitina sono variabili a seconda dei diversi phyla (quindi abbiamo sempre la chitina,
e poi altri componenti che possono essere differenziati nei diversi gruppi fungini):
• Glucani
• Mannani
• Glicoproteine
Il senso della parete è quello di proteggere da lisi osmotica e dai vari stress
ambientali che l’organismo si può dover trovare ad affrontare (anche in questo caso
però le funzioni legate all’assorbimento di nutrienti saranno svolte sempre
necessariamente dalla membrana cellulare) (la parete determina anche la forma).
178
Altri componenti cellulari nello specifico:
• Glicoproteine→ proteine che hanno una base zuccherina.
• Melanine→ pigmenti che possono proteggere i funghi dalla radiazione solare e
dallo stress che questa può causare (in particolare dalle radiazioni UV). Questi
pigmenti non sono coinvolti nella fotosintesi (i funghi non la fanno proprio)
(inoltre conferiscono resistenza a lisi enzimatica, forza meccanica e
disidratazione).
• Glucani e mannani→ sono altri tipi di zuccheri, sono presenti in percentuale
variabile a seconda dei diversi phyla. Di solito li troviamo nello strato
superiore rispetto alla chitina.

Rappresentazione schematica della parete di un


fungo→ si ha una composizione variabile a seconda dei
diversi phyla.

Caratteristiche generali dei funghi:


Possiamo avere dei funghi sia unicellulari (lieviti) che pluricellulari (detti
filamentosi). In alcuni possiamo avere una specializzazione cellulare, quindi delle
cellule differenziate a seconda della funzione (ad esempio cellule deputate alla
moltiplicazione, o cellule deputate all’assimilazione di nutrienti).
Questi funghi vengono chiamati “dimorfici”, poiché hanno differenti parti del fungo
deputate a funzioni diverse.
La sostanza organica di cui hanno sempre necessariamente bisogno è legata
all’assorbimento di nutrienti mediante la produzione di esoenzimi (enzimi che
vengono prodotti all’esterno della cellula e servono per degradare molecole
organiche che altrimenti per come si presentano naturalmente non potrebbero
entrare -troppo grandi e complesse- -quindi devono prima essere degradate al di
fuori della cellula e poi assimilate- -per cui la sostanza organica vegetale viene
degradata prima all’esterno, poi il fungo trasporta al suo interno i nutrienti soltanto
quando sono in una forma assimilabile-).
I funghi presentano grande variabilità dimensionale e morfologica, cioè ci sono dei
phyla molto diversi che possono raggiungere dimensioni diverse (il corpo fruttifero
dei basidiomiceti è grande, altri hanno dimensioni microscopiche).

179
MICELIO FUNGINO E FISIOLOGIA
Quando parliamo di micelio fungino, parliamo sempre di funghi pluricellulari, perché
nel caso dei lieviti questi non formano micelio (eventualmente formano uno
pseudomicelio, ma non è comunque un micelio vero e proprio).
Micelio= insieme di ife.
I funghi pluricellulari sono costituiti da strutture filamentose interconnesse tra di
loro. Queste strutture filamentose si chiamano “ife” e contengono le cellule ed il
citoplasma.
Le ife hanno un aspetto che ricorda quello delle radici
vegetali→ sono dei filamenti tubulari a crescita polarizzata (così
come nei vegetali), che sono ramificati e crescono apicalmente.
Il reticolo di ife insieme alle strutture di moltiplicazione e
replicazione, costituisce il micelio fungino.
In queste immagini sono mostrate le ife fungine,
che sono proprio dei filamenti al cui interno ci sono
le cellule.
Sono ramificate e crescono in maniera polarizzata.
Quando parliamo del micelio fungino insieme alle
spore (che vengono prodotte per la riproduzione
sessuale e per la moltiplicazione asessuale),
definiamo l’intera struttura “tallo” (il tallo fungino è
proprio l’insieme di tutto il fungo – ife+spore+corpi
fruttiferi…).
Non tutti i talli fungini sono uguali, infatti in
generale si ha un elevato grado di diversità morfologica (che ci aiuta a riconoscere i
funghi anche solo al microscopio, perché a differenza dei batteri, la diversità
morfologica è correlata alla classificazione -ci sono caratteristiche specifiche
morfologiche per i diversi phyla-).
Il micelio viene definito come la parte ecologicamente attiva dei funghi→ cioè quella
che ha una funzione, quindi che ad esempio è coinvolta nella degradazione della
sostanza organica oppure nei fenomeni di patogenicità nei confronti degli animali e
delle piante. Pertanto, si può dire che è il micelio a svolgere le funzioni che al fungo
servono per assimilare i nutrienti a partire dal carbonio organico a disposizione.

180
Possiamo definire due parti del micelio:
• Micelio aereo (o micelio di diffusione) (è la parte
vellutata che si vede nelle colonie)→ si sviluppa verso
l’aria. In questa parte vengono prodotte le ife aeree
che produrranno delle spore che poi verranno
veicolate dall’acqua, dal vento o dagli animali (questa
frase l’ho dedotta leggendo il libro, controlla!!)
• Micelio nutrizionale→ micelio che affonda nel
substrato, da questo micelio il fungo assorbe i
nutrienti.

L’immagine a Sx mostra delle ife aeree ed il micelio nutrizionale→ Il micelio


nutrizionale è una parte delle ife che sono dedicata all’assorbimento dei nutrienti.
Si vede anche nei basidiomiceti (Dx)→ noi abbiamo un micelio nutrizionale ed un
micelio aereo di diffusione (che nel caso dei basidiomiceti è un corpo fruttifero
anche abbastanza articolato).
Ci sono due tipologie di ife, ed ogni tipologia di fungo può possederne soltanto una
tipologia:
• Ife settate→ ife dotate di setti (cioè divisioni), il contenuto delle ife è
suddiviso da setti.
• Ife cenocitiche→ non ci sono i setti, e per questo motivo il materiale cellulare
è libero di muoversi attraverso le ife.
In generale le ife sono settate nei funghi più evoluti→ i funghi più antichi (meno
evoluti), hanno ife cenocitiche, mentre i funghi più recenti hanno ife settate.
I setti sono dotati di pori attraverso cui il materiale cellulare può passare al setto
vicino (sostanze nutritive possono passare da un setto all’altro).
Micelio cenocitico→ i pallini rappresentano i
nuclei delle cellule, non c’è suddivisione (queste
sono cellule con la membrana cellulare e
parete) (a Dx si vede come si vede al
microscopio ottico, sono dei filamenti continui -
qui i nuclei però non si vedono tanto-).
181
Ife settate→ filamenti ramificati a crescita
polarizzata suddivisi in comparti.
Ogni comparto corrisponde ad una cellula
(anche se in alcuni specifici casi in un comparto
può essercene più di una, ma in generale ce n’è
solo una). (a Dx si vedono bene i setti)
(Parte di laboratorio→ i funghi per guardarli al microscopio non hanno bisogno di
alcuna preparazione -mentre i batteri devono essere colorati e visti ad un
ingrandimento molto elevato-).
Le ife seppure siano definite come filamenti settati o non settati all’interno delle
quali c’è il materiale cellulare (nel loro insieme vanno a costruire il micelio), possono
avere delle modificazioni utili a svolgere specifiche funzioni:
• Simbiosi tra pianta e fungo (simbiosi micorrizica -le
micorrize le facciamo più avanti-)→la modificazione
consiste nella presenza di strutture (che sembrano delle
mani), che si chiamano “austori”, che servono al fungo
per entrare in stretto contatto con il materiale cellulare
della pianta (è quindi evidente il fenomeno di simbiosi.
Il fungo e la pianta possono scambiarsi i nutrienti
coinvolti nello scambio della simbiosi)
• Anelli→ sono prodotti dai “funghi trappola”, che sono
dei funghi presenti naturalmente nei suoli e che
possono essere usati come agenti di lotta biologica.
L’ifa differenzia un anello che serve per intrappolare il
nematode che ci passa attraverso. All’interno dell’anello
sono presenti dei recettori, quando qualcosa vi passa
attraverso l’anello si rigonfia (grazie al richiamo di
acqua per pressione osmotica) e va ad intrappolare la
preda (il nematode). In questo modo poi il fungo può
nutrirsi del carbonio organico all’interno
dell’organismo.
Quindi come modificazioni delle ife abbiamo delle strutture dedicate a funzioni
specifiche (come ad esempio gli austori nelle micorrize e l’anello nei funghi
trappola).

182
Ciclo vitale dei funghi:
Le meiospore (spore sessuali) e le mitospore (spore asessuali) appartengono a due
fasi diverse che hanno due significati ecologici differenti:
• Fase sessuata→ dedicata alla sopravvivenza della specie. Il fungo investe
energia che ricava dal catabolismo per produrre delle spore molto resistenti,
che spesso sono incluse in corpi fruttiferi. Questo è un processo che i funghi
tendenzialmente svolgono solo quando si verificano le condizioni adatte.
• Fase vegetativa (o asessuata)→ è più comune ed avviene durante tutto lo
sviluppo fungino. Vengono prodotte delle spore vegetative chiamate “conidi”.
Queste sono una presenza costante nell’aria (se facessimo un
campionamento dell’aria troveremo spore mitotiche vegetative derivanti da
un processo asessuale). I funghi utilizzano ed investono energia in questa
modalità per diffondersi nell’ambiente (ad esempio per diffondersi negli
animali -quando si tratta negli organismi patogeni-, oppure per liberare i
conidi ed andare ad infettare nuove piante, oppure per andare a trovare
nuovi substrati vegetali su cui svilupparsi). (i conidi sono costantemente
prodotti).
Le spore sia sessuali che asessuate variano sia per morfologia che per produzione, a
seconda del phylum (per questo l’osservazione al microscopio dei funghi è più
funzionale rispetto a quella dei batteri, proprio perché hanno strutture particolari -si
può riconoscere il phylum-).
zigospora prodotta da zigomiceti (ha morfologia particolare,
vedendolo riconosciamo che è uno zigomicete).

Conidi (spore asessuali)

La riproduzione sessuale ed asessuata possono essere separate nel tempo e nello


spazio. Noi possiamo ad esempio avere un fungo che in una parte del micelio si
dedica alla riproduzione sessuale e dall’altra svolge una moltiplicazione asessuata
(separazione nello spazio). Oppure per un certo periodo dell’anno il fungo si
moltiplica asessualmente, poi quando arrivano le condizioni giuste, inizia a fare
riproduzione sessuale.

183
Per questa ragione, sono stati definiti dei termini per queste due fasi:
• Teleomorfo→ quando parliamo della fase sessuale (del momento e della zona
del micelio che fa riproduzione sessuale)
• Anamorfo→Quando parliamo della fase asessuale.
Per il passaggio tra Teleomorfo ed Anamorfo le condizioni ambientali sono
determinanti (ad esempio l’umidità porta alla formazione di muffe, ed inoltre in
concomitanza con un innalzamento delle temperature porta alla formazione di corpi
fruttiferi nei boschi).
Olomorfo (“olo” vuol dire tutto)→ quando consideriamo il fungo nel suo insieme, sia
per quanto riguarda le sue spore sessuali, che asessuali, che per il micelio. Si intende
quando tutte queste parti sono presenti (questa specificazione è importante perché
esistono dei funghi che non hanno entrambe le fasi -questi vengono definiti “funghi
imperfetti”).
Anamorfo→ si intende fase asessuale. La fase asessuale può avvenire tramite tre
modalità, che sono variabili a seconda dei diversi phyla:
• Diffusione del micelio→ le ife crescono, si diffondono, hanno una crescita
apicale, quindi c’è una sintesi, una moltiplicazione cellulare a livello del
micelio, ramificazioni (anche se non è la stessa cosa, possiamo vederla come
simile allo sviluppo ed alla crescita delle radici dei vegetali)
• Divisione cellulare per gemmazione→ presente nei lieviti. Una cellula madre
inizia a produrre una protuberanza che poi diventerà la cellula figlia.
• Mitospore→ sono spore che il fungo produce per modalità asessuale (mitosi).
Le spore sono dedicate alla propagazione (possono essere trasportate dal
vento, dall’acqua, dagli animali). Questo è il motivo per il quale ad esempio
quando abbiamo un frutto che sta ammuffendo nella nostra ciotola della
frutta lo dobbiamo togliere, perché altrimenti farà ammuffire anche gli altri.
Questo perché i conidi vengono prodotti e trasportati dal vento. Le mitospore
possono essere prodotte liberamente (quindi singolarmente), ma possono
anche essere racchiuse in delle strutture che si chiamano sporangi.
Teleomorfo→Si intende la fase sessuale, nella quale il fungo si dedica alla
produzione di spore sessuali (meiospore). Sono spore che derivano da un fenomeno
meiotico (da un fenomeno sessuale) per cui ci sono due gameti che uniscono il loro
DNA. Ci sono poi modalità diverse a seconda del phylum.

184
Le spore, che siano queste sessuali o asessuali, possono formarsi:
• Direttamente sulle ife→ L’ifa alle sue estremità produce
delle spore (in quest’immagine sono delle mitospore).

• Negli sporangi→ L’ifa alla sua estremità presenta una


vescicola in cui vengono prodotti conidi. Una volta matura
questa vescicola esplode e libera i conidi all’esterno
• Sui corpi fruttiferi→ (è un corpo fruttifero). Il corpo
fruttifero è caratteristico solamente della produzione di
meiospore, ed ha una struttura articolata. All’interno sono
prodotte le spore sessuali che verranno poi liberate a
maturazione (dentro la “chela”).
È un corpo fruttifero che sotto presenta delle lamelle, e da queste
lamelle vengono liberate le spore sessuali.

Esempi di sporangio (simile ad immagine prima). C’è


una vescicola all’apice, che poi andrà in lisi e
libererà i conidi al suo interno. Dx→ produce i conidi
all’apice delle ife, non sono quindi racchiusi in uno
sporangio, ma sono liberi. (si chiama Penicillium
perché la forma sembra quella del pennello).
Spore:
Le spore sono delle strutture monocellulari che germinano (la spora che sia sessuale
od asessuale va a germinare ed a dare origine a nuovo micelio).
Le spore asessuate possono essere (sono definite in base a caratteristiche
morfologiche che ci permettono di riconoscerle al microscopio -quando noi parliamo
di spore asessuate in generale le chiamiamo conidi, però se vogliamo essere precisi
anche riguardo la morfologia usiamo questa terminologia-):
• Artrospore o Artroconidi
• Blastospore
• Clamidospore
• Conidiospore
• Zoospore

185
Artrospore:
Le artrospore si formano per frammentazione
dell’ifa (in questo caso sono ife settate). L’ifa si
interrompe a livello del setto e libera una spora.
Queste spore hanno una forma sferica o cilindrica
e normalmente presentano una parete ispessita.
Blastospore:
Hanno una morfologia che ricorda molto le
gemme dei lieviti (gli lieviti vengono anche
chiamati blastomiceti). A partire dalle ife si
ha la produzione di gemme per gemmazione
che vengono poi liberate.
Clamidospore:
Sono spore prodotte liberamente sulle ife,
che hanno la caratteristica di essere
tondeggianti (sferiche od ovoidali), con una
spessa parete (si formano lungo l’ifa oppure
alla loro estremità)

Conidiospore:

Si formano alle estremità delle ife, non esiste lo sporangio, ma si ha comunque una
produzione molto localizzata (solo all’estremità dell’ifa) (questi sono i funghi come
Penicillium ed Aspergillus). Le ife alle loro estremità hanno un rigonfiamento dal
quale partono delle catene di conidiospore che poi si staccano e vengono
trasportate dal vento (o dall’aria o dagli animali). (immagine Sx e in centro
Aspergillus) (a Dx Penicillium).

186
Sporangiospore:

Vengono prodotte all’interno di uno sporangio (ciò avviene ad esempio negli


zigomiceti). Le sporangiospore sono prodotte all’estremità delle ife ed incluse
all’interno di uno sporangio. L’ifa che le produce si chiama sporangioforo e lo
sporangio è la vescicola all’estremità, al cui interno c’è una struttura che si chiama
columella. La columella a maturità richiama acqua, si rigonfia e fa esplodere lo
sporangio liberando le sporangiospore al suo interno (immagine→ si vede sporangio
“nuovo”, poi sporangio pieno praticamente maturo, e sporangio già esploso).

Crescita delle ife e delle spore

Le spore una volta prodotte e liberate, raggiunto l’opportuno substrato,


germinano→ una spora inizia a produrre un’ifa, che poi via via si ramifica sempre di
più fino a formare un micelio. La struttura circolare non è casuale, ed è il motivo per
cui le colonie fungine hanno aspetto circolare (il micelio diffonde in tutte le
direzioni).
Le ife crescono all’estremità, quindi si ha una crescita polarizzata (link video). A
partire dalla spora che sta germinando abbiamo questa crescita polarizzata perché
abbiamo una parete rigida con un’estremità elastica che via via cresce.
Infatti, se noi andiamo a guardare al microscopio cosa succede all’interno dell’ifa,
possiamo notare che all’estremità (all’apice ifale), il fungo è ricco di vescicole,
ribosomi e mitocondri, proprio perché è una parte in attiva crescita.
Fisiologia dei funghi (rispetto all’ossigeno):
La maggior parte dei funghi sono aerobi facoltativi, ovvero attuano la respirazione
aerobica della sostanza organica. Tuttavia, in assenza di ossigeno sono in grado di
187
fermentare. La resa energetica della fermentazione e della respirazione sono molto
diverse, per cui quando un fungo sta fermentando, questo non ha la possibilità di
crescere molto, perché il guadagno energetico ottenuto dalla fermentazione è molto
basso.
Ci sono poi però anche pochissimi anaerobi obbligati, questi appartengono ad un
phylum che si chiama Chytridiomycota. Questi funghi vivono nel rumine (ecosistema
anerobico dove i microrganismi anaerobi svolgono moltissime funzioni importanti
per gli animali in questione) e partecipano alla fermentazione dei carboidrati.
Produrranno poi quindi tutta una serie di prodotti derivanti dalla fermentazione
come l’acido formico, l’acido acetico, l’acido lattico, l’etanolo, CO2 (fermentazione
porta parzialmente alla formazione di CO2 e produce sempre molecole che sono
ancora organiche). Quando non sono nel rumine, i Chytridiomycota anerobi
obbligati fanno respirazione anaerobia.
Prendendo in considerazione i funghi più comuni, tutti hanno necessità di ossigeno
anche solo in una parte del loro ciclo vitale. Ad esempio, Saccharomyces cerevisiae
fermenta, ma durante la fermentazione non può fare riproduzione sessuata, questo
perché la riproduzione sessuata ha bisogno di un grande investimento energetico.
Quindi quando questo lievito fermenta, può solo fare gemmazione (moltiplicazione
asessuata), pertanto per fare riproduzione sessuata ha bisogno di ossigeno, di fare
respirazione aerobia della sostanza organica.
Influenza della temperatura sui funghi:
I funghi sono meno estremofili termici rispetto ai procarioti.
La maggior parte dei funghi sono mesofili (quindi crescono tra 10 e 35 °C con valori
ottimali tra 20 e 30°C).
I funghi termofili sono molto pochi, non ci sono funghi ipertermofili come i batteri. I
funghi termofili li troviamo solitamente nel compost, dove possono sopravvivere a
temperature abbastanza elevate (ma non sono comunque temperature di
ipertermofilia come nei procarioti).
Alcuni funghi possono crescere a basse temperature (valori prossimi allo 0, anche
sotto – ma in questo caso deve essere necessariamente presente una matrice
liquida, cioè acqua libera, perché altrimenti non crescono-), questi funghi psicrofili o
psicrotolleranti sono responsabili spesso delle alterazioni che troviamo nelle carni
refrigerate e nei prodotti da frigo che vanno a male (ci cresce muffa).
Influenza dell’umidità sui funghi:
L’acqua è un fattore fondamentale, perché tutti i funghi richiedono la presenza fisica
di acqua disponibile, non soltanto per il mantenimento del citoplasma, ma anche

188
per produrre e per liberare gli enzimi extracellulari che utilizzano per procurarsi i
nutrienti, e per assorbirli (l’assorbimento dei nutrienti da parte dei funghi è
vincolato alla presenza di acqua).
Influenza del pH sui funghi:
I funghi in generale preferiscono pH un po' più acidi rispetto ai batteri.
La maggior parte dei cresce tra pH 4 e pH 8,5, alcuni tra 3 e 9.
Il loro ottimo di crescita è tra 5,0 e 7,0 (si può dire che in generale i funghi hanno
una resistenza allo stress indotto dal pH abbastanza importante, quindi hanno un
range di crescita rispetto al loro pH ottimale abbastanza ampio).
Diversi funghi sono acido-tolleranti, quindi tollerano valori anche molto bassi di pH
(2,0) ed hanno ottimo di crescita tra 5,5 e 6,0.
Pochi funghi sono basofili (un esempio è Fusarium oxysporum) (pH 10-11).
L’omeostasi (meccanismi che garantiscono il mantenimento di un equilibrio
all’interno del citoplasma nonostante ciò che avviene fuori) nel caso dei funghi è
garantita dal funzionamento dell’ATPasi. I funghi regolano l’acidità all’interno del
citoplasma facendo funzionare al contrario l’ATPasi.
Normalmente l’ATPasi produce ATP facendo entrare protoni, nel caso dei funghi
invece i protoni escono e viene consumato ATP.
I funghi sono eterotrofi→ l’acqua è fondamentale per procurarsi il carbonio, ed è
per questo che l’umidità è un fattore vincolante allo sviluppo fungino. Perché
all’esterno devono essere rilasciati gli esoenzimi, che servono per degradare i
polimeri, ed ottenere dei monomeri che poi possono essere assorbiti all’interno del
micelio (i funghi sono eterotrofi per assorbimento).
Quindi i funghi rilasciano gli enzimi, avviene poi una
rottura enzimatica dei substrati, si formano i
prodotti, che poi possono migrare per assorbimento
e diffondere nelle ife (questo è quindi il modo con
cui i funghi si procurano il carbonio organico, e
spiega perché l’acqua per loro è fondamentale).
STATI NUTRIZIONALI DEI FUNGHI
I funghi si nutrono di carbonio organico, che possono procurarsi in modi diversi.
Possiamo definire 3 stati nutrizionali:
• Saprofitismo
• Parassitismo
• Simbiosi

189
Queste sono 3 strategie diverse mediante cui i funghi si procurano il carbonio
organico.
Saprofitismo:
È una modalità di accesso al carbonio organico molto
comune. Il fungo utilizza del materiale organico che si sta
decomponendo, cioè che non è parte di un organismo vivo
(ad esempio del materiale vegetale morto in decomposizione
-per questo i funghi sono rilevanti nel riciclo degli elementi-) (carbonio ed azoto -
componenti del materiale vegetale- rientrano in circolo proprio perché ci sono i
funghi saprofiti che vanno ad utilizzare il carbonio e l’azoto della lignina, della
cellulosa, e di tutti i tessuti vegetali in decadimento).
Parassitismo:
I funghi vanno ad utilizzare il materiale
organico da organismi viventi.
Questi funghi, che sono quindi dei
parassiti, sono patogeni, perché vanno ad
indurre nell’ospite vivente un
decadimento che nella maggior parte dei casi porta alla morte. Il range di ospiti che
può ospitare parassiti e patogeni è molto ampio. Si passa da singole cellule, a piante,
ad animali interi (le immagini mostrano l’attacco delle bacche dell’uva da parte di
una muffa, e poi si può vedere un fungo entomopatogeno che ha attaccato la larva
di un insetto). Il fine dei funghi anche parassiti è sempre quello di andarsi a
procurare il carbonio organico.
Simbiosi (simbiosi mutualistica):
Le simbiosi riguardano due organismi che si scambiano dei nutrienti e traggono
reciproco vantaggio da quest’associazione (simbiosi mutualistica). I funghi sono abili
simbionti, infatti possono entrare in simbiosi con diversi organismi, ed in particolare
le due simbiosi fondamentali della microbiologia agraria sono:
• Micorrize→ Riguardano l’associazione di funghi con le radici delle piante.
In questo caso abbiamo la pianta che cede il carbonio organico al fungo, ed il
fungo che cede alla pianta nutrienti come l’azoto, il fosforo, l’acqua (il fungo
in pratica va ad ampliare la radice del vegetale perché diventa esso stesso
radice del vegetale) (le micorrize influiscono in maniera importante sulla
fertilità dei suoli).
• Licheni→ Riguardano funghi associati con alghe o cianobatteri.
190
Micorrize:

Pianta alla cui radice è associato un micelio fungino di funghi pluricellulari.


Questo micelio fungino diventa molto efficiente nell’assimilazione di nutrienti che
poi passano direttamente alla pianta. La pianta in cambio può dare al fungo
carbonio organico, perché le piante essendo fotoautotrofe trasformano la CO2 in
carbonio organico, che in parte trasuda dalle radici in una forma rapidamente
assimilabile (perché a livello radicale le piante producono una sostanza organica
costituita da carboidrati semplici, zuccheri, aminoacidi, quindi un carbonio
rapidamente disponibile ed immediatamente utilizzabile dagli organismi della
rizosfera. In questo senso il fungo micorrizico assimila questi zuccheri, ed in cambio
dà diversi nutrienti che riesce a trovare nel suolo ed anche l’acqua). (Le immagini
mostrano come appaiono le simbiosi micorriziche -abbiamo il microrganismo
fungino che interagisce in maniera molto stretta ed efficiente con la radice -).
Licheni:

I licheni sono delle associazioni simbiotiche di funghi con alghe o cianobatteri. I


licheni hanno un significato ecologico molto importante, infatti hanno tutta una loro
tassonomia, tutta una loro classificazione, nonostante siano costituiti da due
organismi diversi. Le alghe ed i cianobatteri essendo microrganismi fotosintetizzanti
ed autotrofi, hanno la possibilità di prendere la CO2 e trasformarla in carbonio
organico, mentre il fungo invece provvede per acqua, Sali minerali, e tutti i nutrienti
che riesce ad assimilare in maniera molto efficace con le ife. Di licheni ce ne sono
molti e diversi. Vanno a colonizzare rocce, fusti degli alberi, spesso si possono
trovare in superfici molto inospitali dove però il lichene è vincente, proprio perché è
l’associazione di due organismi che sono complementari da un punto di vista
nutrizionale (alga e cianobatterio che forniscono il carbonio organico, ed il fungo che
fornisce acqua e Sali minerali di cui alghe e batteri hanno necessità).

191
I PHYLA FUNGINI
I funghi sono classificati in 5 phyla.
La classificazione dei funghi viene realizzata in base a:
• Struttura
• Ciclo vitale→ diverso per i 5 phyla.
• Tipo di Ife Quindi in base al tipo di
• Tipo di spore micelio fungino.
• Modalità di riproduzione→ sessuale (come le spore sessuali vengono
prodotte), asessuale, o se sono entrambi presenti.
La classificazione è in accordo con una differenza genetica. Queste differenze di
struttura, di ciclo vitale, di tipologia di micelio, rispecchiano la differenza in termini
genetici di DNA.
È possibile costruire un albero filogenetico (i funghi sono collocati sull’albero
filogenetico della vita in una zona intermedia tra animali e piante (perché
effettivamente hanno delle caratteristiche che li accomunano a queste due tipologie
di organismi).
Se poi consideriamo soltanto i funghi, le loro caratteristiche genetiche consentono
di suddividerli in 5 phyla diversi.
Qui sono rappresentati solo 4 phyla, perché
il quinto phylum è un phylum “artificiale”.
I 4 phyla principali sono:
• Chytridiomycota
• Zygomycota
• Ascomycota
• Basidiomycota
I Chytridiomycota sono i primi che si sono evoluti, seguiti dagli Zygomycota, poi
Ascomycota ed infine Basidiomycota, perché analizzando le caratteristiche di questi
phyla si può proprio notare che queste man mano si evolvono (ad esempio le ife
sono settate nei funghi più evoluti -infatti Ascomycota e Basidiomycota hanno le ife
settate, mentre Chytridiomycota e Zygomycota hanno ife cenocitiche-).

192
Principali caratteristiche che differenziano questi phyla (immagini di caratteristiche
vicino al nome):
• Chytridiomycota→ hanno spore mobili dotate di flagello (caratteristica unica
di questi funghi, gli altri l’hanno persa nel corso dell’evoluzione).
• Zygomycota→ caratterizzati dagli sporangi che contengono le spore asessuali
e poi dalle zigospore (che invece sono le spore sessuali) (La riproduzione
sessuale prevede la formazione di zigospore all’interno di zigosporangi. Gli
zigosporangi si circondano di parete spessa).
• Ascomycota→ sono caratterizzati dalle ascospore e dagli aschi che
contengono le ascospore.
• Basidiomycota→ sono funghi molto evoluti. La loro caratteristica è l’aspetto
del corpo fruttifero. Producono le spore sessuali nei basidiocarpi (corpi
fruttiferi) ed in particolare nei basidii.
Quindi i Chytridiomycota sono i funghi meno evoluti, producono spore sessuali ed
asessuali mobili (sono dotate di flagelli posteriori).
Gli Zygomycota hanno delle spore sessuali rivestite da una parete molto spessa
(sono le zigospore).
Negli Ascomycota sia le spore sessuali che quelle asessuali vengono formate
all’interno di particolari strutture. Le spore sessuali sono collocate negli aschi.
I Basidiomycota hanno spore sessuali formate esternamente su una cellula detta
Basidio.
Il quinto phylum viene definito “phylum artificiale” ed è quello dei “Funghi
imperfetti”→ vengono definiti in questo modo, perché in questi funghi non è nota la
fase sessuale, per cui viene definito come gruppo “artificiale” (cioè deciso a tavolino)
composto da membri il cui ciclo vitale non è completamente riconosciuto (e questo
impedisce di definire una collocazione tassonomica).
I funghi imperfetti in realtà però hanno delle caratteristiche simili agli Ascomycota, e
quando il ciclo sessuale viene riconosciuto, solitamente rientrano negli Ascomiceti
(ma solo se viene poi riconosciuto). Quindi in generale sono funghi in cui non si
conosce la fase sessuale.
Chytridiomycota:
Sono funghi molto semplici. La filogenesi di questi funghi non è ancora
completamente risolta, cioè non si hanno tutte le informazioni filogenetiche su
questi funghi, perché non tutti sono stati coltivati (molti di questi sono incoltivabili).
Il nome “Chytridiomycota” deriva dal loro corpo fruttifero in cui sono raccolte le

193
spore sessuali, che si chiamano “zoospore” proprio perché sono dotate di flagello (il
quale consente a queste spore di muoversi).

Quando queste spore vengono rilasciate dal chitridio (struttura che contiene le
spore), possono migrare, proprio perché sono naturalmente prodotte in ambiente
acquatico od in suoli umidi, e quando trovano la collocazione ottimale possono
germinare. Queste spore possono germinare in strutture che raramente sono a
cellula singola, e invece più spesso in miceli.
La funzione ecologica delle zoospore è principalmente legata alla loro capacità di
degradare la sostanza organica come saprofiti, ma anche di parasitizzare animali, in
special modo gli anfibi. Infatti, i Chitridiomiceti sono molto dannosi per anfibi (in
particolare per le rane), dove vanno a formare nell’epitelio i chitridi, che sono dei
corpi fruttiferi dopo poi producono le zoospore dotate di flagello, e per questo
causano una patologia molto dannosa che ha portato all’estinzione di alcune specie
di anfibi.
Zygomycota:
Sono più evoluti dei Chytridiomycota. Sono tipici agenti di muffe sulle derrate
alimentari (quindi quando troviamo della frutta ammuffita o del pane ammuffito
normalmente sono degli Zygomycota).
Sono funghi da cui sono state ricavate documentazioni fossili molto antiche (questo
perché hanno una struttura che ha consentito la loro conservazione nel corso dei
secoli, per cui sono stati anche trovati in associazione a fossili).
La maggior parte sono funghi terrestri, quindi presenti nel suolo (nel suolo però
sono poco appariscenti, perché hanno una dimensione non paragonabile a quella
dei corpi fruttiferi dei Basidiomycota – si vedono solo quando producono
ammuffimento nelle derrate alimentari, oppure come parassiti-).

194
Questi funghi sono diffusi in diversi comparti ambientali:
• Ordine Mucorales→ sono saprofiti frequenti nel terreno e nelle deiezioni
(defecazioni, “scarti”) animali.
• Ordine Glomales→ appartengono la maggior parte delle micorrize arbuscolari,
che sono fondamentali per la fertilità del suolo. Facilitano l’assorbimento del
fosforo dal terreno per le piante.
• Ordine Entomophthorales→ sono parassiti di insetti (possono essere utilizzati
nella lotta biologica).

Manifestazione di uno Zygomycota (Rhizopus) sulle fragole. È un


tipico ammuffimento della frutta.

Manifestazione di Entomophtora (appartenente alle


Entomophtorales) che in questo caso ha parasitizzato un insetto.
Questi funghi causano i cosiddetti “insetti zombie”, che sono
insetti che il fungo tiene in vita il più possibile, perché il micelio
produce le spore con l’insetto in movimento, quindi questo lo
aiuta a diffonderle.

Clamidospore

Il micelio degli Zygomycota è un micelio cenocitico (sono funghi abbastanza antichi),


per cui abbiamo delle ife ramificate in cui possiamo notare che i nuclei delle cellule
non sono suddivisi in setti. Possono esserci anche alcune eccezioni in cui non
abbiamo un vero e proprio micelio, ma abbiamo una fase del fungo che può anche
svilupparsi in parte dentro l’insetto sottoforma di protoplasto (protoplasto significa
che non ha la parete esterna di chitina, quindi è senza parete). La parete, che è
comunque presente nella maggior parte dei casi, è costituita da chitina, che è il
polimero che normalmente rientra nella parete dei funghi. Gli Zygomycota sono
produttori di clamidospore (prodotte lungo il micelio), che sono delle spore asessuali
con una forma arrotondata ed una parete ispessita, che le rende molto resistenti.
195
Tuttavia, la modalità di moltiplicazione più comune è quella della produzione di
conidi endogeni all’interno di un conidiangio (o sporangio). La struttura del
conidiangio consiste in delle ife che si specializzano a formare agli apici delle
vescicole chiuse dotate all’interno di una struttura che si chiama columella.
La columella a maturità dei conidi si rigonfia richiamando acqua dall’esterno.
Il rigonfiamento causa la frattura dello sporangio e la liberazione dei conidi, che poi
vanno a colonizzare i materiali organici attigui, e quindi a sviluppare nuovo micelio.
• Rizoidi→ sono la parte del micelio nutrizionale,
che va ad assimilare i nutrienti nella matrice.
• Stoloni→ sono un collegamento con i
conidiangiofori attigui.
• Conidiangiofori→ sono delle ife che portano
all’estremità il conidiangio con all’interno dei
conidi.
Il conidiangio è molto ben visibile (è grande e globoso), ed al microscopio ottico è
molto caratteristico e riconoscibile.
Ci sono diversi ingrandimenti ed un’immagine
disegnata→ Si vede come si organizzano gli
Zygomycota quando vanno ad attaccare una
matrice. Abbiamo il micelio nutrizionale
immerso nella matrice, ed i conidiangiofori
con i conidiangi sono rivolti verso l’esterno.
A maturità liberano i conidi.
Si vedono sporangi che hanno ancora dentro i conidi e sporangi
che sono già andati in lisi ed hanno già liberato i conidi (residua
è rimasta la columella).

