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GUIDE ALLO STIJDIO DELLA CIVILTA ROMANA

dir. da S. Calderone e S. D'Elia

I, 1: Geografia e topografia dell'Italia antica


2: *Popolazioni dell'Italia antica
3: *Roma antica. Sviluppo urbanistico

II, 1: Storia di Roma dalle origini a Cesare


2: Storia di Roma fino ad Aureliano
3: Storia di Roma da Aureliano a Teodosio

III, 1: La storiografia antica e Roma


2: La storia di Roma nel pensiero storiografico moderno

IV, 1: Roma antica. La civiltà letteraria


2: Roma antica. Lingua e istituzioni letterarie

v, *Religione, filosofia e scienza in Roma antica

VI, 1: *La costituzione romana II diritto romano: carat-


teri e fonti • II diritto privato - II diritto criminale
2: L'amministrazione delle città e delle province
VII, 1: Le arti in Roma antica: architettura
2: *Le arri in Roma antica: scultura
3: *Le arti in Roma antica: scultura; arti minori
VIII, Ricerca archeologica,·
1: Italia e Sicilia
2: Province occidentali, Norico e Pannonia, Dalmazia
3: Marocco, Algeria, Mrica proconsolare
4: Dacia, Mesia, Tracia, Grecia e Asia Minore
5: Province orientali africane e asiatiche

IX, 1: Nurnismatica e metrologia romana


2: Antichità private Forze annate Industria e com·
mercio - Viabilità e navigazione • Agricoltura, pasto-
rizia e allevamento - Caccia e pesca

X, 1: *Epigrafia romana
2: Iscrizioni parietali pompeiane
3: *Paleografia latina

*Volumi pubblicati
GUIDE ALLO STUDIO DELLA CIVILTÀ ROMANA
dir. da S. Calderone e S. D'Elia

X, 1: EPIGRAFIA ROMANA
Questa raccolta organica di Guide allo studio della
Civiltà romana si collega idealmente, e in parte sostan-
zialmente, alla ben nota Guida, in due volumi, diretta da
V. Ussani e F. Arnaldi (1958 2 ). Come quella, ma con
mole editoriale più lieve, per essere la materia ripartita
in più volumetti, e con più vigile sguardo alle esigenze
della scienza storica, filologica e archeologica moderna,
queste Guide (alla cui ideazione ha ancora collaborato il
compianto Amico Francesco Arnaldi) vogliono essere stru-
mento agile, e al tempo stesso sicuro, per chi voglia avvi-
cinarsi ai meccanismi ideali e pratici, che ressero le strut-
ture del più vasto e vivo e complesso organismo del mon-
do antico; sl complesso, da far dire ad Aristide: tutti gli
altri imperi dominarono come su corpi senz'anima, Roma
sola su delle città vive.
S.C. - S.D'E.
EPIGRAFIA
ROMANA

DI G. C. SUSINI

JOUVENCE
© 1982 SOCIETA EDITORIALE JOUVENCE a r.I.
00191 Roma - Via Castelfranco Veneto, 88 - Te!. 06/3277521
Questo libro è una guida - una chiave di lettura -
alle iscrizioni romane: si propone di esporre alcuni pro-
blemi ed un profilo dei valori che l'epigrafia restituisce
come storia della comunicazione umana nell'età dei ro-
mani. Non è quindi un manuale, non rifà il Cagnat, clas-
sico e intramontabile, non sostituisce le altre recenti trat-
tazioni della disciplina. Bibliografia ed esempi sono orien-
tativi, e intendono rappresentare la realtà di un patrimo-
nio pluriepocale prodotto in territori culturali diversi.
Si è dato certamente più spazio a qualche aspetto del-
l'epigrafia romana rispetto alle trattazioni tradizionali,
per conoscere meglio la storia del lavoro umano e per
avvicinare di più quelle iscrizioni che furono la storiogra-
fia della gente qualunque o di quegli uomini che si cre-
devano qualcuno, ma non avevano altro che la pietra per
far conoscere la loro memoria: Lapidem, quem reproba-
verunt artifices, hic factus est in caput anguli (Luca, 20,
17).
Una dedica di questa summa - e un ringraziamento
- potrebbe indicare colleghi di ogni paese, e di ogni
professione culturale (si impara, più o meno, da tutti),
nonché i collaboratori impareggiabili della scuola di Bo-
logna e delle Romagne. Ma di nome voglio ricordare solo
alcuni maestri scomparsi, famosi o invece del tutto igno-
ti: Giorgio Cencetti, Elvezia Cantele, Eleuterio Maran-

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Epigrafia romana

goni, Gianfranco Tibiletti, Angelo Scarpellini, Arturo


Solari. Quest'ultimo diceva agli scolari dalla cattedra bo-
lognese: « se volete studiare sul serio la storia antica,
imparate a capire le iscrizioni », e aggiungeva: « o stu-
diate l'epigrafia o andate a piantar cavoli». Che era poi
una variante del mommseniano « d.ie Epigraphik an den
Nagel hangen » (Ital. Reise, San Marino 14 luglio 1845,
dopo l'incontro con Bartolomeo Borghesi).
G.C.S.

B
AVVERTENZE E ABBREVIAZIONI

La bibliografia principale è raccolta nel cap. III, l; mol-


te altre indicazioni si trovano negli apparati dei singoli ca-
pitoli.
I criteri di trascrizione dei testi sono esposti nel cap. III,
2: come di consueto, le parentesi tonde vengono usate per lo
scioglimento di abbreviazioni e le parentesi quadrate per l'in-
tegrazione di parti mancanti.

Alcune abbreviazioni bibliografiche:


ABp <<L'Année épigraphique )), Paris;
Album A.E.-J.S. GoRDON, Album of dated latin
inscriptions, I-IV, Berkeley-Las Angeles
1958-1965;
ANRW Aufstieg und Niedergang der riimischen
Welt, Berlin-New York, collana di stu-
di in corso:
CIL Corpus inscriptionum Latinarum;
CLE Carmina Latina epigraphica, 1-111, Li-
psiae 1895-1926, a cura di F. BucHELER
e E. LoMMATZSCH;
CongrEp Atti dei Congressi internazionali di Epi-
grafia greca e latina (segue il n. d'ordi-
ne e il luogo del Congresso);
Dessau Inscriptiones Latinae selectae, 1-111, Bero-
lini 1892-1916, a cura di H. DESSAU;
DizEp Dizionario epigrafico di antichità romane;
EphEp « Ephemeris epigraphica », I-IX, Romae-
Berolini 1872-1903;
« Epigraphica : « Epigraphica. Rivista italiana di epigra-
fia», Bologna;

9
Epigrafia romana

IDR Inscriptiile Daciei romane;


IGI.Syr Inscriptions grecques et latines de la Syrie;
IGRRP Inscriptiones Graecae ad res Romanas per-
tinentes, I, III-IV, Paris 1906-1927, a
cura di R. CAGNAT, P. JouGUET, G. LA-
FAYE, }. TOUTAIN;
ILAlg Inscriptions latines de l'Algerie;
ILLRP Inscriptiones Latinae liberae reipublicae,
I-II, Firenze 1963-65, a cura di A. DE-
GRASSI (Imagines, Berolini 1965);
Inscrit Inscriptiones Italiae;
MEFRA << Mélanges de l'Ecole française de Rome.
Anttquité »;
NotSc « Notizie degli scavi di antichità », Roma;
PIR, PIR2 Prosopographia imperii Romani saec. I, II,
III, l.a ed. conclusa, Berolini 1897-98,
a cura di E. KLEBS, P. DE RHoDEN, H.
DESSAU; 2.a ed. in corso, a cura di E.
GROAG, A. STEIN, L. PETERSEN;
RIB The Roman Inscriptions of Britain (sinora
l, Oxford 1965, a cura di R. G. CoL-
LINGWOOD e R. P. WRIGHT);
RIDA « Revue intemationale cles droits de l'an-
tiquité »,Bruxelles;
RIU Die romischen Inschriften Ungarns;
« Scr. e civ. » « Scrittura e civiltà », Roma;
SDHI «Studia et documenta historiae et iuris »,
Roma;
ZPE « Zeitschrift fiir Papyrologie und Epigra-
phik », Koln.

Altre abbreviazioni usate nel volume sono di facile com-


prensione. I manuali di epigrafia (elencati sotto, cap. III, l)
sono citati col cognome dell'autore.

lO
PARTE PRIMA

LE ISCRIZIONI ROMANE
l. L'EPIGRAFIA

Fuori di casa, camminando per le strade e le piazze


e in ogni luogo aperto al pubblico, capita di leggere, an-
che senza volerlo, delle scritte: per lo più si tratta di in-
segne, in materiali diversi, non sempre le pietre o il
bronzo o la terracotta ma anche la plastica, il vetro, la
tela; l'illuminazione notturna giunge ad esaltare queste
scritte, le pone in evidenza anche con la mobilità dei ca-
ratteri. Quasi sempre queste indicazioni scritte sono colle-
gate ad attività economiche, a luoghi di consumo, ma
qualche volta designano uffici, compaiono sulla fronte o
sulle pareti di edifici pubblici, su monumenti, per non
dire dei cimiteri che sono tutti punteggiati di lapidi con
i nomi dei morti ed il pianto dei superstiti. Inoltre ci
sono scritte che danno un nome alle vie di una città, che
avvertono delle direzioni da prendere, che spesso si colle-
gano a figure o disegni per significare obblighi o divieti.
Esiste quindi - ed in certo senso è sempre esistita,
almeno nelle civiltà che impiegano la scrittura - una
« littérature de rue », che rappresenta una sorta di strut-
tura superficiale, di assetto comunicativo della realtà. Al-
cune di queste scritte hanno la pretesa di durare più di
altre, forse non si vorrebbe mai rimuoverle, e quindi sono
su materiale più resistente (per esempio, la pietra, il
bronzo), si ritiene o ci si propone che vengano lette per
un tempo indefinito, magari per sempre. Altre invece

13
Epigrafia romana

sono senza dubbio destinate a essere rimosse e sostituite


entro pochissimo tempo, anche dopo pochi giorni: leg-
giamo infatti manifesti affissi ai muri o su apposite su-
perfici, che verranno presto staccati o ricoperti; d'altro
canto il loro contenuto si legge di solito anche sui gior-
nali, viene diffuso attraverso altri mezzi di comunicazio-
ne, cioè viene visto per un attimo su uno schermo o
viene ascoltato per il tempo della sua lettura proposta da
uno speaker.
Infine in certi luoghi i muri presentano scritte trac-
ciate con la vernice, con il gesso o con punte che graf-
fiano l'intonaco: a differenza delle altre, queste scritte
presentano caratteri di forma non « regolare », spesso
corsivi, con frequenti omissioni e sbavature che sembra-
no rivelare la fretta di chi le ha tracciate. Infatti vengono
spesso affidate a queste scritte le espressioni del dissenso,
oppure del sentimento personale, talvolta sotto l'impul-
so della rabbia e quasi sempre con quell'apprensione di
far presto che impedisce il controllo e la verifica di ciò
che si scrive, e senza la cautela che impone invece l'uso
di un mezzo meccanico, come sarebbe per esempio uno
scalpello sul marmo, che consente soste e riletture, che
impone più tempo e più fatica.
Per designare queste scritte destinate ad essere lette
dalla gente si usa la parola « epigrafe » o « iscrizione »;
la prima trascrive il greco epigraphé, che letteralmente
significa «scrittura» (su qualcosa), raccogliendo nel suo
complesso significato anche la considerazione della su-
perficie, del supporto e persino del monumento cosl
iscritto, ed anche la somma delle operazioni che hanno
reso possibile la realizzazione della scrittura operando su
quella superficie e su quel monumento. Iscrizione viene
invece da inscriptio, che bene traduce i significati della
parola greca, ma che solo la dottrina degli umanisti ha

14
L'epigrafia

portato nell'uso convenzionale, laddove la lingua latina


preferiva usare la parola titulus per definire qualsiasi tipo
di pubblica scritta.
Di solito vien fatto di pensare alle iscrizioni come a
entità immobili, statiche, infisse su un muro o in un ter-
reno tramite un supporto stabile, e quindi legate ad un
ambiente e ad un paesaggio: non è una percezione del
tutto falsa, perché ciò è vero nella grande maggioranza del-
le iscrizioni, almeno nelle civiltà antiche che non conosce-
vano le targhe e i messaggi campiti sui mezzi di traspor-
to, o gli uomini-sandwich. Però usavano recare dei carti-
gli, cioè dei manifesti, che i romani chiamavano pure
tituli, per esempio nei cortei dove sfilavano i prigionieri
ed il bottino catturato al nemico (come il cesa riano veni,
vidi, vici, Svet., Iul., 37), nei funerali per elencare i me-
riti del defunto, o appesi al collo dei condannati portati
al supplizio. Ci sono poi iscrizioni destinate a essere lette
da tutti perché passano di mano in mano, come quelle
che compongono la leggenda di una moneta, o il mar-
chio su un prodotto (una lucerna, un lingotto), dove la
riproduzione del medesimo stampo moltiplica l'effetto
dell'iscrizione, come accadrà poi con l'impiego della tipo-
grafia e la diffusione di slogan attraverso i massmedia.
Si trattò nell'antichità di molte categorie di prodotti del-
la cultura materiale, raccolti sotto il nome complessivo
di instrumentum, che recarono iscrizioni per lo più a
stampo muovendosi con gli uomini lungo le vie del com-
mercio e della conquista.
Risulta evidente che l'epigrafia, per esempio l'epigra-
fia romana, come scienza che studia le iscrizioni dei ro-
mani, si concreta di contenuti e di oggetti specifici in
quanto si volge ad un'epoca che conosceva slogan diversi
da quelli delle iscrizioni solo attraverso le allocuzioni o
le arringhe (politiche, guerresche, giudiziarie) o gli imbo-

15
Epigrafia romana

nimenti del mercato, o le recitazioni degli araldi, simili


alle salmodianti litanie dei sacerdoti, che spesso tradu-
cevano per gli analfabeti ed in luoghi diversi le disposi-
zioni contenute in un'iscrizione esposta nel foro, o in un
tempio, o depositata in un tabulariumi un'epoca infine
che non conosceva la riproduzione tipografica e non usa-
va cartelli o manifesti di grandi dimensioni, da consuma-
re con facilità. Accadeva quindi che molto di ciò che la
gente doveva sapere lo si leggeva sulle iscrizioni: poiché
il monumento o l'oggetto iscritto, destinati ad un uso
pubblico e ad un consumo prolungato, erano quasi sempre
di materiale durevole - e tali sono giunti sino a noi -
ne deriva la convinzione, spesso ragionevole e condivisa
già dall'opinione antica, che alle iscrizioni fossero affidati
quei messaggi che si volevano far leggere da chiunque
non solo nel proprio tempo ma per un lungo volgere di
generazioni: titulis manebis in aevo, accade di leggere
su iscrizioni romane. Come se le necropoli fossero altret-
tanti cimiteri di Spoon River.
Le iscrizioni sono quindi prodotti culturali, più pro-
priamente prodotti della comunicazione scritta del pas-
sato, intrisi dell'intenzione di far durare nel tempo il
messaggio trasmesso (quanto meno questa è una caratte-
ristica importante e prevalente), che si affiancano spesso
ai prodotti della comunicazione figurata, che si distin-
guono dal libro, dalla scrittura commerciale ed epistolare
e dallo stesso documento d'archivio in quanto tale, per-
ché non vengono fruiti solamente da coloro che desidera-
no leggere quel libro, o dai contraenti di quella scrittura
commerciale, o dai destinatari di una lettera, ma da tutti
coloro che vivono in un ambiente, che sono quindi nella
condizione fisica {e culturale) di leggere, che addirittura
ne subiscono potenzialmente la lettura. Poiché le iscrizio-
ni, salvo casi rarissimi e specifici, sono prodotti anonimi,
16
L'epigrafia

cioè non firmati dal produttor~, ma realizzati seconào


modelli e su programmi individuali o di sistema, esse
rappresentano un patrimonio collettivo destinato (e frui-
to) a numerosi consumatori altrettanto anonimi, ed in
tempi diversi. Individuare i programmi e riconoscere i
modelli significa quindi recuperare quanto una cultura
(o più culture ed in tempi diversi) intendeva far cono-
scere alla gente come cosa da sapere per sempre: in certo
senso quindi, come procura di un consenso, o come biso-
gno di sopravvivenza nella memoria. Proprio per il carat-
tere di patrimonio culturale di consumo collettivo e co-
mune, le iscrizioni costituiscono uno degli aspetti di una
cultura di massa, che trova i suoi limiti nel processo di
alfabetizzazione cui potentemente contribuiscono; in que-
sto senso le iscrizioni servono all'organizzazione sistema-
tica del sapere.
Il processo di definizione dell'iscrizione e dell'epigra-
fia deve prendere in considerazione altri fattori. Dal pun-
to di vista di un'analisi tecnica compongono l'iscrizione
almeno quattro elementi, tra loro indissolubilmente lega-
ti: a) il supporto (monumento od oggetto) o l'edificio
monumentale cui l'iscrizione appartiene; b) il testo che
vi si legge; c) la scrittura usata; d) l'ambiente e il pae-
saggio cui l'iscrizione era destinata, quegli ambienti e
quei paesaggi nei quali è successivamente vissuta. Va da
sé che strutture monumentali, raffigurazioni contestuali
ed ogni altro elemento significante partecipano di ciascu-
no dei quattro elementi citati. L'iscrizione è tutto questo,
non può ridursi alla sola consistenza testuale, come se si
trattasse di una pellicola da staccare dal monumento per
decifrarla e leggerla con comodo. E' però altrettanto vero
che un'iscrizione è tale solo quando ha il suo testo: ciò
significa che quando un'iscrizione è andata perduta ma
il suo testo si è conservato nella trascrizione di un viag-

17
Epigrafia romana

giatore o di un copista, possediamo pur sempre qualche


elemento utile alla sua comprensione, ma quando un
monumento, un supporto, un oggetto è senza testo, po-
trà avere servito da base o da architrave, da lucerna o
da mattone, sarà considerato senza dubbio un elemento
utile alla conoscenza della produzione lapidaria o della
cultura materiale ma non sarà stato un'iscrizione. Ma è
certo che ogni testo si comprende nella pienezza dei suoi
significati secondo l'impiego, la funzione e l'ambientazio-
ne del monumento e dell'oggetto.
La complessità degli elementi che indissolubilmente
compongono l'iscrizione provoca talvolta qualche inutile
equivoco e qualche proficua discussione sulla collocazione
dell'epigrafia come scienza: per esempio, le iscrizioni im-
piegano i segni della scrittura, contribuiscono quindi alla
conoscenza della storia della scrittura, sono spesso l'uni-
co documento disponibile per le conoscenze degli alfa-
beti specie nelle fasi più arcaiche, quindi l'epigrafia par-
tecipa largamente della dottrina e dei metodi della paleo-
grafia (intesa nel senso disciplinare corrente). D'altro can-
to, l'iscrizione collega durevolmente ed in maniera signi-
ficante la scrittura ad un monumento o ad un oggetto,
presuppone quindi l'impiego di conoscenze archeologi-
che, al punto che, soprattutto per i processi di produzio-
ne delle iscrizioni, si può parlare di una archeologia epi-
grafica.
Altre confluenze disciplinari: le iscrizioni costitui-
scono spesso il principale se non unico documento delle
istituzioni e dei magistrati, dei sistemi onomastici e delle
loro evoluzioni, delle forme della vita quotidiana; quasi
inevitabilmente lo studio dell'epigrafia si associa a quello
delle « antichità » o delle istituzioni, lo presuppone e lo
provoca. Lo studio delle iscrizioni è storia, anzitutto sto-
ria della comunicazione umana, con un'ampia rappresen-
18
L'epigrafia

tatività di ceti e di ambienti, dei quali le iscrizioni costi-


tuiscono talvolta il solo documento. Non dimentichiamo
infine che nell'antichità e nei tempi successivi della loro
trasmissione, la conoscenza e la consuetudine con le iscri-
zioni costituirono una forma di apprendimento e di ve-
rifica della storia non solo dalla gente qualunque ma an-
che da chi aveva per mestiere di narrare la storia: le
iscrizioni ed il modo di capirle hanno quindi condizionato
in ogni tempo il racconto degli storici.
L'intento di riconoscere a quale campo del sapere è
volta l'epigrafia pone il problema della misura nella
quale le iscrizioni costituiscono un'immagine della socie-
tà che le produce: le possibilità economiche, le disponi-
bilità materiali e soprattutto il bisogno, l'autentico sti-
molo verso una storiografia pubblica e durevole o verso
l'acquisizione di un consenso o di un mercato condizio-
nano la produzione epigrafica. Per esempio, solo cono-
scendo per intero l'archivio anagrafico di una comunità
in un certo periodo o la produzione normativa o l'istru-
zione politica che caratterizzavano la vita di quella comu-
nità potremmo apprezzare la rappresentatività delle iscri-
zioni recuperate dalle necropoli o dal foro dello stesso
luogo. La qualità del materiale usato - la pietra, il bron-
zo e altri metalli, la terracotta e ben raramente altri ma-
teriali, a parte gli intonaci e il legno dei cartigli - assi-
cura una buona durata, anche quando le iscrizioni sono
sottoposte all'azione degli elementi e ai processi di cor-
ruzione del sottosuolo, tanto che esse costituiscono uno
dei sedimenti più importanti delle civiltà antiche: per
certi aspetti queste si possono definire come autentiche
civiltà delle pietre o « civilisations de l'épigraphie ». In-
dubbiamente i musei che raccolgono le iscrizioni sono
isole elette rispetto al grande naufragio della documenta-
zione scritta dell'antichità, alla cui manipolazione e di-

19
Epigrafia romana

struzione, non meno che alla conservazione e alla tra-


smissione hanno contribuito gli uomini degli evi sino ad
oggi.
<< Littérature de roe)) è espressione usata da G. SANDERS,
Les inscriptions latines pa"iennes et chrétiennes: symbiose ou
métabolisme?, « Rev. Univ. Bruxelles)), 1977, pp. 44-64,
uno dei più stimolanti approcci all'epigrafia romana.
Una valutazione generale dei monumenti epigrafici si
legge in A. CAMPANA, Tutela dei beni epigrafici, Per la sal-
vezza dei beni culturali in Italia, Atti e doc. della Commiss.
d'indagine per la salvezza e la valorizz. del patrimonio sto-
rico, ecc., II, Roma 1967, pp. 539-547 = « Epigraphica )),
xxx (1968), pp. 5-19.
Definizioni dell'epigrafia si leggono sui manuali (elenca-
ti sotto, cap. III, l) cui si aggiungono: L. RoBERT, Epigra-
phie, L'histoire et ses méthodes, Paris 1961, pp. 453-497
(ivi, p. 454, la nozione di <( civilisation de l'épigraphie »);
con diversa impostazione, J. MALLON, Paléographie romaine,
ibid., pp. 553-584, in particolare sui rapporti tematici e sto-
rici tra epigrafia e paleografia (del Mallon, molti altri studi
hanno innovato metodi e prospettive; si cita L'archéologie
des monuments graphiques, <( Rev. hist. )), 460, 1961, pp.
297-312): su questo argomento, vd. ora l'inchiesta pubbli-
cata in « Scr. e civ.)), 5 (1981), pp. 265-312.
Ancora sull'oggetto dell'epigrafia si ricorda il saggio il-
luminante di J. M. DE NAvAscuÉs, El concepto de la epi-
grafia. Consideraciones sobre la necesidad de su ampliaci6n,
Madrid 1953. Dagli insegnamenti del Mallon e del Nava-
scués discende in parte l'impostazione problematica dell'epi-
grafia romana esposta da SusiNI, Il lapicida romano. Intro-
duzione all'epigrafia latina, Bologna 1966, rist. Roma 1967,
trad. ingl. a cura di E. BADIAN, The roman stonecutter, Ox-
ford 1973.
Per le premesse di metodo sono da ricordare anche alcu-
ne trattazioni sull'epigrafia medioevale, quali A. CAMPANA,
Le iscrizioni medioevali di San Gemini, in San Gemini e Car-

20
L'epigrafia

sulae, Roma 1976, pp. 83-93, e R. M. Kwos, Einfuhrung in


die Epigraphik des Mittelalters und der fruhen Neuzeit,
Darmstadt 1980.
Sui tituli iscritti su cartigli, vd. sotto, cap. I, 3, 9 e 10.
Sui significati dell'iscrizione come monumento destinato
alla sopravvivenza o all'eternità, vd. SusrNI, Il lapicida rom.
cit.; H. HA.usLE, Das Denkmal als Garant des Nachruhms,
« Zetemata », 75, Miinchen 1980.
Delle firme degli artefici, cosl come della personalità dei
lapicidi si occupa I. Calabi Limentani in numerosi scritti (vd.
sotto, cap. I, 5); si ricordi, anche per l'apertura verso valu-
tazioni semiologiche dei monumenti, l'art. in <(Atti Ce.
R.D.A.C. », IX (1977-78), pp. 159-177. Il prodotto epigrafi-
co, di per sé, è comunque un prodotto anonimo, cioè - sal·
vo rarissime eccezioni - non firmato (vd. gli esempi del no-
me di un lapicida su un targa di coorte nel museo di Chester,
RIB, 467; di uno scriptor in calce ad un catalogo, CIL, III,
870, nel museo di Cluj, del 235 d.C.).
Sulle interazioni tra testo e oggetto (o monumento) sotto
il profilo semiologico, vd. U. Eco, La struttura assente, Mi-
lano 1968, pp. 192 e 200.

21
2. LE ISCRIZIONI ROMANE:
CARATTERI E TASSONOMIA

Le iscrizioni romane erano quasi tutte in luoghi ben


accessibili e frequentati dal loro pubblico: di rado un'iscri-
zione era collocata entro una casa (per esempio la dida-
scalia di un pavimento musivo ), o addirittura entro se-
polcri di non facile apertura, o su rupi visibili da pochi
lungo erti sentieri dove il segno inciso pare rivolgersi
più agli dèi che al passante. Quindi quasi tutte le iscri-
zioni romane erano esposte alla vista, alla lettura e all'in-
terpretazione di tutti, almeno di coloro che sapevano
leggere o che dalle iscrizioni imparavano a leggere (e a
scrivere): si trattasse di cippi votivi davanti ai templi,
di basi onorarie nei fori, di manifesti dipinti sulle fac-
ciate delle case (per promuovere una locazione, per soste-
nere un candidato nelle elezioni comunali), di graffiti
sparsi un poco ovunque, e infine di lapidi nei cimiteri.
In larghissima parte l'epigrafia romana, forse più del-
l'epigrafia di qualsiasi altra civiltà, è composta di iscri-
zioni - sacre, onorarie, ma soprattutto sepolcrali - che
raccontano la storia di persone e di famiglie: stando alle
iscrizioni la civiltà dei romani si presenta come la memo-
rizzazione di individui e delle loro genti.
Le iscrizioni romane si distinguono perché presentano
di solito delle lettere molto grandi, in certe linee anzi
grandissime, tanto che richiamano l'attenzione di chiun-
que (mentre le iscrizioni dei greci, per esempio, sono per

22
Le iscrizioni romane

lo più incise in lettere molto piccole, e chi le vuole legge-


re si deve avvicinare, chinare e sforzare l'occhio): del
resto le lettere solenni e cubitali dei romani sono dive-
nute nell'opinione corrente (pitture, film) una delle con-
notazioni più comuni del modo di essere dei romani. Pro-
prio per la loro evidenza, efficace anche sull'epidermide
della cultura antica, le lettere lapidarie costituivano uno
degli oggetti primari dell'istruzione, tanto che Ermerote,
in Petronio (Sat., 58) affermava: Non didici geometrias
critica et alogias menias, sed lapidarias litteras scio In
tal modo le iscrizioni davvero si facevano leggere da sole,
anche da lontano, e l'ambizione delle persone e delle
famiglie cosl monumentate era appagata. Proprio perché
l'iscrizione spesso si guardava e si leggeva già da qualche
passo di distanza, la sua lettura si proponeva insieme al
supporto e al monumento, anzi a tutto l'ambiente, pro-
vocava insomma una valutazione d'insieme, di modo che
il nome del personaggio non era effettivamente dissocia-
bile dal suo ritratto, la formula votiva dall'urceus o dalla
patera, oggetti rituali del sacrificio, la sigla D M (Dis
Mani bus) dal rosone che nel timpano di una stele sovra-
stava l'iscrizione funeraria, e persino - nell'iscrizione di
un imperatore - l'indicazione abbreviata dei consolati,
delle acclamazioni imperatorie, delle tribuniciae potesta-
tes dal loro numero d'ordine (cosl importante per rica-
vare e definire la data dell'iscrizione). L'occhio insomma
abbracciava un complesso di segni valutabili nella loro
contestualità.
Altro carattere precipuo delle iscrizioni romane con-
siste nelle numerose, pressoché infinite abbreviazioni del-
le parole e talvolta anche dei nomi, nelle sigle e nelle
legature (o nessi) tra più lettere, realizzate talvolta iscri-
vendo lettere di dimensioni minori entro lettere più gran-
di. Ne deriva una lettura provocatoria, che imponeva lo

23
Epigrafia romana

scioglimento mentale (o ad alta voce) dell'abbreviazione,


che facilitava certamente l'impiego di poche lettere gran-
di al posto delle molte piccole che sarebbero state neces-
sarie per scrivere per intero, che però poteva non essere
compresa da tutti, con l'effetto di apparire comunque in-
timidatoria e arrogante nei confronti del lettore.
Le iscrizioni romane sono scritte per lo più in lingua
latina, ma nella produzione epigrafica del mondo romano
si annoverano naturalmente molte iscrizioni in lingua
greca, che di solito sono prodotte secondo modelli propri
ma subiscono talvolta, anche prepotentemente, l'influen-
za dell'epigrafia romana soprattutto per quanto concerne
la struttura testuale, per l'impiego di qualche abbrevia-
zione, per l'uso talvolta eli grandi lettere, e nel caso di
traduzioni di testi latini. Anche iscrizioni italiche, o giu-
daiche, o neopuniche o palmirene o altre possono tal-
volta essere considerate come prodotto della cultura ro-
mana. Spesso comunque l'iscrizione romana rappresenta
il filtro, il tramite di conoscenza e di sopravvivenza nella
cultura romana di culture diverse, politicamente soggio-
gate, periferiche o << provinciali », subalterne e persino
alternative, infine di culture orali, che depositavano nel
monumento epigrafico i fonemi, talvolta le glosse, co-
munque le codificazioni mnemoniche dell'onomastica in-
digena, i disegni e le relative tecniche. Accadeva spesso
che l'iscrizione romana fosse il veicolo e il documento di
un processo di alfabetizzazione, il segno visibile del pas-
saggio convenzionale dalla preistoria alla storia - cosl
per molti popoli in Italia e in Europa che hanno appreso
diffusamente la scrittura dai romani - e comunque un
importante veicolo di acculturazione. Le iscrizioni resti-
tuiscono più che ogni altra forma di comunicazione scritta
il latino di tutti i luoghi del vasto impero, e pressoché
di tutte le epoche.

24
Le iscrizioni romane

L'epigrafia romana è quindi una produzione culturale


dei romani, ma non tutta e necessariamente in lingua la-
tina; ha però assicurato l'esportazione della lingua e della
scrittura latina, a cominciare dall'alfabeto che è uguale
ovunque (mentre nelle città greche si avevano, per esem-
pio, alfabeti particolari). Le iscrizioni romane provengono
nella maggior parte dalle città, anzi possono considerarsi
un elemento importante della cultura urbana dei romani.
Nel lungo arco di almeno dodici secoli le iscrizioni roma-
ne si datano dal VII secolo a.C. sino al termine dell'u-
nità politica e culturale occidentale, verso la fine del V
secolo d.C. Esiste però un termine convenzionale, non
sempre seguìto, nella pubblicazione delle raccolte di iscri-
zioni romane che imporrebbe di estendere la raccolta si-
no all'anno 600.
L'apogeo della produzione epigrafica romana prende
inizio dal I secolo a.C., con l'emergere di ceti curiali e
imprenditoriali nelle città dell'impero, un'autentica ari-
stocrazia economica e burocratica che costituirà il princi-
pale committente almeno sino alla fine del II secolo d.C.
Coi due secoli seguenti la produzione epigrafica subirà
una crisi profonda nelle forme della scrittura, nella stessa
professionalità dei lapicidi, nella scelta e nella qualità dei
monumenti e dei testi.
Un calcolo approssimativo fa ascendere le iscrizioni
romane a circa trecentomila, ma ad esse vanno aggiunte
alcune centinaia di migliaia o forse milioni di oggetti bol-
lati, cioè dell'instrumentum iscritto. Naturalmente la ca-
pitale, Roma, e altre grandi città - soprattutto le capi-
tali delle province, come Tarragona, Narbona, Lione, Co-
lonia, Salona, Aquincum, per non dire di Nicomedia,
Efeso, Alessandria, Leptis, Volubilis, e ancora in Italia
Aquileia, Pozzuoli e Siracusa - hanno restituito il più
alto numero di iscrizioni. La diversa distribuzione delle

25
Epigrafia romana

iscr121oni, quantitativa e per categorie, suscita numerosi


quesiti: certamente la disponibilità della pietra ha in-
fluito sull'abitudine alla scrittura epigrafica, sino a pro-
vocare, per esempio, quella forma di bricolage che è co-
stituita dall'impiego di scaglie o di lastre residue; inoltre
la qualità della vita pubblica e dell'impegno politico ha
condotto, tempo per tempo e nelle diverse parti dell'im-
pero, al bisogno di esporre in epigrafe (ed in materiale
durevole) i testi istituzionali, o invece a !imitarne la pub-
blicità esponendo per poco tempo solamente tavole !i-
gnee, o infine a chiudere nei tabularia, donde era assente
qualsiasi forma di controllo della pubblica opinione, la
documentazione di ogni atto giuridico. Conta infine la
casualità dei rinvenimenti, a determinare l'indice di den-
sità della documentazione epigrafica: con tutto ciò resta
difficile descrivere le cause per le quali, ad esempio, i di-
plomi militari provengono soprattutto da poche provincie
(come la Mesia), i fasti municipali da certe regioni ita-
liane, per giungere al caso sconcertante dei milliari, che
sono qualche centinaio in Sardegna e poche unità in Si-
cilia e in Corsica: preponderanza degli interessi economi-
ci delle grandi cave di pietra della Sardegna, oppure fa-
cilità di lavorazione, in quell'isola, di colonne e prismi
già disponibili per litoclasi (come in Gallura)?
Ogni classificazione delle iscrizioni romane, riferita
ad una rappresentazione sistematica della società o ad
un'accettabile antropologia dell'antico, è indicativa e ne-
cessariamente arbitraria. Ogni iscrizione assolveva infatti
a complesse funzioni comunicative: quella apposta sopra
un edificio serviva a indicarne la destinazione ma anche
a commemorare il merito dei suoi costruttori; un millia-
rio serve per chi cammina a indicare il numero delle mi-
glia da percorrere ma anche (e spesso) a ricordare il co-
struttore della via o chi in qualche modo se ne è occu-

26
Le iscrizioni romane

pato; ogni atto giuridico ha valore prescrittivo ed insie-


me è volto a dichiarare, o esaltare, i termini del sistema
entro il quale è stato prodotto, e via dicendo. Delle iscri-
zioni romane esistono tassonomie tradizionali, che hanno
il merito (come quella di Ida Calabi Limentani) di essere
semplici e perspicue. Qui si tenterà di classificare le iscri-
zioni romane secondo alcuni esponenti, che fanno riferi-
mento agli intenti fondamentali per i quali esse vennero
prodotte: l. la storiografia degli individui, che si rea-
lizza soprattutto nelle iscrizioni funerarie; 2. l'espressione
della religiosità (le iscrizioni sacre); 3. il messaggio poli-
tico, la memoria storica, perspicui nelle iscrizioni onora-
rie, nei fasti, negli elogi, nelle iscrizioni commemorative;
4. le comunicazioni prescrittive e strumentali, compren-
denti i testi giuridici, i calendari, i cippi terminali, i mil-
liari, ogni tipo di indicazione e di avviso; 5. le iscrizioni
mobili: gli oggetti della cultura materiale, l'instrumentum,
le monete, e infine le scritture personali (diplomi, lettere,
atti diversi, ostraka).

Sulla visione globale dell'iscrizione, vd. sotto, cap. I, 4


e II, 2. Esposizione pubblica e lettura, fine ed effetti della
iscrizione sono riferiti da S. Agostino, Serm., 319, 8 (Patr.
Lat., 38, 1432): Propterea enim eos (versus) ibi scribere vo-
luimus ut, qui tJUlt, legat, quando vult, legat. Ut omnes te-
neant, ideo pauci sunt: ut omnes legant, ideo publice scripti
sunt. Non opus est ut quaeratur codex: camera illa codex
vester sit.
Sull'epigrafia romana come prodotto della civilti\ urbana
e come sedimento di quell'archeologia, vd. il saggio esempli-
ficativo di P. Tozzi-M. 0XILIA, Le pietre di Pavia romana,
«Boli. Soc. Pavese di storia patria», LXXXI (1981) pp. 3-44.
Circa l'inizio della produzione epigrafica latina, si dà qui
un elenco sommario di alcune tra le iscrizioni arcaiche: - fj.
buia Prenestina (VII-VI sec. a.C.), CIL, P, 3; ILLRP, l

27
Epigrafia romana

(lmagines, 365), la cui autenticità è ora revocata in dubbio,


vd. M. GuARDuccr, La cosiddetta fibula Prenestina. Anti-
quari, eruditi e falsari nella Roma dell'Ottocento, « Mem.
Linc., Se. mor. »; s. VIII, XXIV (1980); - vaso di Dueno
(fine VII-inizio VI sec. a.C.), CIL, P, 4; ILLRP 2 (Imagi-
nes, 366 a-f); - cippo del Foro (primi decenni del VI sec.
a.C.), CIL, F, l; ILLRP, 3 e Add., p. 379 (lmagines, 378,
a-d); -base di donario da Tivoli (seconda metà del VI sec.
a.C.), CIL, F 2658; ILLRP, 5 (lmagines, 118); - lamina
bronzea dal territorio di Lavinium, donarlo ai Dioscuri (VI-
V sec. a.C.); ILLRP, 1271 a (Imagines, 30); - dedica a
Marte da Satricum (fine VI-metà V sec. a.C.), nel vol. Lapis
Satricanus, 's Gravenhage 1980; M. GuARDUccr, « Rend.
Linc., Se. mor. », s. VIII, XXXV (1980), pp. 479-490; -
iscrizioni su oggetti dell'instrumentum (VI-V sec. a.C.), tren-
totto esempi alle pp. 53-69 del cit. Lapis (aggiungi G. Co-
LONNA, Graeco more bibere: l'iscrizione della tomba 115 del-
l'Osteria dell'Osa, Arcbeol. Laziale, III, Roma 1980, pp.
51-55).

28
3. TRASMISSIONE E TRADIZIONE

A chi s'occupa dell'antichità capita quindi di trattare


spesso di iscrizioni romane, che solitamente trova pub-
blicate in raccolte apposite. Anche chi frequenta i musei,
le aree archeologiche, e chi per motivi diversi scava nel
sottosuolo ha a che fare con le iscrizioni, sia che queste
appartengano a un monumento o che si leggano su un
oggetto mobile. Il recupero, la tutela e la valutazione
scientifica delle iscrizioni sono certamente subordinati al
luogo e al modo che ne assicurano la sopravvivenza. Se
si trova un'iscrizione sottoterra può darsi che essa sia
ancora in situ, per esempio nell'area di una necropoli
oppure sul foro di una città antica, quindi con un corredo
(se si tratta di una tomba) o in un contesto archeologico
che ne spiega la funzione e ne facilita la datazione; può
darsi invece che l'iscrizione sia già stata manipolata,
asportata dal monumento e dall'ambiente originario e
persino trasformata prima del suo interrimento; oppure
- caso ben raro - poteva trovarsi ancora presso l'offi-
cina che l'aveva prodotta o entro il carico di una nave
naufragata.
Come si è detto, l'iscrizione romana è uno degli ele-
menti della cultura urbana: è più facile recuperarla dal-
l'area di un abitato antico che dalla campagna, dove però
non mancano le pietre milliari lungo le strade, le iscri-
zioni tombali dai piccoli sepolcreti presso i paesi, i vii-

29
Epigrafia romana

laggi, le fattorie {vici, pagi, villae) o più frequentemente


presso santuari agresti o pastorali di tenace frequenta-
zione già dalla protostoria. In città, diverso è il caso
della continuità dell'abitato dopo l'età antica e spesso
sino ai nostri giorni, dove il recupero delle pietre ha dato
origine in maniera massiccia al fenomeno del reimpiego
e dove spesso l'attuale impianto urbano preclude drasti-
camente ogni fruttuosa esplorazione. Una città antica rap-
presenta un'autentica miniera di pietre già squadrate per
gli impieghi successivi: naturalmente, la vicinanza e la
disponibilità di cave di buona pietra influiscono in ogni
modo sul bisogno del recupero, cosl come contribuiscono
in maniera sostanziosa ad una più ampia documentazione
epigrafica. Le pietre di poco pregio sono meno ricercate,
e finiscono semmai - assieme ai segnacoli sepolcrali dei
poveri, ricavati di solito dalle scaglie derivate dall'estra-
zione nelle cave - entro il brecciame di muraglie senza
pretese. In ogni caso l'iscrizione recuperata può presentarsi
corrotta e poco leggibile per molte cause, tutte legate alle
circostanze della conservazione: la rottura, la scheggia-
tura, la consunzione della superficie iscritta, le conse-
guenze di incendi, di processi di ossidazione, di azioni
dell'acqua e dell'atmosfera. Vi sono numerose cause per
le quali un'iscrizione antica - o qualsiasi elemento ar-
cheologico - va distrutta: per esempio per farne calce
in una calcara, per usarne la pietra a fini che rendono
irriconoscibile il monumento, anche per fanatismo re·
ligioso (polverizzazione o sfregio di pietre pagane, ciò che
rappresenta una prima manifestazione del senso dell'an,.
tico ), e infine per timore - oggi - di controlli delle
autorità preposte alla tutela, che dalla scoperta di una
iscrizione decidano di avviare scavi e ricerche.
Diverso è il caso della terracotta, che sfugge forse
più facilmente alla corrosione e al reimpiego ma si tra-

30
Trasmissione e tradizione

sforma pm frequentemente in cacciarne; diverso ancora


è il caso del bronzo, che si può integralmente rifondere
(per farne armi o campane, ad esempio): ne discendono
almeno due conseguenze, cioè che le iscrizioni in bronzo
più facilmente si conservano là dove l'abitato antico non
ha avuto alcuna continuità nel medioevo ed era suffi-
cientemente lontano da altri centri (esemplare al riguardo
è il caso di V el eia sull'Appennino piacentino, donde pro-
vengono parti di leggi incise nel bronzo e le grandi tavole
dove erano registrate le operazioni dell'institutio alimen-
taria traianea), e che peraltro, proprio perché incisi nel
bronzo, sono andati facilmente perduti numerosi e im-
portanti testi giuridici. D'altro canto, proprio perché
materiale prezioso, si provvedeva più frequentemente al
rappezzo ed alla riparazione degli oggetti e dei monu-
menti in bronzo di quanto si facesse invece per la pietra
e la terracotta.
Spesso le iscrizioni romane sono visibili su monu-
menti ancora in piedi: certamente si tratta di una pre-
senza ben diversa da quella che il medioevo e l'età mo-
derna hanno lasciato nel tessuto monumentale delle no-
stre città (basta pensare alle chiese, con tante iscrizioni,
e ad altri edifici ben frequentati), ma qualche edificio
sacro superstite, come il Pantheon di Agrippa e di Adria-
no, e soprattutto numerosi archi in tante città romane
- si pensi ai fori di Roma - recano tuttora iscrizioni
in lettere monumentali, che contribuiscono a comporre
quell'archeologia di superficie che è parte importante in
un'analisi del visibile nel quadro dei diversi paesaggi
umani. Zincografie e stampe riproducono di frequente -
Piranesi insegna - iscrizioni romane, anzi spesso ne sono
l'unica e insostituibile documentazione superstite; le an-
tiche e monumentali lettere contribuiscono a formare la
percezione inconscia e collettiva del mondo romano co-

31
Epigrafia romana

me paesaggio di malinconiche e orgogliose rovine da pa-


ludati trionfi, il senso comune dei romani insomma, che
non si dissocia dalle statue dei togati recuperate dalle
necropoli e collocate ai piedritti di porte urbane nelle
età più recenti (ad esempio: Isernia, Ibiza) e dalle stele
iconiche rimaste smozzicate dai secoli (e inserite nelle
mura di monumenti insigni, come nel duomo di Mode-
na). Si collega a questa cultura gran parte della tradizione
antiquaria locale delle nostre città, che ravvisa in figure
e nomi dell'epigrafia locale personaggi noti della storia
romana oppure collega i nomi delle iscrizioni a fittizie
etimologie toponomastiche.
Talvolta la presenza di un'iscrizione rappresenta un
elemento del paesaggio di rilievo tale da far nascere un
toponimo, come è della Punta dell'Epitaffio (a Baia nei
Campi Flegrei) e dei Fantiscritti nelle cave del marmo
di Carrara. In altri casi accade che un nome comune passi
a definire un'entità monumentale di grande interesse epi-
grafico: come per il « colombario », cioè il sepolcreto a
nicchiette destinato a raccogliere le urne cinerarie di una
o più famiglie - un'autentica unità economica perché
rappresenta spesso il prodotto, anche in momenti suc-
cessivi, di una medesima officina - cui il nome è stato
dato dopo l'antichità per la sua somiglianza con le grandi
piccionaie.
Le iscrizioni romane hanno sovente subìto un pro-
cesso di dispersione rispetto al luogo nel quale si trova-
vano in situ: assieme al loro monumento, oppure rese-
cate da esso (come di molte umette e di fronti di sarco-
fago passate ad adornare le pareti di dimore patrizie);
si può distinguere l'area della dispersione in un alone
prossimo al luogo della collocazione d'origine, che si deve
di solito al reimpiego quale pietra da costruzione o per
scopi decorativi in una città, in un villaggio od in più

32
Trasmissione e tradizione

fattorie o rustici tutt'attorno - un esempio tra i tanti


è costituito dalla diaspora delle pietre iscritte di Narona,
alla foce della Neretva in Dalmazia, nell'attuale villaggio
di Vid - ; spesso invece la dispersione ha toccato oriz-
zonti assai più lontani: perché le pietre hanno servito
di zavorra alle navi nei traffici del Mediterraneo durante
il medioevo, perché la loro forma (colonne, are cilindri-
che, milliari) si prestava a farle rotolare sino al luogo
dove il loro reimpiego era utile (un monumento cilindri-
co è assai più raro e quindi più prezioso di una pietra
squadrata), perché si trattava di marmi pregiati che pote-
vano far gola alla decorazione di edifici illustri (chiese,
palazzi), perché hanno alimentato nei secoli le diverse
forme del mercato antiquario, perché oggetto di colle-
zione o di raccolta sia per ambizione intellettuale (le fasi
successive del rinascimento dell'antico) sia per motivi
d'indagine scientifica, eccetera: tante sono le cause dei
movimenti delle cosiddette « pierres errantes » o delle
« pierres roulantes »; infinitamente più ampio e disinvol-
to è il passaggio di luogo in luogo e di mano in mano
degli oggetti dell'instrumentum iscritto (lucerne, anfore
e soprattutto bolli d'anfora, terre sigillate, gemme, anuli,
eccetera).
Un cenno particolare merita il reimpiego delle iscri-
zioni romane: delineare le costanti di questo fenomeno
contribuisce a descrivere un importante capitolo della sto-
ria della conservazione, del recupero e della genesi stessa
del senso dell'antico, ed insieme aiuta il ricercatore ad
intendere per quali fasi il monumento è trascorso sino
a giungere quale esso oggi si presenta, quali letture e
quali impressioni ha suscitato nei lunghi tempi della sua
trasmissione. È impossibile catalogare ogni forma del
reimpiego, ma si può anzitutto ricordare l'uso del monu-
mento come pietra squadrata e solida, quindi di pregio,

33
Epigrafia romana

in tempi nei quali le cave non erano agibili oppure era


venuta meno la professionalità dei cavapietre, o infine
non c'era il tempo per provvedersi di pietre di nuovo
taglio: accadeva cosl che nell'imminenza o nel panico di
aggressioni da popoli invasori le mura delle città (è acca-
duto in quasi tutte le città antiche: qui citiamo solo il
caso di Verona, al tempo di Galliena, quando come al-
trove anche l'Arena servl di caposaldo della cortina), o
le calate del porto, come ad Aquileia, venivano raffor-
zate o tirate su in fretta con le pietre disponibili, che
non erano quasi mai quelle di edifici della città ma, com'è
naturale, le lapidi dei vicini cimiteri. Se quei tempi me-
ritarono per qualche aspetto il titolo di tempi bui, ciò
fu per lo meno perché andò in parte distrutta (ma tal-
volta fortunosamente conservata proprio per il reimpie-
go) la memoria degli uomini, la storiografia delle fami-
glie che componevano la cittadinanza. In altri casi è ac-
caduto (come a Bologna con la cosiddetta diga sul fiume
Reno) che il bisogno di erigere murazzi e contenimenti
alle acque in alluvione dopo che i campi non erano più
regolati dal sistema degli scoli e dei canali messi in opera
dai contadini romani, provocasse l'ammucchiamento di
stele, di cippi, di are e di altri monumenti a far da barra
frangiflutto. Un uso comune infine, specie nell'area di
santuari molto frequentati, è quello di usare lapidi in disu-
so per la lastricatura delle rampe (i solchi delle lettere
evitavano di sdrucciolare) e dei cortili.
Singoli mooomenti furono trasformati in parti utili
agli impianti architettonici dei nuovi tempi o in altri
monumenti: le stele funerarie in coperchi di sarcofagi
o in lastre di sepoltura, rovesciate e talvolta reiscritte,
oppure erase e poi iscritte, persino iscritte sotto l'iscri-
zione romana; colonne milliari servirono oltre che nel-
l'interno di cripte e di cappelle anche da abbeveratoio,

34
Trasmissione e tradizione

una volta che ne fu ricavata una vasca dal loro corpo; la


stessa fine o quella più aulica di un'acquasantiera subi-
rono spesso le are sacre o funerarie di forme cilindriche
(i bomol delle officine ellenistiche), mentre i puteali
sacri continuarono a servire da vera da pozzo. Qualche
volta, nel lungo volgere dei secoli sino all'età moderna
si registra un diverso modo di reimpiegare la pietra, che
corrisponde ad una sua valutazione culturale. Spesso l'i-
scrizione « pagana » veniva capovolta in modo da non
poterla leggere, soprattutto se era accompagnata da un
apparato iconografico (oppure l'iscrizione veniva erasa,
o i ritratti venivano rielaborati: le molte pietre inserite
nel duomo di Modena costituiscono una casistica di alto
interesse): è evidente che si voleva con ciò cancellare
un segno culturale (religioso, politico) contestato e rin-
negato; in altri casi si valutava solamente il valore deco-
rativo del monumento, e perciò lo si poneva in vista, mo-
dificandolo talvolta sino a piegarlo ad iconografie cri-
stiane destinate ad assumere significati emblematici (è
il caso della stele dei Barbi segata a far da stipiti dell'in-
gresso della basilica di San Giusto a Trieste, ove si è
giunti a far apparire dal fondo della stele l'aureola e l'ala-
barda); spesso, a partire dall'età romanica, antiche iscri-
zioni cristiane compaiono nelle facciate delle chiese non
solo a scopo decorativo ma quasi a custodia e a osten-
sione di titoli di martiri; invece, a partire dal tardo rina-
scimento sono le iscrizioni pagane che spesso occhieggia-
no entro le mura ecclesiali, come segno di rispetto del
classico, di recupero dell'antico.
Per ogni territorio antico è necessario definire una
mappa della dispersione e del reimpiego, che concerne
tutto il patrimonio lapideo ma riguarda soprattutto le
iscrizioni; è necessario inoltre conoscere i momenti del
più intenso reimpiego, che può poi giustificare la man-

35
Epigrafia romana

canza di nuove scoperte: è il caso di Barcino (Barcellona)


dove le mura visigote sembrano avere inghiottito la mag-
gior parte dei monumenti romani. Vi sono poi considera-
zioni generali di ordine economico e di ordine politico-
culturale che aiutano a spiegare la distruzione o la riuti-
lizzazione pressoché integrale del patrimonio lapideo: alle
prime va ascritta la causa di una maggiore intensità del
fenomeno del reimpiego nelle regioni occidentali del
mondo romano, dove le cave subiscono un profondo ab-
bandono, diversamente da quanto accade nell'oriente bi-
zantino e arabo. Peraltro proprio nelle terre soggette alla
dominazione turca, ma per qualche tempo anche dopo
l'indipendenza ellenica si fece un conto minore del mo-
numento romano rispetto a quanto invece poteva docu-
mentare le origini e i tempi eroici della nazione greca.
Ma accade comunque che in ogni parte del mondo ro-
mano siano stati eretti nel medioevo edifici monumentali
le cui fondamenta o le cui mura siano un immenso e
ordinato coacervo di iscrizioni romane: facciamo solo
l'esempio della chiesa di San Donato a Zara. Non dimen-
tichiamo infine che i grandi terremoti hanno come ef-
fetto, nel tessuto delle antiche città, di buttar fuori pie-
tre iscritte, come è accaduto per esempio a Coo nell933.
Una varietà tutta particolare del reimpiego di una
iscrizione è quella della sua erasione totale o parziale,
già in antico (per esempio, per damnatio memoriae cioè
1

per la condanna del nome e del ricordo di un personag-


gio, o per correzioni, o per autentici palinsesti), o di
aggiunte - antiche e non - sulla stessa superficie, o su
un lato o sul retro o a monumento capovolto in modo
da escludere di fatto dalla vista la precedente iscrizione.
Le aggiunte possono valersi degli elementi di un monu-
mento per modificarne la destinazione e il significato, op-
pure - come è accaduto spesso nelle raccolte del Sette

36
Trasmissione e tradizione

e persino dell'Ottocento - per apporre didascalie alla


iscrizione antica, o per confermare con nuove indicazioni
la funzione del monumento: ciò che accade frequente-
mente ai milliari già nell'antichità, specialmente nel basso
impero, e anche in età moderna. Va da sé che l'iscrizione,
come ogni altra superficie utile, è soggetta a graffiti o
pitture, di età antica o meno.
Un aspetto importante della deformazione del testo
e della scrittura di un'iscrizione romana è la cosiddetta
rubricatura, che consiste nel ripassare con la vernice nera
o con la rossa il solco delle lettere incise, troppo spesso
malamente ma con il proposito di rendere visibile, spe-
cie in ambienti chiusi e poco illuminati, il testo; in realtà
nella maggior parte dei casi si dimenticano lettere, se ne
deformano altre o se ne aggiungono, con lo scopo più
o meno consapevole di piegare l'iscrizione a significare
quello che vi si vuole leggere (è accaduto soprattutto con
i titoli cemeteriali cristiani per riconoscervi nomi di de-
funti noti dal martirologio ). Con la rubrica tura però si
ostacola davvero la lettura autentica, soprattutto per
quanto concerne il ductus della scrittura e la tecnica delle
diverse fasi dell'incisione. Può darsi che alcune iscrizioni
fossero annerite o rubricate in antico, sebbene in rarissimi
casi siano rimaste tracce di tinta (di più per esempio in
area etrusca), ma non fu un fenomeno generale: il colore
fu usato soprattutto per emendare errori, per qualche ag-
giunta; è probabile per esempio che per una serie di mil-
liari preparata in officina con un'iscrizione ed un numero
di base si provvedesse poi, alla messa in opera, all'aggiun-
ta in vernice di qualche altro numero, specialmente se si
tratta di unità: ciò spiegherebbe alcuni casi curiosi di
milliari trovati in situ ma che recano inciso un numero
di miglia sicuramente inferiore al percorso viario.

