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I NTRODUZIONE

ALLO STUDIO DELLA


CULTURA CLASSICA

MARZORATI �EDITORE � MILANO

L
W. K. C. GuTHRIE - FRANCESCO ADORNO - La filosofi.a
greca pag. 1

ADRIANA DELLA CASA La grammatica » 41


Significato e origine della grammatica. - l. I Greci. Protagora. -
Democrito. - Plato11e. - Aristotele. - Gli Stoici. - Analogia e ano­
malia. - Dionisio il Trace. - I grammatici del I e II �ecolo d._C.:
Apollonia Discolo. - 2. I Romani. - I primi grammatzc1: Lucilio,
Accio, Elio Stilo11e. - Varrone. - Nigidio Figulo. - I minori del I
secolo a.C. - Remmio Palemone e la grammatica nel I secolo d.C. -
Qt1intiliano. - Plinio il Vecchio. - I minori del I secolo d.C.
1 grammatici del II secolo d.C. - Il III secolo d.C. - Il IV secolo
d.C.: Mario Vittorino, Donato, Nonio. - Flavio Sosipatro Carisio. -
Diomede. - Il V secolo d.C. - Prisciano. - Gli epigoni della gram­
matica latina. - 1 trattati « de di_fferentiis ». - Bibliografia.

BENEDETTO RIPOSATI - La retorica » 93


ALVARO D'ORs - Letteratura giuridica » 117
1. Introduzione. - TESTI LEGALI. - 2. Nomoi. 3. Leges. TESTI
DELLA GIURISPRUDENZA. - 4. Problemi di trasmissione. - 5. Proble­
mi di selezione. - 6. Gli « iuris prudentes ». - 7. I generi letterari
classici. - 8. La decadenza postclassica.

LUIGI LABRUNA - La « Romanistica » » 147


1. I temi e le prospettive. - 2. Gli strumenti. - Bibliografia.

FRANCESCO DELLA CORTE - Mitologia classica » 197

GIACOMO DEVOTO - Problemi ed orientamenti di gramma-


tica e di storia delle lingue classiche » 269
I. PROBLEMI DI GRAMMATICA STORICA GRECA E LATINA: 1. Intro-
duzione. - 2. La parentela genealogica del greco. - 3. La parentela
genealogica del latino. - 4. L'ambiente linguistico mediterraneo. -
5. Problemi di grammatica storica greca. - 6. Greco comune e dia-
letti greci. - 7. Italico comune, protolatino e dialetti oscoumbri. -
8. Problemi di grammatica storica latina. - II. PROBLEMI DI STO-
RIA DELLA LINGUA GRECA: 1. Le iscrizioni greche come fonti lin-
guistiche. - 2. Lingue dialettali di poesia. - 3. Lingua letteraria di
Omero. - 4. Tracce di lingua comune dorica. - 5. Tradizione lin-
guistica della tragedia. - 6. Tradizione linguistica della commedia.
7. Lingua della prosa dalla tradizione ionica alla attica. - 8. Lingua
Indice
X

enti volgari neU


, comu
. ne attica , la zowfi per eccellenza. - 9. Corr LINGUA LATINA.�
DI STORI A DELLA
Imgua comune. - III · PROBLEMI • · · ·
Correnti lmg:u 1st!che
1 Correnti linguistiche nell'eta di Roma. - 2.
- - Cos�1tuz10ne
n�ll'età repubblicana. - 3. Il formul�rio religioso. �e spans1o�e del
di una t radizione di lingua letteraria !atma. - ?· L
ti popola ri nella lmgu a let t era ria del
la tino in Italia_ - 6. Corren t�
primo impero. - 7. Reazioni agli ideali cicer�nia_ni. - 8. _L'eleme,�� ta
del la ino. - 9. Innov z1oni del l tino dell ,
cristiano nella s toria t a a
im­
imperiale. - 10. Tradizioni linguistiche nell'ultimo secolo dell
pero. - 11. Il problema della fine del latino.

LUIGI HEILMANN - L'alfabeto e la pronuncia del greco


pag. 335
I. PREMESSE GENERALI: 1. Comunicazione e scrittura. - 2. I prece-
denti della scrittura. - 3. Dai primi sistemi di scrittura alt'alfa�eto:
a) Il rapporto segno grafico-linguaggio; b) I sistemi logogra fic1 ;. �)
, I sistemi logo-sillabici; d) I sistemi sillabici; e) I sistemi alfabeuc1.
- II. ORIGINE, FORME E SVILUPPI DELL'ALFABETO GRECO: 1. Intro­
duzione della scrittura presso i Greci: a) Le scritture sillabiche pre­
greche; b) La filiazione semi tica dell'alfabeto greco; c) Il proble-
' ma cronologico dell'introduzione dei caratteri semitici. - 2. L'elabo­
razione greca: a) La notazione delle vocali; b) La no tazione delle
consonanti; c) Divergenze locali; d) L'alfabe to originario e sua evo­
luzione; e) Il definitivo assetto ionico e la diffus ione dell'alfabeto
unitario. - III. I PROBLEMI DELLA PRONUNCIA DEL GRECO: 1.
Aspetto pratico e aspetto scientifico del problema. - 2. La tradizione
scolastica. - 3. Documenti e metodi per la ricostruzione della pr�­
nuncia: a) Le testimonianze dei contemporanei; b) Le trascri­
zioni di forme greche in altre lingue; c) Le oscillazioni ortografi­
che; d) Gli errori ortografici e le « scritture a rovescio»; e) Le
grafie ipercara tterizzanti; /) Altre prove. - 4. L'evoluzione fone­
ti�a e la pronuncia del greco: a) Le vocali; b) I dittonghi; c) Il
d1garnma; d) Le consonanti. - Bibliografia essenziale.

ADRIANA DELLA CASA - L'alfabeto e la pronuncia del latino » 363


I. ORIGINE, FOR.l'v!A E SVILUPPO DELL'ALFABETO LATINO. - 1.
I primi segni dei dialetti italici. - 2. Le testimonianze antiche.
3. La critica moderna: a) alfabeto greco; b) alfabet o etrusco. -
4. Le vocali. - 5. Le consonanti. - 6. La scrittura latina nei secoli. -
II. LA �RONUNCI� DEL LATINO. - 1. La pronuncia classica. - 2. La
pronuncia scolastica. - 3. Il latino oggi. - Bibliografia.

MASSIMO LENCHANTIN DE GUBERNATIS - GIANFRANCO


FABIANO - Problemi e orientamenti di metrica greco­
latina » 381
1. Terminologia e concetti fondamentali di metrica. - 2. Cesure,
dieresi e zeugmata. - 3. Teorie ritmiche e metriche degli antichi:
srmp!ec�n�es e choriwntes. - 4. Symplecontes moderni. - 5. De­
n_vazio�su moderni. - 6. La metrica di P aul Maas. - 7. Gli studi
di metrica . greca _ dopo Paul Maas. - 8. Il problema dell'ictus e la
lettur_a dei ve:s_1 greci e latini. - 9. La teoria dei logaedi. - 10.
S�ansione dattilica e coriambica dei versi eolici nella poesia la­
ttna. - 11. Dattilo-epitriti. - 12. Clausole metriche e ritmiche. -
Bibliografia.
Indice XI

CESARE QUESTA - Metrica latina arcaica pag. 477


1. Premessa. - 2. Le fonti antiche. - 3. Gli scudi moderni. 4.
Bibliografia. - 5. Plauto e Terenzio. - I. PROSODIA. - 1. Prosodia
arcaica. - 2. Doppioni fonetici. - 3. Grafia arcaica. - 4. I fenome­
ni tipici. - 5. Lingua letteraria. - 6. Conservazione della quantità
originaria in sillabe :finali chiuse e conservazione di gruppi conso­
nantici in fine di parola. - 7. Caduta di fonemi finali e prodelisione,
fonemi intervocalici, sincope e anaptissi, muta cum liquida. - 8.
La correptio iambica e l'abbreviamento per enclisi. - 9. Incontro
di fonemi vocalici. - 10. Osservazioni sulla morfologia. � II.
METRICA. - l. Versificazione quantitativa. - 2. Gli 'elementa'. - 3.
Differenza fra greco e latino. - 4. Metrica verbale. - 5. Il sistema
della metrica arcaica. - 6. I versi. - 7. La questione dell' 'ictus'. - 8.
La lettura dei versi. - 9. Norme strutturali generali (norme circa gli
elementi bisillabici: di Ritschl, di Hermann-Lachmann, delle sedi
'con licenza', di Fraenkell-Thierfelder-Skutsch; norme circa gli ele­
menti davanti a 'pausa': di indifferenza in 'pausa', 'libertà' di Ja­
cobsohn, del monosillabo e del bisillabo pirrichio). - 10. Versi
giambici e trocaici. - 11. Versi eretici e bacchiaci. - 12. Versi ana­
pestici e cola Reiziana. - 13. Versi eolici, ionici e altri versi lirici. -
14. Verso greco e verso latino arcaico, i canrica nella commedia,
nella tragedia e nelle altre forme teatrali. - III. APPENDICE.
Il saturnio.

FABIO CUPAIUOLO - Metrica latina d'età classica » 563


1. L'esametro: a) Dopo Ennio e sino all'età di Cicerone; b) L'età
augustea; e) L'età imperiale. - 2. Pentametro dattilico e distico
elegiaco. - 3. La lirica: a) lvfetri di Catullo; b) Metri di Orazio.
4. I metri del periodo posraugusteo. - 5. Cenni sulla prosa ornata:
la clausola. - Bibliografia generale.

CESARE GIARRATANO - La storia della filologia classica » 595


1. Il periodo prealessandrino. - 2. Il periodo alessandrino. - 3.
Il periodo postalessandrino. - 4. Il Medio evo. - 5. L'Umanesimo.
- 6. La filologia italiana nei secoli XVI-XVIII. - 7. Il periodo fran­
cese. - 8. La filologia francese nei secoli XVII-XVIII. - 9. Il
periodo olandese. - 10. Il periodo inglese. - 11. Il periodo te­
desco. - 12. I filologi della Danimarca, dell'Olanda e del Belgio. -
13. I filologi inglesi dell'Ottocento e del Novecento. - 14. I filo­
logi francesi dell'Ottocento e del Novecento. - 15. I filologi
italiani dell'Ottocento e del Novecento. - Bibliografia.

CESARE GIARRATANO - La critica del testo » 673


1. Papiri, pergamene e carte. - 2. La tradizione dei papm. - 3. I
codici. - 4. Le edizioni principi. - 5. Le scritture dei codici. 6.
La tradizione indiretta. - 7. La recensio. - 8. La emendatio. - 9.
Edizioni classiche. - Bibliografia.
FRA TCESCO DELLA CORTE

MITOLOGIA CLASSICA

1. << Mitologia classica » indica tanto il patrimonio teologico e


culturale dei due popoli amichi, il greco e il romano, quanto il mondo
fantastico creato dai loro poeti. Sorto il primo aspetto si può parlare
anche di mitologia comparata, quando si pone a confronto il pantheon
delle religioni del mondo classico con quelli cli altre religioni.
La religione dei Greci e dei Romani constava nella credenza in
una garanzia soprannaturale assicurata all'uomo più durame la vita che
dopo la morte; la garanzia si fondava sulla conclamata esistenza di dèi
e semidei, o eroi, o re-sacerdoti; la tecnica usata per ottenere la loro
protezione era il culro; la conoscenza del mondo soprannaturale era
compita della reologia, nota a sacerdoti e poeti.
Per dimostrare l'esistenza della divinità, chiarirne i caratteri, pre­
cisarne le funzioni, la reologia pagana o. come la chiamerà Giuliano
l'Apostata, « ellenistica » (H. RAEDER, Kaiser Julian als Philosoph •11nd
religioser Reformator, in « Classica et Mediaevalia», VI, 1944, pp. 179-
193 ), studiaya quel complesso di raccami, più o meno concatenati fra
loro, narrati da poeti e creduti dal popolo, che va sotto il nome di pa­
trimonio mitopeico. Una volta conosciuta la divinità, stava al credente pro­
piziarsene la benevolenza con il rituale che andava dalla preghiera orale
o scritta, al sacrificio cruento o incruento, al rito, che molto spesso era
una sacra rappresentazione del mito con particolari cerimonie, con attri­
buti, con diversi e spesso complicati e differenziaci servizi divini.
Dèi ed eroi erano venerati con un rituale che, variando da soggetto
a soggetto e da santuario a santuario, teneva conto della rivelazione par­
ticolare di ciascuna divinità. La Bibbia dei Greci era in sostanza la
Theogonia di Esiodo; ma veniva integrata dagli «Inni» omerici (CH.
PICARD, Les origines du polythéist;ze helléniqt!e. L'ère homérique, Parigi,
1932), dallo pseudoesiodeo << Catalogo delle donne » e via via dalle ope­
re letterarie arcaiche ancora in trasmissione prevalentemente orale. I
poeti che rivelano gli arcani divini erano ispirati di solito dalle Muse,
ma anche da altre divinità, che si trovavano sovente invocate all'inizio
della composizione.
La posizione nei confronti della divinità era sempre di timore rive-
198 FRANCESCO DELLA CORTE

renziale, dato che, come scriveva Stazio (Theb. III 661 ): primus in
orbe deos fecit timor. Frequente è l'atteggiamento del poeta - e quindi
del fedele - di non rivelare i lati deboli o quelli che possano incrimi­
nare la rispettabilità del dio. e consegue che - fatta eccezione per
qualche scrittore tardo, venato di cinismo (p. es. Luciano) - il mito era
sempre edificante e presentava l'essere soprannaturale in tutta la sua
pericolosa potenza, evitando cautamente di suscitarne l'ira. Tuttavia fo
concezione antropomorfica del dio (P. TouTAIN, De l'anthropomor­
phisme ou de l'introduction de l'élément humain dans la religion, in « Jour­
nal des Savants», 1945, pp. 72-83; E. EHNMARK, Antropomorphism and
miracle, UppsaJa, 1939; V. FELDMAN, Anthropomorphisme, in « Revue
de Synthèse» XIX, 1940-1945, pp. 125-129), cosi caratteristica dei Gre­
ci, fìnf da un lato per umanizzare il soprannaturale e dall'altro per
proiettare sull'Olimpo una società divina che di fatto era molto simile
a quella società umana in cui la mitopea greca si era andata formando.
La società omerica degli uomini si trova quasi esattamente riprodotta
nelle dodici divinità olimpie, su cui predomina un re, con al fianco una
regina, con figli, figlie e persino concubine; dunque una società patriar­
cale, con un saldo potere centrale che non escludeva le iniziative, anche
discordi, dei singoli componenti il pantheon, nei quali l'uomo poteva piu
facilmente riconoscere il proprio protettore nelle varie circostanze della
vita, secondo il settore di attività intrapreso.
Da ciò nasceva impellente il bisogno di conoscere, anche nei parti­
colari, le imprese compiute dal singolo dio, o dal semidio, o dall'eroe,
per poterne piu opportunamente sfruttare le meravigliose e soprannatu­
rali possibilità. Quando le divinità olimpiche, numi protettori della so­
cietà omerica, apparvero troppo lontane dalle istanze delle plebi e delle
classi subalterne, nacquero nuove divinità (Dioniso, Demetra) e si svi­
lupparono le religioni misteriosofìche.

