Sei sulla pagina 1di 8

Lezione di bioetica e storia della medicina #10

Data: 12/12/2018
Prof.ssa Craxì
Sbobinatore: Claudia Gullace
Controllore: Antonello Fontana
Argomenti: iatromeccanica, anatomismo clinico, medicina nel XVIII e nel XIX secolo

La medicina nel ‘600

L’ultima volta si è parlato di Harvey e della nascita dell’anatomia con Vesalio, periodo che collima con quello
della rivoluzione scientifica.

Curiosità: l’anno di pubblicazione del “De humani corporis fabrica” è il 1543, che è lo stesso anno in cui viene
pubblicata l’opera di Copernico.

Sono anni in cui si stava scoprendo sempre di più l’anatomia grazie a Vesalio, ma ancora non veniva applicato
il metodo scientifico. Questo perché ancora non se ne sentiva il bisogno, perché non si era soliti formulare
teorie e fare degli esperimenti per verificare le ipotesi ma, ancora più concretamente, avere un riscontro
osservativo su ciò che era la conoscenza del corpo umano. La conoscenza anatomica, essendo una scienza
statica, si presta bene a questo. Vesalio per la prima volta con la sua esperienza osserva in prima persona il
cadavere attraverso una dissezione e riesce a comprendere come è fatto il corpo umano e per primo rifiuta il
principio di autorità.
Paracelso è l’esempio di un rifiuto dell’autorità, fondava il sapere medico su teorie filosofiche, poi la differenza
sostanziale la fa Harvey, che è il padre della fisiologia, in quanto non soltanto rifiuta il pensiero di Galeno
(quindi l’autorità dei classici) ma formula una teoria sulla circolazione del moto sanguigno che verifica
attraverso degli esperimenti. Inizialmente fa una serie di calcoli matematici prima di riuscire a formulare la
sua teoria. Il concetto di misurazione è innovativo in medicina, e dà prova del fatto che le teorie di Galeno
sembrino poco sostenibili, quindi Harvey formula una teoria e fa delle verifiche sperimentali, come per
esempio una serie di legature per dimostrare che la circolazione sanguigna è unica, che passa sangue nelle
arterie e che c’è un fenomeno di passaggio dalle arterie e di ritorno attraverso le vene con uno scambio che
non riesce effettivamente a dimostrare, perché non aveva strumenti per farlo, infatti non esistevano microscopi
abbastanza raffinati per potere osservare il circolo capillare (cosa che più tardi avrebbe fatto Malpighi). Le
misurazioni sono il punto chiave della medicina intesa come scienza sperimentale, e in questo ambito è molto
importante il concetto di iatromeccanica. Perché le misurazioni sono essenziali? Perché se non si misurano le
cose, non si possono fare gli esperimenti. Questo perché se non si facessero, non si potrebbe ricostituire sempre
la stessa situazione artificiale dell’esperimento. E’ importante che l’esperimento sia riproducibile e verificabile
da chiunque, quindi è importante avere delle quantità precise. Sono fondamentali anche per verificare gli esiti
dell’esperimento.

