Questo libro contiene tutti gli editoriali che Massimo Fini ha scritto
per il giornale La Voce del Ribelle di cui è il fondatore ed è stato
direttore politico. Si tratta, con tutta evidenza, di alcuni tra gli scritti
più aggressivi pubblicati negli ultimi anni. Il Fini de La Voce del
Ribelle spazia a tutto campo dalla politica alla finanza, dalla guerra
all'immigrazione, dai mass media alla democrazia per arrivare
persino al calcio. Come un pistolero nel far west mette nel mirino,
e spara, non sbagliando un colpo. E si permette anche di dare il suo
"giudizio universale", con tanto di voti, su tantissimi personaggi
pubblici. La postfazione soddisfa le curiosità di molti, perché
Valerio Lo Monaco, che de La Voce del Ribelle è da sempre il
direttore responsabile, racconta cosa significa conoscere
privatamente il giornalista Fini, ma anche l'uomo, con i suoi colpi di
genio, l'ironia, qualche ingenuità, e le sue sregolatezze.
Editoriali
Ribelli
Il Fini-pensiero
Neurodelirium Found.........................................65
Alì il Chimico, e gli altri ladroni?........................70
5
Ridateci il Totocalcio .......................................... 85
6
Io, Talebano
8
stupefacenti e mettendo in crisi le grandi organizzazioni
criminali legate, anche, a insospettabili classi dirigenti di
altrettanto insospettabili Paesi Occidentali.
9
l'esperimento talebano, cioè afgano, perché il regime del
mullah Ornar contava sull'appoggio della stragrande
maggioranza della popolazione, aveva pieno diritto. di
esprimersi in base al sacrosanto principio
dell'autodeterminazione dei popoli che è anche uno dei punti
fondanti del "decalogo" di Movimento Zero. Questo
esperimento era ideologicamente intollerabile per gli
occidentali, e poteva diventare anche estremamente pericoloso
se quella visione pauperistica del mondo, basata sui valori e
non sul dominio dell'Economia, del Denaro, della Tecnologia,
avesse contagiato altri popoli, altre menti, altri cuori. Ma
proprio per questo dico che la guerra all'Mghanistan (e non "in
Mghanistan" come ipocritamente la si chiama) è decisiva,
poiché è la lotta fra due visioni del mondo e del vivere
contrapposte e inconciliabili.
lO
molto più ampio: sono malattie della Modernità. Si affacciano
all'inizio dell'Ottocento, diventano un problema sociale per i
ceti benestanti alla fine del secolo, tanto che nasce la
psicoanalisi (Freud), e oggi coinvolgono, senza distinzione di
classe e di popoli, tutti coloro che vivono nel nostro modello di
sviluppo (in Cina, da quando è scoppiato il ''boom" economico,
cioè da quando ha aderito a questo modello, il suicidio è la
prima causa di morte fra i giovani e la terza per gli adulti).
L'alcolismo di massa nasce con la Rivoluzione industriale. Il
fenomeno inarrestabile della droga è sotto gli occhi di tutti. Lo
chiamano il migliore dei mondi possibili, ma noi tutti, ricchi e
poveri, lo viviamo con un disagio acutissimo e sempre
crescente. Per la velocità, le accelerazioni, i ritmi sempre più
forsennati e paranoici che impone, per l'alienazione che induce
nell'uomo separandolo dagli altri uomini e, alla fine, anche da
se stesso, per il fatto che in questo tipo di sistema l'individuo
non può mai raggiungere un momento di equilibrio, di
armonia, di pace. Colto un obiettivo deve inseguirne
immediatamente un altro, salito un gradino farne un altro e
poi un altro ancora e così via fino alla morte (''Produci,
consuma, crepa") per ciò costretto all'ineludibile meccanismo
ineludibile perché su questo si basa - che lo sovrasta. Questo
modello di sviluppo si fonda sulla frustrazione perenne. Come
ha detto a chiare lettere - ma considerandola cosa positiva
perché economicamente produttiva - Ludwig von Mises, uno
dei più estremi ma anche dei p i ù coerenti teorici
dell'industriai-capitalismo (ma il marxismo non è che l'altra
faccia della stessa medaglia industrialista).
(ottobre 2008)
12
E sen1pre siano lodati
gli speculatori
14
sapeva di avere. L'industrialismo, a differenza del commercio,
non si limita a trasferire beni, li crea. E una volta che li ha
creati ha la necessità di smerciarli. Di qui la perenne ricerca di
nuovi mercati, sia in senso verticale (introduzione di sempre
nuovi prodotti), sia in senso orizzontale, geografico,
conquistando, con le buone o con le cattive, a questo modello
di sviluppo altre civiltà, altre popolazioni, altre culture. È per
questo processo, durato due secoli e mezzo, che si è arrivati
all'odierna globalizzazione. Ma tutto ebbe inizio con la
Rivoluzione Industriale. È in quel momento che ciò che noi
chiamiamo Occidente finisce di essere una società tradizionale
per divenire una società "calda" come l'ha definita Lévi
Strauss. Le società tradizionali sono tendenzialmente statiche e
privilegiano l'equilibrio e l'armonia a scapito della
competizione, dell'efficienza economica e tecnologica. Quelle
"calde" sono invece dinamiche e scelgono l'efficienza e lo
sviluppo economico a danno però dell'equilibrio dato che
"producono entropia, disordine, conflitti sociali e lotte
politiche, tutte cose contro le quali.. . i "primitivi" si
premuniscono forse in modo più cosciente e sistematico di
quanto non supponiamo" (Lévi Strauss). Ma una società
"calda" ha nel suo stesso dinamismo la propria condanna. Non
solo perché con le sue accelerazioni forsennate (di cui quella
del denaro è solo il prepuzio) richiede agli esseri umani uno
sforzo continuo di adattamento e provoca stress, nevrosi,
depressione, anomia, angoscia, ma perché un modello di
sviluppo che si basa sulla crescita continua, che esiste in
matematica ma non in natura, il giorno che non può più
espandersi, implode, collassa su se stesso.
(novembre 2008)
16
Chi sialllo e
cosa voglian1o
"Il vuoto interiore non potrà mai essere riempito con le
scoperte o conquiste materiali esteriori, per quanto
straordinarie, anzi in questo modo non farà che allargarsi".
Così parlava verso la fine del 1400 Girolamo Savonarola. Del
resto nei secoli precedenti la Scolastica (Tommaso d'Aquino,
Nicola Oresme, Giovanni Buridano, Gabriel Biel, Molina de
Lugo) aveva condotto una lunga, e per molto tempo vincente,
battaglia non solo contro il profitto e l'usura ma anche contro
l'interesse puro e semplice e in quest'ultimo caso con
un'argomentazione assai sottile: il tempo è di Dio, cioè di tutti,
e quindi non può essere oggetto di mercato (se i neocon e i
teodem se ne fossero ricordati forse non saremmo giunti al
crack di oggi). Papa Alessandro VI, non volendo probabilmente
perdere troppo i contatti con i "tempi moderni", condannerà a
morte Savonarola e, con lui, la Chiesa perché nel giro di
qualche secolo l'Occidente sarà completamente desacralizzato.