2. Il «mito» è una narrazione tràdita di gesta esemplari compiute


da personaggi divini, da esseri superumani, o da antenati. Il termine << mi­
to » è usato in concorrenza con altri due termini: quello di « leggenda»
e quello di «saga ».
« Leggenda» deriva, come l'etimologia chiaramente indica, dal ver­
bo «leggere». Il termine è del latino medievale e si trova soprattutto
usato nelJe vite dei santi, che venivano lette per edificazione religiosa,
per far conoscere la vita e i miracoli di una creatura di Dio, fornita di
doti soprannaturali.
Il fatto che la leggenda presupponga l'uso delle scritture. e quindi
della lettura, ci invita a usare questo termine soltanto per civiltà evolute
che abbiano ormai praticato l'uso di scrivere e di leggere.
Mitologia Classica 199

La leggenda, che: nel significato medievale di agiografia si oppone


direttamente alla biografia, che è già storia, deforma la verità storica,
grazie alla fantasia, e arricchisce di elementi irreali quello che sarebbe
stato un reale nucleo, vero e accertato. Il termine leggenda può anche
venire usato per e tà precedenti il Cristianesimo, e non soltanto per ar-
gomenti religiosi, ma anche eroici in cui i fatti, anche se realmente ac-
caduti, sono in realtà alterati fino ad aeiquistare un alone di eroicità e di.
epicità.
Tutta la protoscoria, quando non vi siano documenti che la attesti-
no, è avvolta nella leggenda. Gli scorici, che hanno parlato di fatti re-
moti, qualora non abbiano condotto indagini severe, sono portati ad
accogliere la tradizione leggendaria che dà, se non altro, nomi, perso-
naggi, gesta, che, in ultima analisi, si sono conservati, in una ininterrotta
tradizione orale.
La leggenda sta a cavallo fra la fiaba e la storia. Della storia risente
in quanto i personaggi, di cui la leggenda si interessa, sono esistiti o si
crede siano esistiri. Dalla fiaba invece la leggenda trae quanto vi è in
un racconto di straordinario, meraviglioso, soprannaturale. Perché si
possa parlare di leggenda bisogna che il personaggio e le gesta da lui
compiute siano accertate per altra via; bisogna che i fatti realmente av-
venuti abbiano una parte preponderanr,e nel racconto. In caso contrario
è meglio ricorrere al termine « mito » per indicare il racconto di fatti
che non sono - o non si ritengono -- storicamente accaduti, e in cui
l'elemento fantastico-religioso prevalga su quello storico.
Mentre si può usare il termine leggenda per la protostoria di Roma,
per i secoli della monarchia e per i primi della repubblica, perché il
racconto scritto dagli annalisti e da Livio, in particolare, ancorché per-
vaso di elementi fantastici, ha un s0s1:rato di vero, piu difficile è par-
lare per la Grecia di leggende, a meno di ridurre l'area culturale ai luo-
ghi sacri dei santuari e degli oracoli.
Mito e leggenda non hanno in comune il modo di trasmectersi, per-
ché se si rispetta la diversa etimologia, alla leggenda da legere. bisogna
soltanto assegnare l'ambito documentato da tradizione scritta, e la Gre-
cia delle origini - si sa - ha una lunga tradizione orale; la leggenda,
piu del mito, sente l'istanza della locale situazione politica e sociale.
Sempre in base al diverso ètimo, si può dire che la leggenda presup-
pone un ambiente piu colto, mentre il mito ne presuppone uno piu po-
polare. Perciò sarà bene non parlare di << leggenda popolare », perché
è una contraddizione in terminis, mentre si può parlare di « leggenda
locale )>, in quanto alcuni doni del luogo l'hanno accolta, o anche di
« leggenda religiosa >>, riportandoci con ciò stesso alla nascita della cro-
naca, alla quale la leggenda è in certo, senso legata.
200 FRANCESCO DELLA CORTE

« Saga» è termine che viene dal tedesco sagen = « raccontare» ed


è un particolare genere letterario tipico delle nazioni nordiche; l'esempio
piu famoso è dato dalla saga dei Nibelunghi, con i personaggi di 1g­
frido, Brunilde e le Valchirie, Ja cui diffusione e conoscenza fra noi
oggi si deve soprattutto a Richard Wagner.
La fortuna di questo termine in Italia risale all'ultimo Ottocento,
quando Carducci scriveva:
Cantando una saga di antiche cittadi sepolte.
Ma il Carducci errava: la saga è nelle letterature nordiche la storia
favolosa di una famiglia, di un clan, non di una intera città e cioè di
una collettività che non ha piu legami di sangue.
I puristi sostengono che il termine piu adatto in italiano sarebbe
ancora mito, dal greco mythos « racconto», e hanno ragione solo in
guanto combattono un barbarismo neJJa lingua. Tuttavia la mitologia
moderna preferisce acquisire al suo lessico il termine « saga» per poterlo
distinguere dal mito, che è il racconto in grande; la saga invece, pur li­
mitata, va concepita come un racconto familiare che si inserisce nel mito.
Essa è sostanzialmente una narrazione orale fantastica, in cui entrano
ed operano esseri divini o eroici.
Noi mal conosciamo il II millennio a.C. della Grecia da testi lette­
rari, mentre da qualche tempo a questa parte lo conosciamo abbastanza
bene attraverso gli scavi archeologici e, per quanto riguarda il 1iceneo
lineare B, decifriamo anche la sua lingua, che è sostanzialmente un greco
scritto siJlabicamente. Alcune saghe sono sopravvivenze del periodo mi­
ceneo. Il complesso deJJe varie saghe, nate indipendentemente le une
dalle altre in diversi centri religiosi presso santuari od oracoli, e poi in­
trecciate insieme, costituisce quello che noi chiamiamo mito.
In comune leggenda, saga e mito (e persino le fìabe) hanno il me­
todo fabulistico-narrativo. Anziché parlare di una guerra, parlano di un
solo eroe (l'aristeia in Omero); anziché parlare della colonizzazione di
un intero popolo, parlano di una sola nave (Argo).
Il metodo fabulistico non conosce date. Raramente è indicata l'età
del personaggio, la durata dell'impresa, l'epoca in cui il fatto è avve­
nuto. La fabulazione, comune a leggenda, saga e mito, non tiene conto,
come la storia, dei problemi cronologici. Anche Ja localizzazione geogra­
fica, a meno che si tratti di questioni locali ed etiologiche, è spesso av­
volta da un alone di fantasia.

3. Un criterio che ha dato buoni frutti nella ricerca della fabulazio­


ne è quelJo di stabilire il centro di irradiazione. Se troviamo un santua­
rio, un culto, una costruzione monumentale o un luogo ove si verifica
,\l((rJ/og,i([ C{(1ssicu

un fenomeno nacurnlc, 1.hl.! t: fuori <l1.!U-ordinario, là si può collocare il


cenrro di irradiazione. l pellegrini che, dopo la visita, rirornm·ano
da quel luogo. diveniY,lnO i n~tturali mezzi di diffusione della i.ibulazione.
Quako-.a di simile l.!nl m·,·enuto nelle città sante di Dclo. Delfi,
Elt:u:,i, 1.:u:., Il.! c:ui lrndizioni :,acrnli furono poi trasformare anche a fin i
politici . Quesrn trasformazione \·iene atruarn con l'aiuto di un tipo so-
ciale di intellettuali professionisti. che operano da mediatori fra le in-
fluenze straniere e gli indigeni. interpretando cosi i culti agli strnnil.!ri.
Nella sroria cultw1 le e deJla civiltà. il mutamento di città-santuario in
citra-mercato o citrù-assemblea è! presenrato di solito come un peggiora-
mento, come una decadenza, come una democratizzazione delle grandi
tradizioni culruali.
Canali di diffusione, ma anche di trasformazione, sono i porri di
mare e i nodi stradali. Un porto come Corinto situato sulristmo, che ab•
breviava il tragitco fra Adriatico ed Egeo di parecchi giorni, evitando
la circumnavigazione del Peloponneso, ha per il mito la sua decisiva im-
portanza; anche i giochi che si tenevano periodicamente a Corinto stessa,
a Olimpia, a Nèmea e a D elf-ì, sono fucine di miri. Il leone di Nèmea,
la prima delle fatiche di Eracle. deve fa sua nocoriecà appunto ai giochi.
Quello che nasce naturalmente nel centro di irradiazione e poi si dif-
fonde si chiama « mitologhema ». Tocca allo storico della micologia sta-
bilire quale sia la forma originaria del mito nel suo centro di irradiazione,
srudiare le carnrreristiche narrative legate al luogo, le particolari usanze,
gli oggetti che vi si rroviwano e richi::imavano l'attenzione del visitatore .
La (< Descrizione della Grecia » di Pausania è una miniera inesauribile
( non per nulb è stma studiata dal Frazer ). da cui si possono attingere
notizie sul turismo (soprattutto di pellegrini ) dell'antica Grecia. La pre-
senza di (< ciceroni >~ sul luogo conrribuf alla conser\'azione e tradizione
del racconto fabulistico, mentre i luoghi e le cose che giacevano in sito,
~iocavano a materializzare il ricordo del fotto.
Gli antichi Yiaggiatori. come Erodoto, raccoglie\'ano e annoca,·,mo
queste notizie , senza c;ouoporle a una critica troppo serrata. In epoca
ellenistica invece si l:worò piu in biblioteca che non « sul campo )>.
Gli eruditi raccolsero tulto ciò che no\'a\'ano presso gli storici locali
e apponarono al mito numerosi addirnmenti e piu frequenti variami.
I poeti ellenistici, poi, seguendo l'esempio di Euripide, rifuggivano dalla
L'tdgata che il pubblico conosceva, e presentavano la versione meno nora.
Il grosso della document,1zione micologica è per noi cardo. Se si
escludono Omero, :Esiodo e i Tntgicì, bisogna ricorrere a manuali di
mitologia che risencono dell'ani\•ità erudita; in essi il mito perde il suo
'>tretto contacro con il cencro t!i irradiazione; si cancella ogni ricordo
del gruppo sociale in cui il mico è sono.
202 FRANCESCO DELLA CORTE

Nel tracciare la storia del mito, per rendersi conto come un deter­
minato poeta lo abbia accolto, lo abbia adattato alla sua età e lo abbia
espresso, è necessario risalire (quando si può) alla sua formulazione
originaria; ma può anche darsi che il mito in Omero, per esempio, rap­
presenti una fase seriore rispetto al mito come ci viene rappresentato da
un tragico ateniese o addirittura da un alessandrino, i quali, grazie ad
indagini personali, avevano riscoperto perdute o dimenticate tradizioni piu
antiche. È questo il caso dell'orfismo che ebbe notevole incidenza sulla
credenza di una cosmogonia diversa da quella tramandata da Esiodo e
condizionò la religiosità greca non meno del dionisismo: entrambe le
correnti religiose sono solo sporadicamente attestate in età arcaica, mentre
vengono riprese e studiate in età ellenistico-romana.

4. Le prime ricerche sul mito, visto soprattutto nel suo aspetto


genealogico, risalgono ai logografi Ecateo di Mileto, Acusilao di Argo,
Ferecide di Atene, Ellanico di Lesbo, oggi raccolti ed editi da Felix
Jacoby (Die Fragmente der griechischen Historiker. I: Genealogie rmd
Mythologie, Leida, 1957 2 ).
Il nome di mitologi o mitografi fu dato a quegli scrittori che, a
mezzo del procedimento genealogico, risalivano ai fatti piu antichi fino
agli eroi, semidei e dèi. Loro fonte di informazione erano i poeti. Ascle­
piade di Tragilo nei suoi 7pr.t.'(<:)Oou µ.e:vo: raccoglieva il materiale mitologico
dei grandi tragediografi attici, perché altri tragediografi potessero farne
uso; Dicearco scriveva le hypotheseis dei drammi di Euripide e di Sofo­
cle; Glauco trattava i miti di Eschilo; e uno storico locale dell'Attica,
Filocoro, attingeva a Sofocle per esporre le antiche saghe di Atene. Piu
ricca di mitografi è l'età ellenistica, che annovera in primo luogo Calli­
maco e i suoi discepoli Istro e Filostefano. Da loro deriva il gusto per
1a versione nuova e meravigliosa, per il ricupero della tradizione orale
contro la tradizione scritta. Appartengono a questo periodo Apollodoro
d'Atene, autore di 24 libri sugli dèi, Egesianatte, autore di Troika, ed
Evemero, autore di una razionalistica « Sacra storia».
Purtroppo tutti questi lavori sul mito sono andati perduti. Ci è in­
vece pervenuta la « Biblioteca » dello Pseudo Apollodoro, che non è
opera del grammatico Apollodoro ateniese; c'è infatti contraddizione fra
i frammenti superstiti del vero Apollodoro e i passi corrispondenti della
« Biblioteca ». Inoltre a II 5 si citano i Chronica di Castore, editi nel
61 a.C., mentre il vero Apollodoro visse nel II secolo a.C.
L'unica originalità della « Biblioteca » è la concatenazione dei fatti
e 1a distribuzione in libri dei diversi miti, legati ad un ordine cronolo­
gico, concatenazione e distribuzione destinate a divenire canoniche.
}.,.fitologia Classica 203