Iatromeccanica

Nell’ambito della medicina, l’unirsi della concezione di cosa sia la scienza sperimentale (che ha origine da
Galileo) e di una forma di filosofia che ha come padri Cartesio e Hobbes, dà origine alla iatromeccanica (o
medicina meccanica).
Si sviluppa nel tardo 1600, ed ha la caratteristica di studiare la medicina da un punto di vista meccanico,
considerando l’uomo come una macchina, di cui si deve studiare il funzionamento. Se la macchina funziona
bene c’è lo stato di salute e se si rompe c’è lo stato di malattia. Questa concezione funziona meglio in alcuni
campi (tra cui anatomia e fisiologia) e meno in altri. L’idea del corpo come una macchina porta ad una serie
di risultati, alcuni corretti e altri sbagliati. Uno degli esiti più interessanti della iatromeccanica è stata la
costruzione di una serie di strumenti da utilizzare in ambito medico, alcuni presi e riadattati da altri ambiti
scientifici (in particolare dalla fisica), altri costruiti appositamente.
Santorio Santorio, nel tardo 1600, introdusse l’abitudine all’utilizzo di strumenti in medicina. Nasce a
Padova, città che era il centro del mondo medico dell’epoca. A lui si deve l’invenzione del termometro clinico
(in pratica prese il termometro e lo adattò alla funzione della misurazione della temperatura corporea). Inventò
anche il pulsilogium, per misurare la frequenza del battito cardiaco. Tra le invenzioni sue più particolari, c’è
una sedia pesa-persone, nata dal fatto che si cercava di conoscere meglio il metabolismo del cibo. L’idea di
1
base era questa: si misura il peso di un soggetto a stomaco vuoto, poi viene pesata una determinata quantità di
cibo che si fa ingerire al soggetto, si vuole capire se il peso risultante è dato dalla somma del peso del soggetto
a stomaco vuoto più il peso del cibo. Ovviamente no, ma l’obiettivo era quello di dimostrare che ci fosse un
meccanismo attraverso il quale si metabolizzasse e disperdesse il cibo, e lo scopo era capire come venisse
disperso.
Un altro esponente interessante è stato Borelli. Lui studiò il sistema osteo-artro-muscolare e cominciò a
studiare il meccanismo delle articolazioni e delle leve esattamente come se fossero leve fisiche comparando
l’anatomia e la fisiologia umana con quella animale. L’opera più famosa di Borelli è “De motu animalium”,
dove il meccanismo animale viene concepito come se fosse una macchina che ha delle strutture e funzioni che
si possono tradurre in numeri e quantificare. La malattia viene interpretata anche qui in maniera meccanicistica.
In questo periodo, oltre al meccanismo della circolazione sanguigna e alla “grande macchina” osteo-artro-
muscolare, si scoprono anche le “micro-macchine” organiche, questo perché in questo periodo viene
perfezionato l’occhialino (o perspicillum) per essere utilizzato in ambito medico, ed è quello che verrà poi
chiamato microscopio. La prima grande spinta all’evoluzione tecnologica del microscopio non viene né da un
ottico né da un medico, ma avviene da un sarto, questo perché all’epoca era molto sviluppato il mercato degli
arazzi che sono dei dipinti fatti nel tessuto e richiedevano una capacità di ingrandimento tale da spingere Van
Leeuwenhoek a tramutare un perspicillum in un rudimentale microscopio che gli permise di poter osservare
gli ‘’animalcula’’ (microrganismi), gli eritrociti e i ‘’globuli di colore bianco”.
Il microscopio sarà lo strumento che condurrà alla nascita della batteriologia. Prima di allora non si sarebbe
potuto comprendere quali fossero i meccanismi del contagio e dell’infezione e quindi della patogenesi, proprio
perché non esisteva uno strumento capace di analizzare delle realtà così piccole. Quindi c’è stata un’evoluzione
di metodo, concettuale (perché se non cambia il metodo non si può arrivare alla scoperta corretta) e anche di
strumenti che consentono di amplificare i cinque sensi. Quindi si parte dall’osservazione dei fenomeni per
rilevare i dati nella realtà e si utilizzano i cinque sensi nella fase dell’esperimento. I cinque sensi possono essere
“naturali” o “potenziati”, tanto più sono potenziati tanto più si può scoprire. In quel periodo era ancora
dominante la teoria miasmatica per spiegare le malattie infettive; che spiegava l'origine delle malattie
infettive attraverso la diffusione nell'aria dei cosiddetti miasmi e delle particelle velenose che provengono da
essi e che venivano a contatto con l'uomo, essa era legata strettamente alla teoria della generazione spontanea.
Secondo quest’ultima i parassiti visibili nascevano spontaneamente da materia inanimata (ad esempio
acquitrini ed escrementi). Vi era contemporaneamente un’altra teoria, quella contagionista, che negava l’idea
di una generazione spontanea e sosteneva che gli organismi non potessero generarsi da soli, ma da materia
organica, quindi assumeva che il contagio avvenisse tramite meccanismi diversi rispetto alla teoria miasmatica.
Queste teorie convissero finché non arrivò lo strumento che consentì di dimostrare falsa la teoria della
generazione spontanea; dal punto di vista metodologico si cambia approccio e si vede come tramite esperimenti
si può dimostrare che una delle teorie sia falsa.
La nascita del microscopio, determina anche la nascita dell’anatomia microscopica, di cui il fondatore può
essere considerato Marcello Malpighi. Egli descrisse tantissime strutture non visibili ad occhio nudo, tanto
che pose un punto di arrivo alla teoria proposta da Harvey, in quanto dimostrò il funzionamento degli alveoli
polmonari e dei capillari.

