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Il DNA è normalmente formato da due catene polinucleotidiche avvolte l’una sull’altra nella forma a doppia
elica.
Consiste di un fosfato legato ad uno zucchero, il 2’-desossiribosio, a cui è attaccata una base.
Aggiungendo un fosfato a un
nucleoside si ottiene il nucleotide.
Parliamo di nucleotidi mono-, di-, e tri-fosfato, a seconda del numero di gruppi fosfato legati. Maggiore è il
numero dei gruppi fosfato e maggiore sarà il contenuto energetico della molecola; questo contenuto
energetico può essere d’aiuto per far avvenire reazioni che non hanno un “ΔG” sufficientemente negativo a
rendere la reazione termodinamicamente favorita.
I nucleotidi sono legati l’uno all’altro tramite legame fosfodiesterico, in cui il fosforo tra i due nucleotidi è
unito a uno zucchero esterificato mediante l’ossidrile 3’ e un secondo zucchero esterificato mediante
l’ossidrile in posizione 5’.
Tale legame crea un’impalcatura zucchero-fosfato, che è una caratteristica strutturale costante del DNA.
I legami fosfodiesterici conferiscono una ben definita polarità alla catena del
DNA.
Per quanto riguarda le basi, esse sono anelli eterociclici planari, costituiti da atomi di carbonio e azoto, ed
appartengono a due differenti categorie:
Purine: derivano da strutture di base a doppio anello ma hanno legati gruppi differenti, ad esse
appartengono adenina e guanina.
Pirimidine: derivano da strutture di base ad un unico anello, a cui appartengono citosina e timina.
E’ importante
ricordare che la
numerazione degli
atomi di Carbonio
nelle basi azotate è
“1, 2, 3, 4”, mentre
quelli dello
zucchero vengono
numerati con un
apice, per
distinguerli da
quelli della base
azotata, quindi “1’,
2’, 3’”. L’apice si
legge “primo.
Ciascuna base può assumere una forma tautomerica alternativa.
Il passaggio da una
forma all’altra
provoca una
variazione della
disposizione di
gruppi accettori e
donatori di legami
a H sulle basi
azotate, e ciò è
importante per la
struttura del
nucleotide.
Queste strutture transitorie, presenti in piccole percentuali, possono formare appaiamenti che non sono
normalmente presenti nella doppia elica di DNA.
1950 la biologia molecolare arriva ad una clamorosa scoperta, si arriva infatti in quegli anni alla
risoluzione della struttura del DNA.
Watson e Crick risolvono la struttura del DNA interpretando i dati della diffrazione ai raggi X, ottenuti da
Rosalind Franklin.
Nell’ambito delle macromolecole biologiche, essa è fondamentale per
Il DNA in realtà in quegli anni non la determinazione della posizione degli atomi all’interno della molecola,
riusciva ad essere cristallizzato, quindi per comprendere com’è fatta la struttura tridimensionale della
ma si riuscivano a ricavare delle molecola stessa.
fibre del DNA; era su queste fibre
È una tecnica che permette di superare il limite dimensionale dell’NMR.
che lavoravano i cristallografi,
Grazie alla luce a raggi X, che viene diffranta dagli atomi, si genera uno
cercando di ottenere spettri
spettro di diffrazione; questo spettro può quindi essere risolto per
sempre migliori (lo stesso Pauling
stabilire, a livello di Angstrom, quali sono le distanze nello spazio tra gli
non riusciva ad ottenere uno
atomi della molecola. Sono necessarie molecole molto pure.
spettro compatibile con quelli
che erano i dati sperimentali). Una delle migliori fotografie a raggi X fu ottenuta da Rosalind Franklin, una
giovane scienziata che lavorava a Londra.
Watson e Crick descrissero prima di tutto l’appaiamento delle basi: Adenina con Timina, e Citosina con
Guanina. Questo appaiamento era il modo migliore per massimizzare il numero di legami a H. A questo
punto capiamo qual è il problema dei tautomeri: un donatore di legame a H, se diventa accettore, non
consente più la formazione del legame a H.
La doppia elica è composta da due catene polinucleotidiche che sono allineate secondo un orientamento
opposto, si parla di filamenti antiparalleli.
Le due catene interagiscono tra di loro grazie agli appaiamenti fra le basi:
Adenina è sempre accoppiata con Timina
Citosina è sempre accoppiata con Guanina
Nei due solchi si affacciano i bordi di ciascuna coppia di basi, creando un sistema di donatori e accettori di
legami idrogeno e superfici idrofobiche, che permettono di specificare le coppie di basi.
Questi codici così composti sono importanti poiché permettono alle proteine di riconoscere senza
ambiguità specifiche sequenze di DNA senza che sia necessario aprire la doppia elica.
