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DNA

È la molecola responsabile dell’informazione genetica.

Il DNA è normalmente formato da due catene polinucleotidiche avvolte l’una sull’altra nella forma a doppia
elica.

Il costituente fondamentale di questa molecola è il nucleotide.

Consiste di un fosfato legato ad uno zucchero, il 2’-desossiribosio, a cui è attaccata una base.

Una base si unisce al 2’-


desossiribosio rimuovendo una
molecola di acqua fra l’ossidrile del
carbonio in posizione 1 e la base
stessa per formare un legame
glicosidico.

Lo zucchero unito alla sola base


forma il nucleoside.

Aggiungendo un fosfato a un
nucleoside si ottiene il nucleotide.

Questa molecola è dunque formata


mediante la formazione di:
+ Un legame glicosidico fra la
base e lo zucchero.
+ Un legame fosfodiesterico tra lo
zucchero e l’acido fosforico.

Parliamo di nucleotidi mono-, di-, e tri-fosfato, a seconda del numero di gruppi fosfato legati. Maggiore è il
numero dei gruppi fosfato e maggiore sarà il contenuto energetico della molecola; questo contenuto
energetico può essere d’aiuto per far avvenire reazioni che non hanno un “ΔG” sufficientemente negativo a
rendere la reazione termodinamicamente favorita.

I nucleotidi sono legati l’uno all’altro tramite legame fosfodiesterico, in cui il fosforo tra i due nucleotidi è
unito a uno zucchero esterificato mediante l’ossidrile 3’ e un secondo zucchero esterificato mediante
l’ossidrile in posizione 5’.
Tale legame crea un’impalcatura zucchero-fosfato, che è una caratteristica strutturale costante del DNA.

I legami fosfodiesterici conferiscono una ben definita polarità alla catena del
DNA.

Dovuta all’asimmetria dei nucleotidi e al modo in cui essi sono legati.


La figura rappresenta l’appaiamento delle basi e i
legami fosfodiesterici dell’impalcatura.

Per quanto riguarda le basi, esse sono anelli eterociclici planari, costituiti da atomi di carbonio e azoto, ed
appartengono a due differenti categorie:
 Purine: derivano da strutture di base a doppio anello ma hanno legati gruppi differenti, ad esse
appartengono adenina e guanina.
 Pirimidine: derivano da strutture di base ad un unico anello, a cui appartengono citosina e timina.

E’ importante
ricordare che la
numerazione degli
atomi di Carbonio
nelle basi azotate è
“1, 2, 3, 4”, mentre
quelli dello
zucchero vengono
numerati con un
apice, per
distinguerli da
quelli della base
azotata, quindi “1’,
2’, 3’”. L’apice si
legge “primo.
Ciascuna base può assumere una forma tautomerica alternativa.

La tautomeria è una particolare condizione per la quale una molecola si presenta


sotto due diverse forme pur avendo lo stesso numero di atomi.
Gruppi chetonici possono tautomerizzare a enoli, mentre gruppi amminici possono tautomerizzare a
imminici.
Se il gruppo amminico è adiacente ad un doppio legame o ad un gruppo chetonico, le basi vanno incontro a
tautomeria cheto-enolica (se la base contiene un gruppo chetonico), e a tautomeria ammino-immino.

Il passaggio da una
forma all’altra
provoca una
variazione della
disposizione di
gruppi accettori e
donatori di legami
a H sulle basi
azotate, e ciò è
importante per la
struttura del
nucleotide.

Queste strutture transitorie, presenti in piccole percentuali, possono formare appaiamenti che non sono
normalmente presenti nella doppia elica di DNA. 

1950 la biologia molecolare arriva ad una clamorosa scoperta, si arriva infatti in quegli anni alla
risoluzione della struttura del DNA.
Watson e Crick risolvono la struttura del DNA interpretando i dati della diffrazione ai raggi X, ottenuti da
Rosalind Franklin.
Nell’ambito delle macromolecole biologiche, essa è fondamentale per
Il DNA in realtà in quegli anni non la determinazione della posizione degli atomi all’interno della molecola,
riusciva ad essere cristallizzato, quindi per comprendere com’è fatta la struttura tridimensionale della
ma si riuscivano a ricavare delle molecola stessa.
fibre del DNA; era su queste fibre
È una tecnica che permette di superare il limite dimensionale dell’NMR.
che lavoravano i cristallografi,
Grazie alla luce a raggi X, che viene diffranta dagli atomi, si genera uno
cercando di ottenere spettri
spettro di diffrazione; questo spettro può quindi essere risolto per
sempre migliori (lo stesso Pauling
stabilire, a livello di Angstrom, quali sono le distanze nello spazio tra gli
non riusciva ad ottenere uno
atomi della molecola. Sono necessarie molecole molto pure.
spettro compatibile con quelli
che erano i dati sperimentali). Una delle migliori fotografie a raggi X fu ottenuta da Rosalind Franklin, una
giovane scienziata che lavorava a Londra.