Medicina clinica e teorica

Dal 1600 fino al 1800 ci fu una storta di discrepanza tra la medicina teorica e la medicina clinica. In questo
periodo i clinici, con un approccio razionale ma sbagliato, cercavano di classificare le malattie e di fare degli
studi di tipo nosografico. Bisogna considerare che la maggior parte delle malattie erano malattie infettive e che
a quell’epoca non si aveva idea dei meccanismi patogenetici, quindi le malattie venivano classificate sulla base
dei sintomi. La struttura dell’ospedale del 1700 era organizzata in corsie basandosi sulle classificazioni delle
malattie ed erano sbagliate soprattuto per quanto riguarda la classificazione delle malattie infettive perché
partivano, appunto, dai sintomi.
Uno degli esponenti della medicina clinica fu Thomas Sydenham che aveva un approccio empirico, non
sperimentale. Già in quel momento il ragionamento era slegato dall’elemento divino, ma ancora era privo di
teorizzazioni in quanto non si riuscivano a dimostrare. Quello era un mondo dove le principali cause di morte
erano appunto le malattie infettive, a differenza del giorno d’oggi dove prevalgono le malattie cronico-
degenerative (non si aveva il tempo di morire di cancro, ma si moriva prima a causa di un’infezione).
Mentre da Ippocrate in poi l’idea di base era che la malattia fosse assolutamente individuale, se si pensa alla
logica secondo la quale la malattia era un disequilibrio tra gli umori e che in pratica questa proporzione tra gli
2
umori fosse variabilissima tra persona e persona, lo stato di malattia era una condizione assolutamente
individuale legata alla specifica situazione relativa alla proporzione dei propri umori. Sydenham fu il primo a
dire che si possono riconoscere un set di sintomi associati a delle malattie che ricorrono più o meno in maniera
sempre uguale (sebbene ci sia sempre un indice di variabilità) nei diversi soggetti. Un assunto di questo genere
era necessario per poter classificare le malattie, perché se l’idea di Ippocrate era che ogni persona aveva un
tipo di malattia diversa, una classificazione non poteva esistere. Quindi le malattie sono di un numero finito e
si manifestano nei diversi soggetti con un margine di variabilità ma con un set di sintomi riconoscibile tale per
cui si possono classificare. Nonostante la crescita delle conoscenze del campo dell’anatomia e della fisiologia
la scienza medica ancora non è in grado di fornire delle soluzioni valide nell’ambito della medicina clinica,
che rimarrà molto più indietro fino alla rivoluzione batteriologica (cioè quando si comprenderà il nesso causale
profondo tra causa prossima e remota di morte) e a quel punto la clinica riuscirà ad avere un certo numero di
conoscenze tale da poter procedere a curare in maniera più efficace le persone e la spinta finale verrà data dalla
nascita della farmacologia per sintesi chimica.

La medicina nel XVIII secolo

Anatomismo clinico

Questo è stato il secolo dove per la prima volta si è cercato un punto di unione tra la medicina clinica (quindi
il quadro sintomatologico) e la ricerca nell’ambito dell’anatomia. Morgagni (che è considerato il padre
dell’anatomia patologica) fu uno dei primi a trovare un nesso tra quadro sintomatologico e riscontro autoptico
post-mortem. Da che cosa nasce il filone che si chiama anatomismo clinico? (La professoressa sottolinea che
se dovesse chiedere cosa sia l’anatomismo clinico, non bisogna parlare della nascita dell’anatomia, che nasce
con Vesalio nel 1500). L’anatomismo clinico è un filone medico che ha a che fare con l’anatomia e che inizia
verso la fine del 1700 e che è caratterizzato dal fatto di cercare un nesso tra anatomia (fisiologica e patologica)
e manifestazione clinica. Nasce perché in quel periodo erano aumentati i quadri nosologici, quindi più
conoscenze sulla medicina clinica e più classificazioni delle malattie. Si erano sviluppata anche la chirurgia e
la necroscopia, questo perché era cominciato ad avanzare un approccio molto più razionale nei confronti della
morte (per motivi igienici, i defunti venivano sepolti al di fuori delle città). In questo periodo, sempre di più i
medici in maniera sistematica raccolgono i sintomi e le storie cliniche dei malati.
Anche Morgagni studiò all’università di Padova nel 1700, dove fu anche professore di medicina teorica e fece
nascere, quindi, l’anatomia patologica. Lui non si limitava a classificare i sintomi nei vari casi che si
presentavano, quindi non utilizzava lo stesso approccio di Sydenham (solo medicina clinica), ma cercava di
capire come fosse l’anatomia di un corpo malato. Il suo obiettivo era quello di trovare un nesso tra i fenomeni
ante-mortem (manifestazione clinica della malattia) ed eventuali fenomeni post-mortem, rilevabili attraverso
l’autopsia. Il caso tipico è quello della tubercolosi, che per altro fu uno dei mali che caratterizzò il 1700 e il
1800. Morgagni, esaminando un soggetto morto per tubercolosi, raccontava la storia clinica del soggetto nella
sua opera, “De sedibus et causis morborum per anatomen indagatis”. Qui lui raccontava dettagliatamente la
storia clinica del paziente, cosa molto infrequente all’epoca. Addirittura inseriva dei dati personali come età,
sesso, occupazione. Queste cartelle cliniche che lui faceva sono state studiate per capire se avesse indovinato
la diagnosi o quale fosse la patologia che affliggeva il soggetto di cui scrive nella sua opera. Il resoconto di
questi sintomi manifestati in vita nel caso della tubercolosi sono espettorato e tosse che correlati con un aspetto
autotpico, che in qeusto caso è rappresentato dalla caverna tubercolare e dal tessuto necrotico (anche se
Morgani ancora non parla di tessuti necrotici). Morgagni individua le lesioni a livello di organo (il massimo
“dell’ingrandimento” possibile, ancora non si era arrivati a conoscere i tessuti). Lui vede che ci sono delle
lesioni post-mortem e le riconosce come causa del decesso, ma in realtà è in errore perché lui individua la
causa prossima, ma non riesce a riconoscere quella remota perché mancava ancora l’idea dell’eziologia (ancora
non era nata la microbiologia), ma comunque cerca di unire anatomia e clinica e di matchare sintomi e
manifestazioni di morte a livello di un ingrandimento che è quello dell’organo. Quindi Morgagni, oltre a
studiare l’anatomia patologica, cerca di combinarla con la clinica (quindi questo porta all’anatomismo clinico).
Ci sono state più di 700 dissezioni ma la tendenza era di vedere come localizzata all’organo in cui ritrovava le
lesioni la causa della malattia e della morte. Quando invece nelle autopsie non riconosceva alcuna lesione,
affermava che la malattia era dovuta ad uno scompenso generale dell’organismo, quindi torna a dare una
spiegazione di tipo filosofico perché non riusciva a dare una spiegazione scientifica.
Quindi, come Morgagni può essere considerato il padre dell’anatomia patologica, Bichat può essere
considerato il padre dell’istologia. Lo si può inquadrare in un filone che lo accomuna con Morgagni, che è
3
quello dell’anatomismo clinico, ma fondamentalmente si sono occupati di due ambiti diversi. Anche lui cerca
una correlazione tra i fenomeni in vita e quelli post-mortem, solo che lo fa anche a livello tissutale.
Ancora la tubercolosi era una delle patologie più importanti da studiare per l’epoca, e Bichat in questo caso
riuscì a vedere il tessuto necrotico (a differenza di Morgagni) e lo cominciò a chiamare “fenomeno di morte
della vita”. Bichat, in qualità di padre dell’istologia, disse per primo che l’unità base dell’organismo era il
tessuto (ancora non si era individuata la cellula) e ne individuò tre tipi:
- tessuto mucoso
- tessuto sieroso
- tessuto fibroso
Bichat non vorrà mai utilizzare il microscopio, ritenendo che nel tessuto si è già individuato la struttura base
dell’organismo umano.
Nel filone dell’anatomismo clinico, l’ultimo esponente è stato Laennec (allievo di Bichat). Rimane molto
fedele alle teorie di Bichat (che muore molto giovane) e ciò per cui è diventato famoso è stata l’invenzione
dello stetoscopio. Lo inventa perché non gli sembrava appropriato poggiare le orecchie al petto di una signora
e la leggenda vuole che lui avesse arrotolato un foglio per poter rimanere sufficientemente distante dal petto
della donna e da questo foglio avesse poi ideato lo stetoscopio. E’ importante perché rappresenta uno dei primi
strumenti efficienti per la rilevazione di fenomeni patologici del corpo, infatti Laennec riuscì a individuare
tutta la gamma dei murmuri e dei rumori polmonari e lo agevolò nella diagnosi di tubercolosi, perché il tipo di
riscontro in temi di auscultazione qui è evidente.

