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John Keats (1795-1821) è tra i poeti romantici inglesi più noti e acclamati di sempre ed è oggi considerato un “mito
letterario” anche grazie ad alcuni drammatici eventi della sua vita. Keats infatti, che proviene da una famiglia non
colta, perde entrambi i genitori in giovanissima età (il padre a otto anni e la madre a quattordici) e viene allevato da
dei tutori. Keats entra poi nel circolo letterario di James Leigh Hunt, che si rivelerà fondamentale per lo sviluppo
della sua poetica. Il poeta dedica infatti tutta la propria esistenza all’arte e alla poesia, sacrificando a essa se stesso e
rinunciando anche a sposare l’amatissima Frances “Fanny” Brawne per motivi economici e per proprie le precarie
condizioni di salute. Dopo la morte del fratello nel 1818, due anni più tardi anche Keats si ammala di tubercolosi e,
dopo essersi trasferito a Roma, muore nel 1821 1, a soli ventisei anni. Tra le sue opere principali - oltre alla Ode on a
Grecian urn - si possono ricordare i poemi Hyperion (Iperione), The Eve of St. Agnes (La vigilia di Sant’Agnese) e La
Belle dame sans merci (La bella signora senza pietà) oltre alle odi To a nightingale (A un usignolo), Alla
malinconia (Ode on Melancholy) e All’autunno (To Autumn), tutti composti nel giro di pochissimi anni di attività
letteraria.
La totale dedizione di Keats all’arte come manifestazione della bellezza (elemento che ha fatto di lui un “mito” per i
poeti romantici e un riferimento assai influente anche per gli artisti dei periodi successivi) appare chiaramente fin dal
primo verso dell’Endimione, un lungo poema allegorico sulla ricerca di un ideale amore femminile pubblicato da
Keats nel 1818, dove si afferma: A thing of beauty is a joy for ever 2.
Proprio in virtù di questo amore per la bellezza, che si intreccia con la sensibilità romantica e con l’acuta percezione
della precarietà dell’esistenza umana, in Keats è evidente l’ammirazione per l’arte dell’antica Grecia, che l’autore si
recava spesso ad ammirare nelle sale del British Museum. Forse proprio dall’osservazione dei marmi del
Partenone esposti al museo londinese nasce l’Ode su un’urna greca, pubblicata nel 1819.
ANALISI
L’Ode su un’urna greca rappresenta in realtà un paradosso della poesia romantica poiché non contiene nessuno dei
tipici temi romantici come la natura, la vita di persone comuni, il magico o il soprannaturale, né racconta di amori o
avventure esotici. Il tema dell’Ode semmai è la ricerca della permanenza e dell’immortalità, che per Keats si
possono trovare solo nell’arte, la quale, a differenza di tutte le cose umane, non è mutevole. L’idea riprende dunque
la tematica, cara già a Shakespeare, dell’arte come sola alternativa alla morte e unica immortalità possibile. L’arte
però non ha un potere intrinseco; Keats descrive infatti l’urna come “fredda”. È invece l’immaginazione del poeta a
dar vita al vaso e a far rivivere i personaggi rappresentati su di esso. È solo attraverso l’immaginazione - e non i sensi
fisici - che secondo Keats possiamo raggiungere la perfezione 3.
L’ode è dunque il canto dedicato alla bellezza di un manufatto senza tempo, ovvero un’urna greca decorata con
motivi classici, che diviene simbolo dell’eternità proprio per il potere dell’immaginazione. Due scene vengono
descritte nel testo: una in cui un giovane cerca di baciare una fanciulla mentre alcuni musici suonano tamburelli e
strumenti a fiato sullo sfondo di una festa dionisiaca; l’altra in cui un sacerdote sta conducendo una giovenca al
sacrificio. Ciò che affascina Keats è il fatto che l’arte poetica sia in grado di presentare un mondo ideale fissandone
le azioni e i gesti (il bacio, il sacrificio) in una emozione particolare, che la poesia rende eterna in quanto espressione
di bellezza. Il giovane che tenta di baciare la fanciulla non la bacerà mai, ma resterà in attesa in quell’immensa
trepidazione che precede il bacio. La bellezza della giovane, la passione del ragazzo, il piacere dato dalla musica e i
rami in fiore resteranno fissati in eterno in quell’istante (vv. 18-20: “yet, do not grieve; | she cannot fade, though
thou hast not thy bliss, | for ever wilt thou love, and she be fair!”). Allo stesso modo, l’allusione al sacrificio rituale
dell’animale evoca un mondo lontanissimo nello spazio e nel tempo, intangibile e immutabile (vv. 38-40: “And, little
town, thy streets for evermore | will silent be; and not a soul, to tell | why thou art desolate, can e'er return”).
