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Alda Merini

La Scopata
Di Manganelli
*

(2009)

EmmeBooks 249
*
La burrascosa e appassionata storia d’Amore tra la
grande poetessa Alda Merini e il grande scrittore Giorgio
Manganelli.
Scintille, fughe, travolgimenti nei racconti scanzonati e
ironici che narano con geniale maestria la bellissima vi-
cenda.


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La scopata di Manganelli
di Alda Merini

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Eh, caro Giuseppe, l'hai saputo o no che ora la Lamuzazza
non sta più con il marito ma s'è messo con quest’argentino che
faceva il mago, non so se... Sì, se ne sta ora sempre nel suo ne-
gozio che non so più dov'è questo posto... Sì, la Lamuzazza, con
il suo negozietto pieno perso di roba usata, an'su no, mì... Ma
forse confondo, Giuseppe, Lamuzazza non è quella che abita
sotto casa, no quella è Maggy... Ah, la Maggy... ho capito... con
quell'altro matto da legare... infatti, ho capito adesso, Lamuzaz-
za è quella che... bionda... che mi seguiva quando fecevo le sera-
te... Eh!... Ho capito!... Ma lei era convinta che andassi al CPS, io
andavo al CPS, perchè avendo avuto... avevo dato alla Bellona
Rissa, la mia dottoressa, il testamento di Pierri, perchè non vo-
levo presenziare alle udienze e avevo delegato lei... Sì, sì... Si
chiama patrocinio gratuito, capisci? Ma non andavo perchè ero
fuori di testa, l'ha capì un Cristo, quela lì, t'è comprì?... Sei an-
dato anche tu a trovare questa Bellona una volta... Ah, ma è cat-
tiva, la Bellona... infatti non ti ha ricevuto, eri andato a portarle
dei libri, che ti avevo mandato io, ti ricordi? Non ti ha ricevuto...
Eh, ma la Bellona è gelosa della Merini, adesso ti dico una con-
fidenza, ma è lesbica la Bellona, rimanga tra noi, tra tutti i ma-
lati che c'erano io sono l'unica salvata, perchè lei aveva perso...
sai cosa mi diceva il Titano? Diceva: "Non ti ha mai fatto delle
proposte?". Il mio primo nome è Benedetta, perchè son nata il
giorno di san Benedetto e abbiamo partorito insieme, pensa, io,
la Barbara, e lei, suo figlio Aldo, lei stravede per me, però non è
che perché io m'innamoro di te che sparo agli altri, ho minga

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capì mi, t'è capì?... Eh, sì, è vero... Io, sono quelle forme d'amore
che non capisco, proprio, cosa dici?... Sì... è così... Ah, non t’ha
ricevuta quella... quella... E' gelosa... Quella... Sì, quella Bellona
lì, ti fece aspettare più di un'ora, e poi non ti ha ricevuto...
Guarda, ma ce l'hai il numero della Bellona? Perchè a me ser-
ve... Non ce l'hai?... Non ti ricordi? Andasti in una piazza che
c'era... all'inizio di un vecchio naviglio... Marco d'Oggiono.. Sì, là,
sì! Ecco dove andava il Titano... Lì sei andato anche tu... Ecco

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quello lì era un ospedale... una clinica... un ospedale, aspetta,
come si chiama? Ronzoni, era... Sì... E lì c'era anche la materni-
tà...Era una bella struttura, vecchia, tenuta bene... Sì, però, lei
ha rubato, la Bellona, tutti i ferri del... lì, c'era la clinica, capisci?
E' li, dove m'han beccato per il ricovero, capisci?... Sì, sì... Era un
ospedale e lei ha fatto un CPS, ma non era un CPS, era un ospe-
dale... Sì, al primo piano sta questo CPS... Ecco!... No, il telefono
non ce l'hai, ti avevo dato solo l'indirizzo e sei andato a trovar-
la, non ce l'hai il telefono... in via Marco d'Oggiono... Ecco, lì sei
andato... E' abusivo, non c'è.. perchè... moh!... sì, c'erano tante...
la storia del... comunque il signor X non sapeva niente di me, lo
dice nelle lettere, perchè il marito la riaccompagnava, ma io
non volevo venire a casa e lui veniva a farmi il Pentotal, qua,
ecco la storia del contatore, perchè portando via il contatore,
portavano via la data di nascita della casa, dove hanno imbro-
gliato tutti, capisci?... Sì.... Ecco, la vera storia degli imbrogli,
quel pasticciaccio della via Merulada, hai visto o no?... Sì... Il pa-
sticciaccio... eh... ascolta questa storia... Sì... Sì... Sì... Caro Giu-
seppe... Sì... Il pasticciaccio della via Merulada, raccontala que-
sta in uno dei tuoi romanzi... Sì... Sì... Caro mio... Esiste vera-
mente la rissa contagiosa, aspetta... come si chiamava quell'al-
tro?... aspetta... Ah, sì... Carlo Emilio Gadda... Sì... E Gadda con
Manganelli, due risse odiose tra Quasimodo e altri, un mondo
impervio da scalare, quello della letteratura, dopo la caduta del
solaio, non mi è rimasto che la bicicletta di mio marito, eterno
assenteista che lavorava brutalmente, lasciandomi a languire
d'amore. Tu non sai cosa vuol dire per un depresso aver biso-
gno dell'uomo che si ama e io attraverso mia figlia ho rivisitato
questi orrendi abbandoni.