Approcci filosofici

Fino al 1800, la medicina non la si può ancora considerare sotto tutti gli aspetti una scienza sperimentale,
quindi come ci sono stati tutti questi studiosi visti fino ad ora che tendevano verso l’approccio sperimentale,
ce n’erano molti atri che ancora tenevano un approccio di tipo filosofico, uni dei più famosi è stato Cullen,
poi ci fu Brown. Loro avevano una teoria filosofica unica che spiegava interamente tutte le manifestazioni di
malattia. Cullen la spiegava con i concetti di spasmo e atonia, cioè una sorta di anomalia nel tono delle fibre e
Brown riprende questa teoria. La cosa interessante è che se le teorie precedenti non avevano nessun tipo di
fondamento scientifico, queste teorie di Cullen e Brown partono da conoscenze scientifiche reali, in particolare
da studi di Galvani sull’elettricità muscolare. Questo genere di teorie sono molto più insidiose di quelle che
sono senza alcun fondamento scientifico, perché sono pseudo-scientifiche, ed è anche la caratteristica di molte
credenze mediche di oggi, quella di essere un misto di teorie indimostrabili ed effettive conoscenze preesistenti
e corrette, che vengono prese e trasposte in una teoria che invece è totalmente falsa. (La prof.ssa sostiene che
al giorno d’oggi queste teorie esistono perché alla base c’è della malafede, mentre allora esistevano perché
era normale che la medicina avesse questo doppio statuto, cioè di scienza sperimentale e filosofico-deduttiva.)
Un altro medico clinico molto importante fu Boissier De Sauvages che si occupò della classificazione delle
malattie in maniera ancora più matura, ma la cosa importante è che sarà il suo pensiero ad influenzare la
struttura degli ospedali.

L’800: il secolo delle scienze mediche


L'800 è il secolo della trasformazione definitiva della medicina in scienza ed è il secolo più fertile in termini
di sviluppo della medicina in quanto ci furono delle scoperte nodali che determinarono il fiorire della medicina
come scienza. Gli ambiti nei quali la medicina si sviluppa con forza nel corso dell’800 saranno la fisiologia
con Magendie e il suo allievo Bernard, la biologia che sarà la più fertile di tutte e la medicina clinica.

