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Percy Bysshe Shelley

Percy Bysshe Shelley (Field Place, Sussex, 4 agosto 1792 – Viareggio, 8 luglio 1822) è stato un
poeta inglese, uno dei più grandi poeti romantici. È famoso per aver scritto opere da antologia quali
Ozymandias, l'Ode al vento occidentale (Ode to the West Wind), A un'allodola (To a Skylark), e La
maschera dell'anarchia (The Masque of Anarchy), ma quelli che vengono considerati i suoi
capolavori furono i poemi narrativi visionari come il Prometeo liberato (Prometheus Unbound) e
l'Adonais (Adonais). La vita anticonformista e l'idealismo assoluto di Shelley ne fecero una figura
notoria e oggetto di denigrazione per tutta la sua vita. Divenne però l'idolo delle due-tre generazioni
successive di poeti (inclusi i grandi vittoriani, Robert Browning, Alfred Tennyson, Dante Gabriel
Rossetti, Algernon Swinburne e William Butler Yeats). Divenne inoltre famoso per la sua amicizia
con i contemporanei John Keats e Lord Byron e, come loro, per la sua morte prematura, avvenuta in
giovane età. Era il marito di Mary Wollstonecraft Shelley, autrice del romanzo Frankenstein, figlia
di Mary Wollstonecraft e William Godwin, filosofo anarchico, il quale influì molto sulle idee
politiche di Shelley.[1]

Biografia

Istruzione e prime opere

Essendo nato in una famiglia molto influente dell'aristocrazia rurale del Sussex, Percy divenne
l'erede del secondo baronetto di Castle Goring nel 1815. Ricevette la sua prima istruzione in
famiglia dal reverendo Thomas Edwards di Horsham. Nel 1802 entrò nella Syon House Academy di
Brentford. Nel 1804, Percy fu ammesso allo Eton College, qui fu soprannominato "mad Shelley"
(Shelley il folle) a causa della sua eccentricità. Il 10 aprile 1810 Percy andò all'Università di Oxford
(allo University College). Nonostante si distingua per la sua notevole capacità di apprendimento,
questi anni rappresentano per l'animo del giovane poeta un vero e proprio inferno: insofferente ai
programmi educativi, preferisce le solitarie passeggiate in campagna e gli studi sull'elettricità, il
magnetismo e la chimica. In quegli stessi anni legge "L'inchiesta concernente la giustizia politica"
dell'anarchico William Godwin, la cui filosofia libertaria influenza subito la sua formazione
culturale. La sua prima opera pubblicata fu un romanzo gotico, Zastrozzi (1810), in cui egli sfogò la
sua visione atea del mondo per bocca del malvagio Zastrozzi. Nello stesso anno Shelley e la sorella
Elizabeth pubblicarono Poesie originali di Victor e Cazire (Original Poetry by Victor and Cazire).
Nel 1811 Shelley, in collaborazione con Hogg, pubblicava un opuscolo, La necessità dell'ateismo
(The Necessity of Atheism), che provocò la loro espulsione da Oxford il 25 marzo del 1811.
Avrebbe potuto essere riammesso grazie all'intervento del padre, se avesse rinnegato il credo
dichiarato nei suoi scritti, ma Shelley rifiutò, il che portò ad una rottura totale tra lui e il padre.
Dopo essere stato espulso da Oxford, pubblicò una collezione di poesie apparentemente burlesche
ma in realtà dai tratti rivoluzionari, i Frammenti postumi di Margaret Nicholson (Posthumous
Fragments of Margaret Nicholson), ai quali probabilmente collaborò Thomas Jefferson Hogg,
amico e compagno di college, che ne diverrà poi il biografo principale.

Gli anni del primo matrimonio

Quattro mesi dopo la sua espulsione, il diciannovenne Shelley fuggì segretamente in Scozia con una
giovane studentessa, Harriet Westbrook, figlia di John Westbrook, il proprietario di un caffè di
Londra, e la sposò il 28 agosto del 1811, da lei ebbe due figli. Shelley invitò il suo amico Hogg a
condividere la sua casa, inclusa la moglie, come volevano i suoi ideali di amore libero, ma in
seguito al rifiuto da parte di Harriet dovette abbandonare il suo progetto di matrimonio aperto. Si
recò nel Lake District con l'intenzione di mettersi a scrivere, ma, distolto dagli eventi politici, si
spostò poco dopo in Irlanda, interessandosi attivamente della condizione di miseria dei lavoratori
dublinesi e dandosi all'attività di propagandista politico. Queste sue attività gli valsero le attenzioni
ostili del governo inglese.