37
Epigrafia romana

Se si toglie - come si è visto - il caso di alcuni


grandi monumenti (come le porte civiche, gli archi) è
raro che le iscrizioni romane si trovino in situ in un pae-
saggio in qualche modo successore di quello nel quale
furono create, e nel quale vissero sin che i monumenti
furono fruiti prima dell'attenzione dell'umanista e del-
l'archeologo. Si dà però qualche caso di ripristino di
paesaggi monumentali dove le iscrizioni sono state cor-
rettamente mantenute (per esempio la necropoli di porta
Nucerina a Pompei) o ricollocate (per esempio i milliari
della Pusteria) oppure rimosse di poco ma restituite con
il loro monumento pressoché nel medesimo ambiente (è
il caso della necropoli di Sempeter presso Celje in Slove-
nia). In qualche caso la lettura delle iscrizioni sui grandi
monumenti presenta gravi difficoltà se le lettere erano
di bronzo (litterae caelatae) e anziché avere lasciato, do-
po la loro pressoché inevitabile asportazione, un solco
continuo sulla superficie (come accade quasi sempre nelle
iscrizioni sulle platee pubbliche o, per esempio, sul tem-
pio di Marte a Merida) si trovavano infisse mediante
grappe e coduli in alcuni fori appositi (si conservano nei
musei alcune delle lettere bronzee con simili appendici;
non vanno confuse con i tipari per marchiare il bestiame,
usati spesso da reparti militari): poiché grappe e fori
non sono disposti in maniera uniforme in tutte le iscri-
zioni di questo tipo, la lettura ne risulta impervia (si
veda il caso famoso delle iscrizioni sull'obeli sco vaticano).
Quasi sempre le iscrizioni si trovano in raccolte e
in musei; i motivi della loro collezione sono diversi: so-
no le iscrizioni di quella città e di quel territorio, ma
spesso il mutare delle circoscrizioni archeologiche ha pro-
vocato l'accentramento di molte iscrizioni in capoluoghi
diversi, se non addirittura nei grandi musei nazionali (per
esempio a Firenze, a Roma, a Napoli); per diverse vi-

38
Trasmissione e tradizione

cende è accaduto che le parti di un'iscrizione siano finite


divise (il coperchio iscritto di un'umetta romana con-
servata a Siena si trova a Firenze); talvolta è la venera-
zione per memorie reali o presunte a provocare l'impor-
tazione di un'iscrizione (la stelina urbana di un Meli-
boeus, patente evocazione virgiliana, nel Palazzo Ducale
di Mantova) o la collocazione di un titolo catacombale
prima in onore sotto la mensa dell'altare di una chiesa
qualsiasi e di poi nel vicino museo; spesso la collezione
epigrafica ha motivi eruditi, talvolta si inserisce nei capi-
toli migliori della storia della cultura dell'antico (come
è del primo autentico lapidario creato, come tale, da Sci-
piane Maffei a Verona nel XVIII secolo), oppure accon-
tenta passioni per le memorie del passato, o serve cause
encomiastiche, per il decoro di grandi e piccole corti,
come è della maggior parte delle infinite collezioni patri-
zie che tuttora si trovano sotto la polvere dei palazzi,
negli androni, nei cortili e nei loggiati, o entro i chiostri
di vetusti monasteri, autentici capoluoghi della cultura
(come accade soprattutto in Spagna).
Di solito le iscrizioni romane in pietra occupano un
settore a parte nei musei, costituiscono quel che si chia-
ma il lapidario: in un atrio, in un cortile, in un giardino
o in un grande salone, quasi sempre al piano terreno pro-
prio per il peso e la difficile mobilità dei monumenti. In
questi casi le iscrizioni escono dal contesto storico - in
senso diacronico - che solitamente regge l'ordinamento
di un museo, cioè non si distribuiscono (salvo alcune di
spiccato rilievo) nelle sale dedicate a singoli periodi della
storia di una città o di un territorio, ma presentano però
assieme la documentazione di un aspetto importante del
processo di comunicazione pubblica, quello epigrafico.
Siccome poi la maggior parte delle iscrizioni romane pro-
viene dalle necropoli, collocate tutte fuori porta, il !api-

39
Epigrafia romana

dario costituisce un approccio reale alla città antica, come


se si penetrasse davvero in città dopo avere attraversato
il suburbio e i cimiteri allineati lungo le vie di accesso.
Quanto alle collezioni patrizie ed erudite, esse rivelano
spesso nel loro ordinamento non meno che nella loro
consistenza l'interesse, complesso e articolato, dei pro-
motori; cosl come le iscrizioni furono disposte - e tal-
volta ancora lo sono - lungo pareti entro cortili e log-
giati (si pensi all'ordinamento della raccolta lapidaria nel
Palazzo Ducale di Urbino, ora ricomposta) esse rappre-
sentarono almeno per lungo tempo un esempio di classi-
ficazione antiquaria ed insieme un albo di belle scritture,
forse gli unici modelli utili ai processi di alfabetizzazione
non meno che alla creazione dei caratteri a stampa per le
scuole di tipografia.
Si entra cosl nel ruolo assolto dalle iscrizioni menu-
mentali romane nella formazione culturale, soprattutto a
partire dal rinascimento (si ricordino gli esempi delle
iscrizioni riminesi dell'arco di Augusto, del ponte di Ti-
berio e altre come modelli per le iscrizioni del periodo
malatestiano ), nella storia stessa dell'epigrafia, delle sco-
perte epigrafiche e dell'interesse colto per le iscrizioni,
come versante della storia della cultura e del sapere anti-
quario. La tradizione e la trasmissione delle iscrizioni si
articola negli episodi e nei lineamenti di questa storia.
Già nell'alto medioevo le iscrizioni romane destavano
curiosità ed interesse, perché venivano lette e capite (al-
meno nel loro senso letterale) dai pellegrini che si reca-
vano a Roma. Alcune furono copiate direttamente dai
monumenti, e assieme ad appunti e schede diverse riflui-
rono confusamente nel più antico dei manoscritti epi-
grafici, conservato nel monastero elvetico di Einsiedeln
(VIII-IX secolo). Successivamente l'uso della scrittura
« gotica » allontanò in parte l'interesse dalle iscrizioni

40
Trasmissione e tradizione

romane, mentre già alla metà del sec. XIV gli esempi
della romanità erano oggetto di attenzione culturale e ve-
nivano assunti come simboli della rinascita civile: si pensi
all'episodio della esposizione al popolo di Roma della
tavola bronzea della lex de imperio di Vespasiano, voluta
da Cola di Rienzo.
In questo clima di riscoperta dell'antichità operano
i primi raccoglitori di sillogi epigrafiche, Nicolò Signorili
e Poggio Bracciolini, e i trascrittori di testi copiati diret-
tamente dai monumenti: forse il più noto tra questi è il
mercante anconetano Ciriaco dei Pizzicolli, segulto ed
imitato da molti altri, tra i quali si ricordano - anche
per i preziosi disegni che corredano le loro opere e le
loro schede - Giovanni Marcanova, Fabrizio Ferrarini,
frà Giovanni Giocondo da Verona. Viene il tempo delle
grandi scoperte in ogni luogo del mondo antico (alla
metà del XVI secolo, il testamento di Augusto, o Res
gestae, ad Ankara), mentre si giunge alla costituzione del-
le prime collezioni: tra queste sta a sé il caso di Roma,
dove le raccolte ecclesiastiche e patrizie sono molto nu-
merose e dove anche i pontefici assecondano spesso que-
sto risveglio di interesse per il patrimonio dell'antichità
con provvedimenti volti alla tutela dei monumenti. Verso
la metà del XVIII secolo Scipione Maffei istituisce a Ve-
rona il primo lapidario pubblico, dove le iscrizioni erano
sistemate secondo un'organica classificazione. Analoga
funzione anche didattica assolvono le collezioni che si
vanno formando presso le accademie e gli studi universi-
tari. Al Maffei spetta il merito di un primo moderno
manuale, l'Ars critica lapidaria; tra Sette e Ottocento an-
che nuove scoperte accompagnano la fondazione sistema-
tica della scienza epigrafica: si citino almeno le nuove
tavole degli atti degli Arvali, studiati da Gaetano Marini
(1795) e i fasti consolari, a lungo indagati da Bartolomeo

41
Epigrafia romana

Borghesi. In un fervore di sistematica conoscenza della


documentazione antica prende corpo nel sec. XIX l'inizia-
tiva di un Corpus generale delle iscrizioni romane, a sur-
rogazione delle pur ampie sillogi prodotte soprattutto nel
sec. XVII (Grutero e seguaci): dopo un tentativo non
concluso dell'accademia francese il progetto iniziò a rea-
lizzarsi a Berlino con Teodoro Mommsen.
Trovarono cosl edizione sistematica sia le iscrizioni
conservate, delle quali l'autopsia può facilitare la verifica,
sia quelle perdute ma di cui è memoria in vecchi archivi
o che sono state comunque trasmesse da codici, raccolte
di schede manoscritte e anche opere a stampa. Ogni edi-
zione organica di iscrizioni presenta il regesto degli auc-
tores, cioè degli studiosi, dei copisti, dei raccoglitori che
- in modo più o meno completo e corretto - hanno
portato la loro attenzione ai monumenti, di solito limi-
tandosi a copiarne il testo: accade però che spesso i testi
cosl trasmessi comprendano parti ora perdute di iscrizio-
ni pur recuperate e visibili, oppure che presentino come
esistenti nel testo parole e formule che in realtà sono
solamente il frutto della cultura esegetica del copista, o
che infine mescolino iscrizioni autentiche a testi falsi,
copiati da altri raccoglitori o direttamente inventati: ma
anche testi falsi possono comprendere nuclei antichi o
rielaborare iscrizioni autentiche. In ogni modo la docu-
mentazione delle vicende delle iscrizioni, della loro inter-
pretazione e della loro trasmissione va segulta con il mas-
simo interesse perché accompagna e compone quel pro-
cesso di conoscenza e di percezione dell'antico cui ogni
monumento contribuisce.
Iscrizioni sono inoltre trasmesse nel loro testo, o di
esse è data notizia, dagli antichi scrittori. In qualche caso
- si veda il tropaeum Alpium alla Turbia, CIL, V, 7817
già in Plinio, nat. hist., III, 20, 136 - testo e monu-

42
Trasmissione e tradizione

mento trovano riscontro nell'autopsia che ancora oggi si


può compiere; per lo più invece si tratta di iscrizioni
perdute, delle quali quindi si ignora la fedeltà del riferi-
mento e il processo di rielaborazione retorica subìto, e
talvolta persino l'autenticità: negli scrittori infatti le
iscrizioni compaiono per il loro valore programmatico ed
il loro significato politico coerente con l'assunto generale
della narrazione storiografica. Più interessante è la noti-
zia di iscrizioni erase per damnatio memoriae; del tutto
insostituibile è la notizia di cartigli (il già citato cesariano
della guerra pontica; l'evangelico INRI, oggetto dei dia-
loghi sul Calvario) che sicuramente non sono conservati,
e di graffiti o di iscrizioni col gesso o con la vernice: si
ricordino le accuse a Tiberio per la morte di Germanico
(redde Germanicum, Svet., Tib., 52) e il« basta!» rivolto
a Domiziano sugli archi della capitale, giocando sulla pa-
rola arei, traslitterazione del greco arkei (Svet., Domi-
tian., 13, 3).

Sui problemi generali della trasmissione e della tradizio-


ne delle iscrizioni, vd. ancora, A. CAMPANA, Tutela dei beni
epigrafici, cit., e per aspetti più propri alla storia della tra-
dizione dei testi un'amplissima bibl., tra cui H. HuNGER
u.A., Geschichte der Textiiberlieferung der antiken und mit-
telalterlichen Literatur, I, Zurich 1961; L. D. REYNOLDS-
N. G. WILSON, Scribes and scholars. A guide to the tran-
smission of greek and latin literature, Oxford Univ. Press
1968.
Per il recupero delle iscrizioni romane dal tessuto urba-
no, cui erano principalmente destinate, vd. P. Tozzi-M. Oxi-
LIA, Le pietre di Pavia romana, cit.; per le forme della dif-
fusione dei monumenti epigrafici nelle campagne, SusiNI,
I fenomeni di acculturazione e di alfabetizzazione influenti
sul paesaggio agrario antico, Fonti per lo studio del paesaggio
agrario, Lucca 1981, pp. 107-109.

43
Epigrafia romana

Casi di mitologia epigrafica: il riconoscimento fittizio di


personaggi storici, come nella presunta iscrizione patavina di
Tito Livio (CIL, V, 2865); la presunta connessione di topo-
nimi a nomi di persona conosciuti attraverso le iscrizioni,
d. Amalfi da Amarfius, « Rass. del centro di cult. e storia
amalfitana», l, 1981, 2, pp. 7-18; una rassegna di invenzioni
derivate da testi falsi o da iscrizioni fraintese, in M. G. Tmi-
LETTI BRUNO, « Rend. lst. Lomb. », 102 (1968), pp. 338-360.
Contrariamente a quanto si possa comunemente suppor-
re, è più facile la distruzione (anche per reimpiego) della
pietra e del bronzo rispetto a quanto accade della carta, che
è materiale di scarsa utilità: è quanto si constata ad esempio
nella cultura cinese, dove la conservazione degli archivi è fa-
cilitata anche dalla scarsa mobilità sociale e territoriale; d'al-
tro canto, anche nell'antichità il papiro non aveva diverso im-
piego se non per il cartonaggio delle mummie, cosl come la
pergamena servl di poi solo per la legatura. I casi di di-
struzione e di reimpiego di iscrizioni antiche sono innumere-
voli: un esempio di distruzione volontaria, al fine di evitare
l'intervento degli organi di tutela, si ebbe di recente nell'area
di Classe, dove la maggior parte di un grande catalogo clas-
siario («St. Romagnoli », XIX, 1968, pp. 291-307) fu fretto-
losamente sbriciolata nella colata in calcestruzzo sottostante
un raccordo ferroviario in costruzione. Altri esempi emble-
matici di reimpiego: le iscrizioni di grandi mausolei nelle
mura del fortilizio tardoromano del Lorenzberg presso Ep-
fach (Abodiacum), oggi recuperate e visibili nel museo di
Augsburg; la vasca battesimale nel duomo di Novara; la
stele bolognese dei V ettulei, trasformata in coperchio di sar-
cofago, che reca tracce della primitiva struttura ad edicola
iconica (J. 0RTALLI, «Il Carrobbio »,V, 1979, pp. 359-366);
il caso di una croce esorcistica su un'iscr., nel milliario di Ta-
cito conservato nella chiesa zaratina di S. Pietro; l'inserimen-
to intenzionale di un'iscrizione del IV secolo sulla fronte di
un edificio romanico, A. CAMPANA, Le iscrizioni medioevali
di San Gemini, cit., l.; l'erasione di un bassorilievo, nel qua-
le si riconobbe forse - in età giacobina - una scena regale,

44
Trasmissione e tradizione

sul frontone della stele bolognese dei Corneli (CIL, XI, 735):
la scena si recupera da C. C. MAI.VASIA, Marmora felsinea,
Bononiae 1690, p. 57.
L'impiego del laser per la decrittazione di testi erasi è
annunciato da R. CHEVALLIER, << Epigraphica », XLII (1980),
p. 230.
Qualche esempio di palinsesti e di aggiunte, inserzioni,
interpolazioni in età antica: H.-G. KoLBE, Ein Inschrift-pa-
limpsest republikanischer Zeit aus dem Fortunaheiligtum von
Praeneste, Ep. Studien, 5 (1968), pp. 165-176, tavv. 15-17;
SusiNI, Scrittura ed onomastica: due tecniche e due epoche
in un'iscrizione arcaica bobiense, « Epigraphica », XXVIII
(1966), pp. 95-100; il celebre graffito di Orgeno su una stele
funeraria parmense, sul quale SusiNI, Homm. Grenier, Bru-
xelles 1962, pp. 1449-1453, ed « Epigraphica », XXVI (1964),
pp. 81-85, nonché A. DEGRASSI, « Mem. Linc., Se. mor. », s.
VIII, XI (1963), pp. 161-163 = Scritti vari, III, pp. 28-31,
e CongrEp, V, Cambridge, Oxford 1971, p. 167 = Scritti
vari, IV, p. 60; sul medesimo monumento anche R. EGGER,
« Anz. Oesterr. Akad. Wissensch., Phil.-hist. Kl. », 105,
(1968), pp. 283-294, e C. B. PASCAL, « Epigraphica », XXXI
(1969), pp. 73-78, e nuovamente ibid., in pubbl.; esempi
realmente paradigmatici dei fenomeni in questione, connessi
alla tematica degli emendamenti e del confronto tra culture
diverse, sono raccolti da A. DoNATI, Tecnica e cultura dell'of-
ficina epigrafica brundisina, Faenza 1969 (cf. J. :MALLON,
« Scr. e civ.», 2, 1978, pp. 35-43); un altro esempio da Dro-
beta, nel museo di Tumu Severin, IDR, II, 21. Sui fenomeni
generali della riutilizzazione di monumenti nell'antichità, vd.
infine H. BLANCK, Wiederverwendung alter Statuen als Eh-
rendenkmaler bei Griechen und Romern, Roma 1969, e per
l'erasione e la reincisione delle iscrizioni, P. DESIDERI, Dione
di Prusa, Messina-Firenze 1978, p. 169, nota 15; il caso del-
l'aggiunta di un teonimo e del nome dd dedicante a una ste-
le con diversa raffigurazione è descritto da F. BRAE:MER-J.
:MALLON, « Bull. Soc. Antiq. de France», 1971, l, tav. I.

45
Epigrafia romana

Esempi, tra i tanti, di iscrizioni aggiunte dopo l'età anti-


ca (le iscrizioni sono da considerare sotto questo aspetto co-
me vere pagine aperte): il porco deo su CIL, VI, 1690
(iscr. del 340 d.C., una dedica di suarii e confecturarii al lo-
ro patrono: un caso di ecolalia concettuale?), A. CHASTA-
GNOL, Mél. Heurgon, I, Rome 1976, pp. 125-131; un'iscri-
zione del tempo di Leone X sul lato della base CIL, XI,
958 da Regium Lepidi; il milliario neroniano CIL, XII,
5475; l. Ki:iNIG, Itinera Romana, III, Bern 1970, 50, nel
museo Borély a Marsiglia, che reca la notizia di un rifacimen-
to stradale del 1765 (molti milliari subirono reiscrizioni in
età antica e moderna); in certo senso vanno annoverate an-
che le reincisioni di iscrizioni perdute o danneggiate o non
disponibili, avvenute per esempio a Urbino tra il Sei e il Set-
tecento, cui fu aggiunta la didascalia restituta; infine vanno
notati i numerosi tasselli applicati in ogni epoca per sostitui-
re o ripristinare brevi tratti eli iscrizioni.
Sulle vicende delle iscrizioni e sulle notizie che ne deri-
vano, qualche caso: sull'ultima tavola della lex de imperio
vespasianea e sulle conoscenze di Cola di Rienzo, l. CALABI
LIMENTANI, «Acme», XIX (1966), pp. 27-28; M. SoRDI, Stu-
di in on. di E. Volterra, II, Milano 1969, pp. 303-311; un
caso - frequentissimo - di iscrizione apparsa, scomparsa e
di nuovo recuperata, il milliario CIL, IX, 5960, del 361-363
d.C., nella chiesa di S. Pietro entro il paese ora abbandonato
di Camponesco (territorio di Peltuinum), di cui A. DoNATI,
« Epigraphica », XXXVI (1974), pp. 178-180; l'episodio -
sconcertante e istruttivo - dell'iscrizione sarsinate NotSc,
1931, pp. 29-31: questo monumento fu segnalato agli
organi di tutela nel 1927 da un cittadino che asseriva di aver-
lo scoperto demolendo un muro della sua abitazione; non fu
creduto, fu anzi perseguito, e si ritenne che l'iscrizione fosse
strappata dal fiume Savio in piena dalla vicina necropoli ro-
mana; di recente («St. Romagnoli », XXVII, 1976, pp. 13-
20) si è invece appurato che già Luigi Ferdinando Marsili
sul finire del sec. XVII aveva visto e descritto il monumento.

46
Trasmissione e tradizione

La rubricatura viene ancora oggi praticata razionalmente


in alcuni grandi musei, come quello di Colonia: essa impo-
ne ovviamente scelte esegetiche talvolta discutibili.
Sulla collezione lapidaria urbinate, ora ripristinata (vd.
sotto, cap. III, 4), vd. SusiNI,« Musei e gallerie d'Italia», 65
(1978), pp. 29-33; la formazione e la consistenza di una rac-
colta patrizia è esemplarmente descritta da G. GERACI, La
collezione Di Bagno: le iscrizioni greche e latine, Faenza
1975; la vicenda di un'iscrizione, valutata anche nel ruolo
che svolse in un celeberrimo ambiente culturale (CIL, IX,
5813 di casa Leopardi), è discussa da M. ToRELLI e A. Gro-
LIANO, «Par. Pass. >>, CXV (1967), pp. 295-313.
\ Il manuale di I. Calabi Limentani dedica ampio spazio
alla storia delle scoperte e degli studi epigrafici, raccogliendo
i copiosi risultati di numerose ricerche della studiosa (ad es.,
«Acme», XIX, 1966, pp . .3-67).
Per le imitazioni ed i falsi, vd. anche sotto, cap. II, 6.
Esemplare è l'analisi di M. P. Billanovich sul folto patrimo-
nio epigrafico del Chiostro Maggiore di S. Giustina a Pado-
va («Italia medioev. e umanistica », XII, 1969, pp. 197-
293): si tratta di testi riprodotti, imitati o composti da pit-
tori prestigiosi o meno; le pitture sono in gran parte perdu-
te, ma il loro contenuto è noto da descrizioni e da disegni di
tempi diversi (ciò che ha apportato più mani nella tradizio-
ne testuale); il saggio dimostra la fecondità del recupero dai
« falsi » di testi autentici, in qualche modo rielaborati o imi-
tati nelle pitture del sec. XV.

47
4. ISCRIZIONE, MONUMENTO, PAESAGGIO

Le iscrizioni romane costitUiscono dunque una cul-


tura di strada, composta per lo più di monumenti all'aria
aperta: nei fori, nelle necropoli, su edifici pubblici, entro
e fuori dei santuari (dove spesso si conservano leggi e
disposizioni, quasi come negli archivi), attorno a opere
pubbliche (targhe e cippi), sui muri, ed infine entro le
case. C'era poi l'instrumentum con tutte le categorie de-
gli oggetti mobili, molti dei quali si potevano tenere in
mano e venivano quindi letti, nei loro marchi, alla di-
stanza dell'occhio dalla mano, mentre altri, come i mat-
toni e le tegole bollate, erano destinati a finire in breve
tempo entro mura o sopra i tetti, perciò in modo che i
loro marchi non si leggevano più. Sia l'interno di un
santuario, per quel poco che se ne può conoscere - e
tanto meno i tabularia - sia i fori e le necropoli rappre-
sentavano, come oggi alcune nostre piazze ma soprattutto
certe chiese monumentali, un vero archivio visibile di
iscrizioni: in ogni momento della loro storia, quando era-
no agibili e frequentate, presentavano in sincronia iscri-
zioni di momenti diversi, una sorta di selezione diacro-
nica e politica delle voci di una storia, sia che si trattasse
degli elogi sulle basi onorarie nei fori sia che si legges-
sero le memorie dei cittadini e delle loro famiglie nelle
necropoli.
A differenza dei monumenti di altre culture, in qual-

48
Iscrizione, monumento, paesaggio

che modo anche diversamente dalle iscrizioni greche, le


iscrizioni dei romani erano sempre leggibili da una certa
distanza, non affollavano mai le platee e i gradini dei
templi come accadeva nel mondo greco, e si leggevano co-
modamente mettendovisi di fronte. La frontalità delle
iscrizioni è un elemento pressoché costante del modo di
leggerle: inoltre, quasi sempre (fuor che per i milliari e
qualche tabella) per leggerle bene ci si fermava (oggi si
può continuare a camminare se l'iscrizione è verticale,
cioè viene incontro al cammino del lettore); come per
guardare una vetrina, il lettore era invitato a fermarsi da-
gli inviti, spesso in poesia, siste et lege, anche perché le
abbreviazioni imponevano spesso un attimo di sosta per
comprenderle e scioglierle. Mentre in altre culture, ed
anche in qualcuna delle iscrizioni romane più antiche,
il testo era disposto spesso in punti diversi del monu-
mento (sui sarcofagi etruschi l'iscrizione poteva essere ri-
partita tra la cassa, il coperchio, la veste del defunto raf-
figurato sulla kline), oppure attorno alla figura o con an-
damento bustrofedico o spiraliforme (il disco di Festòs,
cippi greci arcaici, stele runiche, dischi Maya, stele nu-
mide, e a Roma, per esempio, il vaso di Duenos) nell'epi-
grafia romana l'iscrizione si raccoglie quasi sempre en-
tro uno specchio, assume un'esplicita funzione didascali-
ca del monumento (titulus ... spoliis inscriptus, Liv. IV,
20, 6 ), assolve la funzione di targa, tabella o cartiglio, in-
tegrandosi all'apparato iconografico, per esempio ad una
statua, come la sua « troisième dimension » (Sanders).
Pare ovvio ripetere che in un'iscrizione romana le
parti in lettere più grandi dovessero attirare e trattenere
di più l'attenzione, quindi esprimere quanto di più im-
portante si leggeva nel testo: si può correttamente im-
maginare l'oralità e la gestualità del suo lettore, che po-
teva alzare la voce e siglare col gesto e con l'atteggia-

49
Epigrafia romana

mento, in ogni caso col suo comportamento, il valore da-


to all'iscrizione; se la lettura era silenziosa, come dove-
va accadere nella maggior parte dei casi, avveniva come
leggendo un racconto: le «frasi incomplete» di quella
scrittura sommaria e compendiaria che è l'iscrizione veni-
vano completate da intonazioni ed enfasi che sottolinea-
vano i passi di maggior rilievo. Quasi per gli stessi prin-
cipi le lettere delle iscrizioni assumevano la grandezza ne-
cessaria ad essere lette, nelle parti essenziali, secondo la
distanza, dal lettore: ciò vale soprattutto per le iscri-
zioni sugli epistili dei templi e degli edifici pubblici, e su-
gli archi. In qualche caso lo specchio epigrafico, cioè la
superficie solitamente corniciata entro la quale era inci-
so il testo, è volto o inclinato in modo da facilitarne la
lettura, perché l'occhio cioè incontrasse normalmente la
superficie iscritta. Certamente le grandi iscrizioni che si
potevano leggere da lontano coinvolgevano il lettore nel-
l'apprezzamento enfatico della grandezza del monumento.
All'evidenza delle lettere potevano contribuire ele-
menti tecnici, come l'uso di caratteri in bronzo applicati
alla superficie lapidea - di cui si è detto (litterae caela-
tae) - o l'impiego di tintura di colore aureo (o la ru-
bricatura), che è citata per la scrittura di tabule !ignee
e di cartelli di particolare importanza (i senatus consulta
in Tac., Ann., III, 57, 3) o nel senso metaforico di renr-
dere più pregevole il monumento. Quando si cominciò
ad incidere le lettere « a chiaroscuro », con sguanci cal-
ligrafici in alcuni tratti, diritti o curvi (e ciò per lo me-
no dall'età augustea), come se si volesse riprodurre il se-
gno, largo e sottile, tracciato dal pennello nella scrittura
capitale corsiva sul legno o su altro materiale deperibile,
si introdusse una variatio calligrafica che era destinata
a compiacere l'occhio del lettore.
L'iscrizione si leggeva di solito abbracciando d'un so-

50
Iscrizione, monumento, paesaggio

lo colpo d'occhio tutta la superficie iscritta e quindi tut-


to il monumento: ciò non è esatto invece se l'iscrizione
è incisa ai propri piedi, a meno che si tratti di piccoli ri-
quadri, come i nomi dei dedicanti sui pavimenti delle ba-
siliche paleocristiane, solitamente incorniciate in clipei, o
tabelle didascaliche di minuscole aree sacre (ad esempio,
i luoghi colpiti dal fulmine, fulgur conditum) o brevi iscri-
zioni dedicatorie su roccia (per esempio i voti a Serapide
nel santuario ipetrale di Panoias in Lusitania), o le de-
diche sul bordo superiore di labra (come nel culto della
Bona dea), o le soglie delle abitazioni con saluti augura-
li spesso composti in mosaico (ave, salve, cave canem), o
i gradini delle cavee dei teatri quando recano il nome dei
donatori oppure quello dei destinatari dei posti (come
le panche di rispetto nelle nostre vecchie chiese), o certi
cippi gromatici o terminali, o i coperchi iscritti di urne.
Diversamente, per le iscrizioni (di solito in lettere di
bronzo) delle platee dei fori e dei pianciti dei santuari, e
per le didascalie dei pavimenti a mosaico (ancora in al-
cuni santuari e nell'interno delle domus), l'iscrizione si
leggeva compitandola lettera dopo lettera o parola dopo
parola, spostandosi cioè lungo il suo asse. Un caso parti-
colare di iscrizioni animate dalla luce (o dall'ombra) è
quello delle meridiane o degli orologi solari, dove l'om-
bra dello gnomone (fosse anche l'obelisco dell'horologium
solarium Augusti) traduceva visivamente in una perce-
zione d'insieme l'indicazione cronografica: l'iscrizione di
questo tipo è quindi mobile nei suoi segni, perché modi-
fica il significato nei diversi momenti del giorno; l'om-
bra che vi si proietta lntegra i segni incisi sulla super-
ficie. In simile prospettiva vale la pena di considerare,
quando se ne ha la possibilità, se l'ambiente e il paesag·
gio prevedevano per un'iscrizione l'illuminazione solare
in certe sue parti ed in alcuni momenti del giorno, al fi-

51
Epigrafia romana

ne di comprenderne l'eventuale significato (ricorrenze ri-


tuali, evidenza a parole o a p lessi di lettere?).
Un caso a sé, per quanto concerne il punto di vista
del lettore, è poi quello delle iscrizioni retroverse a let-
tere rovesciate, che si limita sostanzialmente ai timbri e
ai tipari (per esempio ai sigilla oculariorum, marchi su
pomate per la cura degli occhi), destinati a essere impres-
si in positivo su superfici morbide prima della cottura
(come l'argilla).
I milliari, incisi di solito su una superficie ricurva,
si potevano leggere a moderata velocità anche senza in-
terrompere la marcia, a piedi o su un carro, o almeno si
poteva comprendere il numero delle miglia - che era
l'indicazione funzionale - sempreché ci si muovesse se-
condo il verso della scrittura; invece le altre indicazioni
itinerarie, o di eulogia politica, potevano praticamente es-
sere lette solo sostandovi davanti: però la loro vista po-
teva essere sufficiente ad evocarne il contenuto, come
doveva accadere per esempio ai battellieri del Danubio
che salivano la corrente in vista della tavola traianea do-
po le Porte di Ferro.
Le iscrizioni attorno ai puteali, di solito di consa-
crazione del pozzo, venivano lette girandovi attorno: si
percorreva quindi sul terreno il limite dell'area sacra; è
questo il solo caso nel quale realmente l'iscrizione ésula
da una visione frontale, come a significare che il pertu-
gio di comunicazione con il sottosuolo, puteus o mundus
che sia, sfugge alle regole che i romani applicarono alla
divisione e all'organizzazione del suolo, non è leggibile
quindi lungo una via, ma dichiara il suo significato in
ogni direzione e senza limiti.
Veniamo ora ad altri aspetti visibili del monumento
iscritto. Se si tratta di un'iscrizione funeraria la sua for-
ma, le sue dimensioni e la sua collocazione sono diverse

52
Iscrizione, monumento, paesaggio

anche secondo il rito, dell'incinerazione o dell'inumazio-


ne. Il monumento compone in uno schema tettonico par-
ti iscritte e parti iconografiche, intese queste ultime vol-
ta a volta con un'accezione più simbolica e con un valore
più generico, che vien fatto di definire come eminente-
mente decorativo. Il monumento può a volte riprodurre
come in miniatura uno spazio architettonico diverso, co-
me nel caso delle urnette a forma di tempio o di capanna
e delle stèles-maison del mondo di cultura celtica; oppure
rappresenta un mobile od un oggetto, per esempio una
capsa con le sue borchie e persino la toppa della serra-
tura; infine il monumento può assumere l'aspetto della
parte di un edificio, di solito la sua porta, rappresentata
sulla fronte delle stele oppure come elemento cieco nei
mausolei, con il proposito di fingere un'inesistente cella
ed evocare l'ingresso agli inferi. L'esemplificazione po-
trebbe continuare all'infinito.
Va considerata inoltre la possibilità del montaggio
del monumento da pezzi diversi, sia reciprocamente fun-
zionali - come è nel caso di urne e di sarcofagi - sia fun-
gibili tra esemplari diversi, come accade soprattutto in
area provinciale quando all'elemento recante l'iscrizione
si associano, sopra o sotto, blocchi figurati con scene di
repertorio (il banchetto, il cavaliere). Può anche acca-
dere che oggi si disponga solo di una targa iscritta che
era apposta entro un monumento fedele a schemi tradi-
zionali ma costruito in materiale diverso, poi asportato
per il reimpiego, e addirittura deperibile come il legno.
Questo porta l'attenzione sulle tabelle e sui pinakes, o
sui signa e sigilla, in marmo o in metallo spesso inse-
riti entro il monumento (ne restano talvolta i segni di
saldatura delle grappe in piombo).
Queste considerazioni di tecnica compositiva vanno
tenute presenti se si vuole davvero comprendere il signi-

53
Epigrafia romana

ficato dell'iscrizione, nell'insieme, con gli altri segni del


monumento, anzitutto con l'apparato figurativo che si in-
tegra con il testo. I ritratti sui monumenti funerari han-
no un precedente significativo e illustre nelle imagines
recate in pompa assieme ai cartigli con le gesta del de-
funto; i ceti emergenti della fine della repubblica e dei
primi tempi dell'impero, gli homines novi delle curie
municipali in Italia e nelle province di più antica roma-
nizzazione, furono raffigurati nel loro realismo, nella lo-
ro trasparenza psichica, come le famiglie tra Otto e No-
vecento nelle foto di gruppo. L'iscrizione ne comunicava
il nome, le funzioni esercitate nella respublica, l'ascen-
denza e la discendenza gentilizia e famigliare. Accade
anche che l'immagine e l'iscrizione siano fungibili, che
la seconda finisca per soppiantare la prima, come è pa-
lese nella tettonica del monumento, o che l'immagine
venga sostituita da un simbolo. Comunque ogni raffigu-
razione che si componga nel monumento accanto allo
specchio epigrafico va considerata come parte integrante
dell'iscrizione: in qualche caso stereotipa e palese, co-
me si è già detto per esempio per quanto concerne il più
comune apparato funerario, in qualche caso con accezioni
più specifiche (armi ed elementi della panoplia sui monu-
menti dei coloni-soldati e dei coloni-veterani, nella Ci-
salpina e nella Narbonese, o beninteso dei militari sul
limes, o scene del lavoro, raffigurazioni di strumenti, di
officine, di momenti della vita commerciale sui monu-
menti di artifices, di mercatores). Il rotolo, talvolta aper-
to e iscritto, e la teca o capsa che lo contiene sono paten·
ti attributi del civis (con una reminiscenza del resoconto
in limine martis comune a molti monumenti etruschi);
specchio e pettine sono simboli della condizione femmini-
le; infine- l'esemplificazione è infinita -vanno tenuti
presenti gli oggetti parlanti, che traducono cioè in imma-

54
Iscrizione, monumento, paesaggio

gine il significato comune di un nome proprio: il moggio


per Modius (CIL, VI, 11595, ora nel British Museum) e
un uccellino per Ocellio (CIL, XIII, 612, nel museo di
Bordeaux).
L'analisi delle iscrizioni porta ad un interessante spac-
cato della cultura comune dei romani, soprattutto quando
si consideri il grande numero di monumenti costruiti se
vivo sibi, quindi voluti, o almeno verificati, commentati e
<( capiti » dagli stessi protagonisti delle iscrizioni; anche
a loro spetta quindi il merito degli accostamenti eclettici
tra molte raffigurazioni e simboli diversi, come ostenta-
zione di un lessico vario e ricercato: bucrani con patere,
con fioroni e con festoni, con lunule e urcei, cantari e ra-
cemi, eccetera. Il testo epigrafico presenta per sua natu-
ra delle frasi incomplete, che trovano la loro integrazio-
ne nel complesso degli altri segni, tutti parte - per
noi - della medesima operazione di analisi e di cono-
scenza. Accade inoltre che il processo di alfabetizzazione
e di acculturazione linguistica e grafica si segua in certe
aree del mondo romano proprio individuando la progres-
siva espansione del testo nelle parti del monumento soli-
tamente occupate da un simbolo: si veda il caso delle ste-
le a disco cantabriche dove il nome finisce per soppianta-
re la stella, la ruota corrente o altre raffigurazioni.
La visione globale dell'iscrizione e dell'insieme dei
suoi segni - potremmo dire del monimentum - equi-
vale al colpo d'occhio oraziano (Sat, II, V, 55: veloci per-
currere oculo ). L'impressione visiva, con tutte le possi-
bili performances provocate dalla luce e dalle condizioni
ambientali, dall'intervento orale e gestuale di un lettore-
esegeta, precede quindi inevitabilmente l'emozione e l'in-
terpretazione intellettuale: si tratta insomma di un pri-
mo approccio, di una prima fase della lettura, e se il col-
po d'occhio è sufficiente a far cogliere un nome o una

55
Epigrafia romana

parola, o un'abbreviazione conosciuta, siamo già a un pri-


mo passo nell'interpretazione. In questo senso l'attenzio-
ne che si porta ad un'iscrizione può essere più vivace di
quella che si porta per esempio ad una semplice raffigu-
razione di tipo religioso o rituale, che deve ripetere cer-
ti schemi, mentre l'iscrizione reca sempre (o quasi sem-
pre) un elemento irripetibile, cioè il suo testo con quei
nomi e quelle parole, legati con quei ritratti o quei sim-
boli, anche stereotipi o dozzinali.
Ogni ambiente, ogni città, ogni territorio ha infine
un suo modo di apprezzare le iscrizioni, anzitutto una
sua diversa famigliarità d'occhio con la pietra - si pensi
ad esempio a Lecce, dove un'iscrizione romana in pietra
gialla o grigia non può non evocare il colore stesso della
città, che fu sempre costruita con le stesse pietre, di la-
vorazione facilissima - e poi modi diversi, conseguenti
all'educazione culturale, di produrre le iscrizioni: dal ca-
vapietre allo scriba, dal committente al lapicida, al
lettore.

Un saggio eli classificazione terminologica degli dementi


eli comiciatura dei monumenti epigrafici è stato compiuto da
J. N. BoNNEVILLE, « Faventia », 2, 2 (1980), pp. 75-98, con
lessico in più lingue. Si ha memoria della doratura eli testi
(o eli loro parti): vd. CIL, XI, 6551, da Sarsina, alle linee
9-14: debentur praemia laudis aureus hic titulus et littera
nominis auro condecorata legi debet; d. NotSc, 1931, pp.
29-30.
Sulla lettura silenziosa e sulle sue implicanze, B. M. W.
KNox, Silent reading in antiquity, « Greek, Roman and
Byz. St », 9 (1968), pp. 421-435.
Un esempio eli iscrizione incisa su superficie aggettante
e inclinata, in modo da meglio incontrare l'occhio del letto-
re, in CIL, V, 74; Inscrlt, X, l, 122 (Pola).
Per le iscrizioni incise su superfici orizzontali, vd. SusiNI,

56
Iscrizione, monumento, paesaggio

Le iscrizioni platea/i: osservazioni tecniche, in «Atene e Ro-


ma», XXII (1977), pp. 155-158; una bibl. sulle iscr. fulgura-
li, al cap. l, 8; le iscrizioni del santuario di Panoias, in L.
VIDMAN, Syll. inscriptionum religionis Isiacae et Sarapiacae,
Berolini 1969, pp. 320-321. Sulle forme della lettura delle
iscrizioni musive (su pavimenti), che portano il mosaicista per-
sino a tracciare segni indistinti - nell'impossibiltà di una let-
tura globale e completa - cioè a una sorta di « bla-bla » epi-
grafico, vd. SusiNI, Renania romana, Atti Conv. Linc., Roma
1976, p. 252 (dalla villa di Bad Vilbel, nel museo di Darm-
stadt). L'iscrizione dell'horologium solarium Augusti è pre-
sentata da E. BucHNER, <<Rom. Mitt. », 87 (1980), pp. 355-
373, tavv. 134-141.
Un caso di urnetta romana montata da pezzi diversi è
descritto tecnicamente da F. BERGONZONI, «Strenna stor. bo-
lognese », XX (1970), pp. 9-17.
Si nota spesso un grosso foro alla base di stele o cippi:
secondo alcuni serviva per passarvi un trave corto, al fine di
assicurare la stabilità del monumento entro il terreno.
L'esigenza di valutare integralmente il monumento nei
suoi diversi elementi e segni è lungamente acquisita dalla
dottrina: in paragone, vale la pena di ricordare le pagine
scritte, in polemica col Wilamowitz, da M. VALGIMIGLI, « Riv.
Filol. », 93 (1965), pp. 390-391. Considerazioni di metodo in
proposito si leggono in SusiNI, Il lapicida rom., cit.; J.
SPARROW, Visible words. A study of inscriptions in and as
books and works of art, Cambridge Univ. Press 1969 (vd.
anche la ree. di I. CALABI LIMENTANI, « Riv. Stor. l t. »,
LXXXIII (1971), pp. 922-928; di questa studiosa anche il
già cit. art. in« Atti Ce.R.D.A.C. )), IX, 1977-78, pp. 159-177,
ove lo stimolante esempio delle iscrizioni del Pantheon); G.
PEREIRA MENAUT, «Bonn. Jahrbb. », 175 (1975), pp. 141-
164; H. HAusLE, Das Denkmal, cit. Risponde singolarmente a
simile valutazione globale l'esegesi della parola monimentum-
monumentum, nel suo sviluppo e nelle sue valenze semanti-
che: monimentum sive sepulcrum (peraltro talvolta distinto
dal locus sepulturae), monimentum sive memoria, testimo-

57
Epigrafia romana

nianza e dichiarazione storica (già Liv. mn, 20, 3: Peru-


sinorum casus obscurior fama est, quia nec ipsorum monu-
mento ullo est inlustratus nec decreto Romanorum), sino
all'essenzialità dell'iscrizione rudemente incisa sul cippo da
Marigny nel museo di Chatillon-sur-Seine: monimentu(m),
senza altre parole, senza nomi: puro segnacolo, o cippo ter-
minale di un'area globalmente definita con quel termine?
Nella considerazione complessiva del monumento, dove
gli apparati figurativi integrano l'iscrizione (si vedano i casi
delle decorazioni o delle insegne, come la vitis, che comple-
tano e specificano un cursus militare; si ricordino le illustra-
zioni ai carmi, G. SANDERS, Anamnésis E. A. Leemans,
Brugge 1970, pp. 317-341), va ricordato che quest'ultima im-
pone un ordine lineare nella lettura, un prima ed un poi co-
me nel parlato, che organizza e corregge l'impatto visivo.
Nell'ambito di una mutuazione integrante tra le figure e
l'iscrizione, accade che a partire dagli inizi dell'impero le
imagines sui monumenti funerari vadano scemando sino qua-
si a scomparire: spesso nella parte tettonicamente destinata
ad ospitare un ritratto o una figura intera viene campita
l'iscrizione, accade cioè che il nome e il cursus finiscano per
prevalere sul ricordo fisonomico della persona, come nella
grande stele bolognese di Q. Manilius Cardo (CIL, Xl, 707;
SuSINI, Il lapidario greco e rom. di Bologna, Bologna 1960,
78); dello stesso processo, che segna l'emergenza nella me-
moria epigrafica di un ceto curiale impegnato nelle vicende
della respublica quale quello uscito dalle colonizzazioni
triumvirali ed augustee, partecipano quei monumenti ove,
pur nella sopravvivenza della rappresentazione figurata, as-
sume importanza preponderante l'immagine della dignità ma-
gistratuale (come la sella curule da Flavia Salva, ora nel la-
pidario di Graz, vd. W. MoDRIJAN-E. WEBER, Die Romer-
steinsammlung im Eggenberger Schlosspark, l, Graz 1965,
175).
Sui problemi di semantica rituale dei rapporti tra le per-
sone e i loro signa - paradigmaticamente stimolanti alla de-
cifrazione delle mutuazioni tra tituli e imagines - vd. Liv.

58
Iscrizione, monumento, paesaggio

VIII, 10, 12, su cui M. A. CAVALLARO, « Ann. Scuola arch. it.


Atene», XXXVIII (1976), pp. 280-285; d. A. FRASCHETTI,
Le délit religieux, Roma 1981, p. 74. Sulla tematica più pro-
priamente archeologica, vd. G. A. MANSUELLI, « Riv. di ar-
cheologia», III (1979), pp. 45-58 (del med., sulla funzione
sernantica del ritratto, «Rom. Mitt. », 65, 1958, pp. 68-71
e 87, e sull'intenzionalità delle raffigurazioni femminili nei
monumenti aquileiesi, ibid., pp. 94-96).
Un esempio del raccordo tra rappresentazione figurata e
testo, nel riferimento ad un puntuale fatto storico, è costi-
tuito dalla stele di Ti. Claudius Maximus da Filippi, con la
decapitazione di Decebalo (M. SPEIDEL, « Journ. Rom. St. »,
LX, 1970, pp. 142-153).
Sulle raffigurazioni parlanti (elementi naturali, psicologi-
ci, sociali, religiosi), T. RITTI, Immagini onomastiche su mo-
numenti sepolcrali di età imperiale, « Mem. Linc., Se. mor. »,
s. VIII, XXI, 4, 1977.