L'esame piu panicolareggiato delle: varie narrazioni dimostra come


la « Biblioteca )> sia una grossa, e talvolta anche approssimativa, com-
pilazione di tutto ciò che l'autore ha trovato; il mitografo, fra i vari
racconti, sceglie quello che è noto grazie all'autorità dei testi letterari
letti nelle scuole. Può darsi che la destinazione non fosse direttamente
la scuola; ma certo la « Biblioteca )> :rivela la mentalità scolastica del
compilatore, il quale, ben lungi dal seguire gli Alessandrini nella ricerca
di miti strani e rnri. preferisce atteners,i ai capolavori ufficialmente rico-
nosciuti.
Come la Bibliothec,1 va abusivamente sotto il nome di Apollodoro,
cosi le Fabulae vanno sotto il nome di Igino, che fu bibliotecario di Au-
gusro. Si tratta di una piu tarda compilazione, probabilmente una riela-
borazione latina di un manuale greco, fatto con il materiale delle hypo-
theseis dei uagici, di Omero, Esiodo, del Ciclo e di amichi mitografi.
La prima raccolta critica è quella dli A. WESTERMANN, Mythographi.
Scriptores poeticae historiae Graeci (Brunschweig, 1843 ); essi sono, oltre
allo Ps. Apollodoro. Conone, Panenio, Tolomeo, Antonino Liberale, Era-
tostene, Palefaco. Eraclit0; alcuni di q_uesti testi sono stati riediti nella
teubneriana: Ps. Apollodoro (ed. \'<7agner, 1894), Partenio (ed. Sako-
lowski, 1896; ed. Mattini, 1902), Ps., Eratostene (ed. Olivieri, 1897),
Palefato, Eraclito (ed. Festa, 1902); di Antonino Liberale c'è ora l'edi-
zione delle « Belles Lettres » (ed . Papathomopoulos, 1968), delle fabulae
di Igino l'edizione di H. J. Rose (Leida, 1933).
I tre mitografi Vaticani sono stati editi da Angelo Mai (Roma,
1831) e dal Bode ( 1834; dr. G . BARABfNO, Per una nuova edizione del
mitografo Vaticano II, in Mythos, Genova, 1970, pp. 59-72).

5. 1. Nello studio della mitologia greca è invalso l'uso di parlare


di « cicli » . In origine questo vocabolo era limitato al solo ciclo troiano,
in quanto, accanto e posteriormente 2ill'« Iliade» e ali'« Odissea)>, che
contengono due episodi della guerra troiana, nacquero altri poemi che
comprendevano l'intera vicenda pre- e: pose-omerica.
Questo era per gli amichi il vero Ciclo. Ma ben presto anche gli
antichi cominciarono a concepire a cicli le varie vicende, ed esposero
tutta la materia del ciclo epico che cominciava dal Chaos e dalle nozze di
Urano (Cielo) con Gea (Terra) e finiva con le avventure di Telegono,
figlio di Odissea e di Circe, che uccideva suo padre non avendolo rico-
nosciuto.
Le prime generazioni di dèi hanno carattere prevalentemente natu-
ralistico. Dai Titani (escluso Crono con i futuri dèi olimpici) vengono
fuori tutte le divinità di solito venerate dai popoli primitivi come forze
naturali che debbono essere propiziate. La stirpe dei Titani presenta
2.04 FRA~CESCO DEI.LA CORTE

in prjmo luogo Oceano; Omero lo concepiva come un enorme fiume


che circondava tutta la oikouméne, cioè Ja terra abicara; daU'Oceano. nei
suoi due mactimonii con Tet i (il Mare/ e con Gea (Terra), pro\'enivano
turre le ninfe; da Iperione ( il cui nome denota le cose che scanno di
soprn/ venivano le due maggiori divinita asrrali, Sole e Luna; d:.1 Crio.
sposaro con Euribia pervenivano ( att raverso il figlio ,\ sr reo) i vent i, la
cui importanza doveva farsi sentire hcn prcsw con In navigazione. Le
for,.e della nacura venivano personificate in varie crearure buone o
cattive, come i Centauri, le Moire, le Graie, le Arpie, le Gorgoni. G1:-
rione, esseri mos truosi di aspetto orrendo.
La prima generazione naca dal cielo e dalla terra , ad eccezione dei
Titani, non aveva prodouo alno che mostri : Cenrfmani , Ciclopi, E rinni.
Solo dai Titani viene fuori la s1irpe delle divinità naturali . Migliore
è 1a generazione dei figli di Crono, da cui nascono le grandi divinità olim-
pie. È vero che Crono aveva tentato di mangiarsi i .figli; ma la moglie
Rea riesce a salvarli. A questo punto Zeus prende l'iniziativa di cacciare
dal trono suo padre e di sostituirlo nel regno. È 1a lotta delle forze del
male contro quelle del bene. Crono vinco, nonostante l'aiuro dei Titani.
è rinchiuso nel Tartaro; e Zeus, dopo la vittoria, si divide il mondo
con i fratelli: le acque a Posidone, la terra a Demètra, il fuoco a Estia,
gli inferi a Plutone. Zeus restava re degli dèi e degli uomini. Una società
patriarcale ammetteva che il capo famiglia fosse poligamo . Solo in etn
piu rnrda si concepi Zeus come un ~~ dongiovanni )> sempre in cerca di
avventure galanti. Ma la mitologia amica prevedeva che un re, sovrano
assolmo, avesse parecchie mogli; una deve apparire come regina, e que-
s ta è Era; le altre finiscono per costituire l'harem del monarca. Alcune
divinità furono comprese fra gli dèi maggiori, come Arena, ApolJo, Ar-
temide, Ares, Efesro; ai cinque fratelli di Zeus s'aggiunge Ermete, in
modo da formare le dodici divinità olimpiche . Tune le altre rimasero
divinità minori_ Alcune vennero venerare perché fondnrono cirrà . e di-
ven nero capostipiti di popoli. Zeus aveva debdlaro i Titàni, ma rim:ine-
vano ancora i Giganti che tentarono la scalata dell'Olimpo . Gli dèi mag-
giori, con l'aiuto delJa folgore di Zeus, riuscirono a vincere questi ulrimi
loro nemici e si assicurarono il dominio del mondo. Ma i ntanto ven-
gono alla luce anche gli uomini; eroi e sem idei, che si rifanno al tirnnide
GiàpetO, fratello di Crono, si inreressano alla salvazione del genere uma-
no- dopo il diluvio universale. Di Giàpero sono figli Atlante, Promèreo
ed Epimèreo, marito di Pandora, l'Eva greca . Da P romèreo nasce Deuc:i-
Jione . da Epimèteo Pirra, i due che soli si salvarono dal diluvio univer-
s ale.
Le vicende fino qui accadute sono conrcnure in una serie di poemi
che prendono il nome di Theogonia (Na~cita degli dèi), di Titanomachia
,\fitologia Classica 205

(Bnrraglia elci Titani), oggi perdmi, di cui non conosciamo né data né au-
tore.

5. 2. Dopo il diluvio universale. da Ell~no, progenitore di rum 1


Greci, si erano formare le qu:mro stirpi fondamentali di rutta la Greci.a:
dorica, achea. ionica. eolirn. I mitogrnfì amichi facevano anche riferimento
a un ciclo cli avvemurè cretesi. ma senza darvi eccessivo peso, e con-
munque concependo l'impero di Minosse in antitesi ad Arene, che in
rcalra non :ivcv;t allora raggiunto l'importanza che ebbe in età storica.
Oggi che, attraverso gli se.ivi e al deciframento della scrittura lineare B,
meglio si conosce la civiltà cretese, si ammette che il piu amico deve es-
sere ~raw i.I ciclo di Minosse.

5. 3. Seguono in ordine di tempo le avventure che vanno sono l'in-


seQna del vello d'oro: tali :wvenrure trovano in Giàsone l'eroe della
stirpe tessalica. Atamance, zio di Esone, aveva avuco da Nèfele due figli,
un maschio e una femmina; essi sono Frisse ed Elle. A causa di una care-
stia Arnmanre fu costrerro a immolare il figlio Frisso, ma Nèfele, moglie
di Aranrnnte, con L1iuro degli dèi somasse presso l'alrnre il figlio Frisso
nel momento stesso in cui doveva essere immolato. I due fratelli Fris-
se ed Elle salgono su un montone, messo a disposizione da Ermes.
Quesm monrone dal \'elio d'oro volò per l'aria (o nuotò per mare),
dirigendosi verso Oriente. Ma, arrivati sui Dardanelli, Elle cadde in
mare e diede nome a quel mare (Elles-ponro). Frisso invece proseguf
iìno in Colchide, <lo\·e fu accalco da Eeta. Il montone fu sacrificato e
il suo vello fu appeso a una quercia nel bosco di Ares.
Da ciò si comprende come il possesso del vello d'oro fosse riven-
dicato dai Tessali. Il fatto che esso fosse nella lontana Colchide rap-
presenrnva per la gente della Tessaglia un tesoro perduro. Pelia. che
era di un ramo irnparenrnro. grazie a Creteo-Tiro-Poseidone, con gli
Eolidi, credern di parerne vantare il possesso, ma ben più a ragione
ii vello dovern ternare nelle mani dei veri discendenti di Eolo, come
Èsone, come Giàsonc:.
La conquista del vello d'oro rappresenra la prima delle spedizioni
organizzare collettivamente. Non è piu una sola città o famiglia che vi
prt'.nde parte, ma sono chiamati da ogni parre scelri eroi, disposti ad
aflronrnrc il grande rischio.
Il ciclo degli Argonauti viene ad interessare la zon,1 orientale del-
l'Euro~a e dell'Asia. Al tempo in cui era in voga l'interpretazione so-
lare si dava molta imporranza al fatto che il matrimonio fra Giàsone
e Medèa ponesse in relazione Giàsone. concepito come un dio che
e.là aiuto, con il carattere astrale di Medèa, che se ne vola via sul
206 FRANCESCO DELLA CORTE

carro del Sole. Di facto il Sole è il progenitore della casa regnante nel-
la Colchide.
Tornato in patria Giàsone avrà da risolvere la sua questione per-
sonale con Peha e ancora una volta, dopo l'aiuto prestatogli per il
velio d'oro, Medèa si incarica di vendicare Giàsone facendo perire Pelia.
l due fuggono in esilio e riparano a Corinto, e a Corinto termina la
lunga vicenda tessalica di Giàsone, cui spetta il merito di aver per
primo navigato con una nave, Argo, e di aver chiamato a raccolta eroi
per un'impresa collettiva.

5. 4. Segue il ciclo tebano, che, cominciando col ratto di Europ:1


e con Cadmo, profugo dalla Fenicia e fondatore della rocca cadmea,
acropoli di Tebe, vede Ja presenza dd dionisismo, sia con Scmele, che
dà alla luce Dioniso, sia con Agàve, che insieme alle Mènadi fa a pez-
zi, in preda ai furori dionisiaci, il figlio Pènreo.
La discendenza di Laio non fu piu fortunata; abbiamo l'incesco di
Edipo con la madre Giocasta, incesro che nasce dall'ignoranza della
sua vera identità, e poi la lotta fratricida di Polinice ed Ereocle, in cui
viene a inserirsi Ja figura del tiranno Creome. Cacciata da Tebe, Poli-
nice raccoglie ad Argo i sette condottieri: Adrasto, Anfìarao, Capaneo,
Ippomedonte che erano argivi, Tideo eròlo, Partenopeo arcade, olme
a Polinice tebano.
Anche sotto il velo del mito è chiaro che l'A rgolide sra prenden-
do sempre piu importanza, se oltre la rnerà dei condortieri sono di Argo
e gli altri tre vengono raccolti da altre parri della Grecia. Siamo ap-
punto alla vigilia dell'alrra grande spedizione che vedrà a capo di rutti
i Greci, i Panelleni , un re di Argo, il figlio di Aereo, Agamennone.
La « Tebaide » 1 cosi si chiama il poema che narrò questa vicenda
òel ciclo tebano, vede la morte dei due fratelli e la vittoria di Creante
che insevisce suila povera Antigone, rea di voler dare sepoltura al
fratello Polinice. Messi in fuga, gli assalirori ritornano dopo una ge-
nerazione. È questa la gesta di AJcmèone, capo della spedizione degli
Epigoni, i discendenti cioè dei sette contro Tebe.

5. 5. La terza impresa coUettiva prende il nome di Troia, ed è la


pm nota grazie soprattutto alJa poesia d'Omero, integrato, per comple-
tezza di racconto, da sei altri poemi del ciclo troiano: i « Canti Ciprii »
(o Cypria), sulle origini e l'inizio della guerra; l'« Etiòpide », sulle
ultime imprese di Achi]Je; la « Distruzione di Jljo » (o Ilioupersis ) e la
« Piccola made >>, su!Ja fine della guerra; i « Riwrni » (o Nostoi) che
raccontavano, come J'« Odissea», le avventure degli eroi reduci da Tro-
ia; 1a <1 Telegonia », sul figlio di Odissea e Circe. I Greci non attribui-
Mitologia Classica W7

rono ad Omero runa la poesia epica su Troia, ma come autori dei mi-
nori poemi indicarono altri nomi, tuttavia con poca verosimiglianza. Il
ciclo andò perduto, perché meno apprezzato.
Non è qui il caso di narrare le anche troppo note vicende iliache.
Una cosa va tuttavia detta: anche i poemi omerici risentono di una
fusione operata già ab antiquo fra le vecchie canzoni di gesta tessali-
che, che si imperniavano sulla ngura dell'invincibile Achille, e le piu
recenti versioni argoliche, nelle quali a capo della spedizione c'era il
re d'Argo, Agamennone; né va dimenticata un'altra componente, che
potremmo chiamare indigena, dam che, una volta colonizzata la Eolia
asiatica, i coloni che vi si erano stabiliti ed erano succeduti alle prece-
denti dinastie, ruppero i ponti con la madre-patria e cominciarono ad
abbeUire le figure dei Troiani, in particolare quella del re dei Dardàni,
Enea, cui fu affidato il compito di salvare i Penati della distrutta città.
Da pane asiatica, i rapsodi, che andavano in giro per le colonie
ioniche cantando Omero, continuarono via via ad aggiungere versi che
suonassero di elogio per i vinti Troiani, che furono battuti non io
guerra aperta, ma dal tradimento e dall'astuzia.
Questa potente dinastia troiana venne, a causa del ratto di Elena,
m uno con la casa di Argo. L'offesa fatta a Menelao divenne un'offe-
sa a tutta la Grecia; e cosi vediamo accorrere sotto le mura di Troia
le stirpi panelleniche menzionate nel ~< Catalogo delle navi » di Omero.