Chi era Manganelli? Un uomo di un buono amorevole, un


uomo incapace di lottare contro la Chiesa per un divorzio, del
resto, c'era una figlia, la prova che era atto a generare ed io ero
una donna giovane, talmente giovane, che tutti dubitavano del-
la mia sapienza, ma la mia non era sapienza, era amore e per

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amore di Manganelli sono finita non pochi anni fa in quell'orri-
bile ma contagioso albergo di viale Certosa, dove ho trovato la
mia pace, dove ho scritto i miei migliori romanzi
Era un orrendo pasticcio, lo so, pasticcio di odii e di rancori
e anche di manicomio. L'eredità di Giorgio faceva gola a molti,
ma io ero la più povera in mezzo a loro, ma di nobili casati. Mio
nonno, il conte Merini, mi ha lasciato ancora una traccia a Co-
mo, mia nonna, una bellissima contadina, diede l'inizio a una

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grossa dinastia di gente contraria alla Chiesa, ma di saldi prin-
cipi morali, io stessa mi feci monaca, almeno per poco. Ma tutti
mi gridarono dietro, perchè mia mamma, come tutti, voleva dei
nipoti. Mi sposai, mio malgrado, con un bravo operaio che a un
certo punto, come dicono di Francesco, perse le redini della
sua volontà, fu ingabbiato da un imbroglio. Ci trovammo spiaz-
zati tutti quanti. Ma ricordo la lite furiosa tra Gadda e Manga-
nelli, e ancora in questa casa vecchia ho il telefono in cui Man-
ganelli scoppiava a piangere.

Il vero autore dell'HILAROTRAGOEDIA io non l'ho più nominato.


E' stato un amore contorto e odiato, ma io ero una donna di ec-
cezionale talento e ebbi il salvacondotto dei migliori uomini di
quel tempo. Ero troppo bella per non destare l'invidia, del re-
sto, Giorgio, quando vide sua figlia dopo vent'anni, scoppiò a
piangere e capii in un attimo che il vero grande amore di Man-
ganelli era sua figlia Elietta, l'avevo lasciato per questo, per
non dare dispiacere a un bambino. Ma entrando in quell'alber-
go dove la custode aveva ordine di non far salire nessuno, io
gustai la gioia della solitudine.

Ero sola, avevo vinto il premio Montale, parecchi soldi per


quel tempo. Ma mi veniva in mente una bella poesia, una bella
canzone di De Andrè, quella che dice: "Rimasi di stucco, io
quella mattina..." quando il portiere a chi fa l'amore... La canta
la Vanoni... è del suo amico... Non mi ricordo chi...

Eravamo andati lì, io e Giorgio, per farla finita Non poteva-


mo prevaricare nè con la Chiesa nè con i benpensanti, come
Maria Corti o altri. Giorgio era amico di Falcone e di Borsellino.
Non era laureato in Lettere, era un Anglicista incredibile, pro-
fessore d'Inglese, aveva tradotto tutto il teatro Elisabbettiano,
era un genio, ma aveva... aveva un naso pronunciato come Cy-
rano, non era bello, ma quando sorrideva gli si illuminava il
volto, aveva un incarnato giovane, era un eterno ragazzo.

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Fu il primo e unico grande amore della mia vita, ma voleva-
mo uscire dalla vita in modo irruente e selvaggio come ci siamo
entrati, e questa forse è un po' una leggenda di Natale. Ma non
è solo una leggenda: è la verità. Manganelli capiva al volo tante
cose, aveva uno spaventoso intuito, ma fu odiato da Spagnolet-
ti, da tutti quelli che vedevano nella sua enorme bontà un peri-
colo.

Tu non crederai, Giuseppe, ma le prime volte che facemmo


l'amore andammo su un prato, proprio davanti a Villa Turro, e
quello segnò il mio destino. Avevo un altro innamorato, ma
stranamente, tutti mi portavano rispetto. Manganelli fu mera-
vigliato di avere una ragazza così giovane tra le braccia, ma fi-
nimmo per odiarci, perchè nessuno concedeva il divorzio.
Ci lasciammo a malincuore. Gadda mi aveva insolentito.
Manganelli rivendicava la sua HILAROTRAGOEDIA, la Pivano mi
odiava. E questa è la triste storia di Natale. Adesso che è morto
il figlio disperato mi sento colpevole. Colpevole di aver allac-
ciato con la mia presenza e i miei molli costumi la bramosia di
certi uomini che non esitano a masturbarsi di fronte alle cose
più belle. Sono scandalizzata, credimi amico mio, anche dalla
Chiesa, anche dai torti subiti, ma soprattutto quel giovane che è
morto inutilmente, a cui sto dedicando una parte della mia vita.
Mi sembra quel figlio che non ho mai avuto, perchè io l'ho avu-
to un figlio da Manganelli e mi è morto.

Questa è la mia confessione, la mia confessione che voglio


darti in mano prima di morire. Io non parlerò mai di quel teso-
ro di uomo che avrebbe potuto essere mio figlio. Ma so anche
che questi doni del cielo, che sono i nostri figli, alle volte ven-
gono punti da insetti velenosi, tartassati o uccisi. Spero che tu
abbia migliore fortuna e che in futuro i tuoi figli vedano la vera
luce, che non è quella della gloria, ma può essere anche quella
della povertà. Quando la povertà ha il suo grano migliore nelle

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mani: ecco San Francesco.

In un racconto di Natale, in una vecchia antologia, io ricordo


una cosa che mi è rimasta impressa: un giovane che aveva avu-
to in dono dal padre soltanto una vanga, una vanga dalla punta
d'oro, mentre gli altri avevano dissipato tutti i loro beni, con
questa vanga, vangò un campo miracoloso, un campo di parole
ed ecco nascere la messe della poesia. Ma non sia che qualcuno
metta nelle mani di tuo figlio una vanga non dorata e faccia un
contadino di un genio.

Quando morì Vanni Scheiwiller, accanto a lui c'era soltanto


Gavino Ledda che ha messo nella sua bara il librino di Casira-
ghi. Non c'era nessuno accanto a Vanni Scheiwiller morto.
Completamente abbandonato in un angolo oscuro del Monzino.
Ho finto di essere malata di cuore per sapere la verità, ma non
è mai saltata fuori. Comunque anche Roberto Cerati, che è ma-
lato di cuore, ha salito le mie scale per onorare la Poetessa e
dirgli che suo figlio era morto.