59
5. LA PRODUZIONE EPIGRAFICA

Si scrive su qualsiasi materiale e con qualunque stru-


mento: i graffiti parietali e le iscrizioni tracciate con la
vernice sono a dimostrarlo; in genere questi sono prodotti
frettolosi, come si è detto, ed è facile che ci scappi
qualche lettera in più o che se ne saltino altre: non sono
testi che lo scriba guardi con calma mentre li scrive o do-
po la scrittura, abbracciandoli con l'occhio, e con la pos-
sibilità di correggerli. Salvo qualche caso di « affissi »,
cioè di iscrizioni verniciate - come a Pompei, avvisi
commerciali o manifesti elettorali - non si tratta di te-
sti programmati. Il graffito riesce di solito a rivelare for-
me e aspetti della lingua comune più di quanto accada
dell'iscrizione su pietra o su bronzo, rivela qualche volta
anche venature letterarie, ma la lunghezza e la comples-
sità del testo sono più che mai condizionate dallo spazio
a disposizione, dalla fretta e spesso dal rischio. Se non
si tratta di uno slogan, come il redde Germanicum di cui
si è visto, il graffito rappresenta un unicum: è già diffi-
cile scoprire molti graffiti della stessa mano, quando in-
vece, per esempio, le iscrizioni in pietra escono quasi sem-
pre da un'officina che ne ha prodotte molte altre, e i bolli
impressi sull'instrumentum sono addirittura gli esiti dello
stesso calco testuale.
L'analisi della produzione delle iscrizioni su bronzo
è volta soprattutto a scoprire la tecnica della scrittura:

60
La produzione epigrafica

può trattarsi quasi sempre dell'incisione col bulino, per


la quale il bronzo veniva moderatamente scaldato; l'azio-
ne del bulino poteva provocare qualche lievissimo lembo
rialzato sul bordo dei segni iru:isi. Diversamente l'iscri-
zione poteva essere ottenuta con una delle tecniche della
scultura in bronzo, per esempio alla cera perduta, cioè
da stampi e da matrici in argilla: in questo caso se ne po-
tevano ottenere molte copie, e si osservano spesso gru-
mi più consistenti; l'identificazione della tecnica segulta
è quindi importante per conoscere se si ebbe una certa
diffusione di quel testo, dal momento che il bronzo - e
lo si è visto - era soggetto più della pietra al reimpiego
per fusione e la produzione epigrafica in quel materiale
è andata spesso perduta. Singolarmente si conservano nu-
merose tavole bronzee in Spagna, ma c'è da dire che la
penisola iberica conobbe dall'antichità un'intenso sfrut-
tamento minerario ed una certa disponibilità, più che al-
trove, di prodotti metallurgici.
La produzione delle iscrizioni su argilla presenta ca-
ratteri del tutto particolari: anzitutto essa si identifica
nella quasi totalità dei casi con la produzione in serie de-
gli oggetti dell'instrumentum e consiste quindi nell'ap-
posizione di un timbro, o bollo, o marchio, prima della
cottura (se si trattava di oggetti metallici, per esempio
di lingotti, ci si serviva di un punzone per conio del ti-
po di quello usato per le monete, oppure l'iscrizione ve-
niva incisa col bulino o con lettere a tratti punteggiati):
rari sono infatti i casi di iscrizioni in terracotta che con-
tengano veri e propri testi, iru:isi a fresco o graffiti, di ca-
rattere funerario, per esempio, o alfabetari; spesso la su-
perficie fittile ospitava invece lazzi o invettive come quel-
le tracciate sui muri. La facilità di scrivere su un matto-
ne, magari in luoghi appartati, favorl questa letteratura,
che si estendeva agli esercizi di scrittura e alla copiatura

61
Epigrafia romana

di versi. Un altro carattere specifico della produzione fit-


tile consiste nella disponibilità dell'argilla, ben più fre-
quente della pietra utile all'incisione: le cave d'argilla si
trovano spesso presso corsi d'acqua, necessari alle ope-
razioni di lavorazione dei manufatti e propizi qualche vol-
ta anche alloro trasporto verso i mercati; il luogo di pro-
duzione (cioè la fornace) degli oggetti fittili coincide qua-
si sempre con la cava d'argilla, e gli operatori sono pres-
soché i medesimi. I monopoli dei privati e poi degli im-
peratori condizionarono ben presto le principali fonti
della produzione fittile.
La maggior parte delle iscrizioni romane era in pie-
tra: la vicinanza delle cave, la lavorabilità della pietra, la
sua qualità condizionavano sensibilmente la produzione
epigrafica, tanto che in centri lontani da cave, per esem-
pio in pianura, l'uso della pietra era minore, era limitato
a marmi pregiati d'importazione anche lontana - spe-
cialmente se si poteva fruire di una via d'acqua- e fio-
d (almeno a partire dal momento nel quale più difficile
risultava l'uso delle cave e più rara e costosa la profes-
sione del lapicida) una normativa volta a tutelare i se-
polcri dalla rapina, dalla violazione e dalla demolizione
(è questo il caso di Ravenna). Per l'incisione venivano
usati molti tipi di pietre, si evitavano solo quelle molto
facili a sfaldarsi e i conglomerati che non presentano
compattezza. Nei tempi più antichi furono impiegate,
specie nel Lazio e in Etruria, anche molte pietre di ori-
gine vulcanica, poi le arenarie e i calcari. Questi ultimi,
in diversi stadi di cristallizzazione (CaC03 ), costituirono,
anche nelle varietà più pregiate - d'importazione greca,
anatolica, egizia, africana - il materiale preferito ed il
più costoso. A questi « marmi » si rivolse presto il mo·
nopolio o il controllo statale.
La scoperta di cave di marmo di grande sfruttamen-

62
La produzione epigrafica

to, come quello lunense, e l'attrezzatura dei mezzi di tra-


sporto (traino o lizza) agli imbarchi più vicini, segnò
tappe importanti nella storia dell'economia, verso un'ac-
cresciuta professionalità delle maestranze, provocando la
unificazione di tecniche e facilitando la diffusione di lin-
guaggi omogenei. Si deve proprio all'impiego delle pie-
tre e dei marmi a grana fina se si sviluppò la tecnica del-
l'incisione a sezione triangolare o svasata, l'abitudine ai
« chiaroscuri » (quindi ad una migliore raccolta della lu-
ce sulla superficie iscritta), l'impiego di scalpelli a passo
fine e del trapano, i diversi modi di levigare lo specchio
epigrafico.
In ogni indagine epigrafica s'impone l'analisi litolo-
gica, e conseguentemente l'identificazione delle cave, so-
prattutto quando si tratti di pietre locali e di poco pre-
gio: una mappa delle cave sfruttate nell'antichità rappre-
senta il corredo indispensabile di ogni profilo storico di
un territorio.
I romani organizzarono presto lo sfruttamento inten-
sivo delle cave, tanto che i « gradoni » ricavati entro am-
pie fenditure delle colline e delle montagne vennero a co-
stituire un elemento caratteristico del paesaggio economi-
co. Si formarono aru:he - nelle cave o in depositi presso
le grandi città, come ad Ostia, per esempio, e alla statio
marmorum di Roma, conosciuta nella tradizione topono-
mastica come la Marrnorata, lungo il Tevere - grandi
accumuli, effetto spesso di un vero e proprio processo
di tesaurizzazione da parte del monopolio pubblico e pri-
vato: il marmo pregiato è considerato merce di lusso,
tanto che il suo impiego nelle costruzioni o nelle deco-
razioni viene spesso ricordato nelle iscrizioni, come me-
rito dei promotori o dei donatori. Naturalmente l'estra-
zione in massa facilitò la quadratura di blocchi omogenei,

63
Epigrafia romana

in serie, a tutto favore di quel processo di unificazione


tecnica e culturale cui si accennava.
La cava provvedeva ad una prima lavorazione delle
pietre, ad una serie molteplice di operazioni di quadra-
tura che portavano il manufatto ad un certo grado di ela-
borazione: nelle cave antiche si trovano infatti giacenti
numerosi « non finiti » assieme al brecciame e agli scar-
ti; questi ultimi venivano ceduti a poco prezzo e spesso
erano completati in loco da scribi di poche pretese, per
iscrizioni destinate a sepolture povere: di solito, si tratta
di segnacoli con. una sola faccia sommariamente appiana-
ta sulla quale è inciso il testo, spesso in scrittura capita-
le comune. Se i blocchi di pietra presentavano qualche
fallo, venivano ugualmente venduti e illapicida nell'inci-
dere il testo saltava il fallo: questi casi sono abbastanza
frequenti. Diversamente blocchi del genere servivano co-
me supporti di varia destinazione, elementi architettoni-
ci (colonne, stipiti, architravi) che la cava portava ad un
discreto grado di elaborazione. La cava costituiva quindi
un centro economico importante, anche per l'occupazione
operaia e professionale: al punto tale che proprio i gros-
si centri di produzione lapidea (vedansi le cave della pie-
tra d'Istria) indulgono a manufatti anche di fattura doz-
zinale, non hanno esitazione ad usare la pietra come un
materiale di largo consumo.
Alle grandi cave di marmo di proprietà pubblica,
soggette alle speculazioni e ai calmieri di un'economia pi-
lotata, fanno riscontro le cave di modesta portata, in ma-
no ai privati, più sensibili alle oscillazioni del mercato.
Lungo le frontiere e nei pressi dei grandi accampamenti
legionari le cave e le fornaci erano di conduzione mili-
tare; in tutte, le maestranze hanno lasciato ricordi epi-
grafici, talvolta anche solo graffiti, sulle rupi e sui « non
finiti ~>, spesso dediche alle divinità protettrici, oppure

64
La produzione epigrafica

marchi di fabbrica, segni d'opera tracciati per numerare


i blocchi e i «gradoni», o - nelle cave militari - le
sigle e le insegne dei reparti. Del funzionamento delle
cave siamo informati però soprattutto da quanto gli scrit-
tori raccontano del lavoro in miniera, ad metalla dove
1

- come spesso nelle cave - erano impiegati prigionie-


ri e schiavi: proprio la pericolosità della concentrazione
di grosse masse servili può avere condizionato i momen-
ti e i periodi dello sfruttamento dei grandi giacimenti
di marmo pregiato, come forse accadde a Luni.
La quadratura dei blocchi, effettuata su unità di mi-
sura unitarie - suscettibili quindi di rapidi computi
commerciali - si accompagna a ulteriori sbozzature, che
potevano giungere addirittura ad un prodotto semifini-
to, come accadde per molto tempo per i sarcofagi prepa-
rati in alcune cave-officine di marmo pregiato del Le-
vante e dell'Africa. In certi casi il disegno del monumen-
to da cavare era già tracciato sulla parete della cava;
spesso si giungevano a formare cippetti e arule con som-
maria corniciatura, che si vendevano ai vicini clienti dei
santuari agresti e rupestri. In ogni caso, è frequente che
nella cava si provvedesse a risparmiare sulla fronte o sui
lati del monumento grosse bozze da lavorare poi ( soprat-
tutto per ricavarne raffigurazioni) in officina, o che si
delineassero già alcune immagini da rifinire in seguito;
la stessa cosa accadeva di solito per le bozze circolari nel
centro dei frontoni, da trasformare poi ricavandone fiori
o stelle o calici o altro. Le operazioni di levigatura avve-
nivano comunque nell'officina epigrafica, nella vera e
propria bottega, situata di solito in città o nel suburbio,
dove il blocco o il semifinito veniva portato per la ven-
dita al cliente, per ricevere cioè su sua indicazione sia
l'iscrizione sia le rifiniture degli apparati iconografici.
Per il lavoro in cava ed in officina servivano gli stes-

65
Epigrafia romana

si strumenti: oltre a quelli più propri del cavapietre, co-


me il piccone, le ferulae (lunghi picchetti in ferro per il
distacco dei blocchi), i cunei in legno - che, bagnati,
servivano allo stesso scopo - , si adoperavano scalpelli di
diversi passi e misure, trapani, martelli e mazzuoli, pial-
le - per le superfici più tenere dopo l'estrazione, dove
provocavano talvolta una certa concavità, effetto dello
sforzo del braccio - , bocciarde, brocche e gradine -
per la sbozzatura o la rettificazione delle superfici - ,
punteruoli e stili o strumenti a graffio (graphia), e natu-
ralmente compassi, squadre e archipenzoli. Questi stru-
menti e altri sono raffigurati sui monumenti, alcuni si
conservano nei musei :di questi è bene conoscere anche
il peso, allo scopo di valutare meglio l'impatto sulla su-
perficie lapidea e l'identificazione del ductus.
Il trasporto dalle cave ai depositi o alle officine -
dove continuava naturalmente lo smercio a basso costo
delle scaglie, vero fenomeno di parassitismo economico
e culturale -- avveniva di solito per mare, attraverso le
lagune e i fiumi (come è il caso della pietra d'Istria verso
la rete idrografica padana). La gestione o l'appalto dei
trasporti spettava ai materiarii, più propriamente ai ne-
gotiatores artis lapidariae o caracterariae. Il recupero dei
carichi di marmi da navi naufragate ha permesso di co-
noscere con precisione il grado di lavorazione cui era
giunta la cava.
Spesso i blocchi di cava recano un marchio, con in-
dicazioni del numero della partita, del nome degli ope-
ratori responsabili, talvolta della data.
Per la numerazione dei singoli blocchi, o delle par-
tite, si usavano anche segni alfabetici, come del resto ac-
cadeva sulle mura di molte città ellenistiche e romane,
specialmente dell'età repubblicana (alcuni esempi: Brin-
disi, Tarragona): si trattava di veri contrassegni utili al

66
La produzione epigrafica

montaggio dei blocchi (segni d'opera), impiegati del re-


sto anche per la congiunzione di parti di statue preparate
in officina. In molti casi non si trattava delle serie alfa-
betiche normali, ma di alcuni segni comuni (a croce, a
tridente) più simili alle tacche dei boscaioli sugli alberi
e ai segnali lasciati sulle rupi dagli uomini delle culture
pre-protostoriche, dai cacciatori che inseguendo le tracce
della selvaggina volevano riconoscere il sentiero battuto.
Questa scrittura d'uso dei cavapietre e dei muratori, che
presenta caratteri comuni in diverse aree del mondo an-
tico, costituisce uno dei legami più tenaci tra i sistemi di
comunicazione umana prima e dopo l'alfabetizzazione.
Già nelle operazioni di lavorazione della pietra, e
quindi soprattutto in officina, va considerata la posizio-
ne che il lapicida (sculptor o scriptor, non fa differenza)
assumeva rispetto alla superficie da affrontare e da inci-
dere: semisdraiato o accovacciato, come par certo per al-
cune iscrizioni plateali, o per contrario su un'impalcatu-
ra sospesa; la posizione delle braccia, la fatica dell'opera-
io influivano anche sul ductus, inteso come l'ordine col
quale illapicida ha eseguito in successione i singoli tratti
di una lettera e il verso secondo il quale egli ha inciso
ciascuno di essi (Mallon). Oltre al ductus, nelle lettere si
studia il modulo, cioè il rapporto tra l'altezza e la lar-
ghezza, e le apicature o graffie, che si scoprono, anche
sottilissime, al termine esterno dei singoli tratti.
Evidentemente la qualità della pietra è determinante
rispetto all'incisione: lo si è già visto a proposito dei sol-
chi a sezione triangolare o svasata e dei « chiaroscuri »;
va aggiunto che spesso la facile scagliosità della superfi-
cie impone la realizzazione di lettere molto grandi.
Come per gli strumenti impiegati, anche per gli ope-
ratori - operai, maestranze in genere, capicantiere e ca-
piofficina - vi sono funzioni comuni e frequenti scambi

67
Epigrafia romana

tra il personale delle cave e quello delle officine e delle


botteghe lapidarie: quadratarii e serrarii sono gente di
cava senza dubbio, lapidarii, fabri lapidarii, lapicidae, la-
pidicaesores, marmorarii, lapicidinarii sono termini co-
muni, mentre sculptores, scriptores e simili sono più di
casa nelle officine. Per qualcuno di questi termini non
si riuscirà neppure a individuare se si tratti di un sempli-
ce operaio, di un caposquadra (il lavoro di squadra era
una necessità, già dalla cava - come per i boscaioli il
taglio del legname - ma anche in bottega, se non al-
tro per maneggiare i pezzi) o addirittura del titolare o
dell'appaltatore dell'impresa. Non si riesce infatti a rico-
noscere nelle officine epigrafiche quello schema dei rap-
porti tra domini e olficinatores che sembra prevalere nel-
l'organizzazione delle figlinae. Una medesima organizza-
zione collegiale e culti comuni legavano spesso le mae-
stranze dei diversi luoghi dove si svolgeva, fase per fase,
la produzione epigrafica.
Non conosciamo i lapicidi di persona, salvo per po-
chissimi casi collegati quasi sempre alla realizzazione di
sculture: senza che sia chiaro quando si tratti proprio
dell'artefice (o artista), del caposquadra, o dell'impren-
ditore; fanno eccezione talvolta i componimenti poetici
dei quali si legge, per lo più nello stesso testo, il nome
del versificatore. Siamo certi però che l'iscrizione - il
monumento epigrafico - è il risultato diverso e com-
plesso degli apporti recati da ciascuno degli operatori:
la storia del lavoro è storia della cultura, intesa come uso
degli strumenti, professionalità, comunicazione di espe-
rienze.
Un aspetto importante del lavoro epigrafico è costi-
tuito dai costi, dalle remunerazioni, dai prezzi: al di là
delle considerazioni generali sulle retribuzioni operaie (e
sull'incidenza dell'impiego di schiavi), e delle tariffe conr

68
La produ1.ione epigrafica

tenute nell'edictum de pretiis dioclezianeo, le informa-


zioni utili riguardano il prezzo di monumenti e di aree
sepolcrali, e poco d'altro; scarsa utilità reca la conoscen-
za dei prezzi di funerali e delle multe comminate ai vio-
latori delle tombe.
Veniamo ora all'esame delle fasi di preparazione di
un'iscrizione, e agli effetti dell'assommarsi in esse di di-
verse esperienze culturali. Ovunque svolgono una loro
influenza le attitudini maturate prima dell'affermazione
del dominio romano: nel vasto mondo delle culture elle-
nistiche, le tecniche dell'incisione - a solco sottile, con
apicature complesse e a tratti spezzati - si sommarono
all'esperienza romana del « chiaroscuro » e delle linee di
scrittura con diversa grandezza. Nelle aree di prima alfa-
betizzazione svolse un ruolo importante l'abitudine a in-
tagliare il legno, che favorl - soprattutto nel mondo
celtico - il ricavo di raffigurazioni a piani aggettanti.
Come per la scultura nel legno, o per la lavorazione della
pietra nelle culture preromane, vanno apprezzate le tec-
niche che provvedono alla preparazione per la lettura del-
l'« epidermide » del monumento, cioè della superficie visi-
bile e palpabile, e che si servono spesso dei medesimi pro-
cedimenti per la descrizione delle capigliature nei ritrat-
ti, delle code di cavallo, e per l'incisione delle lettere, co-
me per i disegni degli oggetti di carattere rituale e deco-
rativo.
Ogni iscrizione, anzi ogni monumento epigrafico, con-
serva le tracce delle sue fasi di produzione, che si riflet-
tono anche in apparenti incongruenze: per esempio, iscri-
zioni funerarie in greco che però presentano l'adprecatio
latina agli dei Mani, quindi erano state preparate per ri-
cevere testi in latino (come accade a Filippopoli-Plovdiv);
arule e cippi votivi che presentano nel pulvino un gene-
rico approccio testuale dea o deae, fornite quindi per di-

69
Epigrafia romana

versi bisogni ai santuari (fenomeno comune in Britan-


nia specie nelle regioni verso i valla); rispetto di forme
« classiche » subito smentite: è il caso del dittongo ae,
che nelle iscrizioni dell'età imperiale matura viene tra-
scritto come tale per esempio nelle prime linee di una
iscrizione ma poi volto, come tradizione fonetica, in e
(questo può accadere addirittura nel nome del medesi-
mo personaggio, tra gentilizio e cognomen); ancora, in
un medesimo testo è dato di leggere prima V alens e poi
Vales: insomma si tratta dell'accostamento di ésiti di
modelli diversi. In qualche caso può darsi persino che i
modelli siano voluti e consapevoli, come è per l'iscrizio-
ne sui rostri di Duilio restituita su un presunto originale
arcaico (ILLRP, 319), o per i falsi dittonghi disseminati
qua e là quando la pronuncia corrente aveva fatto del
tutto dimenticare il loro valore fonetico, o per la reda-
zione di alfabetari ormai di prammatica, del tutto soprav-
vissuti alle necessità e alle realtà degli usi fonetici e gra-
fici. Nell'infinita varietà dei casi, sembra di potere ricon-
durre tutti gli ésiti visibili nell'epidermide di un'iscrizio-
ne a quattro fasi principali, la prima delle quali si distin-
gue in due operazioni ben diverse con diversi protago-
nisti: l) a. quadratura, prima preparazione del pezzo,
con gradi diversi di lavorazione (bozze e lavorazione som-
maria, disegni di base, per esempio un cerchio per indica-
re il profilo di una corona); b. commissione del cliente e
scelta del pezzo preparato come a; 2) minuta dell'iscri-
ne, sua redazione in formule, sistemazione della struttu-
ra testuale; 3) impaginazione, cioè disegno preventivo
sulla pietra (ordinati o); 4) incisione. Nelle fasi della mi-
nuta e dell'impaginazione va tenuta presente l'esistenza
di prontuari e album, e per l'incisione va ricordato che di
solito essa viene affidata ad un lapicida, cioè a chi è mu-
nito di qualche cultura professionale: a differenza di

70
La produzione epigrafica

quanto accade per i graffiti, per le scritture a mano li-


bera, e in certo senso anche per le tavolette cerate e i
papiri (ed altre scritture su materiale morbido e deperi-
bile), dove diversa- anche se programmata- è la fun-
zione dello scriba che opera col calamo, quasi sempre da
solo, e senza grande fatica.
Diverso può essere il rapporto tra la seconda e la ter-
za fase, che in certi casi si identificano: poteva accadere
infatti che il minutante fosse già lo stesso impaginatore o
addirittura il lapicida, che quindi disegnasse e anche in-
cidesse direttamente sulla pietra il suo testo, acconcian-
dolo secondo lo spazio disponibile e secondo le consuetu-
dini della cultura epigrafica. Se la minuta esisteva, poteva
essere redatta in scrittura capitale comune o anche in mi-
nuscola corsiva, dallo stesso cliente o da uno scriba, en-
tro e fuori dell'officina: di fatto non disponiamo di nes-
suna minuta del genere, su materiale deperibile, e ne sup-
poniamo l'esistenza da diversi particolari dell'impagina-
zione ( ordinatio ), che tradiscono un lavoro preparatorio
e che si rivelano soprattutto nelle iscrizioni non finite,
dove cioè l'incisione non è stata condotta a termine se-
condo il disegno tracciato sulla pietra. Nel passaggio tra
le fasi e spesso tra gli operatori potevano accadere frain-
tendimenti che si traducevano in «errori»: questi, co-
me si vedrà, sono vere spie del grado di cultura degli ope-
ratori; nel passaggio dalla minuta all'impaginazione svol-
gevano un certo ruolo le abbreviazioni in uso, e quelle
che potevano essere inventate o adattate per restare nei
limiti dello specchio epigrafico, ma dall'impaginazione al-
l'incisione avveniva di nuovo che si uscisse fuori delle
cornici, si stringessero le lettere verso la fine di ciascuna
linea (nonostante che l'asse compositivo dei testi fosse
invece di solito un poco spostato verso sinistra, proprio
paventando che l'impaginazione apparisse sbilanciata ver-

71
Epigrafia romana

so il lato opposto), si inventassero nuovi nessi, si impic-


colissero le lettere magari inscrivendole in altre.
L'ordinatio non consisteva solamente nel disegno del-
le lettere, quasi sempre in scrittura capitale monumentale,
sulla superficie da incidere, ma anche nel tracciato pre-
ventivo di linee di guida orizzontali, anche a binario, sul-
le quali o entro le quali si sarebbero poi incise le lettere.
In numerosi casi tali linee venivano tracciate con una
punta sottile - e sono perciò ancora visibili - ma spes-
so si ricorreva al gesso o al carboncino; in casi rari si
scorge anche un vero reticolo di linee, orizzontali e ver-
ticali. Preparazioni del genere si notano del resto anche
in iscrizioni su altri materiali, sul bronzo e su altri me-
talli (si pensi alle tabelline votive in argento), sull'into-
naco per le iscrizioni dipinte, sulla terracotta. La rigatu-
ra del testo iscritto è un uso comune in molte scritture,
dall'egizia all'atzeca, dalle etÙture mesopotamiche all'itti-
ta, sia che si tratti di scrittura su pietra, su cilindro, su
tela, per giungere con i romani alle tavolette cerate e a
gran parte della documentazione papiracea: era un rudi-
mento dell'istruzione scolastica. Spesso, verso il fondo
della superficie da incidere le linee di guida perdono di
regolarità, si allargano a ventaglio, forse anche per la dif-
ficoltà di tracciarle; il testo in qualche caso supera il
numero di linee tracciate, in altri ne resta al di sotto:
in questo caso può darsi che l'iscrizione attenda di essere
completata col tempo, per esempio se si tratta di un ca-
talogo di persone cui si prevedono aggiunte oppure se per
qualche motivo l'iscrizione è rimasta in sospeso, magari
con un et (d. CIL, V, 5035). Può darsi che alcuni carti-
gli (per esempio apposti a spoglie nemiche consacrate
nei templi) rappresentassero infine dei bozzetti di impa-
ginazione di un'iscrizione da incidere poi sul marmo o

72
La produzione epigrafica

nel bronzo, e che alcune iscrizioni ripetute (di cui si di-


rà) siano prove di ordinatio e di incisione.
Per quanto concerne il disegno delle lettere, questo
è spesso percettibile sulla pietra se si tratta di lettere ro-
tonde, ricavate cioè da un cerchio di cui si scorge la trac-
cia assieme al foro d'innesto del compasso: cos} per la
O, la C, la G, talvolta la D, la B, la P, la S; in altri casi
le lettere sono ottenute o con l'uso di stampi e modelli
specifici, o con la giustapposizione e l'accostamento di sin-
goli tratti, o con l'impiego della squadra e del compasso.
Si hanno casi di disegni di lettere ordinati sulla pietra

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Schema di costruzione delle lettere in un'iscrizione roma-
na: ordinatio (linee punteggiate) e incisione.

con la tecnica della martellinatura (una serie di incavi


appena accennati), cui non è estraneo l'influsso delle
iscrizioni a punteggio su armi e su oggetti bronzei ed
argentei: si vedano in particolare esempi dai luoghi ro-
mani lungo i valla britannici. Del solco d'incisione, pas-
sato dal tipo canaliforme, « a cordone », a quello a se-
zione triangolare o svasata, si è detto; la crisi della scrit-
tura epigrafica nella tarda antichità porterà all'impiego
misto di scalpelli e di punte in solchi abnormi.
Nell'analisi della produzione epigrafica ha quindi un
alto ruolo la valutazione degli errori, quelli che nel lin-
guaggio degli studiosi prendono il nome di vitia lapida-
riorum: si deve distinguere tra l'errore che è autentica

73
Epigrafia romana

spia del contrasto di programmi e di culture, anche co-


me fraintendimento della minuta, da quel che corrente-
mente viene definito tale ma che altro non è che la do-
cumentazione della lingua reale e della scrittura corrente
- e che rivela anch'esso l'affioramento di un tessuto
culturale diverso - e infine dal vero e proprio lapsus,
dimenticanza o scambio di lettere, per esempio, che por-
tavano frequentemente ad emendamenti e a correzioni
(va da sé che ogni valutazione dell'errore si accompagna
alla considerazione dei pentimenti visibili), frutto spesso
del controllo visivo del pubblico (ma si sa che in ogni
tempo la gente segue una lettura psicologica ed è con-
dotta a non percepire errori anche grossolani) e talvolta
-come si è detto- corretti col colore.
Spetta a Jean Mallon, ed a molti studiosi con lui, il
merito di avere demolito il mito dell'errore « ortografi-
co» o <( fonetico», che anche quando si riveste della più
schietta banalità documenta comunque il grado di cul-
tura, la qualità stessa della cultura e della preparazione
professionale del lapicida e degli altri operatori che con-
corrono alla genesi di un'iscrizione. I fraintendimenti in-
terpretativi delle « pierres fautives » sono gli indizi irri-
petibili della cultura di ogni protagonista di tale genesi;
il celebre aralibus di un'iscrizione africana portò in in-
ganno persino il Mommsen e il Dessau, inducendoli a
supporre l'esistenza di altrimenti ignote Aralia, quando
si trattava del grossolano fraintendimento della minuta
che recava un aram libes, il passo falso di un lapicida che
non capiva nè si curò di capire il latino e la scrittura co-
mune. In ogni caso la valutazione degli errori e delle
correzioni aiuta a comprendere il rapporto tra lingua e
scrittura correnti e i modelli epigrafici disponibili, e la
influenza che a loro volta le iscrizioni porteranno nel-
l'evoluzione linguistica e grafica. Entro certi limiti poi

74
La produzione epigrafica

si applicano alla genesi di un'iscrizione, che è il prodot-


to del confronto tra più modelli (la commissione del clien-
te, la minuta, l'impaginazione, l'incisione), alcuni tra i
criteri che governano l'edizione dei manoscritti: in que-
sti solitamente l'errore si produce, poi si ripete e si ag-
grava, di fraintendimento in fraintendimento, nelle copie
successive e di amanuense in amanuense, e spetta solo al-
l'editore il ripristino dell'originale. Questo succede anche
per le iscrizioni a noi tradite solo da manoscritti; però
le iscrizioni possono anche rivelare la storia della loro
produzione prima che il testo si fissasse per sempre sul-
la pietra (e nei pentimenti annotati sulla pietra).
Si può tracciare una fenomenologia, del tutto incom-
pleta, degli « errori » epigrafici e delle relative correzio-
ni (talvolta espresse dall'applicazione di tasselli sull'ori-
ginale opportunamente incavato, oppure incise su parti
erase, o aggiustate sul visibile), che già è stata introdotta
trattando della trasmissione delle iscrizioni e delle loro
vicende. Si potrebbero contemplare i seguenti casi: a) er-
rori e correzioni di semplici lettere, per es. l) per asso-
nanza con lettere vicine; 2) per analfabetismo; 3) per
fraintendimento di lettere in capitale comune (soprat-
tutto la E e la F), o per incomprensione di lettere trac-
ciate dall'impaginatore e confuse spesso con le linee di
guida (l, L, T); 4) lettere incise capovolte, per scarsa fa-
migliarità con i modelli; b) scambio di lettere: per es.
posiut per posuit, anche per riflesso del comune posit;
c) restituzione di forme ritenute letterariamente più cor-
rette: si è già detto del dittongo ae quando più non era
pronunciato, si potrebbe aggiungere l'arcaismo del geni-
tivo ai; d) spazi vuoti, per es. l) per incomprensione
della minuta; 2) per attendere dati, ad esempio il nume-
ro esatto degli anni di vita, quando invece non si tratti
di iscrizioni che presuppongono, come si è già visto, una

75
Epigrafia romana

continuazione o un completamento nel tempo; e) lettere


o sillabe ripetute; /) lettere o parti dimenticate, poi tal-
volta inserite; ma anche inserimenti successivi, specie tra
linea e linea, o aggiunte (se ne è già detto parlando del-
l'evoluzione delle iscrizioni); g) parti incise in luogo di
altre erase, ma per motivi diversi dall'emendamento; h)
correzioni che hanno l'intento di conferire un migliore
decoro all'impaginazione o di consentire una migliore
comprensione del testo; i) fraintendimenti semantici; ec-
cetera.
Le iscrizioni ripetute - si debbano all'esigenza di ti-
scrivere testi <( scorretti » e quindi non accettati, o a un
autentico bisogno di apporre lo stesso testo in più luo-
ghi, o a esercitazioni d'officina ( <( bozzetti » ), o altro - ,
spesso anche opistografe, assieme ai <( non finiti » - che
si tratti di blocchi in fase di preparazione, recuperati per
esempio dal naufragio di naves lapidariae, o di prodotti
accumulati in officina a disposizione dei clienti, o di iscri-
zioni abbandonate per motivi diversi senza terminare la
incisione e talvolta senza completare neppure l'ordinatio
- costituiscono infine altrettante specole per osservare
lo svolgimento dei processi di produzione.
Considerazioni del genere sono state compiute anche
per quanto concerne le iscrizioni su bronzo. Qualche pa-
rola meritano ancora le iscrizioni musive: in esse i testi
sono composti entro cartigli o fasce che comportano un
reticolo ortostatico delle tessere che vi sono comprese,
oppure si inseriscono nel disegno generale della raffigu-
razione, condizionando comunque la collocazione delle
tessere aderenti ai tratti delle lettere (aiutando con ciò
la restituzione di passi mutili); qualche volta, special-
mente nei tempi più tardi, si rendono evidenti linee di
guida con tessere di diverso colore; gli scribi sono natu-
ralmente gli stessi mosaicisti e fanno capo alle officine

76
La produzione epigrafica

musive, che disponevano di maestranze itineranti: il la-


voro infatti si compiva domi e non in bottega; nello stes-
so modo si provvedeva a restauri e sarciture (notevole il
caso dell'iscrizione duovirale sul pavimento del capito-
lium di Luni, in tessere bianche con completamento di
rappezzo in tessere nere).
Nella valutazione diacronica ed areale della produzio-
ne epigrafica crediamo si possano individuare « tipi »,
cioè ripetizioni e produzioni costanti di motivi, per cer-
ti periodi e in certe aree: ciò riguarda la tettonica del mo-
numento (o supporto) e in particolare l'associazione di
diversi apparati iconografici (i cosiddetti tipi monumen-
tali, che spesso qualificano un'officina come l'elemento
più evidente della sua produzione); di essi si valuta la
espansione (per es. il cosiddetto cippo a bauletto, la
« cupa » iberica, distribuita in molte aree del mondo an-
tico ma principalmente in Africa e nell'Asia minore),
l'ascendenza cronologica e la loro prosecuzione come mo-
tivo strutturale e semantico (per es. le stele a disco, ben
documentate in certe culture protostoriche, e prodotte
sino ad oggi con diverse varianti e funzioni nell'area ba-
sca); si individuano inoltre « tipi » di formule, di nessi,
di impaginazioni, di scrittura, per i quali bisogna por-
gere la migliore attenzione alla produzione cancelleresca;
ovviamente anche gli apparati iconografici, nei loro ésiti
decorativi e simbolici, possono essere classificati per « ti-
pi », e altrettanto infine può dirsi di soluzioni grafiche
date a situazioni fonetiche e a realtà linguistiche. In que-
sta complessa grammatica trasformazionale dei « tipi »
che decifrano il linguaggio epigrafico, va preso in consi-
derazione il potente eclettismo dei romani, che li portò
a combinazioni, compresenze, sovrapposizioni e innesti
diversi; va valutata la ricchezza dei movimenti e degli
apporti di genti di diverse culture (già si è accennato al-

77
Epigrafia romana

le esportazioni coloniarie e di veterani, che si combinano


spesso con trapianti cultuali, e che si riconoscono proprio
per l'affiorare di elementi culturali comuni con la madre-
patria), che diventa a sua volta matrice di soluzioni eclet-
tiche (basti pensare alla produzione epigrafica in aree co-
perte daH'occupazione di auxilia, di reparti ausiliari del-
le provenienze più diverse); va segnalata infine l'inciden-
za di officine indigene preromane, come fattore di tena-
ce conservazione, specialmente attorno a santuari rurali
o in zone montagnose (un esempio: le officine pire-
naiche).
Quando diversi «tipi» (monumento, iconografie,
composizione, scrittura, ecc.) si congiungono in un lin-
guaggio che produce modelli costanti di iscrizioni, dando
vita a tradizioni artigianali e a preparazioni professiona-
li sostanzialmente unitarie - tali quindi da consentire
sia la produzione « in serie » sia la selezione qualitativa
- si riconoscono i contorni e le caratteristiche di una
officina epigrafica (o di un'officina lapidaria che prov-
vede anche alle iscrizioni): un'officina può comprendere
più botteghe, cioè più luoghi dove il semifinito viene
completato dopo la commissione del cliente (e dove ope-
rano più « mani » ), possono esistere più officine gravi-
tanti attorno alla stessa città (quando si tratti di una
metropoli, un'officina può produrre pressoché esclusiva-
mente in funzione di ampie aree cemeteriali, o di luoghi
monumentali di larga frequentazione); naturalmente più
cospicuo è il consumo, più abbondante è la produzione
stereotipa, meno perspicuo diviene l'apporto degli ope-
ratori meglio qualificati; inoltre si segnalano ésiti con-
sonanti, sul piano culturale, tra officine di arte « ple-
bea >> e officine epigrafiche di periferia o di produzione
artigianale corrente.
Quando in un'area si riconoscano la diffusione con-

78
La produzione epigrafica

testuale di più « tipi », si ravvisino operanti più officine,


si registri l'attività eli maestranze itineranti (già si è det-
to delle iscrizioni musive, si pensi a iscrizioni eulogiche
frutto di una medesima programmazione politica), si re-
gistrino quindi sicuri prestiti professionali da diverse bot-
teghe, si delinei insomma una cultura epigrafica con spic-
cati tratti comuni, provocati anche dall'affiorare di sub-
strati e dal convergere di apporti, siamo in presenza di
un <(orizzonte» epigrafico. Un atlante della produzione
epigrafica, che tenesse conto dei tipi, dei linguaggi, delle
officine e possibilmente delle botteghe, definirebbe car-
tograficamente un orizzonte epigrafico con un considere-
vole sviluppo di isogramme spesso tra loro intersecanti.

Amplissima è la dottrina sulle iscrizioni graffite o verni-


ciate, cioè sui <( murales », per intendeme lo spirito: conte-
stativo soprattutto (di solito queste scritte sono vergate di
notte) o di notazione episodica e pratica; in generale, si ve-
da G. BATINI, L'Italia sui muri, Firenze 1968; C. GARELLI,
Il linguaggio murale, Milano 1978; bibliografia del genere è
fiorita in ogni paese soprattutto a partire dal 1968. Sulle
scritture parietali romane, presenti pressoché ovunque - si
pensi a Pompei, al Palatino, al Magdalensberg, all'acquedot-
to del Reno a Bologna - , vd. tra l'altro R. MARICHAL, Le-
cture, publication et interpretation des graffiti, « Rev. Et.
Lat.», 45 (1967), pp. 147-163, e poi H. SouN, L'interpreta-
zione delle iscrizioni parietali, Faenza 1970, entrambi sulla
pubblicazione delle iscrizioni del Paedagogium; per i graf-
fiti pompeiani, da ultimo, M. GIGANTE, Civiltà delle forme
letterarie nell'antica Pompei, Napoli 1979, ed ivi bibl.
Osservazioni interessanti sulla tecnica e la genesi delle
iscrizioni su tavole bronzee si leggono in M. W. FREDERIKSEN,
<( Journ. Rom. St.», LV (1965), pp. 183-198.

Per quanto concerne le iscrizioni su laterizio, occorre di-


stinguere i testi incisi sull'argilla fresca da quelli graffiti su
materiale già cotto o naturalmente essiccato: nel primo caso

79
Epigrafia romana

le lettere vengono tracciate anche con un dito o con un ba-


stoncino, mentre uno stilo o comunque una punta dura è ne-
cessaria nel secondo caso; inoltre, i testi scritti a fresco in li-
nea di massima non paiono destinati ad una pubblica espo-
sizione: si tratta infatti di alfabetari, o di componimenti poe-
tici (come il laterizio da Italica che riporta i primi versi del-
l'Eneide, CIL, II, 4967, 31), o di lazzi di figuli, di eserci-
tazioni di scrittura, di registrazioni contabili; i testi graffiti
invece spesso costituiscono degli autentici segnacoli funerari
(come il mattone da Porolissum, nel quale compaiono anche
indicazioni biometriche, CIL, III, 7639). Nelle iscrizioni a
fresco compare solitamente la scrittura corsiva, anche mi-
nuscola, mentre nei graffiti prevale la scrittura capitale, però
con forme comuni o corsive; singolare è l'impiego delle due
scritture nel celebre laterizio di Drobeta (IDR, Il, 107), nel
museo di Turnu Severin, che attesta l'esistenza di milites
scribae (in questo caso, un magister con responsabilità su
sessanta commilitoni): la scrittura corsiva minuscola compa-
re nelle ultime linee, assieme alla firma dello scriptor (l'équi-
pe operava in figlinis). L'uso della terracotta per le iscrizio-
ni sepolcrali si accentua a partire dal III secolo, in palese
connessione alla crisi di disponibilità della pietra ed alle dif-
ficoltà del trasporto. Elenchi, pur parziali, di iscrizioni su
terracotta - a prescindere, s'intende, dagli oggetti dell'in-
strumentum - si trovano in J. MALLON, Paléographie ro-
maine, Madrid 1952, pp. 63-65; A. DoNATI, Atti Conv. stu-
di ceramici per il centenario della nascita di G. Ballardini,
Faenza 1980, pp. 33-38. Sull'organizzazione delle figuline,
vd. T. HELEN, Organization o/ roman brick production in
the first and second centuries A.D., Helsinki 1975.
Su tutti i problemi della genesi e della produzione delle
iscrizioni romane, dalla cava all'officina, vd. SUSINI, Il lapi-
cida rom. cit., e Officine epigrafiche: problemi di storia del
lavoro e della cultura, CongrEp, VII, Costanza, Bucuresti-
Paris 1979, pp. 45-62, ed ivi bibl.; per gli aspetti più pro-
priamente tecnici, vd. J. S. e A. E. GoRDON, Contributions
to the palaeography of latin inscriptions, Univ. Calif. Press

80
La produzione epigrafica

1957. Sulle cave, sulle qualità delle pietre, sulle tecniche di


estrazione e di quadratura, sugli aspetti amministrativi e so-
ciali, della copiosa bibl. disponibile si ricorda: H. BLUMNER,
Technologie und Terminologie der Gewerbe und Kunste bei
Griechen und Romern, III, Leipzig 1884, pp. 1-84 e 187-
226; M. RosTOWZEW, « Philologus », Suppl. IX (1904), su
appalti, monopoli e organizzazione delle cave; Cn. DuBOIS,
Etude sur l'administration et l'exploitation des carri~res.
Marbres, porphyre, granit etc. dans le monde romain, Paris
1908 (opera tuttora fondamentale); FIEHN, Steinbruch, Rea-
lene. (1929); F. Rooouco, Le pietre delle città d'Italia, Fi-
renze 1953 (con elenco di cave); R. J. FoRBES, Studies in
ancient technology, VII, Leiden 1963, pp. 162-191; P. NoEL,
Technologie de la pierre de taille, Paris 1965; J. B. WARD
PERKINS, Quarries and stoneworking in the early middle
ages: the heritage of the ancient world, Settim. di studio del
Centro ital. sull'alto Medioevo, XVIII, Spoleto 1971, pp.
525-544; Quarrying in antiquity: technology, tradition and
social change, « Proc. Brit. Acad. », 57 (1971), pp. 137-158
(del Ward Perkins sono molte altre ricerche, anche sui mar-
mi africani); R. GNOLI, Marmora romana, Roma 1971 (d.
la ree. di P. PENSABENE, << Dial. arch. », VI, 1972, pp. 113-
125; di quest'ultimo un elenco di cave, ibid., pp. 357-362);
P. VARÈNE, Sur la taille de la pierre antique médiévale et
moderne, Dijon 1974 (a Digione opera un attivo centro di
ricerche sulla tecnica di estrazione e lavorazione della pie-
tra); P. PENSABENE, Sull'impiego del marmo di Cap de Gar-
de. Condizioni giuridiche e significato economico delle cave
in età imperiale, «St. mise. », 22 (Studi in mem. di G. Be-
catti), Roma 1976, pp. 179-190; G. MoNTHEL-R. PINETTE,
La carri~re gallo-romaine de Saint-Boil, « Rev. arch. de
l'Est», 1977, pp. 37-61; SusiNI, Lavoro di cava a Capo Te-
sta, « Minerama )>, II, 4 (1977), pp. 27-29; L. e T. MANNo-
NI, Il marmo. Materia e cultura, Genova 1978; E. DoLCI,
Carrara cave antiche, Carrara 1980 (analisi di alto interesse
per lo studio delle « tagliate » romane, gli strumenti, le tec-
niche estrattive e di trasporto, la documentazione archeolo-

81
Epigrafia romana

gica, gli aspetti culturali - dediche votive, toponimi - , la


classificazione dei marmi); R. BEDON, Les carri~res et le car-
riers de la Gaule romaine, Diss. Tours 1981 (2 voll.); un
esempio di analisi litologica su monumenti epigrafici, ad ope-
ra di G. Fabre, si legge nell'edizione della Epigrafia romana
de Terrassa, Terrassa 1981.
Una ricostruzione in modello di una cava romana, di gran-
de interesse per la somma degli elementi culturali, si trova
nel museo di Speyer (cava del Kriemhildenstuhl presso Bad
Durkheim).
Sui naufragi, vd. P. PENSABENE, << Dial. arch. »,VI (1972),
pp. 317-362.
Sui marchi di cava, L. M. BRUZZA, « Ano. Inst. », 1870,
pp. 106-204; inoltre CH. DUBors, Etude, cit., e - per le
cave lunensi - E. DoLer, Carrara, cit., elenco e disegni alle
pp. 59-61. Sui segni d'opera, vd. bibl. sotto, cap. I, 10.
Sulla tecnica dell'incisione tracciata a solco punteggiato
(martellinatura), vd. l'analisi di tre stele asturiane di età tar-
da e di produzione popolare, di J. M. DE NAVASCUÉS, « Rev.
Univ. Complutense », XXI, 83 (1972), pp. 149-185; cf. an-
che la tecnica impiegata in aree periferiche del mondo celti-
co, e poi nelle iscrizioni Ogam. Per la formazione delle let-
tere, oltre ai testi di tecnologia cit., vd. SusrNI, Scuola e
tecnica in un graffito ratiariense. Ratiariensia, l (1980), pp.
129-131.
Gli operatori della produzione lapidaria ed epigrafica so-
no indagati da I. CALABI LrMENTANI, in Studi sulla società ro-
mana. Il lavoro artistico, Milano-Varese 1958, ed in numero-
si altri scritti, nonché in voci dell'Enc. dell'arte antica; vd.
poi H. v. PETRIKOVITS, Die Spezialisierung des romischen
Handwerks, II, ZPE, 43 (1981), pp. 285-306; del medesi-
mo, vd. anche « Abhandl. Akad. Wissensch. Gottingen, Phil.-
hist. Kl. », 1982. Sugli operatori del commercio delle pietre,
vd. o. SCHLIPPSCHUH, Die Handler im romischen Kaiser-
reich, usw., Amsterdam 1974.
Sui prezzi dei monumenti, sui costi dei funerali, vd.
S. MROZEK, Prix et rémunération dans l'Occident romain (31

82
La produzione epigrafica

av.n.è.-250 de n.è.), Gdansk 1975, ed ivi bibl.; P. PENSABE-


NE, « Bull. Comm. arch. Roma», LXXXVI (1978-79), pp. 17-
38 (anche sulla nomenclatura monumentale).
Il problema dell'esistenza di modelli o exempla di formu-
lari utili alla composizione dei testi epigrafici fu già affron-
tato da R. CAGNAT, « Rev. philol. », XIII (1889), pp. 51-65.
Il documento basilare per la conoscenza delle diverse opera-
zioni di produzione epigrafica è la nota targa di Palermo,
un'insegna di bottega che indica il luogo dove le iscrizioni
ordinantur et sculpuntur (bilingue: IG, XIV, 297; CIL, X,
7296; discussione e dottrina in SusiNI, Il lapicida rom., cit.,
pp. 18-19, e in H. HAusLE, Das Denkmal, cit., pp. 23-24;
questi lavori andranno tenuti presenti in ciascuna delle que-
stioni che seguono).
Esempi di iscrizioni che rivelino patentemente le tracce
delle diverse fasi della loro produzione (in particolare, vesti-
gia dell'ordinatio, «errori>> ed emendamenti, non finiti, ri-
petuti) sono tanto numerosi che se ne possono utilmente ci-
tare solo alcuni, tra quelli che hanno fatto oggetto di atten-
zione dalla dottrina: basta girare per i lapidari ed i campi
di scavo per scoprirne. Tra la bibliografia ormai numerosa,
cit.: J. MALLON, Pierres fautives, « Libyca », II (1954), pp.
187-199; III (1955), pp. 307-327 e 435-459 (ibid., anche un
non finito, pp. 155-162); respinge l'enunciazione del Mallon
L. RoBERT, << Comptes-rendus Acad. lnscr. », 1955, pp. 195-
222; ancora il Mallon definisce gli << scriptoria >> come le sedi
dove si svolgono quegli eventi grafici che producono le iscri-
zioni, in « Scriptorium », XI, 2 (1957), pp. 177-194 (ivi, alle
pp. 185-190, l'emblematico aralibus, ILAlg, II, 433); nu-
merose opere del Mallon, e poi di J. Marcillet-Jaubert af.
frontano ancora il tema della « minuta», della sua struttura
e della sua scrittura (si veda in merito anche S. PANCIERA,
« Rend. Linc., Se. mor. »,s. VIII, XXII, 1967, pp. 100-108);
un questionario esemplificativo è infine stilato ancora dal
MALLON, « Scriptorium »,XXX (1976), pp. 249-251; una mes-
se organica di osservazioni nell'ambito di un'officina epigra-
fica è infine recata da A. DoNATI, nel cit. vol. Tecnica e cul-

83
Epigrafia romana

tura, ecc.; aggiungi anche L. VIDMAN, « Listy Filologické »,


102 (1979), pp. 153-156.
Sugli « errori » vale la pena di ricordare ancora due lavo-
ri pur tradizionali ma stimolanti: R. G. KENT, The textuale
criticism of inscriptions, « Language Monographs », 2 (1926);
P. LEBEL, Latin vulgaire et fautes de graveurs dans les in-
scriptions gallo-romaines, « Rev. arch. de l'Est», 1965, pp.
115-120. I metodi seguiti nella decifrazione dei segni delle
fasi, quindi delle culture, nelle iscrizioni partecipano in cer-
ta misura dei procedimenti indiziati di verifica dei modelli,
recentemente delucidati sul piano logico e storico da C. GINZ-
BURG, Crisi della ragione, Torino 1979, pp. 59-106, e da al-
tri in « Quad. di storia», 14 (1981), pp. 159-187.
Qualche altro esempio di << errori » - un'antologia del
genere, per tutte le culture epigrafiche sino ai prodotti di oggi,
comporrebbe molti volumi - utili alla decifrazione delle fa-
si, dei fraintendimenti e delle esperienze culturali degli ope-
ratori: il caso del ripetuto impiego di un modello rovesciato
di lettera (la N, come di solito), in CIL, V, 4069, ora accre-
sciuta da un nuovo frammento (A. M. TAMASSIA, Arch. e
storia a Milano, ecc., Como 1980, pp. 150-152, fig. 7); la
base ottavianea a Luni, CIL, XI, 1330, ove il solco orizzonta-
le lasciato dall'ordinator sopra il numero V, che computa le
acclamazioni imperatorie, è stato scambiato dallapicida come
parte di una lettera: ne è risultato cosl un triangolo; il sarco-
fago di Q. Valerius Heliodorus, nel museo di Ventimiglia,
ove si legge ex voluptate sua, palese fraintendimento seman-
tico in luogo di ex voluntate sua (« Riv. Ing. In temei. », IV,
1938, p. 184).
Gli ordinatores o i marmorarii hanno lasciato qualche
volta graffiti, sulle superfici poi incise, gli appunti relativi al
loro lavoro, cioè al programma di incisione: è questo il caso
spettacolare di una lastra da Oningi (J. M. LuzoN, « Arch.
Esp. Arqueol. », 41, 1968, pp. 150-155), dove al termine di
ogni linea risulta graffito il computo delle lettere del testo
prima che si procedesse alla scelta delle abbreviazioni neces-
sarie per contenere la linea nello spazio disponibile; il minu-

84
La produzione epigrafica

tante - poiché cosl si può definire - ha quindi provvedu-


to a dividere il testo in linee, procedendo poi egli stesso o la-
sciando ad altro operatore di tracciare le lettere, con le ne-
cessarie abbreviazioni (ma qualcuna era già stata contemplata
nel computo); l'incisore non pare che abbia capito del tutto
il programma che gli era stato cosl ordinato, dal momento
che ha seminato interpunzioni del tutto fuori luogo. Appun-
ti, esercitazioni e sgorbi sono poi raccolti da l. Dr STEFANO
MANZELLA, « Rend. Pont. Ace. Arch. », 1977-78, pp. 129-134;
« Epigraphica », XLII (1980), pp. 25-30; ibid., XLIII (1981),
pp. 39-44.
Sui rapporti tra la committenza e gli operatori, vd. anche
le considerazioni di F. M. De Robertis su CIL, VI, 266 (lis
fullonum), in Sein und Werden im Recht, Festschr. Liibtow,
Berlin 1970, pp. 247-254.
Iscrizioni «aperte», cioè programmate per ricevere a
tempo debito nuove parti o aggiunte e quindi suscettibili di
fornire dati utili all'apprezzamento dell'evoluzione dei pro-
cessi produttivi, sono numerose tra le sepolcrali, lasciate in
sospeso con un et (vd. il caso dell'iscr. nel museo di Chester,
RIB, 544, ove il testo si conclude con s(itus) e(st) cui precede
uno spazio per l'eventuale aggiunta di h(ict come imporreb-
be la formula, quando il corpo del morto, scomparso in un
naufragio, venisse recuperato), in liste di vincitori di ludi (in
particolare nel mondo ellenistico), in cataloghi di collegi (ad
es., CIL, XIV, 246, da Ostia, iniziato nel 140 e proseguito
sino al 172 d.C.), in albi municipali (ad es., A. CHASTAGNOL,
L'album municipal de Timgad, Bonn 1978).
Sulle iscrizioni ripetute, sulle loro molteplici e diverse
cause, vd. S. MARINER BrGORRA, CongrEp, III, Roma, Roma
1959, pp. 207-211; S. PANCIERA, « Riv. arch. crist. », XXXV
(1959), pp. 81-86; E. PERUZZI, «La Colombaria », XXXI
(1966), pp. 113-162, su ILLRP, 192 add.; SusiNI, «Strenna
stor. bolognese», XX (1970), pp. 289-296, vd. le tavv. L-LI in
questo volume; L. BIVONA, Iscrizioni latine lapidarie del mu-
seo di Palermo, Palermo 1970, 150-151; A. DoNATI, «Il Car-
robbio », II (1976), pp. 139-141; un accurato confronto su

85
Epigrafia romana

quattro esemplari destinati allo stesso complesso monumen-


tale si legge in R. REBUPPAT, Les inscriptions des portes du
camp de Bu Njem, <( Lybia antiqua », IX-X (1972-73), pp.
99-100. Cf. infine, tra i numerosi altri esempi, ILAlg, II,
2626; Sid. Apoll., Epist., III, 12, 5.
Sulla produzione delle iscrizioni musive - che non co-
prono solo superfici pavimentati ma anche pareti, nell'inter-
no di monumenti funerari e di abitazioni- vd. SusiNI, <( Epi-
graphica », XXXI (1969), pp. 65-72 (su CIL, P, 765). Per cer-
ti aspetti del disegno le iscrizioni musive ripetono tecniche
proprie dell'incisione a tratti punteggiati, che è tipica di mol-
ti prodotti metallici - specie in argento - e, come si è vi-
sto, si registra anche sulla pietra, almeno come prima fase di
elaborazione delle lettere.
Amplissima è la bibl. sull'individuazione di <( tipi », s'in-
tendano schemi monumentali, abitudini formulari, usi grafi-
ci: si dovr~ giungere alla preparazione di appositi atlanti dia-
cronici. In qualche caso la caratterizzazione di uno o più <( ti-
pi » entro un'area sufficientemente raccolta aiuta alla defini-
zione degli <( orizzonti » epigrafici se non infine delle offici-
ne: si pensi ad es. al nesso us, descritto dal Mallon nelle
iscrizioni di un'area della Pannonia (L'histoire et ses métho-
des, Paris 1961, pp. 570-571), o ai cippi funerari di Taranto,
esemplarmente indagati da P. Pensabene (<(Rom. Mitt. », 82,
1975, pp. 263-297), o alla raffigurazione dell'ascia (vd. sot-
to, cap. II, 1), come ricerche realmente utili alla compren-
sione dei linguaggi officinali; naturalmente va tenuto conto
della possibilit~ che - soprattutto nelle et~ più tarde - la
elaborazione del prodotto epigrafico avvenisse in sedi diver-
se, mediante maestranze itineranti o comunque attraverso la
importazione di semi-finiti da orizzonti anche lontani sino al-
la casa del cliente, dove il monumento riceveva ancora al-
cune connotazioni fondamentali, e di solito anche l'iscrizione.
Lapicidi itineranti provvedevano inoltre, in luoghi diversi, al-
l'incisione di testi di eulogia politica.
Infine va posta attenzione alla sopravvivenza di certi <(ti-
pi », per es. di schemi monumentali, sino ai tempi moderni,

86
La produzione epigrafica

come spia di un uso encorio: si veda il caso dei cippi edico-


lati o prismatici a più divinità, comuni nell'area renana e da-
nubiana, tenacemente sopravvissuti nello schema come edi-
cole-segnacolo di destinazione religiosa soprattutto in molte
zone alpine (Carinzia, Stiria, Slovenia), ma anche altrove.
Sul rapporto tra produzione e ideologia, vd. i numerosi
interventi nel dibattito La parola e il marmo, « Dial. arch. »,
n.s., 3 (1981), 2, pp. 1-67 e 94-108.
Studi per l'individuazione di linguaggi e di moduli dd-
la produzione epigrafica, volti a individuare « orizzonti » e
officine sono numerosi; si citano: SusiNI, Officine epigrafi-
che e ceti sociali. Contributo alla storia del Salento romano,
Urbania 1962; L'officina lapidaria di Urbino, St. in on. di
L. Banti, Roma 1965, pp. 309-318; A. DoNATI, Tecnica e
cultura dell'officina epigrafica brundisina, Faenza 1969; D.
JuuA, Etude épigraphique et iconographique des st~les fu-
néraires de Vigo, Heidelberg 1971; Z. KADAF., Die romischen
Steindenkmiiler von Savaria, Budapest 1971, pp. 46-78; ri-
cerche del genere hanno preso particolare sviluppo di recen-
te negli studi spagnoli ed in quelli rumeni; su un'area assai
ampia, P. PETROVIC, Paléographie des inscriptions romaines
en Mésie Supérieure, Beograd 1975.
Sul citato tipo monumentale della «cupa» - una mera
esemplificazione - vd. J.-N. BoNNEVILLE, <<Mel. de la Casa
de Velazquez », XVII (1981), pp. 5-38.
Un'analisi approfondita, prettamente archeologica, di una
officina del suburbio romano si legge in D. MANACORDA, Una
officina lapidaria sulla via Appia, Roma 1979 (ree. di SusiNI,
« Epigraphica », XLII, 1980, pp. 248-251).
Ricostruzioni di botteghe-officine si ammirano nel museo
di Bonn, e al parco dell'archéodr8me di Beaune.