Watson e Crick descrissero prima di tutto l’appaiamento delle basi: Adenina con Timina, e Citosina con
Guanina. Questo appaiamento era il modo migliore per massimizzare il numero di legami a H. A questo
punto capiamo qual è il problema dei tautomeri: un donatore di legame a H, se diventa accettore, non
consente più la formazione del legame a H.
La doppia elica è composta da due catene polinucleotidiche che sono allineate secondo un orientamento
opposto, si parla di filamenti antiparalleli.
Le due catene interagiscono tra di loro grazie agli appaiamenti fra le basi:
 Adenina è sempre accoppiata con Timina
 Citosina è sempre accoppiata con Guanina

Da ciò ne deriva che i due filamenti sono complementari tra di loro.

La precisione di questa complementarità è imposta:

 Sia dalla forma sterica:


le due coppie di basi devono avere lo stesso
ingombro trasversale, e gli zuccheri posizionati in
maniera tale da avere una distanza non dissimile
nelle due coppie di basi.
 Sia dal legame idrogeno che si forma tra le basi

supponendo di voler appaiare un’adenina con una citosina,


dovremmo avere un accettore (N1 dell’adenina) di legame
idrogeno posto di fronte a un altro accettore di legame
idrogeno (N3 della citosina). Per ragioni steriche è però
impossibile frapporre tra questi due una molecola di acqua
necessaria per soddisfare le esigenze dei due accettori.

La doppia elica è destrogira, o detta anche destrorsa.

Nei due solchi si affacciano i bordi di ciascuna coppia di basi, creando un sistema di donatori e accettori di
legami idrogeno e superfici idrofobiche, che permettono di specificare le coppie di basi.

Questi codici così composti sono importanti poiché permettono alle proteine di riconoscere senza
ambiguità specifiche sequenze di DNA senza che sia necessario aprire la doppia elica.
Anche se il solco minore, a causa della sua piccola dimensione non riesce a fornire così tante informazioni.
Questa appena descritta è la forma B del DNA, dove il legame glicosidico è nella posizione anti, ed è quella
che più si avvicina alla struttura fisiologica, in quanto tale forma preferisce un’elevata percentuale d’acqua,
proprio dell’ambiente cellulare.

Quando la percentuale di umidità è ridotta prevale una seconda forma del DNA, che chiamiamo forma A,
con caratteristiche differenti:

Questo comporta che


le basi non siano più
perpendicolari
all’asse, così che i
solchi diventano
praticamente uguali
(non vi è più un solco
maggiore e uno
minore). Sembra che
la forma A del DNA
prevalga nel
momento in cui il
DNA si appaia con
l’RNA, cioè durante la trascrizione (questa forma viene assunta anche dalla stessa molecola di RNA).

Vi è poi una terza forma: la forma Z del DNA, che ha ancora una minore probabilità di essere presente.

Questa forma
persiste nel
momento in cui
ci si ritrova in
elevata
concentrazione
salina, per
esempio in caso
di determinati
accoppiamenti
con le proteine.
DENATURAZIONE DNA

Siccome la doppia elica è tenuta insieme da legami idrogeno, e quindi legami relativamente deboli, essa ha
la capacità di separare facilmente i due filamenti, questo processo di separazione è detto denaturazione.

è il processo per cui l'acido desossiribonucleico a


doppio filamento si svolge e si separa in due filamenti
singoli rompendo i legami idrogeno tra le basi
appaiate.
Essa può avvenire:

 alte temperature, oltre le normali temperature fisiologiche (vicino ai 100°)


 pH elevato
 assorbimento di raggi UV
il DNA ha un massimo di assorbimento della luce ultravioletta a 260 nm, le principali responsabili di
questo assorbimento sono le basi, quando la temperatura di una soluzione di DNA è portata al
punto di ebollizione dell’acqua, la densità ottica, detta assorbanza, aumenta in modo
considerevole.
Genera un fenomeno conosciuto come ipercromicità della molecola di DNA.