A questo proposito, in una lettera del dicembre 1817 Keats afferma di aver compreso quale sia l’abilità
fondamentale per comporre un testo letterario: si tratta della “negative capability”, ovvero la capacità di restare
nell’incertezza e nel dubbio senza voler per forza raggiungere la ragione, presentando cioè nei propri versi situazioni
ambigue, vaghe, misteriose e anche paradossali. Questo concetto è tra le tematiche chiave dell’Ode su un’urna
greca, che in molti versi ritrae figure misteriose e sconosciute che compiono gesti non del tutto comprensibili, e si
esprime perfettamente nei due versi che chiudono l’ode: “Beauty is truth, truth beauty”, - that is all
Ye know on earth, and all ye need to know. 4
La rappresentazione vaga e misteriosa consente di lasciar agire l’immaginazione - il che rientra perfettamente nello
spirito romantico che ritroviamo anche in Coleridge (The rime of the Ancient Mariner) e Wordsworth - che
attraverso l’opera d’arte ci conduce in mondi migliori, più belli e dunque più veri di quello reale. Dal punto di vista
strutturale, l’ode si suddivide in tre parti: l’introduzione, corrispondente alla prima strofa, il corpo centrale (la
seconda, terza e quarta strofe) e la conclusione, coincidente con gli ultimi dieci versi. Nella prima parte Keats
introduce il tema dell’intangibilità dell’arte, che supera il tempo (vv. 1-6) e che stimola le domande senza risposta
del poeta su cosa sia raffigurato sull’anfora greca (vv. 7-10). La tensione poetica culmina nel termine “ecstasy” (v.
10), che è simbolo dello slancio immaginativo del poeta che così supera e trasfigura la realtà presente. Nelle tre
strofe centrali (vv. 11-40) Keats sviluppa le due brevi scenette narrative dei due amanti e del sacerdote che conduce
la giovenca al sacrificio; il tema è quello del potere dell’immaginazione che supera le nostre sensazioni concrete (vv.
11-12: “heard melodies are sweet, but those unheard | are sweeter”). Ciò che è artisticamente perfetto, è
dunque statico e immobile; i due amanti saranno davvero felici solo quando il loro amore si svincolerà dalle
contingenze umane (vv. 28-30: “All breathing human passion far above, |that leaves a heart high-sorrowful and
cloy'd, | a burning forehead, and a parching tongue”). Sia la vicenda dei due amanti che quella del sacerdote (vv. 31-
40) sono dei limpidi esempi della “negative capability” di Keats: più che lo sguardo razionale sul mondo l’espressione
poetica deve privilegiare ciò che vi è di indeciso e indeterminato nella realtà (vv. 38-40: “And, little town, thy streets
for evermore | will silent be; and not a soul to tell | why thou art desolate, can e'er return”). Compito del poeta è
anzi entrare in questa indeterminatezza e tradurla in una forma artistica e non piuttosto spiegarla in modo coerente
e comprensibile.
L’ultima strofa, che si apre con un appello alla “forma attica” dell’urna, completa dunque il percorso di Keats: la
perfezione dell’urna è silenziosa e fredda come l’eternità e “supera” la realtà contingente (vv. 44-45: “Thou, silent
form, dost tease us out of thought | as doth eternity: Cold Pastoral!”); ciò che resta all’uomo - e ciò che gli deve
bastare - è la rivelazione conclusiva, che è anche il senso profondo della Ode on a Grecian urn.