Quando Nietzsche negli anni '8o dell'Ottocento proclama "la
morte di Dio" constata semplicemente, sia pur con un certo
anticipo, che Dio è morto nella coscienza dell'uomo
occidentale.
17
primi (ma, anche qui, ci sono precedenti assai più illustri nei
pensatori della 'cultura della crisi') a riprenderei, sia pur
barcollanti, dalla sbornia d'ottimismo e di positivismo indotta
dalla Rivoluzione scientifica e industriale, poi razionalizzata
dall'Illuminismo nelle due sue varianti, !iberista e marxista e
nelle loro successive declinazioni. Ma ci abbiamo messo più di
due secoli. Ciò che Savonarola profetizzava con tanto anticipo è
puntualmente avvenuto. Il consumo ha finito per consumare il
consumatore, ha rotto i nuclei costitutivi più profondi
dell'essere umano, l'ha reso un sacco vuoto o quasi. Se non
portasse sfiga potremmo quindi dire, come dicevano i
comunisti d'antan, che noi antimodernisti 'veniamo da
lontano'.
18
concettualmente: riportare l'uomo al centro del sistema, al
centro di se stesso, relegando economia e tecnologia al ruolo
marginale che avevano sempre avuto prima della rivoluzione
industriale. Come? Con un ritorno 'graduale, limitato e
ragionato' a forme di autoproduzione e di autoconsumo che
passano, necessariamente, per un recupero della terra e un
(dicembre 2008)
20
Noi e Lévi-Strauss
Lévi-Strauss ha compiuto cent'anni. Per questo, e oserei
dire solo per questo, dopo decenni di oblio, si è tornati a
parlare di lui. Claude Lévi Strauss, singolare figura di filosofo,
antropologo, strutturalista, linguista, ha infatti la grave colpa,
che condivide con un altro grande pensatore contemporaneo,
anch'esso oscurato, Karl Polanyi, interessato particolarmente
al versante economico, a una società che non sia, da questo
punto di vista, né marxista né !iberista, di non poter essere
catalogato né di destra né di sinistra. Colpa che neanche i suoi
cent'anni hanno potuto lavare se è vero che in questi mesi di
celebrazioni tutto si è detto di lui tranne che fermarsi sulla
parte più eterodossa e attuale del suo pensiero: il relativismo
culturale.
21
aspetti che non ci piacciono - che è l'arrogante pretesa che
domina oggi in Occidente - senza modificare profondamente
tutto il sistema e quasi sempre farne crollare l'impalcatura. E
questo è esattamente il motivo per cui ogni intervento
occidentale nelle società del cosiddetto Terzo Mondo e in
quelle ancor più arcaiche e primitive le ha disgregate
provocando sconquassi inenarrabili, creato ibridi incoerenti e
mostruosi e alla fine ha, di fatto, distrutto quelle civiltà. Come
è avvenuto per l'Islam se, sotto la pressione ideologica e
armata dell'Occidente, il ruolo della donna musulmana fosse
omologato a quello che ha da noi.
22
sostanzialmente. Perché, a due secoli e mezzo dalla
Rivoluzione industriale, usiamo constatare quale disagio
acutissimo abbia provocato nelle nostre vite, in termini di
stress, di angoscia, di tenuta nervosa, di depressione, di
anomia, il forsennato dinamismo, l'assurda velocità, del nostro
modello di sviluppo, rompendo oltretutto i rapporti fra gli
uomini e gli stessi nuclei costitutivi dell'essere umano,
privandolo dei suoi istinti, della sua vitalità, della sua essenza.
E questa è la ragione principale del nostro antimodernismo e
della nostra battaglia.
(gennaio 2009)
23
Elogio della filibusta
24
tonnellate carica di preziosissimo greggio, è durato quindici
minuti) e nello sganciarsi rifugiandosi in porti sicuri.
25
sacro regno saudita. Ma la nave catturata è solo una questione
. di affari». I denari che guadagnano li spendono degnamente,
come è d'uso fra i bucanieri di tutti i tempi: a donne.
(febbraio 2009)
26
Prezzolini: il vizio
inguaribile della
indipendenza
27
A New York, per un modesto stipendio, insegnò italiano alla
Columbia University. Sfangava una vita durissima in una
"penthouse", caldissima d'estate, fredda d'inverno. Nel
dopoguerra collaborava, sempre per poche lire, al Resto del
Carlino che senza alcun riguardo alla sua età (aveva ormai
quasi ottant'anni) lo mandava in giro per le Americhe e il
Canada come inviato. Ma finché restò in America tenne botta
magnificamente, come fosse un giovane cronista. Quando nel
1962 , dopo la morte della prima moglie, decise di rientrare in
Italia, stabilendosi a Vietri sul Mare, crollò di colpo,
fisicamente. Nei suoi Diari ci sono delle descrizioni impietose
di questa decadenza. L'aria d'Italia, paese, per eccellenza, dei
"furbi", non era fatta per lui. Nel 1968 si trasferì quindi a
Lugano. Quando qualcuno gli chiese le ragioni di questo
secondo espatrio rispose: «Dovete capire che un uomo della
mia età ha bisogno di un luogo dove i sì siano dei sì e i no dei
no, non degli eterni ni».
(febbraio 2009)
29
Distruggiaino i Inedia
30
la vita ma la sua parodia. Il problema, dicevo, è
nell'informazione in quanto tale. Non però nella sua essenza,
ma nella quantità, nelle dimensioni che è venuta assumendo
fino a schiacciare, soffocare la vita reale che, certo, c'è ancora
ma ha un posto sempre più marginale di fronte alla
sproporzione dei media.
(marzo 2009)
32
Occidente e
Mghanistan: tra Viagra
e disinforinatia
33
"enfants de pays" aveva inseguito e raggiunto i banditi, li aveva
sconfitti liberando le ragazze e, per buona misura ed esempio,
aveva fatto impiccare il capo della banda all'albero della piazza
del suo paese. E si era comportato nello stesso modo quando,
poco dopo, erano state sequestrate altre due ragazze in un
villaggio vicino. Questa era la sua maniera di difendere la
dignità della donna (in Occidente ci riempiamo la bocca con la
"dignità della donna", ma quando una ragazza viene stuprata
in pieno giorno nel centro di una città, gli strenui difensori di
questa dignità si girano dall'altra parte).
35
Talebani, dopo averli sconfitti, li avevano cacciati dal Paese.