Anche se il solco minore, a causa della sua piccola dimensione non riesce a fornire così tante informazioni.
Questa appena descritta è la forma B del DNA, dove il legame glicosidico è nella posizione anti, ed è quella
che più si avvicina alla struttura fisiologica, in quanto tale forma preferisce un’elevata percentuale d’acqua,
proprio dell’ambiente cellulare.
Quando la percentuale di umidità è ridotta prevale una seconda forma del DNA, che chiamiamo forma A,
con caratteristiche differenti:
Vi è poi una terza forma: la forma Z del DNA, che ha ancora una minore probabilità di essere presente.
Questa forma
persiste nel
momento in cui
ci si ritrova in
elevata
concentrazione
salina, per
esempio in caso
di determinati
accoppiamenti
con le proteine.
DENATURAZIONE DNA
Siccome la doppia elica è tenuta insieme da legami idrogeno, e quindi legami relativamente deboli, essa ha
la capacità di separare facilmente i due filamenti, questo processo di separazione è detto denaturazione.
Sapendo che il singolo filamento legge più del doppio filamento, man mano che il DNA si denatura
l’assorbanza deve aumentare.
La temperatura di fusione è caratteristica per ciascun DNA ed è largamente determinata dal contenuto
di G:C e dalla forza ionica della soluzione. Più alta è la percentuale di coppie di basi G:C (e quindi più
basso il contenuto in A:T) più alta è la temperatura di fusione, in quanto le coppie G:C contengono tre
legami idrogeno, mentre A:T solo due.
Allo stesso modo, maggiore è la concentrazione salina della soluzione, più alta è la temperatura a cui il
DNA denatura. In quanto ad alta forza ionica, le cariche negative, portate dai gruppi fosforici del DNA,
sono protette dai cationi e ciò permette di stabilizzare la doppia elica.
Viceversa, a bassa forza ionica le cariche negative non sono protette e quindi la doppia elica risulta più
instabile.
RINATURAZIONE
Con questo processo il DNA ritorna nella sua forma a doppia elica, ovviamente non è detto che la
riformazione dei legami tra basi complementari riporti alla conformazione precedente.
RNA
In alcuni tratti
l’RNA può anche
ripiegare su se
stesso, assumendo
quindi la struttura
di doppio
filamento (ma non
doppia elica!).
Questi ripiegamenti sono dovuti alla formazione di coppie di basi fra sequenze complementari.
La presenza dell’OH in posizione 2’ gli impedisce di assumere una struttura di forma B, per l’ingombro
appunto di questo gruppo, ma viene favorita la forma A.
Inoltre, la posizione dell’ossidrile rende l’RNA più suscettibile ad idrolisi e più facilmente degradabile.
Nella cellula esistono enzimi specifici deputati all’idrolisi dei vari legami delle macromolecole; le
deossiribonucleasi idrolizzano il DNA, le ribonucleasi l’RNA (cioè riconoscono il legame fosfodiesterico tra due
ribonucleotidi). L’RNA può però degradarsi anche senza l’aiuto esterno: esso si degrada anche in ambiente
acquoso, debolmente alcalino, in quanto l’OH in 2’ diventa nucleofilo deprotonandosi: esso andrà così ad
attaccare il fosfato, rompendo di fatto il legame fosfodiesterico. Ovviamente il tutto è motivato dal fatto che in
alcuni casi alla cellula risulta utile che l’RNA venga degradato anche senza il contributo di enzimi.
Per quanto riguarda la funzione catalitica:
Il compattamento del DNA nei cromosomi è essenziali per alcune importanti funzioni:
il cromosoma è un sistema di condensazione per il DNA che lo rende adatto a essere contenuto
nella cellula e che permette di proteggerlo da possibili danni.
Molecole libere di DNA nella cellula sono molto instabili, il DNA così compattato è in grado di essere
trasmesso con efficienza alle cellule figlie.
Il cromosoma conferisce al DNA un’organizzazione strutturale di ordine superiore, questo regola
l’espressione genica, la ricombinazione.
procarioti: posseggono uno o più cromosomi di norma, ma non sempre, circolari, e ciascun cromosoma è
presente in un’unica copia, il DNA si assembla in una struttura detta nucleoide, in prossimità della
membrana plasmatica.
La differenza fondamentale tra cellula eucariotica e procariotica è proprio la presenza del nucleo.
La maggior parte delle cellule eucariotiche è diploide, il che vuol dire che esse contengono due copie di
ciascun cromosoma.