Nei due anni successivi, Shelley scrisse e pubblicò La Regina Mab: un poema filosofico (Queen
Mab: A Philosophical Poem). Tale poema mostra l'influenza del filosofo inglese William Godwin, e
in esso è espressa molta della filosofia radicale di quest'ultimo. Sofferente fin dal 1812 di attacchi
nervosi, placati con dosi di laudano, cominciò ad attraversare fasi caratterizzate da vere e proprie
allucinazioni. Intraprese in questo periodo una serie di viaggi, fra i quali è significativo quello in
Irlanda; dove Shelley iniziò propaganda sia contro il dominio inglese che contro il cattolicesimo.
Tornato in Inghilterra,il matrimonio con Harriet iniziò a deteriorarsi: Shelley lasciava spesso soli la
moglie e i suoi due figli trattenendosi a casa di Godwin e nella sua libreria di Londra. Fu qui che
incontrò, innamorandosene (sebbene ancora sposato con Harriet), Mary, la figlia colta ed
intelligente di Godwin e di Mary Wollstonecraft, un tempo nota come insegnante e scrittrice
femminista morta alla nascita di Mary.

Seguendo i principi di libertà sessuale più volte professati, nel luglio del 1814, Shelley fuggiva
segretamente con la sedicenne Mary, portando con sé la sorellastra Jane (poi Claire) Clairmont,
anche lei sedicenne. I tre si imbarcarono per l'Europa attraversando la Francia per poi andare ad
abitare in Svizzera. Gli Shelley avrebbero pubblicato in seguito un resoconto dell'avventura. Dopo
sei settimane, nostalgici della madre patria e senza soldi, i tre giovani tornarono in Inghilterra. Lì
constatarono che Godwin, che un tempo aveva caldeggiato l'amore libero e vissuto secondo i suoi
principi, si rifiutava di rivolgere la parola a Mary e a Shelley, e così fu per qualche anno.

Nell'autunno del 1815, stabilitosi a Londra con Mary ma eludendo i creditori, Shelley produsse
l'allegoria in versi intitolata Alastor, o spirito della solitudine (Alastor, or The Spirit of Solitude).

Conoscenza di Byron

Nell'estate del 1816 gli Shelley fecero un secondo viaggio in Svizzera. Lo spunto venne dalla
sorellastra di Mary Shelley, Claire Clairmont, che si era legata a Lord Byron l'aprile precedente,
poco prima che questi si esiliasse nel continente. Byron aveva perso l'interesse verso Claire, ma lei
utilizzò l'opportunità di incontrare gli Shelley come esca per farlo venire a Ginevra. Byron e gli
Shelley affittarono delle case adiacenti tra loro sulle rive del Lago di Ginevra, e le frequenti
conversazioni con Byron ebbero un effetto molto stimolante sulla poesia di Shelley. Un giro in
barca intrapreso dai due spinse Shelley a scrivere l'Inno alla bellezza dell'intelletto (Hymn to
Intellectual Beauty), la sua prima opera di un certo rilievo dopo l'Alastor. Un giro di Chamonix
sulle Alpi francesi ispirò Monte Bianco (Mont Blanc), una poesia complessa in cui Shelley riflette
sull'inevitabilità degli eventi della storia e sulla relazione tra la mente umana e la natura che ci
circonda. A sua volta, Shelley influenzò la poesia di Byron. Nella tarda estate di quell'anno, Claire e
gli Shelley fecero ritorno in Inghilterra. Claire era incinta del bambino avuto da Byron, fatto, questo
destinato ad avere conseguenze non trascurabili sul futuro di Shelley.

Tragedie personali e secondo matrimonio

Il ritorno in Inghilterra fu funestato da due tragedie: Fanny Imlay, la sorellastra di Mary Godwin si
uccise alla fine dell'autunno e nel dicembre dello stesso 1816 Harriet, la moglie di Shelley che
questi aveva abbandonato, si annegò (apparentemente incinta, non del poeta che l'aveva
abbandonata due anni prima) nel Serpentine Lake nello Hyde Park di Londra. I figli avuti da
Shelley con Harriet furono affidati dai tribunali a dei genitori adottivi. Mary e Percy si sposarono il
30 dicembre 1816 e si stabilirono nel villaggio di Marlow, nel Buckinghamshire, dove viveva
l'amico Thomas Love Peacock. Shelley partecipò al circolo letterario che faceva capo a Leigh Hunt,
e durante questo periodo incontrò John Keats. L'opera di maggiore rilievo di quell'anno fu Laon e
Cythna (Laon and Cythna), un lungo poema in forma narrativa in cui egli attaccava la religione,
rappresentandovi una coppia di amanti incestuosi. Fu ritirato precipitosamente dopo solo la
pubblicazione di alcune copie, poi riveduto e pubblicato sotto il titolo di La rivolta dell'Islam (The
Revolt of Islam) nel 1818. Shelley scrisse anche due libelli politici sotto il nome fittizio
dell'"Eremita di Marlow".

