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Letteratura Italiana Moderna E Contemporanea

Letteratura italiana moderna e contemporanea (Università degli Studi di Catania)

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LETTERATURA ITALIANA MODERNA E CONTEMPORANEA

Il contemporaneo ha qualche caratteristica particolare?


Il contemporaneo non ha un inizio preciso e neanche una ne perché lo stiamo vivendo adesso.
L’età moderna convenzionalmente inizia nel 1492 con la scoperta dell’America e nisce con la
rivoluzione francese, ma ovviamente questo non vale per la letteratura

LETTERATURA:
Che cos’è la letteratura?
Qual è lo speci co letterario?

ITALIANA
Nell’epoca della globalizzazione, ha ancora senso parlare di letteratura nazionale? Chi o che
cosa è ‘italiano’? →
Il romanticismo in Italia ha avuto inizio con il dibattito scaturito dalla lettera di Madame de
Stael agli italiani → dice che gli italiani devono smettere di imitare i classici, ma devono aprirsi
al presente

MODERNA
Che cos’è il moderno?
Che cos’è la modernità?

CONTEMPORANEA
Quali sono i con ni del contemporaneo?
Che cos’è il contemporaneo

Quando Alessandro Manzoni scrive a Fauriel in francese “Beati voi francesi perché avete una
lingua che è la stessa a Parigi e in periferia, è la stessa per i nobili che per il popolo. Noi italiani
non abbiamo la vostra fortuna” → sulla questione della lingua Manzoni ci ri ette molto. Capisce
che deve scrivere in italiano, ma l’italiano che ha in testa è una lingua che ancora non esiste. Ma
alla ne la lingua che lui ‘inventa’ sarà quella che verrà usata

Quando un testo letterario diventa un classico? Quando le nostre attese in parte vengono
frustrate → ci aspettiamo tutt’altro. Se una serie corrisponde a quello che ci aspettiamo ci
annoia. Attraverso le peripezie l’autore allontana la ne e se non corrisponde a quello che ci
aspettavamo ancora meglio

Molti dicono che i Promessi Sposi sia il romanzo della Provvidenza → NON È VERO. La

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Provvidenza è una categoria della coscienza. Sono i personaggi che richiamano alla
Provvidenza Manzoni come narratore è così moderno che inserisce nella narrazioni commenti
su come si scrive un romanzo → topico del manoscritto ritrovato e riscritto. Abbiamo un
autore che ri ette sui processi di scrittura, ma non scrittura generica, ma problemi di un romanzo
(in Italia era un genere codi cato ma aveva una tradizione nulla. Non solo non esisteva il
romanzo italiano, ma neanche esisteva l’Italia come Stato). Un altro elemento moderno è
narrare due storie parallele, le avventure di Renzo e quelle di Lucia.
Relazione tra il narratore di primo grado e l’altro narratore, cioè colui che aveva scritto
il manoscritto → nzione che arricchisce, dà la possibilità inserire una dialettica interna tra le
voci. Ma Manzoni non è il primo autore che utilizza questi procedimenti di scrittura, altri
autori precedenti a lui già avevano scritto attraverso processi ‘moderni’.
Il nuovo elemento che aggiunge Manzoni è la scelta dei personaggi → sceglie dei personaggi
che fanno parte del popolo e non della classe sociale più alta. I Promessi Sposi è un romanzo
che rappresenta un profugo che scappa perché è seguito da un malvagio, dall’altra parte una
donna che fugge anche lei e cerca protezione presso prima la Chiesa e si ritrova a che fare con
dei poteri, i quali a volte sembrano benevoli altre volte malevoli. A questa fuga si aggiungono le
carestie, la guerra e la pestilenza → elementi che fanno parte del nostro vissuto: questa stessa
storia possiamo raccontarla nel presente

LEOPARDI
Le operette morali sono un testo narrativo: i personaggi intervengono e parlano e a rontano
le grandi questioni, come il rapporto tra l’uomo e la natura → Dialogo della Natura e
dell’islandese Che cos’è la natura? È un'entità a parte. Se l'uomo non ci fosse cambierebbe
qualcosa nella natura? Leopardi scrive che non cambierebbe nulla nella natura se un giorno
l’uomo scomparisse. Per Leopardi è una nostra illusione pensarci padroni e ne dell'universo.

In tutte le sue poesie, Leopardi si chiede qual è il nostro posto nel mondo? → anche noi
continuiamo a farci questa domanda.

VERGA
Mario Pomilio dice che “Verga è stato il primo a metterlo di fronte al volto rugoso della realtà,
senza ltri ideologici”→ è la realtà dei bambini che lavorano nelle miniere, è la realtà dei
pescatori che provano a fare qualcosa di nuovo (trasportare i lupini invece di andare a pescare).
Verga, al contrario di Manzoni, da possidente terriero e ricco proprietario riesce a restituirci i
pensieri e le azioni e le emozioni di povera gente che si dà da fare per andare avanti.

Perché non si può comprendere il Gattopardo senza aver letto Verga?

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Verga rappresenta un punto ineludibile sia per il tipo di narrativa realista sia per la narrativa
riguardante la questione meridionale come punto di attenzione. Anche per la dimensione meta
sica , l’orizzonte è ampio, riguardante il destino dell’uomo.
Troviamo un’alternanza tra classi che cambiano , destini che si modi cano e dimensioni più
generali , che vanno oltre i secoli e le generazioni.
Troviamo inoltre una forte presenza simbolica in Verga , che rimane nascosta nei commenti
dei critici . “Noi siamo vecchi’’ che riguarda sia i principi , sia il popolo siciliano. Verga ci fa a
rontare destini singoli , ma guardando ad un orizzonte più generale.

La modernità è un periodo di querela, di controversie tra antichi e moderni. Leopardi è stato in


questo senso un losofo in poesia.

Di erenza radicale tra moderni (da modus=ora) e antichi, tale da determinare una frattura.
Nel medioevo non c’era la percezione di cambiamento rispetto al passato , si ragionava in
continuità. Qui invece la consapevolezza è in contemporanea, non a posteriori.
Leopardi spiega come gli antichi guardavano le cose della natura e scrivevano per ingrandirle ed
esaltarle , mentre i moderni parlano delle cose del mondo per rimpicciolire, sminuirle. Anche
Leopardi ragiona in questo senso, infatti l’in nito riesce ad essere visto oltre la siepe, attraverso
le piccole cose. Natura fatta di cose comuni, di tipo quotidiano.
La modernità è anche il periodo dell’avvento dei regni e delle lingue nazionali, che
determinano di erenze intralinguistiche (lingua del popolo e lingua dei nobili) e dunque una
rottura, una frammentazione . Nell’antichità invece i poteri erano quelli della Chiesa e
dell’Impero, basati sulla grandezza.

Nel Fu Mattia Pascal vi è una scena in cui due personaggi parlano di alcune vicende mentre
uno sta curando la lattuga e l’altro si atteggia a mo’ di losofo col bastone e si parla di alcuni
argomenti: Dante crede che la Terra sia al centro dell’universo e riesce a scrivere la Commedia
proprio perché la Terra sta al centro; con Copernico abbiamo poi il primo grande crollo delle
certezze umane, poiché la Terra (e quindi l’uomo) non ha più una posizione centrale, ma
periferica.
Dopo vi sarà anche Galilei col metodo scienti co, basato sulla veri ca , sulle 4 fasi ,
sull’esperimento.
La scienza nasce dall’osservazione empirica della realtà, non da leggi incontrovertibili.
“Giosuè fermò il sole’’ → Problema tra fede e scienza: nella Bibbia Giosuè ferma il sole non la
Terra, per questo gli Antichi credevano nel geocentrismo.
Galilei fa i conti con questo scontro e dice che la scienza spiega come funziona il cielo, la fede
e come si va in cielo . Distingue gli ambiti. Fa ciò che fa Machiavelli quando distingue morale
e politica. Nel continuo del dialogo uno dei personaggi dirà che è vero che oggi si scrivono

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tante cose , però forse non hanno fatto i conti col fatto che l’uomo non è al centro e non è il ne
dell’universo.

Newton - William Blake (1795)→ Presenza della nudità che richiama al classico, tuttavia non
c’è nessuna posizione tipica dell’antichità. Newton è racchiuso nel gesto di disegnare col
compasso (Copernico-Galilei-Newton) piegato verso la Terra, attento alla concretezza delle
cose .
Un altro tema della modernità che vediamo in questo dipinto è il riuso del classico, la
risemantizzazione . Il romanticismo in questo senso costituisce una frattura fondamentale in cui
tutto ciò che c’era prima viene ripreso e riutilizzato.

ROMANTICISMO
Mentre gli antichi mettevano come valore estetico l’imitazione, i moderni mettono come valore
l’originalità.

● Bello ideale : per gli antichi l’unico modello era quello dei classici; per i romantici, il
bello è lo spirito del tempo (che cambia), il genio nazionale (che cambia da nazione a
nazione), dunque più modelli variabili.
● Il contemporaneo riguarda altri meccanismi come le allusioni, la citazione,
l’ipercitazione (citazione di secondo grado)
Eco ne Il nome della rosa dice “come fa un ragazzo a dichiararsi a una ragazza senza apparire
scontato quando tutto è stato già detto, scritto e letto?’’ → Attraverso la citazione
“come direbbe Liala, ti amo disperatamente’’. A questo punto, avendo evitato la falsa
innocenza, avendo detto chiaramente che non si può più parlare in modo innocente, costui avrà
però detto alla donna ciò che voleva dirle: che la ama, ma che la ama in un'epoca di innocenza
perduta. Se la donna sta al gioco, avrà ricevuto una dichiarazione d'amore, ugualmente.

Coordinate della modernità


Secolo del popolo, dell’idea di popolo e nazioni, ma anche del concetto di popolo come nuovo
pubblico, più ampio. Anche per questo Manzoni si preoccupa di scrivere in una lingua che
possa essere compresa dalle Alpi alla Sicilia, dai colti e dalla classe media.
Secolo di rivoluzioni politiche (Americana e Francese), con il tentativo della Restaurazione nel
caso francese, che sarà un tentativo di riportare indietro la storia che sfocerà nel fallimento,
determinando una profonda delusione storica.