Basso ingrandimento in cui si vede la muffa sul pane, si vedono


gli sporangi.

Sporangio con columella e conidi. Deve ancora esplodere.

196
Sporangio che è già andato in lisi.

Riproduzione sessuata degli Zygomycota:


Abbiamo un microrganismo che durante tutto il suo ciclo vitale è aploide (n, cioè ha
un'unica copia cromosomica), tranne che nel momento della riproduzione.
Nella riproduzione sessuale abbiamo la fusione di due nuclei aploidi, che sono
posseduti da due gametangi. I due gametangi sono due ife di segno opposto (come
se fossero due sessi differenti), oppure del medesimo segno.
Quando sono di segno opposto vengono definite eterotalliche, mentre quando sono
dello stesso segno vengono definite omotalliche. Il segno è semplicemente un
fattore genetico.
L’omotallismo implica una vicinanza genetica, mentre l’eterotallismo indica ife che
hanno segno opposto (assimilabili a sessi opposti).
Dalla coniugazione dei due nuclei aploidi portati dalle ife (omotalliche od
eterotalliche) si va a formare la zigospora, che è una spora diploide (2n) (risultato
della riproduzione sessuale).
La zigospora è durevole, poiché ha dei rivestimenti che la rendono molto resistente
rispetto alle condizioni ambientali sfavorevoli. In condizioni favorevoli la zigospora
germina, e produce un’ifa, od un conidiangioforo andando a generare nuovo
micelio.
Schema molto semplice che spiega cosa implica la
riproduzione sessuale degli Zygomycota. Abbiamo
due ife (è indifferente che siano omotalliche od
eterotalliche -quindi che appartengano allo stesso
tallo oppure a talli diversi-) che si coniugano
mettendo in comune due nuclei aploidi, ed
andando a formare la zigospora.

La zigospora anche quando si separa dalle due


ife che l’hanno originata, può mantenere
associati i sospensori, che sono un residuo
delle spore che si sono coniugate.

197
Si vedono delle zigospore e due ife che si stanno coniugando per
andare a formare la zigospora.

Ascomycota:
Da un punto di vista del numero di generi e specie appartenenti, sono il phylum più
numeroso, perché comprende anche funghi che da un punto di vista morfologico
sono molto diversi (sia unicellulari che miceliare). I funghi che appartengono agli
Ascomycota hanno in comune la presenza di aschi.
I funghi unicellulari si chiamano lieviti (vengono chiamati anche blastomiceti) e
colonizzano ambienti ricchi di zuccheri (superficie dei frutti -Saccharomyces
cerevisiae-).
I funghi pluricellulari invece sono gli Ascomicota miceliari (chiamati anche eumiceti),
e sono principalmente saprofiti, ed infatti partecipano attivamente alla
degradazione dei residui vegetali nel suolo (cellulosa, lignina, amido).
Anche gli Ascomycota formano micorrize e licheni, ed in particolare appartenente
alle categorie delle micorrize degli Ascomycota abbiamo il genere Tuber (sono i
tartufi, che sono delle associazioni micorriziche tra funghi e piante).
Negli Ascomycota troviamo anche patogeni sia vegetali che dell’uomo.
Il micelio degli Ascomycota diversamente da quello degli
Zygomycota è un micelio settato (perché gli Ascomycota
sono più evoluti), cioè presenta dei setti che delimitano
i nuclei. I setti presentano dei canali per cui le cellule
possono comunque comunicare tra di loro.
Gli lieviti sono delle strutture unicellulari. In
quest’immagine viene rappresentato uno lievito
nell’atto della gemmazione (gli lieviti si moltiplicano per
gemmazione).

198
La parete del micelio degli Ascomycota è costituita da
chitina (polimero fondamentale nella parete dei funghi)
associata a glucani (nell’immagine si vedono anche i
canali di comunicazione tra i setti, che consentono il
passaggio di materiale cellulare da una cellula ad
un’altra).

La parete dei lieviti è sempre costituita da chitina, ma è


associata a glucani e mannani.

Aschi con
Conidi ascospore

Gli Ascomiceti pluricellulari attuano la moltiplicazione producendo dei conidi


all’apice delle ife (in immagine è rappresentato il genere Penicillium), mentre per la
riproduzione sessuale producono gli aschi, che sono delle strutture che all’interno
contengono le ascospore (contengono sempre 8 ascospore). Le ascospore sono il
risultato della riproduzione sessuale.

Esempi di alcuni Ascomycota pluricellulari (Aspergillus e Penicillium -in centro-), in


cui si vedono i conidi esogeni (perché non sono contenuti in nessuna struttura).
Il genere Aspergillus ha una vescicola sulla quale si attaccano le catene di conidi,
mentre nel caso di Penicillium abbiamo forma a pennello.
La riproduzione sessuale degli Ascomycota si basa sulla fusione di ife o di un conidio
maschile (a seconda dei vari Ascomycota) con un’altra ifa. L’ifa ricevente svolge il
ruolo di organo femminile, e viene definita “ascogonio”.
199
Da quest’ifa si andranno a creare delle strutture che andranno a proteggere e
rivestire l’ascogonio (proprio come la protezione del feto negli animali).
Abbiamo quindi una struttura che protegge il risultato della riproduzione sessuale.
All’interno, A partire dalla fusione di ife o del conidio maschile con questo organo
femminile, abbiamo un fenomeno di fusione dei nuclei e successivamente poi meiosi
e mitosi (così come avviene nella riproduzione sessuale degli altri organismi). Queste
successive meiosi e mitosi portano alla formazione di Aschi contenenti 8 ascospore
(le ascospore all’interno degli aschi sono sempre 8).
Gli aschi possono essere semplici
(immagine Sx), oppure riuniti
all’interno di strutture che li
proteggono.
In conclusione:
Abbiamo quindi la fusione delle ife o
di un conidio maschile con un’ifa
ricevente che svolge la funzione di
organo femminile. All’esterno di quest’organo femminile viene prodotta una
struttura di rivestimento e protezione, successivamente si vanno a creare delle
condizioni che inducono meiosi e mitosi successive fino alla formazione delle
ascospore all’interno degli aschi.

Gruppo di aschi “nudi” con all’interno le ascospore.

Una delle caratteristiche degli Ascomycota è quella di formare degli aschi


morfologicamente diversi, che quindi siamo in grado di riconoscere e di collocare
tassonomicamente in gruppi differenti, proprio perché gli aschi sono organizzati in
maniera differente. Quindi a seconda che gli aschi siano nudi, oppure riuniti e
raggruppati in strutture che si chiamano “ascocarpi”, ed a seconda della loro
morfologia (dell’ascocarpo o degli aschi), si va classificare gli Ascomycota.
Funghi imperfetti:
Indicano l’assenza o la rarità che non consente un’identificazione della parte del
ciclo vitale dedicata alla riproduzione sessuale. Come habitat abbiamo sia dei
saprofiti comuni nel terreno e nelle superfici dei vegetali, sia dei deterioranti delle
200
derrate alimentari, ma anche dei funghi fitopatogeni e nematodi (es: Fusarium
oxysporum, coinvolto in marciumi radicali, che sono particolarmente dannosi).
Penicillium ed Aspergillus come generi compaiono anche nei funghi imperfetti,
perché i funghi imperfetti per la maggior parte, quando si identifica la loro fase
sessuale, hanno poi tutte le restanti caratteristiche legate agli ascomiceti (quindi i
funghi imperfetti per la maggior parte sono degli ascomiceti a cui manca la parte
sessuale oppure non è stata semplicemente ancora identificata).
I funghi imperfetti compiono quindi solo moltiplicazione, ed essendo molto simili
agli Ascomycota, hanno una moltiplicazione del tutto simile. Quindi dei conidi
esogeni che vanno a formare delle strutture come negli Ascomycota.
Abbiamo delle ife che al loro apice portano delle catene di conidi caratteristiche del
genere Aspergillus oppure del genere Penicillium.
La moltiplicazione avviene quindi mediante conidi esogeni formati per estrusione a
partire da una cellula detta fialide (o cellula candidiogena) (questo per il genere
Aspergillus e genere Penicillium). Le ife che portano in conidi (dette conidiofori)
possono essere semplici, ramificate o formare un fascio (Come Ascomycota)

Nel caso di Penicillium abbiamo uno stelo, poi delle metule che vengono portate
esternamente allo stelo e delle fialidi, che possono essere in numero variabile (sia
fialidi che metule possono essere in numero variabile) e ci consentono di distinguere
i vari tipi di Penicillium.

(Queste
immagini
sono di
Aspergillus)

201
Diversi tipi di Aspergillus hanno caratteristiche un
po' diverse, e possono essere riconosciuti
facilmente al microscopio ottico in base alla
struttura del conidioforo, dalla vescicola portata
dal conidioforo e dagli sterigmi, che sono delle
strutture che portano le catene di conidi.
Nel caso dei funghi, qualsiasi sia il phylum fungino che consideriamo, abbiamo la
possibilità di riconoscere al microscopio queste caratteristiche che ci consentono un
riconoscimento anche solo parziale (nei batteri e negli Archaea questo non è
possibile).
Basidiomycota:
Sono molto importanti nei suoli forestali. Sono saprofiti che sono in grado di
degradare cellulosa, emicellulose e lignina (polimero molto difficile da degradare,
che viene degradato principalmente dai basidiomiceti). Sono presenti nel suolo, nei
sistemi di compostaggio ed in molte matrici dove abbiamo del materiale organico da
degradare.
Alcuni sono patogeni di latifoglie (Armillaria mellea), oppure altri possono essere
partner fungini in ectomicorrize (associazione un po' meno importante rispetto alle
micorrize arbuscolari) (genere Amanita e genere Boletus).
Struttura dei Basidiomiceti→ Si ha un micelio
sotterraneo (micelio nutrizionale) per mezzo del quale
il fungo va a procurarsi il carbonio organico disponibile
degradando la sostanza organica presente. Si ha poi
un micelio aereo dedicato alla diffusione delle spore
sessuali mediante i Basidiocarpi.
Il micelio presenta ife settate (sono i più evoluti).
La parete dei basidiomiceti pluricellulari è costituita da chitina e glucani.
Anche in questo caso alcune specie sono lieviti, che presentano una parete
costituita da chitina e mannani.
Glucani e mannani sono zuccheri, ma hanno caratteristiche diverse tra di loro.
Per quanto riguarda la modalità di moltiplicazione,
non abbiamo una frequente produzione di spore
asessuali, ma più spesso abbiamo la diffusione del
micelio, cioè il micelio principalmente diffonde per
crescita apicale. Raramente vengono prodotte spore
202
asessuali, e quando vengono prodotte queste rientrano nella categoria delle
artrospore e delle clamidospore.
La riproduzione sessuale deriva dalla fusione di due ife che devono appartenere a
due ceppi geneticamente compatibili (noi non faremo i fattori genetici che
determinano la compatibilità). Abbiamo due nuclei parentali aploidi che si
moltiplicano e poi si fondono in nuclei diploidi. Tuttavia, soltanto in risposta a
induttori ambientali abbiamo la formazione del basidiocarpo.
I basidiomiceti che diffondono sempre continuamente per crescita apicale del
micelio, in risposta ad induttori ambientali differenziano il basidiocarpo, a livello del
quale vengono differenziati i basidii, che servono per produrre le basidiospore, che
sono il risultato della fusione di ife di ceppi compatibili.
Le basidiospore verranno poi disseminate dalla pioggia, dal vento o dagli animali.
a→abbiamo due basidiospore che sono
state liberate in precedenza.
Le basidiospore germinano nel suolo,
producono il micelio (lettere b,c,d), su
questo micelio si verifica poi una
riproduzione mediante la fusione di nuclei
aploidi (e), che vanno a formare poi il
basidiocarpo (corpo fruttifero, lettera f), il
basidiocarpo produce i basidii, e all’apice
dei basidii vengono prodotte le
basidiospore, che verranno poi liberate
nel suolo e germineranno a formare
nuovo micelio.
Tipica morfologia di alcuni
basidiocarpi, ce ne sono di molte
tipologie diverse (morfologie e colori
diversi). I colori dei basidiocarpi non
sono dovuti alla presenza di pigmenti
fotosintetici, ma semplicemente a
pigmenti che proteggono il
basidiocarpo dalla radiazione
ultravioletta.

203
Blastomiceti (o lieviti):
Appartengono agli Ascomiceti ed ai Basidiomiceti.
Ciò che possiamo notare subito al microscopio dei basidiomiceti sono le morfologie.
Infatti, nonostante i diversi lieviti siano unicellulari, hanno delle caratteristiche
morfologiche in più rispetto ai batteri che ci aiutano nel riconoscimento.
La dimensione dei lieviti rispetto ai batteri è maggiore (quindi siamo in grado di
distinguere uno lievito da un batterio al microscopio perché è sostanzialmente più
grande).
Possono avere forma:
• Rotonda
• Ellittica (Saccharomyces cerevisiae)
• Allungata
• Bastoncellare
• Limoniforme
• Triangolare

Le morfologie dei lieviti sono differenziate, e


per questo siamo in grado di distinguerli
abbastanza bene.

Gli lieviti si moltiplicano per gemmazione (detta anche blastogenesi)→ si ha


l’emissione di un’appendice alla cellula madre, che poi sfocia nella produzione di
una gemma, che poi ad un certo punto diventerà indipendente dalla cellula madre.
Si vede la cellula madre (in alto) che ha concluso la
produzione di una gemma, che si sta staccando
rendendosi indipendente dalla cellula madre, ma che ne
sta già producendo un’altra. Questo quindi è
evidentemente uno lievito in attiva fase di crescita (questo
è sempre comunque per la riproduzione asessuale).

Pseudomicelio

204
Nella riproduzione sessuale, gli lieviti
producono delle spore sessuali,
comportandosi come dei gameti. Due
cellule di lievito in risposta a stimoli
ambientali (quando ad esempio
abbiamo degli lieviti che fanno
fermentazione e respirazione aerobia
-come Saccharomyces Cerevisiae- è
necessario che sia presente ossigeno,
cioè che il lievito si trovi nella
situazione in cui sta facendo
respirazione aerobia), quando c’è
abbastanza energia disponibile, si comportano come gameti, si uniscono, fondono i
due nuclei andando a formare un nucleo singolo, a seguito del quale, grazie a
fenomeni successivi di meiosi e mitosi (di cui noi non entriamo in merito) si vanno a
generare delle ascospore, per cui lieviti che si sono comportati da gameti si fondono
insieme a formare un asco (questo è l’esempio degli lieviti appartenenti agli
ascomiceti, per quelli appartenenti ai basidiomiceti, il processo è simile).
Quindi quando gli lieviti svolgono riproduzione sessuale, si comportano come se
fossero dei gameti, ma la riproduzione sessuale dei lieviti è sempre in risposta a
determinanti ambientali molto specifici, altrimenti gli lieviti germinano.

205
DISTRIBUZIONE DEGLI ORGANISMI, INTERAZIONI E CICLI
BIOGEOCHIMICI
DISTRIBUZIONE DEI MICRORGANISMI E BIOFILM
I microrganismi (in termini di batteri, archaea e funghi), si trovano sostanzialmente
in tre comparti dell’ecosfera:
• Atmosfera→ aria
• Idrosfera→ ambiente acquatico
• Litosfera→ suolo
All’interno di questi tre comparti, i microrganismi possono essere:
• Autoctoni→ originati nel determinato ecosistema che stiamo considerando.
• Alloctoni→ trasportati nell’ecosistema a partire da ecosistemi differenti.
Nell’atmosfera il trasporto dei microrganismi avviene per mezzo delle correnti di
alta quota, mediante le quali i microrganismi possono essere trasportati come
cellule (nel caso di batteri e archaea), oppure come spore fungine, adesi su
microparticelle di polveri, polline ed umidità.
Atmosfera:
Per quanto riguarda il trasporto attraverso le correnti dell’atmosfera, l’interesse per
lo studio dei microrganismi è prevalente per quanto riguarda lo studio dei patogeni
(perché il trasporto dei patogeni in atmosfera è effettivamente un pericolo).
Tuttavia, questo tipo di studio è difficoltoso perché richiede delle modalità
tecnicamente complicate.
Idrosfera:
Si parla di:
• Acque superficiali→ sono le acque superficiali sia dolci che marine.
A loro volta si distinguono in:
- Ecosistemi acquatici lotici→ sono le acque correnti (ruscelli, fiumi) (tutte
le acque in movimento).
- Ecosistemi acquatici lentici→ sono gli ecosistemi in cui le acque sono
ferme, e si può identificare una stratificazione.
Questa stratificazione fa sì che le acque siano complesse da un punto di
vista microbico, proprio perché le caratteristiche sono variabili a
seconda della profondità (a seconda della profondità sono diversi i
nutrienti e le condizioni ambientali -ad esempio condizioni termiche,
206
infatti a volte troviamo strato con acqua più fredda e strato con acqua
più calda-).
Le stratificazioni sono dovute a fenomeni fisico-chimici e di densità
differente dell’acqua (questo a causa della diversa temperatura).
La stratificazione può riguardare anche condizioni nutritive, oppure
anche condizioni di pH e di tutti gli altri parametri ambientali che
abbiamo trattato in precedenza.
Le stratificazioni possono variare a seconda delle stagioni, possiamo
quindi avere un rimescolamento degli strati, soprattutto da un punto di
vista termico (dovuto al fatto ad esempio che il Sole irradia la superficie
acquatica, e per via della diversa densità dovuta al fatto che l’acqua sia
calda o fredda, può verificarsi un rimescolamento).
Un’altra distinzione tra le acque lentiche si può definire con i:
- Laghi eutrofici→ sono ecosistemi in cui sono presenti tanti nutrienti
- Laghi oligotrofici→ sono ecosistemi in cui i nutrienti sono pochi, ed i
microrganismi che vi si sviluppano, sono abituati a condizioni di bassa
concentrazione di nutrienti e basse concentrazioni di donatori ed
accettori di elettroni.
Tra gli ecosistemi acquatici lentici, abbiamo anche le zone umide,
ovvero le paludi, in cui abbiamo l’interazione tra idrosfera, piante e
litosfera (suolo).
• Acque sotterranee→ sono le falde acquifere.
Litosfera (suolo):
Anche la litosfera presenta delle stratificazioni.
L’immagine mostra una schematica rappresentazione del
profilo di un suolo (un profilo di suolo è la successione
delle stratificazioni di suolo a partire dalla superficie fino
alla roccia madre -roccia da cui il suolo ha origine-).
Un profilo di suolo è suddiviso in diversi orizzonti (termine
con cui si definiscono le stratificazioni), e la loro
definizione è importante dal punto di vista microbiologico,
perché i microrganismi vi si andranno a distribuire in
maniera diversa.
Questo perché negli Orizzonti superficiali abbiamo tanta
sostanza organica, dovuta principalmente all’azione
vegetale, mentre negli orizzonti un po' più profondi (ma
pur sempre considerati superficiali) abbiamo le radici, che
207
hanno anch’esse un’influenza sui microrganismi.
Man mano che andiamo in profondità troviamo condizioni sempre più differenti
rispetto alla sostanza organica, perché negli orizzonti più profondi questa è meno
presente, quindi avremo degli organismi che nei suoi confronti sono più indifferenti.
Quindi rispetto ad un profilo di suolo, mi aspetto che ci siano più microrganismi negli
orizzonti superficiali, rispetto agli orizzonti più profondi.
Inoltre, mi aspetto anche che la distribuzione dei funghi sia prevalente negli strati
superficiali (perché i funghi hanno necessità di sostanza organica -eterotrofi-, quindi
si possiamo che via via negli orizzonti più profondi avremo microrganismi
prevalentemente autotrofi, o che comunque non hanno grande necessità di
sostanza organica).
Le proprietà chimico-fisiche ed i cosiddetti “microhabitat” per i microrganismi
variano al variare della profondità del suolo, quindi non sono gli stessi (per cui se io
voglio capire quanti microrganismi ci sono in un suolo, devo comunque
preoccuparmi di andare ad adattare questa misura nei diversi orizzonti -Perché nei
diversi orizzonti ci saranno quantità e tipologie diverse di microrganismi-).
Nel suolo oltre ad una distribuzione verticale dei profili, abbiamo anche una
distribuzione dei microrganismi, che risente anche della variabilità spaziale dei
nutrienti. I microrganismi sono molto piccoli (ordine del micron), per cui una zona di
suolo (un aggregato di suolo) in cui c’è una maggiore concentrazione di un certo
nutriente, andrà a definire un habitat nel quale si svilupperanno certi microrganismi,
e magari in una zona molto vicina, quel nutriente sarà meno concentrato e si
svilupperanno altri microrganismi magari anche differenti dai vicini.
Il punto è che i nutrienti presenti nei microambienti del suolo vanno a definire i tassi
di crescita e le caratteristiche dei microrganismi che si andranno a sviluppare.
Si moltiplicheranno i microrganismi che troveranno le condizioni migliori per la loro
crescita, ma queste condizioni non sono distribuite in maniera omogenea nel suolo,
in quanto possiamo avere una distribuzione disomogenea dei nutrienti e delle
condizioni (in pochi centimetri di distanza, essendo i microrganismi molto piccoli, noi
potremmo avere diversi microhabitat con diversi microrganismi).
Diffusione dell’ossigeno in una particella di
suolo (esperimento in cui mediante
microelettrodi sono state misurate le
concentrazioni di ossigeno in una
microparticella di suolo)→ In questa particella
di suolo del diametro di 12 mm, abbiamo delle
concentrazioni di ossigeno molto diverse. Sulla
superficie abbiamo un 21% di ossigeno (uguale
208
alla concentrazione di ossigeno presente in atmosfera), mentre man mano che ci
addentriamo, abbiamo uno strato in cui l’ossigeno diventa del 15%, poi del 10%, poi
del 5% e poi 0%.
Quest’immagine ci dice che anche in un range dimensionale molto piccolo,
l’ossigeno può trovarsi a concentrazioni anche molto diverse.
Quindi all’interno di questa particella di suolo si potranno sviluppare nella parte più
interna delle microflore anaerobie, e via via andando verso l’esterno microflore
sempre più aerobie (quest’immagine quindi ci fa capire quanto all’interno di un
suolo possiamo avere condizioni disomogenee in termini di ossigeno -ciò vale
comunque anche per i nutrienti-) (uno spazio molto molto piccolo può dare
opportunità di sviluppo a microrganismi anche molto diversi).
Biofilm:
Le popolazioni microbiche all’interno delle
particelle di suolo (che siano aggregati,
microaggregati, macroaggregati – per
definizione si rimanda ad altri corsi-) si
sviluppano prevalentemente sottoforma di
biofilms→ i biofilms sono aggregati di cellule
microbiche che si sviluppano in punti specifici
dove ci sono le condizioni adatte al loro sviluppo.
I biofilm sono degli aggregati di cellule diverse dalle cosiddette “planktonic cells”
(cellule singole), le quali si trovano raramente nei suoli o sulle superfici, perché in
questi luoghi i microrganismi tendono ad aderire e ad aggregarsi. I microrganismi
mantengono quest’aggregazione producendo dei polisaccaridi che ancorano le
cellule alle superfici ed alle altre cellule.
La produzione di questi polisaccaridi e l’adesione alle superfici, favoriscono la
comunicazione tra le cellule (comunicazione mediata da segnali biochimici), la quale
ha un ruolo decisamente rilevante nella costruzione e nell’organizzazione delle
comunità di microrganismi.
I biofilms possono contenere molti tipi diversi di microrganismi, ed all’interno di un
biofilm ogni gruppo svolge una funzione metabolica specifica.
Solo in alcune particolari condizioni si sviluppano biofilm monospecifici (biofilm in
cui è presente un’unica specie), i quali solitamente sono prevalenti nella
microbiologia medica (perché di solito sono patogeni), mentre nella microbiologia
ambientale ed agraria i biofilm sono solitamente costituiti da specie diverse.

209
Biofilm fotografato a microscopio elettronico→ Le
cellule microbiche sono ingabbiate e protette da una
matrice polisaccaridica (è come una pellicola che le
avvolge). Questa struttura si forma via via che le cellule
aderiscono alle superfici, e visto che trovano un
ambiente adeguato al loro sviluppo (in caso ci siano
tutte le condizioni ambientali necessarie), iniziano a
moltiplicarsi ed a produrre il biofilm stesso (si vedono
anche delle cellule che si stanno moltiplicando).
Biofilm che possiamo osservare sulle statue esposte all’esterno
degli edifici→Sono ricoperte da una pellicola verde che va a
proteggere i microrganismi inclusi all’interno.
Biofilm in ambiente acquatico→questa è un’acqua in
movimento (ecosistema lotico). Si può vedere sulle rocce la
formazione di “gelatine” verdi (contengono cianobatteri ed
alghe che sfruttano l’energia solare per fare fotosintesi.
All’interno del biofilm si creeranno anche delle condizioni per cui
non ci saranno solo cianobatteri ed alghe, ma anche altri
microrganismi).
Da un punto di vista medico, un esempio di biofilm è la placca batterica sui denti.
Quindi i biofilm sono aggregati di cellule molto diverse, che assumo caratteristiche
diverse a seconda dell’ecosistema in cui andranno a svilupparsi.
Quorum sensing:
È la modalità con cui le cellule comunicano all’interno dei biofilm.
In particolare, è il processo mediante il quale grazie ai fenomeni di comunicazione,
vengono regolate le densità di popolazioni all’interno dei biofilm stessi.
Questi stimoli chimici che le cellule si scambiano vengono proprio detti quorum
sensing (molecole quorum sensing, queste molecole possono essere molto diverse,
possono essere piccoli frammenti di acidi nucleici o degli amminoacidi, ma anche
delle sostanze che sono molto simili a quelle che si scambiano le cellule del nostro
organismo. In generale sono molecole che diffondono nel biofilm e servono per
regolarne la densità).
Quando un segnale chimico emesso dalle cellule raggiunge un certo livello, le
informa che si è raggiunta una certa densità, quindi la comunità microbica presente
nel biofilm è soggetta a cambiamenti fenotipici (ad esempio il biofilm può
disgregarsi e colonizzare altre superfici).

210
Rappresentazione schematica della
modalità di adesione delle cellule e di
modificazione del biofilm→ Le cellule che
in uno stadio iniziale sono planctoniche,
raggiungono un comparto del suolo o
dell’acqua, dove trovano una superficie
adatta su cui svilupparsi. Iniziano quindi a
moltiplicarsi, ad ingrandire il biofilm, e a
emettere le sostanze all’esterno (sono le
stesse sostanze che costituiscono i
rivestimenti delle cellule batteriche).
Le cellule continuano a moltiplicarsi
ingrandendo il biofilm, mentre allo stesso tempo emettono segnali quorum sensing.
Quando questi segnali raggiungono una certa densità, è indicazione che il biofilm
non è più sufficiente a sostenere la moltiplicazione, ed a fornire i nutrienti per tutte
le cellule. A questo punto quindi il biofilm andrà in lisi, per cui alcune cellule
verranno liberate ed andranno a colonizzare altre superfici, il biofilm tenderà in
questo modo ad ingrandirsi ed a svilupparsi.
INTERAZIONI TRA MICRORGANISMI
I microrganismi interagiscono tra di loro nell’ambiente.
Quando i microrganismi (che siano batteri archaea o funghi) interagiscono tra di
loro, possono portare alla modificazione della composizione della comunità.
Questo perché una popolazione più forte (perché ad esempio ha un catabolismo più
efficiente) andrà a prevalere su un’altra andando a consumare tutti i nutrienti.
Il fatto che all’interno di questi aggregati, dei biofilm, ci siano dei microrganismi
diversi, e che ci siano delle interazioni tra di loro, favorisce il fenomeno di scambio
genico in cui i microrganismi, che sono aggregati all’interno della stessa componente
del suolo, possano scambiarsi del DNA, e mediante fenomeni di trasformazione,
trasduzione o coniugazione, possano anche portare all’evoluzione di nuovi genotipi.
L’interazione tra microrganismi va anche ad influire sulla componente abiotica,
perché spesso come suo risultato, abbiamo un effetto di modificazione del pH, o
comunque in generale di una determinata condizione ambientale dell’ecosistema
(viene proprio indotta dall’interazione tra microrganismi) (ad esempio un certo
microrganismo consuma un certo nutriente perché lo utilizza come fonte di energia,
conseguentemente produce una certa sostanza come risultato del suo metabolismo,
e ci sarà un’altra popolazione che utilizzerà a sua volta questa sostanza come fonte
di energia). Quindi il risultato è che le condizioni ambientali sono definite dall’effetto
211
dei microrganismi che a sua volta è conseguenza delle loro interazioni (un fattore
che ne può essere influenzato è ad esempio la fertilità del suolo).
La somma delle attività che costituiscono una comunità od un biofilm, non
corrisponde alle singole attività che metterebbero in pratica le colture pure→ quindi
anche se io ho in coltura pura tutti i tipi di microrganismi che sono all’interno di una
comunità ambientale, non riesco a simulare in laboratorio le interazioni che questi
presenterebbero tra di loro. Questo perché le interazioni sono molto complesse da
studiare dato che tanti microrganismi sono incoltivabili, ed inoltre più in generale un
microrganismo in laboratorio in coltura pura non si comporterà mai come si
comporterebbe nell’ambiente naturale, nel biofilm, nella comunità in cui si trova
naturalmente.
Le interazioni non sono per forza stabili, cioè possono essere dinamiche e mutare→
ad esempio nel corso delle stagioni, perché magari abbiamo una popolazione che è
favorita da un incremento di temperatura, ed un'altra popolazione che ne è invece
sfavorita. Quindi anche il susseguirsi delle condizioni termiche o magari anche
idriche del suolo, fa si che queste interazioni possano cambiare nel tempo.
Le interazioni possono essere:
• Positive→ due microrganismi ricavano entrambi un guadagno dall’attività
congiunta.
• Negative→ quando una popolazione ha la meglio su un'altra (una specie ha la
meglio su un’altra) e quindi l’organismo più debole ha condizione negativa.
Le interazioni microbiche hanno una pesantissima influenza anche sui processi
tecnologici (Ad esempio nei processi fermentativi che portano alla produzione di
vino e formaggio, si tiene molto ben presente l’interazione tra microrganismi,
perché in entrambi i casi ci saranno dei risultati metabolici dovuti al fatto che non
abbiamo un unico microrganismo che agisce, ma ne abbiamo diversi).
Lo studio della microbiologia agraria ambientale, ma anche della microbiologia degli
alimenti, riguarda lo studio di comunità e non di singoli microrganismi (proprio
perché il singolo microrganismo può darci informazioni sulle sue caratteristiche, ma
quando andiamo a studiare il risultato dell’azione microbica, ci dobbiamo spesso
preoccupare di come il microrganismo si comporterà in relazione con gli altri, quindi
andiamo a studiare le comunità e le relazioni dinamiche che vi intercorrono -
relazioni che cambiano nel tempo in base ad esempio alla disponibilità di nutrienti
od al cambiamento termico-).

212
Abbiamo poi delle associazioni che rispetto alle caratteristiche delle popolazioni od
alle caratteristiche dell’ambiente possono essere:
• Obbligate→ i microrganismi si ritrovano a dover obbligatoriamente interagire
tra di loro.
• Facoltative→ i microrganismi si trovano ad interagire soltanto quando si
verificano particolari condizioni, cioè quando l’ambiente e la popolazione
sono nella giusta condizione per interagire.
Ectosimbiosi→ relazione molto stretta che si instaura tra due individui che però non
interagiscono tra loro in maniera “fisica”.
Endosimbiosi→ un organismo può addirittura entrare in un altro per espletare la
relazione di simbiosi.
Interazioni positive:
• Mutualismo→ il mutualismo è un’interazione positiva nella quale entrambe le
popolazioni (od entrambe le specie) ne traggono vantaggio. Un esempio è
quello dovuto all’interazione tra Bejierinckia lacticogenes e Thiobacillus
ferroxidans. Bejierinckia è in grado di fissare l’azoto, e quindi di rendere
disponibili grandi quantità di azoto (nutriente fondamentale) e Thiobacillus
ferroxidans invece è capace di fissare la CO2 (perché un microrganismo
autotrofo) e di produrre carbonio organico (provvede a fornire carbonio).
Quando abbiamo in coltura mista Thiobacillus ferroxidans e Bejierinckia
lacticogenes crescono molto di più.
Nel grafico si vede la crescita di questi
microrganismi in termini di concentrazione di
rame (Questi microrganismi insieme
contribuiscono al rilascio di rame solubile a
partire dalle rocce di rame). Quest’associazione
tra questi due microrganismi viene anche
sfruttata nell’industria estrattiva.
Separatamente questi microrganismi crescono
poco, mentre insieme crescono tanto, e come
risultato aumentano la concentrazione di rame
solubile in soluzione, e quindi possono essere
sfruttati per questa tecnologia.