87
6. SCRITTURA, LINGUA, STRUTTURA.

La conoscenza della scrittura latina dei tempi più an-


tichi si deve esclusivamente all'epigrafia, cioè alle iscri-
zioni arcaiche (un breve elenco, sopra al cap. I, 2): da
queste otteniamo i dati per conoscere la formazione del-
l'alfabeto latino, che oggi riteniamo di matrice euboica
con profondi interventi e efficaci mediazioni di alcuni
centri scrittorii dell'Etruria. La storia dell'evoluzione del-
l'alfabeto latino conosce anche l'acquisizione - docu-
mentata dalle iscrizioni e anche dalle monete - di al-
cune lettere, come la G e la Z, la X e la Y (per non
parlare dell'effimera comparsa di alcune nuove lettere al
tempo di Claudio, composte nel tentativo di rappresen-
tare con nuovi segni fonemi diversi); com'è ovvio, la
scrittura epigrafica si modifica nei diversi tempi e può
costituire, unitamente ad ogni altro elemento, un coef-
ficiente per datare le iscrizioni.
Per un lungo periodo quindi la scrittura latina è co-
nosciuta solo da iscrizioni, dove i caratteri, cioè le lette-
re, manifestano una potente tendenza all'ortostatia, cioè
alla geometrizzazione o quadratura delle forme; la cosid-
detta scrittura epigrafica o monumentale rivela però in
ogni suo momento elementi di raccordo con la scrittura
comune (o corsiva): questa infatti costitul senza dubbio
un importante veicolo di alfabetizzazione, attraverso i
graffiti e le iscrizioni dipinte - per esempio - su ostra-

88
Scrittura, lingua, struttura

ka e su pocola (è il caso di Rimini, dove questa produzio-


ne precede di molto la produzione lapidaria e monumen,
tale, e scompare o si riduce invece forse quando si diffon-
de l'importazione e l'uso della scrittura su papiro o su
altro materiale leggero), influenzò anzi potentemente la
scrittura monumentale - con significative resistenze là
dove, come in certe regioni africane, perdurò più a lungo
il bisogno di erigere monumenti nelle città e nelle necro-
poli - sia nel sistema grafico in generale e sia nelle sin-
gole lettere, dove la formazione delle apicature si spiega
sl con l'influenza delle iscrizioni greche, ma anche con
l'esempio delle lettere tracciate col pennello che lascia alle
estremità significative sbavature a spatola.
Proprio perché la scrittura latina si diffuse in tutto
il mondo romano, accompagnando il processo di supre-
mazia o di conoscenza della lingua, può accadere che in
diversi paesi le scritture locali o la scrittura greca abbia-
no lasciato traccia della loro influenza, ma la scrittura epi-
grafica romana si presenta ovunque come frutto di una
matura koiné, semmai con caratteristiche proprie nei di-
versi orizzonti epigrafici. D'altro canto ogni scrittura al-
fabetica non è un puro e semplice metodo di trascrizione
fonetica, ma un sistema complesso di grafi o grafemi, di
caratteri o lettere, volto a risolvere i problemi della tra-
scrizione fonematica di una lingua negli usi canonici o
volgari, mediante interpretazioni diverse, con l'attarda-
mento di modelli grafici e la compresenza di più forme
grafiche per i medesimi scopi (basti pensare ai modi co-
me si traduce epigraficamente il suono della x). Quanto
alla scrittura epigrafica - che in molte aree è docume~
to insostituibile per la conoscenza della lingua, di forme
lessicali, di soluzioni testuali - essa risponde, coinvol-
gendo l'uso della lingua e la struttura generale dell'iscri-
zione, ad alcune esigenze che cosl si possono enunciare:

89
Epigrafia romana

a) esprimere entro la superficie a disposizione quanto si


vuole, evidentemente con uno sforzo minimo e congruo,
quindi traducendo quanto è possibile in sigle, abbrevia-
zioni e nessi, anche apprezzando il valore educativo (e
persino apodittico) dell'abbreviazione in luogo della pa-
rola iscritta per intero; b) far risultare nel testo, se pos-
sibile, elementi utili alla lettura tonica, come probabil-
mente gli apices, e non trascurare tale scopo nel proces-
so di genesi e di impaginazione del testo; c) combinare
l'impaginazione e ogni elemento della struttura dell'iscri-
zione, come l'impiego e l'evidenza dei caratteri, ai fini
dell'efficacia della lettura, ma nell'intreccio, nell'intera-
zione e nella coesistenza della lettura silenziosa, mnemo-
nica e psicologica, e della lettura parlata, riconducendo
ad unità programmatica quanto descritto da Quintiliano
(I, l, 34): ut aliud voce aliud oculis agatur.
Quindi, in virtù di una grammatica imposta dall'eco-
nomia dello spazio e dal lavoro del lapicida, le iscrizioni
romane impiegarono abbreviazioni, cioè siglae (se si trat-
ta di singole lettere) o notae, ottenute per troncamento,
come aed(ilis ), o per contrazione o compendio, come
l( e )g(io) o r(es )p(ublica), talvolta per la sopravvivenza
di antiche forme, come co(n)s(ul), già cos(ol); le abbre-
viazioni manifestano talvolta il numero: DDDD NNNN,
d(omini) n(ostri) (quattuor). Le abbreviazioni, come si
è visto nell'iscrizione di Oningi e come si riscontra met-
tendo a confronto le redazioni in greco e in latino della
stessa iscrizione, vengono in qualche modo programma-
te già nell'ordinatio: esse hanno perlopiù significati co-
muni, riconosciuti da tutti e desumibili dal contesto (ciò
spiega perché, come si può osservare scorrendo l'elenco
delle principali abbreviazioni pubblicato sotto, cap. III,
6, la stessa abbreviazione può servire per diversi signifi-
cati), ma vi sono abbreviazioni che dipendono diretta-

90
Scrittura, lingua, struttura

mente dagli usus nei singoli orizzonti, collegate cioè alla


consuetudine con certa documentazione: ciò si riscontra
soprattutto negli ambiti militari, di frontiera, ed in mo-
di diversi (basti riflettere a quanto si verifica con modi
del tutto differenti, in Renania, in Britannia o in Numi-
dia). La scrittura cancelleresca ha quindi influenza nella
formazione delle abbreviazioni, minore peso ebbe l'abitu-
dine alla tachigrafia, rilevante fu senza dubbio l'esigenza
di risparmiare di spazio (le iscrizioni si pagavano un tan-
to per lettera?).
Il risultato di questo processo di riduzione del testo
mediante le abbreviazioni fu che la lettura dell'iscrizio-
ne - quasi a riscontro del citato passo di Quintiliano -
fu mnemonica, cioè psicologica - frutto della memoriz-
zazione dei significati delle abbreviazioni, per chi li co-
nosceva - diversa cioè dalla percezione visiva. L'impie-
go delle abbreviazioni fu infine stereotipo, tanto da mo-
dificare profondamente il significato originale (come è
dei D.M. su iscrizioni cristiane, quando non si tratti del-
l'impiego di lastre già pronte in officina e comunque uti-
li a celare la propria confessione), e da farlo dimenticare
cosl da aprire la strada agli abusi (donde i divieti giu-
stinianei) e all'ignoranza vivacemente denunciata nel
medioevo dal giurista Boncompagno: cum litteris punta-
tis quas hodie plenarie legere vel intelligere non valemus.
Si collegano alle abbreviazioni, per scopi e risultati,
anche i nessi, cioè le lettere collegate tra di loro, con
tratti comuni, o l'una inscritta o sovrapposta all'altra, rea-
lizzate talvolta anche attraverso modelli di cui si conser-
vano esemplari da iscrizioni in lettere di bronzo; si in-
quadrano in questi espedienti dell'economia scrittoria an-
che le lettere che sopravanzano la riga, occupando quin-
di minore spazio, come la I e la T (ma per la prima si è
pensato talvolta alla segnalazione di valori tonici); l'ahi-

91
Epigrafia romana

tudine ai nessi può giungere sino allo scorporo della let-


tera attribuendone parte ad un nesso che precéde e parte
ad uno che segue. In genere l'impiego dei nessi corri-
sponde alla diffusione della scrittura corsiva, e infine
della minuscola, anche in quanto realizza una forma sin-
golare di scriptio continua. I nessi vengono presto im-
piegati mediante punzoni o tipari per alcuni oggetti del-
l'instrumentum, o come simboli monetari, con valore sfra-
gistico, sino all'elaborazione dei monogrammi, alcuni ce-
lebri e rituali come nell'epigrafia cristiana.
Gli apices, della forma di accenti, quando non ebbe-
ro valore tonico divennero un puro vezzo. Le sopralinea-
ture o i tratti a taglio sulle lettere valgono a porre in evi-
denza un'abbreviazione e a significare il multiplo di un
numerale; il loro uso si allarga nei tempi più tardi.
Un discorso a parte meritano le interpunzioni, di for-
me diverse: dalla più comune a punto triangolare a quel-
le più arcaiche sotto forma di due o tre punti, a edera
{la cosiddetta hedera distinguens), a palmetta, a barret-
ta, a virgola, ad apice, a freccia, a ruota corrente (tal-
volta come sopravvivenza di segni indigeni, come acca-
de nella penisola iberica per interpunzioni a forma di di-
schi a ruota). Il valore dell'interpunzione epigrafica è
molto discusso, e indubbiamente fu diverso nei tempi e
nelle molte regioni dell'impero: dal comune ma non uni-
forme impiego per separare le parole - quindi per eco-
nomia di spazio - e poi le sillabe (forse in relazione a
forme di apprendimento didattico, cf. Quintil., I, l, 24-
3 3 ), al valore di autentica modulazione del discorso, si-
mile quindi alla nostra interpunzione e percepibile nella
lettura parlata e nelle sue pause, anche con valenze psi-
cologiche; infine anche l'interpunzione come altri segni
poté essere usata per mera abitudine e per vezzo, sottrat-
ta a qualsiasi codice d'impiego.

92
Scrittura, lingua, struttura

Va ricordato in ogni caso che l'iscrizione romana pro-


pone, per la sua struttura ed anche per l'impiego di ca-
ratteri di diversa mole e delle abbreviazioni, una lettura
d'insieme, più da lontano che da vicino, istituisce cioè un
colloquio a distanza ben diverso dalla lettura <( a naso
sulla pietra » imposta da un gran numero di iscrizioni
greche.
Scrittura e lingua delle iscrizioni sono in inestingui-
bile rapporto tra loro: anche la lingua tende verso le
forme di un volgare stereotipo, da koiné, che rende dif-
ficile l'apprezzamento di forme e strutture legate ad aree
e ad orizzonti diversi. Certamente l'iscrizione non è l'in-
tegrale trascrizione del parlato, anche per gli attardamen-
ti che i modelli epigrafici inducono nella produzione dei
nuovi testi: è quindi un errore credere tout-court alla
contemporaneità nel parlato di forme resultanti dalle
iscrizioni. Ma l'esame accurato delle iscrizioni resta spes-
so l'unico modo per recuperare la traccia di usi fonetici,
di strutture e di lessici locali nelle diverse aree. L'epigra-
fia inoltre - già lo si è visto a proposito dei cosiddetti
« errori », cioè degli apporti di culture diverse nel pro-
cesso di genesi, vd. sopra cap. l, 5 - documenta le in-
venzioni adottate per trascrivere suoni e valori, nonché
le restituzioni arcaistiche. Assai più importante nelle
iscrizioni è il mutamento di concordanza nei casi, che si
accompagna anche alla caduta del valore dei casi, e so-
prattutto all'anacoluto, forma tipica e sostanziale del lin-
guaggio epigrafico: forse in dipendenza di modelli di-
versi, è comunque frequentissimo che in un'iscrizione
vengano a combaciare frasi incomplete, rette apparente-
mente da soggetti diversi, spesso non espressi. Una gram-
matica dell'epigrafia, o dei diversi linguaggi epigrafici
nelle aree e negli orizzonti, deve contemplare simili mo-
duli strutturali, che non dovevano preoccupare eccessiva-

93
Epigrafia romana

mente l'estensore dei testi e tanto meno il lettore del-


l'iscrizione. Anche in questo senso l'epigrafia si varrà dei
metodi e dei risultati della linguistica, anche facendo ri-
corso alle tecniche informatiche ( vd. sotto, cap. III, 3 ),
come si è valsa e si vale dell'archeologia e della paleogra-
fia: solo a tali condizioni si raggiungeranno le premesse
per una completa ecdotica testuale delle iscrizioni.
Come si è detto, l'iscrizione non riproduce istantanea-
mente la lingua, però si avvicina spesso alle strutture del
parlato; sono frasi incomplete, soluzioni compendiarie
che portano alla luce - entro un contesto monumentale,
spaziale, ambientale- delle strutture profonde: M. Tul-
lius Q.f. traduce Marcus Tullius, ille qui est Quinti filius.
Anacoluti, abbreviazioni, periodi sospesi, tutto concorre
ad una struttura viva, pressoché discorsiva, che merita di
essere scoperta nelle sue ragioni {Chomsky), nelle sue
soluzioni semiologiche, in fin dei conti nella sua partico-
lare concinnitas.
Tali indagini non possono distaccarsi dalla valuta-
zione dell'iscrizione nel suo aspetto visivo, cioè nella sua
impaginazione; si possono distinguere due tipi generali
di impaginazione, uno che talvolta viene definito proto-
collare e che consiste nell'allineare le righe dalla sinistra,
portando a capo, in evidenza, gli inizi dei paragrafi (ciò
accade soprattutto nelle leggi, nei resoconti) e incolon-
nando spesso le desinenze sulla destra (ciò si verifica nei
cataloghi e negli elenchi di persone), mentre tutto il te-
sto può ripartirsi in più «pagine», come in un mano-
scritto; l'altro, che è consueto nelle iscrizioni funerarie,
sacre ed in gran parte delle onorarie, vede il testo com-
posto attorno ad un asse centrale, tendenzialmente eume-
trico ma spesso spostato verso sinistra, e dove ciò che
più si vuol mettere in evidenza viene iscritto a grandi
lettere nella parte alta.

94
Scrittura, lingua, struttura

Per la documentazione iconografica della scrittura epigra-


fica romana, vd. l'Album di A. E. e J. S. Gordon; per le
iscrizioni più antiche, A. DEGRASSI, ILLRP, Imagines, Be·
rolini 1965. Sull'origine e sulla diffusione dell'alfabeto lati-
no e sull'evoluzione della scrittura latina, vd. G. CENCETTI,
Paleografia latina, Roma 1978; e ancora J. MALLON, Paléo-
graphie romaine, Madrid 1952; Id., id., L'histoire et ses
méthodes, Paris 1961, pp. 553-584; numerosi altri scritti del
Mallon, di R. Marichal e del Cencetti (di questi anche Ri-
cerche sulla scrittura latina nell'età arcaica, << Arch. Paleogr.
Ital. », II-III, 1956-57, pp. 175-205); sulla diffusione della
scrittura nell'Italia antica, vd. M. CRISTOFANI, « Scr. e civ. »,
2 (1978), pp. 5-33; sull'insegnamento dell'alfabeto, sulle se-
quenze alfabetiche, sull'impiego numerale, vd. L. W. DALY,
Contributions to a history of alphabetization in antiquity,
etc., Bruxelles 1967; un inquadramento generale dello svi-
luppo degli alfabeti in D. DIRINGER, The alphabetl, New
York 1969.
Per le iscrizioni di Oningi, vd. J. M. LuzoN, « Arch. Esp.
Arqueol. », 41 (1968), pp. 150-155 (vd. sopra, cap. I, 5).
La documentazione epigrafica riminese è trattata da A.
DoNATI, Rimini antica. Il lapidario romano, Rimini 1981 (d.
Id.,La produzione epigrafica riminese, Analisi di Rimini an-
tica, Rimini 1980, pp. 231-249).
Per l'iscrizione di Oningi, vd. J. M. LuzoN, « Arch. Esp.
nessi in aree dell'impero, vd. J. EwALD, Palfio-und epigraphi-
sche Untersuchungen an den romischen Steininschriften der
Schweiz, Diss. Base! 1974; anche SusiNI, Fonti epigrafiche:
problemi sociali e culturali, Renania romana, Atti Conv. Lin-
cei, Roma 1976, pp. 233-253. Un esempio singolare delle pos-
sibilità d'interpretazione delle abbreviazioni è costituito dalla
sigla N seguita da un numero su alcune iscrizioni patavine (e
di pochissimi altri luoghi), vd. da ultimo F. SARTORI, «Atti
mem. Ace. Patavina »,XC (1977-78), pp. 217-222, ed ivi bibl.
Della riscoperta graduale del significato delle abbrevia-
zioni epigrafiche si occupa I. CALABI LIMENTANI, «Acme>>,
XXIII (1970), pp. 253-282.

95
Epigrafia romana

Una trattazione generale dei sistemi di abbreviazione, di


F. BILABEL, Siglae, Realenc. (1923); P. LEHMANN, Sammlun-
gen und Erliiuterungen lateinischer Abkurzungen in Alter-
tum und Mittelalter, Miinchen 1929; per questo e per ogni
altro fenomeno paleografico delle iscrizioni romane è poi fon-
damentale il vol. di J. S. e A. E. GoRDON, Contributions to
the palaeography of latin inscriptions, Univ. Calif. Press
1957. Dei predetti, vd. anche le pagine introduttive all'Al-
bum, e, sulle sopralineature, Supralineate abreviations in la-
tin inscriptions, Univ. Calif. Press 1948.
Sull'interpunzione: E. 0THA WINGO, Latin punctuation
in the classica/ age, The Hague 1972 (ivi, anche considerazio-
ni sull'impaginazione in paragrafi); un esempio di tavola ti-
pologica delle interpunzioni ad edera e a palmetta, in G.
SoTGIU, Le iscrizioni dell'ipogeo di Tanca di Borgona, Roma
1981, p. 42.
Un'impostazione generale dei temi di storia della scrit-
tura collegati ai processi comunicativi in genere si trova, con
connotazioni diverse, in G. CosTAMAGNA, Paleografia latina,
comunicazione e tecnica scrittoria, Milano 1968; K. H. BAs-
so, The ethnography of writing, London 1974; G. R. w-
DONA, Introduzione all'etnolinguistica, Bologna 1976; si ve-
dano inoltre i numerosi saggi pubbl. nella rivista <( Scrittura
e civiltà >>.
Valutazioni degli aspetti linguistici nell'esame delle iscri-
zioni si trovano in una bibl. numerosa, tra la quale si cita-
no A. TRAINA, L'alfabeto e la pronunzia del latino3, Bologna
1967; A. TovAR, Sprachen und Inschriften, Amsterdam 1973;
]. P. BALSDON, Romans and aliens, London 1979; M. Du-
RANTE, Dal latino all'italiano moderno, Bologna 1981 (in par-
ticolare sul volgare e sulle modificazioni tipologiche interve-
nute nell'età tardo-antica).
Studi specifici sulla lingua delle iscrizioni nelle diverse
aree si trovano nel vol. miscellaneo, Die Sprachen im romi-
schen Reich der Kaiserzeit, Ki:iln 1980; e poi: G. PESENTI,
<( Riv. Indo-greco-ital. », V (1921), pp. 51-61 e VII (1923),
pp. 91-104 (sulle iscr. in area lombarda); A. ZAMBONI, <(Atti

96
Scrittura, lingua, struttura

Ist. Veneto», 124 (1965-66), pp. 463-517 (sull'area veneta);


A. CARNOY, Le latin d'Espagne d' après les inscriptions 2, Bru-
xelles 1906; J. PIRSON, La phonétique des inscriptions lati-
nes de la Gaule, Liège 1900; In., La langue des inscriptions
latines de la Gaule, Bruxelles 1901; J. C. MANN, Spoked la-
tin in Britain as evidenced in the inscriptions, « Britannia »,
II (1971), pp. 218-224; E. MIHAEscu, La langue latine dans
le sud-est de l'Europe, Bucarest 1978; S. STATI, Limba latina
in inscriptiile din Dacia si Scythia Minor, Bucarest 1961; J.
KAIMIO, The Romans and the greek language, « Comm. hu-
man. litter. », 64 (1979); infine, V. V.AAN.\NEN, Le latin vul-
gaire des inscriptions pompéiennes 2 , Berlin 1958.
Alla struttura del discorso nelle iscrizioni romane dedica
qualche pagina il manuale del Sandys, pp. 189-195; sull'uso
dei casi nelle iscr. onorarie, vd. I. KAJANTO, « Epigraphica »,
XXXIII (1971), pp. 3-19. Un esempio davvero paradigmati-
co di comparsa in un testo epigrafico romano di un fenomeno
fonetico indigeno, nell'iscrizione di Colonia CIL, XIII 8481;
B.-H. GALSTERER, Die romischen Steininschriften aus Koln,
Koln 1975, 494, tav. 101 (Lautverschiebung): In oh tumolo
reqiescet in pace hone memorie Leo. Vixet annus XXXXXII.
Transiet nono Id(us) Ohtuberes.
Qualche esempio, tra i moltissimi, di mancata concordan-
za dei casi: da Septempeda (CIL, IX, 5603): Ser(vio) Fulvio
Ser. l. Suavis sibi et Baebiae L. l. Chrestini. In agr(o) p(edes)
XliX; da Ascoli Piceno (CIL, IX, 5179): Valeria M.l. Cithe-
ris Isidi Victricis Iunoni ex visu circuitum d(e) s(ua) p(ecu-
nia) f(aciundum) c(uravit), ove l'appellativo di Iside è at-
tratto dalla desinenza del cognomen; un esempio di atrofia
del caso: da Cosa (CIL, XI, 2639): D(is) M(anibus) s(acrum).
Nigrio Marcelline coniugi fecit bene merenti, cum quem vi-
xit annis XX; un esempio di iscrizione con anacoluti reali o
apparenti: dall'agro tra Brescia e Cremona (CIL, V, 4170):
Clodiae Laetae. Mors mea, quoi doluit posuit bune titulum
mihi; un caso di accorpamento non tradizionale dei diversi
elementi (in questo caso, della titolatura onomastica che pri-
vilegia il cognomen del liberto, cioè il suo nome servile, cui

97
Epigrafia romana

si aggiunge alla fine dell'iscrizione l'indicazione del patro-


nato: forse a manomissione avvenuta, ma in una forma rite-
nuta comunque compatibile alla lettura): dall'agro di Mari-
bar, ora nel lapidario di Graz (CIL, III, 5310): Mercurio sa-
crum. Primigenius v(otum) s(olvit) l(ibens) m(erito), T.
Atti lib.
La diversità di struttura (impaginazione) che si riscontra
nei testi giuridici e normativi rispetto alla maggior parte del-
le iscrizioni (ad asse centrale) trova riscontro nella stessa for-
mulazione dei testi, la cui lettura nel primo caso è destinata
soprattutto a persone esperte dell'amministrazione: allo stes-
so modo, nei diplomi militari (vd. sotto, cap. l, 11) accade
che le parti interne, destinate alla lettura del singolo, rechi-
no talvolta abbreviazioni e formule meno complesse di quan-
to si legge invece all'esterno, dove il testo assume caratteri
più compendiarii e stereotipi.
L'uso di graffe destinate a raccordare più nomi su un'uni-
ca voce è documentato da numerose iscrizioni, per es. CIL,
X, 123, da S. Maria di Josaphat (Corigliano Calabro)
Un caso di allineamento ad emistichi in un carme epigra-
fico, in C. CAsTrLLo-J. GoMEZ PACTOJA-M. D. MAuLEON,
Inscripciones romanas del museo de Navarra, Pamplona 1981,
pp. 47-48, n. 18 e tav.
Un'analisi del linguaggio delle iscrizioni e della loro
struttura terrà in conto le figure retoriche (per esempio la
paronomasia, come in CIL, IX, 5038, da Atri, linee 5-8:
quod par parenti facere fuerat filiam mors immatura fecit ut
faceret mater filiae), o gli acrostici (vd. J. W. ZARKER, «Or-
pheus )), XIII, 1966, pp. 125-151), ed ogni altro fenomeno
interessante.

98
7. LA STORIOGRAFIA DELLE PERSONE:
LE ISCRIZIONI FUNERARIE

Forse più che in qualsiasi altra cultura, la proporzio-


ne delle iscrizioni funerarie nel mondo romano è schiac-
ciante rispetto alle iscrizioni di ogni altra categoria: si è
già detto che questa circostanza consente un'approfondita
conoscenza della storia delle persone e del loro « quoti-
diano», permette di giungere a delineare una nuova sto-
riografia « in cui ci sia posto all'uomo, al povero di tutti
i giorni » (Mazzarino). Attraverso l'analisi delle iscrizio-
ni funerarie, soprattutto ricevono luce le culture che in
qualche modo appaiono subalterne (Gramsci), talvolta
persino quelle che pragmaticamente sono state definite
le culture della miseria (Oscar Lewis). Questa storiogra-
fia dei poveri - o dei non poveri, ma comunque di
gente che non lascia traccia nel grande registro delle
pubbliche res gestae - si collega prevalentemente alla
memoria della loro morte (senza trascurare l'apporto che
reca a queste conoscenze il grande patrimonio delle iscri-
zioni votive, accanto ad alcune iscrizioni onorarie), si
accompagna anche alla considerazione della morte in cer-
to modo espressa nel monumento e talvolta trasparente
dal testo.
Di certo si può dire che la memoria funebre, cioè i
monumenti e le iscrizioni, influenzarono la vita sociale e
l'opinione pubblica più di quanto sia accaduto o accada
in altre culture: le necropoli allineate lungo strade di

99
Epigrafia romana

grande traffico trasferivano nei passanti e nei lettori le


immagini di memorie ordinate, non solo nel decoro com-
positivo delle iscrizioni ma anche nel riferimento delle
genealogie, nella denuncia degli anni di vita. Quando si
rifletta all'importanza che i sistemi politici oggi attri-
buiscono alla toponomastica stradale (tanto da gareggia-
re nell'apporre targhe con nomi di eroi e di martiri,
effettivi o presunti), si comprenderà l'effetto che nomi
letti e riletti più volte al giorno, entrando ed uscendo
dalla città, poteva suscitare in una comunità dove il ceto
curiale occupava largo spazio anche tra i sepolcri. Non a
caso il proletariato autentico, se non trovava posto entro
la recinzione dei sepolcri gentilizi, veniva sepolto - o
in tombe terragne alla cappuccina, per gli inumati, o le
ceneri riposte in piccole olle o anfore seminterrate - in
campi comuni, come si vede tuttora nella necropoli di
Porto, come è attestato epigraficamente a Sarsina (CIL
XI, 6528; ILLRP, 662) ed in altri luoghi, hoc miserae
plebi stabat commune sepulcrum (Hor., Sat., I, 8, 8-13).
Il ruolo dei monumenti sepolcrali nella vita quotidia-
na si precisa inoltre quando si pensi che molti tra essi
erano destinati a interi nuclei familiari, quindi costruiti
quando almeno qualcuno era ancora in vita, tanto che
spesso compare vicino al nome la sigla v(ivus ), talvolta
invece surrogata da o(bitus) che si trasformava facilmen-
te in un theta greco, iniziale di morte (la cosiddetta lit-
tera nigra): lo stesso committente quindi rimirava il suo
monumento, dove l'iscrizione talvolta lasciava in bianco
il numero degli anni di vita (un testo aperto), oppure
accantonava una somma per farlo costruire dopo la morte
(testamento fieri iussit), come accadeva per lo più a pic-
coli possidenti, a modesti artigiani, gente che aveva il
senso spiccato della parsimonia e del risparmio. Infine
va ricordato, pur tra il velo della satira, il monumento

100
La storiografia delle persone

di Trimalcione (Petron. Sat., 71) come enfatizzazione


di quanto si potesse ambire (e, anzitutto, che ogni pas-
sante fosse costretto a guardarselo}: Horologium in me-
dio, ut quisquis horas inspiciet, velit nolit, nomen meum
legat. Fuor che alcuni riferimenti satirici, quasi sempre
negli scrittori (cf. Hor., Sat., Il, 3, 84-91) nulla si può
trovare nelle iscrizioni funerarie romane che non sia so-
lenne, o triste, o pio: sarebbe vano cercarvi quegli ele-
menti che nel mondo anglosassone caratterizzano i <( co-
mie epitaphs » o che hanno reso famoso il cimitero dalle
vivaci pitture a Sapintsa nel Maramures.
Veniamo ora al contenuto delle iscrizioni funerarie:
spesso esse si aprono con un'adprecatio agli dèi Mani (o
con altre più rare formule), che si collega agli altri ele-
menti figurati del linguaggio simbolico, se compaiono;
la coppia di sigle D M (talvolta abbreviata diversamente
specie nei primi tempi) comincia ad essere usata verso la
metà del I secolo d.C. e si spegne alla fine del III o sulle
soglie del IV secolo. In posizioni diverse, secondo la
struttura del testo, l'iscrizione reca il nome del morto,
che comprende spesso nella sua titolatura il patronimico
(quindi, due generazioni), sovente il nome del dedicante
(se è un figlio, c'è il segno di tre generazioni), ma molte
volte appaiono molti altri nomi, o di familiari (la familia
comprende anche i liberti e persino gli schiavi, i servi)
che sono o saranno Il sepolti o che si associano nella de-
dica o nel ricordo. A prescindere dal frequente mutare
di concordanze sintattiche nel corpo delle iscrizioni fune-
rarie - fenomeno già ricordato - il nome del defunto
compare nei tempi più antichi di solito in caso nominati-
vo, poi - anche in raccordo con l'adprecatio - in geni-
tivo e più tardi infine in dativo, come vera dedica assi-
milata ai Mani (ma questa linea evolutiva subisce scarti
e difformità, area per area). Tanto il defunto quanto il

101
Epigrafia romana

dedicante sono descritti, specialmente nei tempi più tar-


di, con appellativi che esaltano le virtù, il dolore e la
pietas. Del defunto si ricorda, se del caso, la posizione
nella vita civile, la professione e soprattutto il cursus
degli honores tenuti in ambito municipale o nella res-
publica (per i cursus, vd. sotto, cap. l, 9), talvolta le
res gestae, il cui racconto può assumere una qualche for-
ma metrica, come accade ben più spesso per il compianto
dei superstiti, per l'espressione di considerazioni sulla
vita e sulla morte, che sono tra i temi più ricorrenti dei
carmi epigrafici.
Se rara è l'indicazione cronologica nelle iscrizioni di
altra categoria (a differenza, per esempio, delle iscrizioni
attiche, dove l'eponimato ricorre in ogni pubblico docu-
mento), a meno che non si evinca dalle titolature onora-
rie e dai cursus o da altri riferimenti, del tutto sporadica
essa appare nelle iscrizioni funerarie: bisogna concludere
che per i romani il tempo non era misurato, altro che
per rare circostanze, dalle indicazioni degli eponimati con-
solari, ma dalle sequenze genealogiche. Diversamente da
quanto accade ai nostri giorni, non si pubblicava l'anno
di nascita e quello di morte del defunto (una tra le poche
eccezioni: CIL, V, 5832, da Milano), ma si misurava
quanto tempo uno era vissuto - o anche quanto aveva
trascorso con il coniuge, o quanto sotto le armi - ed in
quale successione si collocava nell'ambito della sua fami-
glia: era sl un tempo storico, ma di una storiografia per-
sonale e gentilizia.
Nel monumento sepolcrale compaiono talvolta i ri-
tratti, o le intere figure (specie di militari) - con mag-
giore frequenza tra la fine dell'età repubblicana e il I
secolo d.C. - , oltre a figurazioni riferite al lavoro e alla
professione, oppure a momenti rituali (come il banchetto,
o il commiato), o a episodi del mito, quali si propagano

102
La storiogra/ia delle persone

soprattutto tra il I e il II secolo d.C., in concomitanza


con una buona diffusione del libro (epica, romanzo). In-
fine l'iscrizione funeraria riporta spesso il nome degli
eredi, l'indicazione testamentaria, le caratteristiche del
sepolcro e della sua destinazione. Si tratta di testi straor-
dinariamente ricchi di notizie per la conoscenza della
società romana nelle sue diverse fasi, e del diritto fami-
liare: se ne ricavano dati preziosi per la conoscenza della
consistenza dei nuclei familiari, per i connubi, le adozio-
ni, le filiazioni, le manomissioni. Le iscrizioni sulle tom-
be servono inoltre ad attestare il luogo dove uno è morto,
quindi forniscono notizie utili alla conoscenza della mo-
bilità sociale: si pensi, ad esempio, ai movimenti dei re-
parti militari e all'accasamento dei veterani.

Sul complesso significato delle iscrizioni funerarie, vd. M.


DuRRY, << Rev. Arch. », 1961, pp. 11-21; E. MEYER, ZPE, 14
(1974), pp. 185-191. Sui diversi aspetti della morte anche
nelle iscrizioni, vd. A. BRELICH, Aspetti della morte nelle
iscrizioni sepolcrali dell'impero romano, Budapest 1937
(Diss. Pannon., l, 7); il vol. La Mort, Les Morts, Paris 1981,
che raccoglie i risultati del convegno internazionale sull'ideo-
logia funeraria nel mondo antico tenuto a Napoli e a Ischia
nel 1977; più in genere, Imago martis, Roma 1980, catalogo
della mostra tenuta a Roma nell'estate del 1980.
Esempi di monumenti eretti in vita: da Aventicum, nel
museo di Avenches (CIL, XIII, 5097): D. M. L. Camillius
Faustus IIIIIIvir Aug(ustalis) viv(u)s fecit in anno LXX, vi-
xit annis LXXXXII; da Claudia Savaria, nel museo di Szom-
bathely (RIU, I, 64): D.M. C. Sempronius C.fil. Cl(audia)
Marcellinus, an(norum) v(ivus) f(ecit) sibi et Sem-
pr(onio) Marcelliano fil., an(norum) XXV, et Sempr(onio)
Marcello fil., an(norum) XXI, et Sempr(onio) Passeri frat(ri),
an(norum) XXX et Sempr(onio) Florentino fratr(i), an(no-
rum) Claudiae Spectatae coniugi, annor(um)
Si notino gli spazi bianchi rimasti incompleti, di seguito a tre

103
Epigrafia romana

nomi. Sul problema, vd. R. FRIGGERI-C. PELLI, << Tituli », 2


(1980), pp. 95-172, ed ivi bibl.
Sugli apparati figurativi e simbolici, vd. - tra la copio-
sissima bibl. - ].-]. HATT, La tombe gallo-romaine, Paris
1951; F. CuMoNT, Recherches sur le symbolisme funéraire
des Romains, Paris 1942; sulla supposta presenza di un ele-
mento figurato in mancanza del nome del defunto, vd. il cu-
rioso laterizio di età tarda, da Carnuntum (CIL, III, 11451):
litera nula doccet nomen causamque sepulcri scultu(m)
ines(t) lapide.
Sull'annotazione e la considerazione del tempo nelle iscri-
zioni romane, vd. H. ARMINI, Sepulcralia Latina, Diss. GO-
teborg 1916, e la bibl. cit. sotto, cap. II, 3, sulla biometria;
vd. infine SusiNI, Concetto e tecnica del tempo nelle iscri-
zioni romane. Aion. Le temps chez les Romains, Paris 1976,
pp. 23-28. Due esempi epigrafici: da Chiusi, nel locale mu-
seo (CIL, XI, 2451): D.M. Stheniae Veneriae C. Sentius Au-
lax uxori sanctissimae fecit. Fuit in matrimonio eius annis V,
mensib(us) VI, dieb(us) IIII, vixit an(nis) XXVII, etc.; da
Roma, ora nel museo dell'Aquila (CIL, VI, 11928): Ante-
stia Melitine Veteris l(iberta) libertatem suam frunita (sic)
est annos II mese(s) VI, Vixit annos XXX.
I carmi epigrafici sono raccolti da F. BiicHELER ed E.
LoMMATZSCH, Carmina Latina epigraphica (cit. CLE, o Bii-
cheler), I-III, Lipsiae 1895-1926; per la tematica vd. D.
PrKHAUS, Levensbeschouwing en milieu in de latiinse metri-
sche inscripties, Brussel 1978, ed ivi bibl.
Sul diritto sepolcrale, oltre a quanto cit. sotto, cap. III, l
sull'epigrafia giuridica, vd. F. DE VrsscHER, Le droit des
tombeaux romains, Milano 1963; anche M. DE DoMINICIS,
RIDA, XIII (1966), pp. 177-204 (ivi a p. 185, nota 41, bibl.
sulle multe sepolcrali). Due esempi di iscrizioni con elementi
testamentari: da Aquileia (CIL, V, 1047): D.M. M. Secundi
Genialis, domo Cl(audia) Agrip(pina), negotiat(ori) Dacisco,
patr(ono) optimo, M. Secundius Eutychus lib(ertus), heres
ex parte bonor(um), hoc monim(entum) de suo fec(it); da
Roma (CIL, VI, 2437): D.M. C. Maccenio Vibio, mil(iti)

104
La storiografia delle persone

coh(ortis) I pr(aetoriae), (centuria) Primitivi, vix(it) ann(is)


LV, mil(itavit) in leg(ione) X Gem(ina) ann(is) VIIII, inde
tral(atus) in pr(aetorium) mil{itavit) an(nis) Xliii. Ulpia Va-
lentino coiugi karissimo b(ene) m(erito) f(ecit), cura agente,
demandatum fratri ex testamento, Maccenio Crispino, evo-
k(ato) Aug(usti) n(ostri).

È il caso ora di esaminare brevemente il nome di


persona dei romani, nei suoi diversi elementi - la tito-
latura onomastica - e nella sua sommaria evoluzione.
La titolatura fu completa quando comprese cinque ele-
menti: il praenomen, il gentilizio o nomen, il patronimi-
co (o, per i liberti, il patronato), la tribus, il cognomen;
ciò accade, ma sporadicamente, a partire dalla fine del
II secolo a.C., data cui risalgono i più antichi esempi di
citazione epigrafica della tribù (tribus) e del cognomen
per la gente qualunque (cioè non per i notabili); la de-
nuncia dei cinque elementi fu realmente obbligatoria, nei
censimenti, a partire dall'età di Cesare. Di fatto la titola-
tura onomastica segue l'evoluzione della struttura sociale:
a partire da un assetto dei primi secoli, che privilegia la
formazione del nomen - di clan o gens - accanto al
nome individuale, che assume quindi il ruolo di un prae-
nomen (e talvolta ne è la forma aggettivale, Titius da
Titus); quando tale coppia non è più sufficiente a desi-
gnare la persona nella sua società, talvolta si aggiunge un
nuovo elemento - ereditario come il nomen - per indi-
care un ramo della gens (ed è questo il caso dei notabili,
delle grandi gentes nel cui ambito il cognomen compare
già nei primi secoli}, più spesso e per tutti si completa
l'indicazione con il patronimico, espresso quasi sempre
in sigle (CIL, XI, 5330, da Spello: Q. Pedilius Cn. /.);
infine si estese a tutti l'uso del cognomen, ma come vero
attributo individuale: derivato cioè da una caratteristica

105
Epigrafia romana

fisica (Rufus) o da una qualità d'animo (Fortis, spesso


- all'atto dell'attribuzione del nome - solamente un
auspicio) o da un riferimento al numero d'ordine del fi-
glio (Tertius), ecc.; venne con ciò perdendo d'importanza
il praenomen, che diventò ereditario e poi fu sempre più
raro sino a scomparire nel corso del III secolo d.C. o
poco dopo. Vediamo un esempio della comparsa del co-
gnomen e dell'atrofia del praenomen in un'iscrizione ter-
gestina (CIL, V, 569; Inscrit, X, 4, 86): P. Allius Q.f.,
P. Allius P.f. Severus.
La tribù infine rappresenta il riferimento della perso-
na alla respublica nell'espressione più evoluta del suo as-
setto elettorale: ha fortune alterne nei primi tempi del-
l'impero e scompare verso la metà del III secolo. Quindi
il nome del romano segna un incremento di elementi sino
al tempo tra la fine della repubblica e i primi decenni
dell'impero, per poi assottigliarsi (di più nella gente qua-
lunque, poiché i notabili conservano più tenacemente ti-
tolature pressoché complete, arricchite talvolta di più di
un gentilizio e di più di un cognomen) a due soli elemen-
ti, nomen e cognomen, e infine solo quest'ultimo, ridotto
a simplex nomen, a nome individuale e singolo come era
accaduto dei praenomina dei tempi più arcaici. Nella sua
massiccia estensione il nome romano si presentò cosl (da
CIL, X, 1457; ILLRP, 609, Ercolano): M(arcus) Spurius
M(arci) f(ilius) Men(enilz) Rufus. L'evoluzione qui deli-
neata subisce varianti considerevoli in tempi ed in aree
diverse: basti pensare all'influenza del matronimico in
Etruria, ed agli usi onomastici nei processi di romanizza-
zione delle province. Infine, in ogni stadio del nome ro-
mano va tenuto presente ed individuato il modo effettivo
della comunicazione evocativa, cioè come di fatto uno
veniva conosciuto e chiamato (talvolta con il praenomen
o con il nomen, più spesso con il cognomen) in una so-

106
La storiografia delle persone

cietà dove spesso accadeva che in piazza ci si incontrasse


e ci si conoscesse pressoché tutti.

Bibl. sommaria sull'onomastica romana: sull'età arcaica,


vd. E. PERUZZI, Origini di Roma, I, Firenze 1970, pp. 7-16,
35-74, 99-116, 129-165; II, Firenze 1973, pp. 9-53; in gene-
rale B. DoER, Die romische Namengebung, Stuttgart 1937;
H. THYLANDER, Etude sur l'épigraphie latine, Lund 1952,
pp. 54-185; il ponderoso vol. L'onomastique latine, Paris
1977, che raccoglie gli atti del colloquio parigino del 197 5;
ancora utile, W. ScHULZE, Zur Geschichte lateinischer Ei-
gennamen, Berlin 1904; su problemi particolari, L. R. TAY-
LOR, Freedmen and freeborn in the epitaphs of imperia! Ro-
me, « Amer. Joum. Philol. », LXXXII (1961), pp. 113-132;
H. CHANTRAINE, Freigelassene und Sklaven im Dienst der
romischen Kaiser. Studien zu ihrer Nomenklatur, Wiesbaden
1967 (interessante per le esemplificazioni); ancora utile, J.
BAUMGART, Die romischen Sklavennamen, Breslau 1936. A
]. Kajanto si devono due saggi fondamentali: The latin Co-
gnomina, e Supernomina. A study in latin epigraphy, pubbli-
cati ad Helsinki rispettivamente nel 1965 e nel 1966. Tra gli
studi di onomastica territoriale, vd. G. ALFOLDY, Die Perso-
nennamen in der romischen Provinz Dalmatia, Heidelberg
1969, e M. LouRDES ALBERTOS FIRMAT, La onomastica per-
sonal primitiva de Hispania Ta"aconense y Betica, Salaman-
ca 1966.
Per le prosopografie, vd. sotto, cap. l, 9. Onomastica cele-
bri sono quello di V. De Vit, completo solo nell'ed. di l.
Perin, Patavii 1940, e quello in corso, incorporato nel lessi-
co o con fascicoli a parte, nel Thesaurus linguae Latinae, che
si pubblica a Lipsia dal 1900.
Un aspetto del tutto particolare dell'onomastica antica è
trattato nello studio di J. A. SINT, Pseudonimitat im Alter-
tum, lnnsbruck 1960.
Presso i romani fiorl anche un'onomastica infantile, che
talvolta compare nelle iscrizioni in luogo della titolatura: pu-

107
Epigrafia romana

pus, daelicium. Gli adottati assumono ed incorporano in va-


rie maniere il nome dell'adottante nel proprio.
La titolatura onomastica dei liberti conobbe una forma
più antica nella quale il loro nome servile (o quello assunto al
momento della manomissione) precede il nome del patrono,
come in CIL, VI, 26947 (da Roma); J2, 1390: Anthus Sul-
picius Postumi l(ibertus), etc. La forma tradizionale, a par-
tire dalla fine dell'età repubblicana, ricalca il nome degli in-
genui, cioè delle persone nate libere, cosicché il nome servile
assume il ruolo del cognomen, come nell'iscrizione urbana
(« Epigraphica », XXXVIII, 1976, pp. 113-114, n. 21: L.
Ordionius L. l(ibertu.r) Anteros, etc. Quando il servo libera-
to apparteneva ad una comunità (una città, per esempio) for-
mava il suo gentilizio o usando il nomen Publicius o sul nome
della comunità; ad esempio, C. Poblicius municipum Medio-
laniensu[m] (sic) l(ibertus) Alexsander, in un'iscrizione no-
varese (CIL, V, 6630); (Manius) Amiternius municipum l(i-
bertus) Iucundus, in un'iscrizione di Amiternum (CIL, IX,
4231); due tavole cronologiche e comparative dell'evoluzione
dell'onomastica dei liberti, sugli esempi ostiensi, di M. CÉ-
BEILLAC, MEFRA, 83 (1971), pp. 39-125.
Esempi di iscrizioni con servi: da Volterra (CIL, XI,
1775): Festae. V(ixit) a(nnis) VII, m(ensibus) II, d(iebus)
XXIII. Quietus et Quieta parentes,· da Gabi (« Cuad. de Tra-
bajos, Escuela Espaii. de Hist. y Arqueol. en Roma», X,
1958, p. 33): Eucarpo fil(io) Eucarpus L. Cl(audi) Pollionis
ser(vus); da Pozzuoli (CIL, X, 2134): P. Avianius P.f. Rufus
Ofillia D.l. Psychario, Aviania P.f. Amor, Carpus, etc., dove
il servo Carpus è collocato con una impaginazione che lascia
prevedere l'aggiunta, in testa, del nome del padrone, eviden-
temente a manomissione avvenuta.
Sui praenomina (usati pressoché esclusivamente dagli uo-
mini): i principali sono A(ulus), Ap(pius), C(aius), Cn(aeus),
D(ecimus), L(ucius), M(arcus), (Manius), N(umerius), P(u-
blius), Q(uintus), Ser(vius), Sex(tus), Sp(urius), T(itus),
Ti(berius), V(ibius). La sigla del praenomen Manius è forma-

108
La storiografia delle persone

ta da una M a 5 tratti, come se si trattasse del nesso tra una


M e una V.
Sui gentilizi: al momento della latinizzazione o del rice-
vimento dello ius civitatis, gli indigeni o i peregrini assumo-
no un nomen spesso assai comWle (ad es. Valerius), talvol-
ta quello dell'imperatore (il caso degli Aure/i), come accade
per gli schiavi di proprietà imperiale (gli Iuli, i Claudi, i
Flavi, gli Ulpi, gli Aeli, ecc.), oppure quello di un notabile
(Wl magistrato, un militare, un personaggio comunque in-
fluente nella zona), specie se ha favorito l'iscrizione nelle li-
ste dei cives. Le clientele giocano un ruolo primario anche
nella formazione di un'onomastica romana nelle province.
I cognomina si associano spesso nelle iscrizioni ai ritratti,
come elementi di autentica caratterizzazione personale. E' vi-
va l'abitudine, specie nei liberti, ad assumere nomi di forma
greca (detti talvolta grecanici), anche quando la persona non
è di origine levantina, ma per il prestigio della provenienza;
specialmente con il II secolo d.C. cresce l'uso di nomi deri-
vati da diviniti\ (teonimi, come Apollonius), talvolta in sé-
guito ad una manomissione avvenuta nell'ambito di un san-
tuario, più spesso con carattere auspicale o di devozione (co-
me accadrà poi con i nomi dei santi).
Sulla menzione della tribus: un territorio entrato a far
parte dello stato romano veniva assegnato ad una delle tren-
tacinque tribù nelle quali era diviso il corpo civico romano;
si trattava di operazioni con profonde implicanze politiche;
spesso il ritrovamento di un'iscrizione con Wla titolatura ono-
mastica comprendente la tribù aiuta a definire i confini di un
territorio, beninteso se i territori delle comunità vicine erano
ascritti ad una tribù diversa. Formati su gentilizi imperiali
esistono anche nomi di pseudo tribù (per es., la Aurelia, la
Septimia), spesso nelle iscrizioni di militari e nelle loro liste
(i laterculi).
Le tribù sono: Aem(ilia), Ani(ensis), Arn(ensis), Cam(i-
lia), Cla(udia), Clu(stumina), Col(lina), Cor(nelia), Esq(uili-
na), Fab(ia), Fal(erna), Gal(eria), Hor(atia), Lem(onia),
Maec(ia), Men(enia), Ouf(entina), Pal(atina), Pap(iria), Po-

109
Epigrafia romana

b(lilia), Pol(lia), Pom(ptina), Pup(inia), Quir(ina), Rom(ilia),


Sab(atina), Scap(tia), Ser(gia), Stel(latina), Suc(usana) o Su-
b(urana), Ter(etina), Tro(mentina), Vel(ina), Vol(tinia), Vo-
t(uria).
Altri elementi si connettono talvolta al nome romano: la
domus, l'origo, la natio.
Talvolta- specie verso la fine del mondo antico -l'evo-
cazione, la denominazione reale di una persona è affidata a
un soprannome (agnomen), introdotto da un qui et; esso
assume anche la forma di un semplice signum, un'indicazio-
ne didascalica o acclamatoria che precede il testo; ad es. in
CIL, X, 7234, da Lilybaeum: Cureti vivas. Pro meritis exi-
miae lenitatis et benignae administrationis, strenuo ac prae-
dicabili iudici Domitio Zenofilo, v(iro) c(larissimo), [corr(e-
ctori)] prov(inciae) Sicil(iae). In qualche caso il si)!.num con-
sente di conoscere un nome locale, indigeno, sopravvissuto
nell'uso familiare.
L'onomastica costituisce un immenso archivio per l'ana-
lisi dell'origine etnoculturale delle persone; essa forma inol-
tre larga parte dei nomi di luogo di origine romana: si pensi
agli infiniti toponimi fondiari, perlopiù in -anus, derivati da
gentilizi e anche da cognomina di domini (e anche di fattori,
vilici, actores, conductores, ecc.): cosl Agnano, Corneliano,
Metegliano, ecc.