La modernità è però anche il secolo della Rivoluzione Industriale e dell’a ermazione della
borghesia, basata sull’a ermazione dell’individuo. E mentre nel Medioevo vi era la centralità
delle piazze e della Chiesa, nella modernità vi è un nuovo soggetto, il borghese, che abita i

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borghi, ai con ni della città, e che non fa parte né degli oratores (clero) né dei bellatores
(nobiltà).Il borghese è dunque un uomo che deve la sua fortuna non all’origine nobile , ma alla
sua virtù e capacità.
Trionfo dell’idea del consumismo → La società capitalistica è basata su un ciclo di distruzione
e creazione, ossia distruzione creatrice (le crisi generano problemi e miseria, ma senza queste
non può esserci la creazione)
Il luogo protagonista della modernità è la città, luogo dell’incontro, dello scambio, del caso. Ma
anche il luogo dove si sviluppa l’alienazione del lavoro e il rapporto tra la scienza e la tecnica,
che cerca di emancipare l’uomo e di sottrarlo alla sua condizione di fragilità naturale. Il rischio
però che l’uomo attraverso la tecnica si faccia padrone della natura (come nel caso di
Frankenstein o nel caso di Svevo , nel quale la tecnica, usata per superare i limiti, porterebbe
alla creazione di un ordigno in grado di estinguere la razza umana)
Il risvolto di questo ragionamento è il trionfo delle cose sull’uomo e la conseguente merci
cazione dell’arte: l’artista perde infatti la propria arte , diventando un arte ce alla stregua di un
produttore di sedie.
L’ultimo elemento derivante è quello della contaminazione della natura.

Durante l’Illuminismo abbiamo un contrasto tra l’uomo che si appropria della libertà e
responsabilità e diventa padrone consapevole delle proprie azioni e il concetto di alienazione.
Marx → Prima l’artigiano era consapevole di tutte le fasi del lavoro e controllava il lavoro del
prodotto in tutte le parti. Con l’industrializzazione invece l’operaio si occupa solo di una parte
della produzione ed è distante dal prodotto nale
L’intellettuale è posto al centro di questa età di contraddizione, in quanto critica la borghesia
perché non ne comprende il ruolo sociale, ma il pubblico a cui si rivolge è principalmente
borghese (in
quanto è proprio la nascita e l’a ermazione della borghesia che allarga il pubblico)
Baudelaire → L’intellettuale è incompreso. In passato l’intellettuale aveva una funzione: nel
Rinascimento l’artista era l’arte ce dei prodotti che certi cavano che personalità come i Conti, i
Marchesi o il Papa avevano raggiunto un determinato standard sociale (Michelangelo e Ra
aello) Quando la merce diventa massi cata, l’arte diventa super ua, una merce come le altre e
l’intellettuale non si sente adatto a questo ruolo. Soluzioni di compromesso: evasione nel sogno
o nell’esotico.
Rigetto del principio d’autorità → Contro le regole e l’imitazione dei classici.
Vero per oggetto.
Questione della lingua.
Trionfo del romanzo → genere essibile («lanterna magica», Rovani) e crisi degli altri generi
letterari.
Romanzo come «moderna epopea borghese» (Hegel)

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Eroe borghese in con itto con il mondo: esemplare, eccezionale, problematico.

Poesia ingenua degli antichi (naturale sintonia tra l’uomo e la natura, poesia oggettiva di
immagini e del mito) vs. poesia sentimentale dei moderni ( ne dell’armonia, dissidi e tensioni,
poesia soggettiva fondata sulla ri essione loso ca e sull’espressione diretta dei sentimenti).
Tensione verso l’in nito: ritorno alla religiosità, fascino del male e dell’oscuro. Sehnsucht:
desiderio di desiderio, malinconia.
Esotismo nello spazio (Oriente, mari del Sud) e nel tempo (Medioevo, Ellade antica). Mito
dell’infanzia, del primitivo e del popolo (concetto di nazione).

Classicismo Romanticismo
Principio d’imitazione. Culto dell’originalità, della spontaneità,
dell’autenticità

Rispetto delle regole e dei generi Ri uto delle regole in nome dell’ispirazione
individuale

Armonia, compostezza, levigatezza formale, Disarmonia, dissonanza, disordine


dominio delle passioni compositivo, eccesso

Immagini nitide e de nite Vago, indeterminato, musicale


Culto del bello, idealizzazione, selezione, Attenzione all’irregolare, al brutto,
separazione degli stili allargamento dei con ni del poetico, ne della
separazione degli stili

Arte deve cercare il bello ideale, oltre il Mutevolezza storica del gusto: la poesia deve
tempo e lo spazio essere moderna
Ma come vivevano gli intellettuali nell’800? Leopardi viveva di rendita, proveniva da una
famiglia nobile, anche se in decadenza. Foscolo nì in esilio.

Manzoni era di famiglia nobile, ma provò comunque a vivere della propria opera, con i
Promessi Sposi, la cui prima edizione, nel 1827, riscuote grande successo ma Manzoni incassa
poco, poiché non c’era diritto d’autore, dunque da Stato a Stato i tipogra ricopiavano e
pubblicavano le opere. Per questo Manzoni prova a proteggere la sua opera, aggiungendo le
illustrazioni di Gonin; in questo modo amplia il testo, realizza il primo romanzo illustrato e
inoltre lo rende più di cile da riprodurre per i tipogra . Tuttavia commercialmente sarà un
op, perché costerà molto di più produrlo.
ALESSANDRO MANZONI
Nasce nel 1785 da Giulia Beccaria, glia di Cesare Beccaria (dunque di famiglia importante a
Milano), autore di Dei Delitti e delle pene, e di Teresa Blasco, nobile spagnola.
Giulia aveva un carattere ribelle e indipendente, ricevette un'educazione paterna discutibile e fu
data in sposa al conte Pietro Manzoni, 26 anni più vecchio di lei. Il matrimonio fu inoltre

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accelerato perché Giulia aveva una relazione con uno dei fratelli Verri. Tuttavia questa
relazione continuerà anche dopo il matrimonio e si crede che Alessandro possa essere glio di
Verri.

Manzoni è l’esempio dell’età delle contraddizioni: è glio dell’età illuministica, ma erede della
tradizione aristocratica feudale . Viene cresciuto in collegio.
La sua prima opera è Trionfo della libertà.
Manzoni è un uomo alla ricerca di se stesso e ciò si nota anche nella sua scrittura: infatti proverà
generi sempre diversi, mettendosi alla prova.
È un ragazzo che non ha mai veramente conosciuto la madre e che ha un rapporto contrastante
col padre che non lo capisce. La madre si separerà poi col padre e andrà a Parigi, dove la
raggiungerà il glio. In questo modo Manzoni ha la possibilità di riavvicinarsi alla madre, e
scriverà In morte di Carlo Imbonati → il nuovo compagno della madre (morto qualche
settimana prima che Manzoni vada a Parigi), considerato come punto di riferimento.
Nei Promessi Sposi e ettivamente non troviamo gure di padri veri, solo alcune gure di padri
putativi (che prendono il posto di altri padri), tranne il Padre di Gertrude, che di certo non è un
modello di padre da seguire . Nella vicenda di Gertrude troviamo infatti una glia che vuole a
ermarsi ma che vuole anche compiacere il padre e un padre che usa una parvenza di a etto per
manipolarla.
Troviamo schemi, tensioni, manipolazioni, alienazioni che poi ritroveremo anche in Freud.
Nel 1806 Manzoni entra nella famiglia degli ideologi, che prendevano spunti dagli
illuministi. Qui discuterà di libertà, poteri e forme di governo e incontrerà Fauriel, che
diventerà un suo grande amico.

La madre vorrà mettergli accanto una donna e così combinerà un matrimonio con Enrichetta
Blondel, glia di un calvinista svizzero. Manzoni così riprenderà il rapporto col Cristianesimo,
prima calvinista, poi cattolico con la conversione nel 1810. Nel tempo si vedrà questa
maturazione religiosa, in quanto inizierà a citare agli amici il Vangelo e si vedrà anche nella
morale dei Promessi Sposi.
Proprio nel 1810 troviamo l’apertura della sua produzione più fertile. Fino al 1827 concentra
tutte le sue opere maggiori: Odi civili, tragedie, romanzo, scritti storici, etc..

L’idea della contraddizione della modernità risulta centrale in Manzoni


“La rappresentazione dell’uomo in riposo morale (ossia la quiete, la tranquillità) è falsa” →
L’uomo secondo Manzoni è sempre inquieto, alla ricerca, in tensione. Un esempio è
sicuramente la bestemmia manzoniana, che presuppone che rimanere tra le due bestemmie signi
ca non capire.
Di fronte alla contraddizione dell’intellettuale vengono sviluppate come soluzione l’evasione,
attraverso il sogno o il paese lontano (nel secondo 800)

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Winckelmann → tensioni più equilibrate, dominio delle passioni.


Svevo in Una vita invece dichiara la crisi. Troviamo infatti due personaggi, Alfonso (inadatto,
inetto) e Macario (intellettuale adatto), ma nei suoi romanzi anche i vincitori perdono.

Manzoni prova un grande rispetto per Tasso, il quale aveva rivoluzionato i principi Aristotelici
di tempo e di azione. Inoltre ricerca la verità, andando a esprimere da un lato la contraddizione
tra il rispetto delle regole e la tradizione e dall’altro una ricerca personale; il suo poema è
infatti il poema degli erranti (che viaggiano, ma anche che sbagliano)

Il barocco rappresenta la prima rottura col classicismo → non a caso quella è anche l’età di
Copernico, Newton e Keplero → età che dunque rivoluziona le prospettive dell’uomo.
Una metafora perfetta di classicismo e modernità può essere trovata comparando Galilei (che
pensava che le orbite fossero circolari, secondo un’idea di perfezione classicista del cerchio) e
Keplero (che pensava che le orbite fossero ellittiche, con due fuochi)
La poesia degli antichi era una poesia ingenua , in cui vi era ancora un rapporto diretto con la
natura e in cui gli uomini si sentivano parte della natura , in armonia con essa.
La poesia sentimentale dei romantici invece determina la ne dell’armonia , la distanza , la
frattura. Per ritrovarsi nella natura i poeti devono pensare.
Attenzione alla de nizione di sentimentale: indica l’unione di emozione e ri essioni. La poesia
sentimentale non nasce dunque solo da una sensazione, ma necessita di una ri essione. Leopardi
incarna tutto ciò.