5. 6. Accanto a questi cicli maggiori, che hanno come carattenst1-


rn comune la collettività, abbiamo i cicli a carattere personale: sono
i cicli di Eracle, di Teseo, di Pèrseo ecc.
Éracle prende parre alla spedizione degli Argonauti. Dunque ap-
partiene alla prima generazione di eroi. Benché sia figlio di Zeus, la
sua stirpe per parte di madre risale a Pèrseo. Per ordine di Euristeo,
compie le sue dodici fatiche. Quando muore, i suoi figli sono ancora
perseguitati da Euristeo e fuggono ad Atene, cinà che meritò sem-
pre la fama di essere ospitale.
Capo degli Eraclidi era lllo, quel figlio, che Eracle aveva avuto
da Deiarùra, il quale riusd a vendicare il padre, uccidendo il perse-
cutore Euristeo. Scomparso Euristeo, si apriva la strada del Pelopon-
neso, e gli Eraclidi potevano tornare nell'antica patria di Eracle che
era Tirinto. Dopo varie vicende vennero a scontrarsi con Tisàmeno il
figlio di Oreste e di Ermìone, re d'Argo. Morto Tisàmeno si estin-
gueva con lui la stirpe degli Atridi, e quindi gli Eraclldi potevano oc-
cupare il Peloponneso diviso nelle sue tre zone: Messenia, Laconia e
Argolide. La stirpe degli Eraclìdi sostituiva ovunque gli Acridi.
2118 FRA:s/CESCO DELLA CORTL

Sorto questo velame mitologico si nasconde:: lo stanziamento dei


Dori nelle sedi sroriche, in cui era fìorira la civiltà micenea che ,tveva
avuro negli Arridi 1a dinastia regnante su Argo e su Spana.
L'altro ciclo personale è quello del re di A rene, Teseo. Quesro
i:.: cercamenre pit.i cardo JL'gli altri, proprio perché Arene non e cinà
che abbia in origine avuta grande importanza. Ln dinastia leggendaria
ricostruita dai pot.:ri per conto di una popolazione che fu prevnleme-
mente arrigiana. risaliva ,11 dio degli ane/ìci Efesro.
La piu recenre stirpe di Teseo ebbe bisogno, per nobilirar~i, di
imparentarsi con la ca!!>a sovrana di Creta, dove regnava Minosse. il
tiranno che dominò la Grecia insulare e peninsulare. Effettivarnenre
l'Attica non appare nel periodo miceneo ( e: quindi neppure in Omero)
come una potenza autonoma; il mito ci fa credere: che la regione fos-
se dominarn dai Cretesi, se questi avevano souoposto le popolazioni
artichè a un rribmo annuo. Il rriburo divenra nel miro la consegna di
serre giovani e di sette ragazze da immolare al Minotauro per espiare
la colpa di aver ucciso Androgeo, il figlio Ji Minosse. A li berare Arene
da questo gravame venne da Trczenc in Argolide il giovane Teseo. La
stirpe di Minosse si faceva risalire a Poseidone, indizio questo che la
ralassocrazia dell'Egeo. mare che metteva in comunicai.ione la Grecia
con l'Asia Minore e Ic coste dell'Africa con il Mar Nero, era nelle
man i dei Cretesi, In cui isola, la piu meridionale delle: isole greche, fa.
ceva da sbarramento a tutte le altre dell'Egeo. Le <lue ultime figl ie <li
Minosse venivano l'una ( Arianna) rapira e l'alrra (Fedra) condotr:1 in
sposa da Tèseo.
Pur accecrando. per comodità di repertorio, il concerro di ciclo
nel senso lato di insieme di vicende che si ravvolgono intorno ad una
cirrà (Tebe, Troia), o a un personaggio (Éracle, Tèseo), non bisogna
credere che il ciclo sorga tutto insieme; di fatto il ciclo rende a tro-
vare un nesso frn le saghe indipendenti fra loro. D'altro canto molte
saghe sono isolare e non sono riuscire, se non molro cardi e piurrosro
arrificialmenre, a inserirsi in cicli . Esse rimasero saghe locali. anche se
la diffusione culn.irale e letteraria fu ampia . La Tracia dir.:c.k due per-
sonaggi Orfeo ed Euridice; il cantore Orfeo fu incluso fra gl i Argonauti,
ma solo dopo che la sua fama fu affidata ad una carabasi, da cui rrnsse
modelio ]' ,:p9~x0ç f3f.0;.
Ricche di saghe furono b Tessaglia con Issfone. i Centauri e i
Làpi ri; la Beozia con Deucalione e Pirra, progenitori dell'umanità; l'Ar-
eica con la saga delle: Pandionidi e la coppia Cefalo e Procri; Megarn
con N iso e Scil la; Corinto con Sisifo; Argo con Io e le Danaidi; l'Ar-
cadia con Licàone e Callisro. Fuori della Grecia continentale fiorirono
le saghe dei colonizzatori o « ecisti ».
M ito!ogia C!ussic,1 2fJ9

6 . I Romani ebbero una prima fase di religione indigena sulla


quale si inscrf l'esperienza errusca: la criade capitolina Iuppiter. luno,
Jfùzerva fu imposta <lalla dinasria dei Tarquini sul finire del VI sec.
a.C. In <;eguiro i Romani identificarono alcune loro divinità con quel-
le dei Greci: Zeus-Giove, Era-Giunone, Efesto-Vulcano, Atena-Minerva,
A res-Mane, Afrodite-Venere, Ermes-Mercurio, Crono-Sarurno, Anemide-
Diana; ma non trovarono alcun corrispettivo per Giano, dio delle tran-
:-.izioni e degli eterni ritorn i, né per divinità minori come i Lari, i Pe-
nati, legati alla casa, o come Fauno, Silvano, Pico, legati alle selve, o
come Pomona, Flor:a, legaci alla colriYazione, Forruna e Bona Dea alla
fecondità.
Opporrunamenre considerata come « pseudomicologia », quella ro-
mana allinea nel suo pantheon un considerevole numero di divinità,
ma esse non appaiono collegate fra loro né da generazioni, né da con-
nubii.
Solo in epoca piu recente, all'incirca al tempo delle guerre puniche.
si ricostruf, come continuazione del ciclo troiano, la storia di Enea
venuto nel Lazio e lo si inseri, a mezzo del matrimonio con Lavinia,
nella genealogia dei re latini.
Non a torco la mitologia romana è srara definita come una proie-
zione di avvenimenti realmente avvenuti nel mondo della leggenda.
Piu che attraverso la sospcrrn tradizione leneraria, il patrimonio micolo-
g ico dei Romani, a carattere sterico, è ricostruibile attraverso il calen-
dario romano, attestare dai Fasti.

7. P oco dopo che il pantheon greco era state assimilato in parte


a quello di Roma, cominciò la lema infilrrazione di culti orientali, culri
cioè non canto praticaci nella Grecia, quanto diffusi nel mondo elle-
msuco, in quei paesi che la conquista di Alessandro Magno aveva
raggiunto.
La prima divinità, accolrn ufficialmente. fu Cibele, la .Magna Mater
Jdaea di Pessinunte, giunca a Roma nel 20-t a.C. Il dionisismo, dopo
l'identificazione di Dioniso con Liber, ebbe i suoi culti orgiastici seve-
ramc:nte repressi col senato-consulto de Bachanalibus del 186 a.C.
Dall'Egitto vennero dal I sec. a.C. in poi i culti di Iside (identi-
ficata con Io ), di O siride, di Arpocrace (o di Oro). di Serapide, di
Anubi. Dalla Siria Iuppiter Dolichenus e la dea S-yria, chiamata Acar-
gatis; dalla Persia Mitra, il cui culro si diffuse enormemente negli strati
:-ubalrerni della popolazione nei sec. II e III d.C.

8. 1. Sebbene già gli antichi avessero studiato il loro patrimonio


micologico, raccogliendo il materiale, disponendolo per argomenti, ci-

1'1 - Il
2IO FRANCESCO DELLA CORTE

cli, personaggi, ecc., tuttavia lo studio degli antichi è - anche neHa


fase piu avanzata della cultura alessandrina - sempre espositivo, nar­
rativo, poetico e non è mai (neppure con l'evemerismo, che pure rap­
presenta un progresso razionalistico) veramente critico.
Gli studi mitologici sono invece una conquista del pen iero mo­
derno, che ha utilizzato il mito come un oggetto della sua ricerca, al
fine di meglio conoscere non solo la civiltà greca, ma, in genere, tutte
le civiltà primitive.
Per gli antichi il mito si identificava con la religione ste sa. Il
culto dei Greci si fondava sul grande racconto omerico-esiodeo che
spiegava i fenomeni naturali. Quando si dice che da Urano (o Cielo)
e da Gea (o Terra) nasce tutto, è evidente che si enuncia una concezione
cosmologica del mondo. Se i Greci credevano a forze naturali e usa­
vano metafore per cui Posidone era il mare, Efesto il fuoco, Ares la
guerra, Afrodite l'amore, in tutte le pratiche rituali, per propiziarsi
una determinata forza naturale, dovevano rivolgersi alJa divinità ad
essa preposta.
Ma la religione è sempre stata nella società primitiva una formi­
dabile componente sociale. L'intermediario fra la divinità e l'uomo è
il sacerdote; e la potenza sacerdotale era basata sulla ignoranza del
volgo, che non sapeva leggere, e quindi doveva ricorrere alla tradi­
zione orale, di cui i sacerdoti erano i depositari.
Quando apparvero i primi filosofi, cominciò la dissacrazione del
mito. Non c'è un netto confine fra la prima speculazione filosofica gre­
ca e la mitografìa, perché proprio la filosoEa ionica, cercando gli ele­
menti primordiali, li ha determinati via via nei quattro fondamentali,
acqua, terra, fuoco e aria. Finiva con ciò stesso di laicizzare il con­
cetto insito nelle rispettive divinità di Posidone, di Gea, di Efesto,
riserbando all'etere, e poi - quando sarà scoperta - alla quintes­
senza, il carattere divino e ineffabile.
L'esigenza razionalistica da cui sono animati i primi filosofi, i
.fisici, portava perciò a demitizzare quelle figure divine che il popolo
adorava. Ma fu trovato un compromesso fra il razionalismo ionico e
la mitopea. Teàgene di Reggio (VI sec.) avanzò l'ipotesi che i miti
avessero carattere allegorico. In questo modo non si tacciava di men­
dacio né Omero né Esiodo; soltanto li si sottoponeva entrambi a una
r evisione critica. L'interpretazione allegorica diffusa dallo stoicismo per­
durò fino all'Ottocento, quando i Romantici preferirono queJla sim­
bolistica. Platone, che fa spesso ricorso al mito, vede, sotto il velame
del racconto mitologico, un'allegoria che può interessare l'uomo.
Ma, con l'aristotelismo, questa concezione allegorica subi le pri­
me critiche: il Peripato era troppo impegnato nelle ricerche scienti.6-
1Witologia Classica 211

che Jei fenomeni naturali per accettare ancora l'interpretazione allego-


rica. Le favole degli antichi cadevano sotto il colpo del martello ra-
zionalistico.
In questa atmosfera di razionali-cà apparve un nuovo indirizzo,
che da E vemero prende il nome di ~< evemerismo >> : gli dèi altro non
sarebbero che illustri personaggi umani di un remoto passato di cui
si è persa la memoria concreta e che, innalzati agli onori degli altari,
vengono ritenuti esseri divini . Uomini battaglieri come Ares, furbi
come Ermete, laboriosi come Efesro, belJi come ApolJo, dopo la loro
morte, furono divinizzati dal popolino.
Allegorismo ed evemerismo sono due forme di interpretazioni che.
a diversi livelli di scetticismo, incrinavano il pantheon ellenico.

8. 2. Quando arrivò il Cristianesimo, la micologia ellenica fu espo-


sta a nuovi strali: gli dèi non esistevano e i loro simulacri erano gli
aborriti idoli; idolatri erano chiamati i pagani che, per di piu, vene-
ravano pierre abitate dal demonio.
La mitologia divenne cosi il par:rimonio del Diavolo. Dio, come
permette al demonio d i vivere e di operare il male, cosi consente che
esistano questi &moni, ossia gli dèi, che altro non possono fare se
non spingere al peccaro. Zeus, che era un adultero, Ermete, che era
un ladro, Afrodite, che era una donna di facili costumi, attraverso i
loro culti e l'imitatio, che richiedeva il culto, istigavano i loro fedeli
al mal fare.
Alle critiche del Cristianesimo i pagani reagivano in due modi:
menrre l'imperatore Giuliano e il fìJosofo Sallusrio considerarono il
miro come una verità divina, quasi una rivelazione, letterati, tradizio-
nalisti ritenevano il miro una costruzi,one fantastica dei poeti .
La teologia cristiana riprendeva gli argomenti degli Epicurei, dei
Cinici e degli Scettici contro i miti pagani. In un primo tempo la
intolleranza cristiana gettò sul mito lutto il discredito. Solo dopo il
IV sec. d.C., quando i miri classici greci e romani non poterono piu
rivaleggiare con la religione cristiana, vennero tollerati come rappre-
sentazione simbolica degli ideali pre-cristiani. Jehova degli Ebrei era
poeticamente chiamato Giove. Per tuitto il medioevo perdurò Ja con-
cezione parristica degli dèi « falsi e bugiardi», intesi come dèmoni o
demònii.