L'Mghanistan era un Paese sicuro. Bastava rispettare la dura
l e g g e i m p o s t a d a i T a l e b a n i . G i n o S t r a d a , c h e in
quell 'Mghanistan ci ha vissuto, mi ha raccontato che vi si
poteva girare, in tutta tranquillità, anche di notte. Nel 2001 il
Mullah Ornar impose e ottenne che i contadini non coltivassero
più il papavero da cui si ricava l'oppio. Un risultato
straordinario, quasi miracoloso se si pensa ad altre situazioni
come, per esempio, la Colombia. Ma documentato e
inoppugnabile: se si guardano i diagrammi si vede che nel
200 2 (anno in cui rileva il prowedimento del Mullah preso nel
2001) la produzione di oppio in Mghanistan crolla quasi a
zero. Con la nostra invasione e occupazione abbiamo distrutto
un Paese che, dopo dieci anni di conflitto con l'Unione
Sovietica e sei di guerra civile, aveva trovato un suo equilibrio e
un suo ordine, sia pure un duro ordine.
37
potere, da cui sono stati spodestati con la violenza, nel loro
Paese, l'Mghanistan non costituirebbe un pericolo per
nessuno. Non è dotato, a differenza del Pakistan, dell'atomica,
non ha mai posseduto, a differenza dell'Iraq, "armi di
distruzione di massa", è armato in modo antidiluviano e nella
sua lunga storia non ha mai aggredito alcun Paese, né vicino né
lontano. Gli afgani si sono sempre fatti gli affari loro.
(aprile 200 9)
Iran e Israele: di chi
avere paura?
39
un missile a lungo raggio da abbinare alla realizzazione di un
ordigno atomico. Gli Stati Uniti sono pronti ad usare tutti gli
strumenti della propria potenza nazionale per indurre l'Iran a
e s s e re u n m e m b r o r e s p o n s a b i l e d e l l a c o m u n it à
internazionale". Un doppio processo alle intenzioni, perché, al
momento, c'è solo il satellite e nessun missile a lunga gittata
né, tantomeno, c'è un ordigno atomico. Che, dall'altra parte,
dalla parte di Israele, l'ordigno atomico ci sia e i missili a lunga
gittata pure, non deve invece destare alcuna preoccupazione.
(maggio 2009)
41
Milis ! (altro
che Noen1i . . . )
43
reati, dovrebbero essere fatti suoi, come quelli di ogni altro
cittadino, altra è la sentenza di un Tribunale che, sia pur in
primo grado, ha accettato che il presidente del Consiglio ha
corrotto un testimone perché dichiarasse il falso. Questo lo
capisce anche un bambino, purché non sia di sinistra.
(giugno 2009)
45
La den1ocrazia
secondo Gheddafi
(luglio 2009)
49
Fuori dalla Nato
fuori dall'Afghanistan
so
non ha più senso. Ne paghiamo tutti i pedaggi, come un tempo,
senza averne, a differenza di un tempo, i vantaggi. Per la verità
dubbi sulla Nato sarebbero dovuti venire già a metà degli anni
Ottanta quando Ronald Reagan in un momento di stanchezza
o di ubriachezza o di inizio di Alzheimer o di brutale sincerità
si lasciò sfuggire che «l'Europa può essere teatro di una guerra
nucleare limitata». Cioè che non era affatto scontato, come
pensavano gli alleati europei, che se l'Urss avesse sganciato
l'atomica su B o n n o su R o m a s a r e b b e r o p a rtiti
immediatamente dagli Stati Uniti dei missili nucleari diretti a
Mosca, ma sarebbero stati indirizzati su Praga o Sofia o
Bucarest, lasciando intoccate le due Superpotenze.
51
settembre e della lotta al terrorismo internazionale. Ma oggi, a
otto anni di distanza, l'Afghanistan non c'entra più nulla col
terrorismo, ammesso che ci abbia mai avuto a che fare. Bin
Laden - che, come ho documentato in altra occasione,
costituiva un problema anche per il governo del Mullah Ornar -
52
piuttosto nello Yemen, dove sono protetti dal governo, o in
Giordania, in Arabia Saudita, in Egitto dove possono
mimetizzarsi facilmente fra la popolazione per preparare in
tutta tranquillità i loro eventuali attentati?
(settembre 2009)
53
Altro ch.e sdegno
54
Spiace, ma è doveroso dirlo: l'attacco ai Lince italiani era
perfettamente legittimo perché diretto contro un obbiettivo
militare. Dobbiamo piantarla di negare a chi ci combatte (a chi
combatte un esercito occupante) la legittimità del combattente,
considerandolo semplicemente un criminale (criminali sono i
Talebani, criminali erano gli iracheni, criminale era Milosevic)
e riservando questa legittimità solo a noi.
55
che dice quale sia la reale situazione in Mghanistan e chi
controlli il territorio.
(ottobre 2009)
57
Fukuyaina reloaded
Dopo il crollo dell'Unione Sovietica, nel 1989, il politologo
americano di origine giapponese Francis Fukuyama in un libro
intitolato "The End of the History and the Last Man" decretò
perentoriamente che la Storia era finita. Poiché le democrazie
avevano sconfitto, dopo i nazifascismi, anche il loro ultimo
avversario, il comunismo, non c'era più nulla da fare né
obbiettivo da perseguire e l'Occidente poteva godersi
serenamente il suo trionfo per l'eternità.
ss
le popolazioni che, per pura maleducazione, non sono ancora
democratiche a diventarlo. È insito in ogni progressismo e
storicismo, di destra e di sinistra, la convinzione che la Storia
umana abbia un fine e quindi, dovendo questo fine essere
prima o poi raggiunto, anche una fine. Tesi paranoica perché la
Storia finirà solo quando anche l'ultimo uomo avrà esalato
l'ultimo respiro, che ha come unico sostegno la nostra
disperazione perché che la Storia non abbia un fine e quindi
l'umanità un senso è un boccone troppo amaro da mandar giù,
ma particolarmente ridicola e infantile se applicata alle
istituzioni politiche e proprio alla luce della Storia. Quasi tutti i
regimi politici si sono pensati come eterni in quanto migliori
degli altri. Anche Hitler profetizzava un "Reich dei mille anni"
e abbiamo visto come è andata a finire. Sembra rendersene
conto persino Fukuyama che in quel libro scriveva: «Anche
altre epoche, meno riflessive della nostra, hanno pensato di
essere le migliori». Poi però lo sciagurato aggiungeva: «Ma noi
siamo arrivati a questa conclusione stanchi, per così dire,
dell'aver cercato alternative che secondo noi dovevano essere
migliori della democrazia liberale» (Devo dire che l'ingenuità
di questo Fukuyama è quasi commovente. Mi ricorda un mio
amichetto d'infanzia, Paolo Mosca, il quale una volta che,
tredicenni, assistevamo alla messa mi disse: «Lo sai che ci
sono anche tante altre religioni oltre la nostra e che ognuna
crede di essere l'unica vera? Pensa come siamo stati fortunati
noi a nascere in quella davvero vera»).
