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CARME 11

Questo carme e il c.51 sono legati da una serie di analogie tali da far propendere i
critici per l’ipotesi che essi rappresentino rispettivamente l’inizio e la fine della ​storia
d’amore tra Lesbia e ​Catullo​. In primo luogo sono gli unici componimenti del
canzoniere​ catulliano ad adottare la forma metrica della strofe saffica. Inoltre, se il
c.51 costituisce una vera e propria aemulatio del fr o ode 31 L.P di Saffo, anche il
carme 11 contiene una preziosa reminiscenza saffica nella struggente immagine del
fiore reciso (vv 22-24), quasi che Catullo abbia voluto aprire e chiudere la sua
vicenda sentimentale nel ricordo della poetessa di Lesbo che nel VII secolo a.C.
aveva inaugurato la grande stagione della lirica d’amore greca.
Il c.11 contiene la tristezza e l’irrevocabilità di un addio definitivo; esso è con ogni
probabilità non solo l’ultimo dedicato alla donna ma anche uno degli ultimi del Liber,
come conferma l’accenno alla spedizione di ​Cesare​ in Britannia (vv 11-12) avvenuta
nell’autunno del 55 a.C., un anno prima della presunta data di morte del poeta.
Il principale problema interpretativo suscitato dal testo è relativo alla sproporzione tra
le due parti in cui il carme può essere diviso: il messaggio per lesbia interviene solo
nella quinta strofe, dopo un lungo preambolo dedicato ai luoghi in cui i due dedicati
del carme sarebbero disposti a seguire Catullo. Si è pensato a un’intenzione ironica
nella dedica del carme a Furio e Aurelio, altrove apostrofati con parole sarcastiche e
ingiuriose, dovuta al fatto che proprio tramite questi due uomini, che Catullo
disprezzava profondamente, Lesbica gli avrebbe fatto pervenire una proposta di
riconciliazione, rifiutata dal poeta in modo definitivo.
Ma tutti questi elementi biografici, extratestuali disturbano più che favorire la
comprensione della lirica: quello che di certo si in essa possiamo leggere è che non
ammettono più ripensamenti. La perentorietà del distacco spiega la violenza verbale
della quarta strofe, in cui Catullo dipinge Lesbica come una sgualdrina, vittima della
sua volgarità libidinosa, della quale il poeta prende atto senza più concedersi
neppure la poesia dei ​ricordi​, sintetizzando letterariamente la fine del suo sentimento
nell’immagine disperata del tenero fiore reciso dall’aratro.

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