Ed è dovuta all'impilamento delle basi che essendo schermate dagli zuccheri-


fosfato dell'impalcatura della doppia elica sono meno esposte e quindi
assorbono meno luce ultravioletta. 

Se mettiamo in grafico l'assorbanza in


funzione della temperatura, osserviamo
che l'aumento della luce assorbita
avviene ad una ben determinata
temperatura seguendo un andamento
sigmoidale. Il punto di flesso di questa
curva è il punto di fusione o Tm della
molecola.

In questo punto, il DNA va incontro ad


una transizione che lo porta da una
struttura a doppia elica altamente
ordinata ad una struttura molto meno
ordinata: il singolo filamento.

Tm: temperatura di melting, è la


temperatura in corrispondenza della
quale il DNA è denaturato al 50%.

Sapendo che il singolo filamento legge più del doppio filamento, man mano che il DNA si denatura
l’assorbanza deve aumentare.

La temperatura di fusione è caratteristica per ciascun DNA ed è largamente determinata dal contenuto
di G:C e dalla forza ionica della soluzione. Più alta è la percentuale di coppie di basi G:C (e quindi più
basso il contenuto in A:T) più alta è la temperatura di fusione, in quanto le coppie G:C contengono tre
legami idrogeno, mentre A:T solo due.

Allo stesso modo, maggiore è la concentrazione salina della soluzione, più alta è la temperatura a cui il
DNA denatura. In quanto ad alta forza ionica, le cariche negative, portate dai gruppi fosforici del DNA,
sono protette dai cationi e ciò permette di stabilizzare la doppia elica.

Viceversa, a bassa forza ionica le cariche negative non sono protette e quindi la doppia elica risulta più
instabile.

Il processo di denaturazione è un processo reversibile.

RINATURAZIONE

Con questo processo il DNA ritorna nella sua forma a doppia elica, ovviamente non è detto che la
riformazione dei legami tra basi complementari riporti alla conformazione precedente.
RNA

L’RNA differisce dal DNA per alcune specifiche caratteristiche:

 è una catena a singolo filamento, eccetto che in alcuni casi


 l’impalcatura contiene lo zucchero ribosio, invece del 2-desossiribosio
 contiene l’uracile, al posto della timina, ha la stessa struttura a singolo anello aromatico della
timina, ma non contiene il gruppo 5 metile.

Nonostante l’RNA sia a singolo


filamento può
formare strutture
secondarie
ripiegandosi su sé
stesso.

In alcuni tratti
l’RNA può anche
ripiegare su se
stesso, assumendo
quindi la struttura
di doppio
filamento (ma non
doppia elica!).

Questi ripiegamenti sono dovuti alla formazione di coppie di basi fra sequenze complementari.

Se i due tratti complementari si trovano vicini l’uno all’altro


l’RNA assume strutture dette stem-loop (stelo-ansa), in cui
la parte non complementare che si trova in mezzo ai due
tratti, sporge fuori dalla zona della doppia elica.

La presenza dell’OH in posizione 2’ gli impedisce di assumere una struttura di forma B, per l’ingombro
appunto di questo gruppo, ma viene favorita la forma A.

Inoltre, la posizione dell’ossidrile rende l’RNA più suscettibile ad idrolisi e più facilmente degradabile.

Nella cellula esistono enzimi specifici deputati all’idrolisi dei vari legami delle macromolecole; le
deossiribonucleasi idrolizzano il DNA, le ribonucleasi l’RNA (cioè riconoscono il legame fosfodiesterico tra due
ribonucleotidi). L’RNA può però degradarsi anche senza l’aiuto esterno: esso si degrada anche in ambiente
acquoso, debolmente alcalino, in quanto l’OH in 2’ diventa nucleofilo deprotonandosi: esso andrà così ad
attaccare il fosfato, rompendo di fatto il legame fosfodiesterico. Ovviamente il tutto è motivato dal fatto che in
alcuni casi alla cellula risulta utile che l’RNA venga degradato anche senza il contributo di enzimi.
Per quanto riguarda la funzione catalitica:

Alcune molecole di RNA grazie al fatto che sono in grado di


assumere particolari strutture 3D capaci di legare substrati,
hanno un’attività catalitica simile a quella degli enzimi proteici.