8. 3 . Con l'Umanesimo, il Rinascimento e la Controriforma si


tentò di far passare i poeti cantori di Zeus e degli dèi come sommi
ingegni, che avevano intuito il Cristianesimo e lo avevano in un certo
senso precorso.
212 FRA~CLSCO OLLl.:\ CORTJ:

Come si sa, l'Umanesimo ha un doppio volto. Da un,1 pane il


pedanee grammatico, il curioso d'antichira, il fucile versificurorc; l'ere-
dità di questo umane:simo venne rnccolrn dalla cultura della Contro-
riforma. Dall'altra il ricercaron:::, i[ revisionista Jella tradizione. come
il Va1Ja, o il pensaton.: n:vivi licanre della culrura classica, come Erasmo.
Gli u111 e gl i alni si rivolsero all'antico mito, ma con opposti pro-
pos1u.
Nel 155 l con la sua opera M]'tholoR,iac sive exp/irntiom•s /abu-
/arum Nicola Comes aveva afferm:uo che le favole dell'anrichir~i ~ono
destinare a crasmettere gli insegnamenti della filosofia. Le conoscenze
dei patriarchi ebrei sarebbero passare in Egitro e dall'Egitto in Gre-
cia; cosf si salvava il mito greco come una tralignante filiazione della
Bibbia.
La tesi era confermarn dopo un secolo d,1JrOedipus Aegyptiacus
(1652) da Adam Kircker, che riteneva l'idolatria influenza diretta del
demonio, nata in Egitto. Anche il Bossuer. quando, seguendo il cam-
mino dell'umanità, nel Discours sur l'Histoire universelle, immaginarn
il mondo sorto 1a perenne guida di Dio, credeva che fra i popoli pagani
quello che aveva sentita maggiormente la divinità fosse l'egiziano.
Nel 1685 col De legibus Hebraeorim, ritualibus et earum rationibus
il teologo anglicano John Spencer avanzò l'ipotesi che la religione mosai-
ca non era fondata sulla rivelazione; Mosè aveva subfto l'influenza degli
Egiziani. Ormai la Riforma, con il suo spirito critico e la libera lettura
della Bibbia, era venuta a verificare le vecchie leggende. Inoltre era
animata da spirito antìromano. Secondo i Riformati. canto la Chiesa
quanto l'Umanesimo erano sotto l'ispirazione del paganesimo. e paga-
nesimo era sinonimo di corruzione.
Il protestantesimo ebbe lo scopo di mostrare come nelle filoso6è
e nelle religioni antiche esistevano già le superstizioni che divennero
poi la base della l iturgia romana: l'acqua battesimale è un lavacrum,
1a Eucares tia è una hostia (vittima), il meraviglioso pagano anticipa il
miracolo cristiano; rurra la liturgia porra a confermare il carattere su-
perstizioso del Cattolicesimo; ma la superstizione aveva un'attenuan-
te: nelle mani di un uomo di stato poteva essere uno strumento di
dominazione, giacché le superstizioni religiose erano urili ai re p~r
soffocare il popolo. Qui si arrestavano i P rotesranti : non si senrivano
di demolire un instrumentum regni come era il miro. Il loro cammino
interrotto è ripreso dagli Illuministi francesi.

8. 4. Bernard Le Bovier de Fontenelle ( 1657-1757) scrfreva nel


1686 la Histoire des oracles cui venr'anni dopo, nel 1707, padre Bal-
cus replicava con una Réponse à l'histoire des oracles. Il Fontenelle.
Af itolugia C!dssica 213

mtraverso 1a trn::.parcnte allegoria paganesimo-cristianesimo, vemva a


<limosrrare che gli oracoli pagani non erano opera di dernonii, ma era-
no efferco della volontà dei potenti e dell'imposcura dei preti. Sostenne
che gli errori degli amichi consistevano nella loro cieca credenza delle
favole (De l'origine Jes /11bles, ed. comm. J. R. Carré, Parigi, 1932).
ì\'"ella querelle fra ,111tichi e moderni si schierava per i moderni e
osservava come la religione fosse nata con i primi selvaggi, che, fer-
mata la loro am::nzione :,ulle cose. non riusciv,mo a capire né a dominare
i fulmini, i venti, k tempeste; furono perciò loro ad immaginare es-
::.eri soprannaturali capaci di creare quei fenomeni . Non meno impor-
tante l'altra scoperta del fontenelle, il quale confroncando gli Indios
americani, che invian1110 le anime dei peccatori in cerci laghi, con i
Greci, che le inviavano sulle rive dello Stige e <lell" Acheronte, dava
inizio allo studio comparato del mito.
Anche il gesuirn Lafirau (1681-17-+6) nelle Moeurs des sauvages
américains com parées aux moeurs des premiers temps ( 1724 ) compa-
rava gli Indiani d'America con gli amichi Greci, deducendo che « non
solamente i popoli barbari hanno una loro religione, ma questa reli-
gione ha rapporti di un'impressionante uniformità con quella dei primi
tempi, con quelle che nell'antichità si chiamavano le orge di Bacco e
della Madre degli Dèi, i misteri di Iside e di Osiride», e ancora scri-
veva <' i costumi dei selvaggi mi hanno fornico lumi per spiegare molte
cose che sono negli autori classici ».
Dell'Illuminismo l'uomo piu famoso, che ha decisamente intluiro
sugli scudi mirologici, è François-Marie Arouet detro Voltaire (169➔-
1778 ), che combatté, soprarturco nel discorso preliminare dell'Essai sur
les moeurs ( 17 58 ), concro una « folla di favole assurde che continua-
vano a infettare la giovenn'.i }>, concludendo che, se si voleva capire
che cosa era stara una civiltà pagana polireisrica, bisognava srudiare il
selvaggio contemporaneo, quello che ormai si andava chiamando il
« buon selvaggio )>.
Muovendo alla ricerca d i una monogenesi dell'umanità, Charles de
Brosses ( 1709-1777) partiva dalla credenza nel diluvio. Dopo il dilu-
vio i popoli dovettero iniziare guel loro cammino che li condusse dalla
barbarie alla civiltà . Egli era convinto che mrre le religioni provenis-
sero da una sola e infine che il '< feticismo » fosse la prima forma del-
l'ìdolan-ia, religione inferiore, ma che cosriruisce il sotrofondo comune
a mrre le religioni superiori.

8 . 5. L'Illuminismo, che aveva la pretesa di conoscere la vema


o s'illudeva di possedere la chiave per impadronirsene, fìniva per get-
tare il discredito sui miti classici, considerati come superstizioni irra-
214 FRANCESCO DELLA CORTE

zionali o finzioni di preti astuti. Per contro G. B. Vico (1668-1744)


restituiva al mito verità di storia e in La Scienza 7uova affermava che
la mitologia era una rappresentazione fantastica della realtà, un'espre -
sione spontanea e primitiva delle esperienze umane. Se si voleva ca­
pire la poesia di Omero, bisognava penetrarne la concezione religiosa,
non già perché gli dèi esistevano, ma perché agli dèi Omero credeva;
il miro era lo specchio in cui si rifletteva l'intera storia dell'umanità
primitiva; infatti « le favole nel loro nascere furono narrazioni vere
e severe »; e sotto il velo della poesia si scoprono i significati storici,
trasmessi oralmente dai popoli.
Il Romanticismo riprese l'idea vichiana dei poeti primi storici delle
nazioni, ma diede ad essa una carica di metafisica teologica, soprattutto
con Friedrich Wilhelm Joseph Schelling che nella Philosophie der .My­
thologie considerava il mito come la religione naturale del genere uma­
no: l'Assoluto si autorivela col mito; all'inizio c'era il monoteismo, poi
subentrava il politeismo mitologico.
Con Georg Friedrich Creuzer (1771-1858), autore di Symbolik
und Mythologie der alten Volker, besonders der Griechen ( 1810-1812),
si dava una spiegazione simbolistica della mitologia. Il Creuzer diceva
che i sacerdoti, unici dotati di cultura in un mondo di ignoranti, ave­
vano sapientemente elaborato tutto un complesso di idee, che, non
potendo essere pienamente rivelate, dovevano essere mascherate sotto
forme pi{i accessibili al volgo: i simboli. Avversario del Creuzer fu
Christian August Lobeck (1781-1860), che nel suo Aglaophamus (1829),
respingeva ogni interpretazione simbolica, riducendo il rito eleusino, la
religione orfica e la dionisiaca, e tutte le altre religioni misterioso.fiche
ad azioni drammatiche che rappresentavano storie sacre.
Col Romanticismo ci fu purtroppo un regresso rispetto all'Illu­
minismo e un restringimento dell'angolazione ottica, perché si affermò
un nuovo metodo di mitologia comparata, che, procedendo parallela­
mente alle indagini linguistiche del Bopp, sulla comparazione indoeuro­
pea, limitava il campo di studi ai soli popoli arii. Già K. O. Mi.iller
tendeva a distinguere i vari popoli della Grecia, acheo, dorico, ionico,
al fine di stabilire i miti locali e quelli importati dall'Asia e dalla Tra­
cia. Poi Jacob Grimm (1785-1863 ), avanzava nel 1834 l'ipotesi che i
Lieder tedeschi, contenenti favole esopiche, rivelassero una comune
origine indoeuropea. Suo fratello, Wilhelm Grimm (1786-1859), nel
terzo volume dei Kinder und Hausmi:irchen affermò che « gli Ari, emi­
grando dalle sedi primitive in contrade dell'Asia e dell'Europa, dovet­
tero portare i germi delle novelle e delle favole, che poi si schiusero
e foggiarono indipendentemente presso ciascun nuovo centro etnico».
Adalbert Kuhn (1812-1881 ), alternando gli interessi linguistici
Mitologia Classica 21:i

con quelli della scoria delle religioni, affermò che il carattere elementare
degli dèi ariani era dovuro ai fenomeni delle nuvole e delle tempeste.
Con Die Her11bk11n/t des Feuei's und des Gottertranke ( 1859) e Ueber
Ent wicklzmgsst ufen der M ythe11bildimg ( 1873) dava l'inizio alla mico-
logia « meteorologica )>. di cui la « solare }> non è che una sottospecie,
anche se la piu fomosa.

8 . 6. Il fonda tore della scuola micologica solare fu Friedrich Max


Mi.ilJer (1823 -1 900), che nel 1856 pubblicava Comparative lv[ythology
sull'origine del mito riponaro alla piu antica tradizione dell'India. Con
le Lectures on the Science of Language, Second Series (1864) poneva
le basi della mirologia solare, sviluppandole con Selected Essays 011
Lcmguage, Mythology and Religion (188 1) sulle origini culturali e reli-
giose, e polemizzando con il suo avversario Andrew Lang.
Max Mi.iller era allievo del glottologo Bopp, e dello storico delle
religioni Kuhn che aveva per primo visto nei nomi propri delle varie
divinità ariane (nmnina nomina) una comune radice indo-europea con
un suo ben definire significato originario.
Il sanscrito, il latino e il greco non esistevano ancora, quando già
c'era un solo dio Zeus-Iuppiter-Dyatts; tutte e tre le lingue erano allora
un'unica lingua: il proto-ario. Col dividersi delle lingue quei nomi per-
dettero il loro significato e diventarono nomi di persona. Molti dèi in-
diani, greci , latini starebbero a indicare il sorgere e il tramontare del
sole, la lotta fra la luce e le tenebre.
Nel 1873, nella Introduction to the Science of Religion, il Miiller
esponeva la reoria secondo la quale in origine gli uomini sarebbero
stati affascinati dal grandioso spettacolo della natura; i popoli arii,
emigrando verso il nord e verso il sud, portarono i nomi del sole e
dell'aurora. La loro credenza nelle divinità del cielo si esprimeva già
nel1a loro lingua stessa, nella quale troviamo i semi, piu o meno svi-
luppati, che dovevano necessariamente far nascere le stesse piante o
piance assai simili in qualunque secolo e sotto qualunque cielo.
Anche Goethe aveva creduto all'unità della natura, all'esistenza di
un « vegetale primigenio », modello e chiave di ogni variazione possibi-
le; il sentimento delle cose è « un tutto unico, in un grande sistema
generale compenetrante tutta la natura », in cui il regno della natura
e quello dell'attività umana non sarebbero separati.
Tuttavia , mentre Max Mi.iller cosf teorizzava, l'indogermanistica
si evolveva con nuove acquisizioni scienti.fiche. L'area originale dell'indo-
europeo aveva subfto spostamenti; l'India non era piu il centro di dif-
fusione. C'era chi poneva la culla del mondo ariano nel centro della
Germania. e chi nell'ovest della Russia. La culla della civiltà ariana
216 FRA�CESCO DELLA CORTE

non erano piu i Veda, inni sacerdotali, che nulla avevano a che fare
con la poesia popolare, dimostratisi meno antichi dei racconti egiziani
o assiro-babilonesi.
Miiller, che vedeva nelle religioni antiche un progressivo avvici­
namento al cristianesimo, insisteva nell'interpretare i miti greci come
una degradazione della rivelazione; se per Schelling la degradazione era
d'ordine morale, per Mi..iller era un inguinamemo della purezza degli
Indiani e delJa chiarezza etimologica del sanscrito. C'era nel sottofondo
la coscienza della superiorità ariana, la cui mitologia poteva so]o es­
sere svelata dai Veda, depositari delJa vera natura della divinità.
Mi..i1ler portò fìno al ridicolo gli eccessi comparativi, credette di
poter sempre identificare dèi ed eroi con prove etimologiche. Il suo
torto fu di non riconoscere la vacuità delle sue teorie personali. Battuta
su molti punti, la teoria solare si eclissò ed è oggi in pieno abbando­
no, grazie alle critiche calzami delI'etnologia. Può ancora aver qualche
interesse solo nello studio del mitraismo o per le feste calendariali che
non pongono a base del computo mensile la luna ( r\. AuDit , Les fetes
solaires. Essai sur la religion primitive, Parigi, 1945).