La vita e la produzione di Manzoni è divisa in due parti con la conversione e l’avvio di una
nuova maniera della scrittura, soprattutto quella poetica.
1810 → conversione
Questa inquietudine lo troviamo nelle opere giovanili → cerca di mettersi alla prova e provare
più cose possibili
Tutti questi esperimenti non lo soddisfano: o non li porta a termine oppure li ri uta, come ri uta
scrivere una poesia idilliaca → l’idillio è una poesia che mette in versi la ra gurazione di un
quadro di armonia tra l’uomo e la natura → stato di sospensione della violenza nella storia:
una situazione in cui ogni cosa sembra al suo posto. Comporre un’immagine all’interno di una
cornice è una cosa che consente all’occhio, e quindi alla mente, di dominare la visione → la
cornice nella poesia consiste nei versi e nella struttura metrica che racchiude quel tipo di
osservazione. In più la cornice rende l’idea del limite e quindi del fatto che l’esperienza di
quiete è momentanea (illusione), oltre quel quadro c’è la realtà che è fatta di caos e violenza.
hortus conclusus → un piccolo giardino chiuso da mura oppure da una cornice naturale.
Abbiamo la stessa esperienza di quando guardiamo dalla nestra.

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Per Manzoni l’idea dell’idillio non lo soddisfa per il suo carattere arti ciale che non rende la
natura del mondo.

La prima opera realizzata completamente sono gli Inni Sacri → rappresentano un ribaltamento
perché al centro viene messo il ‘noi’ e non l’ ‘io’ come succedeva nelle opere precedenti
(tradizione lirica europea). Nella poesia religiosa l'io si dissolve nel noi comunitario, cioè la
comunità dei credenti, la Chiesa. Ricordando il calendario liturgico si chiamano in causa i
momenti dell’anno liturgico che riuniscono il mondo liturgico → l’io scompare e compare il noi
credenti che viene rappresentato dalla gura del profeta che parla a nome di Dio e dei fedeli →
primo elemento di novità della poesia manzoniana
estensione del registro lirico e l’estensione del poetabile → Manzoni voleva fare un tipo di
poesia popolare. Per fare questo non poteva rimanere ancora al lessico della poesia
petrarchesca; per questo doveva rivoluzionarlo: ad esempio utilizza dei metri parisillabi (sillabe
pari → presenta degli accenti ssi, di conseguenza i metri pari sono i metri più usati per le marce
e per i cori, cioè in tutte quelle situazioni in cui bisogna scandire il tempo in maniera ssa).
Manzoni vuole utilizzare vocaboli che non appartengono solo alla lirica, ma ad esempio anche
quelli del vocabolario biblico → un problema era che la Bibbia cattolica era ancora scritta in
latino, quindi Manzoni fa una specie di traduzione dei termini latini a dei termini italiani.
Gli inni sacri saranno anche criticati dai contemporanei → Giuseppe Salvagnoli Marchetti
critica alcuni vocaboli de niti troppo popolari per rappresentare il sacro.
Il vertice della poesia manzoniana è sicuramente la Pentecoste e Ognissanti (incompleto)

Osservazioni
Manzoni riprende la sua opera e critica ogni passo → sistematica confutazione dell’opera dello
storico francese. Il principio base è quello che bisogna distinguere sempre tra fede e peccato
→ siccome la
Chiesa è composta da uomini possono sbagliare nell’applicare le verità religiose
Manzoni si scaglia contro la morale utilitaristica, cioè per fare qualcosa bisogna avere in
cambio qualcos’altro. Così come la grazia di Dio ci viene in soccorso quando non lo chiediamo,
allo stesso modo il comportamento dell’uomo deve essere improntato all’evidenza del bene, il
quale è autoevidente, bisogna fare il bene per il bene stesso. Manzoni incolpa la Chiesa.

Tematica civile → ha dato luogo alle sue Tragedie e agli Inni Civili (Aprile 1814, il Proclama
di Rimini [incompiuta], il Marzo 1821)
Sentire e meditare
"Sentir", riprese, "e meditar: di poco
Esser contento: da la meta mai
Non torcer gli occhi, conservar la mano

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Pura e la mente: de le umane cose


Tanto sperimentar, quanto ti basti
Per non curarle: non ti far mai
servo:
Non far tregua coi vili: il santo Vero
Mai non tradir: né proferir mai verbo,
Che plauda al vizio, o la virtù derida"
(In morte di Carlo Imbonati, vv. 207-215)

Carlo Imbonati era il compagno della madre di Manzoni


In questa poesia immagina di ricevere in sogno questo decalogo laico → laico perché non viene
chiamata direttamente in causa un’entità religiosa, anche se si parla del santo vero.
Molti di questi elementi si ritrovano nel 5 maggio e ai quali Manzoni resterà sempre fedele →
rispetto della verità rappresenta una stella polare che Manzoni segue no alla ne.
Altri elementi che si collegano al 5 maggio → un’attenzione all’impronta morale della
poesia, della letteratura in generale, niente che possa esaltare il vizio o deridere la virtù Questa
poesia è ricca di enjambement → tensione tra sintassi e metrica; ripetizione di mai → tutto il
procedimento è sviluppato per coppie (sentire/meditare) → è un'altra caratteristica del modo di
pensare di Manzoni che tende a mettere insieme alla contraddizione, non per mettere in
evidenza una sintesi superiore, ma per rappresentarla (rappresentare una realtà in tensione, ma
che non si risolve) → il vero è rappresentare questa tensione
5 Maggio Vide il mio genio e tacque; Tenea dietro al baleno;
Ei fu. Siccome immobile, Quando, con vece assidua, Scoppiò da Scilla al
Dato il mortal sospiro, Cadde, risorse e giacque, Tanai, Dall’uno all’altro
Stette la spoglia Di mille voci al sonito mar.
immemore Mista la sua non ha:
Orba di tanto spiro, Fu vera gloria? Ai
Così percossa, attonita Vergin di servo encomio posteri
La terra al nunzio sta, E di codardo oltraggio, L’ardua sentenza: nui
Sorge or commosso al Chiniam la fronte al
Muta pensando subito Sparir di tanto Massimo
all’ultima raggio: Fattor, che volle in
Ora dell’uom fatale; E scioglie all’urna un lui Del creator suo
Nè sa quando una simile cantico Che forse non spirito
Orma di piè mortale morrà. Più vasta orma stampar.
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà. Dall’Alpi alle Piramidi, La procellosa e trepida
Lui folgorante in solio Dal Manzanarre al Reno, Gioia d’un gran disegno,
Di quel securo il fulmine

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L’ansia d’un cor che Come sul capo al Cadde lo spirto anelo,
indocile naufrago E disperò: ma valida
Serve, pensando al L’onda s’avvolve e pesa, Venne una man dal
regno; L’onda su cui del misero, cielo,
E il giunge, e tiene un Alta pur dianzi e tesa, E in più spirabil aere
premio Ch’era follia Scorrea la vista a scernere Pietosa il trasportò;
sperar; Prode remote invan;
E l’avviò, pei floridi
Tutto ei provò: la gloria Tal su quell’alma il Sentier della speranza,
Maggior dopo il cumulo Delle memorie Ai campi eterni, al
periglio, La fuga e la scese! premio
vittoria, La reggia e il Oh quante volte ai posteri Che i desidéri avanza,
tristo esiglio: Due Narrar se stesso Dov’è silenzio e
volte nella polvere, imprese, E sull’eterne tenebre La gloria che
Due volte sull’altar. pagine passò.
Cadde la stanca man!
Ei si nomò: due secoli, Bella Immortal! benefica
L’un contro l’altro Oh quante volte, al tacito Fede ai trionfi avvezza!
armato, Morir d’un giorno inerte, Scrivi ancor questo,
Sommessi a lui si Chinati i rai fulminei, allegrati;
volsero, Le braccia al sen conserte, Chè più superba
Come aspettando il Stette, e dei dì che furono altezza Al disonor del
fato; Ei fe’ silenzio, ed L’assalse il sovvenir! Golgota Giammai non
arbitro S’assise in si chinò.
mezzo a lor. E ripensò le mobili
Tende, e i percossi valli, Tu dalle stanche ceneri
E sparve, e i dì nell’ozio E il lampo de’ manipoli, Sperdi ogni ria parola:
Chiuse in sì breve E l’onda dei cavalli, Il Dio che atterra e
sponda, E il concitato imperio, suscita,
Segno d’immensa invidia E il celere ubbidir. Che affanna e che
E di pietà profonda, consola, Sulla deserta
D’inestinguibil odio E Ahi! forse a tanto strazio coltrice Accanto a lui
d’indomato amor. posò.
non è una poesia civile (anche se inizia con una data) e non è neanche una poesia su Napoleone,
anche se inizia dalla sua morte. Intanto Napoleone non è citato.
Napoleone ha rappresentato da una parte una promessa di liberazione dal giogo degli austriaci,
soprattutto dagli stranieri; mentre dall’altra anche una delusione storica isola di sant’elena →
isolamento, prigione, taglia fuori chi ha fatto la storia dalla storia. incipit di una orazione

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funebre → ritmo martellante, dato anche dalle rime (l’ultima rima della strofa è tronca La
terra al nunzio sta)
le prime due strofe sono caratterizzate da un’immobilità e
silenzio si ripete mortale, uom fatale, spiro (sospiro) → rima
ricca,
Da una parte , nell’altra parte lo spirito tra sospiro,
spoglio e spiro→ assonanza di S e P anche orma è
anticipata da ora → ed è richiamata da orba cercava
una propria orma, una propria strada

la polvere negli inni sacri era simbolo della fragilità dell’uomo che Dio assume su di sé
incarnandosi, qui invece è la polvere cruenta → cruenta signi ca polvere insanguinata

(vv. 13-24)
Il soggetto della prima frase è il Mio genio → Lui vide Napoleone folgorante in
solio il genio è l’inspirazione → sollecita l’inspirazione
La mia ispirazione vedendo Napoleone nel momento dell’esaltazione (sul trono) fece
silenzio (il silenzio del poeta). Quando Napoleone cadde, risorse e giacque → la caduta, il
ritorno e la caduta de nitiva
In quel caso la mia voce non si è mescolata a quella di altri nell’esaltare o nel deridere
Napoleone → la sua voce non si è macchiata di un servo encomio o di un codardo oltraggio →
quindi adesso può parlare → alcuni pensano che Manzoni pecca di superbia perché prevede che
resisterà ai secoli, ma Manzoni dice invece che il cantico (informazione sul genere testuale →
non è un’ode civile, ma una poesia religiosa) forse non morrà perché è un’orazione funebre →
non riguarda la gloria umana, ma qualcos’altro

folgorante in solio → circondato dagli attributi della folgore sul trono → c’è stato chi ha
riconosciuto in questo degli attributi sacri che vengono utilizzati in maniera blasfema
dall’autorità civile-politica → in questo momento della modernità, in cui l’autorità politica si
separa dalla religione (Napoleone si prende la corona e se la mette in testa → riconosce una
legittimazione non da Dio ma una legittimazione propria civile). In questo processo di
secolarizzazione, l’autorità civile prende dall’immaginario religioso tutta una serie di attributi,
che in un certo senso li riusa ma in un contesto decisamente altro. Folgorante raccoglie da una
parte l’iconografia pagana (Zeus/Giove con la folgore in mano), ma il fulmine era anche un
attributo presenta nell'iconografia biblica (Luca “Ho visto satana cadere come una folgore/un
fulmine → stanno a caratterizzare l’angelo caduto → una gura che si contrappone a Cristo →
figura anticristica). Qui troviamo la possibilità che Napoleone sia considerato una figura
anticristica.