(novembre 2009)
6o
ln1rnigrati
e globalizzazione
61
colonialismo classico, senza per questo volerlo minimamente
giustificare, si limitava a conquistare territori e a rapinare
materie prime di cui spesso gli indigeni non sapevano che farsi,
ma poiché le comunità dei colonizzatori e dei colonizzati
rimanevano separate e divise poco cambiava per questi ultimi
che continuavano a vivere secondo la propria storia, tradizioni,
costumi, socialità, economia. Il colonialismo economico,
invece, non conquista territori ma mercati - di cui, anche se
poveri, ha estremo bisogno perché, per quanto il mondo
industrializzato continui a produrre sempre nuove e
meravigliose inutilità, i suoi sono sostanzialmente saturi - e per
farlo deve omologare le popolazioni del Terzo Mondo alla
nostra "way of life'', ai nostri costumi, possibilmente anche alle
nostre istituzioni, per piegarle ai nostri consumi.
Oggi per i Paesi del Terzo Mondo è ormai tardi per opporsi.
Sono troppo deboli, politicamente e militarmente, sfiancati,
dilaniati da guerre intestine che noi abbiamo provocato.
La globalizzazione ha continuato a marciare, inesorabile. E
poco importa che attualmente sia la Cina, entrata a pieno titolo
nel modello di sviluppo occidentale, a menare la danza e a
comprare terre grandi come province, come regioni, in Africa o
in altri Paesi terzomondisti. Il risultato non cambia.
Anzi peggiora.
(dicembre 2009)
Neurodeliriuin Found
6s
mentre il pur timorato Casini aveva invocato una "union
sacrée" contro il Cavaliere che andasse dall'Udc a Rifondazione
comunista, Di Pietro incluso. Ed ecco che spunta un Tartaglia
che, alla modica spesa di un naso e due denti rotti,
l'equivalente di un pugno ben assestato, riporta tutti a rigar
dritto. Napolitano ha ripreso a recitare, rosario in mano, la
consueta giaculatoria («abbassare i toni»), la cosiddetta
opposizione ha promesso collaborazione, Casini ha ritirato la
sua proposta, Sabina Guzzanti, davanti all'immagine del
premier insanguinato, è scoppiata in singhiozzi Oe tipe non
dovrebbero fare politica, hanno una sensibilità perennemente
mestruata e la lacrima facile) e Berlusconi ha potuto calarsi
nella parte in cui, nella sua proteiforme personalità, più
eccelle, quella della vittima. Dimentico di tutte le sue
prepotenze e violenze, non solo verbali, si è inventato il
"Partito dell'Amore" contro quello dell'Odio (e già questa è una
manifestazione di odio) e si può star certi che il suo ruolo di
martire gli consentirà di far approvare tutte le leggi che gli
premono: un nuovo "lodo Alfano", il "legittimo impedimento",
il demenziale "processo breve", il divieto di intercettazioni
telefoniche per i reati di "lorsignori", l'abolizione del reato di
"concorso esterno in associazione mafiosa" che, a mio parere, è
giusta ma che sarà riservata solo ai politici e agli
a m m i n i s t r a t o r i p ub b l i c i in o m a g g i o al p r i n c i p i o
dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge.
66
Mammona, che è pressoché impossibile trovarne il filo.
Lasciamo quindi questo lavoro ai vaticanisti.
(gennaio 2010)
Alì il Chin1ico, e gli
altri !adroni?
71
dalla faccia della terra, come meritava, si trovò saldamente in
sella e pieno d'armi. E, per prima cosa, secondo i desiderata
americani, le usò contro i curdi. Nel 1988 "gasò" la cittadina di
Halabya uccidendone tutti i sooo abitanti. Io, che avevo dei
buoni informatori in Iran, lo seppi e pubblicai la notizia su
l'Europeo ma, benché l'Europeo fosse allora un settimanale di
prestigio e di notorietà internazionale, nessun giornale
occidentale, che io sappia, la riprese. Saddam era allora un
alleato dell'Occidente e non "istava bene" far sapere che faceva
queste brutte cose.
(febbraio 2010)
73
Si avvicina l'ora
del sangue
75
potere e dei vantaggi e dei privilegi che vi sono connessi. E il
nemico mortale di un oligarca non è tanto un altro oligarca, col
quale si può sempre trovare un accordo se non addirittura
mettersi insieme per combinare certi loschi affari bipartisan,
come abbiamo potuto ben vedere, grazie alle indagini della
Magistratura, dal 1992 ai giorni nostri. Perché si fa parte della
stessa classe, si partecipa allo stesso gioco, ci si sbertuccia di
giorno davanti agli schermi della Tv e si va a cena la sera,
strizzandosi l'occhio, quasi increduli per aver fatto il colpo alla
Ruota della Fortuna, e irridendo, come faceva il sindaco di
Milano Pillitteri mentre incassava le tangenti, a «quei pirla che
non hanno capito come va il mondo».
76
il pedaggio che il vizio paga alla virtù». In questo senso l'Italia,
Paese da sempre laboratorio (qui, con i mercanti fiorentini e
piacentini, è nata la Modernità, qui si affermò il fascismo padre
di ogni totalitarismo novecentesco) , è estremamente
interessante. Perché con la sua corruzione proterva, esibita,
impudente e imprudente smaschera la vera natura delle
democrazie, anche di quelle che la occultano più abilmente.
(marzo 2010)
77
Il 40% se ne fotte
79
Sia pur lentamente, anche perché da noi, in anni lontani, la
passione politica è stata una cosa seria, e qualcosa di quel
retaggio rimane, gli italiani stanno capendo quale truffa sia la
democrazia rappresentativa, almeno dalle nostre parti.
(aprile 2010)
Bo
25 aprile. La verità
81
E il torto non della Resistenza, ma della sua asfissiante
retorica che ci perseguita ormai da più di mezzo secolo, è di
aver ingenerato il pericoloso e non innocente equivoco che
l'Italia si sia riscattata in libertà dalla dittatura e
dall'occupazione nazista in virtù della lotta partigiana e non
grazie alle truppe angloamericane, marocchine, indiane e
persino dei razzisti sudafricani.
82
E quel prezioso libretto, se dipendesse da me, lo farei
distribuire nelle scuole al posto di tanti manuali di retorica
della Resistenza e dell'Antifascismo. Savinio scriveva anche:
«TI nostro territorio non siamo stati noi a liberarcelo ma altri
ce lo hanno liberato, la nostra libertà di opinione non ce la
siamo conquistata ma altri ce l'hanno data».
(maggio 2010)
Ridateci il Totocalcio
ss
La parabola dell'Inter è un buon esempio per capire che
cos'è diventato il calcio, come si è trasformato, come è stato
conciato.