Ecco, la morte della poesia è tutta in queste parole. E' nelle


vanghe con cui fanno lavorare i vecchi, arbitrariamente, quan-
do hanno bisogno di sognare la loro bella eternità.

Questa è la mia novella di Natale, una storia vera. Manganel-


li non l'ho visto più. So che è andato ad abitare, perseguitato da
tutti a Roma, in via Chinotto. E che si è preso cura dei miei figli,
lui ha salvato la vita ai miei figlioli. Era un uomo potente, ma
non lo diceva a nessuno. E con questo ti saluto, caro Giuseppe.
Devo dir grazie a queste anime buone e anche a qualcuno stra-
no e a Borsellino. A tutti quelli che hanno mandato un messag-
gio di carità sopra la violenza, che volevano distruggere.

Guai a voler fare qualche cosa di bene nella vita. Questo è


quello che mi addolora più di tutto. L'uomo dovrebbe essere

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malvagio, ma se uno non ci riesce si trova tra i piedi questo vi-
schio molesto che è l'invidia umana.

E ora penso con il Natale a Monsignor Ravasi, che mi ha la-


sciato un gran vuoto nel cuore, perchè per quanto fosse ingiu-
sto abbandonare Milano, era giusta la sua intelligenza. Gli au-
guro ogni bene e un bene a tutti quelli che hanno dato la loro
vita per la carità italiana.

Ti è piaciuta, Giuseppe, la mia lettera di Natale? Bella, ve-


ro?... Ecco chi era Manganelli: un grande amore di cui non si
può tacere. Sai che ho capito cosa mi ha detto Cerati di nasco-
sto, mi ha fatto morire di crepacuore: "Lei è stata il più grande
amore della mia vita". Non avrei mai voluto sentirglielo dire,
capisci?

... Ti è piaciuta questa confessione? Ogni vita è bellissima...


Lettera di Natale... "Rimasi di stucco io, quella mattina..."... vo-
levamo morire...E così è andata a finire... Siamo andati in un al-
bergo e ci siamo chiusi... Andavamo al "Certosa", io non avevo
la carta di identità e lui dava il nome: ero un minore io, c'era la
galera per Manganelli, capisci? Ha dovuto scappare da Milano,
inseguito dalla giustizia, hai capito?... Eh, sì. Era proprio così
che stavano le cose... Magari inseguito dalla buon costume, o
no? Comunque era pure amico di Falcone, di Borsellino, di Co-
stanzo, tutti i giornalisti che lottavano contro l'ingiustizia. Hai
capito?... Sì... E questa è la lettera di Natale...

Post scriptum: Dio mi perdoni, ma alle volte la mafia si veste


da assistenti sociali... Hai capito?

Ciao, ora son stanca, amico mio, ci sentiamo dopo... E mi rac-


comando: scrivila questa storia... mi raccomando... non ti scor-
dare...

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Comunque ha preso anche delle scopate sulla testa... no? Le
prese pure da mio padre... Eh, l'han picchiato sull'inizio del
Corso San Gottardo...C'era un mio zio spazzino che ci vide usci-
re dall'albergo... prese la scopa e gliela calò con tutta la forza
sulla testa... "Maledetto manigoldo, con una bambina... Male-
detto farabutto!", gli gridò... E lui se la diede a gambe... Ecco...
diciamo che tutta la cosa la potremmo chiamare: "LA GRANDE
SCOPATA DI MANGANELLI"... perchè effettivamente si prese delle
scopate in testa, proprio... hai capito?...

Lui ha scritto tantissimi libri, adesso Adelphi pare che pub-


blichi tutto Manganelli... "La centuria"... ma tanti, tanti... Me li
mandava tutti gli anni, mi mandava il suo ossequio... tantissimi
libri... Sì, Manganelli era come te, era prolifico... Eh, ma non era
uno scrittore molto viscerale...

Lui mi chiamava, io poi lo dico, la bambola di Manganelli.


Perchè ero una bambina, e lui diceva: "Sono rimasto incinto di
te"... che poi , è questa Madonna che rimane incinta per amore,
no?... Ecco... Ma non si può partorire il dolore, capisci?... Ecco...
E' molto bello questo: Manganelli gravido di Alda Merini... Era
un po'... Non è che fossero... Io, guarda, alle volte penso agli
omosessuali, alcuni di loro non sono molto virili, perchè subi-
scono delle violenze, hai capito?... E allora... va be', comunque
me lo aveva sempre detto: "Tua sorella ci ha rovinato"... Eh, vo-
levamo scappare. Io ero troppo piccola... cosa dici tu?

Mia sorella lo disse a mio padre... Ma è una storia un po' ri-


dicola, perchè mia mamma aveva, non so se lo sai, un fratello
mongoloide, lo sai questo? ... No?... Aveva un fratello mongoloi-
de... Mia nonna era proprietaria di una scuola... avevamo una
scuola noi... Noi siamo di Lodi, mia mamma era lodigiana, e mio
nonno era maestro d'organo. E avevano 40 anni di differenza.
Mio nonno per avere mia nonna l'ha baciata in pubblico, quan-
do era in collegio... l'ha compromessa: ha dovuto sposarla. E

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mio nonno per la nonna era un'autorità... no?... E' andato in
comune quando è nato l'Oreste, mio zio, tanto era balbuziente...
Ha avuto la meningite e mio nonno ha detto: "Firmo, ma non
son sicuro". Mia nonna ha fatto le valige e se n'è andata. Se n'è
andata perchè le donne dei Merini sono molto orgogliose, a
dirle una roba così ha fatto la valigia ed è sparita. E non l'ab-
biamo trovata più. Va bene, questa è un'altra storia... Questo
zio faceva il netturbino, mia mamma si è presa cura di lui, l'ha
tenuto con sè, però l'ha l'impiegato... Lo zio ci aveva visto e ha
preso la scopa di saggina e ha tempestato di botte il Manganel-
li... cosa dici?... E' buona, no?... La grande scopata di Manganelli
che ha preso la Lambretta ed è scappato via da Milano furi-
bondo... cosa dici? ... Perchè poi era una sfortuna, perchè dap-
pertutto io avevo i morosetti: dove andavo c'era lì lui che sco-
pava, porca miseria!... Andava a casa a dirlo, era il nostro guar-
diano, guai con noi! Ci ha cresciuto lui, no?...