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(vv. 25-36)
le vicende di successo vengono ricordate velocemente con questi richiami geogra ci → la
velocità di Napoleone di conquista è resa benissimo → ancora una volta c’è il fulmine che si
riferisce al condottiero e alle sue veloci conquiste.
La domanda successiva Fu vera gloria? e la risposta Ai posteri l’ardua sentenza è ironica →
non sta dicendo che saranno i posteri a decidere se fu vera gloria, ma lo capiamo ancora meglio
perché Manzoni aveva scritto una digressione sulla posterità nell’appendice dell Storia della
colonna infame → ma perché i posteri dovrebbero avere un giudizio meno ingannevole dei
contemporanei? questo è una sorta di a ermazione non veri cabile. Alla ne non possiamo
giudicare niente, perché ci saranno altri posteri a giudicare meglio. La storia della colonna
infame si basa sui giudici e la loro capacità di giudicare → potevano non condannare, ma non
ci hanno provato oppure hanno trovato un’altra soluzione per mantenere l’ordine.
Quindi il giudizio non è veramente sospeso (ironia), ma c’è una contrapposizione tra Lui e Nui
(Noi) la di erenza tra l’orma della seconda strofa (quella di napoleone) e quella dell’ultima
strofa (orma di Dio → quello che ha deciso per Napoleone) bifrontalità → le parole assumono
un doppio signi cato

(vv. 37-48)
procella →
tempesta
premio ch'era follia sperar → diventare generale e poi imperatore

gloria → riguarda sempre la gloria umana

mette prima quello che è dopo → prima c’è la polvere e poi l’altare → la polvere della caduta e
della scon tta, la polvere che prima era quella del campo di battaglia

(vv. 49-54)
tra le due strofe cambia il ritmo
Napoleone come colui che si da il nome → è un’altra invasione di quello che è il compito di
Dio → nella genesi Adamo ha il compito di nominare tutti gli animali, ma il nome di Adamo, il
nome dell’uomo, viene dato da Dio → il fatto di darsi un nome è un’altra blasfemia, così come
la postura di Napoleone è una postura che raccoglie elementi divina: questo porsi tra i secoli →
la storia → la contrapposizione tra la rivoluzione e la restaurazione uomo fatale → perché è
l’uomo che incarna il fato che però nella dimensione cristiano di Manzoni è la Provvidenza →
questo non vuol dire che Manzoni pensa che Napoleone sia l'uomo della provvidenza per
volontà di Dio, ma sta dicendo che la sua esperienza umana, questa trapassare tra momenti di
gloria e momenti di scon tta è una cosa che accade a tutti gli uomini

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sparve → scomparse dalla scena del mondo è stato no alla ne un segno di identi cazione,
capace di aggregare intorno a sé tutti gli estremi (invidia/ ammirazione), invidia sta a
pietà, inestinguibile sta a indomanto, odio sta a amor

(vv. 61-72)
torna la tempesta è una similitudine che si dispiega tra due strofe → c’è un naufrago nel mare
in tempesta che si trova sollevato dall’onda, essendo sollevato vede più lontano e vede la
salvezza, cioè la costa, ma la vede invano perché quella stessa onda che l’ha sollevato, lo
travolge e lo condanna, lo abbatte naufragio con spettatore (lo spettatore prova sollievo
perché non si trova al posto del naufrago, ci si sente al sicuro) → qui il naufrago è lo
spettatore (ribaltamento) → nessuno di noi può dirsi al sicuro, siamo tutti nella stessa barca
→ qui Napoleone che non viene nominato) è l’uomo → napoleone è il naufrago, il quale
siamo noi

questo passaggio di perdite è la caratteristica del destino umano → questo essere naufrago è
un’esperienza che tutti facciamo in che cosa consiste questo assaltarsi e poi abbattersi → il
cumulo dei ricordi che gli viene alla memoria prima lo esalta, ma nel momento in cui comincia
a scrivere lo abbatte → Napoleone cerca di scrivere le sue memorie a sant’Elena episodio della
morte di Icaro → suo padre cerca di scolpire nella roccia la vicenda ma gli cadono le mani →
così come Manzoni cerca di mettere in versi il dolore della morte della moglie e della figlia

(vv. 73-84)
quante volte ricorda il tramonto di un giorno senza senso
una caratteristica di Napoleone erano gli occhi → si racconta che nessuno era capace di
guardarlo negli occhi → tutti erano quasi magnetizzati
stare fermo, rimanere senza azione per uomo abituato al movimento
Innominato → Napoleone non è nominato concitato imperio e celere ubbidir
Manzoni dice che i raggi proiettavano sul pavimento l’ombra della grata come se fosse in
prigione e in prigione è il luogo in cui si trova Napoleone

(vv. 85-96)
In quel momento di maggior crisi → quando Napoleone perde ogni possibilità di riscatto →
rimane inattivo → forse in quel momento viene in soccorso a Napoleone una mano dal cielo
(Dio)
speranza → premio ch'era follia sperar la mano di dio che lo conduce nei sentieri della
speranza dove si superano i desideri umani la gloria umana destinata a passare è silenzio e
tenebre
il premio non è più il premio della vittoria, ma il premio della vita eterna

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chi è che può reclamare il trionfo → non è l’uomo, ma la fede → il trionfo di portare l’uomo
che era quasi diventato come Dio a chinarsi (nell’antica roma, i popoli vinti venivano portati
a trionfo → il generale scon tto doveva passare sotto il giogo, che era come un arco →
ARCO DI TRIONFO)
c’è un gioco di innalzamento e abbassamento → superba altezza (si è esaltato da solo) si è
mai chinata al croci sso di cristo (disonor del Golgota) → nel momento di crisi ha potuto
chiedere aiuto a Dio disonor del Golgota → espressione biblica

I PROMESSI SPOSI
Camilleri definisce i Promessi Sposi come il nostro maggior romanzo del 900 → asincronica
nella ricezione dell’opera → non è detto che un’opera scritta nel 800 abbia il suo maggior
raggio di ricezione
→ può succedere che un’opera venga capita meglio quando l'autore è morto
i promessi sposi sono un classico, cioè un’opera con cui bisogna avere sempre a che fare →
se un classico ha la giusta tridimensionalità, più ci spostiamo, più aspetti di quest'opera
riusciamo a cogliere

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Dopo gli inni sacri e le tragedie (Il conte di carmagnola e l’adelchi), Manzoni riflette sul tema
del rapporto tra storia e finzione (tema romanzesco, tema tipico del romanzo storico)
L’idea che si fa strada nella mente di Manzoni è quella di un romanzo storico, i cui
protagonisti non sono però condottieri, uomini illustri, ma gente umile, meccanica → abituata
a lavorare con le mani
Il romanzo storico usa i documenti storici per integrare le conoscenze sul periodo, documenti
storici che parlano però esclusivamente di condottieri e gente illustre → solo le persone
importanti lasciano traccia nella storia, ma la gente umile passa su questo mondo senza lasciare
traccia
La parte del romanzo, cioè quella dell’invenzione, riguarda principalmente le vite e i pensieri di
questi personaggi umili, in base al principio di verosimiglianza → una soluzione provvisoria

Che lingua parlano i personaggi umili?


● Il latino no → lingua della Chiesa e del potere, ma già da tempo non è lingua di
comunicazione;
● il volgare → che tipo di volgare?
Ma la lingua di Renzo e Lucia può essere compresa anche nel resto d’Italia → l’altro obiettivo
che si pone Manzoni è quello di un a romanzo nazionale quando ancora non c’era una lingua
nazionale e una nazione

1821-1823 → stende il Fermo e Lucia → la struttura è molto vicina al romanzo del 700, con
anche facendo risalto alle gure più importanti, digressioni con distese ri essione dell’autore. La
lingua tenta una sorta di sintesi tra lombardismi, francesismi e latinismi Manzoni abbandona
questo disegno

1825-1827 → ventisettana → la narrazione è in 3 tomi ed è strutturata in episodi, viene ridotto


il peso delle parti più melodrammatiche in cui abbonda la dimensione onori ca e drammatica e
la lingua diventa meno ibrida, più impastata in fiorentino → comincia quella rivoluzione che lo
porta a una lingua meno espressionistica e più media

1840-1842 → quarantana (de nitiva) → 3 cambiamenti :


● cambiamento linguistico → la lingua verte verso il orentino parlato dalle persone colte
(si reca a Firenze) → "risciacquatura dei panni in Arno”
● viene inserita la Storia della colonna infame → non è una semplice appendice, ma è la
vera ne del romanzo
● vengono aggiunte le illustrazione di Francesco Gonin che puntellano tutto il romanzo e
sostengono l’immaginazione del lettore

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Dopo i Promessi Sposi, Manzoni abbandona l’idea di romanzo storico → mescolare storia e
nzione è fuorviante perché non corrisponde al vero → il lettore si confonde perché non sa se è
vero oppure nzione
Nella Storia della colonna infame utilizza dei documenti storici (i verbali del processo),
rendendo la storia un po’ romanzata, ma il tasso di nzionalità è inferiore rispetto ai Promessi
Sposi