Fisiologia
La fisiologia del 1700 era concepita ancora come una anatomia animata e cercava di indirizzare la ricerca verso
la sistematizzazione del sapere, teneva ancora in considerazione le correnti filosofiche del 700’. Tutti i
cambiamenti che si realizzarono soprattutto nella Francia illuminista specialmente nella formazione dei medici
portarono sempre più la fisiologia nella direzione della sperimentazione allontanandola dalle correnti
filosofiche. Il padre di questa fisiologia ottocentesca di tipo pratico è Magendie. C’è da dire che la fisiologia
essendo vicina alla chimica si presta molto bene alla misurazione ed alla quantificazione dei fenomeni al
4
contrario di altre branche mediche quali la psichiatria. Anche se Magendie sul piano pratico applicò il metodo
sperimentale in fisiologia non espresse mai dal punto di vista teorico, in termini di esplicitazione su carta, che
l’unico metodo lecito fosse quello sperimentale; il padre di questa esplicitazione fu un suo allievo, Bernard,
con la sua opera “l’introduzione alla medicina sperimentale”. La fisiologia è il primo ambito della medicina
che nell’800 diventerà interamente sperimentale e Bernard estenderà questo concetto a tutta la medicina, non
solo alla fisiologia.
Farmacologia
L’800’ è un secolo di guerre e ci sarà un grande sviluppo di anestetici e della pratica dell’emostasi. La chirurgia
è soprattutto quella relativa ai campi di battaglia ed ha una crescita esponenziale. Vi è anche la nascita della
farmacologia per sintesi chimica. Fino a quell’epoca i farmaci utilizzati erano i preparati galenici che
evidentemente contenevano dei principi attivi ma non quelli per sintesi chimica. Si continuano a prescrivere
quelli galenici ma si iniziano a prescrivere anche quelli da laboratorio. Nel percorso dell’affermazione del
metodo scientifico nel campo della farmacologia vi sono tre punti importanti:
(digressione della professoressa sul consenso informato, oggetto della prossima lezione, che nasce nella
sperimentazione clinica e poi viene adottato nelle procedure terapeutiche standard)

· già nel 600’ ci furono delle sperimentazioni su animali;

· Nel corso del 700’ ci fu il primo studio controllato, ovvero Lind cerca di dimostrare che la vitamina C
sia efficace nella prevenzione dello scorbuto utilizzando due gruppi di marinai somministrando agli
uni la vitamina C (non estratta ma attraverso la frutta) e agli altri no dimostrando di esserci una
correlazione tra l’introduzione di vitamina C nell’alimentazione dei marinai e la non insorgenza di
scorbuto.