Il ribozima hammerhead è infatti in grado di auto-catalizzare la


propria idrolisi.

L’hammerhead ha attività di RNAsi, è presente nei viroidi, agenti


infettivi delle cellule vegetali, che si propagano per auto-idrolisi di
un precursore più lungo.

Ogni singolo viroide si forma mediante un taglio specifico di


questo precursore.

Tale reazione è catalizzata dai tratti RNA che si trovano


immediatamente a ridosso del punto di taglio.

Con l’ausilio di uno ione Mg²⁺, l’OH 2’ viene deprotonato, e la


carica negativa che si viene a formare sull’ossigeno può attaccare
il fosfato che si trova in posizione 3’ dello stesso ribosio.

Questa reazione formerà un fosfato ciclico 2’,3’ e un ossidrile


libero 5’.

In realtà esso non rientra nella


definizione ristretta di enzima, perché
una volta portato a termine il
meccanismo di auto-idrolisi, esso non
può più agire (mentre un enzima deve
rigenerarsi al termine della reazione)
Il DNA è contenuto nei cromosomi

Il compattamento del DNA nei cromosomi è essenziali per alcune importanti funzioni:

 il cromosoma è un sistema di condensazione per il DNA che lo rende adatto a essere contenuto
nella cellula e che permette di proteggerlo da possibili danni.
 Molecole libere di DNA nella cellula sono molto instabili, il DNA così compattato è in grado di essere
trasmesso con efficienza alle cellule figlie.
 Il cromosoma conferisce al DNA un’organizzazione strutturale di ordine superiore, questo regola
l’espressione genica, la ricombinazione.

Quest’organizzazione si ritrova sia negli eucarioti, che nei procarioti:

procarioti: posseggono uno o più cromosomi di norma, ma non sempre, circolari, e ciascun cromosoma è
presente in un’unica copia, il DNA si assembla in una struttura detta nucleoide, in prossimità della
membrana plasmatica.

Eucarioti: posseggono più cromosomi lineari e sono contenuti nel nucleo.

La differenza fondamentale tra cellula eucariotica e procariotica è proprio la presenza del nucleo.

La maggior parte delle cellule eucariotiche è diploide, il che vuol dire che esse contengono due copie di
ciascun cromosoma.

Ma una certa quantità di queste cellule può essere:

 Aploidi: contengono un’unica copia per ciascun cromosoma e sono coinvolte nella riproduzione
(spermatozoi, uova)
 Poliploidi: contengono, più di due copie per ogni cromosoma

Quando guardiamo il DNA di una cellula dobbiamo soffermarci sia sulla forma, sia sulla dimensione del
genoma, che cambia da cellula a cellula. In generale possiamo dire che le dimensioni aumentano in
relazione alla complessità dell’organismo:
Non sempre, però, sussiste una proporzionalità diretta tra dimensione del genoma e complessità
dell’organismo; ci sono piante che hanno cromosomi più grandi di quelli dell’uomo, o pesci che hanno
cromosomi grandi quanto quelli dell’uomo. In generale diciamo che bisogna tener conto del numero di geni
e delle dimensioni dei cromosomi.

Ovvero le sequenze di DNA che portano alla trascrizione.

Il numero di geni tra un batterio e l’uomo non è poi così diverso (5000 nei batteri, 20000 nell’uomo),
eppure capiamo bene che vi è un’enorme diversità tra una cellula eucariota e una procariota, e ciò vuol dire
che per determinare la complessità di un organismo entrano in gioco tante altre cose.

1948 Roger e Colett Venderly definirono il valore C come la quantità in picogrammi di DNA contenuta
nel nucleo di una cellula aploide di un determinato organismo.

Si misero a pesare il DNA delle cellule di vari organismi, quindi proprio la massa del DNA, in picogrammi, di
una cellula aploide di vari organismi; a questa quantità fu dato il numero di “VALORE C”, e inizialmente non
ci si spiegava il motivo di questo valore, di come per esempio un protozoo potesse avere così tanta
differenza di materiale genetico a seconda dell’organismo che si prendeva in considerazione, oppure come
questo valore poteva essere più elevato nelle piante che magari hanno la stessa quantità di materiale
dell’uomo oppure possono avere molti ordini di grandezza di materiale genetico, (perciò si parlò di
paradosso!), anche se successivamente il tutto è stato abbondantemente spiegato.