Dal punto di vista stilistico in Keats - che ricorda Shakespeare e Milton per l’utilizzo puntuale della tradizione classica
e per la capacità di aderire al tempo stesso alla sensibilità del suo tempo - la poesia romantica inglese trova una
delle sue espressioni più alte. Ciò che caratterizza Keats è infatti la totale maestria nello stile, che si concretizza in un
verso melodico e in un linguaggio raffinato ed ipnotico, ricco di arcaismi. Nell’Ode su un’urna greca la lingua è legata
soprattutto alla sfera dei sensi (in particolare la vista e l’udito) che si contrappone alla mondo dell’immaginazione (si
vedano i vv. 12-14: “therefore, ye soft pipes, play on; | not to the sensual ear, but, more endear'd, | pipe to the spirit
ditties of no tone”). Sono frequenti le figure di suono, come assonanze e allitterazioni, ma anche le apostrofi e le
domande retoriche rivolte a se stesso o ai personaggi.
Metro: lo schema metrico dell’ode è quello di un’ode pindarica irregolare. L’Ode on a Grecian urn è infatti composta
da 5 strofe di 10 versi decasillabi a rima alternata ABAB seguiti da una combinazione di altre tre rime CDE CDE (l’ode
pindarica classica prevedeva invece 3 strofe da 12 versi ciascuna).
1
La sua sorte ricorda quella di altri due grandi poeti romantici: Percy Bysshe Shelley (1792-1822), autore della Ode to the West
Wind, e Lord Byron (1788-1824).
2
Endymion, v. 1 (“Una cosa bella è una gioia eterna”). Questo verso è tanto noto da essere spesso ripreso nei contesti più
svariati, come nel film Mary Poppins del 1964, dove è Mary a dirlo ai due bimbi estraendo una pianta dalla sua borsa.
3
Vicino a questo tipo di sensilbilità, a metà strada tra valori neoclassici e suggestioni romantiche, sarà la poesia di Ugo Foscolo
(1778-1827), in particolare il suo carme Dei Sepolcri e l’incompiuto poema Le Grazie.
4
Traduzione: “Bellezza è verità, verità bellezza”, - questo è tutto ciò che sapete sulla Terra, ed è tutto ciò che vi occorre sapere.
5
leaf-fringed legend: si riferisce a scene bordate di motivi floreali o a foglie, molto usate sui vasellami antichi.
6
in Tempe or the dales of Arcady: Si tratta di ambientazioni tradizionali della poesia pastorale: Tempe è un toponimo
della Tessaglia, antica regione della Grecia celebre per la sua paradisiaca bellezza, mentre l’Arcadia è un’altra regione greca,
trasfigurata letterariamente fin dall’antichità come un Eden terrestre dove l’uomo vive in pacifica armonia con la Natura. La
terra di Arcadia, cui si collega il topos del locus amoenus, è ambientazione tipica per la poesia bucolica di Virgilio (come
nella prima Bucolica e nella quarta Bucolica) e di Teocrito, e poi nella Arcadia di Jacopo Sannazaro e nell’Accademia dell’Arcadia.
7
not to the sensual ear: questo “sensual ear”, legato al puro senso dell’udito, ricorda l’occhio interiore di Wordsworth in I
wandered lonely as a cloud.
8
ditties of no tone: le “canzoncine” (ditties) cui allude il poeta non possono essere sentite se non con l’immaginazione, poiché
l’urna è ovviamente silenziosa.
9
L’amante raffigurato sull’urna è superiore a qualsiasi passione umana e fisica: “breathing” si riferisce proprio alla fisicità
umana vivente, contrapposta alla rappresentazione artistica. In Keats, l’immaginazione e la poesia costituiscono sempre un
livello superiore a quello della realtà, percepita come deludente o incompleta o dolorosa.
10
Nei due versi che chiudono la strofa, Keats descrive gli effetti crudeli e drammatici della passione amorosa, cui si contrappone
invece la purezza e l’intoccabilità degli amanti raffigurati sull’urna.
11
O Attic shape: il riferimento è all’Attica, la regione greca in cui sorge la città di Atene, metafora della classicità elegante,
semplice e pura.
12
attitude: Keats usa il termine tecnico della danza per descrivere la “posa” di uno dei personaggi raffigurati.
13
with brede: cioè con una decorazione a motivi intrecciati, tipica dell’epoca greca. Queste specifiche terminologiche sono un
indizio del sincero interesse e della devozione di Keats per l’arte classica.