213
Un altro esempio è un’interazione che si
chiama “Chlorochromatium
aggregatum” la quale è un vero e
proprio consorzio in cui il mutualismo è
molto evidente, perché si associano due
tipi di microrganismi→ un batterio che
produce acido solfidrico e dei batteri
verdi fotosintetici che invece lo
utilizzano, ed in cambio, grazie alla loro
azione fotosintetica, forniscono
carbonio. (la grande cellula viola è del
batterio che produce acido solfidrico,
mentre le cellule più piccole di batteri
fotosintetici anossigenici sono quelle verdi -con la loro attività fotosintetica
riescono a cedere il carbonio organico che ne deriva -che riescono a fissare--)
Questa simbiosi mutualistica ha una sua nomenclatura→ cioè questi
microrganismi sono talmente tanto associati in natura, che hanno una loro
nomenclatura e vengono definiti come se fossero un organismo unico vero e
proprio.
• Sempre tra le interazioni positive, abbiamo un’interazione che si chiama
“Sintrofia” che viene detta in maniera più generale “Protocooperazione”, che
è un’associazione occasionale non obbligata, almeno per uno dei due
microrganismi, in cui due organismi si “mettono insieme” ed il risultato di ciò
è quello di compiere una certa attività metabolica→ Ad esempio ci sono
batteri che liberano idrogeno molecolare (H2) che altri microrganismi
consumano (ovvero i metanogeni) per cui se l’idrogeno molecolare non fosse
consumato, andrebbe ad inibire lo stesso metabolismo dell’organismo che lo
produce. Quindi Syntrophomonas è un microrganismo che libera idrogeno
molecolare, il quale ha uno sviluppo dovuto al fatto che ci sono degli
organismi che consumano il suo prodotto di reazione (il prodotto del suo
catabolismo). Se il prodotto del suo catabolismo non venisse consumato,
questo microrganismo ne verrebbe inibito.
Quindi grazie alla reazione di Sintrofia, per la quale ci sono degli archaea
metanogeni che consumano questo idrogeno molecolare, Syntrophomonas si
può sviluppare→ è quindi necessaria la presenza di organismi che consumano
l’idrogeno molecolare, affinché questo microrganismo possa portare avanti il
proprio metabolismo (questo è un esempio di protocooperazione o sintrofia,
in cui organismi agiscono in sinergia, altrimenti uno dei due verrebbe inibito).
214
• Un altro tipo di interazione positiva è il “commensalismo”→ porta vantaggio
per uno solo dei due microrganismi.
Un esempio è Nitrosomonas che
produce azoto in forma di nitrito,
che il Nitrobacter utilizza per
produrre nitrato. In questo caso il
commensalismo è vantaggioso
solamente per Nitrobacter e non
per Nitrosomonas. Nitrosomonas
è indifferente a Nitrobacter
(Nitrosomonas prende in ogni
caso l’ammonio, lo utilizza come fonte di energia, e lo ossida a nitrito.
Nitrobacter però se non ci fosse Nitrosomonas non avrebbe abbastanza
nitrito per portare avanti il proprio metabolismo).
Interazioni negative:
• Competizione→ la competizione nella microbiologia agraria ha un’enorme
importanza, in quanto ha molta influenza sulla composizione e sull’evoluzione
delle comunità microbiche nei suoli. Questo perché tanti microrganismi non
trovandosi in coltura pura (dove i microrganismi hanno libero accesso ai
nutrienti), possono trovarsi in un ecosistema (ad esempio nel suolo) dove
magari sono presenti due organismi che hanno necessità di utilizzare lo stesso
nutriente. Per questo motivo competono. La competizione può anche
riguardare la luce o la disponibilità di acqua. Si può verificare una
competizione:
- Interspecifica→ tra specie diverse
- Intraspecifica→ all’interno di una stessa specie, tra ceppi diversi
La competizione si verifica quando ci sono
microrganismi con potenzialità metaboliche
diverse, che sono quindi più o meno attivi dal
punto di vista energetico. Conseguentemente uno
è più competitivo dell’altro→esempio in cui si
prende in esame Escherichia coli da solo od in
miscela con Staphilococcus aureus→E. Coli è un
batterio con un metabolismo molto efficiente (si
moltiplica una volta ogni 20 minuti), mentre
Staphilococcus aureus è un po' più lento. Se
analizziamo la loro curva di crescita nel caso in cui
215
li prendiamo singolarmente possiamo notare che escherichia coli sia da solo
che in miscela cresce nella stessa identica maniera, mentre Staphilococcus
aureus da solo cresce con una crescita esponenziale abbastanza buona,
mentre quando è con E. Coli ha una crescita esponenziale molto più ridotta e
non raggiunge un elevato numero di cellule. Questo perché E.coli è più
competitivo, quindi quando li coltiviamo nella stessa coltura in presenza degli
stessi nutrienti, “vince” andando ad inibire la presenza di S. Aureus, al quale
sottrae nutrienti.
• Parassitismo→ è molto frequente nel suolo, riguarda un’interazione tra
microrganismi, per la quale uno trae vantaggio dall’altro. In particolare, molti
funghi sono parassiti, in quanto possono parasitizzare sia dall’esterno
(ectoparassiti) che dall’interno (endoparassiti) (ectoparassiti ed endoparassiti
sono anche altri parassiti, non solo i funghi) organismi più grandi per andare a
procurarsi il carbonio organico. In generale in natura esistono parassiti:
- Obbligati→sono necessariamente costretti a parasitizzare un altro
organismo
- Facoltativi→talvolta si comportano da parassiti, ma in assenza
dell’ospite possono anche comportarsi da saprofiti (quindi utilizzare
altri nutrienti).
Esempi di organismi fungini
parassiti→Insetti zombie (fungo
colonizza l’insetto, ed una volta che ha
esaurito le fonti nutritive al suo
interno, produce i corpi fruttiferi che vengono così veicolati dall’ospite) e
parassiti vegetali (formazioni fungine di basidiocarpi sui tronchi).
• Predazione→ è a carico dei protozoi.
I protozoi si nutrono prevalentemente di
batteri. I batteri vengono regolati nel
suolo e nell’acqua. Il protozoo nutrendosi
di batteri va a regolarne il numero. I
protozoi predano i batteri perché se ne nutrono (li fagocitano). I protozoi sono
organismi eucarioti che solitamente si trovano distribuiti nel suolo e nelle
acque.

216
CICLI BIOGEOCHIMICI - CICLO DEL CARBONIO I
I microrganismi svolgono dei ruoli importantissimi negli ecosistemi, in quanto con la
loro attività, sono in grado di cambiare le caratteristiche fisico-chimiche dei
microhabitat che colonizzano.
Una funzione importante che svolgono, è il riciclo di sostanze organiche ed
inorganiche, che risulta nei cicli biogeochimici.
I cicli biogeochimici coinvolgono tutti gli elementi della tavola periodica, di cui i più
importanti sono carbonio, azoto e fosforo (legati ai macronutrienti).
I cicli biogeochimici implicano il cambiamento dello stato di ossidazione, quindi del
numero di ossidazione degli elementi, grazie al fatto che i microrganismi utilizzano le
sostanze, ossidandole e riducendole, utilizzandole come donatori ed accettori di
elettroni, e quindi consentendo agli elementi di svolgere dei cambiamenti redox che
hanno come conseguenza il movimento ciclico di questi tra i diversi comparti
dell’atmosfera. Anche la sostanza organica e le molecole organiche possono
cambiare (ad opera dei microrganismi) e liberare nutrienti che si muovono tra i
comparti.
Le trasformazioni che riguardano i cicli biogeochimici sono:
• Abiotiche
• Biotiche
Infatti, li chiamiamo “biogeochimici” proprio perché hanno sia aspetti legati alla
biologia (i microrganismi), sia aspetti legati alle trasformazioni chimico-fisiche.
L’andamento ciclico di un elemento all’interno del suo rispettivo ciclo implica la
trasformazione dell’elemento stesso (che riguarda ad esempio il passaggio da un
microrganismo che utilizza un certo nutriente (elemento) come prodotto,
trasformandolo in substrato, che verrà poi a sua volta utilizzato da un altro
microrganismo fino alla rigenerazione del prodotto iniziale) (il prodotto di una
reazione è substrato di quella successiva fino a rigenerazione del prodotto iniziale).
Cambiare lo stato di ossidazione di un elemento e far sì che si muova da un
comparto all’altro significa:

217
• Trasformarlo da minerale ad organico, o da organico a minerale (le piante
prendono la CO2 e la trasformano in carbonio organico. Poi i microrganismi
utilizzano la sostanza organica per mezzo della respirazione, e producono di
nuovo CO2)
• Trasformarlo da ossidato a ridotto, o da ridotto a ossidato
• Renderlo da immobilizzato a disponibile (mobilizzazione) o da disponibile ad
immobilizzato (quando parliamo di microrganismi che assimilano i nutrienti e
poi eventualmente li rilasciano).
Quindi tutti i cambiamenti di stato che riguardano un dato elemento, possono
essere ricondotti al suo rispettivo ciclo biogeochimico.
Gruppi funzionali microbici:
I gruppi funzionali coinvolti nei cicli biogeochimici vengono così definiti, perché in
questo caso i microrganismi vengono raggruppati in base alla loro funzione ed al
ruolo che ricoprono nel determinato ambito del ciclo biogeochimico che svolgono, e
non in base alla tassonomia ed alla morfologia (come invece abbiamo visto fin ora).
Esempi→ i microrganismi che degradano la cellulosa, vengono detti cellulosolitici.
Quelli che ossidano l’ammonio ammino-ossidanti, denitrificanti ed azotofissatori
influiscono sulla presenza dell’azoto nei suoli. Quindi seppure ai denitrificanti
appartengono diverse specie, diversi generi e diverse famiglie, noi li chiamiamo lo
stesso “denitrificanti” in quanto svolgono una funzione di denitrificazione.
I cicli biogeochimici riguardano tutti gli elementi, e quelli più importanti per la
microbiologia agraria sono i costituenti dei macronutrienti, quindi:
• Azoto
• Carbonio
• Fosforo
• Zolfo
• Ferro
Questi cicli noi li studieremo separatamente tra loro, ma in realtà non lo sono.
I microrganismi che utilizzano il carbonio, ovviamente utilizzeranno l’azoto, quindi i
cicli biogeochimici sono in un qualche modo collegati tra di loro, anche se per
semplicità li studiamo separatamente.

218
In queste immagini si può vedere il ciclo del carbonio a scale diverse:
Ciclo del carbonio considerato globalmente.
Abbiamo una mobilizzazione del carbonio attraverso
la litosfera, l’idrosfera e l’atmosfera (movimenti di
biomasse di carbonio a livello globale) (questo è il
ciclo che studia chi si occupa del monitoraggio del
livello di CO2 nell’atmosfera).

Ciclo del carbonio su una scala un po' più piccola (ad


esempio un suolo agrario oppure un suolo che
riguarda anche la presenza di animali ed
eventualmente insetti). In questo caso abbiamo
l’evoluzione della sostanza organica, considerata su
una scala un po' più piccola→ ad esempio le piante
assimilano la CO2 e mediante la fotosintesi
producono sostanza organica, questa sostanza
organica viene portata al suolo, degradata ed utilizzata dai microrganismi.
Abbiamo presenti le piante ed anche gli animali.
È un ciclo microbico del carbonio, dove
consideriamo solamente le reazioni portate avanti
dai microrganismi. Quindi nella prima immagine
avevamo ad esempio anche i fenomeni di
combustione (che portano ad un aumento di CO2
nell’atmosfera), nella seconda invece abbiamo delle
reazioni portate avanti soltanto da microrganismi
piante ed animali, e nella terza abbiamo solo i
microrganismi. In quest’immagine si ha una
separazione tra ciò che avviene in presenza di ossigeno e ciò che avviene in assenza
di ossigeno. L’andamento ciclico si vede perché abbiamo la CO2 che si trasforma in
carboidrati, ed i carboidrati che vengono ritrasformati in CO2.
Reazioni biotiche:
Le reazioni biotiche riguardano la presenza di organismi viventi (come i
microrganismi e le piante).

219
Ce ne sono diverse:
• Decomposizione→ le cellule microbiche per utilizzare i monomeri, devono
prima degradare i polimeri
• Fissazione→ CO2 viene organicata a carbonio organico. Questa reazione può
essere portata avanti sia da microrganismi che utilizzano la luce ed hanno un
metabolismo simile alle piante (fotoautotrofi) (sono i microrganismi che fanno
fotosintesi), ma più in generale si può dire da microrganismi che sono
semplicemente autotrofi (cioè che utilizzano la CO2 come fonte di carbonio)
(quindi anche da microrganismi chemioautotrofi). Il risultato è che nel loro
habitat contribuiranno all’organicazione della CO2.
• Respirazione→ carbonio organico viene ossidato a CO2.
• Fermentazione→ passaggio da carbonio organico ad altro carbonio organico
(che può essere prodotto anche insieme alla parziale produzione di CO2)
• Immobilizzazione→ Il carbonio organico viene utilizzato per la sintesi di
macromolecole. È quindi sempre del carbonio organico, ma diventa carbonio
organico microbico, quindi immobilizzato nelle cellule microbiche. Questa è
una funzione che svolgono tipicamente gli eterotrofi.
La sostanza organica che hanno a disposizione i microrganismi, è tipicamente quella
vegetale (noi parliamo prevalentemente del suolo).
La sostanza organica vegetale è quella che entra nel ciclo del carbonio, perché le
piante assimilano la CO2 e costruiscono tutta una serie di polimeri, che poi vengono
degradati dai microrganismi del suolo. La sostanza organica vegetale non è tutta
uguale, ma ha una composizione chimica diversificata.
Da ciò ne deriva che la biodegradabilità di questa sostanza è variabile (quando
definiamo una sostanza come “biodegradabile” intendiamo che può essere
degradata e solitamente ciò avviene ad opera dei microrganismi -buste di plastica
del supermercato sono costituite da polimeri di cellulosa o di amido, perciò
degradabili dai microrganismi-).
La biodegradabilità variabile implica che ci
siano delle molecole che vengono
degradate subito (rapidamente), ed in
maniera molto efficiente, e delle molecole
che invece nel suolo rimangono indegradate
per molto tempo, perché hanno una
composizione che per i microrganismi è più
complicata, e quindi la loro degradazione è
semplicemente più lenta.
220
La tabella mostra le molecole suddivise in base alla loro solubilità (e quindi alla loro
degradabilità) (suddivisione orizzontale). Secondo le colonne verticali, i composti
sono suddivisi in base al contenuto di azoto (non contenenti azoto e contenenti
azoto). È importante sottolineare che quando i microrganismi degradano una
molecola per ottenere carbonio, ma questa data molecola contiene anche azoto, è
qui che ci rendiamo conto che i cicli biogeochimici sono collegati, perché ad esempio
i microrganismi che vanno a degradare gli amminoacidi utilizzandoli come nutrienti,
utilizzeranno il carbonio organico che ne deriva, trasformandolo in CO2, ma
utilizzeranno anche il loro azoto amminico in un qualche altro modo.
I microrganismi sono favoriti dalla degradazione di molecole contenenti azoto,
proprio perché è un macronutriente (infatti quando prepariamo un terreno di
coltura dobbiamo preoccuparci che contenga azoto). Pertanto, tenderanno a
degradare molecole contenenti azoto, andando ad utilizzare sia il carbonio che
l’azoto presente.
Nei composti solubili più degradabili non contenenti azoto abbiamo:
• Zuccheri semplici
• Acidi organici
Se i microrganismi hanno a disposizione tantissimo glucosio, ma pochissimo azoto
disponibile, il glucosio non verrà degradato perché i microrganismi non possono
moltiplicarsi, perché non possono produrre le proteine→ se però hanno a
disposizione un composto solubile contenente azoto da degradare, oppure uno
zucchero con anche un composto solubile contenente azoto, potranno moltiplicarsi,
perché hanno bisogno di carbonio ed azoto sia nei terreni di coltura, che nel suolo.
Composti intermedi come biodegradazione (un po' più difficili da degradare):
• Acidi grassi
• Glucani (componente delle pareti fungine)
• Amido
• Pectine
Queste sono molecole già un po' più complicate da degradare, ma sono ancora
degradabili. Ad esempio, l’amido è tra le molecole grandi (tra i polimeri) di origine
vegetale (sostanza di riserva delle piante) ed è quella più facilmente degradabile.

221
Tra i composti solubili ma ancora degradabili che contengono azoto, abbiamo:
• Peptidoglicano→ i microrganismi se lo possono trovare a disposizione, perché
magari altre cellule nel medesimo suolo sono andate in lisi, e la loro parete
rimane come fonte nutritiva per altri microrganismi
• Chitina→ polimero di n-acetilglucosammina (non è così tanto diversa dal
peptidoglicano, mancano gli amminoacidi).
• Proteine→ molecole grandi che non possono entrare nella cellula, quindi
vengono degradate esternamente. Vengono degradate dai microrganismi
perché contengono sia carbonio che azoto.
Composti insolubili e di difficile degradazione:
• Emicellulose
• Cellulosa
Molecole di origine vegetale
• Lignina
che per i microrganismi sono un
• Suberina po' più difficili da degradare.

Hanno una maggiore permanenza nel suolo (temporalmente), in quanto dal punto di
vista chimico sono di difficile degradazione.
Composti insolubili e di difficile degradazione contenenti azoto:
• Pigmenti microbici→ sono molecole abbastanza grandi, con un buon numero
di doppi legami, che i microrganismi fanno fatica a degradare.
Esempio schematico di cosa succede alla
sostanza organica vegetale (prodotta dalle
piante) una volta giunta al suolo (ad
esempio una foglia che cade).
La degradazione è fortemente dipendente
dalla presenza di azoto→ per degradare la
sostanza organica, ai microrganismi serve
che ci sia comunque dell’azoto disponibile,
(presente nella sostanza organica vegetale, od in altre molecole che i microrganismi
si trovano a disposizione) (perché se c’è solo carbonio, le cellule non possono
produrre le proteine, manca infatti un macronutriente fondamentale, e quindi il
carbonio non potrà essere utilizzato. Per questo le cellule non si potranno
moltiplicare). In questo schema abbiamo una sostanza organica che contiene anche
azoto.

222
I microrganismi cominciano a degradare tutto ciò che è più facilmente degradabile,
cioè gli zuccheri (ad esempio l’amido) e solo successivamente cominceranno con ciò
che è più difficile:
• Dopo due settimane (è una stima), la degradazione comincia già ad essere
visibile, e si può anche vedere dall’immagine che parte del carbonio si è già
trasformato in CO2 (proprio perché le molecole più semplici da degradare
sono già state utilizzate dai microrganismi come fonte di elettroni, e quindi è
stata prodotta CO2 come risultato della respirazione). Si ha un cerchio nero,
perché di pari passo alla degradazione si ha un aumento della biomassa
microbica, che continua a degradare (respirare) ed aumentare la percentuale
di CO2.
• Dopo due mesi (tempo stimato) le molecole più facilmente degradabili sono
esaurite, e restano quelle degradabili più difficilmente (lignina e suberina),
che hanno una degradazione molto più lenta e complessa, e quando vengono
degradate non tutto il carbonio contenuto in esse diventa CO2, ma una parte
di esso diventa quello che comunemente viene chiamato “humus” (dopo due
anni)→ è uno strato spugnoso e morbido che si trova nel primo orizzonte
(primo strato) del suolo.
Pertanto, la sostanza organica si trasforma, ma non diventa completamente CO2, in
quanto una parte rimane nel suolo come pool di sostanza organica, che solitamente
possiamo trovare nel primo strato di un suolo tipicamente forestale.
Durante il processo di degradazione, aumentano le cellule microbiche (respirano il
carbonio organico e si moltiplicano), ed i microrganismi si specializzano. Questo
perché se all’inizio abbiamo microrganismi molto vari che possono usare gli zuccheri
ed i polimeri più semplici, man mano che la sostanza organica si sta degradando,
verso la fine, abbiamo una maggiore specializzazione perché la parte più
difficilmente degradabile, richiede dei microrganismi specializzati (ad esempio la
lignina viene degradata in particolare dai funghi – quindi all’inizio possiamo avere
magari batteri, funghi etc…, ma alla fine abbiamo una maggiore presenza di funghi-).
Avremo quindi una riduzione della diversità tassonomica, perché se noi andassimo a
contare il numero di specie, all’inizio della degradazione della sostanza organica ne
avremo tante e diverse, ma man mano che questa continua, le specie diminuiscono,
perché soltanto alcuni microrganismi sono in grado di degradare i polimeri più
complessi e produrre humus (produzione di humus da parte dei microrganismi più
specializzati)
Il rapporto C/N (carbonio-azoto) è molto importante, perché ci deve essere
sufficiente azoto per poter degradare il carbonio.
223
Slide riassuntiva:

Degradazione di glucidi (zuccheri) semplici:


Anche nel suolo, quando il microrganismo si trova zuccheri semplici, acidi organici e
gli alcol (quindi molecole di carbonio piccole ed utilizzabili), le respira.
Ad esempio, il genere Bacillus è un attivo respiratore della sostanza organica, e
come risultato produce ATP, CO2 e cellule.
Quando ci sono però situazioni in cui l’ossigeno è carente, e non c’è respirazione
anaerobica, possiamo anche avere una fermentazione→ ad esempio Clostridium è
un attivo fermentatore, produce CO2, cellule, ATP, acidi organici e metano.
È quindi importante ricordare che dalla degradazione di polimeri di carbonio,
quando questi contengono azoto od altri elementi, vengono rilasciati e liberati
anche questi (azoto, ferro, fosforo, e tutto quello che serve in generale alle cellule
per moltiplicarsi).
Amido (polimero):
L’amido dopo la cellulosa, è il polimero più diffuso nella
sostanza organica vegetale, e rappresenta
un’importantissima riserva di carboidrati (di cui ci nutriamo
anche noi quando consumiamo specie vegetali che ne
presentano una buona quantità -cereali-).
L’amido è normalmente presente nelle cellule vegetali
come polimero di riserva (alcune cellule ne producono di
più, altre meno). Questa molecola è costituita dal glucosio,
organizzato in “amilosio” ed “amilopectina” (sono polimeri),

224
che differiscono per il fatto che nell’amilopectina c’è anche un legame α-1,6
(nell’immagine è il legame “in verticale” lungo, tra i due esagoni del glucosio in
basso a Dx -in mezzo c’è un CH2), mentre l’amilosio ha un legame α-1,4 perché è un
polimero lineare.
La struttura dell’amido è quindi una catena lineare di glucosio quando parliamo di
amilosio, ramificata invece quando parliamo di amilopectina. Il glucosio è legato da
legami α-1,4 quando è lineare, e da legami α-1,6 quando invece ci sono
ramificazioni.
Degradazione dell’amido:

La degradazione dell’amido è molto semplice per i microrganismi, gli enzimi che


servono per questa degradazione, si chiamano “amilasi” e lavorano anche con altri
che sono gli enzimi “deramificanti” che servono per rompere i legami α-1,6 delle
ramificazioni.
Questi enzimi sono molto diffusi tra i microrganismi, quindi abbiamo sia batteri che
funghi (i generi che qui ha scritto, li ha inseriti solo perché sono molto comuni nei
suoli) (Aspergillus -addirittura si estraggono delle amilasi per le industrie alimentari-,
Pseudomonas, Streptomyces e Bacillus).
L’amido è quindi un polimero che nel suolo si degrada molto rapidamente.
In condizioni di anaerobiosi, l’amido viene degradato da batteri azotofissatori
(Clostridium in anaerobiosi contribuisce anche alla fissazione dell’azoto).
In anaerobiosi la degradazione di residui vegetali ricchi di amido porta ad un
guadagno di azoto. Invece nella degradazione di amido in aerobiosi questo non è
sempre vero.
Emicellulose e Pectine:
Vengono degradate dai microrganismi un po' più difficilmente dell’amido, ma
questo perché non è che la degradazione sia di per sé più difficile, ma
semplicemente ci sono solo meno microrganismi che hanno enzimi adatti.
L’Emicellulosa e le pectine sono polimeri che fanno parte delle pareti delle cellule
vegetali. Solitamente sono associate alla cellulosa (soprattutto l’emicellulosa).
Vengono degradate in tutti gli ambienti (come l’amido) sia in anaerobiosi che in
aerobiosi, da diversi taxa microbici (Aspergillus -possiamo quindi dedurre che in
generale è un fungo che agisce come potente degradatore della sostanza organica
del suolo-, Penicillium -soprattutto per l’emicellulosa-). Abbiamo poi numerosi
batteri che respirano o fermentano, i monomeri risultanti da questa degradazione.

225
Le pectine vengono degradate in fasi successive, che prevedono la presenza di
microrganismi che posseggano tutti gli enzimi necessari per ogni fase (su cui non
entriamo in merito), si chiamano Pectinasi. Gli altri microrganismi che poi possono
utilizzare facilmente il risultato di questa degradazione, dipendono da questi
degradatori primari di pectine.
(esempi da non sapere -Aerobi→Bacillus subtilis, Erwinia. Anaerobi→Clostridium
pectinovorum. Funghi→Aspergillus, Mucor, Penicillium).
Spesso i simbionti presentano delle pectinasi, in quanto hanno necessità di entrare
nel vegetale (quando è ancora attivo) per poterlo parasitizzare.
Cellulosa:

La degradazione della cellulosa è un punto molto importante nei processi


degradativi, perché è uno dei polimeri che sono molto molto presenti nella sostanza
organica vegetale, e che i microrganismi si trovano a dover trattare frequentemente.
La cellulosa è costituita da glucosio (esattamente come l’amido), che è legato con
legami β-1,4 (diverso quindi dall’amido che ha dei legami α).
È un polimero lineare insolubile di grandi dimensioni che si dispone a formare prima
fibrille e poi fibre (che possono addirittura essere viste ad occhio nudo), le quali
presentano zone cristalline (ordinate) e zone amorfe (dove le fibrille hanno una
disposizione meno conservata).
La cellulosa ha una degradazione un po' più complessa di quella dell’amido, proprio
perché il legame β-1,4 nell’evoluzione rappresenta un legame più efficiente, più
difficilmente degradabile. Le cellulasi come enzimi sono molto meno distribuite tra i
microrganismi rispetto alle amilasi (in generale si può dire ciò anche riguardo agli
organismi superiori -uomo ed animali non posseggono cellulasi, a meno che non le
abbiano in simbiosi con organismi in associazione con l’apparato digerente-).
Gli organismi che degradano la cellulosa vengono suddivisi in:
• Cellulosolitici primari→ posseggono tutti gli enzimi necessari per la
degradazione della cellulosa.
• Cellulosolitici secondari→ posseggono solo alcuni degli enzimi per degradare
la cellulosa. Quindi non possono degradarla completamente, ma soltanto in
modo parziale.

226
Schema che rappresenta la degradazione
della cellulosa. Vengono mostrate le zone
cristalline ed amorfe della cellulosa.
(Esagono viola sono i monomeri di glucosio).
Le zone cristalline e le zone amorfe sono
tutte catene di glucosio.
Le prime ad agire sono le endoglucanasi,
che, come fossero delle forbici, tagliano le
catene di cellulosa in più punti.
A questo punto danno la possibilità alle
esoglucanasi di intervenire e staccare via via
una per una le molecole di glucosio.
Le endoglucanasi possono tagliare la catena anche dal suo interno, mentre le
esoglucanasi possono agire soltanto sulle estremità libere (vedi immagine,
esoglucanasi attaccano ad estremità).
I cellulosolitici primari hanno sia endoglucanasi che esoglucanasi, mentre i secondari
hanno soltanto le esoglucanasi.
Quindi se non ci fossero le endoglucanasi disponibili, le esoglucanasi possono si
andare a degradare la cellulosa, ma molto molto più lentamente, perché possono
farlo soltanto a partire dalle estremità libere, che in questo caso all’inizio della
degradazione sono soltanto gli estremi delle fibre (le endoglucanasi rendono
disponibili pezzi (catene) di cellulosa più facilmente degradabili dalle esoglucanasi).
Il risultato è sempre il glucosio, che a questo punto quando poi viene liberato dalle
catene di cellulosa, può essere utilizzato da tutti i microrganismi (anche dai non
cellulosolitici), che possono quindi respirarlo.
La cellulosa viene degradata in aerobiosi da tanti tipi di microrganismi, in particolare
da Cytophaga e Sporocytophaga, che sono dei cellulosolitici primari molto diffusi nel
suolo, che sono aerobi stretti, mesofili (perché prediligono le temperature
nell’ambito della mesofilia), neutrofili (pH vicino alla neutralità).
Le colonie di Cytophaga hanno un aspetto caratteristico,
perché anche quando si formano su una piastra agarizzata,
in quanto l’aspetto delle colonie non è definito, ma ha un
andamento un po' discontinuo, proprio perché questi
microrganismi, mentre la colonia continua ad ingrandirsi
(perché le cellule continuano a moltiplicarsi), scivolano
sull’agar grazie al movimento per scivolamento.

227
Cytophaga, cellule che vanno a svilupparsi sulla sostanza
organica andando a degradare in maniera efficace la cellulosa.

Anche Bacillus e Cellulosomonas degradano la cellulosa.


Anche i funghi (che sono i più attivi degradatori della sostanza organica), soprattutto
in ambienti forestali ed in suoli acidi (Phananerochaete chrysosporium e
Trichoderma – fungo molto attivo nel contribuire alla fertilità biologica dei suoli.
Agisce inoltre contro i funghi fitopatogeni).
La cellulosa viene degradata anche in anaerobiosi, tipicamente nel rumine
(altrimenti gli animali ruminanti non potrebbero assimilare alcun nutriente dalla
sostanza organica vegetale). Il rumine è un sistema anerobico.
Anche in questo caso alcuni degradanti della cellulosa (così come nell’amido), in
anaerobiosi, sono azotofissatori.
I degradatori della cellulosa in anaerobiosi più studiati sono i simbionti dei ruminanti
e degli insetti→Con il glucosio che ottengono dalla degradazione anaerobica della
cellulosa, trovandosi in condizioni anaerobiche, potranno eventualmente svolgere
respirazione anaerobica, se sono disponibili accettori di elettroni, sennò più
comunemente svolgono fermentazioni producendo alcol ed acidi organici (possono
in realtà produrre anche metano).
Lignina:
È una sostanza di origine vegetale molto
complessa per i microrganismi.
Ha una degradazione molto lenta e non viene
mai degradata completamente (cioè non può
mai essere degradata completamente o
fermentata completamente).
La lignina in parte rimane come residuo
sottoforma di humus.
Diverse specie vegetali producono lignine un
po' diverse, sono comunque dei polimeri
aromatici. Rispetto ai polimeri visti fin ora,
sono diverse a livello strutturale, questo
perché non sono lineari, ma sono costituite da

228
polimeri tridimensionali, hanno diversa composizione a seconda dei tessuti, delle
specie ed anche nei diversi stadi di sviluppo (piante più giovani possono produrre
lignine diverse rispetto alle piante più adulte). Si presenta come un reticolo
tridimensionale complesso, in cui abbiamo degli anelli aromatici, dei gruppi
funzionali chimici diversi, legami diversi (come ad esempio i legami etere) i gruppi
fenile ed i fenoli (che per i microrganismi sono molto difficili da utilizzare).
Alcune di queste sostanze svolgono anche parzialmente un’attività antimicrobica.
La degradazione della lignina avviene in maniera un po' diversa rispetto agli altri tipi
di degradazione (noi non entriamo in merito). Gli enzimi responsabili della
degradazione della lignina si chiamano “ossidasi”, ciò ci suggerisce che la lignina
viene degradata solamente in aerobiosi (in anaerobiosi, in assenza di ossigeno, non
può essere degradata, perché gli enzimi -che si chiamano ossidasi-, hanno bisogno
dell’ossigeno per funzionare).
La degradazione della lignina è compiuta principalmente dai funghi→L’azione
fungina è molto molto potente (e questa è una delle ragioni per cui si dice che i
funghi sono importantissimi regolatori degli ecosistemi, ed importantissimi
microrganismi coinvolti nel riciclo della sostanza organica, perché partecipano alla
degradazione di tutti i polimeri organici presenti come residuo della biomassa
vegetale).
A seconda dell’aspetto che i tessuti legnosi assumono conseguentemente all’attacco
della lignina, il legno assume consistenze ed aspetti diversi.
Questi stadi degradativi vengono definiti:
• Marciume molle→ marciume in cui il legno viene reso morbido (come
consistenza) dai microrganismi, che però non riescono ad attaccarlo
completamente. In questo caso abbiamo funghi e batteri che attaccano
lignine e cellulosa, ma non attaccano ancora l’emicellulosa e le pectine. Ciò
non perché queste siano meno degradabili, ma perché la lignina è il primo
strato che i microrganismi trovano per arrivare poi agli altri polimeri.
In questo caso il legno perde di rigidità e consistenza, non perde la forma.
• Marciume bruno→ vengono attaccati tutti i polimeri di parete, viene anche
attaccata la lignina, ma non si arriva ancora ad uno stadio in cui vengono
aperti gli anelli aromatici, che in questo caso sono ancora presenti.
I funghi in questa fase producono delle melanine (pigmenti), responsabili del
colore bruno (colore scuro) che in questa fase il legno assume.
Il marciume bruno è svolto da numerosi generi di Basiomiceti forestali.
• Marciume bianco→ rappresenta l’ultimo momento di degradazione del legno
e dei tessuti legnosi. In questo caso abbiamo dei ligninolitici primari (che sono
229
i più attivi degradatori della lignina), che arrivano a degradare la lignina fino al
massimo degradativo (quindi alla produzione dell’humus). Si chiama
marciume bianco perché abbiamo delle ife fungine che essendo bianche,
fanno assumere al legno un colore simile al bianco.

Esempi di marciume molle→ Abbiamo i tessuti


legnosi, ma abbiamo anche esempi di marciumi di
frutti (perché sono portati avanti dagli stessi funghi
che causano i marciumi molli nella degradazione del
legno)

Marciume bruno→ Si può vedere nel bosco. Il


legno ha delle screziature più scure dovute
alla produzione di melanine. Si trova in una
fase intermedia di degradazione.
Quando il legno è quasi completamente
degradato, o meglio, è attivamente degradato
dai funghi, assume una colorazione a macchie
chiare (bianche), che sono dovute alla
presenza di micelio fungino che sta
attivamente degradando il tessuto legnoso.