Il 600 è un secolo di ferro → pieno di violenza da cui però sono riconoscibili elementi in
comune con l’800 → questione del potere → questo gli consente di parlare in maniera
allegorica dei suoi tempi → gli consente di un altro elemento fondamentale che è l’ironia

Introduzione
respingente → Manzoni sta immaginando (ma non ce lo dice) di trascrivere un manoscritto che
ha ritrovato → topos del manoscritto ritrovato → per dare a un’opera nzionale una qualche
parvenza di autenticità, l’autore immagina di trovare questo manoscritto anonimo e da
quell’opera trarre ispirazione o riscriverla
Se la storia viene scritta in 1 persona si immagina che l’autore sta raccontando qualcosa di sé,
ma quando è scritta in 3 persona ci si domanda da dove si prendono quelle informazioni → qui
il manoscritto viene “imitato” → parodia: vengono ampli cati alcuni caratteri in modo da far
capire il soggetto parodiato → deve essere noto in modo tale da essere riconosciuto
Alla ne dell’introduzione Manzoni dice che decide di riscriverlo in una lingua più comprensibile

Capitolo 1
Si apre con la notissima descrizione geografica
L’inizio è disteso e ampio ed è come se Manzoni avesse a disposizione una mongol era →
paesaggio dall’alto che mano a mano si restringe, poi la prospettiva si ribalta → l’uomo
guarda in alto È un paesaggio familiare a Manzoni → lo stesso a etto di Primo Levi quando
racconta a Picolo i monti che guardava quando tornava a casa
Dopo iniziano ad entrare nella descrizione gli elementi antropici: Lecco e il castello
aveva perciò l’onore d’alloggiare un comandante, e il vantaggio di possedere una stabile
guarnigione di soldati spagnoli, che insegnavan la modestia alle fanciulle e alle donne del
paese, accarezzavan di tempo in tempo le spalle a qualche marito, a qualche padre; e, sul finir
dell’estate, non mancavan mai di spandersi nelle vigne, per diradar l’uve, e alleggerire a’
contadini le fatiche della vendemmia

descrizione antifrastica → ribaltamento. I soldati erano violenti verso il popolo → violentavano


le donne, picchiavano gli uomini e saccheggiavano i campi (soprattutto l’uva prima ancora
della vendemmia)

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l’autore ci ha inseriti nel paesaggio → Il luogo stesso da dove contemplate que’ vari spettacoli,
vi fa spettacolo da ogni parte: il monte di cui passeggiate le falde, vi svolge, al di sopra,
d’intorno, le sue cime e le balze, distinte, rilevate, mutabili quasi a ogni passo, aprendosi e
contornandosi in gioghi ciò che v’era sembrato prima un sol giogo,
il quadro che ci viene presentato è sereno, quasi idilliaco, con continuo rispecchiarsi di acque →
la natura sembra in armonia

7 novembre dell’anno 1628 → accuratezza del luogo e del tempo


Del personaggio di Don Abbondio non ci viene detto del suo passato (casata o da dove
proveniva) → viene fatta una descrizione sica e comportamentale → comportamento
consuetudinario (questo comincia a dirci il carattere) il narratore utilizza della serie di topoi
che appartengono alla cultura occidentale:
- il sole che declina → dante comincia la commedia proprio in questo momento
- bivio → Ercole deve scegliere la sua vita: breve ma gloriosa, oppure lunga e monotona)
→ qui incontriamo un personaggio quanto più lontano dall’eroe → non sa scegliere

Anime e fiamme del purgatorio → si tratta di un’anticipazione del destino di Don Abbondio che
presto si ritroverà in un punto di soglia, né all'inferno né in paradiso.

Bravi → prima vengono descritti e poi vengono spiegati chi sono i bravi → guardie private
grida = leggi → lunga digressione → le leggi per Manzoni devono essere poche e chiare, se
sono di più e complesse non arrivano al loro obiettivo → inoltre più leggi non fanno che
sottolineare l’impotenza della legge stessa. Più aumenta la pena minacciata, meno funziona la
legge

I bravi fanno capire che stanno aspettando proprio don Abbondio. Don abbondio prima cerca
delle vie di fuga, non trovandole, si fa un esame di coscienza se avesse peccato contro qualche
potente. Le prime parole di Don Abbondio sono “Cosa comanda?” → atteggiamento di
sottomissione, ma non a Dio, ma verso degli uomini
I bravi gli dicono subito di non far sposare Renzo e Lucia e l’atteggiamento di Don Abbondio
non prova neppure una volta ad opporsi, ma è subito obbediente e chiede come deve fare
Manzoni non legge la realtà in una logica manichea (buoni e cattivi), poiché ognuno pensa ai
propri interessi → ci sono un intreccio di interessi → anche la Chiesa ha l’interesse di
esercitare il proprio potere, anche con l’aiuto dei potenti. In tutto ciò lo Stato non esiste

Sciascia scrive che i Promessi Sposi è il romanzo di Don Abbondio, che da un lato rappresenta
l'arci-italiano, cioè colui che cerca rifugio ed evita di prendere posizioni per sopravvivere alle
rivoluzione, e allo stesso tempo è colui che apre e chiude la vicenda senza cambiare → per tutta
la storia rimanere sempre nello stesso posto e non cambia

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Manzoni sceglie il 600 perché è un secolo strano → non è il secolo preferito in epoca romantica
(si predilige il medioevo → il modello su cui si basa Manzoni è ambientato nel medioevo)
Manzoni cerca n dall’inizio un’ombra propria → sceglie un secolo atipico, ma anche un secolo
pieno di eccessi (grandi conversione, gure eccelse, grandi malvagi) → un secolo che denota la
grande passione politica di Manzoni → anche quando parla di altro, volge sempre lo sguardo
verso il suo tempo → si parla del 600 per alludere all’800
Nel 600 si colloca anche la storia della colonna infame → qualcuno lo ha interpretato in
maniera oppositiva rispetto al romanzo precedente, alcuni invece vedono della continuità → in
realtà la continuità è molto più forte perché ciò che è messo al centro è la grande inchiesta di
Manzoni sulla responsabilità dell’uomo, che porta al tema della Provvidenza, il quale è
strettamente correlato alla libertà.
I giudici erano responsabili del male, del giudizio che li ha visti protagonisti oppure le
conoscenze dell'epoca non consentivano loro di chiarire la responsabilità degli untori?
Manzoni risponde che i giudici erano responsabili, avevano le possibilità, le competenze e le
conoscenze per riconoscere la giustizia, riconoscere che i cosiddetti untori non erano tali →
alcuni non vengono condannati mentre altri sì
Se l’uomo è messo di fronte alla possibilità di scegliere tra il bene e il male, il male che fa è
imputabile a lui stesso → nei Promessi Sposi tutta la vicenda è costruita attorno all’azione degli
uomini e alla responsabilità di fronte al male (Don Abbondio deve scegliere se acconsentire
al disegno di un malvagio o di non obbedire → Perpetua gli dice di andare dal cardinale, di
andare da un suo superiore. Quando ci sarà l’incontro tra i due, il cardinale gli chiede perché
non è venuto da lui)

Nel secondo capitolo, Don Abbondio utilizza il latinorum contro Renzo → in questo caso la
lingua non è usata per comunicare, ma per occultare → serve a creare una sorta di nuvola che
occulta il vero motivo, cioè che è stato minacciato da Don Rodrigo.
Renzo, in tutta la storia, si trova in svantaggio rispetto ai personaggi più colti → Renzo, che
sembra essersi ritirato, esercita la sua sagacia e conoscenza del mondo e vedendo Perpetua e da
una sua battuta riesce a capire cosa sta succedendo → – Mala cosa nascer povero, il mio caro
Renzo → Calvino parla di rapporto di forza → nei Promessi sposi non si tratta di avere
ragione, ma di avere accanto uno più
forte o essere forti → continuo battagliare (romanzo di duelli e di scontri)
ironia manzoniana → di fronte a una situazione patetica abbassa il tono usando l’ironia:
Ne L’Umorismo, Pirandello utilizza Manzoni per descrivere una categoria → viene descritta
come una sorta di lago ghiacciato, che sembra liscio ma che nasconde un movimento sottostante
L’appello al lettore è umoristico → Don Abbondio dice a Perpetua di dire di avere la febbre, e
alla ne gli viene veramente

è un commento che in un certo senso rallenta l’azione, ma allo stesso tempo introduce una ri
essione → il romanzo è costruito per contrapposizione, abbiamo non soltanto i potente e gli
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umili, ma soprattutto gli oppressori e gli oppressi, però è un’indagine sulla responsabilità
dell’uomo e della di usione del male → si può di ondere per contagio: chi si trova ad essere
oppresso, pensa di vendicarsi e medita il male. Allora i provocatori non sono soltanto
responsabili del male che fanno, ma diventano anche responsabili del male che a cui conducono
le vittime → Primo Levi si ricorda di questo passo ne I sommersi e i salvati: la violenza invece
di distribuirsi dall’alto verso il basso, si rivolgeva anche verso i compagni di sventura.
Il narratore è abile nel meditare i pensieri nella mente di Renzo → costruisce una fantasia di
sangue, che lo seguirà per tutto il romanzo, ogni volta che pensa a Don Rodrigo → però come il
contagio, questo male corre il rischio di infettarlo se non se ne libera

CAPITOLO 35
Ci troviamo nel Lazzaretto, dove vengono ricoverati gli appestati. Lì si trova Renzo e incontra
Fra Cristoforo → punto di massima tensione narrativa che va a sciogliersi verso una soluzione.
Renzo è lì per trovare Lucia, ma trova Fra Cristoforo → Vede Fra Cristoforo, ma è quasi un
fantasma di quell'uomo dallo sguardo in ammato, il portamento è curvo e la natura è esausta