14
Beauty is truth, truth beauty: la frase è un ulteriore richiamo alal Grecia classica, attraverso l’identificazione di ciò che è bello
con ciò che è vero. In questo senso la bellezza possiede per Keats un valore etico per l’uomo: la ricerca della bellezza va a
coincidere con la scoperta della verità, l’unica intelleggibile per l’individuo mortale. Riecheggia qui l’ideale antico, formulato
proprio all’interno della cultura greca, del connubio perfetto di etica ed estetica, cioè del kalòs kai agathòs (in greco καλὸς καὶ
ἀγαθός, “bello e buono”). Ad un livello più superficiale, ciò che “occorre sapere” all’uomo è che (con un atteggiamento che
troveremo anche in Ugo Foscolo) la contemplazione della bellezza ha una funzione consolatoria per le delusioni della vita.
ODE TO A NIGHTINGALE
È forse l’ode più famosa di Keats, dalle reminiscenze classiche (Orazio), considerata quale esemplificazione
dell’eroe/poeta romantico in conflitto con la realtà, che tenta (invano) di identificarsi con la natura, per sfuggire da
un mondo troppo doloroso da sopportare. Per molti anni, lo stesso Keats è stato identificato col poeta romantico per
antonomasia: un ragazzo sentimentale, dal grande talento, ma troppo debole e permaloso, incapace di affrontare le
critiche e le difficoltà terrene. Un poeta “escapista”…
Qui, invece, Keats affronta il problema del fare poesia nei tempi moderni, nel periodo della crescente
industrializzazione. La poesia, in una società sempre più individualista e materialista, rischia di diventare unicamente
un modo per sfuggire alla realtà (ed egli lo sperimenta su di sé, facendo autocritica); poesia come droga, quindi,
ebbrezza, oblio (vedi la presenza della cicuta, del vino, dell’oscurità).
Il poema è stato tradizionalmente considerato quale confessione di un alienato; in realtà è una visione oggettiva
(Keats adopera il metodo shakespeariano dell’empatia) e scettica, non priva di una sottile ironia di fondo, della
stessa funzione del poeta e della poesia nella società moderna.
Keats è in uno stato di sonnolenza fastidiosa. L’invidia della felicità immaginata dell'usignolo non è responsabile per
la sua condizione; piuttosto, è una reazione alla felicità che ha sperimentato attraverso la condizione della felicità
dell'usignolo. La felicità dell'uccello è trasmessa nel suo canto. Keats desidera una sorsata di vino che lo porti fuori di
sé e gli consenta di unirsi alla sua esistenza con quello dell'uccello. Il vino lo metterebbe in uno stato in cui non
sarebbe più se stesso, consapevole che la vita è piena di dolore, che i giovani muoiono, i vecchi soffrono e che solo
pensare alla vita porta dolore e disperazione. Ma il vino non è necessario per consentirgli di fuggire. La sua
immaginazione servirà altrettanto bene. Non appena si rende conto di questo, è, in spirito, sollevato sopra gli alberi
e può vedere la luna e le stelle anche se dove è fisicamente c'è solo un bagliore di luce. Non riesce a vedere quali
fiori stiano crescendo intorno a lui, ma da loro odore e dalla sua conoscenza di ciò che i fiori dovrebbero essere in
fiore nel momento in cui può indovinare. Nell’oscurità ascolta l’usignolo. Ora, sente, sarebbe un’esperienza ricca
morire, “cessare la mezzanotte senza dolore” mentre l’uccello continuerebbe a cantare estaticamente. Molte volte,
confessa, è stato “per metà innamorato della tranquilla morte”. L’usignolo è libero dal destino umano di dover
morire. La canzone dell’usignolo che sta ascoltando è stata ascoltata nei tempi antichi dall’imperatore e dal
contadino. Forse persino Ruth (la cui storia è raccontata nell’Antico Testamento) l’ha ascoltata.