230
CICLO DEL CARBONIO II - METANOGENESI
Reazioni biotiche:
• Decomposizione (viste prima)
• Fissazione→ Il carbonio sottoforma di CO2 (in forma inorganica), viene
organicato dai microrganismi, che si costruiscono le molecole organiche
cellulari. Gli organismi che compiono fissazione sono autotrofi, e possono
essere fotosintetici o meno. (Nei procarioti non tutti gli autotrofi sono
fotosintetici).
• Respirazione→ Il carbonio organico viene respirato, utilizzato come fonte di
energia, e quindi ossidato durante il processo, producendo CO2
• Fermentazione→ a partire dal carbonio organico si produce sempre carbonio
organico e talvolta anche CO2 (ad esempio glucosio fermentato in etanolo
+CO2)
• Immobilizzazione→ fase in cui i microrganismi assimilano i nutrienti, con i
quali possono anche creare delle sostanze di riserva, contenenti carbonio, per
cui questo rimane “immobilizzato” in queste cellule, e quindi non è più
disponibile esternamente per altri batteri od altri organismi.
Schema in cui sono rappresentate le
varie creazioni metaboliche di tutte
le reazioni viste fin ora (compresa
anche la metanogenesi che faremo
tra poco), le quali sono suddivise in
reazioni “ossiche” (bisogno di
ossigeno) e quelle che non hanno
bisogno di ossigeno, e quindi si
svolgono in ambienti “anossici” (non
hanno bisogno di ossigeno).
(CH2O)n→ formula generale per il
carbonio nelle cellule (è la
rappresentazione del carbonio
organico). La troviamo sia in
aerobiosi che in anaerobiosi.
(Dopodiché abbiamo la CO2 -quindi il carbonio organico viene ossidato ad anidride
carbonica, che è carbonio inorganico-. Rappresentato abbiamo anche il metano).
Se cominciamo dalle reazioni che avvengono in aerobiosi, abbiamo la respirazione
aerobica, che porta il carbonio organico ad essere ossidato a CO2.
231
Sempre in ambiente aerobico abbiamo la chemiolitoautotrofia (quando è aerobica),
e la fotosintesi ossigenica→ entrambe queste reazioni, che sono di organismi
autotrofi, portano all’assimilazione della CO2 ed alla trasformazione di questa in
carbonio organico (ora possiamo già quindi dedurre uno degli andamenti ciclici del
ciclo biologico del carbonio).
In ambiente anaerobico abbiamo la trasformazione del carbonio organico in CO2
mediante respirazione anaerobia (ad esempio un microrganismo utilizza il carbonio
organico come donatore ed il nitrato come accettore) (carbonio organico si ossida a
CO2).
Possiamo avere anche la fermentazione, che anche solo parzialmente produce CO2
(anche se in realtà la fermentazione produce prevalentemente carbonio organico,
ma contribuisce comunque un po' alla produzione di CO2).
Dopo la produzione di CO2, abbiamo la fotosintesi anossigenica, cioè un tipo di
fotosintesi che avviene appunto in ambiente anaerobio e non produce ossigeno ma
può produrre carbonio organico a partire da CO2.
Con metanogenesi si intende la sintesi di metano (frecce partono sia dalla CO2 che
dal carbonio organico, perché la metanogenesi parte da diversi tipi di sostanze, il
risultato è la produzione di metano), la quale avviene in ambiente anaerobio.
La freccia che dal metano va alla CO2 serve per ricordare che CH4 è comunque
carbonio organico, e come tale viene anche lui respirato aerobicamente da
microrganismi aerobi, che ossidandolo producono CO2.
Metanogenesi:
La metanogenesi è un insieme di reazioni che hanno tutte come risultato la
produzione di metano. È un insieme di reazioni che anche catabolicamente possono
essere diverse, ma quello che hanno in comune è che:
• Si svolgono in anaerobiosi
• Vengono svolte solamente da Archaea (e non da batteri)
• Sono tutte reazioni anaerobiche in cui l’accettore terminale è il carbonio, che
può essere sia sottoforma di CO2, ma anche sottoforma di carbonio organico
(ad esempio CH3COOH).
Quindi le reazioni di metanogenesi possono essere intese sia come reazioni
respiratorie, dove quindi l’accettore è inorganico, sia come fermentazioni, dove
l’accettore è organico.
Per cui la metanogenesi viene definita “respirazione anaerobica complessa” proprio
perché non è soltanto una respirazione, ma è una specie di insieme tra respirazione
e fermentazione.
232
La metanogenesi è molto importante quando parliamo di biogas e produzione di
metano a scopi energetici. È una reazione che in natura avviene spontaneamente,
ed è ciò che succede alla fine della decomposizione anaerobica della sostanza
organica, o meglio, è ciò che avviene alle molecole carboniose che sono state
respirate e fermentate, quando poi si trovano in anaerobiosi.
Quando ci troviamo in anaerobiosi, avvengono tutta una serie di reazioni che sono
dovute al fatto che l’ossigeno non è presente→Ad esempio, se ci troviamo in un
suolo di risaia riempito di acqua. In questo suolo inizialmente avremo dell’ossigeno,
che poi viene consumato dalle respirazioni aerobie. Quest’ossigeno trovandosi in un
ambiente saturo d’acqua, via via diventa non più disponibile, ed iniziano ad essere
consumati tutti i possibili accettori di elettroni inorganici (ad esempio Fe3+, SO42-,
NO3-) in anaerobiosi.
A questo punto questi vengono consumati, e si accumulano via via idrogeno(H2) e
CO2, a seguito di varie respirazioni anaerobiche, e varie fermentazioni.
Questo perché se abbiamo sostanza organica e siamo in anaerobiosi, può avvenire
fermentazione oppure respirazione.
La sostanza organica, in condizioni di anaerobiosi, può essere respirata
anaerobicamente, oppure fermentata.
Abbiamo un accumulo di CO2 e sostanza organica.
A questo punto, interviene la metanogenesi, che consuma l’idrogeno molecolare
(H2), la CO2 e le molecole organiche che derivano da prodotti di fermentazione e
respirazioni anaerobiche, e vengono trasformati in metano.
Quindi in pratica noi abbiamo dei polimeri, che vengono trasformati in monomeri,
che vengono fermentati, e che vengono trasformati nei tipici prodotti delle
fermentazioni, che vengono poi trasformati in metano (la CO2 in realtà deriva anche
dalle respirazioni anaerobie).
Quindi alla sostanza organica in degradazione, in anaerobiosi succede di essere
trasformata in prodotti di fermentazione (H2, CO2 e CH3COO-)→ Questi in
anaerobiosi diventano i substrati della metanogenesi.
La metanogenesi implica un’estrema specializzazione catabolica, in quanto i
metanogeni, che sono solamente Archaea, si specializzano a svolgerne alcune
tipologie, e si specializzano ad usare alcuni substrati.
Di metanogenesi ce ne sono 3 tipi:
• CO2-Type (leggi in inglese)→ La CO2 viene utilizzata come accettore di
elettroni, e l’idrogeno molecolare (H2) come donatore. La maggior parte dei
donatori, che vengono chiamati idrogenotrofi (proprio perché è l’idrogeno ad
essere il donatore di elettroni), svolgono questa tipologia di metanogenesi.
233
• Metilotrofica→ come accettori di elettroni vengono utilizzati dei composti
metilati, e l’idrogeno molecolare come donatore. Questa poi è più una
fermentazione, perché l’accettore è un composto organico. I composti
metilati possono essere diversi (metanolo, metilammina), però ogni
metanogeno si specializza ad usare uno di questi composti metilati.

• Acetoclasica→ questi metanogeni vengono chiamati “acetotrofi” ed utilizzano


l’acetato, che viene ridotto in metano e CO2.
Si ha un’estrema specializzazione catabolica, perché un metanogeno ad esempio
utilizza solamente l’anidride carbonica, altri solamente il metanolo, altri solamente
l’acetato (ci sono alcune rare eccezioni, come il genere Metanosarcina, che è in
grado di utilizzare fino a 7 diversi substrati – ad esempio diversi composti metilati e
l’acetato-). Solitamente i metanogeni sono specializzati ad utilizzare solamente un
tipo di sostanza per produrre metano.
Questi microrganismi dipendono in maniera molto importante da altri, perché tutti i
substrati di reazione di questi organismi, sono derivanti da altre reazioni (Ad
esempio la CO2 deriva da fermentazioni anaerobiche, i composti metilati da
fermentazioni, l’acetato deriva da fermentazioni).
I metanogeni sono Archaea attivi a potenziali redox molto bassi, ciò vuol dire che
agiscono in nicchie ecologiche (ecosistemi) fortemente anaerobiche.
Sono metanogeni obbligati in quanto la metanogenesi dal punto di vista dei
microrganismi è un catabolismo, cioè un modo con cui questi organismi producono
energia (la usano per produrre energia).
I metanogeni, che in comune hanno la caratteristica di produrre metano, in realtà
sono molto diversi tra di loro rispetto a tutta una serie di fattori:
• Morfologia
• Sequenza dell’RNA 16S→ quindi sull’albero filogenetico li troviamo in posizioni
anche distanti.
• Fisiologia→ alcuni preferiscono determinate condizioni, ed altri ne
preferiscano completamente altre.
• Parete cellulare→ alcuni hanno una parete cellulare tipica degli Archaea,
hanno la pseudomureina, altri invece non hanno la parete e sono ricoperti da
eteropolisaccaridi oppure da proteine (strati S).
La distribuzione ambientale dei metanogeni è molto ampia.
Si possono trovare in diversi ecosistemi anaerobici, sia temperati che estremi
(ecosistemi temperati, oppure ecosistemi estremi sia freddi che caldi).
234
Abbiamo addirittura dei metanogeni che crescono in ambienti molto freddi, quindi
sono psicrofili e psicrotolleranti, quindi amano il freddo e si sviluppano tra 0 e 5 °C.
Altre specie che sono addirittura ipertermofile (quindi prediligono come
temperatura ottimale, temperature molto elevate, fino ai 110°C).
Abbiamo anche dei metanogeni che prediligono elevate concentrazioni saline,
quindi sono alofili estremi (richiedono elevate concentrazioni di NaCl per
svilupparsi).
Alcuni metanogeni invece prediligono ecosistemi temperati in nicchie ecologiche in
cui non ci sono batteri od eucarioti, perché di solito gli ecosistemi sono molto
anaerobici, dove non subiscono la competizione con altri microrganismi perché nel
caso lo fossero, avrebbero la peggio (quindi occupano nicchie ecologiche in cui non
competono, se non per rari casi con altri batteri o con eucarioti).
I metanogeni colonizzano degli habitat anaerobici in cui non abbiamo né solfati, ne
metalli, ne nitrati, perché sono già stati utilizzati da altri microrganismi, e quindi
vanno ad occupare delle nicchie dove riescono ad utilizzare sostanze come la CO2 o
l’acetato, che sono in grado di utilizzare solamente loro.
Diversità e fisiologia dei metanogeni:
La fisiologia può essere molto diversa così come la morfologia.
I metanogeni sono anaerobi obbligati, quindi quando li coltiviamo in laboratorio,
dobbiamo stare molto attenti che non sia presente l’ossigeno (vengono infatti fatti
crescere nelle cosiddette cappe anaerobiche, che sono delle cappe chiuse in cui
dobbiamo necessariamente sostituire l’ossigeno con altri gas) perché in sua
presenza questi microrganismi (che in natura si sviluppano in ambienti molto
anaerobici), solitamente muoiono e vanno in lisi, perché l’ossigeno per loro è tossico
(non hanno gli enzimi che servono per proteggersi dallo stress ossidativo).
I metanogeni nonostante questo sono molto presenti
sull’albero filogenetico→ li possiamo riconoscere perché il
nome del genere comincia con “Methan”.
Questo perché i metanogeni sono stati tra i primi Archaea
conosciuti, quindi sull’albero filogenetico si trovano tanti
metanogeni, in quanto sono stati i primi da cui si è partiti
per studiare gli Archaea. I metanogeni sono distanti
sull’albero filogenetico, questo perché la metanogenesi è solamente un risultato del
loro metabolismo, ma i metabolismi sono tra loro diversi (alcuni ad esempio
svolgono una respirazione anerobica utilizzando la CO2 come accettore, altri
utilizzano fermentazioni). Filogeneticamente sono quindi Archaea molto diversi tra
di loro (sono diversi sia da un punto di vista filogenetico, che ecologico in generale).
235
CICLO AZOTO I – AZOTOFISSAZIONE
Il ciclo dell’azoto è molto complicato→ è
un ciclo complesso perché l’azoto ha
molti stati di ossidazione, e quindi ci
sono molte reazioni (molti passaggi) che
lo fanno passare da una forma all’altra di
questi stati di ossidazione (noi ne
vedremo solo alcuni, che sono quelli più
interessanti dal punto di vista agrario).
L’azoto, nelle diverse tipologie di molecole in cui si può trovare legato, può trovarsi a
diversi stati di ossidazione.
L’azoto sottoforma di:
• NH3 (ammoniaca) (-3)→ è un azoto fortemente ridotto (lo abbiamo visto nella
chemiolitotrofia, in quanto può essere donatore di elettroni nelle
respirazioni).
• HNO3 (nitrato) (+5)→ L’azoto si trova in una forma di ossidazione molto
ossidata (infatti il nitrato lo abbiamo visto come esempio di accettore di
elettroni).
• NO2 (nitrito) (+4)→ l’azoto è sì ossidato, ma in realtà non lo è completamente,
quindi è ancora “al margine” per essere usato come fonte di elettroni dai
microrganismi.
Quindi è importante capire se le forme di azoto che vengono utilizzate dai
microrganismi, sono in forma ridotta od in forma ossidata (ce lo dobbiamo calcolare
con la tavola periodica).
Ciclo dell’azoto a livello globale→
(precipitazioni→ piogge acide rilasciano
forme azotate) (lisciviazione→ meccanismo
fisico-chimico. I nitrati una volta prodotti dal
suolo non vengono trattenuti, perché hanno
una carica negativa -per una ragione chimica)
(anche la fissazione dell’azoto ammoniacale
nei minerali è un meccanismo fisico-
chimico). Noi ci occupiamo solamente delle
reazioni che coinvolgono l’azoto a livello
microbico.

236
Reazioni microbiche del ciclo N:
Il ciclo dell’azoto prevede il
passaggio dell’azoto attraverso le
sue diverse forme, in questo caso
per mezzo di reazioni
esclusivamente microbiche:
• Azotofissazione→ consente la
fissazione dell’azoto in azoto
ammoniacale (NH3/NH4+).
L’azoto ammoniacale può essere trasformato in nitrato (NO3-) da reazioni ossidative,
oppure può essere utilizzato come nutriente per costruire gli amminoacidi e le
proteine.
Il nitrato (NO3-) può poi essere ridotto nuovamente ad una forma di azoto
molecolare (N2).
Reazioni biotiche dell’azoto:
• Azotofissazione
• Mineralizzazione od ammonizzazione→ trasformazione di azoto organico ad
azoto inorganico
• Nitrificazione→ ossidazione dell’azoto ammoniacale
• Denitrificazione→ utilizzo del nitrato e del nitrito e di altre forme, come
accettori di elettroni (che verranno sequenzialmente ridotte e poi trasformate
in azoto atmosferico).
• Immobilizzazione→ così come nel caso del carbonio, indica un accumulo
cellulare di azoto a scopi nutrizionali (l’azoto immobilizzato, in maniera anche
solo temporanea nelle cellule, non è disponibile all’esterno).
Reazioni abiotiche dell’azoto (noi non ce ne occuperemo):
• Volatilizzazione dei composti azotati
• Lisciviazione ed erosione
• Asportazione/concimazione
• Deposizione
Azotofissazione:
L’azotofissazione è una reazione che porta all’incremento di azoto nel suolo (per
questo è molto importante, perché è un macronutriente).
L’azoto atmosferico (N2) (che è volatile, inerte, non utilizzabile dalle piante), viene
237
trasformato in azoto ammoniacale, che invece può essere utilizzato dalle piante, e
dagli altri organismi non azotofissatori, come nutriente, come fonte azotata.
Inoltre, l’azoto ammoniacale può anche essere trasformato grazie a molti altri
meccanismi in altre forme azotate.
Nell’azotofissazione, abbiamo un
azoto molecolare (N2) che viene
“fissato”, quindi trasformato in azoto
disponibile ed assimilabile, quindi
azoto ammoniacale (NH4+).
Questa trasformazione è “riduttiva”
(si tratta di una riduzione), perciò
l’azoto molecolare viene trasformato
in azoto ammoniacale (si tratta di
una riduzione, perché noi abbiamo
l’azoto molecolare che ha 0 come
numero di ossidazione, che viene trasformato in azoto ammoniacale, dove l’azoto
ha -3). Questa riduzione richiede un salto energetico di 225 Kcal→ ciò significa
quindi che questa è una reazione che richiede energia (quindi una reazione
endoergonica) (rispetto a tutte le altre reazioni che abbiamo visto fin ora, questa
non è una reazione catabolica -che produce ATP-, ma è una reazione anabolica che
invece richiede molta energia).
Questa reazione può essere svolta a livello industriale per la produzione di
fertilizzanti (quindi i fertilizzanti azotati possono essere prodotti andando a
trasformare l’azoto volatile in azoto ammoniacale), ma richiede pressioni e calore
(energia viene fornita sottoforma di calore) consistenti, proprio perché è una
reazione che richiede molta energia (si parla del processo industriale).
In natura, a pressione atmosferica ed a temperatura ambiente, soltanto i
microrganismi azotofissatori che posseggono l’enzima “Nitrogenasi”, sono capaci di
fissare l’azoto molecolare (quindi questo processo può avvenire a livello industriale
ad elevate pressioni e consumando moltissima energia, oppure a temperatura
ambiente ed a pressione atmosferica grazie all’enzima nitrogenasi).
Anche l’enzima nitrogenasi ha comunque bisogno di energia.

Reazione nitrogenasi (non è da memorizzare)→ abbiamo il consumo di ATP (molto


ATP che viene trasformato in ADP + fosfato -Pi-).
Questa è quindi una reazione fortemente endoergonica, e l’energia necessaria alla

238
sua realizzazione viene “presa” dalla respirazione (quindi il catabolismo fornisce
energia perché questa reazione avvenga).
Non tutti i microrganismi richiedono la stessa quantità di carbonio per la
respirazione, la quale necessaria per ricavare l’energia indispensabile per fissare
l’azoto, in quanto i vari microrganismi hanno rese energetiche diverse.
Esempi:
• Nitrobacter (azotofissatore comunemente presente nel suolo)→ ha necessità
di 50 g di glucosio per fissare 1g di azoto
• Clostridium→ ha necessità di 170 g di glucosio per fissare 1g di azoto.
Dalle quantità di carbonio (che in questo caso ci simboleggia l’energia) per entrambi
i batteri, ci possiamo rendere conto effettivamente di quanto ne serva (di quanto ne
debba essere respirato) per fissare l’azoto.
Da questi esempi si capisce anche che diversi microrganismi hanno rese energetiche
diverse (infatti abbiamo Nitrobacter che svolge respirazione aerobica, che richiede
relativamente poca sostanza organica per fissare l’azoto, ed invece Clostridium che
compie respirazione anaerobia -meno redditizia- che richiede più carbonio per
fissare N).
L’azotofissazione è quindi molto legata alla disponibilità di carbonio organico.
Quindi senza carbonio organico nell’ambiente, l’azotofissazione non può avvenire,
perché dipende fortemente dal carbonio organico come fonte di energia.
L’azotofissazione microbica si suddivide in due grandi tipologie:
• Libera→ i microrganismi presenti nel suolo,
che sono dotati di nitrogenasi, possono fissare
l’azoto, in maniera indipendente, quindi
“staccati” dall’organismo vegetale. Questi
possono essere definiti sia liberi, che in
“biocenosi” (la biocenosi è una relazione per cui
i microrganismi utilizzano il carbonio organico
proveniente dalle piante, ma con una relazione
non molto stretta con le piante stesse).
• Simbiontica→ questi microrganismi hanno
invece una relazione molto molto stretta con le
piante, perché entrano in simbiosi con esse.

239
Questo schema ci spiega la differenza tra simbiosi, biocenosi ed azotofissazione
libera nel suolo.
Gli azotofissatori liberi si trovano liberi nel suolo, e per svolgere l’azotofissazione
utilizzano le fonti di energia che trovano disponibili nel suolo.
Gli azotofissatori simbiontici sono addirittura dentro la radice della pianta, ed
entrano in simbiosi con essa.
Abbiamo poi anche degli azotofissatori che assorbono carboidrati dalla pianta, ma si
trovano ancora nel comparto della “rizosfera” (quindi esternamente alla radice)→
gli azotofissatori biocenotici sono dipendenti dalla pianta, ma non instaurano una
simbiosi (non sono infatti simbiontici).
Azotofissazione libera (consideriamo anche quella biocenotica):
Sono microrganismi anche molto diversi tra loro, sia come metabolismo che come
habitat. Hanno in comune solo il fatto di avere la nitrogenasi, ma possono ad
esempio avere morfologie diverse, possono essere aerobi od anaerobi oppure
occupare nicchie ecologiche diverse.
Quindi in comune hanno quest’accezione di gruppo funzionale, ma possono essere
anche molto distanti tra loro dal punto di vista filogenetico.
La resa di azoto fissato dagli azotofissatori liberi, è minore di quella fissata dagli
azotofissatori simbionti, perché sono dipendenti dal fatto di trovare (o comunque di
procurarsi in maniera autonoma) il carbonio organico (quindi se sono in biocenosi
sono dipendenti dal rilascio di essudati radicali dalla radice, se sono liberi invece
hanno necessità di trovare carboidrati disponibili come fonte di energia -hanno
proprio necessità di procurarsi il carbonio organico-).
Per questi motivi l’azotofissazione libera rende meno in termini di Kg/ha (Kg/ettaro)
rispetto a quella simbiotica.
Gli azotofissatori liberi possono essere fotosintetizzanti o meno.
Azotofissatori fotosintetizzanti:
Sono legati alla fotosintesi, ed appartengono ai Cianobatteri (phylum
Cyanobacteria), che sono dei microrganismi autotrofi che svolgono una fotosintesi
simile a quella dei vegetali→ hanno quindi la possibilità di costruirsi i carboidrati a
partire dalla CO2 e non hanno bisogno di fonti di energia esterne, in quanto la loro
fonte di energia è la luce (i fotoni).
Quindi sono autotrofi sia per il carbonio che per l’azoto, perché sono sia
fotosintetizzanti fotoautotrofi, che azotofissatori.

240
Da questi aspetti metabolici, deriva il grande interesse per i cianobatteri come
biofertilizzanti (infatti molti cianobatteri vengono impiegati nei biofertilizzanti).
Non tutti vengono impiegati a questo scopo, perché alcuni azotofissatori sono anche
produttori di tossine (quindi i cianobatteri azotofissatori possono essere utilizzati nei
biofertilizzanti a patto che non producano tossine).
È importante notare quanto questi batteri siano indipendenti nell’ambiente, in
quanto lo sono sia per il carbonio che per l’azoto (questa è la ragione per cui se
prendiamo un acqua non trattata -ad esempio da un pozzo naturale o da un’acqua
corrente- e la mettiamo in un barattolo trasparente, questa diventerà velocemente
di colore verde, perché cianobatteri ed alghe tendono a moltiplicarsi senza limiti
nutrizionali, visto che hanno a disposizione carbonio ed azoto -le alghe non sono
autotrofe per l’azoto, quindi avranno sempre comunque bisogno di tracce di azoto,
ma i cianobatteri invece lo sono, quindi possono svilupparsi in maniera
indipendente, hanno solo bisogno di luce e Sali minerali-).
Tricoma (cianobatteri)→ struttura dove
cellule singole vanno ad aggregarsi.
Queste cellule sono indipendenti, ma
succede spesso che una o più di esse, si
differenzino dalle altre al fine di
compiere un’azione che possa risultare
essere utile alla comunità:
• Ad esempio, vanno a formare le eterocisti→ sono le cellule di cianobatterio
che si specializzano a fissare azoto per l’intera comunità.
• A livello di acinete invece viene accumulato tutto il carbonio organico che
viene assimilato e trasformato a partire dalla CO2.
Quindi il tricoma può comportarsi come se fosse un unico organismo, anche
se in realtà è costituito da cellule indipendenti.

Esempio di eterocisti→ È una struttura molto diffusa. È il luogo


in cui avviene l’azotofissazione.
Azotofissatori liberi non fotosintetizzanti:
Nel suolo:
• Azotobacter
• Azotospirillum
• Bejierinckia.

241
Sono compresi anche quelli biocenotici, che sono a livello della rizosfera.
Abbiamo poi degli azotofissatori che agiscono in maniera indipendente dalle piante,
e svolgono quest’azione nel momento in cui hanno abbastanza energia metabolica
perché c’è abbastanza carbonio
Possono essere:
• Aerobi
• Microaerofili
Di solito sono quelli contenuti nei formulati microbici commercializzati come
biofertilizzanti (nei biofertilizzanti sono contenuti anche questi azotofissatori liberi),
in quanto oltre alla capacità che hanno nel fissare l’azoto, sono efficienti produttori
di ormoni vegetali, e grazie a questi possono indurre un ulteriore sviluppo radicale.
Le tecniche di Agricoltura biologica (cioè quelle che si basano sull’assenza di impiego
di una fertilizzazione chimica) tendono ad ottimizzare l’azione di azotofissatori come
Azotobacter o Azospirillum, proprio perché ad esempio si possono svolgere delle
tecniche di incremento di sostanza organica nel suolo, in modo che gli azotofissatori
che sono già presenti nel suolo, la possano sfruttare per produrre azoto.
Quindi le tecniche di agricoltura biologica legate all’incremento di fertilità, in molti
casi sono svolte al fine di promuovere l’azotofissazione da parte di organismi
azotofissatori già presenti nel suolo.
Quindi l’idea è quella di non aggiungere azoto al suolo, ma di aggiungere carbonio
organico in maniera che gli azotofissatori possano lavorare al meglio.
Oppure aggiungo biofertilizzanti contenenti azotofissatori.
Esempi di biocenosi→ Organismi che si
sviluppano a livello radicale di alcune specie
vegetali (ad esempio Azospirillum nelle
graminacee). Immagine in basso a Sx→ copioso
sviluppo di peli radicali in una Graminacea,
dovuto al trattamento con un biofertilizzante
contenente Azospirillum→Azospirillum
incrementa la produzione di peli radicali a
livello delle radici. La pianta mediante un
processo biocenotico rilascia dei carboidrati per
Azospirillum, che invece promuove la sua
crescita (della pianta) fornendo azoto. Questa è
una biocenosi e non una simbiosi, perché tutto
ciò avviene esternamente alla radice.
242
Azotofissatori simbionti:
L’azotofissazione simbiontica prevede un’interazione molto profonda tra
microrganismi azotofissatori e piante superiori.
In prevalenza questo tipo di azotofissatori appartengono agli ordini:
• Rhyzobiales
• Burkholderiales
Tra questi abbiamo Rhyzobium, che è il genere più studiato→ è l’organismo di
riferimento tra gli azotofissatori simbionti.
Rhyzobium fissa l’azoto per le piante a livello di noduli chiamati anche “tubercoli
radicali”, in simbiosi con le leguminose→ questa è la ragione per cui le leguminose
sono piante particolarmente ricche in composti azotati (elevato contenuto proteico)
(a livello radicale hanno simbiosi con rizobi che fissano l’azoto, per cui queste piante
hanno accesso illimitato all’azoto disponibile).
La sistematica dei rizobi è molto dinamica, nel senso che sono stati riclassificati
diverse volte con dei cambiamenti di nomenclatura (possiamo trovare doppia
nomenclatura).
La simbiosi (interazione stretta tra rizobi e leguminose) funziona grazie al fatto che il
vegetale (cioè la radice) produce carboidrati, ed il microrganismo fornisce invece
azoto (il vegetale fornisce carboidrati perché le piante li producono a partire dalla
CO2, li trasportano a livello radicale, da cui i microrganismi -che si trovano in questo
caso all’interno- avranno accesso illimitato, pertanto la pianta in cambio avrà
immediatamente azoto disponibile già a livello radicale).
L’azotofissazione simbiontica ha una resa in termini di azoto molto alta (superiore a
quella dell’azotofissazione libera)→ Questo per la difficoltà dovuta alla necessità di
procurarsi fonti di energia (perché l’azotofissazione richiede tantissima energia).
Tutto ciò fa sì che il Rhyzobium produca tantissimo azoto per le leguminose.
Il Rhyzobium non è obbligato a svolgere simbiosi con le leguminose, nel senso che lo
possiamo anche trovare come microrganismo saprofita libero nel suolo, e
semplicemente quando lo troviamo in questo modo, non sta facendo
azotofissazione.
Quindi per fissare l’azoto, i Rizobi devono entrare dentro le radici delle leguminose.
Altrimenti svolgono il loro catabolismo normalmente, ed utilizzano fonti azotate
esterne alla loro cellula.
Quando invece entrano nelle radici delle leguminose, formano dei noduli radicali,
che sono formati dalle radici stesse del vegetale, ed instaurano una simbiosi che ci
manifesta quanto siano specifiche le interazioni pianta-microrganismo.
243
Infatti, ogni leguminosa presenta all’interno dei noduli un tipo particolare di Rizobio.
C’è una mutua selezione, un adattamento ambientale, tra pianta e microrganismo→
Per cui ad esempio la soia avrà un certo tipo di Rizobio, mentre il fagiolo ne avrà un
altro, perché ogni leguminosa praticamente si sceglie il proprio.
C’è una coevoluzione tra leguminose e rizobi, che hanno seguito un percorso
parallelo→ Cioè l’evoluzione li ha portati a formare queste simbiosi, e poi le diverse
leguminose si sono evolute insieme ai loro stessi simbionti. Ci sono quindi delle
caratteristiche che fanno sì che questa simbiosi si sia mantenuta nel tempo ed abbia
selezionato l’interazione specifica tra leguminosa e Rizobio.
Tappe dell’instaurarsi di una simbiosi Rhyzobium-Leguminose:
• Secrezione da parte delle piante di Flavonoidi (molecole organiche) che
vengono prodotte a livello radicale, che Rhyzobium, che in questo momento si
trova libero nel suolo, riesce a captare.
• Rhyzobium capta il segnale dalle leguminose, ed in lui viene indotta la sintesi
di molecole che a loro volta stimolano la pianta. Si può dire quindi che avviene
un mutuo riconoscimento tra i due organismi.
• A questo punto abbiamo un effetto chemiotattico (chemiotassi è uno stimolo
dovuto alla presenza di qualche sostanza attraente oppure di una repellente)
che induce la trascrizione dei geni di nodulazione (geni nod)→ che sono i geni
che in risposta a questo tipo di stimoli, nella pianta cominciano ad essere
trascritti e tradotti, con a seguito la produzione di proteine.
Cominciano quindi a prodursi i noduli.
• A questo punto i microrganismi iniziano ad infettare la pianta (perché se noi la
guardiamo all’inizio dell’instaurarsi della simbiosi, questa sembra addirittura
un infezione da parte di un patogeno, se non fosse che Rhyzobium in realtà
non danneggia la pianta), penetrando nelle radice e creando i noduli radicali,
che sono formati dalla pianta stessa grazie alle cellule corticali che hanno
attività meristematica, ed al fatto che vengono prodotte (sempre dalla pianta)
delle proteine funzionali alla buona riuscita della simbiosi.
• Tra queste proteine c’è la Leghemoglobina (da leggere Legh emoglobina) (si
chiama così perché viene prodotta dalle leguminose), che è una proteina
simile all’emoglobina del nostro sangue, e serve per proteggere i Rizobi, ed in
particolare la nitrogenasi dall’ossigeno libero (Perché la nitrogenasi è
danneggiata dalla presenza di O2).
• Quando il nodulo ha raggiunto un certo stadio di sviluppo, va in lisi, ed il
Rizobio ritorna nel suolo pronto ad essere nuovamente richiamato dalla
pianta a formare nuovi noduli radicali.
244
Esempi di alcune leguminose dove si
può notare la presenza di noduli
radicali, che presentano delle
differenze morfologiche.
Quindi quando noi osserviamo
l’apparato radicale di leguminose,
notiamo che questi noduli sono
distribuiti più o meno lungo tutta la
radice o lungo porzioni di essa.
All’interno dei noduli Rhyzobium
produce azoto per la pianta, ed in
cambio, avendo bisogno di elevate
quantità di energia, si prende i
carboidrati immediatamente
disponibili.
Sezione di un nodulo radicale→ si
vedono proprio le cellule corticali
che ospitano il nodulo, che dalla
parte del vegetale è vascolarizzato
(perché è dove avviene lo scambio,
cioè dove il vegetale assimila l’azoto
prodotto dai microrganismi).
I microrganismi invece hanno un immediato contatto con i carboidrati che vengono
trasportati dal sistema vascolare, che rilascia questi essudati radicali
immediatamente disponibili al microrganismo.
Quando le cellule di Rizobio entrano a far parte del tessuto vegetale (nel senso che
entrano nei noduli a svolgere l’azotofissazione) perdono la loro morfologia e
sembrano quasi essere un tutt’uno con il vegetale→ effettivamente perdono la
parete, non hanno quindi più una forma bacillare, ma una un po' più tondeggiante
(la parete per loro all’interno del vegetale non è più necessaria).
Per questo, vengono chiamati “batteroidi”,
perché quando entrano in simbiosi con il
vegetale hanno una morfologia che ricorda più
quella dei protoplasti (cellule senza parete,
senza forma), in quanto diventano a tutti gli
effetti parte del vegetale all’interno del nodulo
radicale.

245
In quest’immagine si vedono i Rizobi che hanno perso del tutto
la loro morfologia, e che sono quindi diventati parte del tessuto
vegetale.

Inibizione dell’azotofissazione:
La nitrogenasi subisce due tipi di inibizione
• Inibizione reversibile→ quando cessa di essere presente la sostanza inibente,
la nitrogenasi non è più inibita e torna a funzionare.
• Inibizione irreversibile→ Danneggiamento che non può più essere risolto.
La nitrogenasi è inibita in maniera reversibile da un eccesso di H2, azoto
ammoniacale ed azoto nitrico→ tutto ciò perché questi sono i prodotti di reazione
dell’azotofissazione, e l’azoto nitrico è una forma di azoto inorganico.
Quindi visto che l’azotofissazione è una reazione così tanto endoergonica (cioè
richiede tantissima energia), la nitrogenasi non funziona quando non è necessario.
Quindi se è già presente tanto azoto, perché mai il microrganismo dovrebbe
svolgere azotofissazione se l’azoto è già disponibile? Perché la pianta dovrebbe
indurre l’emissione di noduli radicali in maniera massiva, se c’è tanto azoto
disponibile?
Infatti, piante e microrganismi si regolano→ quindi l’enzima nitrogenasi non
funziona quando sono già presenti i prodotti della reazione, o comunque azoto
inorganico. Cioè l’evoluzione ha portato a svolgere questa reazione, solo quando
questa è necessaria.
Quando non sono presenti questi inibenti, la nitrogenasi funziona normalmente.
L’ossigeno è un inibente irreversibile (per questo la pianta produce le
leghemoglobine), perché O2 da un punto di vista chimico è simile ad N2, quindi va a
legarsi in maniera molto efficiente al sito attivo della nitrogenasi→ non si stacca più
e quindi la nitrogenasi non funziona più.
La nitrogenasi può essere protetta dall’ossigeno per mezzo di diverse strategie, che
possono essere messe in atto a seconda dei microrganismi (che siano essi liberi o
simbionti).
246
Batteri aerobi (i batteri anaerobi non li consideriamo, in quanto si sviluppano per
definizione in assenza di ossigeno):
• Incrementano la respirazione→ così producono ATP -che serve per fissare
l’azoto-, ed eliminano l’ossigeno
• Producono strati mucosi→rivestono le cellule di polimeri, che vanno a
proteggerle da un eccesso di ossigeno, in maniera che la nitrogenasi possa
funzionare
• Producono delle proteine che proteggono la nitrogenasi→Leghemoglobina
• Possono confinarsi in noduli, vescicole od eterocisti, proprio per proteggere la
nitrogenasi dall’ossigeno.
Sezione di un nodulo radicale di una leguminosa→Una volta
tagliato, dopo pochi secondi diventa rossastro, perché la
leghemoglobina si ossida, andando a legarsi all’ossigeno, con
l’obbiettivo di catturarlo tutto, in modo che non vada a
danneggiare la nitrogenasi.

Uguale a prima. Centro del nodulo diventa più scuro.