· Nel 1788 Jenner mette a punto una prima vaccinazione rudimentale contro il vaiolo. È la famosa storia
della variolizzazione. Jenner raccoglie tutta una serie di storie riguardanti il fatto che nell’Asia minore
le donne soprattutto, ma in genere la popolazione, non è affetta dal vaiolo; l’incidenza è decisamente
minore e si accorge che l’immunizzazione ha luogo tramite il contatto con le pustole dei bovini che
contraggono un tipo di vaiolo simile a quello umano e gli anticorpi sviluppatisi in seguito alla
contaminazione col vaiolo-vaccino riescono ad essere efficaci anche contro il vaiolo umano e quindi
inizia la pratica della variolizzazione, utilizzando il pus presente nelle pustole degli animali per poi
poter arrivare ad un vaccino vero e proprio. È un’operazione interessante perché appunto si fa un primo
studio di confronto e soprattutto dal punto di vista dell’igiene pubblica è una storia interessante perché
la pratica della vaccinazione nel giro di pochi anni si diffonde enormemente e porta al primo
grandissimo successo che è quello appunto della lotta contro il vaiolo.
Durante l’800, dopo queste prime esperienze occasionali, si comincia a capire che le molecole possono essere
sintetizzate in laboratorio senza doverle necessariamente estrarre dagli organismi viventi ed inizia la sintesi
organica. Nel 1817 viene isolata ed identificata la morfina, nel 1828 la prima molecola organica, l’urea e poi
ancora nel 1885 si usa per la prima volta come anestetico. Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900’ cresce sempre
di più il numero di molecole che vengono sintetizzate in laboratorio e le loro applicazioni crescono
esponenzialmente. Nel momento in cui comincia il mercato vero dei farmaci e cominciano gli esperimenti,
nascono i primi organismi di controllo, in particolare il primo a nascere è la FDA (Food and Drug
Administration). L’FDA nasce per regolamentare il mercato, il commercio dei farmaci ed anche dei cibi per
evitare le frodi. Nasce però in un’epoca e con una logica ben diversa da oggi perché non esisteva minimamente
l’idea nella sperimentazione della dimostrazione dell’efficacia dei farmaci né un calcolo rischio/beneficio. Il
punto era soltanto evitare le frodi grossolane.
Biologia
Si identificano le cellule. Bichat riteneva che il mattone umano fosse il tessuto, invece nell’800, grazie a due
studiosi, uno è un botanico, Schleiden, l’altro invece è un fisiologo, Schwann, si identificano per la prima
5
volta le cellule come unità biologica di base dell’organismo umano. Schwann diede inoltre un fondamento
sperimentale alla teoria cellulare, dimostrando in maniera definitiva che le cellule non nascevano anch’esse da
materia inorganica, non si generavano per strani fenomeni come la precipitazione granulare o la
cristallizzazione da un plasma indifferenziato, ma le cellule nascevano da altre cellule, organismi viventi
nascevano solo e soltanto da altri organismi viventi. Nello stesso periodo Virchow è il padre della patologia
cellulare, in qualche modo può essere inserito alla fine di quel percorso che è l’anatomismo clinico perché
Virchow dice che, secondo lui, qualsiasi malattia va identificata in una lesione riconoscibile a livello della
cellula. Se Morgagni aveva detto che la malattia trovava riscontro in una lesione a livello di organo, Bichat
aveva detto che la malattia trovava riscontro in una lesione a livello di tessuto, Virchow dirà che la malattia
trova riscontro in una lesione a livello di cellula. Siamo ancora nel 1858. 5 anni dopo Pasteur dimostrerà che
la teoria della generazione spontanea è sbagliata, dimostrando la teoria del contagio. Circa 30 anni dopo Koch
identificherà per la prima volta i batteri, in particolare il bacillo della tbc e soprattutto formulerà i postulati in
base ai quali espliciterà il concetto di specificità.
La nascita della microbiologia
La microbiologia nasce in seguito al collegamento tra il concetto di germe ed il concetto di infezione. Il punto
è collegare l’idea che le infezioni, le malattie infettive, le malattie epidemiche, siano legate ad un agente
patogeno responsabile di quella specifica infezione (ci arriverà Koch). Il punto era abbandonare le teorie
miasmatiche. Da un lato i sostenitori della teoria della generazione spontanea e di conseguenza della teoria
miasmatica, dall’altro i sostenitori della teoria contagionista. I sostenitori della teoria della generazione
spontanea affermavano che forme di vita elementare potessero nascere da materia inanimata. C’era questa idea
perché era collegata anche al creazionismo, secondo il quale, l’uomo, gli animali e tutto ciò che viene scritto
nella bibbia (dove non si parla né delle larve delle mosche, che saranno poi l’oggetto del contendere, né dei
microrganismi osservabili al microscopio) è creato da Dio. Se da un lato ci sono quindi l’uomo e le forme di
vita superiori, tra cui animali e piante, dall’altro ci sono forme di vita molto più piccole ed elementari che non
necessariamente devono nascere da altra vita, possono nascere anche da materia inorganica. Se si accettava
questa teoria, che era diffusissima, allora se ne accettava anche un’altra, la teoria miasmatica che prevedeva la
nascita dei germi responsabili di infezioni ed epidemie da miasmi di vario genere, esalazioni che vengono fuori
da acque ristagnanti, da fumi e così via. L’altra teoria, quella contagionista ha anch’essa una storia molto antica
ma meno solida e meno forte in termini filosofici. La teoria contagionista trova alcuni sostenitori nel corso
della storia. Tra questi sostenitori per esempio c’è Lucrezio, che fu uno dei primi a formulare l’ipotesi
contagionista e parla di piccoli atomi di materie vivente responsabili della diffusione delle malattie; nel 500
c’è Fracastoro; c’è subito dopo un suo allievo ovvero Filippo Ingrassia che fu proclamato medico del regno di
sicilia e che lavorò come magistrato di salute siciliano. Tutti questi studiosi/filosofi sostenevano che le
infezioni fossero dovute ad un contagio, una trasmissione in cui doveva necessariamente passare un organismo
vivente, responsabile dell’infezione da un soggetto all’altro in un modo non chiaro. Queste due teorie
continuano a sopravvivere ed essere in competizione l’una con l’altra fino al 1863 quando arriva Pasteur, anche
se già c’erano state esperienze di confutazione parziale della teoria della generazione spontanea. Gli organi
che dovevano gestire la sanità pubblica, i magistrati di sanità, con un criterio ragionevole di tipo cautelativo,
non sapendo quale fosse la teoria corretta, prendevano misure preventive guardando entrambe le teorie.
Decidevano contemporaneamente, ad esempio, di creare il cordone sanitario intorno al luogo che si era