Renzo è ancora legato a quella sete di vendetta che lo accompagna no alla ne, anche nel
lazzaretto, in cui Renzo si permette di parlare di castigo e giustizia a opera degli uomini → Fra
Cristoforo non sta dicendo che la peste è un castigo di Dio (apparentemente dice questo ma non
lo può dire di fronte agli innocenti che stanno morendo, e non lo può dire pure anche davanti ai
potenti violenti che stanno morendo e so rendo, perché non si può arrogare di decidere la
volontà di Dio) → quella giustizia che
Renzo reclama in nome di Dio semplicemente non esiste
Di fronte al dolore, alla so erenza, alla morte e alla fragilità dell’uomo, gli o esi perdonano
e gli o ensori chiedono perdono. Tutti e due trovano nella gura di Fra Cristoforo il
sacramento della riconciliazione.
Renzo non chiede perdono e non perdona, chiede vendetta e cerca giustizia → Fra Cristoforo sa
cosa prova Renzo perché anche lui l’ha provato e ha messo in atto la sua vendetta → solo il
perdono può interrompere questa catena di so erenza, che anche dopo la morte di Don Rodrigo
condannerebbe al rimorso per tutta la vita Renzo → Fra Cristoforo ancora non si perdona per
aver ucciso un uomo
I Promessi Sposi sono stati accusati di essere un romanzo cristiano, ma non c’è niente di
cristiano.
Forse Manzoni non era un autentico cristiano
Invece Enzo Noè Girardi parla di dislocazione del sacro → il sacro lo troviamo, ma in luoghi
impensabili (es. Dialogo tra Renzo e Fra Cristoforo troviamo il sacramento della confessione)
Estremo mistero cristiano è amare chi ci odia, chi ha propositi malvagi per noi → a questo
punto
Renzo sta zitto. Renzo perdona e si libera dalla violenza

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In una versione precedente del romanzo, Don Rodrigo si allontana con il suo cavallo → ne più
romantica. Invece questa è una delle conclusioni del romanzo in cui troviamo l’idea di cosa è la
Provvidenza

CAPITOLO 38
Manzoni non si dimentica che la vita è fatta da rapporti di forza → una cosa è non nutrirsi di
rancori, e un’altra è che la vita è costituita da persone buone e non ci sono rapporti di forza

Sembra un romanzo di formazione, con il personaggio che conclude con le cose che ha
imparato. Ma è anche la parodia del romanzo di formazione → L’intervento di Lucia rompe
tutto il ragionamento di Renzo

Quando si parla di Provvidenza ricordiamo che la Provvidenza è una categoria della


coscienza dei personaggi → sono i personaggi che credono che esista la provvidenza → il
sugo della storia è che la fede nella provvidenza è capace di raddolcire i mali che vengono, sia
che abbiano un motivo che no

Manzoni non rende il lettore complice del narratore, ma lo rende giudice: ci porta a criticare e a
metter in dubbio le parole stesse del narratore, a farci una nostra idea i personaggi sono liberi di
agire → hanno di fronte tante possibilità la morale di questa storia non è individuata dal
narratore o da un personaggio, ma da una coppia di personaggi attraverso un dialogo → nasce
da uno scambio, un tornare dei proprio passi.

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GIACOMO LEOPARDI
● NON BISOGNA DIRE CHE È UN AUTORE
PESSIMISTA usare il pessimismo come categoria interpretativa
cosa spiega? PESSIMISMO→ può vuol dire tutto e niente

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, primo dei cinque gli sopravvissuti del
conte Monaldo e della marchesa Adelaide Antici. Il padre è amante delle lettere e sollecito
verso i gli, mentre la madre, che ha assunto l’amministrazione del patrimonio familiare
dissestato agli sperperi giovanili del marito e che impone alla famiglia un regime di stretta
economia, è una donna solerte, ma singolarmente fredda e bigotta.
Leopardi, insieme ai fratelli, viene inizialmente istruito in casa dal padre e da precettori privati.
Già nel 1809 compone vari testi poetici: La morte di Ettore, traduce le Odi di Orazio. Dal 1812
al 1818, immerso nella ricchissima biblioteca paterna, Leopardi procede da solo in uno “studio
matto e disperatissimo”, che comprometterà irrimediabilmente la sua salute. I suoi interessi
sono costituiti dallo studio delle lingue → impara senza maestri il greco, l’ebraico, il francese,
l’inglese e lo spagnolo). Già maturato per intervenire nella polemica romantica (polemica tra
classicisti e romantici), il 18 luglio 1816 manda una Lettera ai compilatori della Biblioteca
Italiana in risposta a quella di Mad. la baronessa di Stael Holstein ai medesimi (che però non
viene pubblicata), nella quale, contro il concetto canonico dell’imitazione, rivendica la natura
originale della poesia quale “scintilla celeste, e impulso sovrumano" → pur contrastando l’idea
dei romantici, le motivazioni che porta in difesa del classicismo,sono molto vicine a quelle di
Scile, in quanto Leopardi dice che non bisogna tanto imitare i classici, ma il loro rapporto

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spontaneo con la natura → mentre gli antichi avevano una relazione ingenua in senso
etimologico con la natura, cioè spontaneo e connaturata con il loro stesso essere, per i moderni
non è più così e quindi la poesia dei moderni non può più essere una poesia ingenua, ma deve
essere una poesia sentimentale → non vuol dire emotiva, ma che unisce la parte razionale con la
parte del mondo interiore, ciò che si prova (EMOZIONE + RIFLESSIONE) → con
sentimentale si intende questa unione tra emozione e ri essione.
Nel 1817 inizia l’amicizia epistolare con Pietro Giordani, uno dei letterati più celebri del tempo,
e stende le prime note dello Zibaldone di Pensieri → l’opera che da la maggior
rappresentazione del pensiero. Nel 1818 riceve una visita di Giordani, che forse risveglia o
accentua la sua inquietudine spirituale; compone il Discorso di un italiano intorno alla poesia
romantica, nela quale sostiene, in polemica con Ludovico di Breme, la necessità di un ritorno
della poesia all’immaginazione degli antichi.
Ormai inso erente dell’angustia di Recanati e dell’ambiente domestico, progetta nel 1819 una
fuga, che viene scoperta e sventata. Deluso e disperato, colpito da una paralizzante malattia agli
occhi, medita il suicidio e matura la cosiddetta conversione loso ca, ossia la consapevolezza
di essere passato dal mondo dell’immaginazione e del bello, che è proprio dell’infanzia e
dell’antichità, al mondo dell’esperienza e del vero, cioè del nulla, che è la condizione dell’uomo
adulto e moderno.
Tra il 1819 e 1820 Leopardi elabora progetti in molteplici direzioni, nei quali rientrano le future
Operette morali. Lo Zibaldone diventa registro di un’analisi incessante dell’esperienza
esistenziale di un singolare losofo-poeta, inventore allo stesso tempo di una nuova poesia
idillica, con L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno, La vita solitaria.
Nel 1822 Leopardi può nalmente lasciare Recanati e vivere a Roma presso la famiglia dello zio
materno e vi rimane no al 1823. Ma rimane deluso anche dalla capitale: l’unica emozione che
prova è sulla tomba di Tasso, nel quale vede un proprio a ne nella so erenza. Soltanto
l’amicizia con alcuni dotti stranieri, come Niebuhr e Bunsen, rende meno intollerabile il
soggiorno romano. Tornano a Recanati, scrive nel 1824 le prime venti Operette morali.
Nel 1827 si trasferisce a Firenze dove conosce Antonio Ranieri ed esplode la passione non
corrisposta per Fanny Targioni Tozzetti, che ispira il ciclo dei Canti orentini.
Nel 1833 Leopardi lascia Firenze per stabilirsi a Napoli, dove passerà gli ultimi anni,
convivendo con Ranieri e la sorella di lui Paolina.
Nell’aprile 1836, per sfuggire al colera, si trasferiscono nella Villa Ferrigni, alle falde del
Vesuvio. Scrive gli ultimi due Canti (Il tramonto della luna e La ginestra). Tornato a Napoli a
febbraio, muore il 14 giugno 1837.

Lo Zibaldone è più che moderno → è un manoscritto che non pubblicò mai e che raccoglie
tutto i suoi pensieri in una sorta di diario → ma non si tratta di narrazioni, ma di ri essioni. Lo
stesso Leopardi si accorse che questa sorta di insieme di pensieri aveva delle parole chiave che

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tornavano e dei temi che si ripresentavano e provò anche a indicizzare lo zibaldone → ipertesto
→ immaginare di in lare lo zibaldone dentro un le in cui tutto i pensieri sono raccolti per temi e
creare un percorso di lettura tra i pensieri → digitalzibaldone.net (piattaforma in cui sono stati
digitalizzati i pensieri dello zibaldone e codi cati attraverso un marcato → etichette che
richiamano i temi dei pensieri) per questo potremmo iniziare la lettura da qualsiasi pensiero e
avviare un percorso

Zibaldone - Pensiero 165 → tema del piacere


Il sentimento della nullità di tutte le cose, la insufficienza di tutti i piaceri a riempierci l’animo,
e la tendenza nostra verso un infinito che non comprendiamo, forse proviene da una cagione
semplicissima, e più materiale che spirituale. L’anima umana (e così tutti gli esseri viventi)
desidera sempre essenzialmente, e mira unicamente, benchè sotto mille aspetti, al piacere,
ossia alla felicità, che considerandola bene, è tutt’uno col piacere. Questo desiderio e questa
tendenza non ha limiti, perch’è ingenita o congenita coll’esistenza, e perciò non può aver fine
in questo o quel piacere che non può essere infinito, ma solamente termina colla vita. E non ha
limiti 1. nè per durata, 2. nè per estensione. Quindi non ci può essere nessun piacere che
uguagli 1. nè la sua durata, perchè nessun piacere è eterno, 2. nè la sua estensione, perchè
nessun piacere è immenso, ma la natura delle cose porta che tutto esista limitatamente e tutto
abbia confini, e sia circoscritto. Il detto desiderio del piacere non ha limiti per durata, perchè,
come ho detto non finisce se non coll’esistenza, e quindi l’uomo non esisterebbe se non
provasse questo desiderio. Non ha limiti per estensione perch’è sostanziale in noi, non come
desiderio di uno o più piaceri, ma come desiderio del piacere. Ora una tal natura porta con se
materialmente l’infinità, perchè ogni piacere è circoscritto, ma non il piacere la cui estensione
è indeterminata, e l’anima amando sostanzialmente il piacere, abbraccia tutta l’estensione
immaginabile di questo sentimento, senza poterla neppur concepire, perchè non si può formare
idea chiara di una cosa ch’ella desidera illimitata.