Applicazioni dell’azotofissazione simbiontica:


I Rizobi sono oggetto di applicazioni mirate a migliorare la produttività di
leguminose, sia da foraggio che da granella.
Quindi si cerca di ottenere delle leguminose che abbiano dei Rizobi sempre più
efficienti in simbiosi con le loro radici.
Rotazioni→ le rotazioni in campo quando vengono utilizzate le leguminose, hanno
l’obbiettivo di arricchire il suolo in azoto (proprio perché le leguminose ne sono
ricche, in quanto sono in simbiosi con Rhyzobium). Quindi il fatto di svolgere
rotazioni colturali ha il fine di arricchire il suolo di azoto proprio sfruttando questa
simbiosi.
A scala industriale possono essere selezionati dei ceppi molto efficienti di Rizobi, che
in questo caso vengono utilizzati per trattare i semi di leguminose, affinché questi
247
abbiano in simbiosi degli organismi più efficienti rispetto a quelli che naturalmente
attirano.
La “batterizzazione dei semi”, cioè il trattamento di semi con organismi che sono
efficienti azotofissatori, è una tecnica molto antica (antichissima tecnica di rilascio
deliberato di microrganismi nell’ambiente).
Ci sono dei prodotti commerciali, che hanno standard molto elevati di
azotofissazione, grazie al fatto che vengono ricercati i ceppi migliori di organismi
azotofissatori, che possono essere impiegati in campo per incrementare la
produzione agricola.
CICLO AZOTO II
Altre reazioni del ciclo dell’azoto:
Trasformazioni che portano da
azoto organico (contenuto nelle
proteine) ad azoto inorganico (azoto
ammoniacale od ammoniaca, a
seconda dei pH) e la trasformazione
dell’azoto ammoniacale per
sintetizzare nuovi amminoacidi.
Queste reazioni sono molto semplici
ed avvengono per cause nutrizionali,
cioè i microrganismi degradano le
proteine, oppure assimilano l’azoto
ammoniacale per costruire proteine.
Quindi in pratica abbiamo:
• Ammonizzazione→ l’azoto organico viene trasformato in azoto inorganico
(definita mineralizzazione -proprio perché si ha una trasformazione da
organico ad inorganico -proprio come per il carbonio-). Quindi abbiamo una
degradazione successiva delle proteine prima in peptidi e poi in amminoacidi.
Gli amminoacidi possono essere mineralizzati, distrutti degradati nei loro
componenti, al fine di ottenere azoto ammoniacale (NH4+) od ammoniaca
(NH3) (a seconda del pH) (quindi noi scriviamo sempre in maniera
indifferenziata NH4+ e NH3, considerando però che NH3 è la forma che viene
emessa in presenza di pH alcalini).
• Assimilazione (reazione inversa dell’ammonizzazione)→ l’azoto inorganico
viene utilizzato dai microrganismi come nutriente (quindi non come accettore
o donatore di elettroni), quindi assimilato e trasformato in azoto organico
248
(perché i microrganismi devono costruire le proteine, per costruire gli
amminoacidi, per costruire la cellula).
Queste due reazioni, in generale non sono molto influenzate dalla presenza di
particolari microrganismi, perché nel suolo avvengono in continuazione, e più che
dalla presenza di microrganismi (perché appunto i microrganismi che compiono
queste reazioni sono tantissimi, e quindi non si tratta di particolari gruppi o taxa
specifici), gli equilibri per cui abbiamo reazioni di ammonizzazione od assimilazione,
(quindi quanto l’azoto venga ammonizzato od assimilato), sono influenzati
principalmente dalle condizioni ambientali (e non dalla presenza di particolari
microrganismi):
• Concentrazione del substrato
• pH
• Temperatura
• Ossigeno
Questi parametri vanno a modificare l’equilibrio tra queste due reazioni.
I microrganismi in questo senso invece non sono limitanti, in quanto sono reazioni
compiute da tanti microrganismi diversi.
Altre reazioni:
L’ossidazione dell’ammonio e
l’ossidazione del nitrito sono due
reazioni conseguenti, ed entrambe
costituiscono la cosiddetta
“nitrificazione aerobia”→ è la
reazione che i microrganismi
compiono facendo passare l’azoto
ammoniacale o l’ammoniaca (sempre
a seconda del pH) ad azoto nitrico
(ovvero al nitrato).
Questa reazione è molto importante, perché il nitrato (NO3-) è poi la forma azotata
che viene preferibilmente assimilata dalle piante.
Quindi a fronte dell’azotofissazione e delle reazioni di ammonizzazione, per la
trasformazione dell’azoto ammoniacale (che è poco utilizzabile dalle piante)
intervengono dei microrganismi che appartengono a due gruppi diversi (un gruppo
compie il primo step -ossidazione dell’ammonio-, l’altro il secondo -ossidazione del
nitrito-). Queste reazioni portano alla produzione di nitrato assimilabile per le
piante.
249
Queste due reazioni in serie vengono portate avanti da batteri (parliamo di batteri,
ma in realtà ci sono anche degli Archaea che compiono queste due reazioni):
• Ammonio-ossidanti (chiamati anche nitrosanti)
• Nitrito-ossidanti (chiamati anche nitrificanti)
SI tratta di due processi respiratori (cioè due catabolismi), che questi due gruppi di
microrganismi attuano per produrre ATP.
Questi batteri ed Archaea sono Chemiolitoautotrofi→ quindi utilizzano una sorgente
inorganica di energia (e quindi di elettroni -e infatti le due sorgenti inorganiche sono
l’ammonio ed il nitrito-), e sono autotrofi, ovvero utilizzano la CO2 come fonte di
carbonio.
Batteri ammonio-ossidanti (primo passaggio):
(non è importante ricordare i
passaggi da un punto di vista
chimico).
Si tratta di un catabolismo:
• Donatore di elettroni→ ammoniaca (NH3)
• Accettore di elettroni→ ossigeno (O2)
Nel primo passaggio non viene prodotto immediatamente nitrito, ma si ha un
prodotto intermedio che è l’idrossilammina (NH2OH) → quest’idrossilammina verrà
poi trasformata da un altro enzima in nitrito (NO2-) (questo è il vero e proprio
catabolismo).
Questi due passaggi vengono svolti da due enzimi diversi:
• Ammonio monoossigenasi→ enzima integrale di membrana coinvolto nel vero
e proprio catabolismo.
• Idrossilammina riduttasi→ enzima periplasmico, che sta esternamente alla
parete e compie la successiva ossidazione a nitrito.
Questi due passaggi sono un po' diversi, proprio perché il primo è il vero e proprio
processo respiratorio, l’enzima ammonio monoossigenasi è posseduto solo dai
batteri ammonio-ossidanti, tant’è che viene proprio utilizzato per l’analisi di questi
batteri, quando utilizziamo delle tecniche molecolari (analizziamo il DNA).
I geni che codificano per questo enzima sono prorprio quelli presi in considerazione
per studiare questo gruppo di microrganismi, i quali si fa un po' fatica a coltivarli in
laboratorio, quindi spesso vengono studiati analizzando in maniera indiretta il DNA.

250
Questa capacità di trasformare l’ammonio a nitrito è geneticamente codificata (sono
pochi i generi che possono compiere questa reazione -ovviamente poi ogni genere
ha un certo numero di specie-).
In assenza di questi generi, la reazione non avviene:
• Nitrosomonas
• Nitrosospira
• Nitrosococcus
Caratteristiche di questa reazione:
• Donatore di elettroni→ ammonio (o ammoniaca)
• Accettore→ ossigeno
Questo metabolismo, pur essendo molto comune in moltissimi ambienti, sia nel
suolo che nelle acque, è molto lento rispetto a quello di altri microrganismi.
Il tempo di generazione di questi microrganismi è lento, per via del fatto che
utilizzano l’ammonio come donatore (che ha un potenziale di riduzione non così
basso -non così negativo-), e soprattutto per il fatto che sono autotrofi (perché molti
degli elettroni che dovrebbero essere utilizzati per svolgere il catabolismo, vengono
impiegati per organicare la CO2, quindi per trasformarla in carboidrati che servono
per costruire la cellula -quindi elettroni che servono in pratica per le reazioni
anaboliche-).
Questi microrganismi sono aerobi obbligati, quindi quando li coltiviamo in
laboratorio, dobbiamo imporre delle condizioni molto precise per farli crescere:
• Temperatura di 25-30°C
• pH 7,5-8
• Hanno anche delle condizioni specifiche rispetto alla concentrazione ottimale
di ammonio che richiedono. A seconda delle specie, può essere tra 2-10mM,
ma alcune fino a 20mM.
In laboratorio dobbiamo imporre queste condizioni, altrimenti facciamo fatica a farli
crescere, mentre in natura in realtà si trovano in condizioni anche molto
diversificate, quindi anche a pH più bassi ed a temperature più basse.
Questa reazione viene considerata “reazione critica” del ciclo dell’azoto, in quanto
rispetto ad altre che presentano un’ampia gamma di microrganismi coinvolti, in
questo caso abbiamo soltanto alcuni generi (se questi non sono presenti, il ciclo
dell’azoto non procede in maniera così spedita. Oltretutto hanno un metabolismo
lento, quindi rispetto ad altre microflore tendono a rallentare il ritmo del ciclo).
251
Batteri nitrito-ossidanti:

La reazione è sempre un catabolismo, quindi i microrganismi la utilizzano per


produrre energia (ATP).
Sono dei microrganismi che utilizzano il nitrito come donatore di elettroni, e
l’ossigeno come accettore. Per cui è una respirazione aerobia di un composto
inorganico, che some risultato produce il nitrato.
L’enzima coinvolto in questa trasformazione, è il nitrito ossidoreduttasi, ed anche
qui abbiamo una capacità geneticamente codificata portata avanti soltanto da alcuni
generi:
• Nitrococcus
• Nitrospina
• Nitrobacter
• Nitrospira
Questi microrganismi sono sempre chemiolitoautotrofi, quindi hanno sempre la
capacità di utilizzare la CO2 come fonte di carbonio.
Tuttavia, l’utilizzo della CO2 come fonte di carbonio comporta un dispendio di
elettroni, perché comunque la CO2 deve essere organicata, al fine di entrare come
carbonio nella costruzione delle molecole che servono per produrre il materiale
cellulare (reazioni anaboliche). Quindi il metabolismo è sicuramente molto lento.
Caratteristiche:
• Donatore di elettroni→ Nitrito (NO2-)
• Accettore→ ossigeno (O2)
Alcuni microrganismi appartenenti a questi generi nitrito-ossidanti possono essere
mixotrofi, cioè in alcuni casi possono utilizzare il carbonio organico come fonte di
carbonio, ed in questo caso la loro crescita è leggermente più veloce, proprio perché
il carbonio è già “pronto”.
In generale questa reazione è meno limitante rispetto a quella precedente (cioè di
ossidazione dell’ammonio), perché il nitrito (che viene prodotto dagli ammonio-
ossidanti), può anche essere ossidato a nitrato chimicamente.
Quindi mentre l’ammonio per essere ossidato a nitrito ha bisogno della presenza di
microrganismi, in molti ambienti il nitrito è chimicamente ossidato a nitrato, perché
il passaggio a nitrito ossidato richiede poca energia, ed in presenza di ossigeno
questo avviene anche spontaneamente.

252
Questi microrganismi sono infatti molto difficili da coltivare, sono meno diffusi e
meno differenziati rispetto agli ammonio-ossidanti, ma sono comunque importanti.
Effetti ambientali e applicazioni di questi microrganismi:
Questi microrganismi producono nitrato, che in campo se non viene utilizzato come
fertilizzante, deve essere necessariamente ricavato dall’ammoniaca o dall’ammonio,
(e sono infatti proprio questi microrganismi che svolgono questa funzione).
In contemporanea però, quando questi microrganismi sono troppo attivi, abbiamo
degli effetti per cui si può arrivare ad un’acidificazione del suolo e ad un aumento
della solubilità dei minerali (quindi potassio, magnesio, calcio e fosfato che sono i
minerali presenti nel suolo, e possono essere solubilizzati come conseguenza della
diminuzione del pH, che è un effetto secondario di questi microrganismi) poiché
producendo nitrato (NO3-) diminuiscono il pH.
Il nitrato a sua volta, se viene prodotto in grandi quantità (a causa ad esempio di una
perdita di azoto o per l’inquinamento delle acque), e non viene assimilato
immediatamente dalle piante, viene dilavato→ cioè non viene trattenuto dalle
superfici del suolo, perché la sua carica negativa lo fa dilavare, lisciviare, verso le
falde.
Gli ammonio-ossidanti sono utilizzati anche da un punto di vista positivo, per il
biorisanamento delle acque reflue (queste acque sono spesso ricche di azoto, e
l’ossidazione dell’ammonio a nitrato è un passaggio fondamentale proprio per
eliminare l’azoto dalle acque reflue).
Distribuzione:
La distribuzione di questi microrganismi è molto ampia, si trovano in habitat sia
terrestri, che acquatici che naturali ed artificiali (ad esempio le vasche di
trattamento delle acque reflue, od i sistemi di biorisanamento).
Abbiamo una chiara distribuzione delle specie in habitat diversi→ cioè ci sono pochi
generi che compiono questa reazione, ma questi racchiudono tante specie, e c’è un
evidente distribuzione di queste specie nei diversi habitat→ ovvero nel suolo
troveremo soltanto alcuni filotipi e nelle acque altri, questo perché le diverse specie
differenziano nicchie ecologiche diverse.
La coltura avviene in mezzi liquidi→ infatti per isolarli ci vuole molto tempo, perché
crescono male e poco sui terreni di coltura solidi (piastre Petri). Per coltivarli
vengono utilizzati dei mezzi minimi.
La coltura di questi microrganismi in sistemi di laboratorio è veramente molto
difficoltosa, cioè crescono lentamente ed hanno bisogno di requisiti, di condizioni
molto specifiche, altrimenti non crescono.

253
Ossidazione anaerobica dell’ammonio (anammox):

L’ossidazione anaerobica dell’ammonio comporta l’utilizzo di accettori diversi


rispetto all’ossigeno:
• Donatore→ ammonio (NH4+)
• Accettore→ nitrito (NO2-) (oppure anche il nitrato -NO3--)
Questa è una reazione scoperta recentemente (fino a poco tempo fa si pensava che
l’ammonio fosse stabile in anaerobiosi, cioè che non potesse essere ossidato.
In realtà si è scoperto poi che l’ammonio può essere ossidato anche in anaerobiosi,
perché vengono utilizzati altri accettori di elettroni).
È una reazione che porta alla produzione di N2, quindi l’unico aspetto in comune con
l’ossidazione aerobia è che viene utilizzato l’ammonio (NH4+) come donatore, ma in
realtà l’accettore è il nitrito, e soprattutto viene prodotto N2.
Sono dei microrganismi che utilizzano sempre la CO2 come fonte di carbonio, cioè
sono sempre chemiolitoautotrofi, ma la differenza è che questi microrganismi che
sono stati scoperti in tempi abbastanza recenti, pare utilizzino un meccanismo di
fissazione della CO2 in carbonio organico diverso rispetto agli altri organismi→
ovvero tutti gli organismi autotrofi che si conoscono, utilizzano una modalità di
organicazione del carbonio a partire dalla CO2 abbastanza simile, legata all’utilizzo
dell’enzima rubisco. In questo caso invece l’enzima rubisco non è stato trovato in
questi organismi, pertanto sono ancora in corso delle ricerche che tentano di capire
in che modo questi organismi fissino la CO2.
L’organismo modello (quello più studiato) per questi microrganismi è Brocardia
Anammoxidans, che appartiene al phylum Planctomycetes, che è un phylum atipico
dei Bacteria, in quanto questi microrganismi non hanno il peptidoglicano ma
solamente strati S (quindi strati proteici che li avvolgono) (il peptidoglicano è
assente).
La distribuzione è regolata dall’assenza di ossigeno→ questi microrganismi si
trovano soltanto in condizioni di anaerobiosi, ed in presenza di ossigeno non si
sviluppano e possono andare in lisi (per questi microrganismi l’ossigeno è tossico).
Abitano gli stessi ecosistemi degli ammonio-ossidanti, ma in nicchie ecologiche
diverse (perché devono appunto essere anaerobiche).
Prima della scoperta di questi microrganismi si riteneva che l’ammonio in
anaerobiosi fosse stabile, e questo comportava diverse considerazioni per il
trattamento delle acque reflue (vedremo in seguito), ed infatti è diventato un
254
processo estremamente vantaggioso in questo ambito.
Prima per i trattamenti delle acque reflue (per la depurazione), venivano sempre
utilizzati dei sistemi che tendevano a privilegiare gli ammonio-ossidanti aerobi,
quindi con grande dispendio energetico per insufflare aria, in modo tale che
l’ambiente si mantenesse aerobico.
In questo caso dalla scoperta degli anammox, si è scoperto che si possono
progettare dei sistemi di trattamento dove l’aria non viene insufflata, abbattendo
quindi i costi energetici, proprio perché questi microrganismi sono anaerobi e quindi
non hanno bisogno di ossigeno.
Un’altra caratteristica molto importante di questi
microrganismi è quella di avere un sistema
citoplasmatico simile ad un organello (un po' quindi
come se fossero degli eucarioti), in cui confinano
tutti i loro catabolismi. Per cui invece che svolgere il
loro processo catabolico in membrana (come fanno
tutti i procarioti), lo svolgono all’interno di un
sistema chiamato “Anammoxisoma” (oppure Anammoxosoma)→ è uno spazio
circondato da membrana (questi microrganismi sono un’eccezione nei procarioti,
hanno un sistema respiratorio citoplasmatico) in cui svolgono tutti i processi mirati
alla produzione di ATP (quindi si comporta un po' come se fosse un mitocondrio).
Denitrificazione:
Sarebbe tutta la serie di passaggi che
vanno da nitrato (NO3-), nitrito (NO2-),
monossido di azoto (NO), protossido di
azoto (N2O), N2.
Questi passaggi sono un processo
fondamentale e molto importante per la
microbiologia agraria, in quanto si passa
dal nitrato (NO3-), che è una forma di
azoto inorganica disponibile per le
piante, all’azoto molecolare (N2) che è
una forma volatile (gassoso) e quindi
causa una perdita di azoto dal suolo.
La denitrificazione, quindi, è una serie di reazioni dove i microrganismi in
successione utilizzano tutte le forme ossidate dell’azoto fino ad arrivare a produrre
N2. In ogni passaggio utilizzano come donatore di elettroni la sostanza organica.

255
Caratteristiche:

• Donatore di elettroni→ sostanza organica (conseguente produzione di CO2).


• Accettore di elettroni→ azoto inorganico ossidato (da +5 a +1)
Quindi è una respirazione anaerobia, in quanto come accettore di elettroni abbiamo
delle forme inorganiche azotate (che sono ossidate).
Il donatore invece è sostanza organica, quindi cede elettroni alle forme di azoto (che
sono ossidate), per cui si ossida.
Pertanto, il risultato di questa reazione è la produzione di CO2 (l’accettore è azoto
inorganico ossidato) (il nitrito -NO2-- è una forma azotata che può funzionare sia da
accettore che da donatore -da accettore nel caso della denitrificazione e
dell’anammox, e da donatore nel caso dell’ossidazione del nitrito-)
Gli enzimi coinvolti sono diversi a seconda del passaggio:
• Nitrato reduttasi
• Nitrito reduttasi
• Ossido nitrico reduttasi
• Ossido nitroso reduttasi
In pratica quindi un microrganismo può possedere uno, alcuni, o tutti questi enzimi
(nel caso in cui un microrganismo ne possieda solo uno, potrà compiere un solo
passaggio, ne serviranno quindi altri per completare il processo).
La denitrificazione è una reazione molto diffusa e molto presente nei suoli.
È infatti sufficiente che il suolo o l’ecosistema diventi anaerobio anche per un tempo
limitato, per cui appena i microrganismi esauriscono l’ossigeno disponibile,
cominciano ad utilizzare il nitrato, che tra i possibili accettori di elettroni della
respirazione anaerobica, è una molecola utilizzata facilmente.
La maggior parte dei batteri denitrificanti sono anaerobi facoltativi, cioè possono
scegliere se utilizzare l’ossigeno od il nitrato→ questo vuol dire che la nitrato
reduttasi e tutti gli altri enzimi sono molto conservati e molto ben distribuiti tra i
microrganismi. Ma vuol dire anche che questi microrganismi, quando è presente
utilizzano l’ossigeno (perché come paragone a partire dallo stesso donatore di
elettroni, l’utilizzo dell’ossigeno è sempre più redditizio).
La fonte di energia è sempre il carbonio organico, quindi questi microrganismi
causano una perdita di carbonio, perché ossidano la sostanza organica e producono
CO2. Inoltre, causano anche una perdita di azoto perché riducono il nitrato a forme
volatili.
256
Da un punto di vista tassonomico abbiamo tanti microrganismi diversi, che sono
anche lontani proprio da un punto di vista evolutivo (es: Bacillus, Clostridium,
Pseudomonas).
Molti batteri tipicamente presenti nel suolo hanno anche la possibilità di
denitrificare→ quindi quando un suolo viene sommerso, solitamente inizia ad
emettere azoto, perché saranno presenti uno o più microrganismi che possono
compiere le varie fasi della denitrificazione.
La denitrificazione è infatti correlata più che alla presenza di microrganismi (perché
comunque tanti possono svolgerla), alla disponibilità di carbonio organico semplice.
Cioè se sono presenti delle molecole carboniose facilmente utilizzabili dai
microrganismi denitrificanti, (quindi molecole non troppo complesse), ed in
particolare se ci sono altri organismi che le producono a partire da molecole
organiche complicate, questi saranno più favorevoli a compiere la denitrificazione.
Alcuni batteri ammonio-ossidanti (Nitrosomonas) hanno per un passaggio genetico
(per ragioni legate alle mutazioni ed al trasferimento genetico orizzontale) acquisito
la capacità di compiere denitrificazione in condizioni anaerobie.
La denitrificazione comporta diverse conseguenze:
Quando avviene, è comunque preferibile che venga compiuta fino a quando non
viene prodotto N2, perché una denitrificazione incompleta porta alla produzione di
gas serra, che sono i cosiddetti NOX (sono i gas di azoto, come il monossido di azoto,
il protossido di azoto -N2O-), che comunque sono volatili ma sono gas serra.
Quindi è preferibile che venga prodotto N2, che è vero che è sempre azoto che viene
perso dal suolo, ma comunque così è in una forma non tossica (non è un gas serra).
Dal punto di vista della microbiologia agraria, la denitrificazione ha 2 aspetti sia
positivi che negativi:
• Da un punto di vista agronomico la denitrificazione comporta un aspetto
negativo→ cioè la perdita di azoto dai suoli (a volte sottoforma di gas serra)
• Per quanto riguarda i processi depurativi (cioè legati al biorisanamento -già
citato per ammonio-ossidanti e anammox-) è sicuramente una reazione molto
positiva→ perché i sistemi di trattamento delle acque reflue, spesso sono
progettati con il fine di ottimizzare l’attività di questi microrganismi.

257
RIZOSFERA, PGPR, MICORRIZE E BIOFERTILIZZANTI
RIZOSFERA E PGPR
La rizosfera è un comparto molto importante dal punto di vista microbico, in quanto
i microrganismi presenti nel suolo sono fondamentali per la crescita vegetale.
Si differenzia moltissimo dal suolo non rizosferico (dal suolo non abitato, dal suolo
non vegetato), perché a livello rizosferico si instaurano delle relazioni tra piante e
microrganismi dovute sia alla presenza della pianta che all’azione microbica.
• Parassitismo (negativo per le piante)→
causa un danno al vegetale
• Produzione di composti antibatterici
(prodotti dalla pianta)→ aiutano a
combattere le patologie vegetali
• Allelopatia (fenomeni allelopatici)→ la
pianta produce delle sostanze che
danneggiano e diminuiscono lo sviluppo
di altri vegetali.
Nel complesso abbiamo lo scambio tra
essudati radicali prodotti dalla pianta, ed
azioni microbiche che sono spesso volte al
miglioramento della produzione vegetale.
Quindi i microrganismi nella rizosfera non hanno un significato solamente negativo
(legato ai patogeni), ma abbiamo tutta una comunità di microrganismi che
contribuisce al benessere ed alla crescita vegetale.
I rapporti che le piante hanno con i microrganismi della rizosfera, si instaurano già a
partire dalla germinazione dei semi→ Infatti, abbiamo delle prove sperimentali che
evidenziano quanto la flora microbica presente sulla superficie del seme, avrà
comunque un’influenza anche sui microrganismi che si svilupperanno nella rizosfera.
Infatti, ad esempio alcuni biofertilizzanti sul seme vengono dati sottoforma di
concia, proprio perché si mantengono durante lo sviluppo del vegetale.
Rizosfera→ parte di suolo intorno alle radici (sul limite della rizosfera -dove finisce il
suolo rizosferico e comincia quello non rizosferico- ci possono essere delle difficoltà
di definizione). La Rizosfera è un ambiente complesso e dinamico (“dinamico”
perché non è sempre lo stesso e varia a seconda delle condizioni della pianta ed a
seconda delle condizioni ambientali) (“complesso” in quanto si instaurano una serie
di rapporti dovuti alla copresenza e all’azione congiunta di pianta e microrganismi).
258
Le caratteristiche di questo ecosistema rizosferico si differenziano moltissimo dal
restante suolo non rizosferico (cioè se noi andiamo a misurare le caratteristiche sia
microbiche che fisico-chimiche della rizosfera, possiamo notare che sono molto
diverse dal suolo non rizosferico).
Quella che solitamente chiamiamo rizosfera è l’ectorizosfera (ciò che sta al di fuori
delle radici), ma la rizosfera nel suo
complesso da definizione comprende:
• Endorizosfera (dentro)→ sono i primi strati
corticali delle radici
• Rizoplano→ superficie delle radici e dei
peli radicali
• Ectorizosfera (fuori)→ parte di suolo che
circonda le radici delle piante
Per studiare la rizosfera, spesso si
incontrano delle difficoltà in laboratorio,
principalmente dovute al fatto che per mantenere ed analizzare soltanto lo strato
rizosferico, è necessario separarlo dal restante suolo non rizosferico (difficile).
L’estensione della rizosfera dipende da:
• Tipo di suolo
• Specie vegetale
• Stadio di sviluppo del vegetale
• Fattori abiotici→ ad esempio le condizioni di pH
L’estensione della rizosfera a causa di tutti questi fattori può essere variabile, quindi
possiamo stimarla da pochi mm a pochi cm rispetto alla radice del vegetale.
Inoltre, la Rizosfera è variabile, questo proprio grazie alla specie del vegetale ed al
grado di sviluppo. Noi abbiamo ambienti rizosferici radicalmente diversi, partendo
da piante a diversi stadi di sviluppo, oppure che colonizzano suoli differenti.
Le conseguenze dell’effetto rizosferico, ovvero delle caratteristiche della rizosfera, e
del fatto che questa è differente dal suolo non rizosferico, sono:
• Regola una comunità microbica differente rispetto al suolo non rizosferico
• A livello della rizosfera si instaurano dei rapporti di simbiosi (ad esempio quelli
che coinvolgono l’azotofissazione simbiontica e le micorrize)
• A livello della rizosfera, proprio a causa di queste interazioni piante-
microrganismi si ha una modificazione delle proprietà fisico-chimiche del
suolo (cioè se noi misuriamo con dei microelettrodi gli elementi presenti, od il
259
potenziale redox, od il pH del suolo immediatamente attorno alle radici,
vedremo che è differente rispetto al suolo non rizosferico).
• Allelopatia→ Tutti gli effetti fino ad ora citati, comportano un’inibizione dello
sviluppo della crescita di altre specie vegetali (l’allelopatia è caratteristica
maggiormente di alcune specie vegetali piuttosto che altre, ma bisogna
sempre comunque tenerla in considerazione).
L’effetto rizosferico per i microrganismi è causato principalmente dal fatto che il
vegetale a livello rizosferico, emette una serie di essudati radicali ricchi di carbonio,
che per i microrganismi sono molto facili utilizzare, in quanto sono già
immediatamente disponibili→ acidi organici, amminoacidi, e molecole organiche
(sono immediatamente disponibili, perché i microrganismi li possono usare per
produrre energia, come fattori di crescita e come fonti di carbonio immediatamente,
visto che sono già “pronti”).
Questi composti organici sono facilmente utilizzabili dai microrganismi perché non
sono parte di una sostanza vegetale complicata con cellulosa e lignina, emicellulosa
e pectine, ma sono “carbonio piccolo” (che può entrare nelle cellule già così com’è -
zuccheri ed amminoacidi-).
Quindi i microrganismi si trovano in un ambiente con dei nutrienti immediatamente
disponibili, anche in riferimento ad altri nutrienti oltre al carbonio→ Perché proprio
l’assorbimento ed il rilascio di composti organici ed inorganici a livello delle radici, fa
si che si creino dei gradienti di concentrazione di questi elementi per cui anche gli
elementi in generale, poi il pH e l’ossigeno seguono un gradiente che dalla rizosfera
va verso il suolo non rizosferico→ si ha quindi una distribuzione in gradiente (da
tanto a poco) lungo la rizosfera.
Gli apparati radicali delle piante sono molto complessi, quindi per capire cosa
avviene a livello di un vegetale, se ha una rizosfera molto complessa (un apparato
radicale molto complicato, molto grande), l’attività radicale differisce a seconda del
tipo e della porzione di radice, quindi anche l’emissione del carbonio semplice sarà
differenziata e magari localizzata in punti precisi della radice.
Dobbiamo poi ricordare che la distribuzione degli elementi nutritivi nel suolo non è
omogenea, quindi si formano dei gradienti che hanno un’ampia variabilità.
Ciò si ripercuote sui microrganismi, perché questi si ritroveranno a disposizione dei
microambienti anche molto differenti, che andranno a selezionare e strutturare
delle comunità microbiche diverse.
Se andiamo a confrontare la rizosfera ed il suolo non rizosferico, ed andiamo ad
analizzare la tipologia di microrganismi che si sviluppano in questi due comparti.
Noteremo che nella rizosfera la concentrazione (quindi il numero) di cellule è
260
superiore rispetto al suolo libero da radici→ questo grazie appunto al fatto che i
microrganismi che si ritrovano queste sorgenti carboniose semplici hanno un
elevato tasso di crescita (crescono molto), in quanto hanno a disposizione tutto
questo carbonio da utilizzare.
Conseguentemente abbiamo quindi delle cellule ad un elevato tasso di crescita,
perché quelle che utilizzano questo carbonio facilmente reperibile, sono cellule che
poi quando ce l’hanno a disposizione, crescono rapidamente (quindi hanno un breve
tempo di generazione), e quindi possono utilizzare questa sostanza organica
semplice in poco tempo.
Se noi andiamo a confrontarli con microrganismi che usano altri tipi di nutrienti,
questi hanno tassi di crescita più lenti (es tutti gli autotrofi→ sono indifferenti alla
rizosfera, in quanto utilizzano sostanza inorganica. Cresceranno quindi più
lentamente).
La diversità filogenetica (quindi il numero di specie) è più ridotta rispetto al restante
suolo, proprio perché la rizosfera seleziona i microrganismi, ma ne seleziona di
meno rispetto alle condizioni di un suolo non rizosferico, dove abbiamo una
maggiore disomogeneità rispetto alla distribuzione dei nutrienti, che possono anche
essere presenti in forme diverse.
Grazie al fatto che abbiamo questa ridotta diversità filogenetica rispetto al suolo
non rizosferico, ed abbiamo cellule ad alto tasso di crescita, si crea a livello della
rizosfera una comunità molto adattata alla radice, che può anche fungere da
inibente nei confronti dei microrganismi fitopatogeni.
Quindi quello che sicuramente sappiamo è che i microrganismi della rizosfera, che
coesistono con le piante senza danneggiarle, riescono anche a proteggerle dagli
attacchi dei fitopatogeni, perché vanno a competere in maniera molto efficiente nei
confronti di questi organismi negativi.
Quindi gli organismi nella rizosfera fungono anche come protettori in questo senso.
L’effetto della rizosfera sui microrganismi varia a seconda dei microrganismi che
consideriamo. Perché se noi abbiamo dei microrganismi che come target hanno dei
nutrienti che non si trovano nella rizosfera, o che comunque qui si trovano in bassa
concentrazione, e sono maggiormente presenti nel suolo non rizosferico, questi
microrganismi non si svilupperanno e non avranno un effetto positivo dato dalla
presenza delle radici (la rizosfera ha un effetto molto positivo sul metabolismo degli
organismi eterotrofi – utilizzano la sostanza organica-, meno effetto sugli autotrofi -
che invece utilizzano la sostanza inorganica . Non avranno alcun vantaggio dalla
colonizzazione della rizosfera-).

261
Esempio di effetto
rizosferico riferito
all’ossigeno→ possiamo
trovare questo effetto nelle
aree sature d’acqua (paludi).
Le piante (le idrofite) che si
sviluppano in ambienti saturi
d’acqua, tipicamente hanno un’aerenchima molto sviluppato, quindi hanno la
possibilità di trasportare ossigeno verso le radici.
Questo è molto conveniente per i microrganismi, perché proprio a livello radicale,
vicino alle radici delle idrofite, si creano delle zone ossidate e ridotte, ovvero delle
zone in cui abbiamo ossigeno e delle zone in cui l’ossigeno non c’è (perché siamo in
un ambiente saturo d’acqua). Questa caratteristica favorisce nel caso delle idrofite,
una colonizzazione da parte sia di batteri aerobi, che di organismi anaerobi.
Quindi a livello rizosferico delle idrofite, possiamo avere la coesistenza di microflore
sia aerobie che anaerobie:
• Aerobie→ perché le radici trasportano l’ossigeno
• Anaerobie→ perché in un ambiente saturo d’acqua l’ossigeno è poco presente
(una radice in generale può avere un effetto simile anche per quanto riguarda il
carbonio nel suolo).
Batteri PGPR (Plant Growth Promoting Rhyzobacteria):
Sono i batteri che con la loro presenza favoriscono la crescita delle piante.
Le attività che svolgono, sono positive per la crescita vegetale→ infatti, il
metabolismo che svolgono normalmente, ha delle ricadute positive sulla crescita
delle piante.
Lo studio dei batteri promotori della crescita è di grande interesse agrario, sia per
quanto riguarda l’agricoltura biologica (che evitando l’utilizzo di approcci chimici alla
fertilità vegetale, tende ad attuare delle pratiche che possano promuovere ancora di
più la crescita vegetale indotta da questi microrganismi), che per la progettazione,
produzione e commercio dei cosiddetti biofertilizzanti, ovvero dei fertilizzanti che
contengono cellule microbiche al loro interno (queste cellule microbiche
normalmente colonizzano la rizosfera dei vegetali, promuovendone la crescita).
Tra i batteri PGPR abbiamo alcuni appartenenti ai generi Pseudomonas e Bacillus,
che instaurano con le piante dei rapporti molto poco specifici (Pseudomonas e
Bacillus li troviamo come promotori della crescita di piante anche di diverse specie).