110
8. L'EPIGRAFIA RELIGIOSA

Come in altre culture anche nel mondo romano il


sentimento religioso trova la sua espressione nella pre-
ghiera e nell'offerta, e si completa spesso nella memoria
durevole dell'atto religioso: il tempo e il mondo devono
conoscere il rapporto intercorso tra l'uomo e la divinità;
se una grazia impetrata e ricevuta ripristina un ordine in
qualche modo scomposto e turbato dalla sciagura o dalla
colpa, il monumento e l'iscrizione fanno parte essenziale
di tale ripristino, ne sono la dimensione umana e sociale.
L'iscrizione sacra trovava luogo anche su un oggetto
mobile, destinato per lo più all'esposizione in un santua-
rio o al deposito in un tesoro: se ne farà cenno nel capi-
tolo destinato alle iscrizioni mobili (tali le sortes, le defi-
xiones, testi su immagini in terracotta o in bronzo, la-
melle iscritte) perché diverso è il loro rapporto di produ-
zione e diversi sono, in parte, gli effetti del loro messag-
gio. Gli scrittori antichi serbano spesso il ricordo di og-
getti o di spoglie consacrate nei templi: Liv., VI, 4, 3,
sul trionfo di Camillo, tres paterae aureae quas cum
titulo nominis Camilli ante Capitolium incensum in Iovis
cella constat ante pedes Iunonis positas fuisse; in altri
casi il titulus veniva inciso sull'oggetto consacrato, come
fece Nerone che pugionem apud Capitolium sacravit ins-
cripsitque Iovi Vindici (Tac., Ann., XV, 74, 8).
Solitamente l'iscrizione veniva incisa su un monu-

111
Epigrafia romana

mento, di forma diversa (talvolta legata al rito della divi-


nità venerata, come i labra della Bona Dea), e consisteva
nell'offerta e nella dedica del monumento stesso, si trat-
tasse di una semplice arula, o di una base e della statua
che la sovrastava, o di un'area cosl consacrata (dal minu-
scolo riquadro del fulgur conditum alle grandi pavimen-
tazioni) o di più parti di un santuario o di un intero
edificio, di una aedes o di un templum, del quale si cele-
bra nell'iscrizione la dedicatio e la consecratio. L'iscrizio-
ne nomina talvolta anche gli oggetti offerti, la loro qua-
lità, il loro numero, persino il loro peso se si tratta di
preziosi. Il testo è collegato nel monumento, in molti
casi, a raffigurazioni e a iconografie rituali, ad immagini
evocative del votum (promesso, susceptum, e sciolto, so-
lutum ), come nel caso delle preghiere pro itu et reditu
associate alle orme dei piedi, una all'insù e l'altra all'in-
giù. Iscrizioni con l'indicazione delle malattie da cui si
è guariti possono recare l'immagine delle parti malate.
I voti sono posti talvolta a seguito di visioni (ex visu ).
Altre iscrizioni di interesse religioso sono gli atti del
cerimoniale, e i regolamenti per il funzionamento di san-
tuari, di confraternite, di collegi e sodalizi: queste forme
associative (anche quando non erano specificamente ri-
volte al culto ma avevano preminente carattere profes-
sionale) dedicavano larga parte della loro attività al rito
attorno alla divinità protettrice, nel cui santuario tene-
vano spesso la sede. In questo ampio novero di iscrizioni
si collocano alcuni testi famosi, come gli atti degli Arvali
e dei ludi saeculares.
Nell'ambito dei santuari si svolgevano inoltre nume-
rose operazioni, poste sotto l'egida della divinità e la
garanzia dei sacerdoti, delle quali è traccia nelle iscrizio-
ni: sono per lo più affrancamenti di schiavi, ed altri atti
che definiscono i santuari come autentici focolari di me-

112
L'epigrafia religiosa

diazioni e di mobilità tra etnìe, culture, ceti e classi di-


verse. Talvolta, specialmente nel mondo di tradizione
ellenistica, le iscrizioni di questo tipo si collocavano en-
tro il perimetro del santuario, oppure venivano addirittu-
ra incise sulle sue mura (come a Deifi). Le iscrizioni con-
servano poi, più di qualsiasi altro monumento, la docu-
mentazione degli innumerevoli processi di sincretismo e
di interpretazione cui il pragmatismo romano piegò volta
a volta i culti locali e provinciali, i culti classici e di ma-
trice greca, le religioni orientali e lo stesso culto impe-
riale.
Proprio per la stretta connessione al rito, il linguag-
gio delle iscrizioni religiose - cosl come le raffigurazioni
che vi si congiungono - perpetua modelli conservativi,
persino convenzionalmente evocativi, e recita un ruolo
importante nella formazione del consenso politico: si
pensi alla univocità dei significati espressi dalle are dei
vicomagistri, anche quando furono il prodotto di officine
diverse che impiegarono modelli differenti.
Il numero delle iscrizioni votive è assai più elevato
nelle province, specie in quelle di frontiera, a documenta-
zione dell'importanza dei culti nelle compagini militari e
del loro ruolo nei processi di romanizzazione: forse pro-
prio all'influenza degli usus delle furerie, oltre che ad
altri motivi rituali, va imputata la circostanza - altrove
del tutto rara - della datazione consolare che talvolta
accompagna i monumenti religiosi. Fenomeni di relega-
zione culturale, cioè di scarsa evoluzione del linguaggio,
si registrano nei santuari di campagna o in ambiente sil-
vopastorale, ancora una volta soprattutto nelle province
periferiche.

Qualche esempio di iscrizioni votive: - da Apt (CIL,


XII, 1081): Mercurio L. Coelius Surillio ser(vus) v(ovit) li-

113
Epigrafia romana

ber s(olvit); vi è manifesta la diversa condizione sociale dal


momento nel quale il voto fu posto a quello del suo scio-
glimento;
- da Luni, nel museo di La Spezia (NotSc, 1930, p. 287
= AEp, 1931, 94): Lunae voto suscepto Ti. Claudius Paris
auri p(ondo) s(emis);
- da Virunum (forse dal Magdalensberg) (CIL, III,
4806): Noreiae Aug(ustae) sacr(um) Q. Fabius Modestus, do-
mo Roma, dec(urio) al(ae) I Aug(ustae) Thracum, phialam
argent(eam) p(ondo) (libras duas uncias tres) embl(emata)
Noreiae aurea uncias duas (sic) d(ono) d(edit). Libbre e on-
de sono espresse con il numerale II seguito da tre punti.
- dal santuario di Asclepio ad Epidauro (CIL III,
7266): Cutius has auris Gallus tibi voverat olim, Phoebige-
na, et posuit sanus ab auriculis,· due orecchie sono raffigu-
rate sopra il testo;
- dal Djebel Bou-Kournein, nel museo tunisino del Bar-
do (CIL, VIII, 24217; M. LE GLAY, Saturne africain, Paris
1961, I, p. 64, n. 116): Saturno Aug(usto) Balcaranesi L. Sex-
tilius Communis egregius (vir) viso admonitus libens animo
votum solvit; raffigurazione, sotto il testo, di una scena sa-
crificale.
Un elenco di iscrizioni fulgurali, di C. PIETRANGELI,
<< Rend. Pont. Ace. Arch. », 1949-50, pp. 39-40; e di P.
MINGAZZINI, Gli archeologi italiani in on. di A. Maiuri, Cava
d. T. 1965, pp. 315-336; una rassegna di iscrizioni e di mo-
numenti pro itu et reditu (anche salvum ire, salvum venire)
di G. MANGANARO, « Sic. Gymn. »,XIV (1961), pp. 175-191;
di tali monumenti vd. la cospicua collezione nel museo di
Siviglia.
Per gli atti degli Arvali, vd. l'ed. di AEL. PASOLI, Bologna
1950, e poi gli studi di J. ScHEID, Les Frères Arvales, Paris
1975 (di carattere prosopografico) e di R. SYME, Some Arval
Brethren, Oxford 1980: ma la bibl. è vastissima, come sugli
atti dei ludi saeculares, numerosi testi relativi a epoche di-
verse, per i quali vd. l'ed. di lo. B. PIGHI, Milano 1941.
Un esempio di regolamento collegiale, la lex familiae Sil-

114
L'epigrafia religiosa

vani, da Monteleone Sabino, del 60 d.C. (NotSc, 1928, pp.


387-397 = AEp, 1929, 161); vd. in genere F. M. DE Ro-
BERTIS, Storia delle corporazioni e del regime associativo nel
mondo romano, Bari [ 1971], ove tale testo è discusso alle
pp. 28-30; ivi anche altri regolamenti: la lex collegii Dianae
et Antinoi, da Lanuvio, del 136 d.C. (CIL, XIV, 2112) e la
lex collegii Aesculapii et Hygiae, da Roma, del 153 d.C. (CIL,
VI, 10234). Un testo esemplificativo dei regolamenti dei san-
tuari è la lex arae Iovis Salonitanae, da Salona, del 137 d.C.
(CIL, III, 1933; Dessau, 4907).
La bibliografia sulle iscrizioni religiose è molteplice: si
cita qui per il carattere generale solo J. ToUTAIN, Les cultes
pa'iens dans l'empire romain, I-III, Paris 1907-1917, cui fan-
no seguito numerose monografie di storia della religione ro-
mana e su singole divinità; per interessanti aspetti metodolo-
gici è ancora utile il saggio di V. MAccHIORO, Il sincretismo
religioso e l'epigrafia, <( Rev. Arch. », 1907, pp. 141-157 e
253-281; scegliendo tra gli studi sul culto imperiale, si citano
i numerosi scritti di L. R. Taylor, anche sul sevirato e sugli
Augustali (da ultimo, The divinity of the roman emperor,
Middletown 1931) e i saggi pubblicati in « Historia » da G.
Niebling (5, 1956, pp. 303-331) e da J. H. Oliver (7, 1958,
pp. 472-496), nonché l'esemplare monografia di R. ETIENNE,
Le culte impérial dans la péninsule ibérique d'Auguste à Dio-
clétien, Paris 1958. Sui monumenti dei culti ufficiali, vd. l.
ScoTT RYBERG, Rites of the state religion in roman art, Ro-
me 1955.
Per i culti orientali, vd. i numerosi volumi della collana
Etudes préliminaires aux religions orientales danr l'empire
romain (EPRO); principali raccolte: per il culto mitriaco,
]. M. VERMASEREN, Corpus inscriptionum et monumentorum
religionis Mithriacae, I-II, Den Haag, 1956-1960; per il cul-
to di Giove Dolicheno, il Répertoire di P. Merlat, Paris-Ren-
nes 1951 (e successivi studi del medesimo); per il culto di
Iside e di Serapide, L. VIDMAN, Sylloge inscriptionum reli-
gionis Isiacae et Serapiacae, Berolini 1969.

115
9. IL MESSAGGIO POLITICO,
LA MEMORIA STORICA

Ogni iscrizione reca un contributo alla memoria sto-


rica: una dedica sacra- magari alla Victoria o al genius
dell'imperatore - come un'iscrizione sepolcrale o una
legge o il resoconto di un'adunanza collegiale o curiale;
vi sono però iscrizioni romane volte a codificare e a tra-
mandare in maniera speciale la memoria di avvenimenti
o di personaggi di largo interesse nella storia della res-
publica o delle collettività civili: tali iscrizioni vengono
comunemente definite come onorarie, e per quel che con-
cerne la memoria storica vanno affiancate ai monumenti
figurati, come le colonne coclidi (la Traiana, l'Anton.ina),
le are dei riti pubblici, le sculture degli archi, molti sar-
cofagi e numerosi mosaici. Naturalmente si accostano a
tali iscrizioni nel significato commemorativo, quelle che
leggiamo su molti milliari e quelle che documentano la
costruzione di un edificio pubblico (di cui è parola sotto,
cap. l, 10) soprattutto quando si tratti della dedica di
quell'edificio o monumento a un grande personaggio, di
cui ricordano la carriera e le funzioni sino a quel momen-
to. Si annoverano tra le iscrizioni di rilevante interesse
storico il grande resoconto delle res gestae di Augusto
- il suo testamento - noto in redazione latina ed in
traduzione greca, i fasti, cioè gli elenchi dei magistrati
- e soprattutto i fasti Capitolini, che recano la redazio-
ne della lista dei consoli- e gli elogia, iscrizioni in ono-

116
Il messaggio politico

re di personaggi talvolta solo leggendari, dove il nome


è spesso accompagnato dalle loro imprese.
Nei fori e nelle necropoli le iscrizioni dei notabili
sono solitamente accompagnate dal loro cursus honorum,
cioè dalla carriera compiuta, che naturalmente risulta
completa sulle iscrizioni funerarie diversamente dalle de-
diche in città, dove è più frequente che venga posto in
evidenza il legame del personaggio al luogo (patronato,
benemerenze). Il cursus può essere diretto, cioè con le
diverse cariche e funzioni della carriera elencate in senso
ascendente, o inverso, ma spesso senza rigore: tuttavia
il cursus, affidato alla considerazione e alla memoria dei
lettori, costituì un importante fondamento della cono-
scenza e del rispetto dell'ordine e delle gerarchie. Tra le
diverse carriere del sistema civile romano, due assumono
rilievo per la loro documentazione nelle iscrizioni, quella
cittadina e quella statale. Le città, cioè i municipi e le
colonie, hanno un loro senato (ordo decurionum, o sena-
tus ); i magistrati inseriscono e alternano nella loro car-
riera anche sacerdozi e curatele locali.
Nella respublica le carriere sono diverse, sino alla
riforma tetrarchica, secondo l'appartenenza all'ordine se-
natorio o all'ordine equestre. Nel primo, si poteva giun-
gere alle cariche più elevate, cioè sino al consolato, dopo
avere ricoperto all'inizio una delle funzioni del vigintivi-
rato (i Xviri stlitibus iudicandis, i IIIviri kapitales, i
IIIviri a(uro) a(rgento) a(ere) f(lando) f(eriundo), i Nvi-
ri viarum curandarum) ed avere trascorso un certo tempo
presso una legione come tribunus militum (laticlavius);
seguivano alle più alte magistrature le promagistrature
(governatori provinciali), sommi sacerdozi, curatele di
alta importanza. I cavalieri permanevano più a lungo
dei senatori nel servizio militare (le cosiddette militiae
equestres comprendono la prefettura o il tribunato di

117
Epigrafia romana

una coorte ausiliaria, il tribunato angusticlavio di una le-


gione, la prefettura di un'ala), poi adlvano a due distinti
gruppi di funzioni: le procuratele (con compiti essen-
zialmente finanziari) e le prefetture, con compiti civili e
anche militari (il praefectus classis, il praefectus praeto-
rio, o il governo di una provincia, nel caso dell'Egitto).
Nel riassetto dioclezianeo delle carriere, si identifi-
cano tre categorie di cariche, distinte dall'appellativo por-
tato dal notabile: clarissimus vir, o vir clarissimus et
spectabilis, oppure vir clarissimus et inlttstris, ecc.

Un esempio tipico di cursus cittadino, da Sitifis nella Mau-


retania Cesariense (CIL, VIII, 8439): Marti Victori Aug(u-
sto) sac(rum) M. Ulpius M.f. Pap. Andronicus, q(uaestor),
aed(ilis), Ilvir, flam(en), Ilvir q(uin)q(uennalis), pecunia
sua posu[it].
Un esempio di cursus senatorio, di un console suffetto del
101-102 d.C., da Cures (CIL, IX, 4965): L. Iulio L.f. Fab.
Marino Caecilio Simplici, IIIIviro viarum curandarum, tr(i-
buno) mil(itum) leg(ionis) IIII Scythicae, q(uaestori) pro-
pr(aetore) provinciae Macedoniae, aedili pleb(is), praetori,
leg(ato) propr(aetore) provinciae Cypri, leg(ato) propr(aeto-
re) provinciae Ponti et Bithyniae proconsulatu patris sui, cu-
ratori viae Tiburtinae, fratri Arvali, leg(ato) Au.'!(usti) le-
g(ionis) XI C(laudiae) p(iae) f(idelis), leg(ato) imp(eratoris)
Nervae Traiani Aug(usti) Germ(anici) provincia (sic) Lyciae
et Pamphyliae, proco(n)s(uli) provinciae Achaiae, co(n)s(uli).
Un esempio di cursus equestre, da un'iscrizione posta a
Roma ad un prefetto dell'Egitto dai mercanti d'olio della Be-
tica (CIL, VI, 1625b): M. Petronio [M.f.] Quir. Honorat(o)
praef(ecto) coh(ortis) I Raet[orum], trib(uno) mil(itum) le-
g(ionis) I Miner[viae] p(iae) f(idelis), praef(ecto) alae Au-
g(ustae) p(iae) f(idelis) [Thrac(um)] proc(uratori) monet(ae),
proc(uratori) XX [hered(itatium)], proc(uratori) prov(in-
ciae) Belg(icae) et duar(um) Germaniar(um), proc(uratori) a

118
Il messaggio politico

ratio[n(ibus)] Aug(usti), praef(ecto) annon(ae), praef(ecto)


Aegypti, pontif(ici) minor[i], etc.
Un esempio di cursus dell'età tarda (un console del 448
d.C., CIL, VI, 1761, da Roma): Rufius Praetextatus Postu-
mianus v(ir) c(larissimus), filius magnifici viri Mariniani prae-
fecti praetorio et consulis ordinarii, quaestor candidatus prae-
tor urbanus, tribunus et notarius praetorianus, praefectus ur-
bi secundo, consul ordinarius, quos tantos ac tales honores
primo aetatis suae flore promeruit.
Un esempio di elogium, da Arezzo, ad Appio Claudio Cie-
co (CIL, XI, 1827; Inscrit, XIII, 3, 79) Appius Claudius C.
f. Caecus, censor, co(n)s(ul) bis, dict(ator), interrex III pr(ae-
tor) II, aed(ilis) cur(ulis) II, q(uaestor), tr(ibunus) mil(itum)
III, complura oppida de Samnitibus cepit, Sabinorum et Tu-
scorum exercitum fudit, pace fieri cum Tyrrho (sic) rege pro-
hibuit, in censura viam Appiam stravit et aquam in urbem
adduxit, aedem Bellonae fecit. Traluce da questa iscrizione
sia il disegno interpretativo della memoria storica sia il ca-
rattere politico e programmatico dell'onore reso, alcuni secoli
più tardi, al personaggio.
Fasti ed elogi sono raccolti, con amplissimo commento,
da A. DEGRASSI, Inscrit, XIII, l (1947); 2 (1963); 3 (1937).
Tra le numerose edizioni delle res gestae divi Augusti, si
ricordi quella di C. Barini, a cura dell'Ace. dei Lincei, Roma
1937.
Si collegano alle iscrizioni dei magistrati i programmi elet-
toriali, letti segnatamente sui muri di Pompei; vd. J. L. FRAN-
KLIN Jr., Pompeii: the electoral programmata, campaif!.ns and
politics, A.D. 71-79, « Pap. & Mon., Amer. Acad. Rome»,
XXVIII (1980).

Costituiscono parte importante delle iscrizioni ono-


rarie quelle degli imperatori, la cui titolatura - di emi-
nente significato politico (cf. Svet., Tib., 50, 2) - si
legge anche sui prescritti dei documenti da loro ema-
nati o comunque promulgati durante il loro governo. Si

119
Epigrafia romana

distinguono nella titolatura tre gruppi di elementi: a) i


nomi, sia quelli personali, sia i tria nomina (imperator,
Caesar, Augustus) che designano l'imperatore nel signi-
ficato del suo altissimo ruolo; vi si collega spesso il pa-
tronimico (solitamente adottivo) preceduto da divus, a
significare la divinizzazione post mortem; h) i co gnomi-
na ex virtute, collegati alle imprese vittoriose in terre
e su popoli ostili, i titoli onorifici, come pater patriae e
gli appellativi come pius, felix, ecc.; c) le funzioni e i
poteri, come il pontificato massimo, il consolato, le ac-
clamazioni imperatorie, la tribunicia potestas: questi ul-
timi tre elementi sono quasi sempre seguìti da un nume-
ro indicativo della ripetizione del conferimento, utile -
in particolare nella potestà tribunizia - a datare l'iscri-
zione.
La fioritura e la varietà degli appellativi nella titola-
tura imperiale, specie nell'età tardo-antica, costiruiscono
uno dei fattori più appariscenti della propedeutica poli-
tica, una vera tecnica del consenso.

Esempi di titolature imperiali: Traiano, in un'iscrizione


del 107-108 d.C. da Aime-en-Tarantaise, nella Gallia Narbo-
nese (CIL, XII, 105): Imp. Caesari divi Nervae f. Nervae
Traiano Aug., Germ(anico), Dacico, pontifici max(imo), tri-
bunic(ia) potest(ate) XII, imp(eratori) VI, co(n)s(uli) V, p(a-
tri) p(atriae), devictis Dacis Foroclaud(ienses) publ(ice); Ca-
ro e Carino, in un'iscrizione su una colonna onoraria da Thu-
burbo Maius, del 282 d.C. (A. MERLIN, Inscr. latines de la
Tunisie, Paris 1944, 719): Imp. Caes. M. Aurelio Caro pio
fel(ici) Aug., invicto, p(ontifici) m(aximo), trib(unicia) po-
t(estate), co(n)s(uli), p(atri) p(atriae), proco(n)s(uli), et M.
Aurelio Carino nobilissimo Caes. Aug. Pacatores orbis gen-
tium nationumque omnium. Col(onia) Iul(ia) Aurel(ia) Co-
m(moda) Thuburbo Maius, devotea (sic) numini maiestatique
eorum.

120
Il messaggio politico

Tavole cronologiche delle titolature imperiali si trovano


nei manuali; vd. in particolare nel Calderini, a cura di S. Da-
ris, pp. 341-354.
Della copiosissima bibliografia in merito, si citino: M.
HAMMOND, Imperia! elements in the formula of the roman
emperors during the /irst two and half centuries of the em-
pire, << Mem. Amer. Acad. Rome», XXV (1957), pp. 19-64;
R. SYME, Imperator Caesar, « Historia », 7 (1958), pp. 172-
188; P. KNEISSL, Die Siegestitulatur der romischen Kaiser,
usw., « Hypomnemata », 23, Gottingen 1969; D. A. MuscA,
Le denominazioni del principe nei documenti romani, I e II,
Bari 1979; un'esemplare ricerca specifica, A. MASTINO, Le
titolature di Caracalla e Geta attraverso le iscrizioni, Bolo-
gna 1982.
Esistono grandi opere di consultazione prosopografica, e
liste di magistrati; la produzione bibliografica in merito è va-
stissima, di diverso valore, e soggetta alle necessità di un co-
stante aggiornamento. Si ricordano quindi tra le numerose
pubblicazioni la Prosopographia Imperii Romani saec. I, II,
III (PIR), a cura di E. Klebs, P. de Rhoden, H. Dessau, Be-
rolini 1897-1898, completa; la seconda edizione (PIR2), a cu-
ra di E. Groag, A. Stein, L. Petersen, è in corso (Berolini-
Lipsiae dal 1932). È compiuta inoltre la Prosopography of
the later roman empire, I, A.D. 260-395, Cambridge 1971,
a cura di A. H. M. Jones, J. R. Martindale e J. Morris; II,
A.D. 395-527, Cambridge 1980, a cura di J. R. Martindale
(si cita spesso PLRE). Tra le liste dei magistrati, si citano:
T. R. S. BROUGHTON, The magistrates of the roman repuhlic,
3 voli., Cleveland Ohio 1951-1960; A. DEGRASSI, I fasti con-
solari dell'impero romano dal 30 a.C. al 613 d.C., Roma
1952; B. E. THOMASSON (Benedictus Thomae), Laterculi
praesidum, in corso pubbl. a Goteborg; H.-G. PFLAUM, Les
carrières procuratoriennes équestres sous le Haut-Empire ro-
main, 4 voli., Paris 1960-61; A. CHASTAGNOL, Les fastes de
la préfecture de Rome au has-empire, Paris 1962; H. DEVIJ·
VER, Prosopographia militiarum equestrium quae fuerunt ah
Augusto ad Gallienum, 3 voli., Leuven 1976-1980; inoltre,

121
Epigrafia romana

tra i numerosi fasti provinciali, G. ALFOLDY, Fasti Hispa-


nienses, Wiesbaden 1969; H.-G. PFLAUM, Les fastes de la
province de Narbonnaise, <<Gallia», Suppl. XXX, Paris 1978;
A. R. BIRLEY, The fasti of roman Britain, Oxford 1981.

Vanno apprezzate tra le iscrizioni destinate ad ap-


puntare la memoria storica, poi tramandate solo dagli
scrittori, quelle precarie e posticce, i tituli sui cartigli e
su tabelle, destinati a comparire come didascalia o com-r
memorazione iscritta sul legno o su altra materia deperi-
bile: spesso un grido di trionfo o di rabbia, come dei
redde Germanicum (Svet., Tib., 52) graffiti sui muri e
urlati di notte per le strade. Nelle processioni trionfali
e alle porte dei templi, o nel loro interno accanto alle
spoglie, si leggevano cartelli con lunghi elenchi di res
gestae, di captivi e di prede; inoltre tabelle provvisorie
erano apposte alle basi di statue onorarie prima che il
lapicida provvedesse all'iscrizione, quindi come sue mi-
nute, mentre cartelli polemici venivano appesi per espri-
mere la satira o il dissenso (Tac., Ann., XVI, 7, 10), con
riferimento alle immagini o ai monumenti ma già con lo
spirito romanesco di Pasquino, di Marforio e di monna
Lucrezia. Leggeva quindi queste iscrizioni tutto il pub-
blico delle vie e delle piazze, sia che assistesse alle pro-
cessioni, che ammirasse le spoglie depositate nei santua-
ri, che si soffermasse furtivo ed arguto ad argomentare
sulle scritte clandestine, sia infine che assistesse ai sup-
plizi (Svet., Calig., 32, 2; Domit., 10): il più famoso,
il più riprodotto di simili cartigli è trasmesso dalla vulga-
ta dei Vangeli: INRI.
Cancellare o coprire le iscrizioni significava soppri-
mere e condannare la memoria di un personaggio: quan-
do questi veniva colpito dal provvedimento della damna-
tio memoriae (come molti imperatori, Nerone, Commo-

122
Il messaggio politico

do, Geta, per esempio), il suo nome veniva scalpellato


ovunque (anche negli appellativi dei reparti militari), e
lo spazio eraso veniva colmato in maniera diversa, spes-
so allargando la titolatura di un altro personaggio nomi-
nato nella stessa iscrizione; il primo segnale della con-
danna consisteva nel fango buttato sui nomi: lutati sunt
tituli statuarum (Heliogab., 14, 2; cf. 13, 7).

123
10. LE COMUNICAZIONI PRESCRITTIVE
E INDICATVE

Si raccolgono sotto questo titolo molte iscrizioni, il


cui significato tocca anche talvolta i termini del messag-
gio storico; si propone di classificarle nei modi seguenti:
a. didascalie (anche su cartigli): nomi di personag-
gi, di figure mitologiche, di simboli zodiacali, di monu-
menti, di luoghi, di animali, o altro, per lo più su mosaici
e sculture; designazioni onomastiche sulle erme - qua-
si sempre in greco, spesso accompagnate da epigrammi
- e su basi di statue, dove peraltro prevale l'interesse
onorario e della memoria storica; infine qualsiasi altra
indicazione onomastica, stabile o precaria (anche di so-
prannomi);
b. targhe, insegne commerciali (spesso in mosaico)
sulle soglie di uffici e di taberne, o nel loro interno, co-
me sul piazzale ostiense delle Corporazioni; assumono
valore indicativo anche le iscrizioni dedicatorie di templi,
di mercati, di ponti, di acquedotti, di altri edifici di uso
pubblico; si aggiungano le iscrizioni apposte da reparti
militari su opere difensive e castrensi;
c. avvisi di proprietà o di uso, per sepolcri, per
parti di edifici, per passaggi, per sedili nell'ambito di
monumenti agonistici; cippi terminali di territori - con-
seguenti a delimitazioni di confini operate di solito a
seguito di arbitrati - , di pomerii urbani, di rispetto del-
l'area adiacente agli acquedotti, di partizione coloniaria

124
Le comunicazioni prescrittive e indicative

degli agri (i cosiddetti cippi graccani), di confine di fondi


o altre proprietà, di santuari e aree consacrate;
d. catasti, mappe, registri fondiari; si ricordano al-
cuni testi famosi: il catasto di Orange (A. PIGANIOL, «Gal-
lia», Suppl. XVI, 1962), la forma Urbis Romae (G. CA-
RETTONI, A. M. COLINI, L. CozzA, G. GATTI, La pianta
marmorea di Roma antica, 2 voli., Roma 1960; aggiornam.
di E. RoDRIGUEZ ALMEIDA, Forma Urbis marmorea,
2 voli. Roma 1981), la tavola Veleiate (CIL, XI, 1147);
e. milliari: quasi sempre di forma cilindrica o tron-
coconica, sono disposti lungo le strade e recano almeno
il numero delle miglia (ma si hanno anche milliari ane-
pigrafi, semplici paracarri) o dal caput viae o dal centro
più vicino, talvolta anche l'itinerario nei suoi estremi,
il nome del magistrato che ha provveduto alla costruzio-
ne o al restauro della strada (il nome può essere scritto
in caso nominativo, ma anche in dativo, come vera de-
dica onoraria, o in ablativo, come datazione): nell'età
tardo-antica compaiono titolature complesse che giustifi-
cano l'ipotesi di un'apposizione o di un rifacimento dei
milliari solamente con scopo o come pretesto di apolo-
gie, cioè di autentici manifesti del consenso politico.
I milliari rappresentano un importante elemento di
raccordo culturale tra il capoluogo - dal quale spesso
numerano le distanze - e il territorio, inoltre costitui-
scono un raro esempio di scrittura lapidaria lontano dai
centri abitati, formano frequentemente il nome di luoghi
(sempre riferiti alla distanza dal centro più vicino: i nu-
merosi Terzo, Quarto, Quinto, Sesto, Settimo, Ottavo,
sino per es. al Quintodecimo presso Acquasanta, sulla
via Salaria, a XV miglia da Ascoli Piceno), ravvivano in-
fine il ragionare dei viaggiatori, che collegano al milliario
(ed all'indicazione che porta) la fatica del cammino, il
programma quotidiano, la prospettiva appagante della

125
Epigrafia romana

sosta (presso un'osteria, a cambiare di cavalcatura); il


milliario mette cosl ordine nei pensieri e concreta una
dimensione temporale del tutto psicologica (Quintil., IV,
5, 22: facientibus iter multum detrahunt fatigationis no-
tata inscriptis lapidibus spatia).
Si raccolgono accanto ai milliari anche numerose iscri-
zioni itinerarie, spesso collegate alla costruzione delle
vie e delle opere pubbliche e di carattere apologetico: si
ricordino l'iscrizione traianea sull'arco nel porto di An-
cona (CIL, IX, 5894, sull'attrezzatura dello scalo), la
tavola traianea lungo il percorso fluviale sul Danubio
(ClL, III, 1699 e 8267), la celeberrima iscrizione di
Polla lungo la via da Capua a Reggio Calabria {lnscrlt,
III, l, 272);
f. firme di artisti; annotazioni (per lo più graffite)
su zoccoli e parti grezze di monumenti, recanti la desti-
nazione o altra indicazione (Agrippa si legge in scrittura
frettolosa sul lato del piedistallo di una statua nel museo
di Merida); marchi di cava (di cui si è detto anche sopra,
cap. l, 5); segni d'opera;
g. calendari, quasi tutti da Roma e dalla penisola,
uno solo - l'Anziate - anteriore alla riforma giulio-
claudia, tutti databili tra la fine dell'età repubblicana e i
primi decenni del I secolo;
h. leggi e provvedimenti (dei diplomi militari e di
alcune tessere si dirà sotto al cap. I, 11, nel novero delle
iscrizioni mobili), senatusconsulta, editti e decreti magi-
stratuali e imperiali, epistole e rescritti, costituzioni mu-
nicipali e tabulae patronatus, atti e deliberazioni di col-
legi e di curie: ciascuno di questi documenti ebbe valo-
re prescrittivo nel momento in cui aveva anche signifi-
cato politico (un esempio: i cosiddetti decreta Pisana in
onore di Gaio e Lucio Cesari, CIL, XI, 1420-21 ).
Nell'ambito di questa categoria si colloca anche il

126
Le comunicazioni prescrittive e indicative

celebre Edictum Diocletiani et Collegarum de pretiis re-


rum venalium (vd.l'edizione di M. GrACCHERO, voll. I-II,
Genova 1974), il calmiere recuperato in più frammenti
da copie diverse.
i. atti privati: negotia, testamenta, ecc.

Qualche esempio: - il nome di un animale (un cavallo


da battaglia?) su un'iscrizione nel museo di Oviedo (CIL, II,
5735): D(is) M(anibus) m(onumentum) Ael(ius) pos(uit)
Sep(timio) Sil(o) fra(tri) suo Vad(iniensi), anno(rum) XXXV
S(it) t(ibi) t(erra) l(evis). Nella parte inferiore: scena di cac-
cia; sul corpo del cavallo Sep(timi) Sil(i) bel(lator?).
- costruzione di un acquedotto, a Penne (CIL, IX,
3351): C. Aculenus Q.f. [--], C. Teucidius N.f. Lib [--]
IIIIvir(i) aquam Vent'inam ex s(enatus) c(onsulto) cluden-
dam cellasq(ue) fontis et Ventinae et Virium faciendas con-
camerand(as) curarunt, proharunt, dedicaruntque.
- iscrizioni di impianti termali: a Bologna, targa (CIL,
XI, 721): In praedis C. Legianni Veri [b]alineum more ur-
bico lavat [et 7 omnia commoda praestantur; su mosaico,
esempi dell'Africa proconsolare («Archeologia))' 48, 1968,
p. 437): nell'entrata, bene laba; all'uscita, salvom lavisse;
inoltre il celeberrimo pompeiana cave canem.
- un'insegna commerciale, di un'officina epigrafica, da
Palermo, vd. sopra cap. I, 5.
- per la costruzione di un ponte, da Aenona (A.-J. SA-
SEL, Inscr. Lat. quae in Iugoslavia inter annos MCMXL et
MCMLX rep. etc., Ljubljana 1963, 215): C. Iulius Ceuni f.
Ser(gia) Curticus Aetor pontem de sua pecun(ia) fecit lon-
g(um) p(e)d(es) CXXCVII, lat(um) p(edes) X.
- avvisi di proprietà e di uso (servitù, servizi): da Ro-
ma, ora nel museo di Palermo, tabellina attestante il posses-
so di urne entro un colombario (CIL, VI, 5723; L. BIVONA,
lscr. lat. lapidarie del museo di Palermo, Palermo 1970, 150,
tav. LXXVI): L. Sutorius L.l. Diogenes ollas superior(es)
III!, infer(iores) Il; da Vidy, nel locale museo (G. WALSER,

127
Epigrafia romana

Romische Inschriften in der Schweiz, I, Bern 1979, 57): pa-


ries perpetu[us] (o perpetu[o]) communis est; da Brescia,
nel museo (CIL, V, 4787): iter [ad ar]am mon[um]enti
in perpetuum; da Teramo, nel museo (CIL, IX, 5086): iter
priv(atum) fundi Nepotiani.
- indicazione della consacrazione di un'area sepolcrale:
da Genova, nel museo di Pegli (CIL, V, 7747): intra con-
saeptum maceria locus deis Manibus consacratus.
Iscrizioni per la designazione di posti e di sedili negli edi-
fici agonistici si leggono su moltissimi monumenti, a par-
tire dal Colosseo, .in ogni parte dell'impero.
I cippi limitanei delle aree sepolcrali recano talvolta il
nome siglato del proprietario; più spesso le semplici .indica-
zioni di misura, in piedi (e anche in sottomultipli) con formu-
le d'uso del tipo in front(e) (cioè lungo la via) e in agr(o)
(compare talvolta il caso accusativo), oppure q(uo)q(uo)-
v(ersus). Si istituisce in certi casi un utile confronto tra i cip-
pi limitanei e l'iscrizione che è al centro del monumento: si
nota nei primi una redazione meno accurata, forse di mani di
apprendisti; il rapporto culturale che cosl si scopre illumina
sui procedimenti e sulle tecniche officinali.
I cippi gromatici sono iscritti solitamente sul piano supe-
riore, dove recano le indicazioni topografiche, e sulla fronte,
ove si leggono i nomi dei magistrati preposti all'assegnazio-
ne: un esempio da Sicignano degli Alburni (ILLRP, 469, ed
ivi commento storico su questa categoria d'iscrizioni, con
bibl.): sul vertice, d(ecumanus) XIII, k(ardo) I; sulla fron-
te, C. Semp[ron]ius Ti.f., Ap. Claudi(us) C.f., P. Licini(us)
P.f. IIIvir(ei) a(gris) i(udicandis) a(dsignandis).
Un esempio di cippo pomeriale (CIL, VI, 31539, tre
esemplari), del 121 d.C.: Ex s(enatus) c(onsulto) collegium
Augurum, auctore imp. Caesare Divi Traiani Parthici f., Divi
Nervae nepote, Traiano Hadriano Aug., pont(ifice) max(imo),
trib(unicia) pot(estate) V, co(n)s(ule) III, proco(n)s(ule),
terminos pomerii restituendos curavit; su uno degli esempla-
ri, lato sinistro: VI; lato destro: p(edes) CCCCLXXX.
Un esempio di cippo di acquedotto, da Venafro (CJL, X,

128
Le comunica1.ioni prescrittive e indicative

4843, due esemplari): Iussu imp. Caesaris Augusti circa eum


rivom qui aquae ducendae causa factus est, octonos ped(es)
ager dextra sinistraq(ue) vacuus relictus est.
Milliari: da Sant'Omero (dalla via Caecilia), del 142, me-
glio del 117 a.C. (CIL, F, 661; IX, 5953; ILLRP, 459; A.
DoNATI, << Epigraphica », XXXVI, 1974, pp. 208-210, n. 49):
L. Caecili(us) Q.f. Metel(lus) co(n)s(ul). CXIX, Roma; da
Alba Fucens (dalla via Valeria), del 350-351 d.C. (NotSc,
1950, pp. 251-252, fig. 4; DoNATI, loc. cit., pp. 187-188, n.
26): LXVIII. Liberatori orbis [Ro]mani, restitutori [lib]er-
tatis et reipubli[c](a)e, [co]nservatori militum et provincia-
lium, [d(omino) n(ostro)] Magn[en]tio, invicto principi, vi-
ctori ac triumfatori, semper Augusto, Fl[a]vius Ro[ma?]nus,
v(ir) c(larissimus), c[onsul]aris Flamini(a)e et Piceni cu-
ravi[t].
Sugli aspetti giuridici della collocazione del milliario su
una via pubblica e sugli aspetti formali dei testi (soprattutto
nell'età tardoantica), vd. l. KoNIG, « Chiron >), 3 (1973), pp.
419-427.
I marchi di cava sono raccolti nella trattazione, tuttora
utile, di L. BRUZZA, « Ann. Inst. >), 1870, pp. 106-204.
Sui segni d'opera, della copiosa bibl. vd. G. LuGLI, La
tecnica edilizia romana, I, Roma 1957, pp. 199-207, ed ivi
tabelle. Sul valore di tali segni, vd. sopra, cap. I, 5.
Sulle firme di artisti, di artigiani, di fabbricanti, vd. G.
SrEBERT, « Ktema >), 3 (1978), pp. 111-131.
I calendari sono pubblicati in edizione critica e con am-
plissimo commento da A. DEGRASSI (lnscrlt, XIII, 2, del
1963).
Per la produzione legislativa e normativa in genere, vd. la
bibl. di epigrafia giuridica raccolta sotto al cap. III, l. Si
aggiunga l'elenco commentato delle leges, a cura di G. BAR-
BIERI e G. TIBILETTI, Di%Ep, s.v. lex (1956-57). Numerosi
prowedimenti e statuti municipali provengono dalla peniso-
la iberica: vd. A. D'ORs, Epigrafia ;uridica de la Espaiia ro-
mana, Madrid 1953; sulla tavola di Botorrita, G. FATAS, Ta-
bula Contrebiensis, Zaragoza 1980.

129
Epigrafia romana

Tra le comunicazioni indicative vanno annoverate anche


quelle del tutto precarie, ma eli alto significato storico, eli cui
è talvolta testimonianza negli scrittori: come l'imposizione
ai Tarantini eli tracciare il nome eli Annibale sulle porte delle
loro case (Liv., XXV, 10, 9-10: Hannibal... recipere se in do-
mos suas quemque iussit et foribus nomen suum inscribere).

l30
11. LE ISCRIZIONI MOBILI E STRUMENTALI

Molte iscrizioni, di solito brevi, sono tracciate su og-


getti mobili, che si trasportano facilmente per essere ven-
duti o impiegati, o che si portano addosso, o che sono
destinati a depositi o ad archivi: si tratta nella maggior
parte dei casi di oggetti in terra cotta o in metallo, che
prendono il nome globale di instrumentum, che assom-
mano - come si è detto - ad un numero impressio-
nante in tutto il mondo romano. La loro completa cata-
logazione è un'impresa pressoché impossibile, come è
difficile stendere una classificazione degli oggetti iscritti,
dal momento che qualsiasi oggetto, di qualunque mate-
riale, poteva recare un'iscrizione.
Si può tentare una classificazione di questo immenso
patrimonio iscritto secondo diversi codici: di solito i ma-
nuali seguono la tipologia degli oggetti, cioè i mattoni,
le lucerne, gli anelli, i diplomi, ecc.; l'archeologo che si
accontenti di una scheda sommaria trova già soddisfa-
zione in questo sistema. Diversamente si possono classi-
ficare queste iscrizioni secondo il loro contenuto: per
es. il marchio di fabbrica (su una tegola, su un'anfora,
su una lucerna), oppure l'indicazione della proprietà (su
un vaso, sul collare di un cane, sul sigillo), o la nota del
contenuto e della destinazione di un prodotto (sul ven-
tre di un'anfora colma d'olio o di vino, sulla pomata di
un oculista), o un'indicazione meramente strumentale (un
peso col suo valore, una moneta, una tessera che serve
da gettone), o una dedica, un'acclamazione, un'invettiva,
un responso oracolare, un'espressione esorcistica o pro-

131
Epigrafia romana

ptzlatoria, o una semplice comunicazione personale affi-


data a qualsiasi oggetto in qualsivoglia materiale, ecc. Il
medesimo oggetto poteva recare più iscrizioni, di diverso
tenore.
Infine si può tracciare, come si farà qui di seguito,
una classificazione delle iscrizioni mobili e strumentali
- la cui conoscenza è spesso condivisa dalle tematiche
di altre discipline, come la papirologia, la numismatica,
la metrologia, o la paleografia in genere - secondo lo
scopo che l'iscrizione si prefiggeva e cioè: a) iscrizioni
su oggetti destinati a servire come semplice superficie
scrittoria, per affidare loro - come a qualsiasi altro
oggetto utile - una comunicazione privata e personale;
b) iscrizioni su oggetti destinati alla conservazione ed
anche ad essere esposti in pubblico, ma ancora di carat-
tere personale, tali da specificare la qualità dell'oggetto
o il messaggio di colui che lo usa, ma non riprodotte in
serie, quindi degli unica; c) iscrizioni bollate, da mar-
chio, o riprodotte in serie.
La prima serie di iscrizioni a) raccoglie: l. appunti
e comunicazioni epistolari, esercitazioni scrittorie, atti e
documenti della vita economica e amministrativa: su pa-
piro, dall'Egitto, da Ercolano, da Ravenna, da Dura Eu-
ropos, ecc.; su tavoletta cerata: ancora dall'Egitto, dalle
città vesuviane, dalle miniere d'oro di A/burnus Maior
in Dacia (si scriveva sulla cera anche nell'interno delle
capsule da sigillo); su tavolette in legno, scritte col ca-
lamo e l'inchiostro {lettere e documenti da Vindolanda
in Britannia, le tavolette Albertini dal territorio di Tebes-
sa, che conservano atti notarili della fine del V secolo,
ecc.); su cuoio (messaggi e appunti dall'accampamento di
Vindonissa); su piombo: etichette con nomi di clienti di
una fullonica di Sciscia al museo di Zagabria; su laterizio,
eccetera;

132
Le iscrizioni mobili e strumentali

2. ostraka, cioè cocci ceramici che servono per brevi


appunti, contrassegni (si veda ad esempio il materiale
recuperato a Rimini), « comptes de potier » (a La Grau-
fesenque, a Salamanca, ecc.);
3. defixiones, lamelle recanti maledizioni, per lo più
in piombo, affidate al pugno chiuso di defunti per essere
celate ai viventi e recate invece alle divinità dell'oltre-
tomba, portatrici e nunzie di un messaggio coercitivo.
4. impronte di calzature o di piedi di animali su ar-
gilla, impresse prima della cottura.
La seconda serie b) comprende: l. alfabetari; itine-
rari: ad es. i vasi di Vicarello, le tavolette di Oviedo, ecc.,
altri oggetti didascalici peraltro forse prodotti in più
esemplari;
2. indicazioni di proprietà, di contenuto, su qualsiasi
recipiente od oggetto (dagli indirizzi e dalle annotazioni
ponderali dipinte sul ventre delle anfore vinarie ed olea-
rie ai graffiti metrologici sui lingotti metallici};
.3. gioielli, gemme, cammei iscritti, che spesso ripe-
tono - anche nella raffigurazione - motivi e leggende
stereotipe, ma che sono frutto di elaborazioni singole
(non a marchio, per intenderei}, e che costituiscono una
autentica antologia del sapere comune (massime, detti,
sentenze, proverbi), collegato alle iconografie;
4. anelli, sigilli, col nome del proprietario o del re-
sponsabile del messaggio o della spedizione;
5. ex voto, in terracotta, in piombo, in argento, ecc.,
spesso prodotti in serie o addirittura da stampo, dove
però l'iscrizione è per lo più aggiunta e tracciata volta
per volta; si aggiungano gli oggetti comunque dedicati
alla divinità, per esempio i pocola deorum;
6. iscrizioni acclamatorie su qualsiasi oggetto, quan-
do non prodotto in serie (come invece i vasi potori con
gli infiniti utere felix e bibe libenter): dalle stoviglie

133
Epigrafia romana

alle armi (spesso anche consacrate come spoglie dopo i


trionfi), agli elementi della panoplia e dei finimenti (in
metallo, in avorio, in cuoio: spesso si ricorreva in questi
casi alla tecnica del traforo), alle insegne (Svet., Vesp.,
6, 3: assensere cuncti nomenque eius vexillis omnibus
sine mora inscripserunt); spesso l'acclamazione e l'augurio
si concretano in un semplice vivas;
7. diplomi militari, in bronzo, a dittico, rilasciati per
l'honesta missio (il congedo), con una parte del testo che
ripete formule e indicazioni comuni a tutti;
8. tessere, quasi sempre in osso: sono contrassegni
per usi diversi e si classificano di solito in nummularie
(etichette per il controllo dei sacchetti di monete), mili-
tari (piastre di riconoscimento), teatrali, frumentarie o
di ospitalità {per fruire di elargizioni e benefici); in
bronzo sono invece le tesserae patronatus, che recano le
attestazioni relative alla concessione del patronato;
9. sortes, per lo più lamelle o baculi (bastoncini in
bronzo o in osso), contenenti le risposte, a formula sta-
bile, fornite dai santuari oracolari;
10. collari di schiavi fuggitivi (e di cani, vd. per una
interpretazione dubbiosa CIL, XV, 7194: Fugi, lene me,
cum revocuveris (sic) me d( amino) m(eo) Zonino, acci-
pis solidum );
11. dittici consolari, in avorio: tabelle commemora-
tive dell'elezione consolare, in uso nel V secolo, prodotto
di officine colte operanti a palazzo;
12. iscrizioni, graffite o punteggiate, su strumenti, ar-
nesi e parti di attrezzi, di cui indicano presumibilmente
la persona che ne fa uso (es. Ianuarius, su doghe in
ferro di un barile, nello Hunterian Museum, Glasgow).
In certo senso resta fluida la delimitazione tra la
serie b) e la c) delle iscrizioni mobili e strumentali: que-
st'ultima c), come si è detto, raccoglie gli oggetti bollati,

134
Le iscrizioni mobili e strumentali

o marchiati, dove la scrittura è ottenuta cioè mediante


l'impressione (sulla terracotta o sul metallo) di un tipa-
rio (o timbro, o sigillo, o conio), che attesta un modo di
produzione che ha effetti differenti rispetto alle iscrizioni
considerate in precedenza. L'oggetto bollato, anche se
coincide tipologicamente con qualcuno tra quelli sopra
già elencati, rappresenta infatti il vettore uniforme di un
messaggio prodotto in un unico luogo di emissione, in
moltissimi esemplari, quasi come uno stampato, quindi
in grado di raggiungere un numero assai elevato di mer-
cati e di consumatori; da un lato gli oggetti bollati con-
tribuiscono in maniera eccezionale ai processi di accultu-
razione e di alfabetizzazione, dall'altro concorrono a crea-
re tendenze omogenee ed a favorire monopoli economici,
accelerando in molte regioni il processo di evoluzione da
economie del baratto o premonetali a economie mone-
tali.
Nella serie c) delle iscrizioni di cui trattiamo si pos-
sono facilmente distinguere - proprio agli effetti del
ruolo che l'iscrizione assolve nell'ambiente cui è destinata
- due categorie: una di oggetti iscritti prodotti per una
breve vita, taluni a dissolversi e altri a celarsi alla vista
pubblica sino al momento del loro recupero archeologico;
l'altra di oggetti cui era assicurata, nelle intenzioni, una
lunga presenza. La prima categoria comprende anzitutto
ogni oggetto bollato destinato a far parte di un corredo
funerario (per es., molte delle lucerne sinora recuperate,
che peraltro finivano nelle tombe spesso dopo avere lun-
gamente servito nelle case); poi: l. tegole e mattoni,
col bollo di fabbrica (in qualche caso ed in certi periodi
accompagnato dalla datazione consolare); grappe metalli-
che, anch'esse, come i laterizi, in opera nelle murature;
2. fistole plumbee per acquedotti, e tuboli fittili per
condutture sotterranee; recano spesso l'indicazione dei

135
Epigrafia romana

preposti al servizio idrico e della capacità del condotto;


3. lingotti metallici, con l'impressione del nome del
produttore e spesso del funzionario preposto al controllo;
4. ghiande missili, proiettili in piombo con indicazioni
di reparto o di milizia, con acclamazioni o schemi guer-
reschi, usate però anche per messaggi particolari (Caes.,
Hisp., 13; 18);
5. pomate mediche, specie per la cura degli occhi (si
conservano i tipari in bronzo);
6. marchi impressi sul pane o altre vivande o mer-
canzie; marchi a fuoco sul bestiame: si tratta di solito
di attività dell'intendenza militare; si conserva qualche
ti pario.
La categoria delle iscrizioni su oggetti destinati ad
essere lungamente usati e visti in pubblico comprende:
7. bolli di fabbrica su oggetti diversi: vasi e recipienti
in terracotta o di metalli diversi, su armi, su anfore (soli-
tamente sul manico), su lucerne (questi ultimi consistono
in genere di un simplex nomen facilmente memorizzabile,
talvolta con palese valore semantico, ad es. Fortis);
8. formelle fittili, antepagmenta e antefisse in terra-
cotta, col nome impresso dell'artista;
9. poco/a marcati con il nome di divinità, quali ex
voto prodotti in serie (« Epigraphica », XXXII, 1970,
pp. 164-166, ed ivi bibl.);
10. auspici ed acclamazioni comunque impressi su
oggetti diversi (es.: accipio annu(m) novu(m) felice(m),
CIL, III, 6287);
11. pesi, bilance;
12. monete;
13. dadi, tessere e tavole lusorie;
14. pesi da telaio: nome convenzionale applicato a
piramidette quasi sempre fittili, con iscrizioni diverse,

136
Le iscrizioni mobili e strumentali

con effettiva destinazione strumentale, o votiva, o fune-


raria;
15. tabelle in osso per insegnare ai bimbi la scrittura,
di lettere in legatura e di sillabe (Quintil., l, l, 24-26).
I bolli o marchi usati nelle iscrizioni mobili e stru-
mentali sono spesso assai elaborati, con lettere in lega-
tura, e accompagnati talvolta da simboli (per es. una
palmetta), un vero marchio di fabbrica destinato ad un
intendimento familiare, simile per certi versi - special-
mente nelle età più tarde - ai nessi simbolici e criptici
delle scritture magiche e religiose; spesso il bollo è iscrit-
to entro un cartiglio, oppure (nel vasellame fittile e me-
tallico) entro il disegno dell'orma di un piede (in pianta
pedis), come in un primo accenno di design manifattu-
riero, volto a meglio catturare l'attenzione dei clienti.
I tipari (i timbri, o stampi, o sigilli: termini con
qualche accezione diversi) erano comunemente in bron-
zo, più raramente in ferro, in legno, in pietra; natural-
mente le iscrizioni vi compaiono retroverse, per essere
impresse; in qualche caso contrario i tipari servivano per
creare a loro volta altri punzoni, ma spesso vennero
ugualmente impressi (specie su laterizi); è frequente co-
munque il caso della N rovesciata.
Sullo stesso oggetto possono comparire più bolli, o
anche iscrizioni bollate assieme a testi graffiti (quasi
sempre in capitale comune o in minuscola): ad es. un
laterizio nel museo di Wels (Ovilava), ove si legge il
graffito XII kal(endas) Aug(ustas) Rogatus cui si sovrap-
pone, in parte, il bollo della legione II ltalica. Spesso si
associano in questo modo indicazioni relative alla produ-
zione (data, partita, figulo responsabile) e alla fabbrica
di emissione.
Oltre agli esempi già citati, si riportano qui iscrizioni pa-
radigmatiche di alcune categorie di oggetti: - defixio in

137
Epigrafia romana

piombo, da Aquae Sulis (Bath) (EphEp, VII, 827; A. Au-


DOLLENT, Defixionum tabellae, Luteciae Par. 1904, 104):
Q(ui) mihi ma(n)teliu(m) in[v]olavit, sic liquat [[c]] com
aqua ell[a] m[u?]ta, ni q(ui) eam [sa]lvavit Anniu(s) vel
Exsupereus, [V]erianus, Severinus A(u)gustalis, Comitianus,
Catusminianus, Germanill[a], !ovina: maledizione sui so-
spetti del furto di un mantello (lettura Audollent);
- iscr. dipinta su pancia d'anfora, da Pompei, casa del
Menandro (CIL, IV, 9315): Sur(rentinum vinum) (ex cella
vinaria) M.C.T., Ner(one Caesare cos. IV) (P.) Mario (Cel-
so) et (L. Afinio) Gallo co(n)s(ulibus); vino di Sorrento, il
nome del produttore è indicato solo da sigle, segue la data
del 62 d.C.; sotto, di altra mano: acet(um) Alex(andrinum);
altra iscrizione dipinta sull'altra parte dell'anfora, col nome
di Tiberius Claud;us Anthus, noto produttore di vino a
Pompei;
- gemme: una corniola da Amiens (CIL, XIII, 10024,
45), con l'iscrizione di parum te amo attorno ad un elemento
vegetale;
-tessera nummularia, dall'Esquilino, ora a Parigi, Ca-
hinet cles Médailles (CJL, P, 906; ILLRP, 1021): Gallio Pe-
dicae(i) (servus) sp(ectavit) k(alendis) Sep(tembribus), L. Iu-
lio C. Fig(ulo) (consulibus): operazione di controllo compiuta
il l 0 settembre del 64 a.C.;
- sors su ciottolo siliceo, con lettere rilevate, nel museo
di Fiesole, forse di provenienza picena (ILLRP, 1070; M.
GUARDUCCI, <<Par. Pass. »,LXX, 1960, pp. 50-53): Se cedues,
perdere nolo; ni ceduas, Fortuna Servios perit («se mi oh·
bedirai, non ti voglio rovinare; ma se non mi obbedirai ri-
cordati che per opera della Fortuna Servio andò in rovina »;
diversa interpretazione di E. PERUZZI, «Par. Pass. », LXVI,
1959, pp. 212-220, con altra interpunzione nella lettura del-
la prima parte: se cedues, perdere; nolo ni ceduas, « se parli,
sei perduto, non voglio che parli »);
- laterizi e tegole, a) una tegula agri Placentini, da Luga-
gnano, al museo di Parma (CIL, XI, 6673, 19; ILLRP, 1169):
M. Cocc(e)io L. Cellio co(n)s(ulibus). L. Naevi L. f(ili): data

138
Le iscrizioni mobili e strumentali

consolare (36 a.C., primo semestre) e bollo del fabbricante


impresso entro un quadrato; b) laterizio, bollo entro rettan-
golo (CIL, XV, 80): Poetino et Aproniano co(n)s(ulibus). M.
Bas(si) Caepioniana (122-123 d.C., lavorante, fornace); c) la-
terizio, bollo circolare con lunula aperta, iscrizione su tre li-
nee concentriche (CIL, XV, 375): L. Bruttidi(us) Augustalis
fer.(it) opus dol(iare) ex fig(linis) Caes(aris) n(ostri). Prop(in-
quo) et Ambi(bulo) co(n)s(ulibus) (lavorante, fornace, data
consolare - 126 d.C. - al centro);
- ghianda missile, forse dal teatro della guerra di Pe-
rugia (CIL, P, 685; EphEp, VI, 64, ZANGEMEISTER): L. An-
toni calve peristi, C. Caesarus (sic) victoria (allusione alla cal-
vizie di L. Antonio).
- sigillo di oculista, da Apulum (CIL, III, 1636): T.
Atti Divixti diazmyrnes post imp(etum) lip(pitudinis). T. At-
ti D(i)v(i)xt(i) nardinum ad impet(um) lip(pitudinis). T. At-
ti Divixti diamisus ad veteres cic(atrices). T. Atti Divixti dia-
libanu ad imp(etum) ex ovo: quattro facce del sigillo recanti
il nome del medico, del medicamento e del male da curare.
Nei volumi topografici del CIL l'instrumentum è pubbli-
cato in una sezione apposita alla fine; spesso però iscrizioni
graffite su oggetti o strumenti sono invece raccolte sotto i
singoli centri. Grande importanza assumono i cataloghi tipo-
logici delle diverse categorie degli oggetti, come gli scavi si-
stematici entro giacimenti di fittili (scarichi e depositi por-
tuali, ad es. il Testaccio, vd. E. RonRIGUEZ-ALMEIDA, ME-
FRA, 91, 1979, pp. 873-975, ivi bibl.) e gli studi d'insieme:
tra questi, L'instrumentum domesticum di Ercolano e Pom-
pei nella prima età imperiale, Quad. di cult. materiale, 1, Ro-
ma 1977; H. DRESSEL, Saggi sull'instrumentum romano, Re-
prints di arch., 2, Perugia [1978].
Bibl. speciale di alcune categorie d'iscrizioni mobili e
strumentali: sulle tavolette di Alburnus Maior, IDR, I, pp.
165-256, nn. 31-55 (I. I. Russu); sui prodotti su pelle da
Vindonissa, A. GANSSER-BURCKHARDT, Das Leder und seine
Verarbeitung im romischen Legionslager Vindonirsa, Basel
1942; sulle tavolette di Vindolanda, A. K. BoWMAN-J. D.