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La sai quella storia, quella battuta del mongoloide, che a
scuola la maestra dice al mongoloide: "Sit down!", per dire se-
duti. Quello non capisce e dice: "Sì, strunzt" Hai capito? Ha ghà
dà del down e ha gà del strunz! Cosa dici? E' buona...

E poi la nonna scappò via e non si trovò più... Per modo di


dire, perchè andò a fare la portinaia in uno stabile e non si fece
più vedere... Ah, per noi l'onore dei Vianini è una cosa... Che poi
ho avuto quel don Cipriano Vianini che era un prete, mio cugi-
no, gesuita, che mi ha scritto quelle lettere.... quelle famose let-
tere del solaio, dove mi diceva che la Madonna gli aveva detto
che avrei fatto anni di galera... Ma digo:"Ches'chì l'è mat"... in-
vece era vero... Era stato miracolato da Lourdes e mi diceva: "Il
prete che non va a trovare l'autrice del MAGNIFICAT non è un
prete"... Ma anche Wojtila aveva il mio MAGNIFICAT sul comodi-
no... No?...

Comunque è stata una gran bella storia d'amore, no?... Una


storia d'amore, ma io ero una bambina. Lui non è che brillasse
per potenza. Non era un uomo che... mentre mio marito era un
assatanato di sesso, l'Ettore Carniti... Gli andavano bene tutti i
buchi che trovava. Ieri la Barbara mi fa: "Il papà si profumava
tutto nel cesso"... Il papà... mio marito era stato un ... cosa c'è a
Ponte di Legno?... Non un partigiano, uno che non fa la guerra
come si chiama?... Un disertore?... Era stato un disertore, era
riuscito a passare da Ponte di Legno attraverso... Ti ricordi il
tabaccaio che ci aveva quei baffi lunghi?... Sì, sì... Il Battista fa-
ceva passare i disertori, hai capito? Tant'è vero che mio marito
lo chiamavano Turi, non Ettore, era un nome di battaglia... Dato
dai partigiani.... lì mi dicevano che c'era pure un papa guerra-
fondaio... ti ricordi?... Ci son stati pure papi così... cosa dici?... Il
Baffo, poverino, ora se la fa in corso San Gottardo... faceva pas-
sare i disertori una volta... Ora è diventato tutto bianco, però lo
vedo... Ma sai, era famoso in tempo di guerra... C'era pure
Osvaldo Valenti, lo sai?... Ma guarda... criminali di guerra... Lei

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ballava nuda, i partigiani avevano l'erezione... e gli tagliavano il
fallo. E' famoso... ne abbiamo avuti tanti criminali di guerra...
Eh, lo so... Ma se la Chiesa invece di proibire, di varare la legge
sui preservativi, varasse la nave ammiraglia, invece di questa
legge scema... o no? Cosa dici?... e infatti non vuole i preservati-
vi perchè bisogna procreare... E come fai? Prendi le malattie...
Ah, sì!...

Pensa che quando ero lì, al "Certosa", in albergo, quella lì


usava un detersivo... mi son riempita di psoriasi... A me dà fa-
stidio il detersivo, pensa, troppo no?... Una volta c'era.... Eh, ma
è bella quella storia del Manganelli, no?... Eh, noi due eravamo
dù imbranà, eh? Cosa dici?...

La grande scopata di Manganelli si potrebbe intitolare il tut-


to... no? L'ha ciapà na scuvà in testa e è scappato su una Lam-
bretta... E quando è venuta a trovarmi la Elietta m'ha portato la
Lambretta del papà... Lui mi chiamava Bakunina, io ogni tanto
gliele suonavo al Manganelli... no?... Bakunina, mi chiamava.
Ero tremenda, ero. Lui non voleva sposarmi e io gliele davo di
santa ragione... e non capivo il perchè... E poi c'era pure il Qua-
simodo... Due grandi storie d'amore, no?... Dai che poi la vendi
bene questa bella novelletta... no? Ah, i grandi editori!... Beh, la-
sciam perdere...

E' bello il ritratto... Carlo Emilio Gadda... Non usciva


mai...Carlo Emilio Gadda... Il Manganelli... E il motivo, qual era,
che si litigarono?... Eh, perchè uno diceva che l'HILAROTRAGOEDIA
l'aveva scritta lui e l'altro pure diceva che l'aveva scritta lui in-
vece... Ah, e poteva essere una cosa del genere?... Erano due cu-
li, in parole povere, no? E lui con me l'aveva tradito... Capisci?...
Cioè... i manoscritti... per gli scrittori sono come veri affari di
cuore, capisci?...