86
Il calcio era anche, per dirla con Gramsci, una grande festa
nazional-popolare, interclassista, con importanti funzioni
sociali. Allo stadio il piccolo e medio imprenditore sedeva
accanto al suo operaio ritrovandosi, magari, nel tifo per la
stessa squadra. Oggi la politica degli abbonamenti e dei prezzi
ha tolto al calcio da stadio il suo connotato interclassista: la
suburra va dietro alle porte, gli altri, a seconda del loro status,
nelle diverse tribune (eppoi ci si lamenta perché una massa di
giovani senza speranza, non più mischiati fra il pubblico ma
concentrati nello stesso spazio, diventa turbolenta e si dà ad
atti di teppismo). Nel frattempo le pay tv e le pay per view
hanno dato il colpo finale al calcio come "festa di tutti", al suo
senso comunitario, sequestrandolo in buona parte a favore dei
più abbienti (e basterebbe questo per legittimare una
rivoluzione).
(giugno 2010)
88
Poveri afgani son
diventati ricchi
91
molti colpi. E caccia questi infami sporcaccioni dal tuo Paese
prima che lo distruggano definitivamente.
(luglio 2010)
92
Legittiina la fucilazione
dei "cristiani"
93
Sul Corriere della Sera, in un articolo con un lacrimoso
titolo alla Uala: «Quei medici "colpevoli" di amare. Uccisi per
ribadire il potere dell'odio», Andrea Riccardi accusa i Talebani
di «avere una visione del mondo in cui loro rappresentano il
bene e lo difendono con tutti i mezzi contro gli agenti del male,
gli occidentali». lo non so se i Talebani afgani si credano
dawero il Bene, quel che è certo è che noi occidentali li
abbiamo preceduti su questa strada invadendo e occupando
l'Afghanistan proprio perché pensiamo di essere il Bene che si
batte contro il Male, i Talebani, e pretendendo perciò di
sostituire con la nostra cultura e i nostri valori la loro cultura e
i loro valori tanto diversi dai nostri (non migliori né peggiori,
diversi). Del resto non è stato George W. Bush a inventarsi
«l'asse del Male»?
N o i v o r r e m m o u s c i r e da queste e l u cub r a z i o n i
pseudoreligiose, nient'affatto innocenti, e riportare la
94
questione su una base laica. Durante la seconda guerra
mondiale (l'ultimo conflitto con regole, con formali
dichiarazioni di guerra non mascherate da ambigue e ipocrite
"operazioni di pace") non sarebbe stato nemmeno concepibile
che un'équipe di medici tedeschi animati dalle migliori
intenzioni operasse al di là delle linee inglesi (o viceversa).
Sarebbero stati fucilati o imprigionati come collaborazionisti. E
nessuno si sarebbe scandalizzato. Negli Stati Uniti, sempre
durante la seconda guerra mondiale, decine di migliaia di
italiani, di tedeschi, di giapponesi, anche se residenti negli Usa
da tempo, anche se di cittadinanza americana, furono internati
in campi di concentramento e i loro beni confiscati perché
"spie potenziali" benché il danno che avrebbero potuto
arrecare in una guerra che si svolgeva a diecimila kilometri di
distanza fossero minimi, diversamente da chi, della stessa
nazionalità degli occupanti, opera nel pieno della zona di
guerra, come avviene in Mghanistan.
(settembre 2010)
Come l'Occidente ha
devastato l'Mghanistan
98
risulta da un documento del Dipartimento di Stato americano
dell'agosto 2005.
Comunque sia oggi Bin Laden non c'è più e in. Mghanistan
non ci sono più nemmeno i suoi uomini. La Cia, circa un anno
fa, ha calcolato che su so mila guerriglieri solo 359 sono
stranieri. Ma sono ubzechi, ceceni, turchi, cioè non arabi, non
waabiti, non appartenenti a quella Jihad internazionale che
odia gli americani, gli occidentali, gli "infedeli" e vuole vederli
scomparire dalla faccia della terra. Agli afgani, e quindi ai
Talebani, interessa solo il loro Paese. Il Mullah Ornar, come
scrive Jonathan Steel, inviato ed editorialista del Guardian
nella sua approfondita inchiesta "La terra dei taliban" più che
un leader religioso è un leader politico e militare. A lui (come
ai suoi uomini) interessa solo liberare la propria terra dagli
occupanti stranieri così come aveva già fatto combattendo,
giovanissimo, contro i sovietici, rimediando la perdita di un
occhio e quattro gravi ferite. E sarà pur lecito a un popolo o a
una parte di esso esercitare il legittimo diritto di resistere ad
un'occupazione straniera, comunque motivata. L'Mghanistan,
nella sua storia, non ha mai aggredito nessuno (caso mai è
stato aggredito: dagli inglesi, dai sovietici e oggi dagli
occidentali) e armato rudimentalmente com'è non può
costituire un pericolo per nessuno.
99
pieno arbitrio e vessavano in ogni modo la popolazione (un
camionista, per fare un esempio, per attraversare l'Mghanistan
doveva subire almeno venti taglieggiamenti). I Talebani furono
la reazione a questo stato di cose. Con l'appoggio della
popolazione che non ne poteva più, sconfissero i "signori della
guerra", li cacciarono dal Paese e riportarono l'ordine e la legge
nel Paese. Sia pur un duro ordine e una dura legge, quella
coranica, che comunque non è estranea alla cultura e alla
tradizione di quella gente come invece lo è per noi. In ogni caso
la popolazione afgana dimostrò di preferire quell'ordine e
quella legge al disordine e agli arbitri di prima.
100
piuttosto che alla corrotta magistratura del Quisling Karzai
dove basta pagare per avere una sentenza favorevole.
101
stime dell'Onu non sono credibili perché una recente inchiesta
ha rilevato che in almeno 143 casi i comandi alleati hanno
nascosto gli "effetti collaterali" provocati dai bombardamenti
indiscriminati sui villaggi. Vorrei anche rammentare, in queste
ore di pianto per i nostri caduti, che anche gli afgani e persino i
guerriglieri talebani hanno madri, padri, mogli e figli che non
sono diversi dai nostri. Inoltre in Mghanistan sono tornati a
spadroneggiare i "signori della guerra" alcuni dei quali, i
peggiori come Dostum, un vero pendaglio da forca, sono nel
governo del Quisling Karzai.
(ottobre 2010)
104
Serbia. Il
capro espiatorio
105
fece fuori, tra gli altri, l'Olanda del borioso Van Basten che
sbagliò un rigore decisivo).
108
Infine - ma questo vale per tutti gli Stati occidentali -
pretendendo a tutti i costi di legittimare l'indipendenza del
Kosovo abbiamo creato un precedente molto insidioso. Perché
un territorio non appartiene solo a chi ci vive e a chi ci abita in
quel momento, ma anche alle generazioni che, in passato, ci
hanno abitato, ci hanno vissuto e l'hanno lavorato facendolo
diventare quello che è. Se fra cinquant'anni, in Piemonte, ci
fosse una maggioranza di cittadini musulmani che ne
reclamasse l'indipendenza dall'Italia, con quali ragioni
potremo negare a costoro quello che abbiamo dato,
legittimandolo come un diritto, agli indipendentisti albanesi?