8. 7. Mentre Max Miiller teorizzava la mitologia solare, nella stessa


Inghilterra si scopriva il « folklore ». Il termine folklore apparve per la
prima volta nel 1846 a Londra e sorse dall'accoppiamento di Folk =
popolo, con Lare = sapere, quindi significa « sapienza popolare>>. In
guanto parola straniera, i puristi italiani preferirono usare: demopsico­
logia, demologia, etnografia, popolaresca, vulgaristica o il grecismo lao­
grafìa. Oggi tutti questi termini sono fuori uso: rimane valido sem­
pre « tradizioni popolari » per chi non voglia usare il piu tecnico ter­
mine inglese.
Mentre i tedeschi preferivano il termine Volkskunde, per indicare
la etnografia dei popoli primitivi, il metodo del folklore presupponeva
una « sapienza popolare » e quindi riconosceva alla tradizione la virtu
di aver conservato qualcosa della cultura primitiva dell'uomo.
Mentre ]'etnografia è descrittiva, l'etnologia è critica e storica;
entrambe si occupano dei popoli primitivi di oggi; il folklore com­
prende lo studio, oltre che dei popoli primitivi, anche del « Yolgo »
o ceto popolare specie delle campagne o di piccole città che sono state
meno esposte al processo di incivilimento.
Il folklore, che è lo studio della cultura dei bassi stadi di civiltà
ovunque essi si trovino, fu imposto all'attenzione dei dotti da Andrew
Lang, che aveva studiato letterature classiche ad Oxford e aveva preso
Je mosse dai primi studi omerici, per passare a11a mitologia e al folk­
lore. Egli era convinto che la storia del genere umano seguisse uno
.Witologia Classica 217

sviluppo uniforme dallo statO selvaggio alla civilizzazione. Non era


assolmameme sorprendente per un ernologo come lui il miro di Cro.
no, che mangia i suoi figli; evidentemente si deve risalire ad un'èra
di cannibalismo. A differenza del Mi.iller, Lang non credeva alle razze;
in Myth. Ritual aJl(l Religion (1913 ), smdiando popolazioni dell'Austra-
lia, dell'Africa, del Nord e Sud America, delle isole del Pacifico, le cui
tradizioni selvagge somigliavano stranamente a quelle degli antichi po-
poli civili, inraccava il principio della razza bianca, la cui presuma su-
pcriorit~t giustificava il colonialismo e accusava di fals ità le religioni
dell'islamismo, buddismo, induismo, ecc.
In un suo saggio, The Afethod o/ Folklore ( 1881), lang affermò
che il folklore non comprende soltanto lo smdio delle credenze e dei
cosmmi, ma anche delle leggende e dei canti; rnnro le leggende guanro
i canti possono rivelarci i survivals (le sopra\'vivenze); termine che
si preferisce rendere con « residui» o « fossili}> . Con i survivals divengono
evidenti certe somiglianze non solo tra le plebi dei popoli civili e le
civiltà classiche o iraniche o indiane, ma con tutro il mondo, e quindi
anche con i popoli primitivi (R. HALLIDAY, Folklore studies ancie11t
and modem, Londra . 192-l-; Io., Greek and roman folklore, Londra.
1927 ).
Tuni gli amenati delle razze attuali sono passati attraverso uno
s taro analogo a quello dei selvaggi di oggi, i quali cos[ ci possono
inconsciamente offrire l'jnrerprerazione dei miti. Il metodo del folk-
lore aveva anche il vantaggio di demitizzare la poesia degli antichi. Si
prenda p. es. la favola di Amore e Psiche narrata da Apuleio, favola
che, secondo la teoria solare simboleggiava l'aurora. che si nasconde
all'apparire del sole; in realcà l'errore della sposa, colpevole di aver ve-
duto nudo Io sposo, è un tabu comune a molti popoli primitivi, come
ai Malesi, o, neU 'antichità, agli Spartani.
In polemica con la comparazione indogermanica, il Lang studiò
miti non ariani sull'origine del mondo e dell'uomo; la sua opera 1Wyth,
Ritual and Religion gettava nuova luce sui miti relativi all'origine del
mondo e dell'uomo, sui miti cosmogonici dei Greci, comparati con i
miti dei selvaggi.
Restare nell'ambito dell'indoeuropeo era indubbiamente concepire
troppo angustamente b micologia comparata. Assiri, Babilonesi, Fenici,
Egiziani non sono indoeuropei, eppure hanno avuro anch'essi una loro
mitologia e, per le comunicazioni frequenti, i commerci, i viaggi, al-
cune divinità emig rarono da un popolo all'altro.

8 . 8 . Intanto si face\·a luce Edward Burnett Taylor ( 1832-19171 ,


che, dedicatosi alle civiltà precolombiane e insegnando ancropologia
218 FRANCESCO DELLA CORTE

sociale, ebbe come suoi temi predilet ci le religioni, studiate sulla base
del!'« animismo», la cui presenza nelle mentalità primitive trae la sua
origine dalla ragione umana.
La sua opera fondamentale Primitive Culture ( 1871), ancorata al-
l'èvoluzionismo di derivazione darwiniana, seguiva l'evoluzioné delb
specie. L 'uomo primitivo, secondo il Taylor, si chiedeva conto delle
ragioni per cui era su questa terra; ma, anziché procedere con metodo
razionale, affidandosi al metodo intuii:ivo o mitologico, si arrestava di
fronte ai fenomeni che non poteva spiegare. L'uomo, quando era an-
cora allo stato selvaggio, vedeva in modo diverso da quel che vedev:i
l'antico ariano, a noi noto attraverso i testi, come i Veda o l'« Il iade>).
I miti, che rivelano esperie nze giornaliere, ci indicano la vira stessa
del primicivo selvaggio. Mentre Auguste Cornee aveva fissato l'evolu-
zione della storia delle religioni in ere stadi: il feticismo, il politeismo.
il monoteismo, il Taylor accettava lo schema, ma ne modificava il pri-
mo stadio del feticismo in quello del!'« animismo» (H. J. ROSE. Nu-
men inest: animism in greek and roman religion, in « Harvard Theolo-
gical Review » 1935, pp. 237-257 ).
La teoria dell'animismo ebbe larga diffusione, tanto da influire su
Erwin Rohde (Psiche. Culto delle anime e fede nell'immortalità presso
i Greci, rrad . ital., I , Bari, 1914; II, 1916), e su Hermann Usener, il
cui volume Gotternamen. Versuch einer Lehre von der religi.osen Be-
grilfsbildung (Francoforte, 19481 ) è un rice rca sulla formazione e sulla
evoluzione dei concetti religiosi espressi: dai nomi degli dèi. Da principio
l'uomo credeva a uno sterminato numero di dèi momentanei (Sonder-
gotter), nati per i singoli momenti ed azioni dell'esistenza quotidiana.
Si arriva poi alla concezione di dèi generali e personali.
I numi istantanei corrispondono agli spiriti dell'animismo caylo•
r iano; un animismo piu ridotto, o polidemonismo, rappresenta il poli-
teismo destinata a sbloccare nel monoteismo. Solo le religioni alte, giu-
daismo, cristianesimo, islamismo hanno un dio solo (C. Clemen, Her-
mann Usener als Religionshistoriker, in « Studi e Materiali di Storia
delle Religioni» 1935, pp. 110-1 24).
Nipote dell'Usener, Albert Diererich (Mutter Erde. Ein V ersuch
iiber Volksreligion, Lipsia, 1925 3) studiando le credenze e i riti clas-
sici inerenti alla Terra, concepita come Terra-Madre, pose l'animismo
al centro del sistema religioso primitivo. La Terra è concepita come
la Madre di tutti; riproduce le specie animali e dà fertilità al suolo, e
genera la schiatta umana; insomma la Terra è come un'anima piena di
anime; la fecondità dei campi è simile a quella della donna.
1\Iitologia Classica 219

8. 9. Secondo l'animismo, quando il corpo è morto, l'anima pas-


sa in un altro essere dotato di vita; se passa in un animale abbiamo la
metempsicosi dei Pitagorici, se in una JPianra il « vegetalismo » di W il-
helm Mannhardr che in Der Baumkultus der Germanen (1875) studiò
il culro degli alberi presso i Germani , e pose in luce come riti e culti
presuppongano la credenza secondo cui l'uomo vive nella pianta unita
a lui da un misterioso legame di affinità. L'animismo vegetale o « ve-
getalismo » si basa sulla convinzione dei primitivi che l'albero sia la
dimora degli spiriti o genii della foresra (Silvano, ninfe, driadi ecc. ).
Di frame agli dèi « alti », le figure divine della mitologia olimpica,
esisre una mirologia « bassa » di fate, genii, spiriti, ancor oggi narrata
dai popoli germanici; essa va comparaira non solo con i miti e i culti
agrari dell'Europa moderna, ma anche con quelli della Grecia, in cui
appaiono Ninfe, Cent.iuri. Ciclopi e Satiri e altri spir iti della vegeta-
zione (Adone, Atris, Proserpina ). Mentre lo spirita della vegetazione
è largamente attestato in Grecia (L. \VENIGER, Altgriechischer Baum-
kultus, Lipsia, 1919; L. WEBER., Altgt·iechischer Battmkultus, in ~< Wie-
ner Blatter fur die Freunde der AmiLke » 1924, pp. 110-113), quasi
scompare nella religione romana piL1 tarda (C. CLEMEN, Die Totung
des Vegetationsgeistes il! der romische.n Religion, in « Rheinisches Mu-
seum ~> 1930, pp. 33.3-342).

8. 10 . Ma poi, sotto l'influsso dello psicologismo del Wundt (My-


thus zmd Religion, 1905-1909), si v,enne a modificare la reotia del-
l'animismo: l'anima e lo spirito creano il dèmone, il quale possiede il
potere sovrumano di giovare o di nuiocere a mezzo di strumenti ma-
gici. È quesro il nuovo punto di partenza per gli studiosi di religione
primitiva, e in primo luogo di James George Frazer, che cercò di col-
legare le civiltà classiche coi popoli primitivi e questi con le plebi rurali
dei popoli civili e colse le sue testimonianze sia dalle letterarure clas-
siche e sia da quelle orientali. Il primo lavoro si intitola Totemism
(1884), rifatto poi in Totemism and Exogamy (1912).
Totem o totam è parola usata dagli Indiani del Nord America, e
sta a indicare un animale o una pianta o anche un fenomeno naturale
che dà nome al clan che lo venera. Qualcosa di simile pare ci fosse
anche nell'Italia preromana, quando i Piceni adoravano il picchio, gli
Irpini il caprone, e i Romani la ficus ruminalis, sotto la quale la lupa
allattò i due gemelli; anche l'aquila delle legioni romane parrebbe un
totem.
Il nome, che sarebbe caratteristico degli Indiani di America, è
stato trasferito alle culture d'Australia, dove vivono le popolazioni piu arre-
trate e quindi, in un certo senso, quelle piu vicine al tipo primitivo. Se-
220 FRANCESCO DELLA CORTE

condo i selvaggi, il clan ha come protetcore il totem, che impone do­


veri sociali, per esempio la legge dell'esogamia (proibizione di rapporti
sessuali fra geme dello stesso clan). Una volta all'anno il clan si ritmi· è
per celebrare Ja festa del totem in cui proprio il totem viene a esser
il cibo che essi mangiano (M. BESS0N, Le totémisme, Parigi, 1929;
A. VAN GENNEP, L'état actuel du probleme totémique, in « Rèvue de
l'Histoire des Religions » LXXV, pp. 295-374; P. RAMAT, Su alcun,:
tracce del totemismo nell'onomastica greca. Gli etnici i11 - ,,;-;:::., in
« Rivista di Filo l ogia e d'Istruzione Classica» XL, 1962, pp. 86-99).
Il Frazer aveva avuto un'ottima institutio classica; aveva curato il
Bellum Iugurthinum di Sallustio, la Pausania's Description o/ Greece
e, in cinque volumi, i Fasti di Ovidio. Con Folklore in the Olei Test,.
ment passò all'ebraico, osservando singolari analogie, per esempio. fra
Mosè, salvaro dalle acque, ed Edipo, esposto appena naro. La sua con­
cezione storico-religiosa poneva al principio di ogni culto la magia;
Golden Bough (1890; 1911-1915) porta il sottotitolo: Magie and Reli­
gion (G. FRAZER, Il ranzo d 1oro, trad. L. De Bosis, Torino, 1950).
In Totemism egli dimostra che ai selvaggi il mondo appare gover­
nato non soltanto da esseri personali, ma anche da forze impersonali,
sulle quali sono state create Je premesse della magia, che è una falsa
scienza, con alcuni postulati come: il simile produce il simile; l'effetto
somiglia alla causa; le cose, che sono state una volta a contatto, conti­
nuano ad agire l'una sull'altra, a distanza, dopo che il contatto fisico
sia finito.
Chi conosce e usa questi postulati è il mago che diventa un fun­
zionario nello stato primitivo; cioè lo stregone o sciamano della tribu
(E. R. Dooos, I greci e l'irrazionale, trad. ital., Firenze, 1959; W. BuR­
KERT, r,h1ç. Zum griechischen Schamanismus, in « Rheinisches Museum >>.
CV, 1962, pp. 36-55).
Il dio del mago è una forza impersonale, mentre il dio della re­
ligione è una forza personale. La magia è la pi{1 antica delle religioni
ne1la storia dell'umanità. Prima di Zeus, i Greci dovevano avere dèi
magici, di cui si è poi persa l a traccia. Forse solo santuarii e oracoli
ne hanno conservato il rito fino all'età storica. Il fenomeno del tote­
mismo è in parte religioso ( rapporti tra l'uomo e il totem) e in parte
sociale ( obblighi fra i membri dello stesso clan).
L'opera del Frazer è stata ripresentata sotto nuova luce nell'ulti­
mo scritto di BronisJaw Malinowski ( 1884-1942), che in Sir f. G. Fra­
zer: a Biografica! Evalutation (1942) ha mostrato come l 'opera del­
l'antropologo debba oggi essere rivista alla luce della teoria « funzio­
nale », se vuole raggiungere un grado di scientificità. Per il Malinow ·ki
( Myth in Primitive Psycology, 1926) la funzione del mito è que.ll a de l la
,Hitologia Classil'<I 221

rrndiziom: e ddla conrinuit~l della cultura: << ogni muramenro s rorico


crea la sua mitologi.a. che è rumwia solo indiretrameme relariva al
fatco srorico ».
Meriro dell\rnrropologia culrurale è quello di aver inrrodotto nello
studio della mirologia classica termini in uso presso popoli primitivi
viventi , studiati ,, sul campo}>.
Dopo il Frazer, S.llomon Reinach dimostra come il rotemismo,
il cabu e la magia siano fenomeni cosrirutivi di tutte le religioni; la
sua voluminosa opera C11ltes, Mythes et Religions ( 1905-1920 voll. 6)
sostiene la resi che rnrta l'umanità percorse un cammino di continua lai-
cizzazione. Egli scrive in Orpheus che il culro degli animali e degli al-
beri, quello che si riscontra in tutte le società antiche, ha dato origine
a un tipo di favole metamorfiche. Non è che Zeus si sia trasformato in
aquila o in cigno; è avvenuto esattamente il contrario: il dio-aquila e
il dio-cigno cedettero il posto a Zeus, quando i Greci passarono dal
culro zoolarrico all'amropomorfismo. Generalizzando anche troppo, il
Reinach riconosceva rracce di totemismo nelle favole di Orfeo, di At-
reone, di Ippolito, di Marsia, di Fetome e di Adone, e persino nel culto
di Dioniso. Ma il totemismo rientra nell'ambito della magia e la magia
è la fase prereligiosa dell'uomo. Un acuto smdioso iraliano, Ernesto De
Martino, immaturamente scomparso nel 1965, prendendo lo spunto
daJla scuola sociologica, nella sua opera Il mondo magico ( 1948) di-
mostrò come il complesso di credenze irrazionali e superscizioni fosse
il primo stadio della umana civiltà.