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Ma tu pensa alla Sibilla Aleramo... con il Manganelli, con il
Quasimodo... con quell'altro, quello che è finito in manicomio,
chi era?... Ah, sì il Dino Campana... Sì, anche loro si ... Quella fac-
cia di troia della Sibilla Aleramo... anche loro si picchiavano di
brutto... Ah, si picchiavano di brutto ma il loro è stato un gran-
de amore... Solo che lei era una bestia che voleva la gloria, Dino
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Campana era il padre del Novecento, ma lei voleva la fama,
no?... Allora si è fatta trovare a letto con te e un altro e questo
non ci ha visto più... Eh, sì... Lo ha fatto apposta, per rubargli i
CANTI ORFICI, ha chiamato l'ambulanza... Poi Soffici o Papini si
son pentiti e li hanno fatto pubblicare e glieli han portato in
manicomio, ma ormai lui era abbruttito... Pensa che gli brucia-
vano i testicoli... Eh, sì... Sì... e l'ha preso, poi con la memoria ti-
pica dei poeti ha riscritto tutto a memoria... Però glieli ha ruba-
ti... Le donne, vedi... Cose terribili, a un poeta rubi il suo libro e
gli hai bell'e rubato tutta la vita...

Ah, ma guarda, adesso questo qui che ha messo su il musi-


chiere con il santo, ho fatto tanto di quel piangere... Ma scusa...
chi è che gliel'ha dato? L'Uomo Nero che ha preso accordi con
l'amante del musichiere, ma dài! O no? E poi non l'ha musicato
neanche... cioè ci parla su e andemm... Volevano farlo vedere...
Ma no!.. Sai, noi siamo gente di altri tempi... i gay non c'erano,
no?... I ladri, col fascismo, li punivano... vedere che adesso è tut-
to lecito, rimaniamo un po' scornati... O no?... Eh... E la donna
ruba... Ma roba de mat! Ma va che l'è inscì in Italia, no?... Un
manoscritto è un pezzo d'anima per il poeta... Vedi che io non
ho mai parlato di Manganelli, mai... mai. Perchè le cose belle
non si dicono, no?

E' come se tu parlassi di quante volte fai l'amore con la tua


sposa... Non lo dici a nessuno, vero?... Ma no... non interessa
neanche questo... E' il sentimento che conta, poi l'atto sessuale
è relativo... Eh, sì... O no?... E' il completamento di un sentimen-
to... Certo che se lo fai per divertirti è un'altra cosa, no? E' bella
questa... Dopo ti racconterò quella di Quasimodo... così per Na-
tale fai la strenna...E va da via i pè pure te... Per ora ciao dalla
tua grande amica Alda...

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Con l'incredibile eruzione, Manganelli era scappato a gambe
levate da Milano e si era chiuso in un appartamento blindato
dove non entrava nessuno. Visse tutta la vita in una specie di
terrore e passò una vita dagli analisti. Gli avevo mandato una
volta una mia foto con una spalla nuda e mi sgridò aspramente.
Manganelli era gelosissimo.

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D'altra parte, la moglie non gli fece mai più vedere la figlia e
Manganelli coabitò, se così si può dire, con una certa Ebe Fla-
mini, che accompagnava ai concerti e via dicendo.

Alla morte di Manganelli, fui mandata a Roma da un frate


quasi per ordine, e avevo girato un filmino con Nino Castel-
nuovo. La Ebe mi scrisse un biglietto dicendo: "Grazie, Alda
Merini, lei non ha chiesto niente di Giorgio". Io gli ho rimanda-
to un biglietto con scritto: " Ho avuto il suo amore... basta".

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In quel periodo nasce CENTURIA, quelle piccole novellette di
presunti vicini di casa che Manganelli non salutava. Comunque,
fui la sola donna della sua vita, per tutta la vita, non pensò che
ad Alda Merini e non ne parlò più, come non ne parlai più io di
questa storia, se non che andavamo a vedere sempre "Il terzo
uomo" ed era un grande ammiratore della musica di Morrico-
ne.

Manganelli si sentiva spiato, ma era spiato. Era troppo ricco


per non essere preso in considerazione...

Hai capito?... Ti piace questa storia?... Vero che è bella?...


Ascolta ancora un pò, ne hai voglia?... Sì?... Ecco...

La fuga di Manganelli mi levò un peso dallo stomaco. Ero


andata in via Vigoni a cercarlo e la moglie mi disse che era par-
tito per l'Inghilterra. Fui contenta, il nostro era un sodalizio in-
vivibile e la Chiesa si guardava bene dal concedere il divorzio a
Manganelli, perchè aveva una figlia.

Dopo un pò di tempo, rassegnata, mi venne in mente di an-


dare da Quasimodo e suonai al suo campanello. Quasimodo
abitava in una casa molto lussuosa, mi ricevette e mi misi a de-
cantare le mie poesie nel suo studio. Era una casa ridondante
di lusso e lui era un uomo di poche parole, ascoltò tutta la mia
recita e non mi disse niente. Io, siccome sono sempre stata una
sfrontata, gli dissi subito: "Se non dice che sono belle vuol dire
che lei di poesia non ha capito niente". E me ne andai...

Hai capito?... Ero svelta io, no?... Ma Quasimodo mi raggiunse


e mi disse se volevo lavorare con lui e di fatti mi diede il lavoro.
Mi diede il lavoro: un'immensa raccolta di poesie che venivano
da tutte le parti, di gente che voleva essere raccomandata. Co-
minciai ad andare e venire...
Cosa ci facevo con quelle poesie?... Sceglievo le più belle. Ho

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fatto io l'antologia del dopoguerra. Li ho scelti io e sono andati
tutti al Nobel, hai capito?... G'ho nò minga voja de lavurà, va
be'... Hai capito?...

Dopo ti racconto anche di quest'altra storia... è una bella...


non è bella come quella... non è aurea come quella del Manga-
nelli, ma sai... Però è stato un grande amante anche lui, è stato
un signore, ho fatto una vita bellissima con Quasimodo... Mi
portava in piazza, alle prime, ai concerti... Era ricco Quasimo-
do... Eh, sì... Eh, beh... ho sempre incontrato gente ricca io... L'u-
nico che era povero è stato il Manuel Serantes... va be'... Ti
chiamo dopo...