prescinde dal suo normale sentimento → tutti gli esseri umani tendono verso la felicità, la
felicità è il piacere → gli esseri umani tendono verso un piacere in nito, cioè che non nisce
nel tempo e nello spazio. Infatti quando il piacere nisce ci lascia insoddisfatti → la coscienza
infelice dell'uomo nasce dal fatto che desideriamo un piacere in nito e abbiamo a
disposizione solo piaceri niti
Più desideriamo qualcosa più rimaniamo insoddisfatti → quindi non ci potrà essere nessun
piacere in nito nella sua durata e nel suo spazio.
L’uomo non è pessimista, ma è un animale desiderante → l’esistenza umana coincide con il
desiderio.
La nostra esperienza di in nito Leopardi la ricava dal piacere → dal momento in cui
desideriamo un piacere in nito, noi facciamo esperienza dell’in nito → la teoria degli in niti di
Kant → può l’essere umano ( nito) concepire l’in nito o più in niti, anche se non lo può

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misurare? Lo concepisce perché non lo comprende in senso etimologico, non lo può


racchiudere e non lo può tracciare (es. insieme in nito dei numeri dispari e pari → aggiungendo
un +1 o un +2 si può creare una serie in nita di numeri)
Anche se avete il desiderio di una campagna che si estende all’in nito, però non potrebbe per
durata, perché tutte le cose in natura non sono in nite
Anche se fossimo continuamente appagati, questo diventerebbe assuefazione, cioè entrerebbe
l’abitudine, che renderebbe anche l’oggetto del nostro piacere qualcosa che non ci soddisfa più

Leopardi era lettore di grandi moralisti francesi, tra cui anche Agostino → il quale diceva “il
mio cuore rimane sempre insoddisfatto finché non si rivolge a te (DIO)”
La posizione di partenza di Leopardi è quella materialistica → sta dimostrando il destino di
insoddisfazione a cui è condannato l’essere umano
Cosa cerca l’anima → cerca quello che può trovare: un’in nità di piacere, cioè la soddisfazione
di un piacere illimitato

Dal momento che il nostro destino è l’essere insoddisfatti, allora il piacere è sempre qualcosa di
desiderato (qualcosa proiettato nel futuro) oppure è qualcosa che ricordiamo → ricordo di che
cosa?
ricordo del piacere → un momento di realizzazione
Però anche quel momento, dal momento che è destinato a nire, porta con sé l’insoddisfazione.
Allora anche la rimembranza, anche il ricordo è sempre mescolato di desiderio del piacere e
soddisfazione. Allora perché la poesia può essere alimentata da questa insoddisfazione? Perché
ci dà una parvenza di inde nito che è imparentato con l’in nito
Canti - L’infinito (1819)
Sempre caro mi fu quest'ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell'ultimo orizzonte il guardo
esclude. Ma sedendo e mirando,
interminati spazi di là da quella, e
sovrumani silenzi, e profondissima
quïete io nel pensier mi fingo, ove
per poco il cor non si spaura. E
come il vento odo stormir tra
queste piante, io quello infinito
silenzio a questa voce vo
comparando: e mi sovvien l'eterno,
e le morte stagioni, e la presente e
viva, e il suon di lei. Così tra
questa immensità s'annega il

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pensier mio: e il naufragar m'è


dolce in questo mare.

A nché ci possa essere l’avvio dell'in nito è necessaria la siepe, cioè un elemento che non ci
consente di vedere, un limite, qualcosa che attivi l’immaginazione → per attivare
l'immaginazione e il ricordo c’è bisogno di un elemento che limiti → se avessi di fronte la
veduta completa, allora non scatterebbe l'immaginazione al di là da quella, non scatterebbe il
ngersi di andare oltre il limite

Ci sono delle sensazioni e delle esperienza più poetiche di altre (la siepe, la campagna
all’imbrunire i cui contorni si fanno sfumati, i suoni di cui non riusciamo a capire l’origine)

Non si tratta di un sonetto → fa parte degli Idilli


È composto da una sola strofa di 15 versi endecasillabi. Abbiamo 2 grandi blocchi: il primo
parte dal primo verso no alla metà dell’ottavo; mentre il secondo parte dalla seconda metà
dell’ottavo verso no alla ne.
Leopardi sale sul monte Tabor e guarda il paesaggio → Eremo → luogo solitario in cui si
rifugiavano i monaci

uso dei deittici (questo, quello → pronomi e aggettivi che indicano la posizione di un
oggetto rispetto al parlante); gerundi → indicano uno stato; aggettivi che allungano le
parole, quasi in maniera icastica, allontanano → il movimento di allontanamento è
avvenuto attraverso l’immaginazione → il limite della siepe ha attivato l’in nito
dell’immaginazione

interminati, sovrumani → andare oltre il tempo e lo spazio → le percezioni visive e uditive


vengono coinvolte→ prima la vista e poi si passa ai suoni
fingo → indica una costruzione (verbo del vasaio, ceramista, chi costruisce attraverso la
terracotta un oggetto). Signi ca che nel pensiero si costruisce, si immagina pensier, cor → ri
essione e emozione → poesia sentimentale → non più quella poesia ingenua nativa degli
antichi, perché manca l’immersione nella natura

queste piante → è tornato in quella realtà rassicurante e alle sensazione della vista. Adesso
hanno il sopravvento le sensazioni uditive → le sensazioni uditive hanno una maggiore
capacità di attivare l’in nito, perché con più di coltà riusciamo a individuare l'origine di ciò
che pensiamo; invece attraverso la vista riusciamo a individuare più facilmente un oggetto.

Ciò che è l’inde nito dello spazio è l'inde nito del tempo → adesso il pensiero può a ondare
nell’immensità → non si può misurare

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La conoscenza si può ridurre a quello che vediamo, udiamo, sentiamo e tocchiamo? → Leopardi
non è soddisfatto dal materialismo → noi abbiamo il desiderio di qualcosa che va oltre

Tema della natura e della sua concezione in Leopardi → ha un sistema di pensiero coerente
(Antonio Prete) in movimento. La critica più recente e più attenta ai testi ha voluto evidenziare
che in Leopardi il momento ri essivo e poetico sono fusi insieme. Possiamo de nire Leopardi
un losofo dell’800, e non solo perché anche oggi la sua ri essione è ancora più comprensibile
che nella sua epoca
Antonio Prete parla di pensiero costante, cioè di un pensiero che non si forma attraverso la
struttura razionale del trattato, ma principalmente si condensa nella poesia e nelle immagini
poetiche → lo stesso si può dire delle operette morali
Le operette morali sono scritte in prosa, per la maggior parte sono dialoghi con dei personaggi
che si lanciano la parola in una forma drammatica (presenza di più personaggi che
intervengono). Hanno come modello le opere di Luciano di Samosata
Il 1824 è un periodo di silenzio poetico e subentra l'attenzione all’arido vero → una verità che
viene rappresentata attraverso l’impianto quasi teatrale
Le operette sono storie che trattano di loso a e i personaggi sono personaggi fantastici, storici
e realistici. Alcune sono prose liriche, apologhi o raccolte di aforismi. Sono de niti come i temi
del pessimismo cosmico → concezione per cui a erma che l'infelicità è connaturata alla stessa
vita dell'uomo, destinato quindi a so rire per tutta la durata della sua esistenza. La natura è
infatti la sola colpevole dei mali dell’uomo → essa è ora vista come un organismo che non si
preoccupa della so erenza dei singoli, ma svolge incessante e noncurante il suo compito di
prosecuzione della specie e di conservazione del mondo: è un meccanismo indi erente e
crudele che fa nascere l’uomo per destinarlo alla so erenza. Infatti la natura, mettendoci al
mondo, ha fatto sì che in noi nascesse il desiderio del piacere in nito, senza però darci i mezzi
per raggiungerlo.
Ma anche la prospettiva di Leopardi è innovativa perché è una prospettiva straniata →
straniamento → riguarda il punto di vista: quando il punto di vista è estraneo, diverso e
decentrato rispetto a quello della gura storica del narratore e dell’autore. Può essere anche
diverso rispetto al punto di vista tradizionale (Le lettere persiane di Montesquieu)
Nel caso di Leopardi la realtà degli uomini viene vista dal punto di vista degli animali o
personaggi fantastici che discutono → estinzione dell’essere umano → per noi sembra più un
fantasma, ma non pensiamo realmente che l’umanità si possa estinguere. Abbiamo una di coltà

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radicale di concepire l’inconcepibile perché la mente umana è concepita a resistere a


cambiamenti radicali e tende a mantenere e conservare la continuità

Nelle operette morali Leopardi decentra il punto di vista. Fa osservare la realtà dal punto di
vista del folletto o della natura stessa
DIALOGO DELLA NATURA E DELL’ISLANDESE
islandese → un uomo che cerca un luogo fatto per l’uomo, dove possa trovare un equilibrio →
l’equilibrio tra l’uomo e la natura viene cercato nello spazio. Ma non trova uno spazio fatto per
l’uomo→ discrasia (mancato coordinamento) tra l’uomo e la realtà che lo pone sempre
straniero, estraneo al mondo che gli avevano detto essere fatto per lui → concezione del
moderno che ritroviamo in tutte le operette morali e in tutta l’opera di Leopardi.

Dopo tanto girovagare si trova al cospetto di una gura femminile terribile che è la Natura →
tema romantico dove la natura desta terrore. La natura ascolta le lamentele dell’islandese e gli
dice “Pensavi che il mondo fosse fatto per te? Credi di essere superiore agli altri esseri viventi?”
La natura è costituita dall’in nito procedere di costruzione e distruzione → la vita è formata
da questo processo che va dalla vita alla morte e viceversa. Ciò che è importante è il sistema
della vita

L’islandese presenta alla Natura tutte le sue lamentele, tratta la natura come una madre che però
non cura la sua famiglia
L’islandese cerca una relazione con lei (le dà del tu) e la natura risponde → la risposta che da la
natura è molto più terribile delle lamentele → l’uomo crede che ci sia un ne che possa dargli
ragione del male che l’uomo so re. La natura gli risponde che quello che capita non ha una
ragione, non c’è una volontà da parte sua di fargli del bene o del male. Anche l’estinzione della
specie potrebbe accadere senza che se ne renda conto → presuppone che non esista una ragione
per il male del mondo→ questo è umanamente insopportabile → “pensi con la tua ragione di
comprendere tutte le ragioni che stanno nell’universo?”