È uno dei tanti "effetti paradosso", e che ci girano
regolarmente nel culo, delle guerre americane e occidentali
degli ultimi vent'anni.
(dicembre 2010)
109
Giudizio Universale
AFGHANISTAN
PERSONAGGI INTERNAZIONALI
POLITICI EUROPEI
111
POLITICI ITALIANI
112
GIORNALISTI, INTELLETTUALI & AFFINI
113
CALCIO
(gennaio 2011)
114
Un Paese che non
. . '
esiste p1u
n6
ministro della Difesa, del ministro degli Esteri, e i lamenti
vanno avanti per una settimana. In Mghanistan gli inglesi
hanno perso, a tutto il 2010, 347 uomini e li hanno onorati,
com'è giusto che sia, ma con molta maggiore sobrietà. Il nostro
è un Paese che ha perso il senso della dignità, del decoro, del
pudore dove ognuno si sente autorizzato a rovesciare le proprie
viscere, i propri sentimenti più intimi, in pubblico, purché sia
davanti a una telecamera.
(febbraio 2011)
117
Libia: in1barazzo
• • •
e lpOCflSla
n8
legittimità di quella imperante, del tutto reale. Fu una bella
pedagogia per i popoli arabi e di tutto il mondo: la democrazia
vale solo se le elezioni le vinciamo noi o i nostri amici,
altrimenti son meglio i dittatori, purché proni ai nostri voleri.
rapporto di denaro».
(marzo 2011)
121
Colonialisn1o tern1inale
122
far questo deve omologare la mentalità, la socialità,
l'economia, le tradizioni, i costumi, possibilmente anche le
"
istituzioni e, insomma, la way of life" dei popoli indigeni alla
nostra per poterli piegare ai nostri consumi.
(aprile 2011)
125
Ecco i veri terroristi
127
paramilitari serbe ('le tigri di Arkan') difendevano, con metodi
brutali e in un caso con un eccidio di civili (Rakak, 205 morti),
una terra che era sempre stata loro. Erano quindi di fronte
come spesso succede, due ragioni: quella dei serbi non erano
minori di quelle degli indipendentisti albanesi. Un territorio
infatti non appartiene solo a chi ci vive in quel momento, ma
alle generazioni che per secoli lo hanno lavorato e reso quello
che è. Ma gli americani decisero che la ragione stava solo dalla
parte degli albanesi e, contro la volontà dell'Onu (che è come la
pelle dei coglioni, va su e giù: l'Onu diventa fondamentale e le
sue risoluzioni fan legge quando dà il suo assenso, se non lo dà,
anzi è contraria, chissenefrega), bombardarono per 72 giorni
una grande capitale europea come Belgrado facendo ssoo
morti, di cui soo proprio fra quegli albanesi che si pretendeva
di difendere. Per gli Usa si trattava di costituire un cuneo di
musulmanesimo moderato (Albania+ Bosnia+ Kosovo) nei
Balcani ad uso del loro alleato turco. Nei Balcani fu favorita, a
danno della Serbia, paracomunista ma pur sempre cristiana e
ortodossa, quella componente islamica che oggi provoca le
isterie Fallaci-Allam-style. In compenso oggi in Kosovo c'è la
più grande base americana nel mondo.
(maggio 2011)
129
La giustizia dei vincitori
È molto probabile, per non dir certo, che Mladic si sia reso
responsabile di violenze che esulano dallo 'ius belli', anche se
. dopo l'abbattimento di quasi tutti i principi di diritto
internazionale da parte dell'Occidente non si sa più bene quale
sia questo 'ius', cioè quel particolare diritto che vige in tempo
di guerra. Man mano che l'egemonia delle democrazie
occidentali, a guida americana, diventa totalitaria, lo 'ius belli'
tende a coincidere sempre più con la forza. La forza del più
forte. Ciò che era illecito, per esempio l'ingerenza negli affari
interni di uno Stato sovrano, è diventato lecito, basta
chiamarlo "missione di pace" (vedi Libia e, prima ancora, la
stessa Serbia). Ciò che era lecito è diventato illecito se
commesso dai vinti (una delle accuse a Mladic è di aver
assediato per tre anni Sarajevo, ma quando mai, in guerra, è
stato considerato illecito l'assedio di una città?).
130
settimanale The Nation del 1 dicembre 1945= "Chiunque
conosca la storia del diritto penale sa quanti secoli, quanti
millenni ci sono voluti per affermare la forza del diritto contro
il diritto della forza". E Benedetto Croce in un discorso tenuto
all'Assemblea Costituente il 24 luglio 1947, affermava: "Segno
inquietante di turbamento spirituale sono ai giorni nostri
(bisogna pur avere il coraggio di confessarlo) i tribunali che
senza alcun fondamento di legge, che il vincitore ha istituito
per giudicare, condannare e impiccare, sotto nome di criminali
di guerra, uomini politici e generali dei popoli vinti,
abbandonando la diversa pratica, esente da ipocrisia, ove un
tempo non si dava quartiere ai vinti o ad alcuni di loro e se ne
chiedeva la consegna per metterli a morte, proseguendo e
concludendo con ciò la guerra". Erano principi liberali,
espressi da grandi liberali, quando i liberali esistevano ancora.
132
loro era negato. Se quella guerra l'avessero vinta, come
l'avevano già vinta se non ci fosse stata la solita intromissione
occidentale nelle guerre altrui in nome dei 'diritti umani' (solo
le guerre che facciamo noi sono 'giuste', quelle degli altri sono
sempre 'criminali'), oggi Ratko Mladic, invece di sedere,
pallido ectoplasma dell'uomo che fu, sui banchi del Tribunale
dell'Aja, sarebbe un eroe nazionale serbo. Ma l'attuale
presidente Tadic, che ha ridotto la Serbia a un protettorato
americano, se lo è venduto per avere il lasciapassare per
entrare nella Unione Europea. Che, visti gli esiti in Grecia e i
traballamenti di altri Paesi europei, Italia inclusa, non si
capisce nemmeno quali vantaggi porti.
(giugno 2011)
1 33
Al contrario sul
tapis roulant
134
Non è una semplice, e sia pur importante, questione di
passaggio, ma di costi economici e umani. E la Val di Susa
serve solo da esempio. L'interrogativo infatti è globale e non
riguarda solo, e tanto, la paradossale immobilità relativa di un
mondo che va sempre più veloce, ma il senso di questa
continua accelerazione, nelle comunicazioni, reali e virtuali,
nella produzione, nei consumi, nell'inseguimento del mito
moderno della crescita indefinita. Dove ci porta questo mito?
135
aumentarla, non è che stiamo, inevitabilmente, accorciando il
nostro futuro?". "Ah, ma lei è un filosofo" disse lui, sorpreso. E
con questo cadde defi n itiva m e n t e nella già poca
considerazione che avevo per lui, perché la domanda mi pareva
ovvia.