262
Abbiamo poi anche delle relazioni simbiontiche specifiche, come ad esempio la
relazione tra Rhyzobium ed una leguminosa, che è specifica proprio sia a livello del
vegetale che del microrganismo.
Le relazioni tra piante ed organismi promotori della crescita vegetale si basano su
dei meccanismi di scambio→ Le piante forniscono mediante essudati radicali, fonti
di carbonio ed energia immediatamente disponibili, che i microrganismi hanno
immeditatamente a disposizione. Lo scambio avviene perché i batteri PGPR a
seconda della loro attività specifica (perché le attività di questi batteri possono
essere diverse) favoriscono la crescita e lo sviluppo del vegetale in diversi modi.
La promozione della crescita vegetale dovuta ai microrganismi PGPR avviene
attraverso:
• Interazioni dirette
- Approvvigionamento di nutrienti
- Produzione di fito-ormoni
• Interazioni indirette→ influiscono indirettamente sulla crescita vegetale
- Difesa da batteri o funghi patogeni
- Produzione di antibiotici→ hanno l’effetto di danneggiare funghi
fitopatogeni
- Induzione di meccanismi di resistenza nelle piante→ per cui le piante
acquisiscono la capacità di difendersi e proteggersi da organismi
patogeni
Approvvigionamento di nutrienti (meccanismo diretto):
(Noi qui citiamo il fosforo, ma non bisogna dimenticare che c’è anche
l’approvvigionamento di azoto -che è fondamentale-, e riguarda
l’approvvigionamento sia da parte di batteri che sono in simbiosi con le piante, ma
anche da batteri che in biocenosi (quindi anche gli azotofissatori in biocenosi con le
piante forniscono azoto).
Fosforo→ è molto importante. Il fosforo è presente nel suolo in diverse forme:
• Forma inorganica→ sottoforma di fosfati ed idrossiapatite
• Forma organica→ fitati, inositolo fosfati e fosfoesteri
Normalmente ce n’è in abbondanza per le piante. Il problema è che queste
assorbono il fosforo soltanto nelle sue due forme solubili che sono:
• Fosfato monobasico (H2PO4-)
• Fosfato dibasico (HPO42-)
263
Tra i batteri PGPR ci sono dei microrganismi che sono capaci di solubilizzare il
fosforo→ questi microrganismi, che sono diffusi nella maggior parte dei suoli,
possono andare a produrre delle molecole (normalmente degli ioni organici) che
causano un’acidificazione localizzata ed un rilascio in soluzione di questi ioni fosfato
che possono essere immediatamente assimilati dalla pianta.
Inoltre, possono mineralizzare il fosfato organico (quindi trasformarlo in inorganico)
soprattutto grazie a reazioni enzimatiche date da enzimi come:
• Fosfatasi acide
• Fitasi
Quindi in generale possiamo dire che il fosforo è presente, tuttavia spesso non è
assimilabile dalla pianta, ma i batteri PGPR mediante sia il rilascio di fosfato
inorganico in forma disponibile, che mediante la mineralizzazione di fosfato
organico (trasformato quindi in fosfato inorganico e disponibile), fanno si che la
pianta abbia effettivamente a disposizione il fosforo (e sappiamo che è
fondamentale, perché è tra i nutrienti di cui le piante hanno più bisogno per
crescere e produrre di più).
Produzione di fito-ormoni:
Alcuni batteri durante l’evoluzione hanno “imparato” a produrre delle molecole che
mimano gli ormoni vegetali (cioè che sono del tutto simili agli ormoni vegetali).
Questi organismi hanno evoluto quest’abilità per migliorare le loro interazioni con le
radici (che sono vantaggiose per entrambi).
I fito-ormoni prodotti dai microrganismi rizosferici, favoriscono tutte le reazioni che
anche gli ormoni prodotti dal vegetale favoriscono→ ad esempio favoriscono
l’allungamento, la divisione ed il differenziamento delle radici.
Gli ormoni sono delle proteine che vengono prodotte per promuovere il
differenziamento e la crescita cellulare (quindi ad esempio la crescita delle radici).
Ci sono poi dei fito-ormoni che promuovono direttamente la crescita vegetale
(quindi non soltanto l’allungamento e lo sviluppo delle radici, ma che promuovono
proprio anche la differenziazione di altri tessuti del vegetale).
I batteri PGPR possono inoltre produrre degli enzimi che vanno a modulare la
produzione di ormoni vegetali nella pianta.
Esempio→ produzione di IAA (acido indol-3-acetico) che viene prodotto dai
microrganismi, e va ad amplificare gli effetti ormonali già prodotti nella pianta
stessa, andando ad aumentarne l’effetto e quindi incrementando la crescita
vegetale.

264
Meccanismi indiretti:
La maggior parte sono dedicati alla protezione della pianta nei confronti degli
attacchi di eventuali patogeni.
Questi meccanismi si basano su relazioni che si basano a loro volta sulle relazioni tra
microrganismi.
Antagonismo:
È un’interazione negativa, in cui un gruppo microbico produce delle sostanze
antibiotiche o tossiche nei confronti di altri organismi.
Quindi ad esempio i microrganismi PGPR possono produrre queste sostanze, che
possono essere sostanze antibiotiche, o più in generale sostanze tossiche per altri
microrganismi. Queste sostanze possono essere molto varie e con meccanismi di
azione molto diversi, ma in generale si può dire che causano un danno allo sviluppo
dell’eventuale patogeno.
Generi che compiono quest’attività sono Pseudomonas e Bacillus, che producono
un’ampia gamma di sostanze antimicrobiche e quindi antipatogene a livello del
vegetale.
Lo stesso ceppo di batteri PGPR (quindi la stessa colonia) può arrivare a sintetizzare
molti tipi di antibiotici e molecole differenti, che possono poi agire in maniera più o
meno specifica, quindi essere più o meno selettivi nei confronti di patogeni diversi
(quindi possiamo avere un antagonismo nei confronti solamente di un certo ceppo
batterico, oppure nei confronti di tanti batteri e tanti funghi).
Competizione:
È molto diversa dall’antagonismo, perché si basa sul fatto che i microrganismi
competono per le sostanze nutritive, e vince chi ha il tasso di crescita più rapido, chi
quindi si moltiplica più rapidamente (la competizione non ha niente a che fare con la
produzione di molecole tossiche od antibiotiche).
Quindi abbiamo questi microrganismi che normalmente colonizzano la Rizosfera e
che hanno a disposizione i carboidrati che la pianta produce, che hanno un tasso di
crescita molto rapido, e che quindi solitamente vincono contro i microrganismi che
arrivano per parasitizzare il vegetale.
Un esempio è quello di Pseudomonas putida nei confronti di Fusarium (che è un
fungo patogeno che causa dei marciumi molto gravi)→ in questo caso Pseudomonas
diminuisce la disponibilità di ferro, in quanto è più abile nel produrre siderofori, e
quindi assimilare il ferro rispetto a Fusarium. Questo fatto fa sì che Fusarium venga
inibito nel suo sviluppo e quindi si moltiplichi meno.

265
La strategia della competizione consiste in pratica nell’escludere il patogeno dalla
sua nicchia ecologica, e quindi andare ad esporlo a stress ambientali e nutrizionali
che nel caso dei funghi vanno ad interromperne il ciclo riproduttivo e nel caso dei
batteri a diminuirne la crescita.
La competizione non implica un contatto diverso tra i microrganismi, in quanto è
una competizione per i nutrienti.
Inoltre, la competizione non è esclusiva nei confronti dei patogeni, perché
normalmente c’è una competizione anche nei confronti dei PGPR stessi.
Tuttavia, i PGPR sono tutti molto adattati all’ambiente radicale, quindi solitamente
sono i patogeni che hanno la peggio.
Induzione della resistenza sistemica indotta (ISR):
Riguarda un fenomeno che è simile all’immunità acquisita grazie ad una
vaccinazione.
Alcuni batteri fitopatogeni sono in grado di indurre nel vegetale di cui colonizzano la
rizosfera, la capacità di proteggersi e resistere agli attacchi di determinati
fitopatogeni.
La resistenza indotta è un processo che grazie alla presenza di un certo organismo
nella rizosfera della pianta, rende quest’ultima capace di difendersi nei confronti di
un altro organismo.
Non tutti i PGPR possono indurre tale resistenza, ma altri si, e questa caratteristica è
stata osservata per la prima volta grazie a Pseudomonas (che quindi ora possiamo
capire come sia un batterio abbastanza ubiquitario nella rizosfera) → Pseudomonas
andava a proteggere il garofano dalla fusariosi (quindi abbiamo sempre Fusarium
come patogeno), inducendo una risposta della pianta nei confronti di questo fungo.
Questa induzione di resistenza si basa su tutta una serie di complessi segnali
biochimici tra pianta e microrganismi.
In poche parole, possiamo quindi dire che la pianta si rende capace di contrastare
l’infezione dell’organismo patogeno.
Questa resistenza non prevede ad esempio che Pseudomonas sia a contatto con
Fusarium, è proprio una relazione che Pseudomonas instaura con la pianta, e si è
visto che il contatto con determinate specie e determinati ceppi, fa si che le piante
diventino resistenti nei confronti di alcuni fitopatogeni.
Quindi dipende dalla combinazione genetica tra batteri e PGPR (in questo esempio
tra Pseudomonas e Fusarium), ma non prevede che entrino in contatto.
Si è visto che la resistenza nelle piante può essere indotta artificialmente andando
ad inoculare un determinato ceppo PGPR nel suolo→ ad esempio noi possiamo
rendere resistenti rispetto ad un determinato patogeno, delle piante che andiamo a
266
trattare con un determinato batterio PGPR, facendo attenzione che venga sempre
mantenuta la combinazione PGPR-patogeno (proprio come se fosse un vaccino) ,
quindi un determinato ceppo induce la resistenza nei confronti di un determinato
patogeno.

MICORRIZE E BIOFERTILIZZANTI
Le micorrize sono molto importanti quando si parla di crescita dei suoli e di
promozione della crescita vegetale, proprio perché sono una simbiosi tra funghi e
piante molto rilevante in agricoltura.
Circa il 90% delle piante terrestri, e la maggior parte delle piante coltivate, sono
coinvolte in un qualche modo in una relazione micorrizica, anche perché le micorrize
possono avere un grado diverso di associazione con le piante.
Sono un fenomeno molto diffuso.
Stiamo parlando di funghi pluricellulari, che con il loro micelio colonizzano la radice
del vegetale senza causare danni, ma anzi aiutando la pianta a migliorare la propria
crescita.
Sostanzialmente in questa simbiosi micorrizica il fungo va alla ricerca di tutto ciò che
abbiamo già descritto della rizosfera, cioè le piante rilasciano degli essudati radicali
con dei composti carboniosi a basso peso molecolare, che sono facilmente
utilizzabili.
Quindi i funghi micorrizici vanno ad assorbire queste fonti di energia e di carbonio
dalle piante, restituendo però a queste, in cambio, ioni inorganici e acqua (le piante
hanno bisogno di nutrienti ed acqua, e questi vengono assorbiti tramite la rete ifale).
Quindi è come se il fungo micorrizico si comportasse con la pianta come un apparato
radicale ausiliario→ come se la radice della pianta fosse molto più diffusa, perché è
in relazione con un fungo micorrizico che con il suo micelio e le sue ife può
colonizzare molto bene il suolo, ed ha la possibilità di trasferire i nutrienti alla pianta
(la pianta si serve del fungo per assorbire meglio i nutrienti).
Addirittura, in relazione al discorso che abbiamo fatto sul fosforo (che spesso è
presente ma non è disponibile), molti funghi micorrizici sono in grado di solubilizzare
il fosforo come i batteri PGPR e danno direttamente un “plus” alla crescita vegetale,
migliorando lo stato nutrizionale ed in generale la resistenza agli stress.
Quindi in generale le piante micorrizate, sono molto diffuse (e si micorrizano anche
artificialmente), perché visto che sono in relazione a questi funghi, che forniscono
loro nutrienti ed acqua, crescono meglio, e soprattutto tollerano meglio gli stress
(più di tutti lo stress idrico).

267
I funghi micorrizici sono quindi importantissimi in tutti gli ecosistemi, e sono molto
importanti quando si va a valutare il funzionamento e la biodiversità di un qualsiasi
ecosistema, a partire da quelli agrari.
Certamente i funghi, quando parliamo di specie non coltivate, hanno comunque un
effetto molto importante sulla composizione della comunità vegetale che si crea,
perché le piante micorrizate avranno un vantaggio sulle altre.
Per sottolineare l’importanza delle micorrize e la diffusione di questo fenomeno, si
parla di un “Wood wide web”→ sarebbe la relazione che esiste tra piante diverse,
che però sono unite dal medesimo fungo micorrizico→ un unico micelio di un unico
tallo fungino può micorrizare più piante, e quindi si è visto che le piante possono
“comunicare” tra di loro mediante segnali che sono mediati da composti di
carbonio, proprio attraverso il fungo micorrizico che le micorriza entrambe.
Questo discorso sui funghi micorrizici che hanno importanza rilevante per la fertilità,
è il punto chiave per cui l’agricoltura sostenibile o biologica, analizza e studia molto
bene quali sono i fattori che ne influenzano le performance, per promuoverle.
Radice ed ife fungine che sono in stretta relazione
con l’apparato radicale→ Le ife fungine hanno
proprio la funzione di un apparato radicale
secondario per la pianta micorrizata.
Quindi è proprio come se la pianta micorrizata
avesse una radice molto più potente con una
capacità di assorbimento dei nutrienti molto più
importante rispetto alla sua radice.
Le relazioni che si instaurano tra pianta e micorrize possono essere diverse in base
alla tipologia di funghi micorrizici. In generale ne possiamo definire 3 tipi:
• Ectomicorrize→ fuori
• Ectoendomicorrize→ situazione intermedia
• Endomicorrize→dentro
Ectomicorrize:
Sono costituite da un fungo e dalla sua rete ifale
che cresce attorno alla radice avvolgendola,
andando a formare un vero e proprio mantello di
ife che avvolge gli apici radicali. Quindi è come se
le radici avessero un rivestimento costituito da
ife. Hanno una relazione con la pianta “più
esterna”.
268
Ectoendomicorrize:
Sono delle micorrize “intermedie”.
Immagine Sx→ come si vede dall’esterno. Apice
radicale avvolto dal micelio fungino.
Immagine Dx→ le ectoendomicorrize penetrano
nel primo strato corticale delle radici,
rimanendo però fuori dalle cellule. Quindi il
micelio si sviluppa nel vegetale nello spazio tra
una cellula e l’altra (ed anche in questo caso c’è
una stretta relazione tra vegetale e fungo).
Endomicorrize:
Relazione più stretta.
Il fungo (che spesso appartiene agli
Ascomiceti) colonizza fino all’80% delle cellule
radicali, formando degli avvolgimenti detti
“coils” ed entrando all’interno delle cellule→
quindi le ife non stanno nello spazio tra due
cellule, ma entrano all’interno, andando a
modificarsi e producendo i cosiddetti
“austori”, che sono delle ife modificate che servono perché entrano nella cellula del
vegetale (in maniera che lo scambio tra vegetale ,che cede carbonio, e fungo, che
cede acqua e nutrienti, sia molto più stretto).
Tra questo tipo di micorrize riconosciamo le:
• Ericoidi→Specie vegetali appartenenti alle Ericales
• Orchidee→Necessarie alla germinazione dei semi di specie appartenenti alle
Orchidacee
• Arbuscolari→ le endomicorrize arbuscolari sono le più diffuse in natura e sono
quelle che più di tutte si cerca di preservare (perché sono quelle più coinvolte
per quanto riguarda il benessere vegetale).
Biofertilizzanti:
I biofertilizzanti per quanto riguarda la loro parte biologica (perché in genere oltre a
questa contengono anche additivi), Possono essere costituiti da batteri PGPR o
funghi micorrizici.

269
La scelta di quali batteri e quali funghi utilizzare,
viene fatta in base alle specifiche esigenze del
vegetale che deve essere biofertilizzato.
Quindi esistono diversi tipi di biofertilizzanti per
diversi tipi di colture (immagine è specifico per i
cereali).
L’efficienza dei biofertilizzanti è influenzata in maniera importante non soltanto da
quello che ci mettiamo dentro, ma anche da:
• Caratteristiche del suolo che viene trattato con biofertilizzanti
• Modalità di somministrazione→ se ad esempio vengono dati sottoforma
granulare o liquida
• È fondamentale che le cellule contenute nei biofertilizzanti possano
sopravvivere per espletare la loro funzione nei confronti della pianta.
• Eventuale competizione che i microrganismi contenuti nei biofertilizzanti
possono incontrare nei confronti dei microrganismi presenti nel suolo
Nomi di generi che appartengono alle 3 categorie di organismi che normalmente
vengono inclusi nei biofertilizzanti:

I biofertilizzanti solitamente contengono:


• Funghi micorrizici→ sempre almeno uno
• Azotofissatori→ sempre almeno uno (esempio è Anabaena, è un
cianobatterio)
• Organismi che solubilizzano il fosforo→ sempre almeno uno
• Altro→ Rappresenta le altre eventuali funzioni dei PGPR, cioè ad esempio
l’antagonismo nei confronti di un certo patogeno, la promozione della
risposta di tolleranza nei confronti di un patogeno nel vegetale (ISR), oppure
la capacità di sintetizzare un determinato ormone vegetale che favorisce la
crescita…
270
Per quanto riguarda i batteri, alcuni possono fungere sia da azotofissatori che da
solubilizzanti per il fosforo. Ci sono infatti dei microrganismi che hanno questa
doppia valenza (così come ci sono dei funghi micorrizici che possono solubilizzare il
fosforo).
Le specificità nei biofertilizzanti per le diverse colture sono molto importanti:
Sono organismi che promuovono
la crescita di mais e frumento→
nonostante siano due cereali, in
parte con le medesime finalità
(avere buona produzione in
granella), presentano una loro
preferenza, dei loro gruppi di
organismi che promuovono la loro
crescita.
Quindi se volessimo progettare un biofertilizzante per il mais, andrei a scegliere ed a
cercare di inserire in qualche modo questi microrganismi.
Quando andiamo ad utilizzare i biofertilizzanti con delle sostanze che possono
favorire l’azione dei microrganismi, dobbiamo però sempre tenere presente che li
stiamo aggiungendo a dei suoli in cui ci sono dei microrganismi autoctoni, che
espleteranno le loro funzioni, e che eventualmente andranno a competere con i
microrganismi presenti nei biofertilizzanti.
Il pedoclima (quindi le condizioni del suolo) sicuramente eserciterà una certa
influenza sull’efficienza del biofertilizzante, inoltre anche la lavorazione meccanica
può aumentare o diminuire la sua efficienza, così come la fertilizzazione e la
gestione dei residui.
Bisogna sempre tenere in considerazione una serie di fattori, che trovandoci di
fronte ad organismi viventi devono essere considerati.
Ad esempio, sui funghi micorrizici si è visto che i diversi tipi di gestione del suolo,
vanno ad influire pesantemente sulla micorrizazione naturale, ma anche sulla
micorrizazione artificiale.
Ad esempio, la lavorazione meccanica, la fertilizzazione (in particolare la
fertilizzazione minerale) e le colture di copertura possono inficiare o promuovere
l’azione dei funghi micorrizici che sono già presenti o che andiamo ad aggiungere.

271
Rappresentazione di diverse pratiche agricole:

Portano benefici per i funghi micorrizici:


• Basso input di azoto e fosforo→ perché se si fa una fertirrigazione con troppo
azoto e troppo fosforo, i funghi micorrizici subiscono un danno e quindi
funzionano di meno
• Le colture di copertura promuovono la presenza di funghi micorrizici→ perché
fornendo una fonte di essudati radicali disponibile quando la coltura
principale non è presente, fa si che il fungo micorrizico che si è già sviluppato
nel suolo, mantenga inalterate le sue funzioni e continui a lavorare e
svilupparsi.
Tendenzialmente portano effetti negativi per i funghi micorrizici:
• Lavorazione meccanica→ tende a danneggiare i funghi micorrizici perché va a
danneggiare le reti ifali. Quando si instaurano i funghi micorrizici nel suolo è
proprio come se si creasse una rete di interconnessione tra le ife e le piante.
Le pratiche agricole di lavorazione, quelle importanti come l’aratura, tendono
ad essere troppo aggressive sui miceli, andando a frammentarli
eccessivamente. Il fungo comunque successivamente si rigenererà, ma avrà
subito un danno, e quindi ci sarà una perdita della rete ifale costruita nel
tempo.
Quindi una bassa fertilizzazione con azoto e fosforo, una minima lavorazione del
suolo, e la gestione delle colture di copertura, promuovono i funghi micorrizici che a
loro volta promuovono la crescita vegetale.

272
Sono qui mostrati gli
aspetti a partire
dalla produzione
fino alla
somministrazione,
che possono in
qualche modo
influire sull’efficacia
di un
biofertilizzante.
Grafico→ si vede la percentuale di cambiamento in resa di vari tipi di vegetali in
presenza di biofertilizzanti (sull’asse delle x viene riportato l’incremento di
produzione in percentuale). Gli incrementi di produzione sono diversi per i diversi
tipi di cereali. Questa è una tabella che riguarda uno studio bibliografico dove sono
stati citati molti studi. Si vede proprio che per i cereali l’incremento a fronte
dell’utilizzo di un biofertilizzante (in condizioni ideali) si attesta attorno al 15%, poi
per quanto riguarda invece le colture come le carote e le patate, aumenta la resa ma
non così tanto. Così via anche per le altre categorie di vegetali.
Una volta anche che abbiamo scelto il migliore biofertilizzante per la categoria di
colture che vogliamo coltivare, ci sono 4 momenti che diventano critici per l’efficacia
del biofertilizzante:
Partendo dal prodotto, la composizione
dipende dalla coltura che volgiamo
promuovere→ quindi ad esempio se
voglio produrre un biofertilizzante per i
cereali, userò certi tipi di microrganismi
(quindi ad esempio se lo voglio produrre
per il mais andrò a scegliere una specie
tra quelle “consigliate” (vedi slide
prima) e poi andrò a valutare l’attività,
la concentrazione necessaria,
testandone inoltre l’efficienza).
Bisogna tenere conto di diversi tipi di prove, a partire dalla scala del laboratorio alla
scala di campo. Quindi prima di mandare un prodotto alla grande produzione i test
che vengono fatti non sono soltanto test di laboratorio, ma via via ci si sposta ad una
sperimentazione di campo (spesso le aziende che producono biofertilizzanti ne
hanno).
273
Le caratteristiche del prodotto
influiscono sulla produzione
vegetale. Nel grafico abbiamo
l’esempio dei funghi micorrizici e
degli azotofissatori, che
influiscono più di altre
caratteristiche, sull’incremento di
produzione.
I due tratti di solubilizzazione del fosforo ed azotofissazione, in combinazione,
promuovono di più la crescita rispetto ai due tratti presi singolarmente (infatti in
generale vengono scelti dei microrganismi che svolgono entrambe le funzioni).
Alcune valutazioni che si possono fare sui tipi di formulazione→Ad oggi esistono 3
tipologie principali di formulazioni:
• Solide→ sono le più diffuse ed
hanno costi contenuti. Il problema
riguarda la conservabilità.
• Liquide→ conservabilità più bassa,
bassa vitalità dei microrganismi e
costi elevati. Vengono però
distribuite con grande facilità
• Capsule→ Migliore conservabilità,
mantengono elevata vitalità. Ma per
ora costi molto elevati (si stanno
ribassando però).
Il trasporto e la conservazione anche nell’azienda stessa che acquista il
biofertilizzante, trattandosi di microrganismi che devono tornare ad essere vivi e
vitali nel suolo, è fondamentale (si può avere ad esempio esposizione a stress
termici o di umidità). Le modalità di conservazione sia in azienda che prima della
vendita sono fondamentali.
Se ho quindi il mio biofertilizzante ideale, che è stato conservato
nella maniera opportuna, ora devo sempre però validare e valutare
il risultato ottenuto, aggiustando alcuni parametri poi in campo.
I biofertilizzanti hanno un funzionamento abbastanza specifico,
cioè un biofertilizzante di una determinata azienda su un
determinato suolo funziona bene, ma su altri suoli può funzionare

274
meno bene o non si vede proprio se funziona (anche proprio lo stesso tipo di
biofertilizzante ma di aziende diverse può dare risultati diversi).
Questo a causa dei seguenti fattori:
• Gestione del suolo
• Pedoclima
• Microrganismi autoctoni (microrganismi già presenti nel suolo)
• Persistenza e resa del biofertilizzante stesso
Tutti questi fattori, insieme ed in combinazione tra loro, possono promuovere (cioè
migliorare) od inficiare l’azione del biofertilizzante.

275
LA FILLOSFERA
LA FILLOSFERA
I microrganismi che colonizzano la Fillosfera, si chiamano “epifiti” e colonizzano la
parte aerea delle piante arboree ed erbacee.
Tutto quello che non è rizosfera è Fillosfera (ciò che sta sopra il suolo).
Per cui comprendiamo:
• Foglie→ area più studiata e più indagata
• Frutti
• Fusti
La fillosfera delle piante acquatiche è molto interessante (noi però non ce ne
occuperemo)→ ci sono moltissimi microrganismi che aderiscono alla parte
fillosferica delle piante acquatiche (ne è particolarmente ricca), proprio perché in
ambiente acquatico i microrganismi possono aderire alle superfici.
Anche nelle piante terrestri la fillosfera ha un’importante colonizzazione microbica,
anche se questo habitat è comunque molto diverso rispetto a quello della rizosfera.
L’habitat epigeo per i microrganismi è molto diverso da quello ipogeo→ perché
anche nell’ambito della stessa specie vegetale, la rizosfera risente dell’effetto
rizosferico e quindi del rilascio di zuccheri da parte della pianta, mentre l’habitat
epigeo ha sicuramente delle caratteristiche molto diverse soprattutto dal punto di
vista nutrizionale.
Quindi ad esempio nella fillosfera troviamo dei microrganismi che sono dotati di
pigmenti, in quanto devono sopportare la radiazione luminosa (invece i
microrganismi che si trovano nella rizosfera non subiscono questo stimolo).
Per cui abbiamo ad esempio dei microrganismi che tipicamente si trovano nella
rizosfera, come Rhyzobium ed Azospirillum che fissano l’azoto per le piante, e che
non si trovano nella fillosfera.
Quindi possiamo dire che la parte epigea delle piante è molto molto diversa rispetto
alla rizosfera.
Per quanto riguarda i microrganismi epifiti (quindi quelli che colonizzano la
fillosfera) abbiamo in prevalenza batteri (se ne stimano addirittura 107-108 per cm2),
poi per quanto riguarda gli eucarioti abbiamo principalmente:
• Lieviti→ si trovano soprattutto sui frutti che rilasciano sostanze zuccherine che
gli lieviti utilizzano come fonte di carbonio
• Funghi miceliari→ in particolare però nella fillosfera abbiamo le spore sessuali
ed asessuali
276
Di quali stimoli risentono i microrganismi nella fillosfera?
Risentono di tutta una serie di variabilità:
• Variabilità stagionale→ questi microrganismi colonizzano un habitat esposto
(mentre nella rizosfera stanno comunque dentro al suolo) ai fenomeni
atmosferici, e quindi abbiamo un andamento stagionale, in quanto nelle
diverse stagioni le temperature saranno diverse
• Localizzazione→ abbiamo delle superfici differenti. Gli organismi che si
trovano sul fusto avranno un habitat differente rispetto a quelli che si trovano
sulle foglie (sono tessuti molto diversi).
• Variabilità tra specie vegetali→ ogni specie vegetale ha una sua composizione
caratteristica rispetto alla fillosfera, che dipende dalle caratteristiche delle
foglie e dei fusti, ed eventualmente se sono presenti, i frutti.
• Fluttuazione dovuta alla fisiologia vegetale→ le piante di età diverse hanno
fillosfere diverse. Le foglie più giovani presentano una maggiore biodiversità
di microrganismi epifiti rispetto alle foglie più vecchie.
La fillosfera per i microrganismi è un habitat meno ospitale rispetto alla rizosfera, ed
è infatti inadatto allo sviluppo di alcune microflore→ Questo perché le microflore
che necessitano di elevate quantità di nutrienti, tendenzialmente non le ritroviamo
sulla fillosfera, perché qui i nutrienti sono ridotti rispetto a quelli della rizosfera.
Tanti batteri epifiti non risultano essere coltivabili in laboratorio, quindi di molti di
essi ne abbiamo tracce, perché siamo in grado di studiarne il DNA, ma non siamo in
grado di coltivarli in coltura pure, e quindi di alcuni di essi ci mancano alcune
caratteristiche fondamentali.
Un’altra caratteristica della fillosfera, è che alcuni batteri epifiti sono fitopatogeni,
oppure alcuni di essi possono essere patogeni per l’uomo o per alcuni animali→ ad
esempio abbiamo salmonella enterica ed E.coli che possono colonizzare facilmente
la fillosfera sia del mais che delle leguminose, in particolare in ambienti umidi.
Questa è la ragione per cui ad esempio quando si consumano delle verdure a foglia
larga, si consiglia di lavare bene il vegetale prima di consumarlo, perché sulla
fillosfera ci possono essere degli organismi che sono patogeni per l’uomo.
La fillosfera risente di fluttuazioni termiche e di umidità, che sono le stesse a cui
sono soggetti i tessuti e le foglie delle piante, perché noi possiamo avere nella stessa
giornata un’escursione termica anche di più di 10°C ed i microrganismi che sono
della fillosfera ne risentono. Anche piogge abbondanti ed improvvise, fanno sì che ci
sia un’importante variabilità in termini di umidità anche in un periodo ridotto.
277
I microrganismi della fillosfera sono molto meno protetti rispetto a quelli della
rizosfera, dove invece la temperatura è più costante, ed anche la dotazione nutritiva
ha delle caratteristiche più continue.
Solitamente per ovviare a queste ragioni, i batteri della fillosfera vanno ad
organizzarsi in:
• Biofilm
• Aggregati
Proprio per avere un’ulteriore protezione rispetto a queste fluttuazioni e fenomeni
meteo, che possono causare delle difficoltà.
Quindi i biofilm e gli aggregati conferiscono ai microrganismi una protezione
importante per cui tendono a formarsi sulle foglie, sui fusti e sui frutti.
Sono rappresentate la distribuzione di gruppi di
microrganismi epifiti su comparti della rizosfera→
tendono ad organizzarsi in colonie (rimangono
riavvicinati gli uni agli altri), quindi mantenendo
un’aggregazione importante proprio perché
questo fatto li facilita nei confronti degli stress
ambientali che possono subire.
Le foglie offrono una superficie per lo sviluppo di microrganismi epifiti.
Nelle foglie possiamo trovare microhabitat diversi→ Cioè una foglia, che dal nostro
punto di vista può rappresentare una superficie abbastanza costante, in realtà è
costituita da molti microhabitat (molte nicchie ecologie diverse per i microrganismi)
che vanno ad influenzare la distribuzione dei batteri.
Questi microhabitat sono causati dalle irregolarità sulla superficie delle foglie di
molte piante, che possono essere dovute alla presenza di rigonfiamenti, solchi, peli
oppure alla presenza e distribuzione di cere, od ancora alla presenza di camere
stomatiche (Questi diversi microhabitat che si creano influiscono sulla distribuzione
dei microrganismi).

I microrganismi tendono a localizzarsi in punti precisi,


lasciando scoperte delle aree, in quanto tendono a
distribuirsi in zone in cui sono più protetti.

278
Gli stomi sono una caratteristica delle foglie, che offre ai
microrganismi epifiti un microhabitat ideale, perché visto
che sull’habitat della fillosfera i microrganismi risentono
anche spesso della mancanza di acqua, la vicinanza alle
camere stomatiche dove viene emesso vapore acqueo per
evapotraspirazione, fa sì che questi possano trovare una
nicchia ecologia in cui possano avere disponibilità di acqua.
Sono sempre due camere stomatiche, una piena di
microrganismi (Sx), ad indicare che alcuni epifiti, che
poi possono diventare fitopatogeni, vanno proprio a
colonizzare addirittura l’interno della camera
stomatica delle foglie, proprio perché qui possono avere la protezione e l’acqua di
cui hanno bisogno, quindi evitano con maggiore efficienza gli stress ambientali.
In questo caso possono diventare fitopatogeni, perché attraverso le camere
stomatiche possono avere accesso ai tessuti interni della pianta, o comunque
ostruendo le camere stomatiche possono causare dei problemi alla pianta stessa.
Anche la pagina inferiore delle foglie è un habitat molto interessante per i
microrganismi epifiti.
Esempio di pagina inferiore di Arabidopsis
thaliana→è infestata in questo caso da un fungo
miceliare (un Ascomycota). La pagina inferiore delle
foglie, che è ricca in tricomi, offre un habitat ai
microrganismi migliore rispetto alla pagina superiore.
Questo perché il fatto di essere nella pagina inferiore, significa essere lontani
rispetto alla radiazione solare, ed in più ci sono i tricomi, che possono offrire
protezione rispetto alla disidratazione e maggiore facilità nell’adesione alla foglia.
La pagina inferiore risulta quindi essere più ricca rispetto alla pagina superiore.
Pagina superiore (Sx) e pagina inferiore (Dx) che è ricca in
tricomi, che possono servire come protezione nei
confronti degli stress ambientali.
Quindi i microrganismi tendono proprio ad andare a
disporsi in corrispondenza dei tricomi.

279
Tricomi con microrganismi→Le
cellule vanno a localizzarsi in
prossimità dei tricomi,
formando degli aggregati che
hanno dei vantaggi a svilupparsi
in questa posizione.
Per quanto riguarda i nutrienti, la fillosfera è un comparto ambientale che presenta
molti meno nutrienti rispetto alla rizosfera.
Nella rizosfera abbiamo sia gli essudati radicali rilasciati dalla pianta in
corrispondenza delle radici, sia la sostanza organica che deriva dai tessuti vegetali
che si stanno decomponendo.
La fillosfera invece ha una concentrazione di nutrienti molto ridotta, ed i nutrienti
presenti (gli zuccheri ad esempio), sono solitamente dovuti alla lisi delle cellule
vegetali (in particolare nelle foglie), oppure da fenomeni di secrezione da parte del
vegetale. In generale però sono sicuramente molto meno abbondanti rispetto alla
rizosfera.
La concentrazione e la composizione in termini di nutrienti è variabile a seconda:
• Dell’età delle foglie
• Dello stadio di sviluppo
• Dell’eventuale presenza di lesioni→ perché una lesione su una foglia
rappresenta per i microrganismi una ricca dotazione nutritiva (quindi quando
una foglia presenta una lesione, sicuramente in corrispondenza di questa si
svilupperanno tanti microrganismi. Alcuni di questi potranno poi
eventualmente diventare patogeni nel momento in cui passano poi
all’apparato vascolare del vegetale).
La distribuzione dei nutrienti, quando sono presenti, è molto eterogenea.
Quindi ciò vuol dire che ci possono essere dei punti in cui ci sono i nutrienti, e dei
punti in cui non ci sono.
Quindi non è come nella rizosfera, in cui abbiamo una distribuzione dei nutrienti
abbastanza continua, perché le piante continuano ad emettere carboidrati.
Sulla fillosfera abbiamo degli spot dovuti a lesioni od a secrezioni di nutrienti da
parte del vegetale, ma sono molto localizzati, ed in corrispondenza di queste
localizzazioni di nutrienti, andranno a svilupparsi i microrganismi che in genere nella
foglia trovano soltanto pochi siti in cui ci sono abbondanti sostanze nutritive.
Per quanto riguarda la microbiologia agraria, l’importanza dello studio della
fillosfera, non è tanto dovuto alla necessità di capire in che modo i microrganismi
della fillosfera possano eventualmente diventare patogeni o contribuire in un
280
qualche modo alla crescita vegetale (perché in realtà sono i microrganismi della
rizosfera che promuovono la crescita vegetale, quelli della fillosfera in realtà no),
quanto più che altro è invece è legata al fatto che tutti i tessuti vegetali, che poi
sono sottoposti a delle trasformazioni successive in post raccolta, risentono della
colonizzazione dei microrganismi della fillosfera.
Quindi nelle trasformazioni in cui i frutti e le foglie sono coinvolti dopo la raccolta,
partecipano anche i microrganismi della fillosfera, che subiscono l’azione selettiva
delle condizioni a cui li sottoponiamo→ ad esempio se noi raccogliamo i frutti e li
trasformiamo (ad esempio raccogliamo l’uva e la trasformiamo in vino, gli lieviti
epifiti che si trovano sulle bacche, avranno un’influenza importantissima sulle
trasformazioni del mosto).
Infatti, abbiamo alcuni esempi in cui i microrganismi della fillosfera rivestono un
ruolo fondamentale nei processi di trasformazione:
• Vino→ lieviti epifiti contribuiscono alla fermentazione
• Olio ed olive da mensa→ anche in questo caso nella trasformazione delle
olive, si ha un’azione diretta delle microflore che rivestono normalmente le
olive ancora da raccogliere sull’albero
• Trasformazione dei crauti→ fermentazione guidata dai microrganismi della
fillosfera.
• Insilati→ conservazione degli insilati come mangimi per gli animali
d’allevamento. Anche in questo caso l’insilamento è una procedura che
dipende moltissimo dalle caratteristiche degli organismi epifiti.
Produzione del vino:
Per quanto riguarda l’industria enologica, bisogna ricordare che i microrganismi che
si trovano sulle bacche d’uva, durante il processo di trasformazione in vino, migrano
dall’uva al mosto, condizionando proprio le caratteristiche finali del prodotto.
Sui frutti dell’uva ci sono molte specie di lieviti e molti batteri lattici che sono
proprio quelli che contribuiscono alla fermentazione→ si stima che su un grammo di
bacche d’uva mature cci siano dai 105 ai 106 lieviti (tra questi lieviti c’è anche
Saccharomyces cerevisiae che servirà poi anche per la fermentazione alcolica).
Localizzazione dei lieviti sulle bacche→ (quello
nell’immagine è Saccharomyces cerevisiae). Su
quella specie di polvere che si vede quando si
raccoglie l’uva, si trovano i microrganismi epifiti (di
cui i più importanti sono gli lieviti epifiti, che sono
responsabili della fermentazione alcolica, che serve
per trasformare gli zuccheri presenti nel mosto in alcol etilico).
281
Il prodotto finale è molto influenzato dalla popolazione di lieviti epifiti.
Quindi noi sappiamo che anche a partire dalla stessa cultivar, avremo vini diversi a
seconda delle zone, a seconda dei vitigni, proprio perché ogni vitigno “si porta
dietro” i suoi lieviti cosiddetti autoctoni, che vanno a colonizzare le bacche.
Ogni insieme di lieviti autoctoni porterà avanti le trasformazioni in modo un po'
diverso, condizionando le caratteristiche finali del vino.
I lieviti presenti sull’uva sono il risultato di una selezione anche se inconsapevole da
parte dell’uomo. Questa selezione si è basata sul fatto che procedure di lavorazione,
selezione delle cultivar, dei vitigni, hanno selezionato necessariamente anche i lieviti
(I lieviti che contribuiscono poi alla fermentazione, sono il risultato della selezione
che l’uomo compie. Perché con la selezione del vitigno, avviene allo stesso tempo la
selezione dei lieviti delle bacche).
Le diverse composizioni derivano anche da:
• Tipo di vitigno
• Tenore in zuccheri→ può essere variabile anche da un anno all’altro
• Tipologia di suolo
• Clima→dalle precipitazioni e dalle temperature
• Lavorazioni
• Eventuali fitofarmaci
Questi fattori contribuiscono tutti a selezionare e a modificare la popolazione di
lieviti che possono essere presenti sulle bacche, e quindi anche poi condizionare le
caratteristiche finali del vino.
Possono essere rilevanti anche altri fattori biotici, ma sommariamente tutte le
condizioni che influiscono su un vitigno, vanno anche poi ad influire sulle
popolazioni di lieviti.
Lieviti autoctoni→ sono quelli che durante la produzione del vino si sviluppano sulle
bacche naturalmente, e che quindi possono fermentare il mosto conferendo al vino
certe caratteristiche.
Lieviti starter→ vengono utilizzati nell’industria enologica per avere un prodotto più
uniforme, perché sono dei lieviti che sono a disposizione in cantina o acquistati da
aziende esterne, che hanno delle caratteristiche specifiche e tendono a fermentare
sempre nello stesso modo, e quindi dare un risultato ripetibile.
I lieviti predominanti, che siano questi autoctoni oppure starter, condizionano il
valore del prodotto finale, in quanto andranno ad influenzare le caratteristiche del
vino.