Aploidi: contengono un’unica copia per ciascun cromosoma e sono coinvolte nella riproduzione
(spermatozoi, uova)
Poliploidi: contengono, più di due copie per ogni cromosoma
Quando guardiamo il DNA di una cellula dobbiamo soffermarci sia sulla forma, sia sulla dimensione del
genoma, che cambia da cellula a cellula. In generale possiamo dire che le dimensioni aumentano in
relazione alla complessità dell’organismo:
Non sempre, però, sussiste una proporzionalità diretta tra dimensione del genoma e complessità
dell’organismo; ci sono piante che hanno cromosomi più grandi di quelli dell’uomo, o pesci che hanno
cromosomi grandi quanto quelli dell’uomo. In generale diciamo che bisogna tener conto del numero di geni
e delle dimensioni dei cromosomi.
Il numero di geni tra un batterio e l’uomo non è poi così diverso (5000 nei batteri, 20000 nell’uomo),
eppure capiamo bene che vi è un’enorme diversità tra una cellula eucariota e una procariota, e ciò vuol dire
che per determinare la complessità di un organismo entrano in gioco tante altre cose.
1948 Roger e Colett Venderly definirono il valore C come la quantità in picogrammi di DNA contenuta
nel nucleo di una cellula aploide di un determinato organismo.
Si misero a pesare il DNA delle cellule di vari organismi, quindi proprio la massa del DNA, in picogrammi, di
una cellula aploide di vari organismi; a questa quantità fu dato il numero di “VALORE C”, e inizialmente non
ci si spiegava il motivo di questo valore, di come per esempio un protozoo potesse avere così tanta
differenza di materiale genetico a seconda dell’organismo che si prendeva in considerazione, oppure come
questo valore poteva essere più elevato nelle piante che magari hanno la stessa quantità di materiale
dell’uomo oppure possono avere molti ordini di grandezza di materiale genetico, (perciò si parlò di
paradosso!), anche se successivamente il tutto è stato abbondantemente spiegato.
Queste scoperte sono state fatte prima della delucidazione della struttura molecolare del DNA o della sua
funzione di codifica genetica, quindi è comprensibile che le differenze enormi nel contenuto del DNA
fossero difficili da interpretare.
Questa correlazione è di tipo inversamente proporzionale: gli organismi meno complessi hanno una più alta
densità genica.
È bene sottolineare come complessità non voglia affatto dire che un organismo è più o meno evoluto di un
altro: ad esempio E. coli è assolutamente e perfettamente evoluto per adattarsi al suo ambiente e alle sue
necessità, anche se potremmo definirlo decisamente meno complesso di un essere pluricellulare quale
l’uomo.
Quello che aumenta quindi non sono per forza il numero di cromosomi, geni o basi, ma il genoma non
codificante, che avrà sicuramente altre importanti funzioni.
La densità genica negli eucarioti è considerevolmente più bassa e più variabile rispetto a quella dei
procarioti.
Esistono 2 fattori che contribuiscono alla diminuzione della densità genica nelle cellule eucariotiche:
+ Introni
+ Sequenze regolatrici
+ Geni mutati, frammenti di geni e pseudo geni
Nel 1960 Britten e Kohne fecero un ulteriore esperimento, provarono a rinaturare il DNA.
Osservarono che il DNA non rinaturava tutto contemporaneamente: c’erano delle porzioni che
rinaturavano più facilmente, altre porzioni che rinaturavano invece più difficilmente.
All’inizio gli scienziati non si riuscivano a spiegarsi questo comportamento, ma si stabili che questo era
dovuto al fatto che all’interno del nostro DNA abbiamo tante sequenze ripetute e se ci sono più sequenze
ripetute è più facile che io trovo il mio complementare con una velocita di rinaturazione più alta.
Poi grazie ai sequenziamenti dei genomi, la prima bozza del sequenziamento del genoma umano risale al
2003 adesso più o meno si conoscono quasi tutte le regioni, si è visto che all’interno del DNA sono presenti:
Ripetizioni tandem: sono delle sequenze che si ripetono identiche o quasi e si distinguono in:
DNA satellite: che sono sequenze che vanno dalle 50 alle 100 kilobasi che si ripetono, e si
ripetono poche volte,
DNA minisatellite: che sono regioni di qualche kilobase
DNA microsatellite: sequenze molto corte che si ripete centinaia di volte
Ripetizioni disperse:
dovuti a trasposomi e sono sequenze che sono state trasposte da un punto all’altro del DNA e
quindi le troviamo ripetute, i trasposoni più frequenti nel DNA sono i “SINE” e i “LINE”.
Duplicazioni di segmenti
Copie inattive di geni retrotrasportati, pseudogeni.
È una variante genetica che deve essere presente almeno nell’1% della popolazione, è una variante che si
traduce in una variabile fenotipica.
Un farmaco può essere efficace in un paziente anziché in un altro, soprattutto nei chemioterapici, perché
magari si ha un polimorfismo in un gene correlato alla funzione di quel farmaco.