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Quando misi mano al DIARIO DI UNA DIVERSA, scritto dopo anni
di silenzio, quando mi ero ripromessa di non scrivere più, ave-
vo chiesto a Giorgio una prefazione per il DIARIO e Giorgio si era
messo a gridare come un ossesso che non voleva averci a che
fare con tanta turpitudine... Però poi la prefazione me la fece e
posso dire che se Alda Merini si è salvata dal manicomio lo de-
ve a Manganelli che ha spiegato ai medici chi ero veramente:
una povera donna cacciata di casa dal marito.

Manganelli era indignato, ma scrisse quelle memorabili pa-


role: "In manicomio ogni cosa è sacra" e termina dicendo: "solo
angeli e demoni possono parlare questo linguaggio, scrittori e
angeli" ...Comunque, grazie alla sua prefazione il DIARIO venne
accettato. Mi avevano dimenticato tutti. Per 15 anni non avevo
scritto più niente e non avevo pensato più a niente, ero felice...
Ero felice di aver trovato una dimensione nuova, avevo chiuso
con tutti gli amori del passato e la mia era una vita spensierata
insieme a quel galantuomo del dottor Gabrici che non mi chie-
deva mai niente della mia famiglia: in realtà, un omicidio man-
cato.

Mi salvarono la vita, ma venni fuori con un tal corredo di pa-


ce e di spensieratezza che tornai a essere giovane anche dopo
tanti anni di reclusione...
Manganelli non mi scrisse più, intanto mi ero sposata, avevo
dei figli e come al solito... mi venivano dei mal di pancia così
forti che richiamavo un po' tutti troppo tardi...

Manganelli si senti colpevole del mio manicomio e soleva di-


re: "Se non avessi lasciato Alda, non avrebbe fatto questa brut-
ta fine..." Ma sapere che il suo grande amore era in mano a certi
manigoldi, l'ha reso un uomo malato per tutta la vita. Non gli
scrissi più.

La scopata di Manganelli 36/23


Anch'io mi sentivo colpevole di averlo lasciato, ma non ca-
pivo come un uomo così facoltoso non potesse convincere la
Chiesa a dare un nome onorato ad Alda Merini. Forse non ave-
va voglia di combattere, forse era un uomo stanco e sfiduciato,
forse, semplicemente, come tutti i genii, era un nevrotico. Ave-
va speso una fortuna, non so per che cosa, forse perchè la mo-
glie voleva essere pagata. Se ne era andato povero di tutto e a
Roma rifece la sua fortuna.

Manganelli era un genio, ma talmente timido da sembrare


un bambino. E d'altra parte, Maria Corti era irremovibile, era
una donna tutta d'un pezzo, che forse non aveva avuto figli e

24/36 Alda Merini


poi mi fece vedere la licenza universitaria di Giorgio. La sua
laurea dove c'era il massimo dei voti, ma a me dei voti di Gior-
gio non importava granchè e neanche della mia cultura. Ciò che
mi importava molto era quanto l'uomo potesse essere felice
sulla terra e una certa fede mi ha sempre accompagnato. Non
mi sono mai sentita colpevole e non mi sono mai macerata il
petto pentendomi di quel che avevo fatto. Pagai di persona i
miei amori col manicomio, se pure erano amori...

Certamente, non riuscii più a sposarmi. Avevo paura di un


internamento e anche con gli amanti erano pianti continui. Do-
po un pò li abbandonavo, si fa per dire, ma quando si vivono
certe esperienze gli uomini fanno paura. E come non bastasse
qualcuno, come Manuel Serantes, era geloso di queste promi-
scuità, non so perchè. Credo e posso sperimentare che solo il
rapporto sessuale, chiamiamolo godimento, può far conoscere
veramente una qualche compagna all'uomo.

C'è scritto nella Bibbia, quando si dice che conobbe Rebecca,


la conobbe nelle sue profondità, nei suoi visceri, nel suo pen-
siero, perchè, checchè se ne dica, il pensiero dell'uomo, forse
sembrerà volgare, ma sta proprio nel culmine dell'amore, pro-
prio nei suoi genitali, se vogliamo dire, proprio dove incomin-
cia à parola "amore". Comunque nè io nè Manganelli riuscim-
mo a sbrogliarci più di quel ricordo sensuale della nostra vita.
Sensuale e amoroso e così generoso da regalare ad altro il no-
stro medesimo avvenire.

Non è bello?... Sì... Se non possiedi una donna non la cono-


sci... Eh, sì... Come fai a conoscerla altrimenti?... Il sesso è la via
migliore per la conoscenza della donna... E se c'è la vera cono-
scenza arriva finalmente anche il vero amore... Soltanto che...
Oh, ma che caldo! Ogni tanto mi vengono delle vampate di cal-
do... Saranno i termosifoni che vanno fuori dai gangheri anche
loro ogni tanto... Ma chi lo sa!...

La scopata di Manganelli 36/25


Comunque, Manganelli è stato imbrogliato da me, perché
siccome io scrivevo poesie erotiche e lui credeva che avessi fat-
to chissà che cosa, invece ero una ragazzina e quando io ho fat-
to l'amore con lui, mi ha detto: "Ah, ma eri vergine?" Son rima-
sta di gesso io, però! E ma no, ma io e il Vanni siamo stati due
enfant prodige, due ragazzi cresciuti in fretta, due talenti, da
giovani eravamo già adulti, capisci?

Eh, sì... Però, sai... gli altri non lo sapevano e dicevano: "Que-
sta qui che scrive tutte queste parole d'amore... Boh, chissà co-
sa gli fa..." E invece era tutta fantasia, cosa dici?

Eh, sì... è così... Però io ho la disposizione ad amare uomini


alti, o no? Come il Nuti, il Manganelli, il Ravasi. Gli uomini pic-
coli non... me piasen mitiga trop, cosa dici? Eh, ognuno ci ha la
sua idea di... sì, la sua idea... dell'altro...
Dell'altro ideale che prima o poi si trova... Sì... Sì, sì, si trova...