139
Epigrafia romana

THOMAS, The Vindolanda writing tablets, Newcastle u.T.


1974; sulle tavolette Albertini, CHR. CoURTOIS-L. LESCHI-
CH. PERRAT-CH. SAUMAGNE, T ablettes Albertini. Actes privés
de l'époque vandale, Paris 1952; sui « comptes de potier »,
F. HERMET, La Graufesenque (Condotomago), 1-11, Paris
1934 (rist. Marseille 1979) e art. di aggiornamento di J.
Marcillet-Jaubert. Sulle defixiones, dopo il cit. volume del-
l'Audollent, M. BESNIER, (( Rev. philol. », XLIV (1920), pp.
5-30; E. GARCÌA RUiz, (( Emerita», XXXV (1967), pp. 55-89
(studio linguistico).
Gli itinerari sono raccolti da K. MrLLER, I tineraria Ro-
mana, Stuttgart 1916; le tavolette da Astorga nel museo di
Oviedo, in M. BESNIER, Itineraires épigraphiques d'Espaf.ne,
<( Bull. Hispao. », 26 (1924), pp. 1-19; vd. anche J. M. RoL-

DAN HERVAS, Itinerario Hispanica, Madrid 1975, pp. 163-175.


Per i pocola deorum, vd. ILLRP, 32, e ivi altri es. e bibl.
Sui diplomi militari: IDR, l, pp. 64-164, nn. l-30b (1. I.
Russu); M. M. RoXAN, Roman military diplomas 1954-1977,
London 1978; vd. anche J. C. MANN, Honesta missio and the
Brigetio table, (( Hennes », LXXXI (1953). pp. 496-500. Per
le ghiande missili, G. ZANGEMEISTER, EphEp, VI (1885).
Dei sigilli di oculisti vd. l'ancora utile raccolta di E. EsPÉ-
RANDIEU, Recueil de cachets d'oculistes romains, Paris 1904.
Per la produzione laterizia, vd. H. BLOCH, I bolli laterizi
e la storia edilizia romana, <( Bull. Comm. arch. Roma »,
LXIV (1936), pp. 141-225; LXV (1937), pp. 83-187; LXVI
(1938). pp. 61-221; del Bloch infine il suppl. a CIL, XV, l
con gli indici completi dei bolli laterizi romani, (( Harvard
St. Class. Philol. » 58-59 (1949), pp. 1-104. Il bollo laterizio
è per qualche aspetto paragonabile al marchio di cava, che
però viene quasi sempre eraso in fabbrica. Sui sistemi delle
figuline, vd. T. HELEN, Organisation of roman brick pro-
duction in the first and second centuries A.D., Helsinki
1975. L'analisi dei bolli laterizi consente di intendere lo svi-
luppo dei monopoli produttivi e l'espansione del patrimonio
imperiale.
Per un'interpretazione globale del marchio bollato, vd. G.
ANcESCHI, Monogrammi e figure, Milano 1981.

140
PARTE SECONDA

EPIGRAFIA, COMUNICAZIONE E STORIA


l. LA SCRITTURA: MAGIA E SIMBOLO

Per comprendere il valore di un'iscrizione nella so-


cietà antica - e soprattutto in quella romana - biso-
gna scoprire i sentimenti e i significati, consapevoli e in-
consci, che la scrittura suscitò sia in chi la sapeva leg-
gere sia in chi la considerava senza compitarla, dai tempi
della prima alfabetizzazione sino alla tarda antichità. An-
zitutto va ricordato che la possibilità e la capacità di ren-
dere con segni pressoché convenzionali (o con grafemi)
dei suoni o dei fonemi, e quindi di trascrivere, con se-
quenze di segni, delle parole che significano degli oggetti
o dei concetti, cioè l'invenzione della scrittura alfabetica
nelle sue diverse fasi (a principiare dalle scritture silla-
biche) rappresentò un'autentica rivoluzione culturale, un
movimento con profondi effetti nella storia politica del-
l'umanità.
Da quel momento, o da quei momenti - nelle di-
verse epoche e in aree diverse - la scrittura, divenuta il
mezzo principale di comunicazione umana, si legò indis-
solubilmente ad una lingua: i processi di espansione e di
conquista dei popoli, e quindi di predominio della loro
lingua, si collegarono da quel tempo con l'espansione e
l'imposizione della scrittura; dove e quando questa an-
cora non si conosceva od aveva segni diversi, l'alfabetiz-
zazione divenne uno strumento della politica. Ai popoli
restò la possibilità d'intendersi, come accade anche oggi,

143
Epigrafia romana

con qualche simbolo (tutta la nostra civiltà è cosparsa


di segnali indicatori, dalle strade alle toilettes ), con i
gesti, con le boccacce, con gli occhi, con il complesso
della Gestalt, con il mimo. Si intende cosl il ruolo che la
scrittura latina, affidata alla visione pubblica dell'iscri-
zione, svolse nel processo di conquista dell'Italia e delle
province, in molti luoghi dove la scrittura era conosciuta
e praticata da pochissimi, se si tolgono cioè i paesi di
intensa ellenizzazione e in certa misura l'Egitto e alcuni
paesi semitici dell' Mrica.
Assieme al carattere portentoso che la scrittura alfa-
betica dovette assumere agli occhi di molte genti, c'è
da osservare che alla sua diffusione non fu estraneo il
bisogno di uno strumento di comunicazione elitaria e
riservata, utile ai messaggi diplomatici e militari, e infi-
ne certamente comprensibile dalla divinità nelle scritture
dei sacerdoti. Se la scrittura alfabetica fu anche un pro-
dotto di seriazione sociale, i sacerdoti vi svolsero un
certo ruolo, tanto che spesso i primi documenti scritti
sono di carattere sacro: nell'ambito dei santuari conti-
nuano cioè a svolgersi quelle operazioni di mediazione
politica e di transazione economica, quegli atti di mobi-
lità sociale (come la vendita e l'affrancamento degli schia-
vi) che per tutta l'età romana costituiscono uno dei più
potenti tramiti di acculturazione. Ai sacerdoti è affidato
spesso il compito di interpretare le scritture, ma anche
quello di scandire il tempo pubblicando i calendari -
con le feste, i riti, i giorni utili per operare - e curando
la registrazione degli avvenimenti che costituiscono la
memoria del tempo, quindi annotando i fasti e gli annali
(spesso i primi annalisti scrivevano come assolvendo ad
un atto di devozione verso i Penati e i Mani); infine è nel
respiro economico del santuario, specie di campagna e nel-
l'ambito di civiltà agricole o pastorali, che si incidono

144
Magia e simbolo

con stento i pochi segni alfabetici che servono a ricono-


scere il nome della divinità (e magari quello di un fedele
e la sigla di un voto) su arule senza pretesa ricavate dai
grossi ciottoli di un fiume o dal pietrisco di una cava.
Come gli evangelizzatori dei secoli dopo l'antichità -
i monaci dell'Irlanda; Cirillo e Metodio - ma senza gli
aspetti di una predicazione, i sacerdoti contribuirono a
formare il sentimento collettivo del potere magico della
scrittura.
Influiscono su questi sentimenti, al tempo della dif-
fusione della scrittura, le precedenti forme di comunica-
zione collettiva, sémica o grafica della protostoria (e
restate nell'uso talvolta sino ad oggi): la loro pratica
connotava già diversi modi del sociale e dell'organizza-
zione per la sopravvivenza; si è detto del significato ele-
mentare e comune di alcuni dei segni incisi su blocchi di
cava e poi su mura di difesa, si possono aggiungere le
tacche sugli alberi e le incisioni sulle rupi per segnalare
un sentiero o una pista, l'abitudine alla lettura delle trac-
ce lasciate dagli animali (o da altri uomini), comune ai
popoli cacciatori e raccoglitori, l'attitudine insomma a
cogliere gli indizi di altre presenze; si possono ricordare
i marchi sul bestiame, prima connotazione del possesso,
quelli sugli alberi da abbattere; siamo ai processi di nu-
merazione, che le culture antiche affidarono agli alfabeti,
in certi casi con lo stesso ordine delle sequenze alfabeti-
che: i popoli marinari e pescatori ricorrevano per que-
sto ai nodi sulle corde, che divennero presto un codice
di segni per la memoria di tutti (un nodo nel fazzoletto);
i bastoni di comando si incisero con segni destinati al
riconoscimento, e presto si formarono i blasoni e quei
segni destinati a comporre ogni futura iconologia; persi-
no sulla pelle si portano col tatuaggio emblemi magici,
tratti di esibizione, segni di riconoscimento, marchi di

145
Epigrafia romana

una storiografia personale: se gli schiavi romani fuggi-


vano marchiati con una P (perfuga) ciò rendeva cono-
scibile a tutti un episodio importante del loro passato
ed una condizione morale del presente.
Spettava poi ai sacerdoti « leggere » le fiamme nei
riti propiziatori, cosl come le figure tracciate nel cielo -
che conoscevano dal movimento degli astri - dagli uc-
celli durante gli auspici; cos} come tenacemente in molte
culture europee si cercavano (forse si cercano tuttora}
profezie e significati nei segni formatisi nel ghiaccio di
un bacile d'acqua esposto al rigore invernale, e come
altrettanto pervicacemente componiamo segni alfabetici
facendo gli scongiuri, delle X o delle U a corna. Sceglien-
do tra le numerose categorie elencate da una appropriata
antropologia della scrittura, si comprende come anche
questi usi e circuiti non istituzionali abbiano contribuito
a comporre il sedimento d'opinione che intravvedeva, so-
prattutto in una « civilisation de l'épigraphie » come
quella dei romani, valori magici, persino diagnostici,
mantici ed esoterici.
L'infissione dei clavi, anno per anno, da parte dei sa-
cerdoti costituisce inoltre una prima forma di codifica-
zione lineare del tempo per l'eternità.
Valutazioni del genere vanno collegate ad altre, che
riguardano la considerazione della pietra, cioè del mate-
riale durevole - concettualmente eterno - al quale ve-
niva affidata quasi tutta la pubblica scrittura: far passare
un bambino attraverso una pietra forata per guarirlo,
mettere la testa in una cavità della pietra per lenire il
mal di capo, sono espressioni superstiti del grande culto
delle pietre, che si volgeva soprattutto ai segnacoli, ai
bedli, per contrassegnare una tomba, per indicare sulla
terra un riferimento della divinità celeste, per l'esaltazio-
ne fallica della vita. Questo background psicologico e ri-

146
Magia e simbolo

tuale della protostoria conforta il sentimento dei romani


-di cui si è detto- che considera il monumento come
difesa contro l'obllo, come garanzia di sopravvivenza
(quandocumque ... breve in exiguo marmore nomen ero,
Prop., II, l, 71-72), e persino un primo vagito della vita
ultraterrena, quasi un superamento della morte: nume-
rosi carmi epigrafici sui sepolcri svolgono concetti del
genere.
Ecco quindi che il monumento e l'iscrizione assumo-
no la funzione di memorizzare un viatico: o raffigurando
la porta infera, o le scene del commiato (e la dexterarum
iunctio in questa accezione), o il viaggio all'aldilà; o
esplicitando l'idea dell'eternità nel testo, o rappresentan-
do il defunto con gli attributi dell'heros o con schemi
comuni alla divinità (per es. la mimesi col dio cavaliere
delle culture danubiane); o proponendo - specialmente
sulla fronte e sui lati dei sarcofagi ed in età tarda -
scene di traditio e di dettatura, magari su un volume che
già contiene (ma è antica tradizione etrusca) le proprie
res gestae di cui si approssima il rendiconto ultraterreno.
C'è da chiedersi se la raffigurazione di strumenti scrittorii
su alcuni monumenti (il dittico, per esempio), cosl come
la rappresentazione dello specchio (reminiscenza di anti-
chi rituali esoterici) non vogliano proprio indicare la
summa delle azioni, che non si possono nascondere a un
giudice supremo, come l'immagine speculare di se stessi.
Ancora una volta la scrittura assumerebbe una prospetti-
va magica, quella di farsi tramite veridico dall'umanità
all'oltretomba.
La scrittura alfabetica romana, con i suoi nessi e le
sue abbreviazioni, si prestò in maniera singolare all'elabo-
razione di monogrammi simbolici, di figure criptiche (ba-
sti pensare alla chiave composta con le prime due lettere
di Petrus), cosl come alla formazione di acrostici, di giuo-

147
Epigrafia romana

chi di parole e di sillabe - anche ad uso scolastico -


e di talismani. Il valore simbolico dei segni alfabetici è
poi esaltato, nelle culture nordiche, dalle rune.

Sugli aspetti magici e rituali della scrittura romana delle


origini, vd. E. PE.RUZZI, Origini di Roma, II, Firenze 1973,
pp. 81-91; sulla tematica generale, F. DoRNSEIFF, Das Al-
phabet in Mystik und Magie, Leipzig-Berlin 1922; J. ANNE-
QUIN, Recherches sur l'action magique et ses représentations,
Paris 1973. Sui molteplici modi della comunicazione, tra una
dottrina bibliografica nutritissima si citano: la raccolta di
saggi L'écriture et la psychologie des peuples, Paris 1963; G.
MILLER, Linguaggio e comunicazione, Firenze 1972; E. A.
HAvELOCK, Cultura orale e civiltà della scrittura, ecc., Bari
1973 (pur volto al mondo greco, è di grande interesse per la
enunciazione dei temi); L. GoLDMAN, La creazione culturale.
Saggi di sociologia della comunicazione, Roma 1974; P. STE-
VENS, La comunicazione interpersonale. Codici, segnali e in-
terazioni, Milano 1979; F. FRASNEDI, La lingua della creati-
vità fra l'alfabeto e la mimesis, nel vol. Creatività, gesto, com-
portamento, Bologna 1980, pp. 11-52.
Sulle funzioni e sui circuiti non istituzionali della scrit-
tura, vd. il fondamentale saggio di G. R. CARDONA, Antropo-
logia della scrittura, Torino 1981; si attendono i risultati del
seminario tenuto a Perugia, settembre 1981 (in particolare
sugli aspetti esoterici, diagnostici, mitopoietici).
Dell'iscrizione funeraria come simbolo della morte ed evo-
cazione dell'eternità, si è detto sopra, cap. I, 7; alla bibl. co-
là citata si aggiunga il classico Lux perpetua, di F. Cumont
(Paris 1949); I. KAJANTO, On the idea of eternity in latin epi-
taphs, << Arctos )), VIII (1974), pp. 59-69; e per certi aspet-
ti, H. WREDE, Consecratio in formam deorum. Vergottliche
Privatpersonen in der romischen Kaiserzeit, Mainz 1981.
Nell'età imperiale avanzata si diffuse nell'ambito di certe
officine (per es. a Salona, a Ravenna, a Lione) il simbolo
dell'ascia raffigurato su monumenti funerari: le interpretazio-
ni proposte sono numerose, vd. P. M. DuvAL, « Rev. Et.

148
Magia e simbolo

Anc. », LXI (1954), pp. 411-413; LVII (1955), pp. 342-343;


LVIII (1956), pp. 300-302; LX (1958), pp. 373-374; F. DE
VISSCHER, << Rend Pont. Ace. Arch. », 1956-57, pp. 69-81;
]. RouGÉ, « Latomus », XVIII (1959), pp. 649-653; B. GA-
BRICEVIC, « Arheoloski Radovi i Rasprave », I (1959), pp.
299-310; S. PANCIERA, Deasciare, exacisclare, exasciare, «La-
tomus », XIX (1960), pp. 701-707.
Sugli aspetti dell'evoluzione dall'epigrafia pagana a quel-
la cristiana, si ricordi ancora per l'impostazione dei proble-
mi G. SANDERS, « Rev. Univ. Bruxelles», 1977, pp. 44-64.
Su forme e valori criptici della scrittura pagana e cristia-
na, sono fondamentali i numerosi lavori di M. Guarducci; si
citano qui: I graffiti sotto la Confessione di San Pietro in
Vaticano, Città del Vaticano 1958; La crittografia mistica e i
graffiti vaticani, « Arch. class. », XIII (1961), pp. 183-239;
Il fenomeno orientale del simbolismo alfabetico e i suoi svi-
luppi nel mondo cristiano d'Occidente, L'Oriente cristiano
nella storia della civiltà, Atti Conv. Lincei, Roma 1964, pp.
482-497; Dal gioco letterale alla crittografia mistica, ANRW,
II, 16, 2 (1978), pp. 1736-1773.
Un esempio di analisi interpretativa del cosiddetto qua-
drato magico, ad opera di R. ETIENNE, « Conimbriga », XVII
(1978), pp. 16-34.
Sui problemi religiosi suscitati dai cippi terminali e mil-
liari, vd. G. PICCALUGA, Terminus. I segni di confine nella
religione romana, Roma 1974.

149
2. ALFABETIZZAZIONE E ACCULTURAZIONE,
LETTURA E CONSENSO

Le iscrizioni romane partecipano dei processi di alfa-


betizzazione in modi diversi: costituiscono il veicolo del-
l'apprendimento della scrittura e della lingua in aree già
profondamente alfabetizzate - come nelle regioni di cul-
tura greca - dove servono soprattutto ad insegnare le
forme verbali dell'amministrazione romana; invece, in
aree di limitata alfabetizzazione concorrono a diffondere
la scrittura dapprima e poi la lingua dei nuovi dominato-
ri, come ad esempio nel mondo punico, dove scrittura
e lingua locali trovano rifugio nelle campagne; altrove
- in larghe parti dell'Italia e dell'Europa - rappresen-
tano il primo passo verso la conoscenza della scrittura
alfabetica. La produzione epigrafica romana si vale anche
di tecniche praticate da manodopera locale su materiali
disponibili, accoglie ed importa modelli, recupera infine,
nel contesto del linguaggio monumentale e come appa-
rato decorativo, segni della comunicazione primitiva che
sono patrimonio delle culture indigene; l'impiego di al-
cuni simboli che sono radicati nella memoria collettiva
dei popoli rappresenta non solo una traccia precisa di
continuazione culturale ma anche un approccio della nuo-
va scrittura - un rassicurante messaggio di consuetudine
- verso le comunità non ancora alfabetizzate.
Se è certo che il saper leggere e scrivere costituisce
un segno sicuro del potere ed un eminente fattore di

150
Alfabetizza:done e acculturazione

prest1g10, spesso a scrivere sono però gli schiavi, gli


scribae addestrati ai compiti dell'amministrazione e ai
segreti della letteratura; diverso è poi il grado di alfabe-
tizzazione, secondo i luoghi e i periodi, e con vistosi feno-
meni di mobilità culturale: poteva accadere inoltre che
la lettura di un'iscrizione (o di un manifesto) non fosse
sempre un'operazione individuale, ma che un gruppo si
trovasse ad ascoltare un lettore-esegeta, le sue parafrasi,
i suoi adattamenti e magari i suoi aggiornamenti. In que-
sto contesto- e considerando anche l'attività delle scuo-
le e la diffusione dei manuali (gromatici, medici, ecc.), il
funzionamento degli uffici - sarà possibile valutare l'ef-
ficacia del messaggio che l'iscrizione provvede a codifica-
re e la memorizzazione che ne consegue; descrivendo i
processi di acquisizione e di elaborazione del messaggio
epigrafico nelle diverse aree della sua diffusione - e
avendo presente che non sempre alla capacità di leggere
le iscrizioni tiene subito dietro una diretta produzione
epigrafica - si procederà a classificazioni di tipo etno-
grafico, socioepigrafico, e più semplicemente coroepigra-
fico, si tenterà infine una mappa degli orizzonti epigra-
fici: entro ciascuno di questi sarà legittimo chiedersi chi
scriveva, chi promuoveva o affidava la scrittura, chi leg-
geva, quale ruolo la scrittura epigrafica assunse rispetto
agli altri sistemi di comunicazione.
Si è visto che una funzione imponente nei processi
di acculturazione è svolta dagli oggetti mobili, monete
ed instrumentum, dove la cattura del mercato si accom-
pagna all'informazione alfabetica; d'altro canto, sono in-
vece le iscrizioni monumentali a costituire i breviari del-
la memoria di culture da tempo divenute sedentarie, or-
mai largamente urbanizzate: tanto che la cancellazione
coatta di brandelli della memoria storica si accompagna

151
Epigrafia romana

all'erasione delle iscrizioni (damnatio memoriae) oppure


alla loro distruzione. Anche una cultura locale, semieli-
taria, si specchiava nelle iscrizioni: per esempio nella
produzione, pur limitata, dei carmi, che riecheggiano più
la versatilità letteraria di alcune persone dotte che non
la reale dimestichezza con i grandi poeti. Infine, proprio
la scuola - quella dei bimbi di città e di paese, senza
precettori illustri- trova nelle iscrizioni i suoi exempla:
i bimbi poi, divenuti adulti, riscopriranno tra le lettere
quadrate contenute entro righe parallele le emozioni dei
loro primi apprendimenti.
Proprio per l'impiego della scrittura monumentale
(litterae quadratae} e per l'eumetria dell'impaginazione
l'iscrizione costituisce anche un messaggio d'ordine: vi-
sta com'è, ricorda la pratica delle incisioni sugli alberi
a tronco diritto e sulle assi, abitua alle linee e agli angoli,
concorre ai medesimi effetti del paesaggio urbano e di
quello campestre, misurati in passus ed in actus,· abituati
alla terra, i romani delimitavano e scandivano gli oriz-
zonti e gli spazi con i segni del loro lavoro; le vie erano
misurate in miglia, e vicino alle città erano fiancheggiate
dai monumenti funerari: chi passava, anche senza l'in-
tenzione di leggere, percepiva da lontano i grandi cerchi,
gli spigoli e le rette delle lettere maggiori. Lo spazio da-
vanti alle iscrizioni - non solo nelle necropoli ma anche
nei fori e davanti ai grandi edifici - consente di perce-
pire persino senza fermarsi, anche se si è distratti: la
scrittura epigrafica costituisce cosi il codice culturale di
un'educazione profonda e talvolta inconscia, che opera
anche a livello subliminale.
Questo patente messaggio visivo si arricchisce e si
rafforza nel lettore attraverso il processo di lettura -
mnemonica, psicologica, silente o parlata - reso impe-

152
Alfabetizzazione e acculturazione

gnativo, quasi accattivante dall'impiego di sigle, abbre-


viazioni e nessi (vd. sopra, cap. I, 6): anche se il testo
di un'iscrizione poteva suscitare diffidenza (cf. Liv., X,
7, 11 ), di certo si stabiliva col lettore un colloquio, che
assumeva forme esplicite quando l'iscrizione ammoniva
siste et lege (o simili) e nominava spesso persone vive o
conosciute in vita. Davanti ad un'iscrizione si può sostare
il tempo che si vuole, fare un passo indietro o avvicinarsi
per leggere le linee più piccole, si può rileggere, e con-
frontare il testo vicino: in certo senso, la lettura delle basi
onorarie nel foro e degli epitafi nelle necropoli abitua ad
un tipo di lettura personale, silenziosa, meditata - col
tempo speso a propria discrezione - quale si otterrà
quando il libro (il codex) rimpiazzerà il volumen; anche
la varietà delle abbreviazioni, talvolta la loro astrusita,
contribuiva a rallentare la lettura, a suggerire interpre-
tazioni diverse, se non ad accrescere una certa patina di
enigmaticità.
Poiché molte iscrizioni evocano momenti e dimensioni
del passato- per esempio attraverso i gradi di un cursus,
o più semplicemente con l'enunciazione di una genealogia
famigliare - il lettore associa alla realtà epigrafica una
serie di flashback naturalmente mutevoli e diversi secon-
do il momento nel quale avviene la lettura: l'iscrizione
infatti tramanda una memoria codificata il cui consumo
però si rinnova e si modifica anche attraverso molte ge-
nerazioni e quindi con impatti diversi.
L'iscrizione reca messaggi espliciti, ma qualche volta
anche criptici e celati, quali potevano essere suggeriti da
una lettura d'insieme, da un « colpo d'occhio », favorito
proprio dalle forme della scrittura e dalla impaginazione
sul monumento. Fuori di dubbio, i messaggi ripetutamen-
te letti - e non solo sui monumenti, ma anche sugli

153
Epigrafia romana

oggetti mobili - assolsero una funzione slogan, inciden-


do durevolmente nella memoria collettiva. Nomi, elogi e
cursus, marchi commerciali compongono effetti comuni,
perfino massificanti (Mc Luhan), servono perciò alla ge-
stazione profonda del consenso politico ed economico.

Alla tematica del messaggio epigrafico sono già state de-


dicate pagine in precedenti capitoli (segnatamente I, 4 e II,
1): della bibl. già citata vanno ricordati qui l'art. di B. M. W.
KNox, Silent reading in antiquity, << Greek, Roman and Byz.
St.)), 1968, pp. 421-435, e l'opera di J. SPARROW, Visible
words. A study in inscriptions in and as books of art, Cam-
bridge Univ. Press 1969.
Sui processi di aHabetizzazione, vd. L. W. DALY, Contri·
butions to the history of alphabetization in antiquity, etc.,
Bruxelles 1967; J. VOGT, Alphabet fiir Freie und Sklaven,
« Rhein. Mus. )) 1 116 (1973), pp. 129-142; F. D. HARVEY,
I greci e i romani imparano a scrivere, Arte e comunicazione
nel mondo antico, Bari 1981, pp. 87-111; SusiNI, L'analisi
dei primi processi di acculturazione epigrafica, in pubbl. ne·
gli atti del Colloquio internazionale di epigrafia tenuto a
Bordeaux, dicembre 1981; sugli aspetti dell'acculturazione
epigrafica in ambiente provinciale, A. M6csY, Das Inschri-
ftenmaterial einer Provinz als Widerspiegelung der Romani-
sation, CongrEp, V, Cambridge, Oxford 1971, pp. 397-406;
per temi di metodo, vd. il volume miscellaneo Alfabetismo
e cultura scritta nella storia della società italiana, Atti del se-
minario tenuto a Perugia nel marzo 1977, Perugia 1978, ed
ivi in partic. il saggio di A. Petrucci, pp. 33-47 (sono seguiti
altri fascicoli del seminario permanente <( Alfabetismo e cul-
tura scritta)), redatti a cura di A. Bartoli Langeli e di A. Pe-
trucci, con sede presso l'Università di Perugia); vd. anche R.
EscARPIT, Scrittura e comunicazione, Milano 1976; stimo-
lanti confronti con il rapporto fra tradizione orale e cultura
scritta nell'America dei Conquistadores, nel vol. di A. SEP-
PILLI, La memoria e l'assenza, Bologna 1979. Sui problemi

154
Alfabetizzazione e acculturazione

più generali dell'educazione e della cultura scolastica e lette-


raria, vd. tra molti contributi, R. PFEIFFER, History of clas-
sica! scholarship, Oxford 1968; H.-I. MARROU, Histoire de
l'éducation dans l'antiquité, Paris, numerose edizioni; ancora
utili: V. PALADINI, La scuola nella storia dell'antichità, Mi-
lano 1952, e E. AuERBACH, Literatursprache und Publikum
in der lateinischen Spiitantike, Bern 1958; larga parte al mon-
do antico serba il recente libro di A. MARCOLLI, L'immagine-
azione-comunicazione; interessanti spunti metodologici nel
vol. di O. LoNGO, Tecniche della comunicazione nella Grecia
antica, Napoli 1981.
Su forme e messaggi criptici si è visto sopra, soprattutto
cap. I, 6 e II, l. Il «colpo d'occhio» sulle iscrizioni - una
prassi certamente non estranea al lettore antico, anzi cor-
rente - poteva suggerire- letture ed evocare ricordi del tutto
diversi dalla lettera del testo: si guardi l'iscrizione di Gaio
Cesare a Rimini (qui, tav. XXVIII), che recita: C(aius) Cae-
sar August(i) f(ilius) co(n)s(ul) vias omnes Arimini stern(endas
curavi!). Ma la composizione del testo e la forma delle let-
tere aiuta a leggere l'ultima linea d'un sol colpo Ariminister:
ad una cerchia forse nemmeno tanto ristretta di lettori veniva
in mente Arimneste, quel re degli Etruschi che, secondo Pau-
sania (V, 12, 5) sarebbe stato il primo tra i barbari ad offri-
re un trono nel santuario di Olimpia. La cultura riminese an-
tica non ignorava certamente questa «notizia», che si con-
netteva singolarmente con il nome della città e ne legittima-
va oltretutto il passato, se non l'origo etrusca, cosl come agi-
tò la tradizione moderna che giunse sino al falso epigrafico
(CIL, XI, 40*). Arimneste sbuca quindi nella lettura « erudi-
ta ~> dell'iscrizione di Rimini assieme al nome di Cesare e al
consolato (che fu, tra l'altro, il titolo della più antica magi-
stratura della colonia latina).

Si propone qui uno schema riepilogativo del processo di


genesi del messaggio epigrafico e della sua destinazione:

155
Epigrafia romana

Oralità Scrittura Auralità


ascolto
- strutture
cultura epigrafi-

-
l
ripetizioni, pcr-
ca {orizzonti, ti-
pi, offro)
formances (poe-
tica trasforma-
zionale)
-
produzione epi-

- dati cronografi-/
ci, genealogici,
tituali, cancelle-
reschi
(la committen·
grafica~
(iscrizione)
-
!
lettura

za)
........-:---- lcttur~t ripcfut:~,
- riscrittura (pro- interpretazione,
cessi di trasmis- insegnamento,
sione e di tradi- cattura del con-
zione) -senso

156
3. EPIGRAFIA E RAPPRESENTAZIONE
DEL SOCIALE

Le iscrizioni romane vengono prese in considerazione


anche per quel che rappresentano della società negli aspetti
demografici e quantitativi, fenomenologici e qualitativi:
in altre parole ci si chiede, per esempio, sino a qual punto
un volume del CIL costituisce una sorta di censimento
attendibile del popolamento e della sua distribuzione e
di ogni altra manifestazione sociale e culturale. In realtà
influisce sull'attendibilità di simili apprezzamenti la ef-
fettiva aleatorieta, la mera casualità - un fattore del
tutto astratto - delle scoperte; infatti ogni selezione ed
ogni ricerca sistematica (per esempio il recupero razionale
di una necropoli) influiscono in maniera determinante
nella rappresentatività del sociale: e di ciò si tiene conto
quando si usano i sistemi della statistica inferenziale. Un
nucleo di iscrizioni che per la sua compattezza e la sua
attendibile rappresentatività rechi un serio contributo alla
conoscenza della società in alcune delle sue forme si defi-
nisce come una importante compagine socioepigrafica:
è questo il caso dello scavo organico di un'area cemete-
riale (ad esempio, la necropoli dell'Autoparco Vaticano)
o di acquartieramenti militari (e loro necropoli) lungo il
limes o sui grandi campi legionari, o infine dei più im-
portanti colombari urbani. In ogni caso l'iscrizione costi-
tuisce il campione documentario, attraverso ciò che si è
conservato e recuperato, di quanto fu trascritto su ma-
teriale durevole.

157
Epigrafia romana

Una questione preliminare è quindi quella di istituire


un rapporto tra il sociale nella sua globalità e quel che
all'origine ha trovato documentazione nelle iscrizioni,
prima ancora di apprezzare quanto e come tale docu-
mentazione è oggi effettivamente disponibile. Bisogna
quindi valutare caso per caso - cioè in ogni orizzonte
epigrafico - i fattori economici, psicologici e culturali
che hanno prodotto una certa documentazione piuttosto
che un'altra: sembrano dati comuni ad ogni area la esigua
rappresentazione dei ceti più umili e al contrario una do-
cumentazione più gonfia di alcuni ceti medi, di quegli
elementi cioè che hanno beneficiato di una propizia mo-
bilità sociale, dei liberti arricchiti per esempio, delle fa-
miglie giunte rapidamente e da poco nelle sfere del po-
tere curiale, dei « parvenus ».
Con simili premesse il patrimonio epigrafico può ve-
nire interrogato come documentazione del popolamento e
della sua evoluzione - per esempio nell'analisi del rap-
porto città e territorio - ai fini del computo demogra-
fico, e per la conoscenza delle prosopografie: trovare più
persone con lo stesso nomen o con caratteristiche ono-
mastiche comuni suscita infatti nell'antichita romana il
problema della loro eventuale parentela o di un preciso
rapporto sociale o politico (i liberti portavano il nomen
dei loro domini; spesso i nuovi cives prendevano il gen-
tilizio del notabile che aveva promosso il provvedimento
di concessione della cittadinanza) sia perché queste inda-
gini si svolgono entro realtà demografiche ben modeste
rispetto ad oggi (un abitato con poche centinaia di fami-
glie costituisce nel mondo romano già una grande città)
sia perché proprio i cosiddetti ceti emergenti - cioè le
famiglie che conquistano o mantengono il potere nelle cit-
tà e nell'impero, che rappresentano la rete reale degli inte-
ressi economici e dirigono la politica delle partes- sono

158
Epigrafia e rappresentazione del sociale

di gran lunga meglio documentati dall'epigrafia (non solo


attraverso le tombe ma anche dalle opere pubbliche).

Sull'impiego della statistica inferenziale nella determi-


nazione della rappresentatività delle iscrizioni romane,
vd. J. AGUILELLA ALMER- M. A. LoPEZ CERDA- F. MoNTES
SuAY- G. PEREIRA MENAUT, « Antiquités Africaines », 9
(1975), pp. 115-126. Trattazioni o esemplificazioni dei
problemi: F. G. MAIER, Romische Bevolkerungsgeschichte
und Inschriftenstatistik, « Historia », II (1953-54), pp. 318-
351; A. GARZETTI, Epigrafia e storia di Brescia romana, Atti
Conv. Capitolium, Brescia 1974, pp. 19-61; C. GARCIA MERI-
NO, Poblaci6n y poblamiento en Hispania romana. El Conven-
tus Cluniensis, Valladolid 1975; J.-M. LASSÈRE, Ubique po-
pulus. Peuplement et mouvements de population dans l'Afri-
que romaine de la chute de Carthage à la fin de la dynastie
des Sévères (146 a.C.-235 p.C.), Paris 1977: ma le ricerche in
merito sono molteplici e di diverso valore. Le iscrizioni della
necropoli dell'Autoparco Vaticano sono pubblicate da V. VXA-
NANEN, Roma 1973; vd. la ree. di H.-G. PFLAUM, « Arctos »,
9 (1975), pp. 75-87.
L'evidenza dei ceti emergenti nella rappresentatività del-
la documentazione epigrafica romana è espressa da G. Alfol-
dy in un disegno schematico pubblicato da G. PEREIRA ME-
NAUT, «Bonn. Jahrbb. », 175 (1975), pp. 141-164 (ivi p. 157),
saggio ripreso con modifiche dai « Papeles del laborat. de
arq. de Valencia », 9 (1973), pp. 125-152.

L'epigrafia romana restituisce poi un ampio campio-


nario di definizioni e di atteggiamenti dei rapporti sociali,
che si manifestano soprattutto nelle iscrizioni funerarie
(ed in particolare nei carmi) giungendo a comporre una
letteratura dei sentimenti vissuti (o programmati) tra il
servo (e il liberto) e il padrone: l'episodica del genere
è vasta ed articolata, se ne ricordano solo due « topoi »,
quello dell'orgoglio del servo per essersi conquistata la

159
Epigrafia romana

libertà assieme al successo economico (perspicuo oltre


tutto nella costruzione del sepolcro) - CIL, XI, 6841,
da Bologna: Externis natus terris monimenta locavi, e
parvo nobis quod labor arte dedit. Patrono et una co-
niugi feci meae - e quello del vanto del padrone-patrono
per il dono della libertà al servo: CIL, V, 6710, da Ver-
celli, D(is) M(anibus) Valeri Restituii posuit Bassaeus
Severianus, et omnes domestici sciunt manes tuae me
voluisse et laborasse te liberum videre, si ora et fatus
dictasset (un ibrido di strutture testuali stereotipe e vol-
gari, con le quali il dominus giustifica la manumissio post
morte m, che risulta dal nome del servo trascritto sulla
tomba assieme al gentilizio).
Le iscrizioni sono fonte importante per le conoscenze
biometriche: mentre qualche scrittore indugia su casi
eccezionali di longevita (Plin., nat. hist., VII, 162-164;
Fleg., F. Gr. Hist., II B, 257, 37) le iscrizioni sepolcrali
spesso dichiarano l'età del defunto, anche se ciò accade
più frequentemente per casi che più commuovono, come
la morte precoce o in circostanze singolari. L'indicazione
è frequente nell'età imperiale ma non in modo uniforme
nelle diverse aree: si tratta di un usus che compone il
linguaggio degli orizzonti e delle officine. È facile che
l'indicazione sia arrotondata a un multiplo di cinque,
forse per influsso degli accertamenti censitati collegati
allustrum; talvolta però l'arrotondamento non dipendeva
dall'ignoranza dell'età ( vd. il caso di CIL, VI, 3453) ma
da semplice abitudine: altrettanto dicasi per le formule
.
plus minus o circiter che spesso accompagnano il numero .

Sui problemi biometrici, vd. R. ETIENNE, CongrEp, III,


Roma, Roma 1959, pp. 415-424; L. MORETTI, <<Epigraphica)),
XXI (1959), pp. 60-78; A. DEGRASSI, CongrEp, IV, Wien,
Wien 1964, pp. 72-98 = Scritti vari, III, pp. 211-241; K. K.

160
Epigrafia e rappresentazione del sociale

ERY, «Alba Regia )) 10 (1969), pp. 51-67; M. CLAuss, «Chi-


1

ron )), 3 (1973), pp. 395-417; R. P. DUNCAN JoNES, ibid., 7


(1977), pp. 333-353.
La durata media della vita viene computata attorno ai 25
anni, a Roma un poco di meno (sui 22 anni per i maschi e
poco meno di 20 anni per le femmine), forse per la situazione
igienica dell'Urbe (ricerche del Moretti}. Il confronto fra i
dati della curva di Lexis (il diagramma tracciato dal famoso
economista) che riporta la frequenza dei decessi nelle diver-
se età e l'analoga curva ricavata dal Moretti con i dati della
città di Roma rivela due momenti di particolare incidenza
della mortalità nell'età antica, la prima infanzia e gli anni tra
i 20 e i 25 (in particolare per le donne, notoriamente per
parto).

161
4. EPIGRAFIA, STORIOGRAFIA
E LETTERATIJRA

Ogni iscrizione rappresenta un documento utile alla


ricerca storica, possiede essa stessa una sua storia, che si
estende dai fatti interni della sua produzione e della sua
genesi sino alla elaborazione ripetuta ed aggiornata di
testi di eccezionale interesse, a noi noti nella loro reda-
zione epigrafica e quindi conclusiva, come le res gestae
divi Augusti. Talvolta più iscrizioni vennero prodotte ed
esposte in ambiti monumentali con lo scopo perspicuo di
rappresentare un'interpretazione della storia, certamente
utile alla propedeutica politica ed al consenso: cosl ac-
cadde di alcuni fora provvisti di elogia (come fu del foro
di Augusto a Roma), di alcuni edifici monumentali (si
pensi ai Cesarei ed agli Augustei di alcune città, come
Veleia). Inoltre le iscrizioni si intrecciarono con la lette-
ratura nella presentazione coordinata di resoconti di gran-
di avvenimenti: cosl accadde per esempio per quanto
concerne i trionfi, la cui notizia emerge dagli scrittori
-che si valgono delle cronache redatte dagli annalisti-
e da iscrizioni, come i fasti trionfali e gli elogi.
Il rapporto delle iscrizioni con la letteratura si arti-
cola su numerosi moduli di confronto, anzitutto per il
lessico e la lingua, poi per l'importazione o l'esito nelle
iscrizioni di forme squisitamente letterarie, come i carmi
epigrafici, che spesso riportano temi e passi famigliari
agli scrittori - sebbene più insistente sia nei carmi l'in-

162
Epigrafia, storiografia e letteratura

fluenza di versificatori locali rispetto ai grandi poeti- e


che riprendono modelli e forme proprie dell'epigrammi-
stica (mentre non è rara la ripetizione, specie nei graf-
fiti, di versi noti, in particolare dall'Eneide). Va segna-
lato che la consuetudine con forme letterarie si accresce
nelle officine epigrafiche di pari passo con l'impiego di
modelli riproducenti quadri e scene della mitologia; in-
fine non va trascurato il paragone tra la traccia, pur
scabra, degli elogia e il tessuto delle allocuzioni (Svet.,
Claud., l). D'altro canto, la conoscenza del linguaggio
epigrafico e della realtà rappresentata dalle iscrizioni nel-
l'ambiente e nel costume porta a notazioni nei gram-
matici e a considerazioni solenni o satiriche nei poeti.
Presso gli storiografi e gli eruditi accade di trovare
citate iscrizioni, quasi sempre lette in un santuario o sul
piedestallo di una statua: si tratta perlopiù di testi incisi
nel bronzo, ed in particolare di trattati internazionali,
visti però quasi sempre in redazioni o in ricostruzioni
successive, quando invece non si tratti di falsi, in qualche
caso già riconosciuti come tali dagli scrittori: vitiatam
memoriam funebribus laudibus reor falsisque imaginum
titulis, dum familiae ad se quaeque famam rerum gesta-
rum honorumque fallenti mendacio trahunt (Liv., VIII,
40, 4). In genere la valutazione dell'iscrizione è tale da
conferire credibilita al racconto (e ciò non è senza effetto
nella produzione letteraria di falsi epigrafici); comunque
il possesso di una cultura epigrafica costituisce un ele-
mento di qualificazione (si pensi alle supposte iscrizioni
di lnisse e di Laerte tra i Germani, Tac., Germ . .3,3 ).
Più spesso le memorie degli storiografi fanno riferimento
a cartigli, cioè a tabelle o a insegne (vd. sopra, cap. I, 9)
non necessariamente iscritte su materiali durevoli. Anche
i geografi e i periegeti descrivono monumenti accompa-
gnati dalle loro iscrizioni; in qualche caso sono proprio

163
Epigrafia romana

le iscrizioni a restituire un'immagine politica dei luoghi e


delle situazioni: si badi a Plinio il Vecchio ed alla sua
conoscenza dell'Italia nell'assetto augusteo.
Gli scrittori e i poeti, infine, hanno immaginato tal-
volta le iscrizioni come l'elemento monumentale, squisi-
tamente commemorativo, di situazioni indovinate o pre-
sagite: cartigli su trofei, dediche su templi e archi, elogi
e compianti su tombe, una realtà fantasticamente intuita.

Della bibl. in merito, amplissima, cit.: A. E. RAuBITSCHEK,


<<Riv. stor. ant. », I (1971), pp. 177-195; R. CHEVALLIER,
Epigraphie et littérature à Rome, Faenza 1972; H. WANKEL,
ZPE, 15 (1974), pp. 79-97; L. BRACCESI, Epigrafia e storia-
grafia, Napoli 1981; ancora utile A. STEIN, Romische In-
schriften in der antileen Literatur, Prag 1931. Su modelli let-
terari nelle iscrizioni, R. P. HOOGMA, Der Einfluss Vergils
auf die Carmina Latina epigraphica, etc., Amsterdam 1959;
H. HA.usLE, Das Denkmal als Garant des Nachrums, « Zete-
mata », 75, Mi.inchen 1980, pp. 9-28; sull'influsso di formu-
le epigrafiche nel linguaggio poetico, R. MERKELBACH, ZPE,
17 (1975), p. 140 (su Orazio). Una battuta satirica sulle iscri-
zioni in Gioven., Sat., VI, 229-230. Un esempio comparativo
tra il documento epigrafico ed il contestuale resoconto lette-
rario, in K. GAsT, Die zensorischen Bauberichte bei Livius
und die romischen Bauinschriften. Versuch eines Zugangs zu
livianischen Quellen uber Formen der Inschriftensprache.
Diss. Gottingen 1965. Sulle falsificazioni letterarie di testi
epigrafici, vd. Pseudepigrapha, I, « Entretiens sur l'antiqui-
té classique », XVIII, Genève 1972; Pseudoepigraphie in
heidnischen und ;udischchristlichen Antike, « Wege der For-
schung », 484, Darmstadt 1977, ed ivi bibl.
Sugli omina epigrafici, S. MAZZARINO, « Quad. catanesi»,
II, 3 (1980), pp. 7-50 (Cornelio Gallo, Properzio).