dimostrato luogo di origine di una epidemia pensando che ci potesse essere una trasmissione da persona a
persona ma allo stesso tempo veniva vietato di fare piantagioni di riso vicino ad una zona abitata perché si
pensava che la peste si potesse contagiare attraverso i miasmi che emanati dalle acque del riso. È tutto una
mescolanza di cose perché le teorie miasmatiche chiaramente avevano un fondamento osservativo dato altri
fenomeni patologici come la malaria in cui in effetti vi era un’associazione tra la presenza di acquitrini e
l’insorgenza della malattia ma il meccanismo era ben diverso da quello che si pensava. Semmelweis lavorava
in un ospedale di Vienna nel 1847 ed in questo ospedale c’erano due corsie dedicate all’ostetricia ed alla
ginecologia. La prima era gestita dalle allevatrici e l’altra era gestita dai medici. Nella corsia gestita dai medici
ad un certo punto ci fu una epidemia di febbre puerperale, che in pratica era un’infezione che affliggeva le
puerpere portandole quasi sempre a morte ed era causata dallo streptococco (sappiamo noi oggi). Semmelweis
spiegò inizialmente quest’epidemia con la teoria miasmatica, considerando che Vienna era una città in
6
quell’epoca in fase di industrializzazione in cui c’erano moltissimi fumi dovuti alla presenza di industrie vicine.
In un secondo momento si convince invece che il responsabile della diffusione del contagio siano i medici in
fase di formazione i quali praticavano le autopsie e dopo senza essersi lavati le mani andavano a visitare le
partorienti. Formula una teoria che è evidentemente corretta, ma presentante qualche errore, ovvero ritiene che
quello che i medici portano sulle proprie mani sia un generico veleno cadaverico, quindi una sostanza
inanimata e non un agente organico responsabile dell’infezione. Un altro errore che commette (problema di
metodo) è che lui trova una soluzione pratica, ovvero obbliga tutti i medici a lavarsi le mani con una soluzione
fatta da cloruro di calce ed in effetti ottiene un risultato, ottiene un decremento dell’infezione. Non si arriverà
chiaramente a zero in quanto quest’infezione sarà sempre latente negli ospedali e continuerà ad esserlo fino a
quando non si riuscirà a combattere lo streptococco. Il punto è che lui non procede ad un esperimento per
dimostrare che la sua teoria sia quella corretta, trova una soluzione pratica. Siccome era ungherese e dato che
viveva nell’impero austro-ungarico che all’epoca era fortemente avverso agli ungheresi con forti scontri tra le
due nazioni Austria ed Ungheria, e siccome non aveva un buon carattere, non gli si credette anche perché
ancora non esisteva un esperimento che dimostrasse in effetti che la teoria del contagio fosse quella corretta.
Quindi sebbene Semmelweis abbia avuto successo nel trovare una soluzione pratica, in sostanza non riuscì a
dimostrare la sua teoria che era in parte corretta in parte sbagliata perché parlava di veleno come causa
scatenante. Colui che dimostrò la relazione di causa-effetto tra agente microbico ed infezione sarà Pasteur.
Pasteur era un chimico ed il suo assunto è quello di dimostrare che è falsa la teoria della generazione spontanea.
Lui riconosce nel processo della putrefazione che era quello preso come esempio standard un processo
biologico e non un processo esclusivamente chimico. Nel 1857 enuncia una teoria che ravvisa nei germi
dell’atmosfera gli agenti, detti microbi, responsabili delle infezioni. Prima di Pasteur, la teoria della
generazione spontanea era stata confutata. Redi e Spallanzani avevano portato avanti nel corso del tempo nel
600’ e 700’ una serie di esperimenti volti a confutare la teoria della generazione spontanea. Esperimenti
semplici ma intelligenti. Redi soprattutto fece il seguente esperimento: volendo dimostrare che le larve di
mosca che spuntano sui pezzi di carne in putrefazione non nascono spontaneamente dalla materia inorganica,
ma nascono da altri agenti vivi, quindi dalle mosche, mentre l’idea corrente era che le larve di mosca potessero
nascere spontaneamente, prende due barattoli, mette due pezzi di carne, uno lo copre, l’altro lo lascia aperto.
A distanza di tempo, sul primo, quello coperto, non sono spuntate larve, sul secondo invece si. Allora i
sostenitori della generazione spontanea gli contestano il fatto che non ci fosse l’aria e la vita non può esistere
senza l’aria. A quel punto mette una retina al posto del coperchio in maniera tale da fare passare l’aria ma non
consentire alle mosche di appoggiarsi ed ancora una volta dimostra che le larve nascono sulla retína ma non
sul pezzo di carne, dunque le larve nascono soltanto da mosche che hanno depositato le loro uova sul pezzo di
carne in putrefazione. Esperimento banale ma che confuta in maniera definitiva l’idea che la generazione
spontanea funzioni per gli organismi piccoli ma visibili ad occhio nudo. Il punto è che poi dopo Redi, il
microscopio viene perfezionato e si cominciano a vedere una serie di organismi più piccoli delle larve di mosca
ed a quel punto i sostenitori della teoria della generazione spontanea affermano che la teoria è vero che non
vale per le larve di mosca ma vale per questi microrganismi che non si possono vedere ad occhio nudo. Pasteur
partirà dall’assunto che deve confutare la teoria della generazione spontanea anche per gli organismi più
piccoli. Anche l’esperimento di Pasteur nella sua intelligenza è un esperimento assolutamente semplice e
lineare. L’esperimento consiste nel fatto che lui pone del brodo all’interno di due matracci a collo d’oca, un
tipo di contenitore che consente il passaggio dell’aria ma non dei microrganismi. È evidente che si sta parlando
di sterilità molto precaria però comunque una rudimentalissima idea di sterilità. Sottopone i due matracci a
bollitura, rompe il collo di uno dei due matracci e dimostra che a distanza di un certo numero di giorni, il brodo
contenuto nel matraccio che ha ancora il collo intatto non si è alterato, quello invece contenuto nel matraccio
a cui è stato spezzato il collo e dove quindi è stato consentito non soltanto il passaggio dell’aria ma anche dei
microrganismi si è contaminato ed è andato incontro a degenerazione. Con questo confuta definitivamente la
teoria della generazione spontanea e quindi da valore alla teoria dell’esistenza di germi che nascono da altri
germi e che sono responsabili delle infezioni e dei contagi.
Sempre nell’ambito dei successi contro le infezioni, nel corso dell’800, si può parlare di Lister il quale fu il
primo ad ottenere una sorta di rudimentale forma di antisepsi che consenti nel decorso post-operatorio
soprattutto per le amputazioni, una notevole riduzione del tasso di mortalità dovuta alla sepsi. La cosa