282
Alcune fermentazioni sono responsabili della resa alcolica, altre responsabili di altre
caratteristiche qualitative (aroma, profumo…).
La popolazione di lieviti presenti sulle bacche, e che quindi arrivano nel mosto, è
molto influenzata anche dalle condizioni ambientali del periodo della raccolta,
soprattutto dall’umidità→ Infatti, le uve che vengono raccolte dopo abbondanti
piogge o gradinate, oppure che sono state colpite dalle malattie, presentano delle
microflore sulle bacche che sono anomale rispetto ai lieviti autoctoni, e quindi alla
condizione di equilibrio. Per cui questa composizione anomala influisce sull’aspetto
tecnologico e quindi sulla qualità del vino.
Sono due grappoli d’uva differenti→Uno è
danneggiato ed è stato dilavato parzialmente
dalle popolazioni di lieviti presenti sulle bacche
(Dx). A Sx invece abbiamo una situazione di
equilibrio. Per cui a seconda delle condizioni di
raccolta dell’uva, avremo un risultato
tecnologico differente.

Non sono soltanto i lieviti a contribuire al risultato finale della qualità del vino, ma a
queste caratteristiche contribuiscono in maniera importante anche i batteri lattici,
che si trovano sempre sulle bacche (hanno comunque una distribuzione sulle bacche
d’uva, perché anch’essi sono attratti dalle sostanze zuccherine).
I batteri lattici sono responsabili della fermentazione malolattica. Alcuni di essi sono
indesiderati, perché quando prevalgono su altri portano avanti delle fermentazioni
dannose che causano delle problematiche durante la fermentazione e conferiscono
al vino aromi o profumi sgradevoli.
In generale però quando tutto funziona bene, i batteri lattici portano avanti la
fermentazione malolattica, che è una fermentazione che converte l’acido malico in
acido lattico e CO2. Questo tipo di fermentazione migliora le caratteristiche del vino,
in quanto ne diminuisce l’acidità a favore di un aroma più gradevole.
Insilamento:
l’insilamento consiste in una pratica che serve per conservare i foraggi, i cereali ed
altri vegetali, in modo da posticiparne il consumo da parte di animali da
allevamento, così che si possano mantenere inalterate le caratteristiche di
conservabilità e nutrizionali degli insilati.
Questa è una pratica molto antica che è nata dall’esigenza di differenziare rispetto al
periodo della raccolta, il consumo di questi foraggi da parte degli animali.
283
Questo processo riguarda:
• Trinciatura e compattamento
• Insilamento→ mantenimento di queste masse in condizioni di anaerobiosi
Il conservare in anaerobiosi gli insilati, permette di conservarli meglio ed inoltre ne
migliora anche le caratteristiche nutrizionali, in quanto si hanno processi di
fermentazione da parte di microrganismi.
Queste fermentazioni che avvengono durante l’insilamento, migliorano la qualità
igienico-sanitaria (cioè inibiscono la presenza di patogeni che possono poi
eventualmente danneggiare l’animale), e le caratteristiche nutritive.
Questo perché grazie all’acidificazione ed alla produzione di determinati prodotti di
fermentazione, l’insilato acquisisce delle caratteristiche nutritive migliori.
L’acidificazione (che è il risultato della fermentazione) determina l’inibizione delle
microflore che in genere possono essere responsabili del deterioramento dei foraggi
(queste microflore possono essere ad esempio muffe e lieviti, enterobatteri,
clostridi -che possono causare dei problemi agli animali-).
Quindi durante l’insilamento, per cui appunto mettiamo questa massa trinciata e
compattata in anaerobiosi, la presenza di zuccheri e carboidrati vegetali, fa si che (in
anaerobiosi) si portino avanti delle fermentazioni, che migliorano le caratteristiche
igienico sanitarie e nutrizionali.
I fattori che influiscono sull’efficacia dell’insilamento sono:
• Batteri lattici epifiti→ che si trovano sulla superficie dei vegetali
• Condizioni di anaerobiosi→ gli insilati vengono mantenuti in silos od
all’interno di pellicole plastiche che favoriscono la conservazione in
anaerobiosi
• Disponibilità di sostanze zuccherine solubili→ deve essere fino al 6% della
sostanza secca, altrimenti abbiamo poi delle problematiche
• Il foraggio deve inoltre avere una certa dose di umidità
Quindi questi fattori influiscono sulla qualità dell’insilamento, in quanto influiscono
sulle microflore che lo portano avanti, ovvero i batteri lattici.

284
BIORISANAMENTO E COMPOSTAGGIO
BIORISANAMENTO E TRATTAMENTO ACQUE REFLUE
Il biorisanamento riguarda l’utilizzo di sistemi biologici (microrganismi, piante ed
enzimi separati da microrganismi) per trasformare e detossificare gli inquinanti
nell’ambiente.
Il biorisanamento dipende dalle attività
singole, ma anche dalle interazioni, di diversi
comparti biologici (qui sono rappresentati il
suolo, le piante ed i microrganismi).
Le tecniche di biorisanamento possono anche
riguardare processi in cui il suolo o le piante
non sono presenti. Normalmente però sono
sempre presenti i microrganismi, che in
maniera diversa contribuiscono alla
trasformazione e detossificazione degli
inquinanti.
Inquinante→ un inquinante è una sostanza presente in concentrazioni
sufficientemente elevate per essere dannose. Ciò significa che in realtà anche una
molecola od una sostanza che normalmente riteniamo innocua può essere un
inquinante (Ad esempio, l’azoto organico, che è presente in maniera molto
concentrata nelle acque reflue, oltre certi limiti è un inquinante. Il fosfato può
essere presente in quantità che causano tossicità per l’ambiente).
Quindi qualsiasi molecola, qualsiasi elemento, oltre un certo limite, può essere un
inquinante→dipende dalla sua tossicità e dalla sua concentrazione.
Tra gli inquinanti organici possiamo ad
esempio avere i fitofarmaci, che vengono
utilizzati per trattare le patologie vegetali,
oppure possiamo avere composti organici di N
e P (ad esempio presenti nelle acque reflue).
Tra gli inquinanti inorganici possiamo trovare
ad esempio i metalli pesanti→ i livelli di tossicità di queste molecole sono molto
diversi, in quanto abbiamo dei metalli pesanti che anche se presenti solo in tracce,
possono essere molto dannosi (ad esempio l’uranio), oppure ci sono situazioni per
cui l’inquinante per essere dannoso deve essere presente in elevate quantità.
Gli inquinanti vengono definiti tali a seconda del loro spettro di tossicità e della loro
concentrazione.
285
Gli inquinanti organici e inorganici vengono differenziati in quanto per le tecniche di
biorisanamento, subiscono delle trasformazioni diverse→ la loro detossificazione e
trasformazione passa attraverso meccanismi differenti.
Origine degli inquinanti (alcuni esempi):
• Nelle acque superficiali attigue ad aree di agricoltura intensiva, abbiamo
inquinanti presenti come residui di questa attività.
• Possiamo trovare inquinanti nelle aree attigue ad industrie chimiche che per
qualche ragione li riversano nel suolo e nelle acque
• Possiamo avere le acque che le industrie producono, e che dobbiamo smaltire
in impianti di biorisanamento o di trattamento tradizionale
• Possiamo avere i reflui di aziende che non utilizzano sistemi di stoccaggio o di
trattamento rifiuti→ quindi aziende che per qualche ragione non hanno la
possibilità di trattare i rifiuti nelle maniere tradizionali.
• Possono esserci sottoprodotti che non vengono trattati in maniera adeguata
• Oppure possiamo anche avere inquinanti che vengono prodotti o rilasciati in
condizioni naturali. Esistono degli esempi di inquinamento che non sono
dovuti all’uomo, ma è un inquinamento naturale (ad esempio in alcune aree
l’acqua è ricca di metallo e metalloidi, che la rendono non potabile -ciò è
dovuto a fenomeni naturali e non a fenomeni antropici-).
Possiamo anche avere dei reflui derivanti dalle attività umane.
Il punto comunque è che l’origine degli inquinanti può essere molto vario.
I processi di biorisanamento sfruttano delle attività metaboliche che i microrganismi
procarioti od eucarioti (come le piante ed i funghi), attuano a carico di composti
organici ed inorganici, in comparti ambientali diversi (che possono essere suolo od
acque).
Il processo di biorisanamento tende a sfruttare ed ad ottimizzare un’attività
metabolica che l’organismo svolge già in qualche modo→ Quindi noi sfruttiamo le
attività metaboliche ad esempio di certi microrganismi, perché già naturalmente
sono predisposti a trasformare certi tipi di inquinanti, e quindi ottimizzando i sistemi
di biorisanamento (quindi attuando delle pratiche, delle tecniche), noi siamo in
grado di orientare ed ottimizzare dei metabolismi microbici che già naturalmente
avvengono. Quindi per orientare queste attività e creare dei processi di
biorisanamento, noi dobbiamo essere ben coscienti dei concetti generali sul
metabolismo microbico→ quindi capire bene che cosa si intende per metabolismo
microbico, e come possiamo ottimizzare il catabolismo dei microrganismi.

286
In particolare, infatti si sfruttano le attività cataboliche dei microrganismi, che quindi
riguardano la produzione di energia per mezzo di reazioni redox.
In generale, nei processi di biorisanamento arriviamo ad identificare un certo tipo di
microrganismo, od un gruppo di microrganismi che svolgono una certa attività, e li
mettiamo nelle condizioni di svolgere quella determinata attività nel migliore dei
modi.
Inquinanti organici ed inorganici nel biorisanamento hanno un destino differente:
• Inquinanti organici→ad esempio una
molecola organica di sintesi utilizzata come
insetticida per un insetto dannoso→ questa
molecola essendo di origine organica, può
essere trasformata attraverso una
respirazione aerobia od anaerobia, in quanto
viene utilizzata come donatore di elettroni.
Il risultato è la sua trasformazione nei prodotti
di respirazione aerobia ed anaerobia, ovvero
CO2 ed acqua. Questo comporta la sua
scomparsa dal comparto ambientale (quello che prima era uno scheletro di
carbonio, che era la molecola intera all’inizio del processo, viene utilizzata dai
microrganismi come fonte di energia, che la degradano e quindi viene trasformata in
CO2 ed acqua), poiché volatilizza (e per questo non è più presente).
Destino diverso invece incontrano le molecole organiche che vanno incontro a
processi fermentativi, perché la fermentazione non produce soltanto CO 2 ed acqua,
ma anche altre molecole (che sono però pure sempre più semplici di quelle di
partenza), quindi in pratica i risultati della fermentazione si accumulano
nell’ambiente (appunto perché non viene prodotta soltanto CO2).
I processi fermentativi nel biorisanamento non sono sempre favoriti (non sono
sempre la strada scelta), a causa dell’accumulo di prodotti di fermentazione, che in
alcuni casi possono avere ancora delle problematiche relative alla tossicità (possono
anche essere più tossici di quelli di partenza).
Quindi solitamente nei processi di biorisanamento la fermentazione non è un
percorso che viene intrapreso, ma si tende a cercare di sfruttare ed ottimizzare i
processi respiratori.
• Inquinanti inorganici→ Gli inquinanti inorganici non possono essere trasformati in
CO2 (cioè ad esempio l’uranio non può essere trasformato in CO2) (sono proprio
diversi di natura), ma possono soltanto essere trasformati in forme meno tossiche
ed eventualmente meno mobili da un punto di vista ambientale.
287
Quindi i microrganismi possono utilizzare gli inquinanti inorganici, ed in particolare i
metalli pesanti ed i metalloidi, come donatori od accettori di elettroni. In questo
modo cambiano lo stato di ossidazione di questi elementi (ad esempio cambiano lo
stato di ossidazione dell’arsenico da arsenico in forma ossidata ad arsenico in forma
ridotta o viceversa) rendendo più o meno mobile ed al contempo più o meno tossico
l’inquinante inorganico. Chiaramente il biorisanamento sfrutta le azioni che tendono
a trasformare l’inquinante inorganico in forme meno tossiche e meno mobili.
Esempio sulla mobilità→ un inquinante inorganico in forma solubile è sicuramente
molto mobile perché può essere trasportato attraverso i corsi d’acqua, e quindi deve
essere trasformato nella sua forma meno mobile, che sarà magari quella insolubile.
Quindi in questo caso in generale il punto è che il biorisanamento degli inquinanti
inorganici come metalli pesanti e metalloidi riguarda sempre processi catabolici o di
immobilizzazione, dove l’inquinante viene trasformato in forme meno tossiche e
meno mobili. Tutto ciò sempre grazie a respirazioni aerobiche od anaerobiche.
In generale, le strategie di
biorisanamento (dall’idea
all’applicazione) richiedono molto
tempo, ma soprattutto molte
competenze. Cioè non si tratta di una
problematica legata soltanto alla
microbiologia, quindi alla comprensione
del microrganismo e di quali attività
svolge, ma gestire una strategia di
biorisanamento richiede lo sfruttamento di tante competenze differenti, in quanto
dobbiamo essere in grado di ottimizzare tutto il sistema.
Alcuni esempi:
• Dobbiamo essere in grado di monitorare la scomparsa degli inquinanti
• Dobbiamo essere in grado di progettare ed ottimizzare sistemi con condizioni
ottimali su larga scala
• Valutare la fattibilità economica del progetto
Quindi dobbiamo includere nella procedura di biorisanamento, qualunque essa sia,
dalla più semplice alla più complicata, diversi tipi di conoscenze, in quanto la
conoscenza dei microrganismi non è sufficiente. Dobbiamo quindi avere una
conoscenza generica e complessiva, su tutto il sistema che vogliamo ottimizzare.

288
Da un punto di vista microbiologico, il microbiologo nella strategia di
biorisanamento, interviene in due modi:
• Biostimolazione→ non si interviene direttamente sui microrganismi, ma si va
a stimolare la loro crescita e la loro azione di risanamento, agendo
sull’ambiente in cui si trovano. Se ad esempio in un sistema di biorisanamento
ho già il potenziale biologico (cioè ho già dei microrganismi che
potenzialmente possono degradare quel certo tipo di inquinante), in questo
caso vado a modificare magari il pH, a migliorare la dotazione nutritiva,
affinché i microrganismi che sono già presenti, possano svolgere la loro
attività al meglio possibile. Quindi si va a stimolare la microflora già presente,
agendo su parametri ambientali (ad esempio vado a migliorare il pH, perché
so che quei microrganismi li preferiscono un certo livello del pH -quindi
bisogna conoscere bene i microrganismi presenti e chiarire in laboratorio
quali sono le loro attività-)
• Bioarricchimento→ riguarda un intervento diverso, dove magari i
microrganismi necessari alla mia strategia di biorisanamento non sono già
presenti, oppure sono troppo pochi quelli che possono contribuire, quindi
andrò ad aggiungerli, ed utilizzerò dei microrganismi che ho coltivato in
laboratorio oppure all’interno di un fermentatore (perché li acquisto in
un’azienda) (vado ad aggiungere questi inoculi di colture pure o miste, al mio
sito inquinato, affinché contribuiscano al biorisanamento).
Nel caso del bioarricchimento se i sistemi non sono di pieno campo, ma sono
confinati e chiusi, posso anche pensare di aggiungere OGM (organismi
geneticamente modificati) perché posso eventualmente sfruttare la possibilità
di modificare un microrganismo per cui magari si ha la necessità di fargli
acquisire determinate caratteristiche, che posso conferirgli per mezzo di una
trasformazione genetica (in questo modo funzionerà meglio).
Biostimolazione e bioarricchimento sono proprio due diversi approcci microbiologici
al biorisanamento (nella biostimolazione agisco sull’ambiente, nel bioarricchimento
invece intervengo direttamente aggiungendo microrganismi).
Biorisanamento delle acque reflue:
Acque reflue→ acque che risultano da attività varie, che possono essere
domestiche, industriali, urbane, agricole…
La caratteristica che differenzia le acque reflue, anche quando vengono da un’unica
tipologia, è la loro composizione, che può essere variabile in termini di
caratteristiche (di inquinanti presenti).
289
Anche proprio a livello temporale noi possiamo vere dei periodi in cui ci sono
inquinanti più concentrati di altri, ed altri periodi in cui la situazione è diversa.
Quindi la composizione è variabile in termini:
• Temporali→ Nel tempo l’industria può produrre acque a composizione
variabile
• Composizione→ Ad esempio per quanto riguarda le acque reflue industriali,
visto che le industrie hanno procedure di lavorazione diverse, queste non
sono tutte uguali (composizione variabile).
Quindi in generale la caratteristica principale delle acque reflue è la loro variabilità.
Lo smaltimento ed il trattamento delle acque reflue è sottoposto ad una
regolamentazione legislativa che in Italia comincia con la legge Merli (legge vecchia)
e che è stata successivamente modificata ed ovviamente adesso a recepito anche le
indicazioni della comunità europea.
La regolamentazione riguarda degli indici chimici, fisici e biologici che le acque
devono possedere per essere smaltite e depurate (quindi i sistemi di biorisanamento
vengono progettati in modo che le acque prodotte da questi, rientrino all’interno di
questa regolamentazione legislativa molto precisa e dettagliata).
La depurazione delle acque reflue è funzione delle caratteristiche delle acque che
l’impianto deve trattare (quindi ci possono essere degli impianti molto diversi), ma
anche dei limiti di legge che la determinata acqua reflua deve soddisfare dopo il
trattamento.
Possono essere adottati tre tipologie di intervento:
• Trattamento primario→ riguarda trattamenti puramente fisici, ad esempio
trattamenti di filtraggio (attraverso griglie) (è un trattamento fisico in cui i
microrganismi non intervengono).
• Trattamento secondario→ riguarda trattamenti biologici. Vengono fatti agire i
microrganismi.
• Trattamento terziario→ riguarda l’azione di trattamenti chimici (un esempio è
il trattamento delle acque potabili con il cloro -utilizzato come agente chimico
per la disinfezione-).
Trattamento secondario:
Il trattamento secondario di riferimento è il “trattamento a fanghi attivi”→ è un
trattamento molto diffuso. Sia aziende municipali che aziende private possono

290
costruire dei sistemi a fanghi attivi. In Italia sono i metodi più usati per le acque sia
civili che industriali.
Ad esempio, esiste un impianto molto
importante, che è l’impianto Po Sangone
(immagini slide), che è un esempio di sistema
che attua un trattamento secondario e che va a
trattare le acque reflue civili e le acque del
fiume Po.

Funzionamento del trattamento secondario:


A seguito del trattamento primario (che non facciamo), quando le acque passano al
trattamento secondario, in genere nei trattamenti definiti “a fanghi attivi” abbiamo
una prima vasca che è fortemente aerata (viene insufflata dell’aria), perché agendo
sull’aerazione delle acque reflue, viene favorita l’attività di microrganismi che
naturalmente sono già presenti nelle acque, e che ossidano la sostanza organica
presente (esempio di biostimolo).
Quindi l’aerazione (che viene garantita grazie all’insufflaggio di aria o dall’agitazione
meccanica), fa sì che i microrganismi possano ossidare la sostanza organica agendo
normalmente con i loro catabolismi respiratori.
A seguito di questa prima vasca fortemente aerata, le acque reflue passano poi ad
una “vasca di sedimentazione”→ In questa vasca non viene insufflata l’aria, ma
l’acqua viene mantenuta ferma, in modo che si verifichi il processo di
sedimentazione, per cui agiscono dei microrganismi che formano degli aggregati
definiti “fiocchi” in cui ci sono batteri, protozoi e particelle solide di sostanza
organica. I fiocchi nella vasca di sedimentazione, raggiunta una certa densità,
precipitano sul fondo.
Schema di funzionamento di
un sistema a fanghi attivi→ le
acque di scarico arrivano
dopo i trattamenti primari
(quindi sistemi di filtrazione,
grigliatura) nella vasca di
aerazione, in cui abbiamo
dell’aria che viene insufflata
dal fondo, oppure dei sistemi
di pale meccaniche che
291
garantiscono un’agitazione continua, in maniera che l’acqua possa essere lo stesso
aerata dall’aria atmosferica. Nella vasca di aerazione avviene la prima ossidazione
aerobica della sostanza organica.
L’acqua passa poi nella seconda vasca che invece non viene insufflata od agitata
meccanicamente, in cui avviene l’aggregazione dei fiocchi, che precipitano sul fondo
una volta raggiunta una certa densità.
Questi a questo punto vengono definiti “fanghi attivi” (o fanghi attivati).
L’acqua prosegue nel suo cammino che poi finirà al trattamento terziario (ad
esempio la clorazione).
I fanghi attivati invece possono essere smaltiti con procedure diverse (ad esempio
con il compostaggio, oppure possono essere utilizzati in agricoltura…) a seconda
delle loro caratteristiche (quelli che non vengono rimessi nella prima vasca vengono
stoccati e poi trattati per conto loro, oppure utilizzati in vari modi in agricoltura o
per il compostaggio).
Parte dei fanghi vengono riciclati, in quanto vengono reinoculati nella prima vasca di
aerazione, poiché in questo modo possono andare a contribuire come se fossero un
inoculo di microrganismi, andando quindi ad incrementare i microrganismi attivi
nella depurazione (pertanto, si può dire che abbiamo un parziale bioarricchimento
nella vasca di aerazione).
Dopo le vasche di trattamento secondario, l’acqua che scorre al trattamento
terziario, in cui viene sottoposta ad un trattamento chimico che riguarda la
disinfezione o trattamenti integrativi (in alcuni paesi si utilizzano i raggi UV, in paesi
come il nostro invece si usa il cloro ed altri composti chimici).
Schema completo:

I liquami in ingresso vengono immessi ad esempio attraverso la rete fognaria.


Nel primo sistema (2) abbiamo il trattamento primario di grigliatura, desoleazione,
desabbiatura e sedimentazione primaria (questi sono tutti trattamenti primari,
292
quindi fisici)→ Poi passano alla vasca di aerazione→ Dalla vasca di aerazione
passano alla vasca di sedimentazione, da cui otteniamo i fanghi che vengono scartati
oppure ricircolati nella prima→ Dopodiché le acque depurate scorrono alle vasche
di trattamento chimico (quindi terziario), per cui si ha la rimozione dei residui finali e
la disinfezione→ infine le acque depurate vengono reimmesse nei corpi idrici (Per
essere reimmesse nei corpi idrici devono avere certe caratteristiche che sono
specificate dalla regolamentazione legislativa).
Se le acque non vengono reimmesse nei corpi idrici, in alcuni casi vengono
reimmesse all’inizio del sistema, in altri casi vengono usate o sottoposte ad altri
sistemi di trattamento.
Ecologia dei fanghi attivi (composizione e funzionamento delle microflore dei fanghi
attivi) (quali sono i microrganismi coinvolti nel sistema a fanghi attivi):
La composizione ed il funzionamento delle microflore dei fanghi attivi è molto
complessa. Ci sono tantissime specie principalmente batteriche (perché i funghi
sono molto meno coinvolti, trattandosi di acque), ci sono poi alghe, protozoi e
nematodi. Ci sono quindi tanti tipi di microrganismi che vengono suddivisi in:
• Decompositori→ sono quelli che intervengono a decomporre le molecole
inquinanti
• Consumatori→ Utilizzano in qualche modo, il risultato (molecole) della
decomposizione attuata dai decompositori
Tra questi microrganismi abbiamo:
• Batteri degradatori→ Si sviluppano in maniera naturale nel sistema di
biorisanamento. Prediligono il materiale proteico presente nelle acque, infatti
vanno a degradare e decomporre, le proteine, i carboidrati ed i grassi.
Demoliscono la sostanza organica che poi i consumatori potranno utilizzare.
• Fiocco-formanti→ Sono direttamente coinvolti nella formazione dei fiocchi e
dei fanghi. Troviamo in particolare Zooglea ramigera, che è un microrganismo
tipicamente presente in questi tipi di sistemi. Ha la capacità di produrre delle
molecole aggreganti che facilitano l’aggregazione con altri batteri, favorendo
quindi la costituzione e la stabilità dei fiocchi.
Zooglea ramigera→ Si vede che esternamente produce una
matrice organica complessa (una sorta di gel) che serve per
includere altri organismi e produrre i fiocchi che vanno a
costituire i fanghi attivi.

293
In tutta la serie di trattamenti, possiamo poi avere delle modifiche→ se ad esempio
c’è tanto azoto nelle acque reflue, prima della vasca di sedimentazione a fanghi
attivi possono esserci due vasche dedicate all’azoto:

• Prima vasca→ nella prima vasca viene forzata la denitrificazione, lasciando


perdere l’areazione, che in questo specifico caso avviene solo in un secondo
momento, proprio per permettere di svolgere prima la denitrificazione (la
denitrificazione sfrutta l’azoto inorganico ossidato e la sostanza organica e li
trasforma in CO2 ed N2).
• Seconda vasca→Dopodiché nella vasca di nitrificazione l’ammonio viene
trasformato in nitrato.
Queste due vasche vengono messe in questa sequenza perché la vasca di
denitrificazione necessita di sostanza organica, che c’è soltanto nella fase iniziale (ha
bisogno di donatori di elettroni).
La nitrificazione avviene in un secondo momento, in cui viene fornita aria in maniera
forzata.
• Terza vasca→ Dopodiché si ha la vasca di sedimentazione secondaria.
Se le acque non sono ancora depurate per quanto riguarda la loro componente
azotata (prima del trattamento terziario), possono essere reimmesse nella prima
vasca di denitrificazione, e poi successivamente passano di nuovo tutte le vasche per
arrivare al trattamento terziario.
In generale quindi abbiamo:
• Nitrificanti→ producono nitrati
• Denitrificanti→ eliminano i nitrati in anaerobiosi
L’effluente della vasca di sedimentazione, ricco in nitrati viene riciclato nella prima
vasca di denitrificazione in maniera che ci sia sostanza organica sufficiente come
donatori di elettroni per procedere alla denitrificazione.

294
Quindi in pratica esiste un modello di trattamento a fanghi attivi, ma se abbiamo ad
esempio un’acqua ricca in azoto, ci possiamo apportare delle modifiche, degli
aggiustamenti, per cui viene fatta svolgere prima la denitrificazione e poi la
nitrificazione, semplicemente per sincronizzarsi con il ciclo dell’azoto e con l’azione
microbica, e far lavorare bene le microflore.
Se lavoriamo bene nel biostimolo di queste microflore, queste si sviluppano già
naturalmente nei nostri sistemi di depurazione, perché a fronte di un elevata
concentrazione azotata, questi microrganismi comunque si sviluppano.
La reazione Anammox ha rivoluzionato i sistemi di depurazione delle acque reflue, in
quanto non ha bisogno di ossigeno per ossidare l’ammonio. I sistemi progettati per
sfruttare il processo Anammox non hanno la vasca di aerazione, perché non è
necessaria, in quanto questi microrganismi ossidano l’ammonio senza bisogno di
ossigeno.
Quindi la presenza di Anammox favorisce la nitrificazione senza dover fornire aria,
quindi consente un risparmio dal punto di vista energetico.
Esistono poi dei microrganismi che contribuiscono alla depurazione delle acque, non
tanto con la loro azione metabolica, quindi con il loro catabolismo, quanto invece
con l’accumulo di sostanze.
Possono accumulare polifosfati ed altri tipi di molecole durante il trattamento a
fanghi attivi.
I microrganismi procarioti possono produrre dei polimeri di riserva, come ad
esempio il PHB, oppure come i granuli di volutina (granuli di polifosfati) (vedi
argomenti indietro)→ questi due tipi di microrganismi li troviamo nei fiocchi. Si
sviluppano in questi sistemi perché queste acque sono ricche in fosfati ed in grassi.
Questi microrganismi si sviluppano naturalmente ed accumulano all’interno delle
loro cellule fosfati e PHB→Il risultato è che poi questi microrganismi si aggregano
agli altri per formare i fiocchi, ed agiscono in pratica da filtro naturale, per le acque
che poi vengono depurate.
Immagini (entrambe rappresentano
fenomeno di “Bulking”)→ come
appaiono i fiocchi. Si creano grazie
alla presenza di batteri filamentosi
(come zooglea ramigera ed altri) che
ne promuovono la formazione (in
queste due immagini però ci sono
stati dei problemi).

295
Nel caso in cui i fiocchi non raggiungano la dovuta densità, si ha il fenomeno del
Bulking (si legge balking)→ se questi microrganismi non agiscono correttamente, i
fiocchi diventano troppo lassi, non raggiungono la densità opportuna, e quindi non
sedimentano sul fondo della vasca.
Se i fiocchi non sedimentano sul fondo della vasca, si verifica una problematica che
si chiama “Bulking” che fa sì che le acque depurate non possano essere fatte passare
al trattamento terziario, in quanto quest’ultimo prevede che i fiocchi siano
sedimentati sul fondo della vasca di sedimentazione e che l’acqua sulla superficie sia
depurata (ciò non si verifica se si ha il bulking) (vedi immagine indietro,
contrassegnata con *. In questa fase, se i fiocchi non raggiungono una certa densità
e non precipitano sul fondo, si mantengono sulla superficie. Quindi andrebbero
insieme agli effluenti depurati al trattamento terziario).
Il bulking è determinato dal fatto che ci sono dei microrganismi che promuovono la
produzione di fiocchi, che non sono abbastanza efficienti e quindi questi (i fiocchi)
rimangono sulla superficie (se i batteri filamentosi non sono abbastanza efficienti
inibiscono la formazione di fiocchi compatti).
IL COMPOSTAGGIO
Il compostaggio è un processo aerobico quindi si devono creare delle condizioni per
le quali i microrganismi possano decomporre e trasformare la sostanza organica
presente nei rifiuti mediante respirazioni aerobiche (deve proprio essere un
processo aerobico).
Mediante questo processo si produce un composto stabile (cioè non più soggetto a
trasformazioni) detto “compost” (quindi al termine del compostaggio dobbiamo
avere un composto stabile non più soggetto a trasformazioni).
Applicazioni del compost una volta stabile e maturo:
• Viene utilizzato come ammendante ad uso agricolo ed orticolo, che può
fornire sostanza organica microrganismi al suolo. Quindi il compost è un
ammendante perché migliora le caratteristiche fisico-chimiche dei suoli
andando ad aggiungere la sostanza organica, ma serve anche come inoculo di
microrganismi, e quindi migliora la fertilità biologica. Il compost è molto
importante nell’agricoltura organica (biologica) per cui la sua aggiunta al suolo
è una delle poche pratiche che in questo ambito sono ammesse (viene proprio
utilizzato per migliorare la fertilità dei suoli ed anche per incrementare
l’azotofissazione libera -in quanto i microrganismi azotofissatori liberi hanno
bisogno di molta sostanza organica perché hanno bisogno di molta energia
per fissare l’azoto-).
296
• Viene utilizzato per la produzione di un substrato selettivo per la produzione
di funghi commestibili (vengono proprio coltivati su compost).
• La produzione di compost, è anche un modo con cui si vanno a completare
delle strategie di biorisanamento, poiché ad esempio i fanghi di depurazione
delle acque possono essere compostati. In particolare, possono essere
aggiunti durante il processo di compostaggio per aumentare la quantità di
azoto (nel processo di compostaggio il rapporto carbonio/azoto, C/N è molto
importante).
• Il processo di compostaggio è attuato da molte aziende (municipali e private)
per riciclare e trasformare i rifiuti e gli scarti delle lavorazioni, in qualcosa che
può essere venduto, ovvero il compost maturo (viene proprio venduto come
fertilizzante).
• Il compostaggio può poi rappresentare una strategia molto importante per il
biorisanamento dei suoli inquinati. Infatti, dei suoli, molto poveri, molto
inquinati (anche non con un solo inquinante specifico), che devono essere
riciclati in qualche modo per la produzione vegetale, possono essere risanati
aggiungendo compost, poiché è ricco di sostanza organica e di microrganismi.
Infatti il compost maturo è una fonte di microrganismi degradativi, ed inoltre
incrementa la fertilità di suoli che magari non sono adatti appunto anche solo
ad essere i suoli di aree verdi municipali, ma che invece lo diventano grazie e
quindi possono ospitare piante e specie erbacee proprio grazie all’azione
risanante del compost (un esempio sono i materiali di risulta degli scavi della
metropolitana di Torino che sono stati impiegati in aree verdi di Torino, ma
non tal quali com’erano, ma proprio dopo aver aggiunto compost, altrimenti
le piante non sarebbero cresciute).
• Il processo di compostaggio è un altro di quei processi che dal punto di vista
della presenza e dell’attività dei microrganismi è molto dinamico e complesso:
- Dinamico→perché varia nel tempo, cioè noi abbiamo diverse fasi,
diversi momenti del processo di compostaggio,
- Complesso→ perché è caratterizzato da continue variazioni di
temperatura, pH e di disponibilità di nutrienti
Queste variazioni permettono di seguire il processo di compostaggio, al quale
partecipano moltissime microflore diverse -è un processo che soprattutto
nelle prime fasi presenta una biodiversità importante-).