Viaggi in Italia e morte

Dopo una serie di alti e bassi letterari e personali, nel 1818, rotti tutti i rapporti con la famiglia e in
uno stato di salute pessimo, il poeta, con il suo seguito (la moglie, i due figli, la cognata Jane e sua
figlia Allegra) si spostò in Italia, dove, nel giro di quattro anni, soggiornò a Venezia, Livorno,
Lucca, Este, Roma, Napoli, Firenze e Pisa. La sua ultima residenza fu a Villa Magni a San Terenzo,
paese marinaro nel Comune di Lerici (La Spezia). L'8 luglio 1822, a poco meno di un mese dal suo
trentesimo compleanno, Shelley annegò in una tempesta improvvisa mentre era a bordo della sua
nuova goletta, l'"Ariel", navigava proprio verso San Terenzo, di ritorno da Pisa e Livorno. Aveva
appena fondato The Liberal con Hunt, che aveva incontrato insieme a Byron. Il vascello, una nave
aperta costruita a Genova apposta per Shelley su imitazione di un modello della marina inglese non
si capovolse ma affondò; Mary Shelley dichiarò nella sua Nota alle poesie del 1822 (1839) che vi
era un difetto nel progetto e che il vascello non era buono per navigare. Il corpo di Shelley fu spinto
sulla riva dalle onde per essere dieci giorni dopo ritrovato e poi cremato sulla spiaggia, vicino
Viareggio

Discendenti

Dalla prima moglie Harriet ebbe:

 Ianthe Eliza Shelley (23 giugno 1813 - 1876)


 Charles Shelley (30 novembre 1814 - 1826)

Dalla seconda moglie Mary ebbe:

 Clara Shelley (22 febbraio 1815 - marzo 1815)


 Clara (Claire) Everina Shelley (2 settembre 1817 - febbraio 1818)
 William Shelley (24 gennaio 1816 - 7 giugno 1819)
 Percy Florence Shelley (12 novembre 1819 - 5 dicembre 1889)

Adottò irregolarmente una bambina:

 Elena Adelaide Shelley (27 dicembre 1818 - 10 giugno 1820)

Gli sopravvissero solo tre figli su sette: Ianthe e Charles, rispettivamente la figlia e il figlio avuta da
Harriet, e Percy Florence, il figlio avuto da Mary. Charles, malato di tubercolosi, morì per le ferite
riportate dopo essere stato colpito da un fulmine durante un temporale nel 1826. Percy Florence,
che in seguito ereditò il titolo di baronetto nel 1844, morì senza figli. Gli intimi discendenti diretti
del poeta sono quindi i figli di Ianthe. Ianthe Shelley si sposò nel 1837 ad Edward Jeffreis Esdailes.
Dal matrimonio nacquero due figli maschi e una femmina. Ianthe morì nel 1876.
La poetica di Shelley

Nonostante dichiari il suo aperto ateismo, Shelley è in realtà un panteista e un epicureo che sogna
un Eden pagano dove non esiste il peccato ma solo gioia e piacere (amori impetuosi, passioni brevi
ma travolgenti segnarono il suo percorso di genio nordico dal cuore latino); secondo il suo pensiero
Dio è tutta la natura e il mondo stesso, l'uno e il tutto riuniti nella memoria della specie, un Dio in
marcia con l'umanità: sta ai poeti riprendere là dove altri hanno finito nella stesura di quel poema
universale che è la ricerca dell'invisibile attraverso il bello, l'intuizione e l'ispirazione.

Dalla sua formazione classica, dallo studio del greco e del latino, deriva una passione per i miti, che
nella sua poesia sono spesso ripresi ed ampliati.

Nel Prometeo liberato e nel saggio In difesa della poesia Shelley esorta i poeti a ricercare la parola
trasfigurante che può indovinare l'invisibile e ad entrare nel mondo del mistero che può essere
rivelato da una parola mai parlata: non è quindi un illuminista, non è uno scienziato che sperimenta,
ma un medium che col linguaggio scopre la verità più recondita.