7
divertente è che Lister si convinse erroneamente che la maggior parte degli agenti responsabili dello sviluppo
di infezioni sulle ferite fossero presenti nell’aria e non sui tessuti e sulle mucose. L’ossessione di Lister fu
quella di sterilizzare attraverso spray l’aria, agendo molto di meno sul campo operatorio e sui tessuti.
Nonostante questo comunque il suo uso di spray riuscì ad ottenere risultati notevoli nella riduzione delle
infezioni post-operatorie. Con Koch negli ultimi decenni dell’800 ha luogo la cosiddetta rivoluzione
batteriologica inaugurata dalla scoperta del bacillo di Koch nel 1882. Koch scoprí moltissimi organismi
responsabili di infezioni estremamente gravi e diffuse, tra cui il bacillo della tbc, il vibrione del colera, studiò
il ciclo di vita del carbonchio e tanti altri. L’apporto di Koch fu importante su più piani. Sul piano tecnico
sviluppò una serie di tecniche di laboratorio molto utili, colorazioni di vetrini e tante altre. Ma soprattutto
ancora una volta la differenza di metodo perché quando si assume che Koch scoprì per primo il bacillo della
tbc non vuol dire che lo identificò soltanto al microscopio, ma lo isolò e lo reinoculò dimostrando che era
l’agente eziologico della tbc. Un’altra cosa fu il concetto di specificità. Il passaggio teorico chiave per arrivare
a reinoculare il microbo per indurre lo stesso tipo di infezione è che ogni singolo agente patogeno sia il
responsabile di una specifica infezione. Queste sono le due caratteristiche della rivoluzione batteriologica di
Koch. Più che il quanto scoprí a Koch si deve molto il come scoprí, tanto che dopo di lui vennero identificati
la maggior parte dei microrganismi responsabili delle più diffuse malattie di quell’epoca. Identificare il
microrganismo responsabile non vuol dire saper curare perché per far questo si dovranno sviluppare dei
farmaci appositi e questo avverrà a partire dagli anni 20 del 900 con l’invenzione della penicillina ed altre
medicine si inizierà in effetti ad essere in grado non soltanto di identificare queste patologie ma anche di
curarle. Nel momento in cui si fu ad esempio in grado di identificare sistematicamente la tbc, un italiano,
Forlanini inventò uno strumento in grado di fare uno pneumotorace così da tenere il polmone a riposo ed
evitare che le caverne tubercolari si estendessero sempre di più in seguito alla respirazione.
Radiologia
L’altro grande campo che nasce nel 1800 è quello della radiologia con la scoperta dei raggi X data da Roentgen
nel 1895.
EBM (Evidence Based Medicine)
L’EBM nasce negli anni 90’. Già si comincia a parlare di esigenza dell’ EBM negli anni 70’ nel campo
dell’epidemiologia e non a caso perché è uno dei campi che meglio si presta all’uso delle statistiche, nasce
però effettivamente negli anni 90’, abbiamo prima Cockraine negli anni 70’ e poi Sackett che è il padre
dell’EBM negli anni 90’. L’idea è di utilizzare l’evidenza sperimentale scientifica e le statistiche anche nel
campo della pratica clinica, uniformare le scelte nel campo della pratica clinica, garantire degli standard cioè
creare delle linee guida. È il passo definitivo della trasformazione della medicina in scienza sperimentale
perché non è evidenza sperimentale soltanto nella conoscenza ma è evidenza sperimentale anche nella scelta
clinica. (la professoressa precisa che è un argomento da approfondire dalle slide)

Potrebbero piacerti anche