“Sconsolato”, l’ultima parola della strofa precedente, riporta Keats nella strofa conclusiva alla consapevolezza di ciò
che è e dov’è. Non può sfuggire nemmeno con l’aiuto dell’immaginazione. Il canto dell’uccello diventa più debole e
muore. L’esperienza che ha avuto sembra così strana e confusa che non è sicuro se sia stata una visione o un sogno
ad occhi aperti. E’ persino incerto se è addormentato o sveglio. “Ode to a Nightingale” è un’ode regolare. Tutte le
otto stanze hanno dieci righe di pentametro e uno schema di rima uniforme. Sebbene il poema sia regolare nella
forma, lascia l’impressione di essere una specie di rapsodia; Keats sta permettendo ai suoi pensieri ed emozioni di
esprimersi liberamente. Un pensiero suggerisce un altro e, in questo modo, il poema procede a una conclusione
alquanto arbitraria. La poesia impressione il lettore come il risultato di un’ispirazione libera incontrollata da un piano
preconcetto. Il poema di Keats nell’atto di condividere con il lettore un’esperienza che sta avendo piuttosto che
ricordare un’esperienza. L’esperienza non è del tutto coerente. È’ ciò che accade nella sua mente mentre ascolta la
canzone di un usignolo. I tre pensieri principali spiccano nell’ode:
-La valutazione della vita di Keats: la vita è una valle di lacrime e frustrazione. La felicità che Keats sente nel canto
dell’usignolo lo ha reso felice momentaneamente, ma è stato seguito da un sentimento di torpore che a sua volta è
seguito dalla convinzione che la vita non è solo dolorosa ma anche intollerabile. Il suo gusto di felicità nell’udire
l’usignolo lo ha reso ancora più consapevole dell’infelicità della vita. Keats vuole fuggire dalla vita, non per mezzo del
vino, ma per mezzo di un agente molto più potente, l’immaginazione.
-(tema principale) Il desiderio di Keats di poter morire e di liberarsi completamente della vita, a patto che possa
morire con la stessa felicità e indolenza che potrebbe addormentarsi. La preoccupazione per la morte non sembra
essere stata causata da alcun cambiamento in peggio nelle fortune di Keats nel momento in cui scrisse l’ode (maggio
1819). Per molti aspetti la vita di Keats era stata insoddisfacente per qualche tempo prima di scrivere il poema. La
sua vita familiare fu distrutta dalla partenza di un fratello in America e dalla morte per tubercolosi dell’altro. Il suo
secondo volume di poesie era stato severamente rivisto. Non aveva alcuna occupazione retribuita e nessuna
prospettiva, dal momento che aveva abbandonato i suoi studi di medicina. Le sue condizioni finanziarie erano
insicure. Non era stato bene durante l’autunno e l’inverno del 1818-19 e forse soffriva già di tubercolosi. Non poteva
sposare Fanny Brawne perché non era in grado di sostenerla. Quindi il desiderio di morte nell’ode può essere una
reazione a una moltitudine di problemi e frustrazioni che erano ancora tutti ancora con lui. Il pesante peso della vita
che lo spingeva, costringeva “Ode to a Nightingale” a uscire da lui. Keats più di una volta espresse il desiderio di una
“tranquilla morte”, ma quando era nella fase finale della tubercolosi combatté contro la morte andando in Italia
dove sperava che il clima lo avrebbe curato. Il desiderio di morte nell’ode è un atteggiamento passeggero ma
ricorrente verso una vita che è stata insoddisfacente in così tanti modi.
Il potere dell’immaginazione o della fantasia (Keats non fa alcuna distinzione netta tra i due). Nell’ode Keats rifiuta il
vino per la poesia, il prodotto dell’immaginazione, come mezzo per identificare la sua esistenza con quella del lieto
usignolo. Ma la poesia non funziona come dovrebbe. Si ritrova presto con il suo sé quotidiano, pieno di problemi.
Quella “fantasia non può imbrogliare così bene / Come lei è famosa”, ammette nella strofa conclusiva.
L’immaginazione non è la funzione onnipotente che a volte Keats pensava fosse. Non può dare più d una fuga
temporanea dalle preoccupazioni della vita.
L’assegnazione dell’immortalità di Keats all’usignolo nella strofa VII ha causato molti problemi ai lettori. Keats forse
stava pensando a un letterale usignolo; più probabilmente, tuttavia, pensava all’usignolo come a un simbolo di
poesia, che ha una permanenza. Il potere evocativo di Keats è mostrato specialmente nella strofa II dove associa un
bicchiere di vino “con bolle di perline che strizzano l’occhio”, con la Francia solare e la “miriade di sole” dei
raccoglitori, e nella sua foto nella stanza VII di Ruth sofferente dalla nostalgia “tra il grano alieno”. L’intera ode è un
trionfo della ricchezza tonale di quella musica adagio verbale che è il contributo speciale di Keats alle molte voci
della poesia.