Shelley è un poeta contraddittorio: nelle sue opere bisogna distinguere la poesia frutto di
commozione eloquente da quella composta di versi ideologici e talvolta retorici, a partire da quelli
condizionati dalle sue posizioni a favore dell'amore libero e di ogni trasgressione dei principi
correnti, contro il lavoro organizzato in fabbrica, contro l'istituzione di una società mercantile e
colonialista.

Shelley non è impegnato a costruirsi un'immortalità postuma con la scrittura o le gesta (come
accadde per Byron o D'Annunzio), ma è afflitto dalla mortalità dell'uomo, temperata talvolta solo
dall'idea secondo la quale ci si può ricongiungere all'Assoluto attraverso la contemplazione e con
l'aiuto della filosofia si può tendere all'Uno.

L'influenza di Shelley

Shelley non riscosse popolarità nella generazione che seguì immediatamente la sua morte. Per
decenni dopo la morte, Shelley fu solo apprezzato dai grandi poeti vittoriani (o letto solo da
personalità di cultura come Giacomo Leopardi), quali Alfred Tennyson e Robert Browning, dai
preraffaelliti, dai socialisti e dal movimento laburista - egli contava Karl Marx tra i suoi ammiratori
- e ovviamente dagli anarchici, che lo consideravano il primo vero artista anarchico della storia[3].
Solo nella seconda parte del XIX secolo l'opera di Shelley, o piuttosto la parte per così dire più
"innocente" e meno rivoluzionaria di essa, divenne celebre - grazie all'opera divulgativa di studiosi
come Henry Salt, la cui tanto acclamata biografia, Percy Bysshe Shelley: il poeta e il pioniere
(Percy Bysshe Shelley: Poet and Pioneer) fu pubblicata per la prima volta nel 1896. Nello stesso
periodo curarono opere su Shelley i poeti italiani Giosuè Carducci e Gabriele D'Annunzio. Nel
periodo tra la Prima guerra mondiale e la metà del XX secolo, età dominata dalla critica di T. S.
Eliot, la poesia di Shelley fu trattata con sussiego dall'establishment dei critici - anche a causa della
reazione di Eliot all'ateismo militante del poeta. Alla fine degli anni cinquanta, grazie alla spinta di
Harold Bloom, Shelley cominciò a riacquistare una reputazione.

Difesa del vegetarianismo


Sia Percy Bysshe Shelley che Mary Shelley furono strenui difensori del vegetarianismo. Shelley
scrisse diversi saggi in cui difendeva la dieta vegetariana, tra i quali la Rivendicazione della dieta
naturale e Sul sistema della dieta vegetariana.

Ode to the West Wind, una delle più famose poesie di Shelley, è composta da cinque sonetti con
rima non convenzionale, una specie di terza rima: a,b,a - b,c,b - c,d,c - d,e,d - ee. L'ode ci offre
diversi spunti tipici di un atteggiamento riscontrabile in molti poeti romantici: un'ansia di libertà, il
desiderio di superare i limiti umani, il bisogno di ribellarsi a ciò che costringe il poeta nella prigione
della vita e fondersi con l'infinito. Simbolo di questa libertà assoluta è il vento. Nei primi tre sonetti
Shelley invoca il vento e lo prega di ascoltarlo; nel quarto sonetto vorrebbe identificarsi con il
vento; nel quinto sonetto lancia il suo messaggio all'umanità.
Con una ricchezza di bellissime immagini, Shelley celebra l'azione impetuosa del vento che domina
la terra, Paria e l'acqua, cioè tutti gli elementi: gli ubbidiscono infatti le foglie e i semi della foresta,
le nuvole, le onde del mare, gli abissi dell'Atlantico, la vegetazione sottomarina. Il poeta sogna di
poter essere foglia, nuvola, onda del mare per essere trasportato dal vento; spera anche di diventare
strumento del vento per realizzare la sua missione di poeta ed essere portatore di un messaggio di
rinnovamento, di mutamento e di vita.
Nell'ode sono ripetuti i riferimenti alla nuova vita che nasce dalla morte: l'autunno prelude alla
morte dell'anno, ma la primavera che segue riporta la vita sulla terra (sonetto I); il vento è destroyer
and preserver (sonetto I): infatti spoglia gli alberi perché li priva delle foglie, ma allo stesso tempo
preserva la vita facendo cadere i semi nel suolo; i pensieri morti del poeta (stanza V) portati dal
vento nell'universo, solleciteranno una rinascita. L'ultimo verso poi è una dichiarazione di speranza,
motivo ricorrente nella poesia shelleyana: è questa la profezia che, con l'aiuto del vento, vuole dare
all'umanità: l'inverno sarà sicuramente seguito dalla primavera, simbolo di rigenerazione.