(luglio 2011)
137
Dentocrazia: una truffa
da abbattere
139
fare assolutamente nulla, come i nobili dell'ancien régime, non
siamo che asini al basto, pecore da tosare.
140
Finanza, concussore della polizia (caso Ruby), creatore di
colossali "fondi neri", campione dell'evasione e dell"'elusione",
ci insulti impunemente e altrettanto impunemente violi quelle
leggi che noi cittadini siamo chiamati invece a rispettare?
(settembre 2011)
14 1
Postfazione: tenerissin1a
canaglia
143
suo Torino (figuriamoci, per me, dopo una sconfitta in un
Roma-Torino). Al massimo lo si può fare a campionato quasi
finito, e solo se il toro è ormai ampiamente in zona salvezza.
144
cricche, dei suoi clan. Perché Massimo, oltre ai vari, eventuali,
e onnipresenti rompicoglioni che gli girano attorno per i motivi
più disparati ma con l'unico evidente obiettivo di trarne
qualche vantaggio, ha delle cerchie più ristrette dove davvero si
sente a suo agio (per il resto, temo, a suo agio non si sente
altrove quasi mai, salvo nei bar e nelle osterie dove parla con
chiunque, anzi ascolta chiunque). Una di queste cricche è
quella del teatro, che creò assieme a Eduardo Fiorillo in
occasione dello spettacolo Cyrano, attraverso il quale tornò in
orbita dopo un periodo piuttosto lungo di esclusione mediatica
per via degli anatemi che gli sono stati lanciati qui o là,
soprattutto dopo aver pubblicato "il Vizio O scuro
dell'Occidente". Poi c'è quella dei giornalisti. Li conosce tutti,
lo conoscono tutti, qualcuno in pubblico fa finta di non
conoscerlo, ma lui ne apprezza veramente pochissimi. E si
tratta, spesso, di giornalisti semi-sconosciuti alle masse.
145
Ha un condizionatore Massimo, ma non lo ha mai acceso.
Proprio mai. «Mi sono deciso a metterlo più per precauzione
che per altro. Il solo fatto di sapere di poterlo accendere mi
rassicura. Ma non saprei neanche comefare». Gli credo, visto
che vive da solo fatta eccezione per una anziana signora
gentilissima che va lì ogni mattina, che lui chiama
"governante" ma che secondo me è più che altro una perpetua.
Que sta signora praticamente gli cura ogni aspetto
dell'esistenza materiale, dalla spesa al cibo alle bollette da
pagare. Per il resto devo dire che ho l'impressione che
Massimo viva in una sorta di mondo parallelo. Totalmente
refrattario all'attualità da televisione. Ogni tanto gli chiedo
cosa ne pensi di questo o quell'altro tizio, che in qualche modo
è arrivato alla ribalta delle cronache, e lui mi risponde «e cosa
sarebbe questo?». Non cosa, ma chi, Massimo. Comunque.
Altre volte mi sorprende chiedendo a me cose attualissime, che
qualche sua amica giovanissima gli ha raccontato, e delle quali
sono io a non sapere nulla. Un mondo tutto suo, un filtro tutto
suo, come se perdendo mano a mano la vista abbia sviluppato
ben altri sensi, oltre alla capacità visionaria che gli
riconosciamo da decenni. E comunque Massimo è del tutto
estraneo al benché minimo afflato per il consumo di oggetti, di
vestiti e di qualsiasi altra diavoleria della modernità. Per dire:
ha un computer Appie, a casa. Che a memoria d'uomo nessuno
ha mai visto acceso, tranne forse la sua segretaria che gli cura
un po' di operazioni di routine, come leggere le email che gli
arrivano dal suo sito. «Ho fatto una sola volta l'errore di
rispondere direttamente, e privatamente, a un lettore che mi
aveva scritto. Se l'è presa perché non ho più risposto alle sue
lettere successive e mi ha dato dello stronzo». Ecco, questa è
una cosa che mi rendo conto sia difficile da capire e da
accettare lì fuori: il rapporto tra uno come Massimo e un
lettore è sì di fedeltà, nei fatti di condivisione e se vogliamo di
complicità, ma non può essere un rapporto "uno a uno". Per il
semplice motivo che Massimo è uno mentre gli altri sono
"molti". Da qui dunque l'impossibilità di poter instaurare un
rapporto privato con tutti, o con molti. E da qui, pertanto, la
necessità assoluta di mettere a punto dei limiti. Non per
divismo, ma proprio per mera sopravvivenza. Ho ricevuto io
stesso una infinità di richieste da inoltrare a Massimo nel corso
degli anni. Chi per una risposta specifica, chi per una
conferenza, chi per una intervista. Chi per delle proposte
veramente oscene. Un giorno mi chiama un ragazzino che
aveva iniziato a collaborare col Ribelle, alle prime armi
(giornalistiche) e con tanta ambizione di scalare, e
rapidamente, le vette del nostro mestiere, a qualsiasi costo e
con qualsiasi mezzo. TI tipetto - occhio che è ancora un
circolazione - molto semplicemente mi chiese il numero di
telefono di Massimo perché voleva chiedergli di scrivere la
prefazione a un suo libro che stava per (auto) pubblicare. O al
massimo, mi disse, per fargli fare la presentazione in pubblico
una volta stampato. «Ma se vuole lo pago anche eh, diglielo».
Con quel tono, poi.
Accadde una cosa del genere, anzi molto di più e molto più
divertente, a Bologna, in una giornata freddissima di qualche
anno addietro. L'idea che preludeva a quell'incontro era
veramente buona: Massimo Fini, Maurizio Pallante e Giulietto
Chiesa, più qualche altro di secondo e terzo piano, che
finalmente avevano deciso di iniziare a discutere di un
soggetto, di un movimento, di un polo mediatico di un certo
rilievo, che sarebbe potuto nascere proprio nel momento in cui
in Italia iniziavano ad accumularsi macerie sociali, economiche
e morali in modo veramente ingente. Vale a dire, in estrema
sintesi, giornalismo e visione del mondo, decrescita e nuova
economia, ed esteri finalmente affrontati con uno sguardo
geopolitico e meta comunicativo superiori. Da gente tosta. E
indipendente. Le premesse per qualcosa di veramente
innovativo, dal punto di vista giornalistico e dal punto di vista
politico, c'erano proprio tutte.