Queste scoperte sono state fatte prima della delucidazione della struttura molecolare del DNA o della sua
funzione di codifica genetica, quindi è comprensibile che le differenze enormi nel contenuto del DNA
fossero difficili da interpretare.

La spiegazione di tali differenze è data dalla correlazione con la densità genica.

Questa correlazione è di tipo inversamente proporzionale: gli organismi meno complessi hanno una più alta
densità genica.
È bene sottolineare come complessità non voglia affatto dire che un organismo è più o meno evoluto di un
altro: ad esempio E. coli è assolutamente e perfettamente evoluto per adattarsi al suo ambiente e alle sue
necessità, anche se potremmo definirlo decisamente meno complesso di un essere pluricellulare quale
l’uomo. 

Quello che aumenta quindi non sono per forza il numero di cromosomi, geni o basi, ma il genoma non
codificante, che avrà sicuramente altre importanti funzioni.

La densità genica negli eucarioti è considerevolmente più bassa e più variabile rispetto a quella dei
procarioti.

Esistono 2 fattori che contribuiscono alla diminuzione della densità genica nelle cellule eucariotiche:

1. Aumento delle dimensioni dei geni


2. Aumento della quantità di DNA esistente tra i geni, ovvero le sequenze intergeniche.

È la porzione del genoma che non codifica proteine o RNA strutturali,


e rappresenta più del 60% del genoma umano, è formato da:

+ Introni
+ Sequenze regolatrici
+ Geni mutati, frammenti di geni e pseudo geni

Si tratta di sequenze importanti per la regolazione dell’espressione


genica.

Nel 1960 Britten e Kohne fecero un ulteriore esperimento, provarono a rinaturare il DNA.
Osservarono che il DNA non rinaturava tutto contemporaneamente: c’erano delle porzioni che
rinaturavano più facilmente, altre porzioni che rinaturavano invece più difficilmente.

All’inizio gli scienziati non si riuscivano a spiegarsi questo comportamento, ma si stabili che questo era
dovuto al fatto che all’interno del nostro DNA abbiamo tante sequenze ripetute e se ci sono più sequenze
ripetute è più facile che io trovo il mio complementare con una velocita di rinaturazione più alta.

Poi grazie ai sequenziamenti dei genomi, la prima bozza del sequenziamento del genoma umano risale al
2003 adesso più o meno si conoscono quasi tutte le regioni, si è visto che all’interno del DNA sono presenti:

 Ripetizioni tandem: sono delle sequenze che si ripetono identiche o quasi e si distinguono in:
 DNA satellite: che sono sequenze che vanno dalle 50 alle 100 kilobasi che si ripetono, e si
ripetono poche volte,
 DNA minisatellite: che sono regioni di qualche kilobase
 DNA microsatellite: sequenze molto corte che si ripete centinaia di volte

 Ripetizioni disperse:
 dovuti a trasposomi e sono sequenze che sono state trasposte da un punto all’altro del DNA e
quindi le troviamo ripetute, i trasposoni più frequenti nel DNA sono i “SINE” e i “LINE”.
 Duplicazioni di segmenti
 Copie inattive di geni retrotrasportati, pseudogeni.

Polimorfismo del DNA

È una variante genetica che deve essere presente almeno nell’1% della popolazione, è una variante che si
traduce in una variabile fenotipica.

I polimorfismi si dividono in 3 tipi:

 Polimorfismi di sequenza: che può essere:


 Polimorfismo di un singolo nucleotide: quando si modifica un solo nucleotide
 Polimorfismo dovuto a inserzioni o delezioni.
 Polimorfismi del numero di copie: il numero di ripetizioni di sequenze del DNA può variare da
organismo a organismo, questi vengono utilizzati nella medicina legale, per fare la cosiddetta
“mappatura genetica”, cioè il “DNA finder-printing per associare il DNA ad uno specifico individuo,
questo perché ognuno di noi ha diverse ripetizioni di DNA satellite e minisatellite.
 Polimorfismi di varianti strutturali: coinvolgono duplicazioni, inserzioni, delezioni e inversioni di
intere regioni cromosomiche.

Un farmaco può essere efficace in un paziente anziché in un altro, soprattutto nei chemioterapici, perché
magari si ha un polimorfismo in un gene correlato alla funzione di quel farmaco.

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