297
Le microflore coinvolte nel processo di compostaggio derivano dagli stessi materiali
che vengono decomposti ed utilizzati durante il processo stesso. Infatti, queste sono
presenti su residui vegetali o nei residui dell’attività antropica (sono quelle che poi
cambiano, evolvono ed attuano questo processo dinamico).
Per il compostaggio possono essere utilizzati tutti i materiali che hanno un
importante componente organica (di sostanza organica):
• Paglia e materiali lignino-cellulosici (hanno tempi lunghi di degradazione,
proprio perché la lignina e la cellulosa sono materiali più complessi)
• Residui di lavorazioni agro-industriali
• Deiezioni animali
• RSU
• Fanghi attivi da impianti di depurazione delle acque reflue
• Biomasse di scarto
In genere sono quindi biomasse di scarto provenienti da diversi tipi di attività.
Ognuna di queste biomasse ha una sua caratteristica degradazione (alcune hanno
tempi di degradazione più lunghi, altre più brevi).
Il processo di compostaggio produce calore→ avviene in una fase molto specifica, e
contribuisce sia alla buona realizzazione del processo. Alcune aziende che hanno al
loro interno impianti di compostaggio, possono utilizzare quest’ energia che viene
prodotta sottoforma di calore, in maniere differenti (ad esempio per riscaldare gli
impianti o per convogliare il calore in qualche modo).
Esistono 3 tipologie di compost (si differenziano per il materiale con cui vengono
prodotte):
• Ammendante compostato misto→ costituito prevalentemente da RSU (rifiuti
solidi urbani) provenienti dalla raccolta differenziata, rifiuti di origine animale,
rifiuti dalla lavorazione del legno e del tessile (non trattati, perché se lo
fossero andrebbero a danneggiare le microflore coinvolte), reflui e fanghi.
• Ammendante compostato verde→ costituito prevalentemente da scarti
provenienti dalla manutenzione del verde ornamentale, ed in generale dai
residui delle colture.
• Ammendante torboso composto→ ottenuto per miscela di torba insieme ad
ammendante compostato verde o misto.

298
Processo di compostaggio nel suo complesso→
abbiamo una sostanza organica complessa che
presenta diversa composizione in percentuale in
termini di proteine, emicellulose, cellulose, lignine
e ceneri a seconda della provenienza.
Questa sostanza organica grazie ai microrganismi,
all’umidità e all’ossigeno (queste 3 componenti
sono normalmente fornite durante il processo di
compostaggio in maniera più o meno automatica a
seconda del tipo di azienda che svolge questo
processo), viene riciclata e trasformata nel compost
maturo (che possiamo anche chiamare “humus”
perché in realtà non è così differente da ciò che
resta dalla degradazione dei tessuti vegetali).
Insieme alla produzione del compost (o humus)
abbiamo la produzione di energia sottoforma di
calore.
Il compost per essere stabile, per essere venduto, e per funzionare bene, deve
essere maturo→ cioè deve avere completato il suo processo di maturazione.
Quindi è necessario che venga seguito tutto l’iter e l’evoluzione delle microflore e
delle condizioni (che sono molto complesse) fino alla fine. Perché un compost non
maturo aggiunto al suolo causa dei danni.
Ciascuna combinazione di sostanze che vengono sottoposte a compostaggio
richiede tempi diversi per la maturazione (in quanto ad esempio i residui di lignina e
cellulosa ci mettono molto tempo ad essere degradati in humus).
La velocità di degradazione e della trasformazione dei residui lignino-cellulosici
dipende dalle caratteristiche della lig nina e durante questa degradazione si possono
liberare dei componenti che hanno un’azione antimicrobica e che sono contenuti
all’interno dei tessuti legnosi (ad esempio sono fenoli, tannini od oli essenziali) che
rallentano il processo di compostaggio.
Aggiungendo deiezioni animali che hanno una buona degradabilità e contengono
una buona dotazione di azoto (che per i microrganismi è fondamentale) si può
velocizzare la degradazione anche dei residui lignino-cellulosici.

299
Si fa sempre riferimento alla tabella vista
prima, sottolineando che a seconda del
residuo che andiamo a compostare ed a
seconda della sua composizione,
soprattutto in termini di solubilità
(abbiamo sempre gli zuccheri che vengono
attaccati più velocemente ed
efficientemente rispetto ai polimeri più
complessi), ma anche rispetto al fatto che
contengano o meno azoto (la presenza di
azoto è importantissima, perché i
microrganismi per respirare il carbonio e
degradare la sostanza organica fino alla produzione di humus, devono avere
necessariamente a disposizione dell’azoto, perché altrimenti non possono
moltiplicarsi, in quanto è un componente fondamentale ed è un macronutriente di
cui i microrganismi hanno bisogno proprio per poter costruire le proteine) la
degradazione sarà più o meno complessa e più o meno lunga.
La degradazione della sostanza organica durante il processo di compostaggio, e la
stabilizzazione del compost, sono fortemente dipendenti dal rapporto C/N e
seguono esattamente lo stesso iter che seguono le sostanze ed i residui vegetali che
vengono degradati.
Inizialmente abbiamo un aumento
delle microflore soprattutto
batteriche dovuto alla degradazione
delle molecole più semplici (le cellule
microbiche che agiscono
immediatamente sono quelle che
sono già presenti sul tessuto vegetale), via via si ha poi la produzione di CO2 che
deriva dalla respirazione della sostanza organica con un conseguente accumulo
anche di humus nel tempo, che alla fine rimane come unica sostanza organica
presente (è la sostanza organica di più difficile degradazione che rimane nel suolo).
In questo caso è proprio l’humus il compost che otteniamo alla fine del processo di
compostaggio.
Il processo dipende fortemente dal rapporto C/N, perché anche in presenza di una
sostanza organica molto facilmente degradabile, il compost non viene prodotto se
non c’è sufficiente azoto, in quanto i microrganismi ne hanno bisogno per degradare
il carbonio.
300
Durante il processo di compostaggio, così come durante il processo di degradazione
della sostanza organica, assistiamo ad una specializzazione sempre maggiore delle
microflore, che all’inizio sono varie e differenti, perché la maggior parte dei
microrganismi possono degradare gli zuccheri e le molecole più semplici. Via via che
rimane la sostanza organica più difficile da degradare, si riduce la diversità
tassonomica, e prevalgono gli organismi fungini, che sono quelli più adatti a
degradare anche molecole particolarmente recalcitranti.

Step della degradazione della


sostanza organica→
degradazione delle molecole
più semplici, inizio della
produzione di CO2 e via via la
degradazione delle molecole
più complicate.

Le matrici da compostare possono essere:


• Introdotte in sistemi chiusi→ quindi avvenire in reattori
• Poste su piattaforme→ vengono chiamati cumuli o pile
In entrambi i casi, quando soprattutto il processo di compostaggio avviene a livello
industriale, c’è sicuramente anche una ventilazione automatica (raramente
manuale, questo a causa della dimensione dei cumuli), che è necessaria proprio per
far si che si verificano solamente processi aerobici.
Questo perché i processi anaerobici in presenza di una così importante sostanza
organica, porterebbero a svolgere delle fermentazioni, ed i prodotti della
fermentazione nel caso del compostaggio sono un aspetto da evitare, perché
possono essere nocivi per le piante.
Fattori di controllo del processo di compostaggio:
• Umidità→deve essere mantenuta entro certi limiti, quindi il cumulo od il
reattore non deve avere umidità eccessiva perché altrimenti si va verso
l’anaerobiosi
• Aerazione→ In relazione con l’umidità e con l’aggiunta di aria mediante
ventilazione manuale od automatica, serve per il mantenimento dell’aerobiosi
301
ed ha anche un effetto sulla diminuzione della temperatura una volta che
viene prodotto calore
• Temperatura→ è un fattore di controllo importante, perché seguendo
l’andamento della temperatura siamo in grado di seguire a che punto del
processo di compostaggio ci troviamo. Inoltre, la temperatura che viene
indotta durante il processo (circa 70-80°C) è molto importante, in quanto
comporta l’eliminazione dei patogeni (che in realtà avviene anche per
competizione con le microflore presenti), ed eventualmente anche degli
insetti fitopatogeni che possono trovarsi nella massa da compostare (che
potrebbero danneggiare le piante)
• pH→è variabile a seconda del materiale di partenza, ma durante il processo
ha più o meno sempre lo stesso andamento.
• Rapporto C/N→ indica la quantità di carbonio totale rispetto all’azoto totale
(quindi qui non facciamo discriminazione tra organico ed inorganico -sia per
l’azoto che per il carbonio-). Nel corso di tutti i processi degradativi, e quindi
anche nel processo di compostaggio, è necessario che ci sia una certa quantità
di azoto per degradare o respirare il carbonio, altrimenti i microrganismi non
crescono più perché non hanno abbastanza azoto per costruire le proteine e
quindi non si possono moltiplicare (in pratica non possono fare scissione
binaria e gemmazione, perché questo implica la costruzione di nuovo
materiale cellulare).
Quindi se c’è troppo poco azoto l’attività microbica è lenta, e se invece ce n’è
troppo si genera ammoniaca (NH3) in forma volatile, che nei suoli rappresenta
un fattore di tossicità quando viene aggiunto il compost.
Il rapporto C/N ottimale per il compost è tra 25 e 35→Il compost viene
definito “scadente” se C/N è meno di 25, mentre se è oltre 35, significa che
c’è troppo poco azoto ed i microrganismi non si moltiplicano.
Gli interventi che vengono attuati per correggere il rapporto C/N servono
proprio per creare l’ambiente ottimale per i microrganismi.
Solitamente per aggiungere carbonio si aggiungono RSU (rifiuti solidi urbani),
mentre per aggiungere azoto si possono aggiungere i fanghi di depurazione
delle acque, che sono ricchi in azoto.
Non si aggiunge paglia o residui lignino-cellulosici per aggiungere carbonio (in
generale materiale vegetale) perché si tenderebbe a rallentare
eccessivamente il processo di compostaggio (quindi bisogna aggiungere
carbonio in altro modo).
• Metalli pesanti→ i metalli pesanti presenti nei materiali compostati possono
inibire l’azione dei microrganismi, in quanto una percentuale anche piccola di
302
metalli pesanti, per quanto poi anche i microrganismi possano evolvere
resistenza rispetto a questi, può inficiare il processo rendendolo lento, od
addirittura arrestarlo in alcuni casi.
• Carica microbica iniziale→ in molti sistemi di compostaggio, per dare una
spinta alla degradazione e rendere il processo un po' più rapido, si tende a
lasciare una parte del processo di compostaggio precedente (una parte del
compost maturo precedente) come inoculo per favorire l’inizio del
compostaggio nuovo. Quindi si va ad arricchire il nuovo cumulo con un po’ del
cumulo vecchio proprio perché in questo modo inoculiamo dei microrganismi
già attivi che iniziano subito la degradazione.
Il processo di compostaggio, a seconda dei parametri che andiamo a misurare, può
essere seguito in tutte le sue fasi
Andamento caratteristico dei parametri durante un processo di compostaggio:
A prescindere dai giorni e dalla durata (asse x),
che può essere più o meno lunga a seconda del
materiale, nel tempo questi parametri variano
sempre nella stessa maniera.
• Andamento della temperatura (primo in
alto)→ abbiamo un innalzamento della
temperatura dalla prima alla seconda fase, e
poi una discesa.
• Andamento dei microrganismi
(centro)→prevalenza di batteri nelle prime fasi.
Dopodiché più avanti cominciano a svilupparsi i
funghi, che tendono a prevalere verso la fine.
• Andamento del pH (in basso, curva con pallini
verdi)→ ha una piccola discesa e poi un
aumento molto consistente per poi avere una
stabilizzazione
• Andamento C/N (in basso, curva con
triangolini rossi)→ diminuisce sempre nella
prima fase per poi andare a stabilizzarsi.
Quindi andando a misurare il pH, la temperatura o le abbondanze microbiche,
riusciamo a capire in quale punto del processo di compostaggio ci troviamo, e nel
caso si presentino delle problematiche, lo verifichiamo perché gli andamenti non
sono più questi prestabiliti.
303
Le fasi del processo di compostaggio sono 4, ed hanno una durata differente a
seconda della tipologia di materiale:
1) Fase mesofila→ perché la temperatura si aggira tra i 10 ed i 42°C.
Abbiamo una prevalenza di batteri che cominciano a degradare le sostanze
più semplici, compreso l’amido (che sebbene sia un polimero è comunque
semplice da degradare). Inizia una crescita microbica molto abbondante e si
ha un iniziale abbassamento del pH.
2) Fase termofila→ la temperatura aumenta e può arrivare fino a 80°C (in media
siamo sui 70°C). Questa fase è fondamentale per l’uccisione di eventuali
patogeni presenti nel materiale da compostare.
Aumenta il pH, in quanto viene aumentata la produzione di NH3 ed aumenta
la CO2 (perché i microrganismi respirano e respirando il carbonio organico
producono anidride carbonica).
3) Fase di raffreddamento e maturazione→ la temperatura cala ed inizia ad
essere usata la sostanza organica rimasta, che è più complessa rispetto a
quella iniziale (quindi ad esempio la cellulosa viene attaccata in questo
momento). In questo momento avviene anche la nitrificazione, perché i
batteri nitrificanti nitrificano l’ammonio (o ammoniaca?) prodotto nelle fasi
precedenti. Aumentano i funghi, che cominciano a degradare le sostanze più
complicate.
4) Fase di stabilizzazione→ vengono degradati gli ultimi composti, quelli più
resistenti, ed avviene il completamento dell’umificazione (cioè della
produzione di humus). A questo punto avremo prevalenza di funghi.

Andamento del processo di


compostaggio→sarebbe il riassunto delle 4
fasi (mesofila, termofila, raffreddamento e
maturazione)

304
Grafico microflore→ all’inizio si ha un
incremento molto importante di batteri ed
attinobatteri (attinobatteri sono dei batteri
particolarmente presenti nel processo di
degradazione della sostanza organica, ma
sono comunque batteri -infatti gli
andamenti sono i medesimi-), e poi una
diminuzione durante la fase di
raffreddamento, quando invece cominciano
ad aumentare i funghi che degradano i
composti rimasti (quelli più complessi).
Grafico pH e C/N→ inizialmente abbiamo
una diminuzione del pH, e poi un aumento
che è dovuto principalmente
all’ammonificazione (produzione di
ammonio -o ammoniaca?-) perché avviene
la lisi delle proteine, la mineralizzazione
delle proteine. La diminuzione del rapporto
C/N dipende dal fatto che abbiamo
un’importantissima crescita microbica,
quindi questi microrganismi che crescono e che stanno consumando tutto il
carbonio più facilmente degradabile, lo stanno respirando aerobicamente, quindi
producono CO2 che è volatile e diminuisce la quantità di carbonio complessiva.
Diminuendo la quantità di carbonio complessiva, diminuisce il rapporto C/N.
Il rapporto C/N tende poi ad equilibrarsi nelle fasi successive in cui diventa
confrontabile la quantità di carbonio persa per produzione di CO2 e la quantità di
azoto volatilizzata per la produzione di NH3 (quindi il rapporto tenderà in pratica a
stabilizzarsi).
Le microflore che sono presenti durante il processo di compostaggio sono differenti,
ed essendoci tanti microrganismi diversi che intervengono, ci sono delle interazioni
molto importanti (qui riportate alcune -in pratica si possono avere praticamente
tutti i tipi di interazioni-):
• Commensalismo
• Sintrofie
• Competizioni (interazione negativa)→ i microrganismi più efficienti
utilizzeranno il carbonio organico più velocemente degli altri.

305
Le interazioni tra microrganismi fanno variare i parametri fisico-chimici e biologici
causando gli andamenti appena visti.
A seconda della fase di compostaggio, abbiamo delle differenti comunità nelle
diverse fasi, ognuna che partecipa ad una fase diversa a seconda delle condizioni ed
alla presenza e qualità di sostanza organica che rimane da degradare (perché i
metabolismi microbici si adattano).
I decompositori primari (cioè quelli che hanno la possibilità di degradare tutte le
sostanze presenti nel cumulo), faciliteranno l’assorbimento dei nutrienti anche da
parte delle microflore “più deboli”, ovvero quelle che non hanno le capacità
enzimatiche per degradare i composti più recalcitranti.
La maturità del compost è variabile a seconda dell’utilizzo (i parametri con cui si
misura questa maturità variano a seconda dell’utilizzo finale del compost).
L’applicazione di un compost non maturo comporta sempre dei fattori molto
negativi nel suolo come:
• Immobilizzazione dell’azoto→ un eccesso che vuol dire volatilizzazione della
produzione di ammoniaca, che può essere tossica per le piante (?)
• Eccesso di respirazione→ porta ad una condizione di anaerobiosi nel suolo,
che può far verificare delle fermentazioni, ed i prodotti delle fermentazioni
sono tipicamente tossici.
Quindi è fondamentale che il compost completi la sua maturazione fino alla
produzione di un composto di humus stabile, cioè che non viene più respirato e che
si colloca nell’andamento del processo di compostaggio come caratteristiche quelle
che abbiamo visto alla fine del processo.

Esempio di cumuli per il compostaggio

Controllo automatico dei parametri (esempio


umidità ed aerazione)

306
Sistemi di compostaggio casalinghi→
Normalmente possono essere aiutati nel
processo di compostaggio, per evitare la
formazione di prodotti di fermentazione che
normalmente sono maleodoranti, ma
soprattutto portano alla formazione di un
compost non maturo che non può poi essere
utilizzato in orticoltura. Per aiutare la
maturazione del compost in situazioni più
domestiche, vengono venduti dei prodotti che
sono a base o di microrganismi o di enzimi, che servono per far si che anche il
compostaggio casalingo possa avere una buona riuscita.

Esempio di prodotto commerciale. Sono dei mix di


microrganismi o di enzimi, che possono incrementare il
processo di compostaggio e favorire la maturazione del
compost.

307
LA LOTTA BIOLOGICA
LA LOTTA BIOLOGICA
La lotta biologica ha il fine di impiegare solamente agenti di biocontrollo costituiti da
microrganismi o comunque pratiche agricole alternative all’uso di pesticidi e
fitofarmaci.
L’agricoltura necessariamente per fare fronte alle necessità delle popolazioni ed alle
necessità di incremento delle rese produttive, ha causato negli anni una diminuzione
della biodiversità anche vegetale, ed ha impiegato pesticidi e fitofarmaci sempre più
complessi e recalcitranti (quindi persistenti nel suolo).
Alcune molecole utilizzate sono più dannose di altre per l’ecosistema perché sono
molecole ad ampio spettro→ quindi non hanno un target specifico rispetto al
patogeno vegetale, ma hanno un ampio spettro, e quindi possono colpire specie non
dannose ed organismi non target.
Inoltre, l’utilizzo eccessivo utilizzo di fitofarmaci e pesticidi, ha causato nei patogeni
l’evoluzione per alcuni di loro di resistenze nei confronti delle molecole.
Quindi soprattutto nel caso di molecole ad ampio spettro utilizzate in maniera
eccessiva, questo può causare questa acquisizione della resistenza ed in generale
una diminuzione della biodiversità.
Per questo motivo si sviluppano gli argomenti della:
• Lotta biologica→ comporta l’utilizzo in agricoltura di patogeni, predatori, e
parassiti nei confronti di organismi dannosi per le piante. Questo tipo di
organismi vengono definiti “agenti di biocontrollo” (BCA-biological control
agents). Quindi la lotta biologica comporta l’utilizzo di organismi che siano
patogeni predatori o parassiti di patogeni vegetali.
• Lotta integrata→ affianca eventualmente all’utilizzo dei BCA, anche
accorgimenti colturali o molecole di sintesi, che ovviamente non sono dannosi
per le colture.
La lotta biologica quindi impiega solo BCA, mentre la lotta integrata oltre ai BCA
affianca anche pratiche colturali o molecole di sintesi (Impiego di fitofarmaci
selettivi e non dannosi) (lo scopo della lotta integrata comunque è sempre quello di
diminuire l’uso di molecole di sintesi).

308
BCA→ Sono organismi viventi antagonisti di specie dannose per i vegetali.
Devono avere precise caratteristiche:
• Devono essere conosciuti e deve essere possibile isolarli→ quindi che io usi un
fungo, un batterio, oppure un insetto, devo essere a perfetta conoscenza del
loro ciclo e vitale e di tutte le loro caratteristiche, e devo essere in grado di
isolarlo (quindi di coltivarlo in purezza).
• Devo testarne l’attività in condizioni sperimentali→quindi sapere esattamente
quali sono le attività svolte da questo organismo, in maniera da non avere
“sorprese” poi una volta che viene distribuito in pieno campo.
• Devo essere in grado di coltivarli→ quindi di farli replicare, moltiplicare in
laboratorio, o comunque in fermentatori oppure in sistemi industriali.
• Devo progettarne la formulazione→ nel momento in cui ad esempio impiego
un determinato batterio per contenere un determinato patogeno vegetale,
devo sapere in che modo creare il formulato (ad esempio nel caso dei
biofertilizzanti devo sapere se formulare una polvere granulare con degli
organismi liofilizzati, oppure una sospensione liquida) e come somministrarlo
alla coltura.
• Devo essere in grado di verificarne la persistenza e la resistenza a diverse
condizioni ambientali→ se io rilascio quest’organismo nell’ambiente devo
sapere quanto può essere persistente, quanto può resistere ai cambiamenti
termici
• Devo essere in grado di verificarne lo spettro d’azione→ devo sempre sapere
qual è il target del BCA che sto impiegando (se è un target specifico, oppure se
è un target ad ampio spettro) Nel caso in cui sia un target ad ampio spettro,
devo sapere quali sono gli organismi che possono eventualmente venire
danneggiati dal suo impiego
• Devo verificarne la sicurezza→ non deve essere in nessun modo dannoso o
patogeno per l’uomo e per gli animali
• Deve essere stabile geneticamente→ la specie o l’organismo che impiego, non
deve essere eccessivamente soggetto a fenomeni di mutazioni. Ci sono specie
più stabili di altre (insetti, batteri e funghi più stabili di altri) (la stabilità
genetica è un aspetto positivo).
• Devo verificare che i costi di produzione non siano eccessivi, e che soprattutto
non siano superiori al beneficio dato eventualmente dal BCA
• Devo occuparmi di registrare il prodotto contente l’agente di biocontrollo in
maniera che sia poi registrato e verificabile dalle istituzioni che si occupano di
controllo di prodotti rilasciati nell’ambiente.
309
Caratteristiche di sicurezza che devono avere i BCA:
• Assenza di tossicità nei confronti degli operatori→ il BCA non deve essere
tossico per gli operatori che lo producono.
• Assenza di effetti collaterali sull’ambiente e sugli organismi non bersaglio
Trichoderma sp. (c’è scritto sp perché è un genere di fungo che comprende diverse
specie, e le specie che possono essere impiegate come BCA sono diverse -sp significa
specie plurime-):
Trichoderma è utilizzato nel controllo dei funghi fitopatogeni.
I funghi fitopatogeni si comportano da parassiti obbligati o no, e di conseguenza
causano malattie nel vegetale→ come conseguenza possono causare importanti
perdite produttive, anche in post-raccolta perché possono indurre marciumi.
Il fine dei funghi fitopatogeni è quello di attaccare il vegetale per procurarsi il
carbonio organico (a seconda del fungo fitopatogeno, possono attaccarsi in diversi
siti -diverse parti della pianta-).
I funghi oltre che essere fitopatogeni (quindi attaccare il vegetale), (alcuni) possono
produrre anche tossine, che poi eventualmente possono essere dannose per il
consumatore.
I fungicidi di sintesi sono tendenzialmente dannosi, in quanto richiedono dosi molto
elevate, spesso crescenti nell’ambito dello stesso ecosistema (quindi ad esempio se
noi per un anno utilizziamo una certa dose, è possibile che noi dobbiamo aumentare
la dose l’anno successivo). Inoltre, hanno effetti aspecifici→ cioè non si riesce a
trovare dei fungicidi che abbiano un target preciso su un fungo fitopatogeno, e
quindi avendo degli effetti aspecifici, possono danneggiare anche altri organismi
fungini, che sono benefici (ad esempio le micorrize).
Trichoderma può essere utilizzato per il controllo dei funghi fitopatogeni→ La
distribuzione di Trichoderma è molto varia, molto diffusa, lo troviamo sia in suoli
forestali che in suoli agrari (quindi è facile isolarlo) e normalmente colonizza la
rizosfera delle piante, ma senza causare danno.
È quindi uno di quei funghi che si trova a livello radicale, ma non è associato con le
piante, non forma micorrize, ma è un fungo che rimane nell’ambito rizosferico
promuovendo la crescita vegetale (In quanto svolge diverse azioni benefiche sulla
rizosfera).
Può essere utilizzato come agente di biocontrollo perché parassitizza i miceli di altri
funghi pluricellulari, nutrendosene.
Oltre al fatto di avere quest’azione antagonistica nei confronti di funghi che
eventualmente possono arrivare nella rizosfera delle piante e causare danni, può
anche produrre delle sostanze che promuovono la crescita della pianta stessa
310
(quindi è un organismo promotore della crescita vegetale).
Un’altra caratteristica molto vantaggiosa soprattutto quando viene impiegato in
lotta integrata, consiste nel fatto che questo fungo ha un’innata resistenza ai
composti chimici, quindi per la lotta integrata può essere usato con facilità rispetto
ad altri.
Sul mercato esistono dei formulati a base di Trichoderma che vengono proprio
venduti per la protezione di diverse colture, in particolare per colture orticole, che
possono subire con una certa frequenza marciumi radicali, ed avendo una stagione
colturale molto breve, questi possono avere conseguenze dirette sulla produzione.
Meccanismo di azione di Trichoderma:
• Comincia con la produzione di esoenzimi, che sono la chitinasi e la glucanasi→
questi enzimi attaccano e degradano (la distruggono) la parete di miceli
fungini, che sono anche distanti (questi enzimi cominciano proprio a demolire
le pareti).
• In seguito, produce antibiotici→ gli antibiotici danneggiano oltre che il fungo
in sé, anche il metabolismo del fungo fitopatogeno. Quindi vanno a
stravolgere il metabolismo dei funghi con cui questi antibiotici sono a
contatto.
• A questo punto Trichoderma avvolge il micelio del fungo fitopatogeno, vi
aderisce, e penetra con le sue ife nel micelio del fungo ospite (ovvero del
fungo fitopatogeno).

Trichoderma→ Appartiene al phylum degli Ascomycota. Il


micelio presenta setti. I conidi sono esogeni e sono prodotti
all’apice delle ife (ci sono tutte le caratteristiche tipiche degli
Ascomycota).

Prodotto commerciale in cui c’è del terriccio


miscelato al micelio fungino di Trichoderma.
Al microscopio si vedono le ife di
Trichoderma che vanno ad avvolgere le ife
di un altro fungo (Pytium -è un fungo
fitopatogeno-). Trichoderma quindi si nutre
di Pytium. Svolge un’azione parassita nei
confronti dei funghi parassiti delle cellule
vegetali.
311
Un altro esempio di BCA sono i funghi trappola:
I funghi trappola sono dei funghi sono molto numerosi (circa 150 specie) e si sono
evoluti per nutrirsi e parassitizzare i nematodi→per questo nel suolo svolgono
un’azione importante nella regolazione dei nematodi.
Questi funghi vengono guardati con grande interesse nell’ottica di un loro impiego
nello sviluppo di prodotti per la protezione vegetale, soprattutto per nematodi e
larve di insetti.
I funghi trappola sono predatori che grazie alle loro ife, aderiscono ed intrappolano i
nematodi. Alcuni di essi producono anche delle tossine che paralizzano il nematode
stesso.
Il problema di questi funghi però è che essendo aspecifici, sono attivi nei confronti di
molte specie di nematodi, quindi si sta cercando di isolare e coltivare, ed
eventualmente selezionare dei funghi trappola che possono essere utilizzati in
maniera più specifica
Esempio di anello costrittore di
Arthrobotrys dactyloides→ L’anello
costrittore origina da un’ifa (è una
modificazione dell’ifa, che non è legata
a questioni di moltiplicazione e
replicazione, ma ad altri aspetti).
Un’ifa viene quindi differenziata, e
forma questo anello.
Grazie a dei recettori che segnalano quando qualcosa attraversa il laccio, il fungo
richiama per pressione osmotica acqua all’interno dell’ifa anello costrittore, che
quindi si rigonfia ed imprigiona il nematode (quindi quando un nematode attraversa
l’anello, questo si rigonfia e lo intrappola).
Successivamente, il fungo penetra con le ife dentro il nematode, ed inizia a
degradarlo dall’interno con degli enzimi.
Il fine ultimo del fungo in questo caso è proprio quello di nutrirsi del nematode.
Quando poi saranno esauriti i nutrienti all’interno del nematode, il fungo produrrà
all’esterno dei conidi, quindi delle strutture di moltiplicazione, che via via andranno
a distribuirsi ed a creare nuovi miceli.

312
Bacillus thuringensis:
Bacillus thuringensis è il più importante BCA e bioinsetticida, in quanto si stima che
costituisca intorno al 90% del mercato globale dei pesticidi che possono essere
utilizzati nella lotta biologica (che siano quindi costituiti esclusivamente da BCA).
L’azione di Bacillus thuringensis è rivolta agli insetti, ed in particolare viene utilizzato
per contenere insetti di interesse agrario e forestale, ma anche urbano (ad esempio
viene impiegato anche nei confronti delle zanzare, che non sono patogene di piante
forestali od agrarie, ma sono dannose per l’uomo -viene utilizzato anche nei
confronti delle larve di zanzare-).
Ha un’attività antagonista nei confronti di altri batteri e di funghi (ricorda→ l’attività
antagonista è mediata sempre dalla produzione di un'altra sostanza, perché
l’antagonismo si espleta attraverso questa attività).
Bacillus thuringensis è un Gram + (quindi si colora di viola con la colorazione di
Gram) ed appartiene al phylum dei Firmicutes.
È un batterio sporigeno (quindi produce endospore), ed in associazione alle
endospore produce delle tossine che hanno un’attività insetticida nei confronti delle
larve di diversi insetti.
È comunemente presente nel suolo, infatti lo si riesce ad isolare abbastanza
facilmente (appunto perché il genere Bacillus nel suolo è molto diffuso).
La sua capacità di essere insetticida nei confronti delle larve di insetti fitopatogeni è
stata trasferita in piante, che poi sono diventate piante transgeniche, le cosiddette
“piante Bt” (come il mais Bt)→ proprio perché queste piante transgeniche vanno a
produrre le medesime proteine che sono attive nei confronti delle larve degli insetti
che si comportano da fitopatogeni.
I geni che comportano quest’attività insetticida non sono geni cromosomiali, ma
sono su plasmidi (sono plasmidi che questo microrganismo mantiene
costitutivamente nella sua specie).
L’attività insetticida è dovuta a due componenti:
• Una associata alla forma di spora dell’organismo, che è costituita da un
cristallo parasporale→ sono delle proteine che sono cristallizzate e che
vengono liberate insieme alle spore del batterio sporigeno. Queste vengono
chiamate proteine Cry (si legge crai) (crystal proteins) o proteine Cyt
(cytoliticproteins).
• Ci sono poi anche delle proteine che si chiamano Vip (vegetative inseticidal
proteins)→ sono delle proteine associate allo stato vegetativo del batterio, e
sono prodotte dalla cellula vegetativa (dal batterio stesso e non dalla spora).

313
Diversi ceppi di Bacillus thuringensis posseggono diverse varianti di queste proteine,
soprattutto di Cry e Cyt, e queste varianti sono attive nei confronti di insetti
differenti.
Quindi la ragione per cui Bacillus thuringensis è utilizzato, ed è molto diffuso nel
mercato mondiale, non è soltanto legata alla sua azione efficace, quanto più che
altro è dovuta al fatto che le varianti di queste proteine, che sono possedute da
ceppi diversi, hanno un target molto specifico (questo target è nei confronti di un
insetto)→ quindi diversi ceppi di Bacillus thuringensis sono attivi nei confronti di
diversi insetti (per cui un certo ceppo verrà utilizzato contro le larve di zanzara,
mentre altri ceppi verranno utilizzati nei confronti di larve di altri insetti) (Pertanto,
ceppi diversi hanno specificità diversa -sono molto specifici- e questa è la ragione
per cui Bacillus thuringensis è molto diffuso).
Meccanismo di azione di Bacillus thuringensis (mais come esempio):
Le tossine prodotte dal microrganismo, così come sono non sono tossiche→ questo
è molto importante perché se animali od insetti non target si trovano a contatto con
queste proteine non succede niente.
Le larve degli insetti target,
quando si nutrono delle foglie
su cui è stato distribuito Bacillus
thuringensis (oppure si nutrono
del mais bt -mais transgenico-
che produce le stesse proteine),
provocano l’attivazione delle
tossine prodotte dal batterio
all’interno del loro sistema
digerente.
Quindi al di fuori la tossina è innocua, ma quando viene ingerita da una larva target
specifica, la proteina viene attivata nel lume intestinale, e causa una lisi del sistema
digerente della larva che dopo un certo tempo comincia a smettere di nutrirsi e
quindi non causa più danni alle piante e dopo un certo periodo muore.
Tempi che intercorrono dal momento
dell’ingestione alla morte della larva→ Da
poco tempo dopo l’ingestione la larva
comincia a non essere già più attiva (questo è
molto importante perché molte larve tendono
a nutrirsi delle radici o degli apparti fogliari
delle piante, e per questo sono dannose.
314
È comodo avere un microrganismo che ha come target le larve, perché così non si
svilupperanno gli insetti adulti, e soprattutto non si riprodurranno.
Esempio di prodotto commerciale a base di Bacillus
thuringensis→ È attivo nei confronti di larve di
insetti fitopatogeni.
I prodotti commerciali possono anche non
contenere il Bacillus thuringensis come spora o
come cellula vegetativa, ma possono contenere
anche solo le tossine da lui prodotte (Cioè i cristalli
parasporali, che sono la parte attiva, la parte
tossica, purificati dalla cellula).

315

Potrebbero piacerti anche