The poem begins with three cantos describing the wind's effects upon earth, air, and ocean. The last
two cantos are Shelley speaking directly to the wind, asking for its power, to lift him like a leaf, or a
cloud and make him its companion in its wanderings. He asks the wind to take his thoughts and
spread them all over the world so that the youth are awoken with his ideas.

[edit] Interpretation of the poem


The poem Ode to the West Wind can be divided in two parts: the first three cantos are about the
qualities of the ‘Wind’; the fact that these three cantos belong together can visually be seen by the
phrase ‘Oh hear!’ at the end of each of the three cantos. Whereas the last two cantos give a relation
between the ‘Wind’ and the speaker, there is a turn at the beginning of the fourth canto; the focus is
now on the speaker, or better the hearer, and what he is going to hear.

The first stanza begins with the alliteration ‘wild West Wind’. This makes the ‘wind’ “sound
invigorating”. The reader gets the impression that the wind is something that lives, because he is
‘wild’ – it is at that point a personification of the ‘wind’ in the form of an apostrophe. Even after
reading the headline and the alliteration, one might have the feeling that the ‘Ode’ might somehow
be positive. But it is not, as the beginning of the poem destroys the feeling that associated the wind
with the spring. The first few lines consist of a lot of sinister elements, such as ‘dead leaves’. The
inversion of ‘leaves dead’ (l. 2) in the first canto underlines the fatality by putting the word ‘dead’
(l. 2) at the end of the line so that it rhymes with the next lines. The sentence goes on and makes
these ‘dead’ (l. 2) leaves live again as ‘ghosts’ (l. 3) that flee from something that panics them. The
sentence does not end at that point but goes on with a polysyndeton. The colorful context makes it
easier for the reader to visualise what is going on – even if it is in an uncomfortable manner.
‘Yellow’ can be seen as “the ugly hue of ‘pestilence-stricken’ skin; and ‘hectic red’, though evoking
the pace of the poem itself, could also highlight the pace of death brought to multitudes.” There is
also a contradiction in the colour ‘black’ (l. 4) and the adjective ‘pale’ (l. 4).

In the word ‘chariotest’ (l. 6) the ‘est’ is added to the verb stem ‘chariot’, probably to indicate the
second person singular, after the subject ‘thou’ (l. 5). The ‘corpse within its grave’ (l. 8) in the next
line is in contrast to the ‘azure sister of the Spring’ (l. 9) – a reference to the east wind – whose
‘living hues and odours plain’ (l.12) evoke a strong contrast to the colors of the fourth line of the
poem that evoke death. The last line of this canto (‘Destroyer and Preserver’, l. 14) refers to the
west wind. The west wind is considered the ‘Destroyer’ (l. 14) because it drives the last signs of life
from the trees. He is also considered the ‘Preserver’ (l.14) for scattering the seeds which will come
to life in the spring.

The second canto of the poem is much more fluid than the first one. The sky’s ‘clouds’ (l. 16) are
‘like earth’s decaying leaves’ (l. 16). They are a reference to the second line of the first canto
(‘leaves dead’, l. 2). Through this reference the landscape is recalled again. The ‘clouds’ (l. 16) are
‘Shook from the tangled boughs of Heaven and Ocean’ (l. 17). This probably refers to the fact that
the line between the sky and the stormy sea is indistinguishable and the whole space from the
horizon to the zenith being is covered with trialing storm clouds. The ‘clouds’ can also be seen as
‘Angels of rain’ (l. 18). In a biblical way, they may be messengers that bring a message from
heaven down to earth through rain and lightning. These two natural phenomena with their
“fertilizing and illuminating power” bring a change.

Line 21 begins with ‘Of some fierce Maenad ...’ (l. 21) and again the west wind is part of the
second canto of the poem; here he is two things at once: first he is ‘dirge/Of the dying year’ (l. 23f)
and second he is “a prophet of tumult whose prediction is decisive”; a prophet who does not only
bring ‘black rain, and fire, and hail’ (l. 28), but who ‘will burst’ (l. 28) it. The ‘locks of the
approaching storm’ (l. 23) are the messengers of this bursting: the ‘clouds’.

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