164
5. LE CRISI DEL MESSAGGIO EPIGRAFICO

La storia della produzione epigrafica romana conosce


momenti e periodi contrassegnati da mutamenti profondi
nelle forme e nei valori, di séguito a modificazioni degli
assetti sociali, a ricambi culturali e ad evoluzioni delle
strutture economiche. Cosl accadde che il periodo dei
grandi monumenti sepolcrali, dei << mausolei», frutto
dell'affermazione delle oligarchie curiali nel I secolo a. C.,
venne a consumarsi verso la fine dell'età augustea e nei
primi decenni dell'era volgare con il diffondersi nelle ne-
cropoli di monumenti di minore imponenza - stele,
cippi - prodotti dai nuovi ceti di medio reddito che
presero allora il governo delle città, anche a séguito delle
colonizzazioni triumvirali ed augustee: venne allora a
ridursi, sino quasi a scomparire, il ritratto - frutto di
realismo psichico trasfigurato in canoni idealistici - men-
tre prese vigore (soprattutto nell'età imperiale più avan-
zata e nelle province) il rilievo didascalico o narrativo,
volto a rappresentare scene di ambiente, momenti del
lavoro e della professione, o a riprodurre cartoni di raf-
figurazioni mitologiche.
Tra il II e il III secolo crebbe l'uso del monumento
minuto, della piccola stele, dove l'iscrizione ospitava però
più frequentemente espressioni di elogio e di compianto;
ma nel diffondersi di culture universalistiche ed eclet-
tiche si accentuò anche - tra i notabili - il ripudio al

165
Epigrafia romana

monumento, come attestazione di prestigio nel mondo:


in, questo contesto va valutata anche la nota riluttanza
di Adriano ad eternare il suo nome nelle iscrizioni (Hadr.,
19, 9-10).
A partire dalla metà del III secolo, quando già si
può parlare di tarda antichita, l'iscrizione funeraria -
che rappresentò più di ogni altro tipo la produzione
epigrafica romana - si ridusse sempre più a Iaculo e a
catacomba. Scomparvero, come si è visto, molte necro-
poli: i suburbi non presentavano più l'antologia epigra-
fica della storiografia gentilizia; tale evoluzione non fu
certamente uniforme, perché vi furono aree, come in
Africa, dove la civiltà urbana e i monumenti dei suoi
protagonisti conobbero allora momenti di largo prestigio;
ma sicuramente in molte parti dell'impero vennero a ca-
dere i modelli della scrittura epigrafica, i secolari modelli
del leggere e dello scrivere, mentre i blocchi lapidei ser-
vivano sempre più ad erigere mura e difese contro le
invasioni, e - scomparse le immagini dei togati - il
mondo appariva tutto di gente in tunica e brache. Nel
contempo all'uso della scrittura capitale faceva seguito
la compiuta formazione e la diffusione della minuscola;
dal rotolo (volumen) si passava allibro (codex): col libro
la gente prendeva il gusto della lettura personale, sia che
tenesse tra le mani un manuale (se ne diffusero tanti nel
tardo antico, di tutte le scienze) o un romanzo. Quel tipo
di cultura di massa che la produzione epigrafica romana
aveva contribuito a formare entrò in crisi nel momento
che scomparvero (o quasi) dagli occhi gli esempi della
scrittura monumentale: influl in questo lungo processo
la generale democratizzazione della cultura, l'emergenza
di substrati culturali profondi e sino ad allora subalterni
- soprattutto nelle province - e la crescente barbariz-
zazione dell'esercito. Naturalmente simili svolgimenti eh-

166
Le crisi del messaggio epigrafico

bero un andamento diverso in Occidente, dove i nuovi


popoli sostituirono ovunque il sistema romano, mentre in
Oriente le sopravvivenze si combinarono ai mutamenti,
nel mondo bizantino e poi con la mediazione della cul-
tura arabo-islamica.
A Roma e nelle capitali dell'impero avvenne un pro-
fondo ricambio dei ceti di potere: alla retorica i nuovi
ceti preferirono o affiancarono la conoscenza delle tecno-
logie, la manualistica scientifica, l'apprezzamento dell'uso
della scrittura come strumento di organizzazione delle
cancellerie e di controllo nell'amministrazione. Le scrit-
ture si infarcirono in maniera cospicua di espressioni auli-
che ed encomiastiche (come già era venuto accadendo delle
titolature imperiali), tanto da dar vita ad una autentica
«epigrafia di palazzo». La copiatura dei documenti e dei
codici divenne un mestiere redditizio e diffuso (la ta-
riffa degli scribi si legge nell'edictum de pretiis), prese
il posto delle officine epigrafiche e dell'opera dei lapi-
cidi: venne a scadere la perizia della pietra scolpita e
incisa, fuor che per maestranze d'affezione, per artigiani
itineranti; si semplificarono le fasi officinali, almeno per
i moqumenti più comuni - tanto che anche la termino-
logia divenne confusa, come fa fede una celebre lettera
di Sidonio Apollinare (III, 12, 4-5) - , la pietra pregiata,
anche sotto i monopoli pubblici, divenne merce rara,
tanto che sempre più frequenti furono le manomissioni
dei sepolcri (ancora si veda la lettera di Sidonio ), vana-
mente perseguite da multe e da maledizioni.
Come nella produzione artistica anche nella produ-
?ione epigrafica vennero meno, quasi ovunque, un'orga-
nicità ed un ordine compositivo che avevano governato
sino ad allora ogni forma di apprendimento e di edu-
cazione. Anche nella scrittura si ebbe un processo di rot-
tura delle forme (in qualche modo paragonabile a certe

167
Epigrafia romana

svolte del barocco o ai preannunci del futurismo), che si


assommò all'imperizia dei lapicidi in una vera e propria
demistificazione dei caratteri. Si potrebbe azzardare che
venne meno il culto della lettera, sopravvisse e s'inten-
sificò semmai l'apprezzamento della sillaba, che era parte
dell'educazione scolastica - e per questi tempi disponia-
mo di un'immensa miniera di notizie in Quintiliano - e
che veniva spesso evidenziata, già da qualche generazione,
dalle interpunzioni, poste appunto talvolta tra sillaba e
sillaba forse non solo con valore esornativo ma anche
come proiezione di un uso didattico. Inoltre venne esal-
tata la considerazione della formula e dell'espressione
eulogica ed encomiastica: certe titolature - che pale-
savano la propagazione culturale dei nuovi valori etici e
politici: l'apologia degli imperatori pacificatori, liberatori,
restitutori dell'ordine, bono reipublicae nati - veniva-
no lette, apprese e ripetute nel loro insieme, come auten-
tiche litanie; concorrono alla formazione delle nuove abi-
tudini le scuole cristiane, precedute dagli usi dei culti
orientali (si pensi ai rituali mitriaci, che si accompagnano
alle diverse stazioni della passione del dio). Dalle cancel-
lerie indubbiamente la scrittura si apprestava a tornare
tra i sacerdoti, che ne erano stati i più antichi cultori, e
gli scriptoria venivano a succedere alle officine.
Restarono alcuni casi di produzione d'élite: per esem-
pio, i dittici consolari; oppure le famose iscrizioni del
tempo di papa Damaso, nella seconda metà del IV se-
colo, quando la ricerca delle tombe dei martiri portò
nuovamente l'attenzione su alcuni modelli: furono so-
prattutto le iscrizioni dell'officina di Filocalo, tante volte
copiate anche nei più antichi resoconti dei pellegrini, a
sperimentare nelle lettere e nella struttura testuale, con
un certo intendimento programmatico, una restituzione
del decoro, quasi un primo baluginio della rinascita che

168
Le crisi del messaggio epigrafico

- riscoprendo l'antico e delibando il classico - avverrà


tra il Due e il Quattrocento.
Fuori della produzione delle cancellerie e delle resti-
tuzioni culturali fu però l'immenso patrimonio epigrafico
delle catacombe e dei camposanti a costituire il tramite
reale, effettivo - in prosecuzione o in alternativa - dal
pagano al cristiano.

Esempi dell'<< epigrafia di palazzo)) nell'età tardo-antica,


sopra ai capp. I, 9 (titolature imperiali) e 10 (milliari).

169
6. SOPRAVVIVENZA E FORTIJNA
DEL MODELLO EPIGRAFICO ROMANO

Tradizione e trasmissione delle iscrizioni, reimpiego


e recupero portano ad alcuni effetti nella storia della
cultura a partire dalla fine del mondo antico, quando
accadeva che le pietre scritte in latino si accumulassero
nei cimiteri (hic iacet in hoc congeries lapidum, recita la
celeberrima iscrizione di Carausius nel museo di Cardiff):
presto le abbreviazioni e le sigle non furono più com-
prese, al tempo di Giustiniano ne fu addirittura vietato
l'uso, ma la fortuna delle iscrizioni si legò saldamente
alla sopravvivenza della lingua latina, anzitutto come
espressione della civilta (ricorda l'iscrizione di Viatorinus
a Colonia, occissus in barbarico iuxta Divitia a Franco,
CIL, XIII, 8274; B.-H. GALSTERER, Die romischen Stein-
inschriften aus Koln, Koln 1975, 205, tav. 44 ), quindi
del diritto, della diplomatica, della scienza, ed infine so-
prattutto della chiesa.

In questa ultima accezione l'epigrafia latina ebbe un im-


piego anche nei ceti popolari, come è dimostrato dagli ex-
voto (5i vedano ad esempio le tabelle nella viennese Minori-
tenkirche: grazie, gratias rogo, Danke) e da iscrizioni nei
camposanti, dove la lingua latina subl più vivacemente l'in-
fluenza dei circuiti fonetici volgari (ancora dall'Austria, nella
chiesa di St. Oswald ad Eisenerz: memendo (sic) mori).

170
Sopravvivenza e fortuna

Nella parte orientale dell'impero le officine epigra-


fiche sopravvissero in qualche modo, giungendo alla pro-
duzione di tipi che - nell'area bizantina e attraverso la
mediazione arabo-islamica - meritano, anche sotto que-
sto profilo, un'attenzione maggiore e diversa di quella
ottenuta sinora (si pensi ai cippi funerari musulmani, o
alla tenace attività degli scalpellini dalmati, aperta dalla
luminosa tradizione di Marino, il santo del Titano). In
Occidente la rinascenza portò anche al recupero del dise-
gno della lettera epigrafica: la tipografia (e assai più
tardi la macchina da scrivere) aiutarono a riscoprire i
valori di razionalità compositiva della scrittura romana,
resero in certo modo più famigliare la scrittura epigra-
fica (che trovò la sua migliore espressione, sotto questo
aspetto, nella cosiddetta composizione epigrafica adottata
anche dal CJL). Appartiene inoltre alla storia del gusto
epigrafico la fortuna dell'epigramma, in ogni suo mo-
dello classico, mentre crebbe l'apprezzamento del monu-
mento epigrafico romano come elemento di decoro (si
pensi alle iscrizioni murate nella facciata di insigni edi-
fici, come i palazzi Vecchio e Nuovo del Monte di Pietà
a Brescia), oppure composte a formare altri monumenti
e segnacoli (la colonna di Merida, di altari cilindrici), e
maturò l'esaltazione - anche letteraria, si consideri
D'Annunzio - dell'epigrafia come scienza portatrice dei
valori eterni (la pietra, le lettere di bronzo).

Sull'evoluzione dell'iscrizione sino all'evo moderno, vd.


la ghi cit. opera di J. SPARROW, Visible words (d. la ree. di
I. CALABI LIMENTANI, « Riv. Stor. lt. », LXXXIII, 1971, pp.
922-928). Sulla riscoperta dei caratteri lapidari, vd. in parti-
colare G. MARDERSTEJG, Leon Battista Alberti e la rinascita
del carattere lapidario romano nel Quattrocento, «Italia me-
dioev. e umanistica », II (1959), pp. 285-307. Un singolare

171
Epigrafia romana

ruolo ebbe a svolgere, mediante gli apografi tratti da Matteo


de' Pasti e da Agostino di Duccio, l'epigrafia riminese del
tempo dei Malatesta: si pensi al nesso delle sigle iniziali SI
nel Tempio malatestiano.

'La fortuna dell'epigrafia romana si innesta e talvolta


si confonde con i prodotti dell'imitazione e della falsi-
ficazione. È necessario istituire una tematica che serva
a classificare le iscrizioni « romane » prodotte dopo l'età
antica in imitazione o in contraffazione delle iscrizioni
antiche; si può asserire che all'origine di simili produ-
zioni si scopre uno (o più d'uno) dei seguenti motivi:
a) la restituzione presunta di un monumento che spieghi
autenticamente la storia di un paese o di una gente (un
esempio: CIL, IX, 351 *, da Paganica, lavi Paganico sa-
crum, dove è trasparente il proposito di dare la spiegazione
del nome del luogo e di celebrarne l'antichità); b) l'eserci-
tazione erudita (come è quasi sempre per il famosissimo
Pirro Ligorio ); c) la fantasia esornativa, con la quale si in-
ventano testi e monumenti di decoro a paesaggi; d) la vera
e propria contraffazione, che - a differenza dei prodotti
delle precedenti categorie, confinati quasi sempre nelle
carte dei codici - impongono una vera e propria inci-
sione sulla pietra (è questo il caso degli exempla novicia,
testi antichi riprodotti tra il Quattro e il Settecento su
parti autentiche di monumenti antichi, per esempio lastre
da urnette) o una lavorazione del bronzo o di altri me-
talli pregiati, o della terracotta. In questo caso l'analisi
del materiale e della tecnica impiegata (iscrizioni conser-
vate nella Galleria fiorentina degli Uffizi furono ripro-
dotte - verso il 1938 - addirittura con l'uso di un
trapano elettrico, ed esportate in centri vicini) rappre-
senta il metodo migliore di verifica.

172
Sopravvivenza e fortuna

L'indagine sull'autenticità di un'iscrizione sospetta


comporta un impegno culturale che si può cosl riepilo-
gare: occorre un'approfondita conoscenza della storia
della cultura dell'ambiente di produzione presunta, ed in
particolare una storia non banale - ma circostanziata e
critica - del senso e della consapevolezza dell'antico
propri di quell'ambiente; sara quindi necessaria un'at-
tenta valutazione di ogni prodotto della retorica, e l'ana-
lisi di altri eventuali falsi della diplomatica, della sfra-
gistica, della numismatica; in ogni caso, specie se si
tratta di un monumento vero e proprio, che si può esa-
minare, si seguiranno le piste dei paradigmi indiziari
(Ginzburg) già note e battute nell'analisi dei falsi arti-
stici, in fin dei conti nella cultura dei « gialli »; infine
si porrà attenzione alla storia e alle domande del mer-
cato antiquario. Si rifletta che ogni epigrafia, quindi ogni
cultura produce i suoi « falsi ». Si consideri infine un
altro rischio, che è consistente soprattutto per le iscri-
zioni da codice: quello di una diffidenza ipercritica che
porti - come è sicuramente accaduto allo stesso Momm-
sen ed a molti editori del CIL - ad espungere testi
sui quali si poteva, tuttalpiù, formulare qualche dubbio.

Alcune voci della copiosa dottrina sui falsi epigrafici: per


le considerazioni metodologiche, vd. J. MALLON, «Emerita»,
XVIII (1950), pp. 104-137; un'impostazione esauriente, di
M. P. BILLANOVICH, «Italia medioev. e umanistica», X (1967),
pp. 25-110 (questo periodico dedica largo spazio alla tematica),
cf. la ree. di I. CALABI LIMENTANI, « Riv. Stor. It. », LXXXI
(1969), pp. 655-660; la bibl. sul Ligorio, con commento cri-
tico, di A. DEGRASSI, <<Atene e Roma», X (1965), pp. 84-87;
un saggio esemplare su un grande falsario, di S. PANCIERA,
Un falsario del primo Ottocento. Girolamo Asquini e l'epi-
grafia antica delle Venezie, Roma 1970; infine, di M. P. Bil-
lanovich la già cit. (cap. I, 3) analisi delle iscrizioni dipinte

173
Epigrafia romana

nel Chiostro Maggiore di S. Giustina a Padova («Italia me-


dioev. e umanistica >>, XII, 1969, pp. 197-293).
Ancora una volta svolse un ruolo importante nella pro-
duzione imitativa dell'antico l'epigrafia riminese (e dei cen-
tri vicini, come Cesena): si pensi al suggestum Caesaris nel
foro di Rimini (CIL, XI, 34*) e al decrettlm Rubiconis (ibid.,
30*; cf. A. CAMPANA, La pretesa sanzione romana sul Rubi-
cone e altri marmi connessi, Cesena. Il Museo storico dell'an-
tichità, Faenza 1969, pp. 87-90).

Il senso dell'epigrafia romana, quale è stato vissuto e


creduto nella storia della cultura europea, rivive nei si-
gnificati « lapidarii »: un discorso lapidario, uno stile
lapidario; nelle strutture e nei testi dei monumenti com-
memorativi, dove emergono figure retoriche spesso le-
gate ad una memorizzazione apologetica (a Cesena, il
monumento ai caduti: ob patriam caesis mater Caesena
dicavit); al guizzo contestativo di cui è spesso oggetto
l'iscrizione moderna, ritenuta quindi il prodotto di una
cultura d'apparato: si pensi alle targhe stradali talvolta
modificate o deformate con la vernice, oppure a Totò
« morto che parla » che cancella la scritta una prece sulla
sua lapide nel cimitero per correggere in 1000 preci.

174
7. INTEGRARE E DATARE LE ISCRIZIONI

Per essere capita, l'iscrizione deve essere valutata glo-


balmente; devono venire in luce i rapporti e le intera-
zioni dei messaggi affidati alle diverse parti del monu-
mento, ai diversi linguaggi; l'iscrizione deve inoltre es-
sere sciolta e integrata nel testo, là cioè dove questo è
abbreviato oppure è mutilo; deve infine essere datata,
cioè collocata nel tempo perché possa servire come do-
cumento per la storia; quest'ultima operazione conclude
e si identifica con le precedenti perché si concreta solo
con la conoscenza dei linguaggi, degli usus che inqua-
drano un'iscrizione in un orizzonte e addirittura nella
produzione di un'officina, come espressione economica e
culturale di un ambiente; senza che si dimentichi che
ogni iscrizione è un unicum (persino quando ne esistono
più esemplari e quando ripete l'impressione di un timbro
su un oggetto dell'instrumentum), reca cioè nel momento
della sua produzione e soprattutto nel suo consumo con-
notazioni singolari, che esigono ogni volta una valutazione
rinnovata e diversa.
La conoscenza approfondita di un'iscrizione porta
quindi alla sua datazione: per questa esistono alcuni
elementi oggettivi dei quali si deve comunque tenere
conto. Ad esempio: è intuitivo che ogni testo è con~
temporaneo o successivo (anche di molto) nel tempo al
suo monumento, di cui costituisce semmai il terminus

17.5
Epigrafia romana

ante quem, mentre la data di produzione di un monu-


mento è senza dubbio il terminus post quem per l'ese-
cuzione del testo, cioè per la genesi compiuta ed effettiva
dell'iscrizione, o per l'aggiunta, in tempi diversi e suc-
cessivi, di più iscrizioni. Esempi di tale diaspora crono-
logica sono stati ricordati quando si è trattato dei proces-
si di trasmissione e di tradizione: casi del genere sono
ben frequenti per alcune categorie dell'instrumentum,
dove oggetti di produzione in serie ricevono solo col
tempo i segni graffi ti o incisi del possesso (o più sempli-
cemente una sigla o un messaggio affidato ad un
ostrakon).
Il testo aiuta talvolta col riscontro obiettivo di un
personaggio noto (si pensi all'iscrizione di Ponzio Pilato
a Cesarea di Palestina), oppure con riferimenti ad eventi
conosciuti (una spedizione militare, la dislocazione di un
reparto, le titolature di imperatori, di città, di legioni,
ecc., ecc.), o alla carriera nota di magistrati, o addirittura
con datazioni esplicite (i consoli eponimi, le indizioni,
le ere, tra le quali vanno annoverate quelle in uso nelle
province), che sono però piuttosto rare, o - con qualche
eccezione - con la menzione numerale della tribunicia
potestas degli imperatori delle prime dinastie. Ma vale
soprattutto il criterio di ricercare i confronti in iscrizioni
meglio datate dello stesso ambiente (Thylander, Barbie-
ri): ciò serve per l'analisi di ogni elemento dell'iscrizione
ed anche per quelli che vengono definiti più spiccata-
mente archeologici (come sarebbero i tipi monumentali,
gli elementi figurativi, le cornici, le tecniche, ecc.) e
paleografici.
Certamente vi sono iscrizioni che anche per il loro
contenuto testuale oltre che per la loro destinazione e
collocazione meglio si ispirano a modelli canonici, come
accade per i monumenti prodotti nelle officine dell'arte

176
Integrare e datare

colta (specie a Roma e nelle capitali e metropoli provin-


ciali), laddove ben più numerosi, diversi ed eclettici sono
i modelli e i linguaggi delle officine nell'immenso impero,
che subiscono sollecitazioni molteplici, talvolta recupe-
rano e conservano tipi locali e spesso invece li contami-
nano e li innovano.

Sulle datazioni epigrafiche dei monumenti vd. le consi-


derazioni di S. BoucHER, Les bronzes figurés dans le monde
romain. Ateliers et datations, << Apulum », XV (1977), pp.
257-284; per i criteri generali di datazione vd. il manuale del
Thylander, pp. 1-53, nonché G. BARBIERI, Scavi di Ostia, III,
l, Roma 1958, pp. 131-136. L'Album dei Gordons contiene
riproduzioni di iscrizioni datate, da Roma; dei medesimi vd.
il più volte cit. Contributions to the palaeography of latin in-
scriptions, Univ. Calif. Press 1957, particolarm. pp. 208-217.
Si segnalano infine le proposte esemplari di M. LEGLAY, Sa-
turne africain, Paris 1966, pp. 14-57.

177
PARTE TERZA

EURISTICA E RICERCA
l. LA RICERCA BIBLIOGRAFICA

Ogni territorio del mondo antico ha restituito e con-


tinua a restituire iscrizioni romane: esse vengono quindi
pubblicate pressoché in ogni paese e spesso su libri, pe-
riodici e giornali che non si occupano solitamente di
epigrafia e non ne conoscono metodi e principi. Si tratta
di un'abitudine che non si può interrompere proprio per
il ruolo che le iscrizioni occupano nella comune cono-
scenza del patrimonio culturale: è quindi necessario, in-
teressandosi delle iscrizioni di un luogo, frequentare la
locale biblioteca (non meno che gli archivi dove si con-
servano le notizie delle scoperte) e prendere visione della
dottrina locale.
Proprio per questi motivi e per venire incontro alle
esigenze degli studiosi - di disporre cioè di raccolte
organiche e generali - a metà del secolo XIX, dopo
altri tentativi, prese inizio - a cura dell'Accademia del-
le Scienze di Prussia - il Corpus inscriptionum Latina-
rum (CIL), redatto in latino, articolato in numerosi vo-
lumi (e ciascuno in più fascicoli e tomi), lungi peraltro
dall'essere terminato e neppure aggiornato in ogni suo
settore, nonostante i molti supplementi. Questa breve
rassegna bibliografica si apre quindi con il sommario
del CIL, cui seguiranno poche altre essenziali infor-
mazioni; altri suggerimenti bibliografici sono in calce ai
diversi capitoli e paragrafi di questo volume; un reper-

181
Epigrafia romana

torio più completo si trova a séguito del manuale Calabi


(un'appendice iniziata nelle prime edizioni da Attilio De-
grassi) e (per l'età imperiale) nel repertorio di Manfred
Clauss, ANRW, Il, l, 1974, pp. 796-855.

CIL, I: Inscriptiones antiquissimae ad C. Caesaris mor-


tem, 2.a ed.;
(( II: Hispaniae;
» III: Asiae, provinciarum Europae Grae-
carum, Illyrici;
IV: parietariae Pompeianae, etc. (et va-
sorum fictilium);
» V: Galliae Cisalpinae;
VI: urbis Romae;
)) VII: Britanniae;
» VIII: Africae;
)) IX: Calabriae, Apuliae, Samnii, Sabino-
rum, Piceni;
)) X: Bruttiorum, Lucaniae, Campaniae,
Siciliae, Sardiniae;
)) XI: Aemiliae, Etruriae, Umbriae;
« XII: » Galliae Narbonensis;
)) XIII: trium Galliarum et Germaniarum;
» XIV: Latii veteris;
» XV: urbis Romae (instrumentum dome-
sticum);
» XVI: » Diplomata militaria;
Sono previsti (ed in preparazione) il vol. XVII, sui mil-
liari, e il XVIII (carmi epigrafici).

Come si vede, tuor che i volumi I, XV, XVI e se-


guenti, si tratta di partizioni territoriali: internamente
a queste la raccolta si apre con le falsae et alienae (con
numerazione propria seguita da asterisco; per alienae si
intendono quelle di altre localita, conservate nel luogo di
cui si tratta; la rassegna non è però mai completa); le

182
La ricerca bibliografica

iscrtz10ni autentiche sono poi raggruppate per località,


tenendo come base - per quanto possibile - le circo-
scrizioni antiche; ogni località è preceduta da un succoso
sommario storico e delle fonti, nonché da un elenco ragio-
nato degli auctores, cioè della dottrina (codicologica, bi-
bliografica) di cui si dispone; seguono poi le iscrizioni
sacre, quelle degli imperatori, dei magistrati, dei funzio-
nari, dei soldati, delle opere pubbliche, ecc., infine le
funerarie in ordine alfabetico (per nomina), i frammenti
e - del tutto incomplete - le cristiane. Ogni volume
o fascicolo si chiude con i milliari, l'instrumentum, ordi-
nato per categorie di oggetti, e gli indici, più o meno
copiosi, articolati e completi.
La lettura del CIL non è sempre facile: diamo qui di sé-
guito un esempio tra i più semplici.
3101 cippua magnus. V t:ronae in museo pbil-
b&rmonico LISCA REL. Est ibi eub n. 819.

u F
~~
P • L • IVCVnDVS
5181 " IT
l P • PONTIO P P
PESTO • PAAONO
GAVIAI• Q; L• LY CNIDI
CONTVBEJl
P•PONTIO •AGRICOLAI
10 FlUO

Contuli. Habent Lisca et Cozza p. 239 paullo


pleniorem et Maft'ei .M. V. 158, 12.
l. 2 Fil· , • IVS Lisca et Cozza; hodie incipit
lapis a v. 2 imminuto.

183
Epigrafia romana

L'iscrizione è riportata dal vol. V del CIL, alla p. 375,


tra quelle di origine veronese. Il numero che la distingue
(3707) costituisce il numero d'ordine per l'intero volume, che
raccoglie le iscrizioni della Gallia Cisalpina: ogni eventuale
aggiornamento od emendamento nei fascicoli di supplemento
richiama lo stesso numero. Al nwnero segue il «lemma»,
cioè la breve descrizione del monumento (di solito troppo
sommaria), la sua collocazione (in altri casi anche le circo-
stanze della scoperta e le vicende subite dal monumento), di
cui si dà in questo caso anche il numero d'inventario (319
nel cosiddetto museo filarmonico). Già queste notizie sono
seguite da una sigla in carattere maiuscoletto: LISCA REL.,
da intendersi Lisca et reliqui, che fa riferimento all'apparato
che segue il testo. Questo è trascritto nella cosiddetta com-
posizione epigrafica - che oggi si tende sempre più ad ab-
bandonare, per sostituirvi la fotografia ed in ogni caso la
trascrizione in corsivo - che consiste nella approssimativa
riproduzione dell'originale mediante i caratteri tipografici in
maiuscolo; vanno invece in maiuscolo corsivo quelle parti
che erano note da precedenti edizioni ma che l'editore del
CIL non ha potuto verificare (quindi la F alla linea l) ed in
minuscolo corsivo quelle parti che il medesimo editore ritie-
ne di sicuramente integrare, ma che non figurano nell'origi-
nale nè comparivano in precedenti edizioni: la v a linea l in.,
le due p all'inizio della linea seguente, ancora la n a metà
della stessa linea ed un'altra n alla linea 3 ex. Come si vede,
la composizione tipografica intende riprodurre anche i feno-
meni più rilevanti della scrittura: come la hedera di inter-
punzione alla linea 4, il nesso TR alla linea 6, le lettere so-
prelevate alle linee 7 e 9.
Contuli - all'inizio dell'apparato - significa che l'edi-
tore ha personalmente verificato, con autopsia, quanto era già
noto dalla dottrina: questa è subito riferita con l'indicazione
dell'opera di Lisca e Cozza e del M(useum) V(eronense) del
Maffei. Le connotazioni generali di tali opere si cercano, co-
me si è detto, nella rassegna degli auctores che si legge a capo
di ogni luogo, nel capitolo introduttivo, e - nel caso in que-

184
La ricerca bibliografica

stione- alle pp. 325-326, rispettivamente ai paragrafi XXIV


e XXV: spesso queste esplicitazioni sono accompagnate da
giudizi e da osservazioni sulla dipendenza e sulla tradizione
degli auctores. Può però accadere che la citazione nell'appa-
rato di un codice o di un manoscritto non trovi riscontro
nell'elenco introduttivo: in tal caso si tratta di opere tanto
famose che l'editore del CIL ritenne, al suo tempo, di comu-
ne notorietà, spesso se ne trova traccia nell'imponente lista
degli auctorcs in capo al vol. VI; diversamente si dovrà fare
ricorso ai più celebri cataloghi dei manoscritti (per es., quel-
lo cosiddetto del Mazzatinti per le biblioteche italiane). Al-
trettanto si deve osservare, per certe sillogi a stampa che
hanno preceduto il CIL, come Smezio, Grutero, Muratori,
che vengono semplicemente citate in abbreviazione. Talvolta
si fa riferimento alla consultazione di carte o fascicoli di stu-
diosi, di appunti o disegni cioè, che vengono citati con la for-
mula ex schedis: spesso si tratta di semplici rinvii ma in al-
tri casi invece di manoscritti tanto elaborati quanto poco co-
nosciuti.
L'edizione nel CIL termina con l'annotazione delle va-
rianti della tradizione rispetto all'autopsia. Talvolta, ma ra-
ramente, seguono la trascrizione in corsivo, qualche confron-
to ed un minuscolo commento.

Per qualche tempo un'apposita collana, la Ephemeris


epigraphica ( voll. I-IX, sino al 1903) pubblicò supple-
menti al CIL. Ma in seguito ogni paese, e spesso molte
regioni e città, pubblicarono (e pubblicano tuttora) sil-
logi sistematiche di iscrizioni romane; si fa cenno qui di
alcune tra le principali iniziative nazionali:
-Penisola iberica: numerosi corpora regionali; la rivi-
sta Hispania antiqua epigraphica », I-XVI (1950-1965);
<<
- Gallia: P. WurLLEUMIER, Inscriptions latines des
trois Gaules, Paris 1963;
- Britannia: The Roman Inscriptions of Britain (RIB),
I, Oxford 1965; le rassegne in « Britannia »;

185
Epigrafia romana

- Italia: la collana Inscriptiones Italiae, in corso (fasci-


coli per città e territori ordinati in volumi corrispondenti al-
le regiones augustee, inoltre l'edizione di fasti, elogi, calen-
dari); la serie Supplemento Italica, in corso (una prima serie
fornl un solo volume, nel 1888, di E. PAIS a supplemento di
CIL, V); G. SoTGIU, Iscrizioni latine della Sardegna, I-II,
Padova-Milano 1961-1968;
- Paesi danubiani e balcanici: la silloge bavarese di F.
VoLLMER, Miinchen 1915; supplementi regionali austriaci
(per lo più a cura di E. Weber); V. HoFFILLER-B. SARIA,
Antike Inschriften aus Jugoslavien, I (Norico e Pannonia
sup.), Zagreb 1938; la serie di aggiornamenti per la Iugosla·
via curata da A. e J. Sasel, in corso; la collana Die romischen
Inschriften Ungarns (RIU), in corso; le collane Inscriptiile
Daciei romane (IDR), e I nscriptiile d in Scythia minor, in
corso; B. LATYSCHEV, Inscriptiones antiquae orae septentrio-
nalis Ponti Euxini etc., I, II e IV, St. Petersburg 1885-1916;
D. M. PIPPIDI, Inscriptiones intra fines Dacoromaniae reper-
tae, Bucarest 1976; J. CESKA-R. HoSEK, Inscriptiones Pan·
noniae Superioris in Slovacia Transdanubiana asservatae,
Brno 1967;
- Grecia: i volumi epigrafici delle grandi edizioni di
scavi (Corinto, Delfi, Delo, Olimpia, Samotracia, Taso); M.
SASEL Kos, Itzscriptiones Latinae in Graecia repertae, Faen-
za 1979; per Creta: M. GUARDUCCI, Inscriptiones Creticae,
I-IV, Roma 1935-1950; per il Dodecaneso: sillogi nei volu-
mi di <<Clara Rhodos » e dell'« Annuario della Scuola Ar-
cheologica di Atene».
- Provincie asiatiche: le collane in corso Tituli Asiae mi-
noris (TAM), Monumenta Asiae minoris antiqua (MAMA),
Inscriptions grecques et latines de la Syrie; volumi epigrafici
nelle grandi edizioni di scavi;
- Provincie africane: R. CAGNAT-A. MERLIN-L. CHATE-
LAIN, Inscriptions latines d'Afrique (Ttipolitaine, Tunisie et
Maroc), Paris 1923; A. MERLIN, Inscriptions latines de la
Tunisie, Paris 1944; J. M. R.EYNOLDs-J. B. WARD PERKINS,
The Inscriptions of Roman Tripolitania, Roma 1952; le col-

186
La ricerca bibliografica

lane da tempo iniziate Inscriptions latines de l'Algerie, In-


scriptions latines du Maroc.
Edizioni speciali per l'instrumentum, vd. sopra cap. I, 11.
L'aggiornamento costante delle edizioni epigrafiche è
l'oggetto del periodico « L'Année épigraphique » (AEp),
che si pubblica a Parigi dal 1888. Rassegne bibliogra-
fiche e delle scoperte si trovano su alcuni importanti
repertori (come la Archiiologische Bibliographie dello
« Jahrbuch » dell'Istituto Archeologico Germanico), nel
grande periodico di aggiornamento bibliografico degli stu-
di classici « L'Année philologique », nei volumi dei «Fa-
sti archaeologici »; una lunga e succosa rassegna di epi-
grafia giuridica è stata pubblicata in numerose puntate, a
cura di V. Arangio Ruiz, G.I. Luzzatto e A. D'Ors negli
« Studia et doc. historiae et iuris ~> (SDHI)) dal 1933 e
in« Iuta», negli anni 1956 e 1957.
Una silloge classica è quella di H. DESSAU, Inscriptio-
nes Latinae selectae, 1-111, Berlin 1892-1916 (conguaglio
tra CIL e Dessau, in fase. speciale del Diz. Ep., 1950).
Raccolte speciali: Inscriptiones Graecae ad res Ro-
manas pertinentes (IGRRP), I, III-IV, Paris 1906-1927;
Inscriptiones Latinae liberae rei publicae (ILLRP), a cu-
ra di A. Degrassi, 1-11, Firenze 1963-65; Carmina Latina
epigraphica, a cura di F. Biicheler e E. Lommatzsch (CLE,
o Biicheler), 1-111, Lipsiae 1895-1926.
Raccolte di iscrizioni con particolare interesse giuridico:
Fontes iuris Romani antiqui, a cura di K. G. Bruns, Tiibingen
1909; G. RoTONDI, Leges publicae populi Romani, Milano
1912; Fontes iuris Romani Anteiustiniani, a cura di S. Ricco-
bono, I. Baviera, V. Arangio Ruiz, Florentiae 1968-69.
Grandi repertori di riproduzioni di iscrizioni: E. HiiBNER,
Exempla scripturae epigraphicae Latinae, etc., Berolini 1885;
A. E. e J. S. GoRDON, Album of dated latin inscriptions, l-
IV, Berkeley 1958-1965; A. DEGRASSI, Imagines (vol. di

187
Epigrafia romana

Auctarium al CIL, relativo alla silloge di iscr. repubblicane


ILLRP), Berolini 1965.
Da molti decenni si viene pubblicando, ora presso l'Isti-
tuto Italiano di Storia Antica a Roma, il Dizionario epigra-
fico di antichità romane (DizEp), giunto alla lettera M.
Per repertori onomastici, vd. sopra cap. I, 7; si aggiunga
O. GRADENWITZ, Laterculi vocum Latinarum, Leipzig 1904.
Per repertori prosopografici, di cursus e di titolature, vd.
sopra, cap. I, 9.
Per gli Atti dei Congressi epigrafici internazionali, vd.
sotto, cap. III, 5.
·Principali manuali: R. CAGNAT, Cours d'épigraphie
latine 4 , Paris 1914; J.E. SANDYS, Latin epigraphy 2 , Cam-
bridge 1927; H. THYLANDER, Etude sur l'épigraphie lati-
ne, Lund 1952; E. MEYER, Einfuhrung in die lateinische
Epigraphik, Darmstadt 1973; A. CALDERINI, Epigrafia,
Torino 1974; I. CALABI LIMENTANI, Epigrafia latina, Mi-
lano, ed. costantemente aggiornata; J. n'ENCARNAçA.o,
Introduçiio ao estudio da epigrafia latina, Coimbra 1979
(avviamento elementare di grande utilità, con glossario
ed esempi di schedatura).
Periodici speciali: « Epigraphica », dal 1939, ora a
Bologna; « Zeitschrift fi.ir Papyrologie und Epigraphik »
(ZPE), dal 1967 a Colonia; « Chiron », dal 1971 a
Munchen; si ricordino inoltre le collane Epigraphische
Studien, dal 1967 a Bonn, e Tituli, dal 1980 a Roma;
infine, per le tematiche innovatrici di storia della comu-
nicazione scritta, il giovane periodico « Scrittura e civil-
tà »; come si ripete, iscrizioni e contributi epigrafici
appaiono su molte riviste; già si è citata « L'Année
épigraphique», come rassegna bibliografica.
Delle pubblicazioni citate in questo sommario di ricerca
bibliografica escono spesso ristampe e riproduzioni anasta-
tiche.

188
2. AUTOPSIA, SCHEDA, TRASCRIZIONE,
EDIZIONE

L'epigrafista opera anche alla scoperta e al rileva-


mento delle iscrizioni, nel luogo dove queste vengono
alla luce o dove sono state portate, spesso nei lapidari e
nei musei. Dispone quindi di arnesi, strumenti e materiali
che corredano la sua « bisaccia ».

Eccone un esempio: l. metro; 2. doppio decimetro o sca-


la metrica graduata (a tacche visibili) da apporre, se del caso,
alle iscrizioni nelle riprese fotografiche; 3. lampada tascabile
di forte potenza; 4. carta millimetrata, e strumenti necessa-
ri ad un primo bozzetto o a un disegno (è utile anche una ta-
voletta portatile); 5. spazzole (morbida e dura); 6. lama d'ac-
ciaio, per operazioni meccaniche quali il distacco di consi-
stenti incrostazioni (badando a non sfiorare la superficie
iscritta) e il prelievo di minuscoli campioni di pietra; 7. mac-
china fotografica, con lenti addizionali per particolari ravvi-
cinati; 8. faretti mobili (con spine e prolunghe) per l'illumi-
nazione artificiale, specie a luce radente; 9. carta da calco; 10.
spugna; 11. spazzolino da percussione (per i calchi cartacei);
12. carta velina o sottile; 13. polvere di grafite o matite per
apografo; 14. latex e pennello; 15. contenitori per calchi e
apografi; 16. schedari con riferimenti epigrafici dell'area o
del territorio; 17. carta topografica, del tipo tavoletta I.G.M.
al 25.000, o altra mappa; 18. autoadesivi per apporre all'iscri-
zione contrassegni o indicazioni inventariali.

189
Epigrafia romana

Ogni forma di rilevamento deve tendere a riprodurre


fedelmente qualsiasi aspetto dell'epidermide epigrafica
del monumento: la corretta pulitura deve precedere qual-
siasi operazione, sia che si tratti di rimuovere una coltre
di terriccio entro uno scavo archeologico, sia che si operi
in un museo o in un magazzino. Si ricorre alla fotografia,
possibilmente in bianco e nero con pellicole ortocromati-
che: se la luce naturale non offre buone condizioni di
lettura, si fa uso di lampade elettriche; è necessario che
la sorgente di luce colpisca la superficie iscritta radendola
(luce radente), in modo da rendere evidenti tutti i segni,
senza però che l'ombra della cornice o la porosita della
pietra coprano o confondano la lettura. Poiché la luce deve
incidere normalmente i tratti delle lettere, torna il conto
spesso di fotografare con una luce radente che investa in
diagonale lo specchio epigrafico, cui aggiungere - se
necessario - una posa brevissima di altra luce da dire-
zione diversa. È necessario fotografare sia la superficie
iscritta sia l'intero supporto o monumento, sia - se
recuperato - l'ambiente nel quale l'iscrizione è stata
scoperta.

Sulle tecniche della fotografia, vd. « Les dossiers de l'ar-


chéologie », XI-XII (1975).

Se non c'è modo di procedere a una buona fotografia,


oppure per il rilevamento di tracce e segni sottili (era-
sioni, palinsesti) si ricorre al calco con fogli cartacei (una
carta sprovvista di cellulosa, di tipo assorbente), che si
ottiene bagnando dapprima la superficie, apponendo
poi il foglio che viene subito inumidito, e percuotendo con
uno spazzolino morbido, in modo da espellere qualsiasi
bolla d'aria e da far aderire totalmente la carta alla su-
perficie iscritta in ogni sua solcatura. Nel caso di super-

190
Autopsia, scheda, trascrizione, edizione

fici molto levigate (per esempio, minuscole tabelle bron-


zee) si ricorre anche all'apografo ottenuto spalmando
polvere di grafite e passando lievemente una punta di
matita dalla parte piatta su un foglio di carta velina o
sottile. Per rilevare iscrizioni collocate in luoghi impervi,
o dove non sia possibile disporre di una fotografia o di
un calco, si può usare il latex o altra vernice o materia
plastica da spalmare sulla superficie, per poi rimuoverla
una volta asciutta: illatex consente di ripiegare la ripro-
duzione cosi ottenuta come un sottilissimo foglio di pla-
stica, di trasportarla in pochissimo spazio e di stenderla
nuovamente in laboratorio senza che abbia subito defor-
mazioni. Va da sé che la fotografia può spesso essere già
tanto soddisfacente da servire per l'edizione, mentre di
un calco o di altro occorre a sua volta eseguire - per la
pubblicazione - la fotografia (o il disegno). Ogni foto-
grafia ed ogni calco, cosi come ogni disegno, appunto,
ecc., deve recare la data dell'esecuzione.

Gli appunti, i disegni, le riproduzioni portano alla reda-


zione di una «scheda», che contiene numerose voci: ciascu-
na esplicita una domanda e risponde ad un'operazione che
l'epigrafista deve compiere; può darsi che qualcuna di tali
operazioni non sia necessaria o non sia possibile per qualche
iscrizione, e che se ne impongano invece altre non previste
dalla scheda, che potranno essere naturalmente aggiunte in
calce. Con qualche riduzione e qualche ritocco questa scheda
è utile per il rilevamento di iscrizioni da manoscritti, da an-
tiche edizioni o da carte d'archivio, che spesso costituiscono
l'unica documentazione superstite.
Allo schema che qui si propone, fanno séguito annota-
zioni esplicative di alcune voci.
Scheda epigrafica
A. Esponenti:
l. Luogo del rinvenimento; 2. Comunità romana; 3. Luo-

191
Epigrafia romana

go di conservazione (ev. n. d'inventario); 4. Documen-


tazione: -fotografie; -negativo n.; -calco; -disegno; -al-
tra documentazione; -riferimento bibliografico di ba-
se (CIL, o altro).
B. Lemma:
5. Rinvenimento: circostanze e data (con eventuali va-
rianti); eventuale contesto archeologico e topografico;
6. Vicende del monumento e dell'iscrizione (con eventua-
li varianti);
7. Descrizione:
a) monumento, supporto, parte di esso, con individua-
zione del tipo (stele, cippo, ara, tabella, sarcofago,
epistilio, ecc.), o grande monumento (arco, ponte,
platea, mausoleo, ecc.);
b) oggetto (lucerna, tegola, ecc.);
c) materiale: qualità della pietra, bronzo, terracotta,
ecc.;
d) stato di conservazione: descrizione dei frammenti,
danni, restauri (anche recenti);
e) elementi figurativi: decorazioni, simboli, raffigura-
zioni, anche nelle parti secondarie;
f) specchio epigrafico (descrizione particolare: corm-
ci, levigatura, tracce d'opera, ecc.);
g) misure: del monumento e delle sue parti; dello
specchio epigrafico, con cornici; altezza delle singo-
le linee iscritte; altezza (ed eventualmente, modu-
lo) di singole lettere di interesse particolare; even-
tuale distanza dal bordo di frattura; se necessario,
interlinea, interlettera, ecc.
h) scrittura: l. preparazione del testo; 2. osservazio-
ni sull'impaginazione; 3. tecnica dell'incisione, du-
ctus; 4. erasioni, correzioni, palinsesti, interpola-
zioni, anche di epoche diverse.
C. 8. Schizzo, disegno, o piccola riproduzione fotografica.
D. 9. Apparato critico: a) osservazioni (linea per linea)
sull'autopsia: lettere mutile e possibili integrazio-
ni, sigle e formule, nessi di particolare interesse, se del

192
Autopsia, scheda, trascrizione, edizione

caso interpunzioni, apici, altri segni; b) varianti si·


gnificative trasmesse dalla tradizione, ed eventuali pro-
poste alternative di lettura (usando, per la tradizione,
le abbreviazioni codificate sotto, F. llb; c) collocazio-
ne presunta del frammento (o dei frammenti) rispetto
all'originale.
E. 10. Trascrizione, con proposta di integrazione.
F. 11. Dottrina: a) commento: l. proposte di letture alter-
native rispetto alla trascrizione; 2. analisi e pro-
poste per la datazione; 3. inquadramento storico; os-
servazioni topografiche, antiquarie, di storia della cul-
tura; 4. riferimenti a iscrizioni riconducibili allo stesso
orizzonte, alla stessa officina, alla stessa bottega, del-
la stessa mano;
b) riferimenti documentali e bibliografici: manoscrit-
ti, codici, opere a stampa, schede e appunti in archivi,
giornali di scavo, tradizione orale, con l'indicazione
delle eventuali dipendenze; con repertorio delle abbre-
viazioni relative, usate nella scheda; con indicazione
delle riproduzioni fotografiche o in disegno; con le
eventuali segnature bibliografiche, codicologiche, d'ar-
chivio delle opere indicate.
G. 12. Altre osservazioni.
Annotazioni alla scheda epigrafica: A, 1-4: si tratta di
esponenti sommari, destinati ad essere riportati in maniera
ben visibile in testa alla scheda, per facilitarne la consul-
tazione;
B. 5: indicare nel dettaglio la località del rinvenimento,
il comune, la frazione, il villaggio, il vocabolo, facendo rife-
rimento- se necessario- alle coordinate cartografiche; nel
tessuto urbano l'indicazione dovrà essere riferita al numero
civico della strada; si darà comunque la profondità del rin-
venimento dal livello del terreno o di strada; si descriverà
qualsiasi situazione di reimpiego. Per intendere la rilevanza
di tali dati, si pensi alla possibilità di individuare necropoli,
fori urbani, confini amministrativi di un territorio.
B. 7, a: deve porsi attenzione a tutte le parti di un mo-

193
Epigrafia romana

numento, anche ai lati (anche con riferimento all'apparato fi-


gurativo descritto sotto in e) e alla parte superiore, nonché
agli eventuali collegamenti con una statua, e al retro;
d: anche frammenti minuti possono consentire recuperi
imprevedibili, sia per la giunzione con altri frammenti, sia
per la possibilità di integrarli con altra documentazione (pre-
cedenti riproduzioni in migliore stato di conservazione, come
accade spesso da schede antiquarie, manoscritti e codici);
/: si ponga attenzione agli eventuali falli sulla superficie,
distinguendoli dai danni subiti dal monumento nelle vicende
successive alla sua genesi;
g: si ricorra costantemente alla medesima unità di misura
(m = metri; cm = centimetri), che potrà essere diversa, spe-
cificando, secondo le categorie delle iscrizioni: per es., bolli
dell'instrumentum possono essere tutti misurati in cm; ove si
può, per ogni monumento si riporti il maggior numero di da-
ti metrici, in altezza, in larghezza, in profondità, o spessore;
se necessario, indicare per ogni dimensione la massima e la
minima (in particolare per i frammenti, il cui spessore condi-
ziona spesso la possibilità della congiunzione con altri), e in
ogni caso le misure delle lettere segnatamente più alte o più
basse; si misurino le lacune (erasioni, scheggiature sullo spec-
chio epigrafico) per comprendere quale numero di lettere è
venuto meno, considerato il modulo;
h, l: un dito sensibile avverte talvolta ciò che nè la foto-
grafia nè il calco nè l'autopsia a luce radente riescono a sco-
prire;
h, 2: indicare le lettere che escono dal bordo incise sulla
cornice (od eradendola), e le linee incise a mano libera (spe-
cie nella parte inferiore dello specchio) fuori di ogni ordi-
na! io;
h, 3: misurare, nei rari casi in cui ciò è possibile, il passo
dello scalpello o di altro strumento impiegato;
D. 9, b: anche se l'iscrizione è conservata e si può quin-
di leggere direttamente, talune varianti hanno importanza
per la storia del testo e per l'evoluzione del messaggio che
l'iscrizione ha volta a volta provocato nel tempo; non dimen-

194
Autopsia, scheda, trascrizione, edizione

tichiamo che la schedatura di iscrizioni nell'Umanesimo e nei


secoli dell'età moderna non solo ne ha assicurato la tradi-
zione ma ne ha significato l'importanza; nelle varianti e nel-
le alternative proposte linea per linea (cosl anche per F. 11,
a, l) si usano le abbreviazioni in., med., ex., per designare ri-
spettivamente la parte iniziale, quella centrale e la parte fi-
nale della singola linea.

La scheda realizza le osservazioni dell'autopsia e con-


tiene un primo approccio alla documentazione disponi-
bile: lo scopo di questo procedimento è quello di giun-
gere ad una presentazione esauriente del monumento ed
in essa alla trascrizione del testo; l'edizione concluderà
il lavoro dell'epigrafista.
La trascrizione del testo, e l'edizione dell'iscrizione
tendono a fornire il maggior numero di elementi della
descrizione; la maggior parte di questi diviene perspicua
dalla fotografia o dalla riproduzione ed è esposta nelle
diverse voci della scheda, cui fa seguito il commento e
l'interpretazione. Si cerca però di rendere nella trascri-
zione del testo, con simboli diversi, sia quanto nell'iscri-
zione è abbreviato (scioglimento), sia quanto risulta mu-
tilo o mancante per cattiva conservazione (integrazione),
sia il maggior numero di fenomeni della scrittura e del-
l'apparato figurativo. Il lettore dovrebbe quindi perce-
pire, mediante l'uso di segni convenzionali (per lo più,
parentesi di diversa forma), l'immagine dell'iscrizione:
è ovvio che nessun codice di segni o simboli sarà tanto
esauriente da coprire tutte le esigenze di rappresentare
quanto l'epidermide epigrafica restituisce alla lettura e
quanto rivela delle fasi di produzione dell'iscrizione. In
ogni caso, la trascrizione e l'impiego in essa dei simboli o
segni convenzionali - o, come più correttamente si dice,
di segni diacritici - comporta l'interpretazione e la pri-

195
Epigrafia romana

ma valutazione dell'iscrizione, coinvolge quindi in pieno


la cultura e il giudizio dell'epigrafista.

Un primo sistema di segni fu elaborato a Leida - ed è


conosciuto come tale - nel 1932, in parte comune agli edi-
tori dei testi letterari e papirologici; tale sistema ha subito
poi evoluzioni ed adattamenti, sino a giungere ad una pro-
posta di sistema (H. KRUMMREY-S. PANCIERA, « Tituli », 2,
1980, pp. 205-215) che ha il merito di essere esauriente per
quanto possibile - ma i fenomeni da trascrivere, come si è
detto, sono praticamente infiniti - e razionale. Tale sistema
può essere seguito in edizioni critiche ad opera di istituti
scientifici che possono valersi di tipografie specializzate: ma
non è lecito sperare che il suo impiego diventi generale e ca-
tegorico, perché in realtà le iscrizioni si trovano ovunque,
fanno parte del nostro paesaggio, interessano il patrimonio
culturale comune, e non è quindi possibile - e non è legit-
timo - ottenere che se ne occupino solo gli epigrafisti che
possono pubblicare in sedi speciali e attrezzate. Accade che
le iscrizioni vengano pubblicate anche da chi si serve, per la
loro trascrizione, dei segni disponibili in una normale mac-
china da scrivere e dei caratteri di una tipografia comune. Si
danno quindi di séguito alcuni criteri e segni di impiego più
frequente, non fedeli in tutto al sistema citato:
- parentesi tonde: scioglimento; es. COS, co(n}s(ul);
- parentesi quadrate: integrazione da lacuna, accompa-
gnata dal testo proposto, oppure da una serie di punti, o dal
numero delle lettere mancanti, segulto eventualmente da v.,
vv. (vacat, vacant); es. AN IVS, An [3 vv.]ius, oppure An
[ ... ]ius (se il numero delle lettere è incerto i punti sono so-
stituiti da trattini [ ---]), o infine An [ton] ius;
- parentesi acute: aggiunta di lettere palesemente dimen-
ticate dall'incisore; es. cu<ra>verunt,·
- doppie parentesi quadrate: espunzione di lettere pale-
semente aggiunte per errore dall'incisore; es. cura[ [ra]]ve-
runt; altri usano questo segno per le parti erase;
- un punto sotto a lettere mutile ma identificabili;

196
Autopsia, scheda, trascrizione, edizione

- un punto sotto a lettere mutile tra parentesi quadrate,


se l'identificazione viene proposta ma non è sicura;
- un ampio segno ricurvo ad ombrello (o a lunula) per
indicare nella trascrizione le lettere che nel testo sono unite
in nesso;
- la parola sic, in carattere diverso da quello usato per
la trascrizione e collocata tra parentesi, richiama l'attenzione
su un particolare del tutto singolare del testo;
- barre oblique / separano nella trascrizione linea da li-
nea; solitamente le linee del testo si numerano di cinque in
cinque, e quindi si usa / 5, f1°, ecc.; una doppia barra obliqua
// serve talvolta a separare nel corpo del testo i versi di un
componimento metrico.

Tanto nella trascrizione quanto ormai nell'edizione si


usa il corpo corsivo minuscolo, senza andare a capo, come
si è appena visto, linea per linea. La trascrizione del testo
segue di solito, nell'edizione, alla fotografia o alla ripro-
duzione dell'iscrizione; la cosiddetta composizione in ca-
ratteri tipografici, usata per esempio nel CIL, è in disuso;
solo nel caso si debba dare un'immagine necessariamente
approssimativa dell'iscrizione, cioè della sua struttura ed
impaginazione, e non si disponga di nessuna riproduzione
più fedele, si fa ricorso alla composizione in caratteri a
stampa maiuscoli. Le fotografie o le riproduzioni possono
essere inserite nel testo dell'edizione, vicino alla trascri-
zione e al commento; spesso l'impaginazione del libro
impedisce di tenere sott'occhio nella stessa pagina o in
quella a fronte l'immagine e la descrizione con la trascri-
zione: in questo caso è preferibile che le illustrazioni
siano raccolte in un fascicolo a parte, dove possono ve-
nire ordinate secondo criteri diversi da quelli seguiti nel-
l'edizione, per es. accostando prodotti del medesimo oriz-
zonte o della medesima officina o simili per tipi.
Una speciale attenzione merita l'edizione dei fram-

197
Epigrafia romana

menti, dei quali va ricercata la collocazione che essi


avevano nel monumento e nello specchio epigrafico quan-
do questi erano integri: vi si riesce con qualche fatica
e con molte incertezze valutando per esempio la sintassi
degli elementi decorativi che compongono le cornici, i
diversi elementi testuali - come l'onomastica, l'usus
delle formule - ogni altra caratteristica propria del-
l'orizzonte e dell'officina, infine la scrittura, e in partico-
lare l'impaginazione e il modulo delle lettere incise.
Ogni corpus, anche non esteso, comporta la redazione
di indici: ve ne sono di assai complessi e dettagliati, che
possono servire di modello per la codificazione delle di-
verse sezioni (per es. CIL, III; Dessau). Nell'interesse
di chi adopera il libro andrebbero tenuti presenti almeno
due criteri: l'indice dei nomina, cioè dei gentilizi, andreb-
be sostituito da un indice prosopografico, cioè di tutte le
persone la cui titolatura onomastica è ricavabile dalle
iscrizioni pubblicate, e tale indice dovrebbe essere com-
pleto d'ogni indicazione desumibile dall'iscrizione: ciò
non esclude i consueti indici dei cognomina, ecc. Inoltre
la maggior parte delle parole inserite negli indici speciali
andrebbe comunque elencata anche in un indice generale
di notabiliora, per facilitare il reperimento e per consen-
tire un più ampio ventaglio interpretativo. Sia per i nomi
che per le parole si dovrà ricorrere senza risparmio a
reciproci rinvii (Barbieri).