8. l l. Una imporrarne scoperta dell'etnologia è stato il concetco


di tabu. E questa una parola polinesiana che corrisponde, a un di presso,
al termine ambivalente latino sacer e che iodica tanto « sacro>>, e cioè
consacrato agli dèi. quanto « esecrato )> e quindi ancora consacrato agli
clèi, ma come viuima da sacrificare.
Quesco doppio significato di tabu è molto imporrante, perché di-
mostra che i popoli primitivi avevano sentimenti di odio-amore mol-
to vicini e simili. Tabu è anche un ordine; chi lo trasgredisce diviene
a sua volra tabu. Il tabu encra a far pane della teoria del preanimismo
di R. R. Marett, che nel 1909 pubblicò Is Taboo a negative 1'vfogicJ.
Delle due religioni , la greca e la latina, ~ quest'ultima che, presentando
un carattere piu arcaico, ha conservato un maggior numero di tabu (E. E.
BuRRISS. The nature of taboo and its survival in ro,nan !ife, in « Clas-
sica! Philology » 1929, pp. 142-16.3). Nella mentalità dei Romani vi
è qualcosa di psicologicamente meno determinato dell'animismo: « cer-
ti sentimenti e certe idee di forze misteriose non sono ancora spmn,
ma piurcosto volontà e personalità indeterminate indicate col nome
m FRANCESCO DELLA CORTC

generico di mana» (P. BOYANCÉ, Le mana dans la religion romaine, in


« Journal des Savants » 1948, pp. 69-78; H. J. RosE, Numen dnd
mana, in <t. Harvard Theological Review » XLIV 1951, pp. 109-120;
W . PoETSCHER. Numen, in « Gymnasium » LXVI 1959, pp. 34.3-37-1 '.

8. 12. Nel 1913 Sigmund Freud (1865-1939) volse la sua ;ltten-


zione agli studi sulle mentalità primitive e sul mito. Egli si accorse che
i risultati cui erano approdate le precedenti scuole socio-antropologiche
rischiavano di non essere fecondi, se non si introduceva il concetto
del subconscio. In suoi precedenti lavori aveva individuata l'imporrnnzn
della sessualità. Come il nevrotico adulto risente delle sue vicende in-
fantili, cosi la vita dei primitivi ha un peso sulla intera umanità di
oggi. I selvaggi non avevano ancora il Super-Io, ma soltanto l'Es (la
realtà oggettiva) e l'Io (il subconscio). Passando alla fase arcaica della
vita umana, Freud era certo di scoprire qualcosa di non ancora toccam
dalJa civiltà, e di gettare nuova luce sull'inconscio; informatosi sulla
produzione di etnologi, folkJoristi, si rese conto che, mentre sul con-
cetto di tabu si poteva trovare una certa concordanza di idee, la maggior
confusione regnava nell'ambito del totem.
AI totemismo portò il suo contributo, giustificandolo come un am-
pliamento del complesso di Edipo. Il totem è padre del clan. Quindi
gli si dovrebbt: portare amore; ma ben presro cessa l'amore; nasce 1a
rivalità, e la gelosia muta l'amore jn odio. Il problema dell'esogamia.
che è legato al totemismo, ci porta a inserire la concupiscenza fra gli
elementi caratteristici del clan.
Dalla scuola psicanalitica uscirono Carl Gustav Jung e Karl Kè-
rényi che insieme scrissero i Prolegomeni allo studio scientifico della
mitologia ( trad. ital., Torino, 1948). Il Kerényi approfondi il pro-
blema sia con varie monografie, sia con trattati generali sul mito greco;
ma, amico personale di Thomas Mann, credette di fare della mitologia
un grande romanzo psicologico, i cui personaggi sono dèi ed eroi. Se
anche la lettuia delle sue pagine può risultare attraente, la fantasia vi
ha una parte preponderante; e non si può accettare il suo pur volen-
teroso contributo come una sicura acquisizione per la scienza (CH.
PICARD, Un bilan moderne de la religion antique. L'oeuvre de K. Keré-
nyi, in « Diogène » 1959 N. 25, pp. 125-141 ).
La scuola psicanalitica, nonostante lo sfolgorante debutto di Freud,
con Totem e tabu, non ha portatO molto di nuovo agli studi del mito:
lo ha imerprecato come sogno. La teoria psicanalitica, specialmente
quella dello Jung, ha ragione quando afferma che il mito, come grande
arre e come letteratura drammatica, può aver valore profondamente
simbolico, e agire nel presente anche su di noi, suggerendoci modelli
Mitologia Classica :223

di azione e cli condotca; ma, fatta eccezione per il mito di Edipo, rive-
latosi estremamente significativo grazie al « complesso » omonimo, sco-
perto da Freud, ben poco può giovare allo psicologo del «profondo)>.

8 . 13. La psicanalisi, attraverso i simboli onirici, giungeva a con-


clusioni non molto dissimili da quelle del primo romanticismo e della
scuola simbolistica; un ultimo teorico del simbolismo mitologico è
Ernesc Cassirer ( Filosofia delle forme simboliche, vol. II Il pensiero
mitico, trad. i tal. Firenze, 1964 ), che considerava il mito come una
non perfetca distinzione fra simbolo e oggetto del simbolo: il mito
sorge spiritualmente al di sopra del mondo delle cose; esso vede nelle
figure e nelle immagini con le quali costituisce questo mondo un'altra
forma di materialità e di legame con le cose.

8. 14. In aperta reazione alle costruzioni simbolistiche e psicana-


litiche, sul cui fondamento scientifico molti sono i dubbi, è nato il
metodo « fenomenologico » applicato al mi to e alla storia delle religioni.
Di fronte al soggettivismo e alla tendenziosità di certe spiegazioni si
preferisce tornare ai dari di fatto, inserendoli nello spazio e nel tempo.
Poiché troppo spesso la determinazione cronologica non è possibile,
si propende a studiare l'eidetica del fenomeno, purificando il fatto dalle
sovrastrutture e arrivando al nocciolo (A. Br.RTHOLET, Zur Religiom-
phiinomenologie, in « Forschungen und Fortschritte >> XXI-XXIII 1967,
pp. 29-31; C. J. BLEEKER. The Phenomenological method, in « Numen »
VI 1959, pp. 96-111; P. LAMBRECHTS, De fenomenologische methode in
de godsdienstwetenschap, Bruxelles, 1964).

8. 15. Un indirizzo che aveva dato buoni frutti era quello che
indagava le strutture sociali: anteriore a una società patriarcale, nota
attraverso la Bibbia, e alle antiche letterature indo-europee, ci doveva
essere stata una fase matriarcale. Questa tesi venne esposta da J. J.
BACHOFE~ (Das Mutterrecht. Ei11e Untersuchung iiber die Gynaikokratie
der alten \Y/elt nach ihrer religiosen Natur, Basel, 19482 ) . N. D. FuSTEL
DE CouLANGES (La città antica, trad. ital., Bari, 1925), insisteva sul
culto degli antenati come elemento primigenio nella religione dei Greci;
sviluppi in senso sociologico, determinare dalla suggestione di Auguste
Comte, si hanno ancor oggi con la scuola francese (E. BENVE:-IISTE, Sym-
bolisme socia! da1!s les cultes gréco-italiques, in « Revue de l'Histoire
des Religions » 1945 CXXIX, pp. 5-16; G. MENSCHL'IG, Sociologie re-
tigieuse. L e r6le de la religion dans !es relations communautaires des
humains, Parigi, 1951; B. MOREUX, Interprétations sociologiques de
faits religieux grecs, in « Echos du Monde Classique }> XII 1968, pp..
?74 FRANCESCO DELLA CORTE

80-83 ). Il Durkheim rnenc:va a ragione che il modello del mito non


fosse la natura, ma la società, in quanro esso 1.: hl proiezione delle
principali caratteristiche deJJa vira umana nel mondo <le! fanrastico ( Lt's
forme élhnentaires de la vie religieuse. 1912).
Il Lévy-Bruhl ( La ment,tlité primitive, 1922; L',ime primitive,
1928) definiva il pensiero mitico come pensiero prelogico; nel mito
non si ri trova l'ordine razionale delle cose; tuttavia il racconro rienè
per ferme cene partecipazioni e certe esclusioni mistiche. che cosrimi-
:;cono un sistema. Il primo grosso risulraro pratico si ebbe con JA~E
E. HARRISON, l'autrice di Themis. A study in the Socia! Origins o/
Greek Religion (Cambridge, 1912 ), che, parcendo dall'inno cretese dei
Cureri, riscontra analogie fra il miro di Zagreus e le cerimonie tribali
di iniziazione presso popoli dell'Aus tralia Cenrrale . La scienza deU'anri-
chità usciva dall'isolamenro, in cui l'aveva confinata la imlogerma11ische
Forschung, per spiegare fenomeni a lla luce di dari nuovi (R. PET TAZ·
ZO'.'II, ll metodo comp{lrativo, in <' Numen » VI 1959, pp. 1-14).

8 . 16. Dopo aver esposto rance metodologie intese a studiare i


fenomeni micologici, viene fatto di chjederci: e allora come si deve
procedere nei confronti del mito?
La risposta ci è venuta non dalla filologia classica e neppure dal-
l'ernologia dei popoli primitivi. Si può dire con un paradosso che la
risposta l'avevamo in casa e non ce ne eravamo accorti. Sono stati gli
studiosi delle favole, le .6abe dei bambini, le fiabe delle streghe, dei
maghi e delle buone far ine quelle che ci hanno condotro sulla giusra
srrada.
Le fiabe, che ancora vivono al giorno d'oggi, sono state raccolte e clas-
sificate; di esse non si può scienrificameme sapere né l 'origine, né le
trasformazion i, né le evoluzioni; se vogliamo obiettivamente srudiarle.
bisognerà applicare il metodo linneiano delJa classificazione.
Solo poche volte, guando elememi storici possono venirci in aiu-
to, con dati fomiti dalla linguistica, dall'archeologia, dal! 'etnografia, ecc.,
ci si può azzardare a procedere sroricameme. In rutti gli altri cn"i è
pi{1 prudente attenerci al metodo descrittivo del fenomeno .
Oggi questo metodo s i è affinaro e ha fatto tesoro delle esperien-
ze della lingu istica; e anche allo studio del miro si è cominciato ad
applicare il metodo strutrurale.
I rnighori risultati sono srnti ottenuti sia dalla scuola di H elsinki.
s ia dagli strutturaLsti sovietici e francesi. Oggi è possibile esaminare le
forme della fabulazione con la sressa precisione con cui si studia la
morfologia delJe formazion i organiche, come t: possibile comparare la
sintassi di un miro con quella di un alrro. Il mito era stato esaminaro
Mitologia C!,1ssica ?"5

da un p unco di visca generico, senza alcuna descrizione sistematica. Non


::.empr-: si può chiedere donde abbia origine un miro; vogliamo solo
sapere in che cosa ogni mito consiste.
I ::.istemi di classificazione si erano in passato interessati della ri-
partizione in cicli; oggi anche l'intreccio può divenire una categoria
di Jifiert:nzi,1zionc. e il racconto pwò essere scomposto nei singoli
<' mitem i ,, .
Con A. Aarne (Verreiclmis der 1Warcheutype, Helsinki, 1911 )
la scuola finhmdcsc ha c..:ominci:..no u raccogliere e comp:irare le v:trianti di
singoli intrecci . Ma gli inrrccci sono legaci da affinità, il che rende dif-
lìcile dire dove finisca un intreccio e dove ne inizi un alrro; solo dopo
eh<: -;i e \·isto come si trasferiscono gli elementi dall'uno all'altro rac-
comcJ, :,i può parlare di origine, di evoluzione e di diffusione. La scuo-
la f-ìnlandese crede che ogni intreccio sia organicamente intero, e quindi
possa essere isolato.
Ali' Aarne va il merito di aver iniziato la classificazione degli in-
trecci, chiamati tipi e cli avere introdotto mili sottoclassi.
Benché priva di sensibilità scarica , la scuola finlandese è beneme-
rita per a\'er approntato il piu grandle schedario folkloristico, con la
maggiore obienività scientifica possibile; i due volumi di A . Aarne (The
types of the /olktale,. a classification tmd bibliograph·y. Helsinki Acad.
Scienr . Fennica 1961 2 ) e di S. Tf-IOMPSON (Moti/ index of folk-literature.
A classifi.catio11 o/ narrative elements in fo!k-tales, ba!lads, myths_. fa-
bles. mediaevalromances, exempla, fabliaux, jest-books and !ocal le-
2,ends, Bloomingron 1932-1936) sono serviti come indispensabile re-
pertorio agli stnmuralisti, i quali piu che dell'esistenza d i varie favo-
le nel mondo, si interessano della loro coerenza e sintassi interna.