Ma... ieri sera guardavo un film, c'era un giro di prostitute e


uno si avvicina a una prostituta e questa fa: "Ma, guarda, non
sei il mio tipo!"... E' buona anche questa...Cioè la prostituta dice
al cliente che non va bene, perchè non gli piaceva... E' bella, è
buona, no?... "Non sei il mio tipo, l'amore non mi viene bene..."

Va be', ci sentiamo dopo...

26/36 Alda Merini


Con Quasimodo gli anni passarono beati. Mi faceva lavorare
accanto ai suoi poeti, mi portava fuori ogni mercoledì e pagava
lautamente il mio lavoro, praticamente a giorni alterni. Aveva
un grande affetto per la moglie, Maria Cumani Quasimodo,
esperta di danza e grande signora, ma anche per il figlio picco-
lo che in casa bazzicava poco, ma era comunque una situazione
difficile.

La scopata di Manganelli 36/27


Avevo conosciuto uomini meravigliosi dei quali non avrei
potuto mentirgli per rispetto della loro compagna. E feci una
scelta atroce: mi sposai un operaio. Pensai nella mia testolina
giovane che un operaio sarebbe stato meno contorto ma di fat-
to più che catastrofico in questa vita privata, solitaria dove mio
marito non mi perdonava il fatto di scrivere, perchè voleva dei
figli più promettenti sul campo lavorativo. Penso alle tante la-
crime amare che ho dovuto spargere vedendo che i miei ragaz-
zini crescevano incolti e senza una vita sicura.

Sono certa però che mio marito mi volesse bene. Avevo scel-
to un uomo del tutto simile a Quasimodo, nero di capelli, con
baffi e passo spedito. In breve, vissi accanto a dei grandi mae-
stri senza quasi rendermene conto, ma la bramosia del figlio e
e della famiglia mi portarono per tutt'altra strada. Ero nata per
fare la mamma e mi trovai spiazzata. Volevano a tutti i costi la
Poetessa e basta, e raramente si era dato il caso che una poe-
tessa potesse essere anche una brava madre.

Questi uomini un poco mi amarono e un poco mi odiarono.


Ma siccome è difficile puntare tutto su una carta vincente, per-
demmo un po' tutti con tutte le mani giocate. Come facevano a
capire che Alda Merini sarebbe diventata qualcuno? Per loro lo
scrivere era un gioco. Comunque mi premiarono e prima di tut-
to Quasimodo nell'Antologia dei Poeti Italiani del dopoguerra
dandomi un posto di rilievo in questa prestigiosa raccolta.

Ma Maria Corti non ci vedeva chiaro, mi credeva un'arrivi-


sta. Ero semplicemente una donna appassionata che voleva
amare con la profondità dei suoi visceri e della sua mente. Ma a
quei tempi uno escludeva l'altro e accettai il manicomio come
unica scappatoia a quell'orrendo equivoco...

Quasimodo era un uomo molto dolce. Era nato per educare i

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ragazzi. Adesso sgridavo la mia donna perchè mi svuota sem-
pre il sacco della spazzatura e le dicevo: "Pensano tutti che io
faccia chissà quali banchetti"... Lei è una bugiarda, si è messa a
ridere, dicendo che quei sacchi mi ricordavano la via Sacchi,
dove abitava Vanni Scheiwiller e di conseguenza non volevo
che li portasse in cantina...

Mi sono salvata anche grazie agli insegnamenti di quel Cesa-


re Musatti che mi hanno insegnato a conoscere la mia mente.
Ogni volta che provo un grande dolore lo disfo come farebbe
Penelope e guardo filo per filo dove c'è quello che stride, mi di-
fendo dal dolore con un grande scudo: il grande scudo della
cultura e della poesia.

Ho detto che peraltro di natura sono molto gelosa, quindi


non sopportavo che Quasimodo in mia presenza telefonasse ad
altre donne. Un giorno raccolsi le mie cose e me ne andai, e fu
per sempre. Quasimodo non capì che ero gelosa ... perchè mio
padre era un uomo di grande cavalleria e di grande prestigio.
Mi sentivo offesa perchè per me il lavoro era una cosa seria ed
ero arrivata a vivere e a pagarmi gli studi facendo le tesi di lau-
rea. Ne feci 3 per dei medici che poi ebbero un sicuro avvenire,
ma ero così brava nello scrivere che pagavano le mie lauree e
poi s'innamoravano di me.
In fondo, tutto sommato, dovevo star sola: era veramente il
mio destino. Sola, contornata da un giro di sanguisughe e di
persone che si domandano come si fa a scrivere. Si fa a scrivere
quando si può, ma in fondo, come dice il grande poeta: "Non
cercare di capire la vita e allora la vita sarà per te tutta una fe-
sta"...

Nella vita non c'è niente da capire, però bisogna prendere


quei brandelli di felicità e degustarla come se fosse l'ultima be-
vuta sul campo. Ogni giorno, un bicchiere di birra fresca, un
bicchiere di Coca Cola, un bicchiere d'acqua, così è nato San

La scopata di Manganelli 36/29


Francesco. La spogliazione di tutte le avidità, la spogliazione di
tutte le speranze, in fondo a una vita di disperazione. Ma è di-
sperazione o è arroganza di fronte a Dio?

Dice bene Pasolini quando citando le mie scorribande gio-


vanili mi chiama un po' bestemmiatrice, e di fatti è vero: io gri-
do contro il Signore che mi ha fatto in un certo modo, perché
avrei voluto e, sembrerà strano, essere una donna comune. Co-
sì comune da assomigliare alla portinaia di casa mia.

