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L’evento più significativo della vita e della poesia di Catullo fu l’incontro con la donna che nel

suo “Liber” porta lo pseudonimo di Lesbia. Apuleio nel capitolo 10 della sua Apologia
afferma che il vero nome dell’amata di Catullo era Clodia; Lesbia le sarebbe stato attribuito
come omaggio alla poetessa greca Saffo, vissuta nell’isola di Lesbo nel settimo secolo a.C..
Quest’ultima aveva cantato d'amore in maniera elegante e raffinata e aveva dato libero
sfogo alla propria sofferenza stemperandola nella perfezione formale. La reminiscenza
saffica però non è presente solo nel soprannome della donna. Catullo infatti attraverso
l'utilizzo della strofa saffica, rielaborò il frammento 31 nel carme 51 “La passione d’amore” e
recuperò l'immagine del fiore reciso nel carme 11 “Un amore reciso”.
Riguardo all’identità di Lesbia, la Clodia nominata da Apuleio fu identificata nel sedicesimo
secolo dall’umanista Petrus Victorius con la figlia di Appio Claudio Pulcro, sorella del tribuno
Publio Clodio Pulcro e moglie di Quinto Metello Celere, un nobile di prestigio del partito dei
populares che aveva avuto un ruolo importante nella repressione della congiura di Catilina.
Inoltre era stato il fratello Publio Clodio Pulcro a presentare la legge che nel 58, dopo la
condanna dei catilinari, era costata l’esilio a Cicerone. Questo spiega l’accanimento di
Cicerone, inteso a screditare il fratello di Clodia, nel denunciare gli atteggiamenti libertini e
talvolta incestuosi della donna nell’orazione Pro Caelio del 56 a.C. Ella era sicuramente una
donna libera e di costumi emancipati, pienamente a suo agio in un ambiente mondano e
galante. E anche nella visione offuscata dall’amore e dalla passione di Catullo, Clodia non è
priva di difetti e non è in alcun modo la matrona romana ideale.
Dal Liber possiamo ricavare i frammenti e ricostruire idealmente l’evoluzione del rapporto tra
Catullo e Lesbia, in cui è senza dubbio centrale l’amore del poeta veronese per Clodia,
concepito come una forza distruttiva e irrazionale, e come un’esperienza totalizzante, in
grado di assorbire tutta la vita dell’uomo.
Il carme 51 può essere considerato l’inizio della storia d’amore tra i due, quando Catullo
rimane ammaliato dalla bellezza di Lesbia. Il rapporto tra gli amanti continua nel carme 5
“Dammi mille baci”, lirica in cui il poeta evidenzia l’amore travolgente che prova verso la
donna e il desiderio che questo duri in eterno, oltre le dicerie dei vecchi. Il carme 7 “Un
numero infinito di baci” riprende da vicino il quinto, con l’immagine dei baci infiniti. L’amore
unilaterale e costantemente disilluso compare a partire dal carme 8. Il poeta, rivolgendosi a
se stesso e apostrofandosi «miser», dà inizio a un viaggio introspettivo e lacerante. Egli si
impone di smettere di impazzire per Lesbia e di rassegnarsi alla fine del rapporto. Ma si
tratta di un tentativo fallimentare, perché la separazione sarà solo temporanea. Nel carme
109, Catullo dimostra di essere consapevole che la loro relazione, nata dall'adulterio, potrà
continuare solo nel momento in cui diventerà un foedus amoroso, un patto basato sulla
fides, intesa come rispetto della promessa di fedeltà scambiata dagli amanti. A partire dal
carme 85, la relazione comincia a incrinarsi, Catullo, essendo a conoscenza dei tradimenti di
Lesbia, prova odio nei suoi confronti, ma continua ad amarla. Il carme 72 apre la fase finale,
quando l’affetto e la stima, il bene velle, verso l’amata vengono meno. Nel carme 76 l’amore
per Lesbia viene paragonato a un morbo crudele fino a raggiungere il carme 11, che segna
la decisione di Catullo di separarsi definitivamente dall’amata, lasciando il compito di riferire
il messaggio a Lesbia agli amici Furio e Aurelio. Catullo descrive Lesbia come una meretrice
ingorda, colpevole di prosciugare le forze dei suoi uomini. Questa cruda descrizione viene
attenuata dai versi successivi, che descrivono lo stato del poeta. Il suo amore, infatti, è stato
ucciso da Lesbia, come «il fiore al confine del prato», spezzato dall’aratro. Si tratta di
un’immagine saffica, ma che ben rende lo stato di Catullo. Il fiore si fa metafora dell’ultima e
vera gioia che Catullo aveva provato nell’ultimo periodo della sua vita, mentre vede la morte
avvicinarsi sempre di più.

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