8. 17 . Pro fessore di etnologia e di folklore nell'Università di Le-


ningrado. il Propp si (' reso conto che nella vicina Finlandia si era
approntato il mezzo per studiare con. maggior conoscenza e penetra-
zione la scoria della favola. Nel suo volume Le radici storiche dei rac-
conti di fate (trad . iral., Torino, 19-19) attingendo alle fiabe popolari
russe, ma comparandole con quelle di tutto il mondo, espose un nuovo
metodo dello srudio del folklore, col quale si poteva giungere allo
stadio culturale preistorico. Con il saggio Morfologia della fi(Iba (trad.
ical. Torino, 1966) che. serino nel 1928. già anticipava lo struttura-
lismo, il Propp scudiò le favole di nnagia che nessuno era riuscito a
catalogare in modo convincente. Delle fiabe non si possono classificare
né i p1.:rson,1ggi né gli intrecci. Occorre invece indi\'iduare i nuclei fissi.
gli elementi costanti. che Propp chiamu le « funzioni»; la funzione è
" l'aziune di un personaggio dal punto di visrn del suo significato per

13 • 11
226 FRANCESCO DELLA CORTE

lo svolgimento della vicenda». Propp ha scopeno che, se i personaggi


sono numerosi, il numero delle funzi,oni è molto limitato. Dall'analisi
di numerose fiabe, Propp ha indivi,duace una trentina di funzioni.
Dato che << i personaggi e gli nttribuiti cambiano, ma non le azioni e
le funzioni », Propp scopre quell~ fonzioni che, fatta eccezione per
qualche inversione, si dispongono in un ordine di successione idenrico.
Qualche funzione talvolta manca, ma l'ordine è rispetrntO.
Propp ha dimostrato che esiste un fiaba unica, di cui mcce le alrre
sono varianti; le favole di magfa popolari , in tutto il mondo, hanno un
solo prototipo. Non bisogna tuttavia credere che il prototipo sia sono
in un solo paese, e di qui si sia diffuso. Piuttosto si direbbe che, simili
a piante affini, le fiabe allignino dappertutto, mantenendo lo stesso sche-
ma interno, indipendentemente da qualsiasi influenza .
A differenza del Propp, studioso di fiabe, C. Lévi-Srrauss è erno-
Jogo ed è interessato ai « primitivi » di oggi.
Una delle sue piu importami scoperte è l'interpretazione dello spi•
naso problema dell'esogamia. P artendo dal tabu deJJ>incesto, e avendo
ridono a puro « scambio di donne » Je regole delle parentele e del ma-
trimonio (in quanto le donne nella società primitiva sono merce di scam·
bio a fini commerciali, economici e persino per la comprensione fra
gente di lingua diversa), Lévi-Strauss, dopo aver cercato le leggi di
parentele, i riti, i miti che governano la vita dei popoli primitivi, e dopo
essersi ispirato a Marx, Freud e al linguista De Saussure, ha gettato un
ponte fra storia ed etnologia e si è fermato sulla Struttura dei miti.
chiedendosi << perché mai i miti , e piu generalmente la letteratura orale,
fanno un uso cosi frequente del raddoppio, triplicazione o quadruplica-
zione di una stessa sequenza>>. la soluzione è: << Ja ripetizione ha
una funzione peculiare, che è quella dli rendere manifesta la strum1ra
del mito». In altre parole. a1la success:ione diacronica delle vicende, si
interseca una esposizione sincronica di e lementi s imili. IJ rurto viene
reso evidente da tabelle, in cui i fatti si dispongono sia in senso ver-
ticale, sia in senso orizzontale.
Alle formule lineari del Propp eg;li oppone le espressioni dell'al-
gebra bowliana, in cui le « funzioni » hanno valore matematico.
Se il P ropp nega che ci sia rapporto tra fiaba e miro, Lévi-Strauss
rifiuta di separarli. Sono in fondo - osserva il primo - gli stessi raccon-
ti, gli stessi personaggi, gli stessi motivi; la differenza è data dal livello
culturale e sociale. 11 mito è costruito su idee cosmologiche, mera.fisi-
che, naturali; la fiaba , che ha un limitato ambito locale, sociale, morale,
abbassa i temi dei miti, e, non essend0t vincolata dalla società, si con-
cede fantasticamente maggiori licenze; è insomma un mito in miniatura.
per gente piu semplice e meno dotta. Fiabe e miti si possono ricon-
Mitologia Classica 'J.17

durre alle rnede~i1r.e strutture; sono due aspetti della medesima fabu-
lazione. Le fa\'ole conservano il ricordo di miei antichi, anche quando
i miei sono dim..::micati . Il mito e la fiaba sono coesistiti durante tutto
il periodo Jella lerrera:ura orale. Poi il mito divenne serino, mentre
la fiaba popolare concinuò la sua tradizione di bocca in bocca.
Quando ancora favola e mito rappresentano un idemico sistema
di crasmissione, è il miro di solito piu antico della favola, come ha
dimostrato, sulla ba~e dell'intreccio dell'« Edipo» sofocleo, lo stesso
Propp (Edip v svete fol'klora in << Ucenye zapiski Leningradskogo Gosu-
danvennogo Universirera », 19-+4 n. 12). Col passare degli anni l 'eroe
perde il suo nome e il racconto dimentica il suo carattere sacrale; al-
lora il mi to si trasforma in favo la. Di diverso parere è Lévi-Strauss che
non ritiene il miro piu amico della favola : « Al presente - scrive -
miti e favole coesistono fianco a fianco; quindi un genere non può es-
sere considerato sopravvivenza dell'altro» . Gli risponde Propp :
<< L'esempio dell'Edipo mostra che nel corso dello sviluppo storico gli
intrecci possono passare da un genere (mito) all'altro (leggenda) e da
questo a un terzo (favola)».
Senza addentrarci in questa polemica, si può ritenere metodico
che, prima di arrivare alJa preistoria del miro, noi dobbiamo cercare di
capire bene i testi lenerari poetici o storici. Per far questo dobbiamo
analizzare le fabulazioni, dobbiamo sapere che cosa fanno i personag-
gi e non chi fa e come fa. Le funzioni sono poche, mentre i personaggi
tanti; c'è varietà di nomi da un lato, ma c'è uniformità e ripetizione
nelle vicende dall'altro. Le funzioni dei personaggi rappresentano le
parti fondamentali della favola: Achille o Sigfrido sono invulnerabili,
eccetto che in un punto; questo è l'essenziale; quale sia il punto e come
sia avvenuto che divengano invulnerabili, questo è secondario . Per indi-
";Òuare le funzioni non bisogna tenere assolutamente conto del perso-
naggio; l'azione rimane automaticamente determinata dalla sua colloca-
zione nello svolgimento della narrazione. Quindi è il signi.6caro di una
funzione quello che impo rta nella fabulazione.
Lo strutturalismo, pur aspirando alla massima obiettività, ha i
suoi limiti; le sue formule sono possibili e proficue quando è presente
una ripetibilità su vasta scala, come avviene nel Jjnguaggio o nel folk-
lo re. Nel campo del mito c'è stato l'inrervenco dell'attività poetica e
quando Fatte diventa campo d'azione di un genio, come lo è Omero o
come lo sono i rragici. l'uso di metodi esatti darà risultati positivi solo
se lo studio degli elementi costami sarà accompagnato dallo studio sro-
rico-letterario. Lo stesso Propp ha voluro sottolineare la necessit?t di
non dimenricare che, dopo la classificazione dei miri, viene la critica
della poesia e cosf ha concluso: « Se abbiamo messo in rilievo l'affinità
22Jj FRA~CESCO DELLA CORl'I:

tra le leggi studiate dalle scienze esmte e quelle scudiate dalle disci-
pline umanistiche, vorremmo concludlere ricordando la loro specificJ
differenza ».

9. Abbiamo visto come , a<l una ad una, le vi:tric teorie eh..: si sono
prospettare per risolvere il problema ciel mito non ci abbi,1110 soddi-
sfacci. In ognuna di queste e·~ qualcosa di buono. La stc:ssa ch:ris:1 mi-
rologia ~olare non e che sia fondamcmalmente sbagliata. Soltanto non
s i deve generalizzare né risolvere ogni fatto mitologico in focto subre.
L 'acquisizione dei revivcds, la cui folgorante scoperrn risale all'Illumi-
nismo, e all'ingresso del buon selvaggio (il (<bestione» <li Vico J ndl.i
cultura europea, è indubbiamente un dato positivo. Ma anche l'uso
indiscriminaco che se ne è fatto non ha certo bene impressionato il
cul rore di lettera cure classiche.
L'impiego di una terminologia esrrane,1 al mondo classico non
può essere combattuto ed escluso a priori. Saremmo ben lieti di sosci-
tuire i termini tabu, totem, clan, mana, ecc., con altri greci e !acini;
purtroppo termini classici hanno murato significato attraverso i secoli
e sono giunti a noi filtrati daJl'Ellenisrno, dal Cristianesimo, dalle ~eco-
lari scuole di grammatica, retorica e filosofia, perciò se, anziché mtmu
od orenda, oggi dicessimo numen o .daimon rischieremmo di confon-
dere Je idee anziché di chiarirle; se invece di tabu dicessimo nefas, p,1r-
rebbe che si trattasse di una prescriz.ione giuridica, religiosa, srarnle;
ciò che tabu non è.
Anche dalla psicanalisi abbiamo imparato qualcosa: ma non t:'.
opportuno accettare il dualismo fra coniscio e subconscio, soprat rurro se
riferiti a menralità primitive, quando le due forme e rano perfetcameme
identificate nell'irrazionale.
Oggi, allo stato anuale delle nostre nozioni, in fano di mitologi.i
dobbiamo avere il coraggio di constatare che il piu delle volte non
siamo in grado di s tabilire l'origine del mito, né la sua diffusione. né
i rapporti cronologici fra un mito e l"altro, né i rapporti fra il mito
di un popolo e quello di un altro popolo.
Solo la « sistematica » ha potuto dare qualche risultato. Lo strut·
turalismo invece non pare tanto applicabile all'analisi inrerna del mito,
quanro alla classificazione dei diversi miti e al loro raggruppamento
secondo le « funzioni » .
Esaminando ora la micologia classica nella sua esposizione cam.1 -
nica, si possono cosf classi.Ecare i vari miti:

9 . l. mico teogonico: nascite degli dèi, loro parentela, matrimonii.


figli, discendenza:
Mitologia Classica 229

9. 2. mito cosmogonico: creazione e ordinamemo del mondo, gli


elementi costitutivi, loro divisioni e contrasti;

9. 3. mito antropogonico: creazione dell'uomo;

9 . ..f. miro antropologico: cararrerisriche umane; divisione dell'uma-


nità in stirpi: loro sranziamemo;

9. 5. mno soteriologico: catàbasi all'Ade, Nekyia, iniziazioni ai


misteri;

9. 6. mito culturale: attività di un eroe che migliora le condi-


zioni dell'uomo, come Prometeo che dona il fuoco agli uomini; come
Eracle che libera la terra dai mostri; e in genere ogni attività del-
l'euretés, o inventore, che scopre nuove vie o inventa nuovi arrifici;

9 . ì. mito escatologico: la risposta all'angosciosa domanda che


sarà del fururo del mondo, dell'uomo dopo la sua morte, che cosa lo
arrende nell'al di là (sotto guesco aspetto il miro escatologico sconfina
in quello soteriologico, con la differenza che l'escatologico è pessimi-
sta, perché espone soltanto le punizioni, le condanne e le altre pene,
mentre il soteriologico scopre il modo con cui si può evirare la danna-
zione eterna);

9 . 8 . mito etiologico: la ricerca delJe cause per cui una tradizione


si è formara, risalendo all'episodio che ha daro luogo al fenomeno che
s1 prende in considerazione;

9. 9. miro naruralistico: i racconti sono alrrettanti simboli di feno-


meni atmosferici, tellurici, astrali.

Queste nove classi di miti, che per chiarezza esposmva abbiamo


Ì:,olace l'una dall'altra, di fatto si intersecano e, per trovare una loro
ragione, bisogna ricorrere a piu di una spiegazione.
Spesso avviene che la spiegazione data dalla società primitiva non
e la medesima che viene data dalle ciYiltà evolute e progredite.
Purtroppo non è possibile una cronologia dei miti . Le fonti di
cui disponiamo, lerrerarie o rafligurative ( vasi, statue., ecc.), sono rune
piuttosto tarde e, comunque, di parecchi secoli posteriori alla crea-
zione del mito stesso.
Inoltre, come si enrra in età storica, la presenza del pensiero filo-
sofico, che, doYendo operare ad alto livello. vuole dare una giusri.6-
230 l 'RAKCESCO DELLA CORTI::

cazione alle credenze popolari, finisc,e per complicare le cose. Il mito.


come ce lo rappresenta la crngcdia attica, l: cerrnmen:e influenzato dalia
filosofia di quegli anni e in parcicolare da Anassàgora, quando non ad-
dirictura dai sofisti.
Il razionalismo attico affiora anche in Placone, che, pur non n-
nunciando al mythos, lo conside::ra sempre inferiore al logos. Il mito
è un'opinione vulgata che o s i accena o si confuta , comunque è pur
sempre un 'opinione che la scienza dc~ve saggiare per ricavarne, quando
è possibile, quel tanto cli vero che è sotto la fantasia fabulatrice del-
l'uomo. Se il mito e sempre impregnato di incertezza, la certezza viene
soltanto dal ragionamento. Ma ci sono cose tanto oscure che la mente
umana non può percepire; questa zo,na di penombra o cli ombra, che
viene lasciata all'irrazionale, è appunto il regno del mito . A vanrnggio
del miro c'è sempre la tradizione e l'antichità. Se per secoli i popoli
hanno creduro a qualche cosa, vuol dire che per lo meno qualcosa di
vero c'era .
II mythos è anche simbolo e ha spesso valore estetico; piace a
chi lo sente narrare, perché è il campo operatÌ\"O del poeta, mentre il
logos, e cioè il ragionamento, è il campo del filosofo.
Valore estetico e significato simbolico sono ancor oggi 1 due pun-
ti per cui si suole studiare il mito: da un lato interessa vedere come
il racconto sia stato impostato e condotto; e in questo aspetto l'epica
non è diversa, nelle sue fruizioni, dal moderno romanzo come forma
di trattenimento e di diletto; dall'altro invece si crede che anche la
storia dell'umanità sia rappresentata nel mito e quindi, sotto i sim-
boli, siano recuperabili le condizioni dell'umanità nel suo evolversi
dalla Natura alla Cultura.
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re de l'École Française de Rome )> LXXXrif 1962, pp. 433-462; S. SKOVGAARD
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Mitologia Classica 25ì

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