30/36 Alda Merini


L'ultima volta che incontrai Quasimodo, eravamo nella sua
camera da letto, in corso Venezia. Un letto con tanto di baldac-
chino. Quasimodo mi faceva i complimenti, ma io lo abbracciai
e piansi sulla sua camicia di raso, appena stirata. Non gli dissi
che stavo per lasciarlo. Non ne avevo il coraggio. Ma forse più
che un grande amore, questo fu un profondo affetto per un
uomo che aveva una famiglia. Perchè io lasciavo ancora una
volta per quel maledetto amore per la solitudine.

La scopata di Manganelli 36/31


Ancora adesso quando bussano alla mia porta mi sento offe-
sa. Mio padre mi aveva deluso, aveva messo fine ai miei studi
per la nascita di mio fratello e io non potei laurearmi. Il mio
compito era quello d'insegnare, però a quelli che mi domanda-
no notizie sui miei amori, io non posso dire niente.

Avevo anche un altro compito gravoso: la mia famiglia. La


guerra, mia madre caduta in una profonda depressione, mio
padre in un campo di concentramento. Dovevo arrabattarmi
per cercare qualcosa per sfamare la mia famiglia, di mia sorella
non avevo più tracce.
Se i giovani che vengono a chiedermi che cos'è la gloria sa-
pessero quanto costa, credo che ne farebbero volentieri a me-
no. Ma mi facevo 40 giorni di monda tutto l'anno per portare a
casa un pugno di riso per la famiglia. Di mio padre non aveva-
mo notizie. Allevai mio fratello con tutto l'amore di una madre.
E di notte, non vista, facevo 30 chilometri a piedi per andare a
imparare il pianoforte. In quei tempi non ebbi mai un paio di
scarpe.
Siccome venivo da una buona famiglia non riuscivo a porta-
re gli zoccoli e i ragazzi del paese mi deridevano. Finalmente
finì la guerra e io ebbi la mala pensata, proprio di una giovi-
nezza scriteriata, di andare a scoperchiare la tomba di un Bea-
to per buttare all'aria il suo cappello. Tutto il paese mi corse
dietro con i forconi... E' buona questa qui, no?... Scoperchiai una
tomba in chiesa... Sì... Una come quella di Padre Pio, di vetro.
L'ho aperta per buttare all'aria il cappello del beato Pacifico.
Tutti che mi volevano massacrare... Cosa dici?... Buona, no?...
Ma ne facevamo davvero di tutti i colori, sai...

Per guadagnarci un pezzo di pane, aspettavamo i tedeschi,


fermi sulla strada e scoprendo un poco la gonna, ci davano su-
bito il pane bianco. A 15 anni mi ero innamorata di un soldato
tedesco che voleva portarmi in Germania, mia madre diventava
matta... Non avevamo più il senso della realtà... Sì…

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Cosa dici?... E' bella quella del Beato... Figurati... Tutto il pae-
se dietro: "Ciapela! Ciapela!"... Col forcone volevano infilzarmi...
Cosa dici?... Son scappata via... finchè ho preso un sacco di botte
dai paesani e niente... cosa vuoi farci?... "Il Beato! Il Beato! L'ha
tucà il Beat!"... Mi ricordo come fosse adesso... "El Beat Paci-
fic!"... Si chiamava Pacifico, in quel paese si chiamavano tutti
Pacifico o Tranquillo, capisci?... Cosa dici?...
Eravamo così disperati che ne facevamo di quelle... Poi arri-
varono i liberatori, tiravamo su un po' la gonna anche con loro,
anche se eravamo bambini... "Cià!"... Andavamo con le jeep...
andavamo nei paesi... Ci davano da mangiare... Gli americani...
Erano tutti belli bianchi e rosa... magnaven... Ma non è che ci
toccavano, ci aggregavano dietro... “Via! Andavum!"... Sì... ma
con cosa andavi?...No?... E noi dietro...

C'era di notte il mercato nero. Un sacco di roba che girava,


quanti soldi! Eh, è stato lì che si è arricchita la provincia... Mi vu
drè ai suldà, ai cines, lì, eh... Ma mia mamma non rispondeva
più, non trovava più il marito e si è lasciata andare... capita,
no?... Eh, io ero piccola... Eh, ma m'ingegnavo... cosa dici?

Andavo a cercar le uova, nelle aie... Eh, erano maledette


quelle contadine ... Lì... Erano cattive, ci chiamavano "i foresti",
i forestieri... "Gh'è chi na' furesta! Che la vor le uova!"... Quando
non me le davano, dicevo: "Ma ti venisse un cancro a te e alle
tue galline!"... Gli dicevo... Tuoni d'inferno... Erano avare quelle
suore lì.... No... Ma guarda, per un pezzo di pane... Pensa che fa-
cevamo il brodo di rane, non avevamo da mangiare... Proprio...
Io ho avuto i primi esaurimenti nervosi, perchè con l'età della
crescita, sai, non mangiare è il colmo... no?..

Avevamo una fame che avremmo mangiato anche il fratelli-


no appena nato, cosa vuoi? In più la paura, tante cose, mah!..
Eh... Che cos'era la guerra è proprio difficile da raccontare...
Bombe, fame, fughe...

La scopata di Manganelli 36/33


Finita la guerra è tornata un po' d'allegria... Ma quell'idea di
buttar all'aria il cappello del Santo, il Beato, è stata grandiosa...
cosa dici?... Intanto io ho fatta una roba che nessuno nemmeno
aveva mai pensato... Per quello che il Manganelli mi chiamava
la Bakunina. Ero un terremoto, io. Di fatti il Pasolini mi chia-
mava "quel ragazzaccio milanese". Mi aveva preso per un ma-
schio. Correvo come una lepre, pensa che non sempre son stata
immobile, adesso ho anche la gamba malata. Come correvo...
mamma, ero proprio un levriero! Capisci?.. Eh, va be'...

Comunque è bella questa storia, no?... E' bella... Sì...

EmmeBooks 249

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