I problemi tecnici e redazionali del rilevamento epigrafi-


co trovano spazio, in modi diversi, entro ogni manuale: ma
si segnala qui per la qualità delle osservazioni e per i modelli
quello dell'Encarnaçao. Aspetti più propriamente tecnici sono
trattati in generale da B. VAN DEN DRIESSCHE, Le dessin au
service de l'archéologie, Louvain 1975; in particolare sull'ese-
cuzione di calchi e sull'impiego del latex e di altri sistemi

198
Autopsia, scheda, trascrizione, edizione

(frottis, frottage), vd. G. RÉVEILLAC, <<Archeologia», 112, no-


vembre 1977, pp. 39-43, ed ivi bibl.; cf. « Epigraphica »,
XL (1978), pp. 230-232.
Per la ricognizione dci frammenti rispetto alla loro col-
locazione nell'originale (e per i problemi dell'esposizione), vd.
l. Dr STEFANO MANZELLA, « Epigraphica », XLIII (1981),
pp. 204-206.

199
3. EPIGRAFIA E INFORMATICA

I sistemi informatici estendono il loro campo di


applicazione all'epigrafia con la memorizzazione di cate-
gorie di dati della ricerca: anche per l'epigrafia romana
vengono raggiunti risultati importanti, mentre vivace è
il dibattito sugli obiettivi che si possono conseguire con
tali tecniche e sui sistemi da impiegare.
L'utilizzazione più semplice dei sistemi informatici
si rivolge nell'epigrafia all'elaborazione di lessici e di in-
dici verbali, fondati quindi sulle semplici sequenze di
lettere. Presso l'università di Western Australia due stu-
diosi, E.J. Jory e D.G. Moore, hanno provveduto agli
indici di CIL, VI, pubblicati poi come fascicolo in più
tomi del medesimo volume: gli studiosi dispongono cosl
di uno strumento di alto interesse perché codifica il pa-
trimonio verbale delle iscrizioni della città di Roma, che
assommano ad almeno un decimo della consistenza glo-
bale delle iscrizioni romane, e perché l'epigrafia dell'Ur-
be documenta fenomeni numerosi e complessi, proprio
per la funzione di attrazione e di irradiamento culturale
che la capitale ebbe a svolgere nei confronti dell'impero
e nel sistema politico romano.
Altri obiettivi, come quelli che hanno portato alla
redazione degli indici tradizionali dei volumi del CIL,
imporrebbero preparazioni preliminari assai più comples-
se: al lavoro di raccolta dei dati da inserire nel computer

200
Epigrafia e i11/ormatica

secondo certe relazioni, in funzione dell'allestimento di


una banca dei dati realmente utile, è strettamente colle-
gata la scelta del sistema da usare per la memorizzazio-
ne. Perché ad un imput (immagazzinamento dati) possa
seguire un output (restituzione dati) utile al maggior nu-
mero di ricercatori, occorre che si giunga a sistemi omo-
genei per l'impostazione di programmi organici e per-
spicui: l'unificazione dei termini usati per la definizione
degli infiniti fenomeni documentati dall'epigrafia divie-
ne necessaria anche per questo fine. Occorre inoltre pre-
vedere la possibilita che nuovi dati e nuove interpreta-
'lioni impongano modifiche anche consistenti nella strut-
tura dei programmi durante la loro realizzazione.
La memorizzazione non si volge solamente agli ele-
menti testuali ma anche ad ogni fenomeno dell'iscrizione
(monumento, preparazione, tradizione): ne potranno sca-
turire indicazioni preziose per l'individuazione degli oriz-
zonti epigrafici, delle officine, delle mani.

La dottrina sulle iniziative e sui sistemi dell'informatica


e sui risultati sinora raggiunti è copiosa: un'analisi della te-
matica si trova negli atti della Table-ronde tenuta a Marsiglia
nel 1972, Application a l'épigraphie des méthodes de l'infor-
matique, << Antiquités Africaines », 9 (1975), pp. 11-151.

201
4. CONSERVAZIONE ED ESPOSIZIONE:
I LAPIDARI

Nel descrivere i processi di trasmissione delle iscri-


zioni si è già detto degli elementi che determinano la for-
mazione dei lapidari nei musei o la distribuzione e l'ordi-
namento delle iscrizioni nell'intero complesso museale.
Internamente a tali situazioni, vengono seguiti criteri di-
versi: le iscrizioni sono ordinate per nuclei topografici
e monumentali, oppure - più raro, più problematico -
in sequenza cronologica, o invece per categorie, con rife-
rimento all'interesse principale del testo, secondo criteri
generali di antropologia dell'antico o più semplicemente
distinguendo la res sacra dalla documentazione delle isti-
tuzioni, la vita economica dal patrimonio funerario, ecc.
Talvolta la stessa partizione si segue anche nei depositi,
nelle « réserves » - veri lapidari di seconda scelta - ma
più spesso si trova utile seguire qui la classificazione bi-
bliografica, cioè raccogliere le iscrizioni secondo la nume-
razione del CIL e delle successive raccolte, o degli in-
ventari.
L'esposizione delle iscrizioni deve essere subordinata
a tre criteri principali: che il testo sia portato, quando
e per quanto possibile, ad altezza d'occhio, che il monu-
mento sia visibile in ogni sua parte, che una buona luce
radente (ma non tanto da provocare sullo specchio epi-
grafico l'ombra dell'aggetto delle comici) aiuti la lettu-
ra; si deve ricorrere a fari e faretti orientabili, che illu-

202
Conservazione ed esposiz.ione

minino le iscrizioni in diagonale, anche se disposti in alto


a considerevoli distanze (si veda l'esempio del museo di
Martigny).
Solitamente i monumenti di mole maggiore sono col-
locati al suolo, ma viene sperimentato anche il traliccio
a perni mobili che consente, come nel lapidario di Ri-
mini, di innalzare il monumento all'altezza voluta, so-
prattutto se si tratta delle parti centrali o superiori di
esso (che non avevano quindi contatto col suolo): si
cerca comunque di conciliare il ripristino delle condi-
zioni della collocazione in antico con l'esigenza di una
agevole lettura. Non si può fare più ricorso, per le lastre
ed altri monumenti minori, alla muratura a parete, e
possibilmente neppure alla collocazione delle iscrizioni
entro grappe fisse pure murate alla parete: invece l'uso
di grappe a dado o comunque di grappe mobili su gratic-
cio aderente alla parete è stato sperimentato con suc-
cesso in alcuni lapidari (Sassari, Urbino); questo sistema
consente facili modifiche negli ordinamenti, l'inserimen-
to di nuove acquisizioni, e infine l'allestimento di mo-
stre temporanee di iscrizioni solitamente in magazzino.
Particolari accorgimenti vengono usati per le iscrizioni
opistografe, in modo da esporre entrambe le facce iscrit·
te; luci apposite e lenti d'ingrandimento aiutano infine
la lettura di particolari e la visione di oggetti minuti
dell'instrumentum (gemme, cammei). I depositi possono
essere attrezzati con banconi o con scansie a leggìo (solu-
zione usata anche per le sale di esposizione di qualche
lapidario), oppure con pannelli scorrevoli, particolar-
mente utili per iscrizioni di piccole dimensioni o per
frammenti (si veda la nuova sistemazione del Lapidario
Profano ex Lateranense).
Le iscrizioni devono essere poste al riparo dal de-
grado materiale: non si tratta tanto degli elementi natu-

203
Epigrafia romana

rali che agiscono più facilmente all'aria aperta, ctoe m


un ambiente nel quale le iscrizioni ebbero la loro desti-
nazione originaria, ma di agenti patogeni che attaccano
la pietra anche nell'interno più riposto (si vedano le
iscrizioni romane entro il Seminario Maggiore di Vefll!-
zia), e che vanno aggrediti con apposite terapie sulla
pietra.
L'esposizione di un'iscrizione, il restauro delle parti
mancanti, la didascalia costituiscono elementi importanti
di ecdotica museale: per tramite di questi, cosl come
dalla stessa prima scelta delle iscrizioni da esporre, si
attua un rapporto di conoscenza e di interpretazione del-
l'antico, ed in particolare un ripristino della comunica-
zione grafica dell'antico, che coinvolgono educativamen-
te e dialetticamente il lettore di oggi, cioè chi visita un
museo o un lapidario o si sofferma per la strada a consi-
derare un'iscrizione romana colà esposta o ripristinata.
È necessario che le parti di restauro, monumentale e te-
stuale, si distinguano dall'originale per un diverso colore
di fondo; una lievissima differenza di livelli o un leggero
distacco lungo la linea di frattura tra le due parti aiutano
a individuare l'originale e a comprendere i criteri del-
l'integrazione (si vedano gli esempi nel lapidario esterno
del duomo di Augsburg). Per l'integrazione dei fram-
menti torna utile classificarli secondo la parte del monu-
mento (in particolare dello specchio epigrafico) cui ap-
partengono (si veda ancora il sistema adottato nel Late-
ranense).
Nei musei, grandi didascalie aiutano la comprensio-
ne dei problemi più generali suscitati dal patrimonio
epigrafico; didascalie specifiche vengono apposte per una
o più iscrizioni: se recano la trascrizione del testo è
necessario che siano affiancate dalla traduzione o meglio
da una parafrasi esplicativa; un commento, breve e chia-

204
Conservazione ed esposizione

ro, non deve rinunciare ad esporre i problemi che l'iscri-


zione suscita, e deve concludersi con una bibliografia
sommaria, sempre con il riferimento della pubblicazione
nel CIL o in altre raccolte, dando la preferenza a quelle
di interesse più generale e quindi meglio reperibili nelle
biblioteche scientifiche. Il catalogo (o guida) può re-
care anch'esso traduzione o parafrasi, ed un glossario
dei termini tecnici; cresce il numero di coloro che cono-
scono poco di latino e di greco senza per questo dimi-
nuire il loro interesse per la conoscenza e l'interpreta-
zione dell'antico. Un buon museo inserisce infine tra i
diagrammi e i materiali a disposizione una mappa delle
cave antiche del territorio e un campionario delle pietre
usate nelle iscrizioni, una vetrina con gli strumenti del
lapicida affiancati agli altri oggetti e strumenti della
scrittura antica - se ne dispone - , una mappa delle
provenienze dei prodotti bollati dell'instrumentum, la
riproduzione di carte da manoscritti epigrafici (o di
stampe) che aiutino a individuare i lineamenti della sto-
ria della cultura antiquaria pertinente al territorio: uno
stemma degli auctores - ove possibile - avvierà a
comprendere i legami e le dipendenze tra le scoperte, le
letture e le interpretazioni degli ultimi secoli.
Come ogni museo, anche i lapidari si valgono dei
laboratori di restauro e del gabinetto fotografico. Sche-
da e dossier per ogni iscrizione (che dovrà quindi recare
visibile il numero d'inventario), con fotografie, apografi
e calchi, sono utili allo studio non meno di una biblio-
teca speciale che raccolga le pubblicazioni, anche di in-
teresse meramente locale, con riferimenti utili alle sco-
perte, e comunque preziose per intendere l'approccio
della cultura collettiva al documento antico; un buon
servizio è reso anche dalla raccolta dei giornali con noti-
zie o commenti specifici.

205
Epigrafia romana

Si dà qui un elenco sommario dei principali lapidari


e dei più importanti complessi epigrafici romani visibili,
divisi per grandi aree. Appare evidente come i grandi
musei e le collezioni più cospicue siano più numerosi nel-
le province europee, dove più intensa fu la ricerca e la
riflessione dell'umanesimo e degli studi classici, e si tro-
vino invece in numero assai maggiore nelle province
asiatiche ed africane i grandi complessi monumentali por-
tati in luce dall'archeologia, anche dove il deserto aveva
steso la sua coltre di sabbia. Collezioni di iscrizioni ro-
mane, segnatamente fronti di urnette e tabelle da colom-
bari, si conservano poi in numerosi paesi del mondo,
spesso presso istituti universitari.
Italia: Torino; Luni; Milano, Como, Cremona, Brescia;
Verona, Padova, Este, Altino, Portogruaro-Concordia; Trie-
ste, Aquileia, Cividale; Trento; Bologna, Parma, Reggio Emi-
lia, Modena, Ravenna (Museo Nazionale; Museo Arcivescovi-
le), Sarsina, Rimini; Ancona, Pesaro, Urbino, Fermo, Ascoli
Piceno; Firenze (Museo Etrusco; Uffizi), Pisa (Camposanto),
Volterra, Arezzo; Perugia (Museo Nazionale, lpogeo dei Vo-
lumni), Assisi, Spoleto; L'Aquila, Chieti, Vasto, Sulmona;
Isernia, Sepino; Roma (Musei: Nazionale Romano, Capitoli-
no e Conservatori, Antiquarium Comunale, Profano ex Late-
ranense, Galleria lapidaria Vaticana, raccolte patrizie; Foro
romano, fori imperiali e Palatino, Grotte Vaticane, comples-
si cemeteriali pagani - sepolcro degli Scipioni, colombario
di Pomponio Hylas, altri colombari, via Latina, via Appia,
ecc. - e cristiani - catacombe; - complessi e raccolte in
edifici ecclesiali), Ostia e necropoli di Porto, Terracina, Min-
turno, Formia; Napoli, Pozzuoli, Baia e Campi Flegrei, Pom-
pei e città vesuviane, Benevento, Avellino, Paesrum; Lucera,
Canosa, Brindisi, Lecce, Taranto; Potenza, Grumentum;
Reggio Calabria; Catania, Siracusa, Agrigento, Marsala, Pa-
lermo; Cagliari, Sassari.
Penisola iberica: Lisbona, Evora, Coimbra-Conimbriga,

206
Conservazione ed esposizione

Guimaraes; Madrid, Salamanca, Le6n, Merida, Cordova, Sa-


gunto, Tarragona (museo; necropoli romancrcristiana), Bar-
cellona (foro, necropoli, museo), Pamplona, San Sebastiano.
Province galliche e germaniche: Parigi (Louvre); Bor-
deaux, St.-Bertrand-de-Comminges, Narbona, Nimes, Arles
(Musei pagano e cristiano; Les Alyscamps), Glanum, Nizza
(Cimiez), Avignone, Orange, Vienne, Lione, Saintes, Bour-
ges, Besançon, Langres, Digione, Chalon-sur Saone, Soissons,
Metz, Strasburgo; Bruxelles, Arlon, Virton-Buzenol; Leida,
Nimega; Lussemburgo; Colonia, Bonn, Treviri, Magonza,
Wiesbaden, Spira; Basilea, Vindonissa, Avenches.
Britannia: Londra (British, The Ciry Museum), Colche-
ster, Bath, Cardiff, Chester, York, Carlisle, Newcastle u.T., i
campi legionari lungo il vallum Hadriani, Glasgow, Edim-
burgo.
Province danubiane e balcaniche: Augsburg, Regensburg,
Vienna (Lapidario del Ktmsthistorisches Museum), Petronell
e Bad Deutsch-Altenburg (Carnuntum), Graz, Magdalen-
sberg; Lubiana, Cclje e necropoli di Sempeter, Pola, Zaga-
bria, Zara, Spalato, Salona, Sarajevo, Sremska Mitrovica, Bel-
grado, Nis; Sopron, Szombathely, Székesfehérvar e Gorsium,
Szentendre, Budapest e Aquincum; Bucarest, Tumu Severin,
Sarmizegetusa (Ulpia Traiana), Timisoara, Deva, Alba Iulia,
Cluj, Costanza, Tulcea, Adamklissi-Tropaeum Traiani; Tira-
na, Durazzo; Sofia, Vidin, Sandanski, Plovdiv, Stara Zagara,
Varna; Istanbul.
Grecia: Atene (Museo epigrafico, complessi monumenta-
li), Eleusi, Corinto, Epidauro, Patrasso, Olimpia, Delfi, Ve-
ria, Salonicco, Filippi, Delo, Coo, Rodi (Museo, Camiro), Gor-
ryna; Nicosia, Salamina Cipria.
Province asiatiche e africane: Ankara, Pergamo, Smirne,
Sardi, Claros, Efeso, Mileto, Afrodisia, Hierapolis in Frigia,
Xantus, Termesso, Antalia, Perge, Aspendos, Side, Konya,
Cesarea di Cappadocia, Antiochia sull'Oronte, Seleucia Pieria;
Damasco, Aleppo, Gerasa, Palmira, Tartus; Beirut, Baalbek,
Tiro; Gerusalemme, Cesarea di Palestina; Alessandria d'Egit-
to (museo, monumenti), Il Cairo, Luxor-Karnal-Valle dei

207
Epigrafia romana

Re, File-Elefantine, i complessi templari nubiani (ora sommer-


si), i monasteri del Sinai; Cirene, Tripoli, Leptis Magna, Sabra-
tha; Tunisi, Cartagine, Sousse, El Djem, Thuburbo Maius,
Thugga, Maktar; Algeri, Annaba, Guelma, Costantina, Tid-
dis, Lambaesis, Timgad, Tebessa, Djemila, Setif, Tipasa,
Cherchell; Rabat, Tetuan, Volubilis.

Gipsoteche e calcoteche si affiancano a numerosi isti-


tuti universitari.
Esistono inoltre musei didattici di largo interesse per
l'epigrafia romana: tali il Museo della Civiltà romana, a
Roma - Quartiere EUR, creato nel 1938 in occasione del
bimillenario augusteo come Mostra augustea della ro-
manita, con amplissima esemplificazione di iscrizioni ro-
mane riprodotte in calco; la sezione di storia della scrit-
tura nel Deutsches Museum a Monaco di Baviera (e ana-
loghe sezioni in altri musei di antropologia umana, di
scienza e tecnica); infine The Alphabet Museum, creato
da D. Diringer a Cambridge; notevole interesse hanno
anche i musei dell'arte tipografica, per la documenta-
zione del recupero della scrittura lapidaria romana.

Sui problemi dell'ordinamento dei lapidari e delle rac-


colte epigrafiche, vd. SusiNI, «Musei e gallerie d'Italia», 16
(1962), pp. 1-12; ibid., 65 (1978), pp. 29-33 (sul lapidario
di Urbino); « Epigraphica », XXXVIII (1976), pp. 166-167
(sulle esperienze espositive nel museo << Sanna » di Sassari);
Analisi di Rimini antica: storia e archeologia per un museo,
Rimini 1980, pp. 249-251; I. DI STEFANO MANZELLA, « Mon.
Musei e gallerie pontificie, Boli.», I, 2 (1959-74), pp. 61-
105; « Rend. Pont. Ace. Arch. », XLIX (1976-77), pp. 249-
273; « Epigraphica », XLI (1979), pp. 131-135; ibid., XLIII
(1981), pp. 204-206; anche sull'esposizione dei frammenti; A.
DoNATI, Rimini antica. Il lapidario romano, Rimini 1981, ed
ivi in particolare nota di A. Tammaro, pp. 189-196; SusiNI,

208
Conservazione ed esposizione

Pietre, scritture, comunicazione nel museo di domani, « Il


Carrobbio )), VII (1981), pp. 419-421.
Per i procedimenti di conservazione delle pietre, vd. tra
l'altro The treatment of stone e The conservation of stone,
I e II, atti dei meetings tenuti a Bologna rispettivamente nel
1971, nel1975 e nel1981; per i problemi del restauro e del-
la conservazione dei bronzi, si veda la numerosa dottrina pro-
dotta a partire dal 1980 nell'occasione della pubblica esposi-
zione dei bronzi di Riace; per la terracotta vd. H. J. PLEN-
DERLEITH-A. E. A. WERNER, The conservation of antiquities
and works of art, London 1976, pp. 334-342 (ivi, sulla con-
servazione delle opere in pietra, pp. 299-333).

209
5. ORGANIZZAZIONE
DELLA RICERCA EPIGRAFICA

In ogni paese la ricerca scientifica gravita per molta


parte attorno agli istituti universitari e alle scuole di
perfezionamento e di specializzazione: l'epigrafia roma-
na è insegnata in molte università come disciplina auto-
noma oppure è collegata a programmi di storia antica,
di archeologia, di filologia classica, di paleografia.
Esistono inoltre alcuni centri organici di grande im-
portanza per la ricerca epigrafica: anzitutto l'Accademia
delle Scienze della Repubblica Democratica Tedesca, a
Berlino (il suo Zentralinstitut fiir Alte Geschichte und
Archiiologie), erede dell'antica Accademia di Prussia pro-
motrice del CIL, presso la quale tuttora si preparano i
volumi di supplemento; il coordinamento della ricerca
per alcuni settori e volumi è affidato dall'Accademia ad
altre sedi: ad esempio, il corpus dei milliari (CIL, XVII)
è preparato nell'ambito del Seminar fiir Alte Geschichte
und Epigraphik dell'Università di Berna. Si ricordino
inoltre la Commissione epigrafica dell'Unione Accade-
mica Nazionale (Roma), che cura la collana delle Inscrip-
tiones Italiae e altre iniziative (Supplementa ftalica); la
Kommission fiir Alte Geschichte und Epigraphik (Mo-
naco di Baviera), emanazione del Deutsches Archiiologi-
sches Institut (Berlino), che cura la pubblicazione perio-
dica di << Chiron »; il Centre d'Information et de Docu-
mentation (CID) «Année Epigraphique» - Fonds Pflaum

210
Organizzazione della ricerca epigrafica

(Parigi}; il Comitato per il Dizionario epigrafico di anti-


chità romane, presso l'Istituto Italiano di Storia Antica
(Roma); il Centre Pierre Paris (ERA522) di Bordeaux;
il Centro di ricerche per le officine lapidarie, nell'Univer-
sità di Bologna; il Centre d'Etudes Epigraphiques et Nu-
mismatiques, nella facoltà filosofica dell'Università di
Belgrado; il Centre de Recherches de l'Antiquité Grecque
et Romaine di Atene.
Gli epigrafisti si sono più volte riuniti in associazio-
ni: attualmente opera la Association Internationale d'
Epigraphie Grecque et Latine (A.I.E.G.L.), la cui se-
greteria è a Parigi presso il citato Centre Pflaum. L'As-
sociazione ha promosso alcuni colloqui scientifici, quello
sull'onomastica latina a Parigi (1975), la Table Ronde
sur les instruments de travail, a Plovdiv (1980), il Col-
loquio internazionale su Bartolomeo Borghesi, a Bolo-
gna, Rimini, Savignano sul Rubicone e nella Repubblica
di San Marino ( 1981 ), cui ha fatto subito séguito a Ro-
ma il Colloquio sull'ordine senatorio, e quello di epi-
grafia ispanica a Bordeaux, ancora nel 1981.
Con cadenza quinquennale si tengono i Congressi
internazionali di Epigrafia greca e latina: I, Amsterdam
1938; Il, dopo il conflitto mondiale, Parigi 1952; III,
Roma 1957; IV, Vienna 1962; V, Cambridge 1967; VI,
Monaco di Baviera 1972; VII, Costanza (Romania)
1977; VIII, in programma ad Atene, 1982. Fuor che del
I Congresso, di tutti sono stati pubblicati gli atti.
Com'è ovvio, contribuiscono cospicuamente alla ri-
cerca epigrafica nei diversi paesi le Accademie nazionali
(in Italia, i Lincei; in Francia, la Académie cles Inscrip-
tions et Belles-Lettres; in Grecia, la Archeologikl Eterla;
nei paesi socialisti le accademie nazionali delle scienze ed
i relativi istituti) e locali: tra queste si ricordano le De-
putazioni di studi storici, o organi consimili attivi nel

211
Epigrafia romana

paesi occidentali- e in particolare in Italia, in Francia, in


Spagna, in Gran Bretagna, in Svizzera - assieme a So-
cieta, Societés des Antiquaires, Gesellschaften eccetera, di
studi locali. In Gran Bretagna un organismo del genere,
ma a livello nazionale, la Society far the Promotion of
Roman Studies, cura l'edizione del « Journal of Roman
Studies » e di « Britann.ia ».
Coordinano inoltre i programmi di ricerca in alcuni
paesi organismi nazionali come il Consiglio Nazionale
delle Ricerche (CNR) in Italia, il CNRS in Francia, il
CSIS in Spagna, ecc.
Infine va ricordata l'attività delle circoscrizioni della
ricerca e della tutela archeologica nei diversi paesi, come
le Soprintendenze (e i musei di diverso tipo) in Italia
(che si valgono anche di funzionari epigrafisti), i Lan-
desmuseen germanici, le Directions des Antiquités in
Francia, organismi similari, spesso istituiti come settori
delle amministrazioni regionali e locali, in altri paesi.
Scuole e missioni straniere di studi storici e archeolo-
gici, che promuovono anche programmi di ricerca epi-
grafica, operano a Roma, ad Atene, a Madrid, a lstanbul,
al Cairo, in altre metropoli del Mediterraneo asiatico e
africano.

212
6. BREVE REPERTORIO DI SIGLE
E ABBREVIAZIONI EPIGRAFICHE

Si raccolgono qui alcune tra le sigle e le abbreviazio-


ni epigrafiche più comuni: si vedano sopra (cap. l, 7 e
9) le abbreviazioni di alcuni praenomina, delle tribus, ed
altre meno comuni dei cursus honorum e delle titolature
imperiali. Data la varietà, nei tempi e nei luoghi, della
scrittura epigrafica romana, è impossibile redigere un
elenco completo: ma si vedano con grande utilità i reper-
tori collocati al termine dei manuali tradizionali (Cagnat,
Calabi, cui si aggiunga la ponderosa silloge delle abbre-
viazioni nelle iscrizioni e nei papiri pubblicata da S.
Daris al séguito dell'Epigrafia di A. Calderini, Torino
1974, pp. 359-340), e - per sigle di uso più raro - gli
indici apposti ad alcuni volumi del CIL e al Dessau.

A amicus, annis, annos


ADAI agris dandis adsignandis iudicandis
ADIVT adiutor, adiutrix
ADL adlectus
A(ED) aedilis
A(ED) P (OT) aedilicia potestate
AS a solo
AVG augur, Augustalis, Augustus
B beneficiarius
BDSM bene de se merenti
BF beneficiarius
BM benemerenti (merito), bonae memoriae

213
Epigrafia romana

BRPN bono rei publicae natus


c centuria, cohors, colonia, cura, curave-
runt
'J '7 centuria
CA curaro agens
CBM coniugi bene merenti
cc collegium centonariorum
CENS censor
CF coniux fecit
'JL mulieris libertus
co coniugi optimo
COH cohors
COL colonia
COL FAB collegium fabrum
CORR corrector
cos con sul
CP coniugi pientissimae
CQV(A) cum quo vixit (annis)
CR civis Romanus
es coniugi sanctissimae, coniugi suae, cum
suis
c so curo suis omnibus
CVR curator
CVR RP curator reipublicae
CVR VIAR curator viarum
cv clarissimus vir
D deàicatum, dies, domo
DCD dc conscriptorum decreto
DCS de conscriptorum sententia
DD decreto decurionum, dedicatum, dedit
dedicavitque, diebus, dies, dii deae-
que, domus divina, donis donatus,
dono dedit
DDD datum decreto decurionum, dono dedit
dedicavit, domini (tres)
DDP decurionum decreto publice
DD PEC PVB decreto decurionum pecunia publica

214
Sigle e abbreviazioni

DDS de decurionum sententia


DDSP dedit de sua pecunia
DEC decessit, decurio
DID dedit idemque dedicavit
DIM dis inferis Manibus
DISP dispensator
DL(M) dedit libens (merito)
DM dis Manibus
DMI dis Manibus inferis
DMS dis Manibus sacrum
DOM deo optimo maximo
DOP F doliare opus fecit
DP donum posuit
DPSD dc pecunia sua dedit
DS de suo
DSBM de se bene meritus
DSM dis sacrum Manibus
DSPF de sua pecunia fecit
DSPFC de sua pecunia faciundum curavit
DSR de suo restituit
DSS de senatus sententia
EMV egregiae memoriae vir
EQ p equo publico
EQ R equcs Romanus
ET ex testamento
EV egrcgius vir
EV(OC) evocatus
EX FIG(L) ex figlinis
EX OF(F) ex officina
EX PP ex pecunia publica
EX PR(AED) ex praediis
Ex se ex senatus consulto
EX T ex testamento
EX TFI ex testamento fieri iussit
EX TFC eK testamento faciundum curavit
EX TP ex testamento posuit
EX V ex voto

215
Epigrafia romana

F filius, fundus
FAB fa ber
F(AC) C(OER) fadundum coeravit
FBM filio bene merenti
FC I(D)Q P faciundum curavit idemque probavit
FCP fulgur conditum publice
FD fecit dedicavitque
FDS fecit de suo
FF filii
PF filius feci t
FL flamen, flaminica
J:iM fecit mater, filio mater, filio merenti
FP filio piissimo, filius posuit, flamen per-
petuus
FS filio suo, fecit sibi
FS ET S fecit sibi et suis
FSETSLLPQE fecit sibi et suis libertis libertabus po-
sterisque eorum
GDN genius domini nostri
GHL genius huius loci
GM genius municipi
GPR genius populi Romani
H hic, haec, etc., heres, homines, bora
HAIR honore accepto impensam remisit
HB homo bonus
HBMF heres bene merenti fecit
HD S (P) heres de suo (posuit)
HF heres fecit, honore functus
HHM N(ON) S heredem hoc monumentum non seque-
tur
HL hic locus
HM hoc monumentum, honeste missus
HM ET LSHNS hoc monumentum et locus sepulturae
heredem non sequentur
HOBQ hic ossa bene quiescant
HPC heres ponendum curavit
HRIR honore recepto impensam remisit

216
Sigle e abbreviazioni

HS hic si tus (sepul tus)


HSE hic situs est
HV honore usus
HVIR honore usus impensam remisit
ID luppiter Dolichenus, iure dicundo
IMP imperator
IN A(GR) P in agro (agrum) pedes
IN F(R) P in fronte (frontem) pedes
IN HDD in honorem domus divinae
IN SS infra scripta sunt
IOM Iuppiter Optimus Maximus
IVR iuridicus
IIVIR duovir
III VIR tresvir
IIII VIR quattuorvir
IIIIII VIR sexvir
K cardo
KK kalendae
L legatus, legio, libens, libertus
LAD libens animo dedit
LAT P latum pedes
LD libens dat, locus datus
LDDDP locus datus decreto decurionum publice
LDSC locus datus senatus consulto
LEG legatus, legavit, legio
LEG AVG legatus Augusti
LG legio
LIB libertus
LL legatus legionis, libens laetus
LLVS laetus libens votum solvit
LM libens merito, libertus meus, locus mo-
numenti
LP latum pedes, libertus patrono, libens
posuit, longum pedes
LS libens solvit, locus sepulturae
M magister, memoria, mensis, miles, mili-
tavit, municipium

217
Epigrafia romana

MA militavit annos (annis)


MD matri dulcissimae
MDI Mater deum Idaea
MDM Mater deum magna
MF mater fecit, monumentum fecit, mu-
nere functus
MM municipes municipi
MN milia nummum
MO matri optimae
MP mater posuit
MTF memoriae titulum fecit
MVF monumentum vivus fecit
N natalis, natione, nepos, nomine, nonae,
noster, numen, numerus, nummi
NAS numini Augusti sacrum
N LIC non licet
NMQ numini maiestatique
NS nomine suo
OBH ob honorem
OB ME ob merita eius
OBQ ossa bene quiescant
OD opus doliare
ODDF opus doliare de figlinis
ODSM optime de se meritus
OF oro faciatis
O HS (S) ossa hic sita (sunt)
OL olia
OM ob memoriam, optime merito, optimus
maximus, ordo municipi
OP DOL opus doliare
O PQ ordo populusque
ov optimus vir
OVF oro vos faciatis
p passus, patronus, pecunia, pedes, pius,
pondo, posuit, praetor, proconsul,
provincia, publice

218
Sigle e abbreviazioni

PBM parentes bene merenti, patrono bene


merenti
PDD publice decreto decurionum
PDS posuit de suo
PE posteri eius
PC patronus civitatis, collegi, coloniae, po-
nendum curavit
PF pater fecit, pater filio, parentes fece-
runt
Pl poni iussit
PID praefectus iure dicundo
PL patrono libertus
PLL posuit libens laetus
PL M plus minus
PM patronus municipi, plus minus, ponti-
fex maximus, post mortem, pro me-
ritis
PMF patri merenti fecit
PN pecunia nostra
PONT pontifex
PP pedes, perpetuus, praepositus
PP pater patriae, pater posuit, pater piissi-
mus, parentes pientissimi, patronus
perpetuus, pecunia posuit, pecunia
publica, pius posuit, primipilus, prae-
fectus praetorio, praeses provinciae,
pro praetore, propria pecunia, publi-
ce positus, publicum portorium
PPP pater pius posuit, pecunia publica po-
suit
PPS posuit pecunia sua, pro parte sua
PQ pedes quadrati
PQ R populusque Romanus
PR praefectus, praetor, praetoria (cohors),
princeps, procurator, provincia
PRAEF praefectus
PRAEP pracpositus

219
Epigrafia romana

PROC procnrator
PROCOS proconsul
PRO S pro salute
PRO SDN pro salute domini nostri
PS pecunia sua, pro salute
PTM posuit titulum memoriae
PV perfectissimus vir, praefectus urbi
PVA pius vixit annos
Q quaestor, quinquennalis
QAV qui annos (annis) vixit
QM qui militavit
QP quadrati pedes
QQVP quoquoversum(-s) pedes
QVA qui vixit annos (annis)
QVAEST quaestor
R ratio, regio
RC reficiendum curavit
RP res publica, retro pedes
RPD rei publicae dedit
RPR rei publicae restituit
s sacerdos, sacrum, scripsit, semis
se sub cura
SDM sine dolo malo
SI:. situs est
SESF sibi et suis fecit
SING singuli
SLLM solvit laetus libens merito
SM sanctae memoriae, solvit merito
soc socius
SOD sodalis
SP servus publicus, sua pecunia
SP spectavit
SPDD sua pecunia dono dedit
SPP sua pecunia posuit
s PQ s sibi posterisque suis
ss scripta sunt, senatus sententia, siti sunt,

220
Sigle e abbreviazioni

subscriptus, sumptu suo, supra scri-


ptus
ss sestertii
ST statio, stipenclia
STTL sit tibi terra levis
SV se vivo
SVQ sine ulla querela
T tabula
TC titulum curavit
TF testamentum fecit
T F I (S) testamentum fieri iussit (sibi)
TL testamento legavit
TMP titulum memoriae posuit
TOBQ tibi ossa bene quiescant
TP termini positi, titulum posuit, tribuni-
cia potestate
TPI testamento poni iussit
T(RIB) P(OT) tribunicia potestate
TR(IB) LEG tribunus legionis
TR(IB) M(IL) tribunus militum
TR(IB) PL(EB) tribunus plebis
v vivit, vivus, vixit
VA viccs agens, vixit annis
ve vir clarissimus
VE vir egregius
V EM vir eminentissimus
VF vivus fecit
VFS verba facta sunt, vivus fecit sibi
VI VIR sexvir
V I(NL) vir inlustris
VK ultra kardinem
VL veteranus legionis
VOP viro optimo posuit
VP vir perfectissimus, vivus posuit, votum
posuit
VS vir spectabilis, votum solvit
VSF vivus sibi fecit

221
Epigrafia romana

VSLLM votum solvit laetus libens merito


VT F utere felix
vv vivus vivo
VVF vivus vivo fecit

222
ELENCO DELLE TAVOLE

Dove non è diversamente indicato, il monumento si


conserva sul luogo, o nel locale museo di antichità.

I - Altino. Cippo funerario.


II - Magdalensberg (Carinzia). Targa sepol-
crale.
III - Magonza. Iscrizione legionaria.
IV - La necropoli di Hierapolis in Frigia.
V - Cagliari. Monumento «a barile» con più
specchi epigrafici.
VI - Leida, Rijksmuseum van Oudheden. Dr-
netta da Roma.
VII • Roma, Museo Naz. Romano. Targa fune-
raria di un purpurarius.
VIII - Eisenstadt (Burgenland). Ara a Mercurio.
IX • Colonia. Stele legionaria.
X • Nancy. Cippo a forma di casa.
XI • Leon. Stele con esempio di scrittura po-
polare.
XII • Székesfehémir, scavi di Gorsium. Gran-
de stele figurata.
XIII • Bonn. Stele di un cavaliere.
XIV • Vence (Alpes-Maritimes). Stele funeraria
di paese.
XV - Vienna, Hoher Markt. Mattone graffito.

223
Epigrafia romana

XVI - Pesaro. Cippo sacro.


XVII - Glanum (Bouches-du-Rhòn.e). Ara ad Er-
cole.
XVIII - Zara. Stele da Brazza.
XIX - Bonn. Dedica alle Matronae Aufaniae.
xx - Panoias (Tras-os-Montes). Iscrizione vo-
tiva rupestre.
XXI - Arles. Nel cimitero degli Alyscamps.
XXII - ftalica. Iscrizione plateale nel teatro.
XXIII - Lucera. Iscrizione votiva in mosaico.
XXIV - Genova, Palazzo Municipale. La tavola
bronzea della Polcevera.
xxv - Scavi di Grumentum (Potenza). Iscrizio-
ne magistratuale.
XXVI - Roma, Foro d'Augusto. Elogio.
XXVII - Portogruaro (Venezia). Iscrizione fune-
raria da Concordia.
XXVIII - Rimini. Iscrizione commemorativa della
pavimentazione cittadina.
XXIX - Henchir Gousset (Algeria). Iscrizione
imperiale.
xxx - Newc?.stle u.T. Iscrizione del vallum Ha-
driani.
XXXI - Campobasso. Iscrizione edificatoria.
XXXII - Bologna. Frammento d'iscrizione impe-
riale.
XXXIII - Roma, Mercati Traianei. Iscrizione impe-
riale.
XXXIV - Birdoswald, sul vallo di Adriano in Bri-
tannia. Iscrizione militare.
xxxv - Roma, Colosseo. Particolare di un'iscri-
zione imperiale.
XXXVI - Nimes. Catalogo geografico.
XXXVII - Cerignola (Foggia). Milliario.

224
Elenco delle tavole

XXXVIII - Trieste. Cippo limitaneo da Aquileia.


XXXIX - Roma, Museo Naz. Romano. Cippo po-
meriale.
XL - Bonn. Targa legionaria, con erasione.
XLI - Treviri. Particolare di un catalogo, con
correzione.
XLII • Pola. Iscrizione curiale.
XLIII • a. Cesena. Bollo fittile in planta pedis; b.
Saalburg i. Tannus. Marchio di forna-
ce legionaria.
XLIV • Bolsena. Esempio di scrittura lapidaria
monumentale.
XLV • Digione. Stele figurata di età tarda.
XLVI-XLVII • Roma, Musei Vaticani. Iscrizione funera-
ria (forse dalla via Appia), con graffiti.
XLVIII • Colonia. Quattro stele dal medesimo se-
polcreto .
XLIX • Bologna. Iscrizione su un sarcofago da
Belluno .
L-LI • Bologna. Tabella opistografa, di prove-
nienza urbana.
LII _ Altino. Cippo anepigrafe.
LUI • Parenzo. Iscrizione musiva.
LIV - S. Eusanio Forconese (L'Aquila). Iscri-
zione dal territorio di Aveia, reimpie-
gata in un edificio ecclesiale.
LV - Glanum (Bouches-du-Rhone). Tracce di
lettere in bronzo.
LVI - Donnaz (Aosta). Il milliario sulla rupe.
LVII Vid (foce della Neretva). Iscrizioni da
Narona nelle case del villaggio.
LVIII-LIX - Bologna. Stele monumentale e suo dise-
gno per mano del Malvasia .
LX • Trieste, San Giusto. La stele dei Barbi.

225
Epigrafia romana

LXI - Reggio Emilia. Cippo limitaneo, con iscri-


zione aggiunta.
LXII-LXIII - Disegni epigrafici nel codice modenese
del Marcanova.
LXIV - Hasparren (Paesi Baschi). Una pietra da
vedere.

226
INDICE

Premessa pag. 7

Avvertenze e abbreviazioni » 9

Parte prima - Le iscrizioni romane

l. L'epigrafia. 13
2. Le iscrizioni romane: caratteri e tas-
sonomia » 22
3. Trasmissione e tradizione » 29
4. Iscrizione, monumento, paesaggio » 48
5. La produzione epigrafica » 60
6. Scrittura, lingua, struttura » 88
7. La storiografia delle persone: le iscri-
zioni funerarie » 99
8. L'epigrafia religiosa » 111
9. Il messaggio politico, la memoria
storica » 116
10. Le comunicazioni prescrittive e indi-
cative. » 124
11. Le iscrizioni mobili e strumentali » 131

227
Epigrafia romana

Parte seconda Epigrafia, comunicazione e


storia

l. La scrittura: magia e simbolo pag. 143


2. AHabetizzazione e acculturazione,
lettura e consenso » 150
3. Epigrafia e rappresentazione del so-
ciale » 157
4. Epigrafia, storiografia e letteratura » 162
5. Le crisi del messaggio epigrafico » 165
6. Sopravvivenza e fortuna del modello
epigrafico romano » 170
7. Integrare e datare le iscrizioni » 175

Parte terza - Euristica e ricerca

l. La ricerca bibliografica » 181


2. Autopsia, scheda, trascrizione, edi-
zione. » 189
3. Epigrafia e informatica » 200
4. Conservazione ed esposizione: i la-
pidari » 202
5. Organizzazione della ricerca epigra-
fica » 210
6. Breve repertorio di sigle e abbrevia-
zioni epigrafiche )) 213

Elenco delle tavole )) 223

Indice » 227

228
TAV .I - La forma del monumento aiuta a riconoscere l'officina: un
cippo funerario da Altino.
TAV. II- Un'iscrizione semplice: la tomba di un liberto sul Magda·
lensberg (Carinzia) nella provincia romana del Norico.
T AV. III- L'iscrizione di un soldato romano sul Reno, a Magonza: si
leggono il nome, la città d'origine (Virunum), il reparto, gli anni di
vita e di milizia (stipendia), i nomi degli eredi.
E
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c
o
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.,.JFr·vR A R· DE·VI
, · ET\fR l A 0-LTRìTH ERA j
. ; . ~ gn~-~, 1- ~_'_(_ ~ l,
TAV. VII- Un mt:rcante di Roma dal vicus lugarius: targa sepolcralt: di un purpurarius.
Tr\V . VIII- Ara votiva a Mercurio, ad Eisenstadt (Burgcnland): sono vi
sibili le linee di guida tracciate durante l'ordina/io.
·LI\' . IX- Il hanchetto J'ohretomha sulla stele Ji un le!(Ìonario (museo
Ji Colonia).
TAV.X- Il modello di una casa, o di un sacello, si ripe!(: nel monu·
mento sepolcrale: un cippo nel museo di Nancy.
TAV .XI- Esempio di scrittura popolare sulla pagina rigata di un
:ippo nel museo di Le6n.
TA\'. XII- Grande stele pannonica, da Gorsium (Ungheria) .
'Lw. XIII- Un cavaliere rampante e le sue Jemra.:ioni (museo Ji
Bonn).
TAV. XIV- Cultura di paese su una stele di Vence (Aipes-Mariti-
mesl.
TAV. XV- Mattone romano, prodotto da un'officina legionaria; ac-
canto al bollo venne poi _graffita un'iscrizione sepolcrale: ma qualcuno
vi ha letto un duetto scherzoso tra il gatto e il topo (Vienna, Hoher
Markt).
TA\'. XVI- Il cippo dedicato ad Apollo nel santuario arcaiw Ji Pe·
saro (museo OliverianoJ.
·r,\\' . XVII- Ara votiva aJ Ercole. Ja G!lllll/111 l Bourhcs-Ju-Rhòncl.
TAV. XVIII- Raffigurazione marinara su una piccola stele da Braz-
za, nel museo di Zara: esempio di scrittura popolare dell'età tarda.
TAV. XIX- Un funzionario dell'amministrazione imperiale dedica
un'ara alle Matronae Au/aniae (museo di Bonn).
"'
l·O
.,

·~
c..
.~
TAV. XXVI- Gli onori di un magistrato municipale di rango eque-
stre: dalla lucana Grumentum.
TAV .XXVII- L'iscrizione funeraria di un seviro, da Concordia (mu-
seo di Ponogruaro) .
TAV. XXVIII- Gaio Cesare prowede alla pavimentazione delle strade
di Rimini (nel lapidario romano della città) .
TAv. XXIX- L'iscrizione dell'imperatore Tacito, nel275 d.C., a Hen-
l"hir Gousset (Algeria).
TAV.XXX- L'imperatore Adriano costruisce il vallum in Britannia: vi provvede anche la legione II
Augusta, al tempo del legato A. Platorio Nepote (122-126 d.C.).
J!
l
§~
...
.. ~t
TAV .XXXII- Frammento di una grande iscrizione imperiale con lettere
in bronzo, da Bologna: la pietra rivela i segni degli strumenti usati per la
levigatura della superficie.
T AV. XXXIII- Dai mercati Traianei, a Roma: una dedica
imperiale del tempo di Gallieno (257 d.C.).
TAV. XXXIV- Il nome di una centuria su un tratto del vallum adrianeo in Britannia.
·;:::
0..
·;:::

§
.5
T AV. XXXVI - Nomi di luogo in un catalogo romano nel
museo di Nimes.
TAV. XXXVII- Il milliario di Traiano a Cerignola.
TAV. XXXVIII- Il recinto sepolcrale dei Feronienses aqualo·
res, un sodalizio religioso e professionale di Aquileia: l'iscrizio-
ne, ora nel museo di Trieste, pubblica le dimensioni dell'area.
TAV. XXXIX- Entro il pomerio urbano non si possono bru·
ciare o seppellire cadaveri, ed è vietato buttare immondizie: lo
prescrive un cippo del pretore, collocato per ordine del Senato
sul confine della città (museo Naz. Romano).
TAV. XL- La targa di una legione, nel museo di Bonn: è eraso l'appellativo che
ricordava Massimino il Trace, un imperatore damnatus memoriae; secondo gli
studiosi vi sarebbe traccia nell'iscrizione anche di una prima fase, più antica, del
tempo di Caracalla o di Elagabalo.
.,
.l '

~ . .
.. ~

T AV. XLI- La sostituzione di un nome su un catalogo nel museo di Tre-


viri.
TAV .XLII- II verbale di un'adunanza della curia di Pola: si rende onore
ad un benefattore della città (museo di Pota, Il sec. d.C.) .
TAV .XLIII- lnstrumentum: a) bollo in pianta pedis, su un vaso fittile
nel museo di Cesena; b) il marchio di una fornace legionaria: dall'accam·
pamento della Saalburg sul /imes germanico.
TAV. XLIV- Esempio di scrittura lapidaria monumentale, da Bolsena.
T AV. XLV -Cornice, figura, tabella e iscrizione disegnate su una stele di
età tarda nel museo di Digione.
TAV.XLVI- Iscrizione funeraria romana, forse daDa via Appia, ora nei
musei vaticani.
_.._.................. .....
• o l ~
~
• •

TAV. XLVI- Dall'iscrizione della tav. precedente: sotto la penultima li-


nea sono graffite alcune lettere, tracciate come appunto del lapicida per
l'incisione dell'ultima linea, oppure come esercitazione (joto e disegno).
TAV. XLIX- Ecco come illapicida interpreta la minuta nell'iscrizione di un sarcofago bellunese, nel museo
di Bologna: POSVERVM in luogo di posuerunl, PAEPI per patri, e altro.
L LI -Due redazioni dd medesimo testo, iscritto sulle due facce di una lastrina urbana, nel museo di Bologna: una,
scomposta- pane dell'iscriZione è riponata sulla sinistra- reca varianti nel gentilizio (Quintius, Quinctius), ed esprime
la sigla del prenome Gaius con la G; l'altra, diversa nella pane finale, è stata disegnata e incisa con cura e decoro.
TAV . LII- Una stele preparata per l'iscrizione, nel museo Ji Altino.
TAv. LUI- A Parenzo: due fedeli contribuiscono alla pavimentazione basi-
licale musiva; resta in sospeso la misura in piedi del tratto di loro spettanza.
TAV. LIV- Sulla parete di una chiesa a S. Eusanio Forconese (territorio di Aveia, L'Aquila) è finita parte dell'iscrizio
ne di un monumento eretto d( e) d(ecurionum) s(ententia). Più sotto, al tempo della guerra civile, tra il1943 e il1944,
qua\cuno ha dipinto acclamazioni politiche, palesemente contestate.
TAV. LVI- Il milliario romano sulla via di Donnaz in Val d'Aosta è un se-
gno emergente dalla rupe.
i

;. •·. ----
(

TAv. LVII- Briciole romane in un villaggio alla foce della Neretva: iscrizio-
ni di Narona a Vid.
Seétio Quinta. Cap. XIII.
C A P v ·T X /1 1.

·AC& ·P·XL ·J~ · JN ·PI\O ·P - X1.1\"'

L in~amenùl Cippi marmnrti.An.Jal -MD 1rVillaJBm. ·Jicli Comitatw .8oncr.


cffof!Lln Yr~ tmnjlati aJ. tXIlTiora rr!Lrùlionali~flif]Bafilicf Dlw
Pctrorru.u6r 6od1aTUJ.luu: JPectatur- altu.r rn P9' · atw in 111- P. .# .

TAV. LVIII LIX- La stele monumentale di un notabile bolo-


gnese (nel museo di Bologna) - destinata di ceno in origine ad
ospitarne la figura, poi sostituita dall'iscrizione- e il suo disegno
ad opera del Malvasia (Marmora felsinea, Bononiae 1690, p. 269).
ti

___ -t, ............ ...._........,

T AV. LX - La stele dei Barbi, segata e divisa a far da stipite nel portale di
San Giusto a Trieste.
TAV. LXI- Cippo limitaneo di un'area sepolcrale: una nuova iscrizione
è stata aggiunta nel sec. XVI (museo di Reggio Emilia).
TAV. LXII- Una scena di mercato, con un'iscrizione di composizione
fantastica, nel Cod. Marcanova (Modena, Bibl. Estense, c. 27r).
\ ' i R. .O :--; \ E

LXIII- Il disegno di un monumento epigrafico veronese (Cod.


TAV .
Marcanova Mutin., c. 18r).
TAV. LXIV- Una curiosità da vedere: l'indicazione di una pietra roma·
na ad Hasparren, nei paesi Baschi.
~ JOUVENCE
GUIDE

Volumi pubblicati:

G. Cencctti: PALEOGRAFIA LATINA.


F. Castagnoli: ROMA ANTICA Profilo urbanistico.
A. Pratcsi: GENESI E FORME DEL DOCUMENTO MEDIEVALE.
D. Sabbatucci, A. Levi/V. E. Alfieri. V. Dc Marco/S. Monti: RO-
MA ANTICA · Religione, Filosofia, Scienza.
G. Mansuelli, L. Laurenzi/S. Lagona: ARTE ROMANA Pittura,
arti minori.
V. Arangio-Ruiz, A. Guarino, G. Pugliese: IL DIRITTO ROMANO.
N. Bonacasa: ARTE ROMANA Scultura.
M. Pallottino: GENTI E CULTURE DELL'ITALIA PREROMANA.
G. Susini: EPIGRAFIA ROMANA.

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1RI E DELLA PROSA METRICA.
a cura ili A. D'Agostino: LA CRITICA DEI TESTI LATINI MEDIE-
VALI E UMANISTICI.
A. Salvatore: EDIZIONE CRITICA E CRITICA DEL TESTO.
S. D'Elia: LETTERATURA LATINA CRISTIANA.
F. Arnaldi, E. Paratore, E. Malcovati: LETTERATURA LATINA
CLASSICA E LETTERATURA GRECA DEL MONDO ROMANO.
G. Gullini: ARTE ROMANA - Architettura.
A. Campana: STUDI EPIGRAFICI ED EPIGRAFIA NEL RINASCI-
MENTO UMANISTICO.
M. Torelli: ROMA ANTICA L'amministrazione delle città.
G. Manganaro: LE MONETE ROMANE.
F. Càssola: STORIA DI ROMA DALLE ORIGINI A CESARE.
J. F. Lcmarignier: STATO E SOCIETA' DALL'ANTICHITA' ALL'AL-
TO MEDIOEVO a cura di C. Violante.
J. F. Lcmarignier: L'ETA' FEUDALE a cura di C. Violante.
J. F. Lemarignier: LA FORMAZIONE DELLO STATO MONARCHICO
IN FRANCIA - a cura di C. Violante.
Ch. Piétri: EPIGRAFIA CRISTIANA (sec. III-VII).
a cura di O. Capitani: REPERTORIO DEGLI SCRITTORI GRECI E
LATINI DELL'ANTICHJTA' E DEL MEDIOEVO
Ph. Gricrson: INTRODUZIONE ALLA NUMISMATICA - trad. di N.
De Domenico.

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