La Belle Dame sans Merci (“La bella dama senza pietà”) è una ballata del poeta inglese John Keats, il cui titolo è
mutuato da una più antica opera, un poemetto del XV secolo, di Alain Chartier. Ne esistono due versioni, con poche
differenze tra loro. La prima fu scritta da Keats nel 1819.
La poesia
La belle dame sans merci descrive l’incontro tra un cavaliere senza nome, immerso in un paesaggio sterile e
desolato, e il poeta. Il cavaliere racconta di come la sua sventura sia giunta il giorno in cui si è imbattuto in una
misteriosa donna di grande bellezza e “dagli occhi selvaggi”. La bella dama dichiara di essere “figlia di una fata” e di
amarlo. Egli, soggiogato dalle sue profferte d’amore e dalla sua malia, si fa condurre da lei alla “Grotta degli elfi”,
dove si addormenta. Durante il sonno, il cavaliere ha una visione di pallidissimi principi e re, che lo ammoniscono: “la
bella dama senza pietà” ormai lo ha preso nella sua rete ed egli è in suo potere. Quando il cavaliere si sveglia, scopre
di essere solo, di nuovo sul colle desolato, dove rimane ad attendere, vagando sconsolato.
L’amore e la morte
Ci sono diverse interpretazioni di questa poesia, che pur nella sua brevità raccoglie in sé molti simboli e metafore.
La dama senza pietà, a cui nessuno sfugge, rappresenta, a una prima lettura, la morte. Il cavaliere non può evitare di
seguirla e di perdere tutto per lei. Ma a quella che di primo acchito è l’interpretazione più chiara si tinge di varie
sfumature: il legame fra l’amore e la morte, per esempio: quello fra il cavaliere e la dama è un amore distruttivo. Il
cuore di lui, sedotto e abbandonato, è destinato alla desolazione. Dice il Cantico dei Cantici che forte come la morte
è l’amore e qui il povero cavaliere è prigioniero di un amore del tutto simile alla morte. Quando il poeta lo incontra,
nonostante la natura sia in un periodo di floridezza (c’è stato il raccolto, dunque siamo in estate, o all’inizio
dell’autunno) egli porta su di sé i segni della morte: il giglio, simbolo di purezza, e la rosa, simbolo d’amore, sono
associati a lui in un richiamo funereo: il giglio sulla fronte è un richiamo alla morte, così come la rosa è avvizzita.
Intorno a lui, tutto tace ed è immerso nel dolore, come se fosse lui stesso a generare silenzio attorno a sé.
Storie di fate
In questa ballata si incontrano però altri due temi molto amati nel periodo vittoriano, quello dell’epoca cavalleresca
e quello della mitologia. Nella seconda metà dell’Ottocento, complice lo stabile regno della regina Vittoria, alla
ricerca di un’ulteriore nobilitazione grazie alla letteratura e in particolare in quella capace di dare lustro alla Nazione,
il romanticismo inglese incentra parte delle sue tematiche sulle epopee cavalleresche, recuperando le leggende
arturiane e in generale riprendendo a narrare di dame e cavalieri, i cui alti ideali dovevano diventare uno specchio
per la nuova Inghilterra vittoriana. Vediamo in questo periodo anche un ritorno al mito e alla mitologia, che avviene
in parallelo al nel recupero della fiaba popolare ampiamente diffuso in Europa: recupero che pone le basi nelle
stesse convinzioni dei Grimm, convinti di trovare nella tradizione popolare le vere radici delle nazioni. Il ciclo
arturiano e l’epica cavalleresca sono molto legati a quel mondo magico popolato di fate e di elfi, alla mitologia già
ripresa da Shakespeare in Sogno di una notte di mezza estate. Il mito e il fiabesco si compenetrano e diventano
tutt’uno. In La belle dame sans merci ritroviamo l’eco di varie leggende sulle fate, fra cui quella narrata nella ballata
scozzese Tam Lin. In Tam Lin, una giovane donna resta incinta dopo l’incontro con una creatura fatata. Il suo amato,
però, le spiega di essere umano, prigioniero delle fate da lungo tempo. Con coraggio e costanza la donna riesce a
liberarlo, salvandolo dalle perfide creature e dall’inferno. Le fate, per nulla buone e affatto disposte a realizzare
desideri, sono esseri crudeli, che rapiscono esseri umani per i propri scopi malvagi. Si racconta che paghino al
demonio un tributo per la loro immortalità, regalandogli un’anima ogni cento anni. Cerchi fatati, nei quali ci si perde
per sempre, incontri con creature bellissime e crudeli, che nascondono dietro la bellezza fatata un aspetto reale e
terribile… le leggende sul popolo fatato sono tante, suggestive e a volte un po’ crude. Qui incontriamo la figlia di una
fata, che con sussurri misteriosi irretisce un cavaliere, immagine stessa della fedeltà e della purezza. Il bene contro il
male: sembra che Keats ci suggerisca quanto inerme sia l’innocente di fronte alla seduzione del peccato.