148
di improbabili discorsi da figli dei fiori fuori stagione, da
anarchici di vario tipo, reietti pseudo-rivoluzionari, trombati
del passato in cerca di riciclo e praticanti new age in cerca di
qualche anestetico, non ne poteva già più. Non ne potevo più
neanche io, a dire il vero, ma insomma me la ricordo come
fosse adesso la sua insostenibilità. E suppongo che se la
debbano ricordare anche Pallante e Chiesa pur, forse, più
adattabili a situazioni del genere. L'irreparabile si compì dopo
due ultimi interventi di un certo spessore, diciamo: il primo
sosteneva che il nuovo soggetto dovesse nascere rispettando le
radici cristiane dell'Italia; il secondo che dovesse farlo solo
richiamandosi alla Costituzione. Il resto fu l'inevitabile,
immediato, epilogo: Massimo prese la parola e disse che della
religione e della costituzione non gliene fregava un cazzo, e che
se una cosa del genere doveva nascere, ebbene essa avrebbe
potuto nascere solo se vi fosse stato un vertice, almeno nelle
fasi iniziali, a decidere per gli altri. Quindi si alzò e andammo
via.
150
proprio di grande diffusione dunque). Tempo prima aveva
rinunciato a una proposta monstre fattagli da Il Giornale.
Qualcosa come una cifra dieci volte superiore al normale:
«Non volevano la mia collaborazione. Berlusconi facendomi
quell'offerta voleva proprio la mia testa. Figurati se avrei
potuto accettare».
Dunque, chi ha letto il suo ultimo libro, cioè "Una vita", che
è una autobiografia, si sarà accorto del fatto che Massimo
mette a nudo parti di sé sino a ora del tutto sconosciute. Cose
anche difficili da raccontare. E si sarà accorto che, ovviamente,
151
la sua biografia non può prescindere dal racconto della sua
carriera sia come giornalista sia come autore. Nel libro
Massimo racconta di tutto, di una infinità di giornali e di
giornalisti con i quali ha collaborato. Ma non cita mai, neanche
una volta, il suo giornale. Cioè quello che era nato proprio
perché esisteva un signore chiamato Massimo Fini. Ecco: La
Voce del Ribelle non è citata neanche una volta, neanche di
sfuggita. Ci sono rimasto malissimo. Non perché andassi in
cerca di chissà quale attestazione di stima personale per me o
per gli altri giornalisti che ci hanno lavorato e ci lavorano, ma
proprio perché fu Massimo stesso, in diverse circostanze, a
parlarmi del Ribelle come di un qualcosa di cui andava
veramente fiero. Anche a livello meramente editoriale, nel
senso che, conteggiati i risultati ottenuti, a un certo punto
constatò che neanche La Voce di Prezzolini era riuscita ad
avere una diffusione tanto grande (circa 3000 abbonati alla
sua massima espansione). Insomma oltre ad averci investito
tempo e denaro, ad averci scritto quelli che io reputo tra i
migliori suoi editoriali degli ultimi anni, e che tutti avete letto
in questo libro che ne è la raccolta, a Massimo la rivista piaceva
eccome. Almeno questo ciò che mi diceva. D'accordo, lui ne è
stato il fondatore e il direttore politico, lasciando a me le rogne
quotidiane, pratiche e legali della direzione responsabile del
tutto(«Mi piace fare il direttore politico, perché decido tutto
ma in pratica non faccio un cazzo», come diceva lui), ma la
realtà è che in quel giornale c'è moltissimo di lui, oltre che dei
collaboratori che lo hanno realizzato. E tuttavia nella sua
autobiografia la cosa non ha meritato menzione alcuna.
152
degno di nota. In entrambi i casi, la risposta è implicita.
Dunque inutile stare a chiedere.
155
Grazie a Massimo Fini ho potuto inserire nel mio
c u r r i c u l u m p e r s o n a l e u n a c o s a d e l l a quale vado
particolarmente fiero: sono stato arrestato. Insieme a lui per
giunta. Eravamo a Piazza del Popolo, per guardare da vicino
una manifestazione fiume contro l'ennesima guerra di Bush.
Una manifestazione mostruosa, un corteo enorme. Con tanto
di circo da centri sociali, arcobaleni di vario tipo e un numero
molto consistente di black bloc perfettamente riconoscibili,
eppure lasciati indisturbati all'interno del corteo, sino a
quando, in modo del tutto improvviso e non prevedibile, poco
dopo piazza Venezia, iniziarono a fare il puntuale pandemonio
in Corso del Rinascimento. Con tanto di vetrine rotte, molotov
e automobili incendiate. Invece io e Massimo camminavamo a
braccetto, fuori dal corteo. A braccetto perché Massimo non è
che ci vedesse benissimo tra i sampietrini di Roma. A un certo
punto, mentre i black bloc facevano il pandemonio solo
cinquecento metri dopo, degli incredibili agenti della Digos di
Roma pensarono bene di prendersela con una sparuta mini
pattuglia di Movimento Zero, che partecipava al tutto, e anche
un po' in disparte, esponendo uno striscione evidentemente
troppo fine da comprendere dai piani alti dell'intelligence della
Polizia italiana. Lo striscione recitava una frase unicamente a
favore dell'autodeterminazione dei popoli. Ce lo volevano .
togliere. Non tolsero le mazze ai black bloc, né i loro caschi né i
loro scudi né i loro anfibi, e invece strapparono lo striscione
dalle mani di un gruppo di ragazzi innocui. Io e Massimo,
sempre a braccetto, ci avvicinammo per chiederne il motivo al
commissario girardi di servizio. Venimmo presi per il collo,
letteralmente, e infilati a forza dentro una camionetta blindata.
Assieme a una altra ventina di persone. Quando venne la volta
di prendere le nostre generalità mostrammo i tesserini da
giornalista all'agente. Che ci guardò laconica, e imbarazzata ci
chiese: «E voi che ci fate qui?». Glielo chieda al commissario,
le dissi. E pensi che glielo avevo pure detto, come fossi un
Marchese del Grillo qualsiasi. La cosa non finì lì. Cioè: lì finì la
nostra permanenza in cattività. Ma poche ore dopo raggiunsi
Massimo nell'albergo dove risiedeva a Roma in quei giorni. Era
seduto nella hall, con un bicchiere di vino - bianco, fermo - e
aspettava che gli raccontassi, e tentassi di fargli vedere, sul mio
computer, le cronache nazionali dove l'Ansa aveva
immediatamente riportato la non notizia: "Massimo Fini
arrestato a Roma assieme ad alcuni fedelissimi del suo
Movimento estremista". E vai, col giornalismo d'assalto.
157
Non respirava più. Per un tempo infinitamente lungo. Riuscì a
liberarsi solo dopo diversi nostri tentativi di battergli il petto e
la schiena, e solo con un colpo di tosse mostruoso risolse la
questione. Una cosa del genere è accaduta anni addietro a
Bush Junior, con un bretzel, fatto di cronaca che Massimo a
suo tempo liquidò con un «è proprio un coglione». Se quella
sera le cose fossero andate diversamente non me lo sarei mai
perdonato, visto che luogo e cibo li avevo scelti io.
Giugno 2016,
Valerio Lo Monaco
valeriolomonaco.it
@vlmtwitt
Prima edizione 6/2016
Copyright
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00135 Roma
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