L’arte e la magia
Non stupisce che, con un tale carico di significati, di simboli nascosti sotto al velo delle parole, questo poemetto sia
divenuto un’opera di successo e soprattutto che abbia suscitato interesse fra i preraffaelliti, che hanno fatto del
soggetto uno delle tematiche più rappresentate. I preraffaelliti di solito privilegiano il momento della seduzione,
quello in cui il cavaliere accetta di condurre la dama alla sua caverna: è il momento in cui il fato dell’uomo diviene
ineluttabile, quello da cui non può più tornare indietro. Un’altra immagine molto amata è quella del passaggio al
sonno, quando la creatura fatata, compiuta la sua magia, gode della conquista. Il cavaliere, inerme, giace fiducioso
fra le sue braccia, non sapendo che di lì a poco i sogni gli riveleranno un’amara verità. La tematica è così affascinante
da arrivare ai giorni nostri, attraversando i secoli in illustrazioni e fotografie, spesso di ispirazione preraffaellita.
La musica
Il cantautore italiano Angelo Branduardi ha riproposto il tema della poesia in una versione molto suggestiva, che è
stata inclusa nella raccolta La pulce d’acqua del 1977, con il titolo “La bella dama senza pietà”. Il cantautore italiano
Vinicio Capossela eseguì il poema con sue musiche durante il concerto speciale “Ballate nella balena”, tenutosi il 15
luglio 2012 all’abbazia di San Galgano.
“I see a lily on thy brow Scorgo un giglio sulla tua fronte,
With anguish moist and fever-dew. Imperlata d’angoscia e dalla febbre inumidita;
And on thy cheeks a fading rose E sulla tua guancia c’è come una rosa morente,
Fast withereth too.” Anch’essa troppo in fretta sfiorita.
“I made a garland for her head, Una ghirlanda le preparai per la fronte,
And bracelets too, and fragrant zone; Poi dei braccialetti, e profumato un cinto:
She look’d at me as she did love, Lei mi guardò come se mi amasse,
And made sweet moan. E dolce emise un gemito indistinto.
“She took me to her elfin grot, E mi portò alla sua grotta fatata,
And there she wept and sigh’d full sore; Ove pianse tristemente sospirando;
And there I shut her wild, wild eyes Poi i selvaggi suoi occhi selvaggi le chiusi,
With kisses four. Entrambi doppiamente baciando.
“I saw pale kings and princes too, Cerei re vidi, e principi e guerrieri,
Pale warriors, death-pale were they all: Tutti eran pallidi di morte:
They cried, ‘La belle Dame sans Merci “La belle dame sans merci”, mi dicevano,
Hath thee in thrall!’ “Ha ormai in pugno la tua sorte”.
“I saw their starved lips in the gloam Vidi le loro labbra consunte nella sera
With horrid warning gapèd wide, Aprirsi orribili in un grido disperato,
And I awoke and found me here E freddo mi svegliai, ritrovandomi lì,
On the cold hill’s side. Sul fianco del colle ghiacciato.
“And this is why I sojourn here Ed ecco dunque perché qui dimoro,
Alone and palely loitering, E pallido indugio e solo,
Though the sedge is wither’d from the lake, Anche se sono avvizziti i giunchi in riva al lago,
And no birds sing.” E nessun uccello canta, prendendo il volo.