L’islandese non si arrende → l’uomo non ce la fa a non ragionare in maniera antropocentrica:


continua a porsi al centro → anche se non hai creato l’universo per me però mi hai invitato,
quindi questa casa, non la sento come casa mia → esperienza che poi con Freud prenderà il
nome di
“fuoricasa” → l’esperienza che fa l’islandese è di ciò che non è familiare anche non essendolo.
La casa, quindi l’ambiente che dovrebbe sembrarci familiare e ospitale, in cui riconoscere la
consuetudine, invece è qualcosa di estraneo, si rivela una prigione.
A questa considerazione, la Natura risponde che l’universo si regge su questo circuito di
costruzione e distruzione → niente può esserci per l’in nito. Il patimento, inteso come attesa e
paura della distruzione, è il principio su cui si regge l’universo

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a chi giova questo male? → il dialogo si chiude con una domanda. L’apologo nale non dà una
risposta, ma sollecita interpretazioni diverse. Ci sono due interpretazioni:
● arrivano due leoni a amati che mangiano l’islandese e possono continuare a sopravvivere
per un altro paio di giorni
● una tempesta di sabbia suggella l’islandese come una mummia che poi viene ritrovata e
collocata in un museo d’europa

1. l’uomo e i leoni fatto parte dello stesso circolo di costruzione e distruzione → la vita si
può mantenere se ogni anello della catena conserva il suo posto
2. provvisoriamente l’uomo viene sottratto a questo processo incessante di vita e morte,
viene mummi cato. È un modo per riporlo al centro e fare di lui uno spettacolo, farsi
vedere dagli altri e diventare anche forse un divertimento per gli altri → il processo di
mummi cazione può essere rappresentativo, ma conferma anche la natura antropocentrica
dell’uomo
La so erenza non è qualcosa esclusiva dell’uomo, ma che è comune a tutti i viventi → è
anch’essa un portato biblico ed evangelico
Questa idea della so erenza universale è la maggiore risposta all’idea di una natura matrigna,
cioè da una parte abbiamo questa ipostasi della natura (creazione dell’uomo) e dall’altra
abbiamo la consapevolezza di una so erenza universale di tutti gli esseri viventi accomunati
dalla fragilità

LA GINESTRA (O IL FIORE DEL DESERTO) (1836) → le caratteristiche tematiche e


formali ne fanno una sorta di testamento lirico- loso co.
La ginestra è il testo più lungo dei Canti: le sue sette strofe hanno dimensioni eccezionali e i
suoi lunghi periodi si snodano a volte a cavallo di decine di versi. Si tratta, quindi, di un vero e
proprio poemetto lirico- loso co, che per dimensioni e per genere può ricordare i Sepolcri di
Ugo Foscolo: dai Sepolcri lo distingue, però, un superiore grado di innovazione, di audacia
formale e di radicalità intellettuale.

tenebre → Giovanni allude alla venuta di Cristo

Il tema del ore che nella poesia romantica rappresenta un vero e proprio topos. Leopardi
recupera il ore della Ginestra
Leopardi intende ancorare la propria esperienza poetica a una esperienza esistenziale qui ed ora
da cui inizia la sua osservazione / ri essione poetica formidabile → suscita paura e terrore.
Vesuvio sterminatore sul quale non cresce nessun’altra pianta, a parte la ginestra → ore che si
trova a proprio agio nel deserto scena di desolazione → solitudine (deserto = privo di vita)
odorata ginestra → presuppone che ci sia un qualcuno, un destinatario del suo odore → subito
dopo interviene il soggetto

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l’esperienza del poeta che torna con la memoria ad altre visione della
ginestra erme → aggettivo caro a Leopardi donna /domina dei mortali
→ Roma
da un’esperienza sensoriale di come il tempo sia un padrone inesorabile, che distrutte (come la
Natura) e che lascia poca traccia delle glorie passate → la ginestra gli ricorda altri ori che lui ha
visto intorno a Roma, la quale fu la padrona di un tempo, di un vasto impero → UBI SUNT
(dove sono andati a nire le glorie del passato? Dov’è Roma ? Che ne ha fatto il suo impero?) di
Roma non rimane più niente e rimane solo il nome tutta la strofa è costruita con il contrato tra il
deserto, la natura è vuota come è vuoto il passo

° epifrasi → è quando in un insieme di aggettivi, l’ultimo elemento viene spostato e introdotto


dalla congiunzione E. È un elemento in più che continua dà quella idea di in nito

vv. 27 - 32 → C’è un’opposizione tra il passato e il presente (fur / or) → notiamo la gura di
suono → vocali chiuse e R nale

rima in mezzo (in mezzo al verso)→ cura / natura → rima ironica : la natura che non si
preoccupa di nulla, fa rima con cura. Quella natura che può distrugge tutto con un lieve
movimento e con movimenti un po’ più forti può annichilAre (la A allunga) tutto il genere

v.51 riprende il verso e lo rovescia


v. 52 riprende il qui iniziale del v. 1

v. 53 → il secolo superbo e sciocco → si riferisce al proprio secolo segnato dallo spiritualismo


e dal romanticismo che mette al centro l’uomo. Quel secolo che è tornato indietro e l’ha
chiamato progresso

la parte centrale della strofa è tutta costruita intorno al Io → c’è una sorta di messa al centro del
poeta → poeta che non si adegua allo spirito del tempo, ma si contrappone a ciò che la massa
dice, però mettendosi al centro della scena
io che rima con oblio, però Petto mio → insistenza sull’io → viene ripresa nei pronomi
personali
v. 73 → c’è un reclamo al pensiero → il pensiero non smette di essere razionalista, anche se
dentro la poesia → pensiero poetante

Ultimo canto di Saffo


Composta nel 1822, è una canzone di quattro strofe di 18 versi ciascuna. È costruita in forma di
monologo → lamento pronunciato da Sa o prima del suicidio

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Leopardi ricava dalle Heroides di Ovidio la leggenda di Sa o → poetessa greca dotata nel
canto ma non bella nell’aspetto, e perdutamente innamorata di Faone. Non corrisposta, sa o
scelse di morire gettandosi in mare da una rupe dell’isola di Leucade (mar Ionio) → da un
punto di vista biogra co Leopardi ha vissuto in prima persona il dramma di uno spirito bello
in un brutto involucro La canzone è costruita in forma di monologo → un lamento polemico
che sa o pronuncia prima di suicidarsi spiegando i motivi che l’hanno indotta a quel gesto
Nelle prime due strofe Sa o si rappresenta come la dispregiata amante di una natura che lei
ama e della quale descrive dettagliatamente le bellezze → Bello il tuo manto, o divo cielo. Il suo
ruolo nel mondo è quello dell'ospite non desiderata → per no il torrente muta il suo corso per
non toccarle il piede.
Nella terza strofa, dopo essersi interrogata senza risposta sulle cause della sua esclusione, Sa o
conclude che in questo mondo virtù non luce in disadorno ammanto → la bruttezza del corpo
impedisce che vengano riconosciute le virtù dell'individuo, sia che si manifestino in virili
imprese sia che si esprimano per dotta lira o canto → attraverso la poesia.
Solo nell’ultima strofa, proclamata l’intenzione suicida → Morremo, Sa o si rivolge all’ingrato
amante → E tu cui lungo amore indarno […] mi strinse, augurandogli ironicamente una vita
felice → se felice in terra / visse nato mortal. A lei, abbandonate le illusioni della fanciullezza
→ sperate palme e dilettosi errori, non resta che il Tartaro, l’atra notte, e la silente riva dei
morti.
natura → Sa o si confronta con la natura → una natura che è stata malevola nei suoi riguardi
concedendole una grande sensibilità alla bellezza, ma non di essere bella → il rapporto di Sa o
con la natura è un rapporto di amore e odio, perché la natura l’attrae e nello stesso tempo la ri
uta. Ma in realtà è sa o a sentirsi ri utata dall’oggetto del suo amore
Anche il paesaggio ri ette questa duplicità → lo scenario è sospeso fra notte e alba (l'alba è
tradizionalmente l'ora dei suicidi) e fra la rappresentazione di una natura splendida e armoniosa
e quella di una natura buia e ostile che Sa o sente più in armonia con il proprio stato d'animo →
la sua condizione di esclusa la rende paradossalmente meno infelice quando il cielo si scatena
nel temporale → il cielo tempestoso ri ette anche l'ira che muove la sua protesta.
Sa o parla di se stessa e sembra ricondurre la propria infelicità a un caso eccezionale; a tratti,
però, le sue considerazioni sul proprio destino sembrano estendersi all'umanità in generale →
Arcano è tutto, / fuor che il nostro dolor. Negletta prole / nascemmo al pianto, e la ragione in
grembo / de' celesti si posa. Le osservazioni sui mali della vita (la ne delle illusioni con il nire
della giovinezza, la malattia, la vecchiaia, la morte) e il dubbio che possa davvero esistere una
felicità per l’uomo fanno pensare che Sa o non stia parlando solo di se stessa
stile → stile ardito e peregrino → nomi e immagini che rimandano al mondo classico;
espressioni ricercate e metafore tradizionali rendono il testo di cile e solenne

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Alla luna
È un idillio di 16 endecasillabi senza rima. È strettamente legato all’Infinito → per la struttura;
presenza del colle (v.2); entrambi i componimenti prendono spunto dal ripetersi di una
consuetudine → Alla luna potrebbe essere un testo di anniversario, forse un compleanno del
poeta.
All’interno della poesia si individuano due tempi → il primo è delimitato dal parallelo fra O
graziosa luna (v.1) e O mia diletta luna (v.10) → il paesaggio è il notturno lunare, nel quale
Leopardi proietta la propria angoscia → è tornato sul colle e guarda la luna come la guardava un
anno prima. Il tempo è passato, ma il suo stato d'animo non è cambiato: allora come ora è «pien
d'angoscia». La luna è descritta attraverso i suoi occhi, sfocata e deformata a causa del pianto
→ il ritorno segna infatti il rinnovarsi di un dolore di cui sappiamo solo che è sempre lo
stesso. La luna è stata ed è la testimone di questa sostanziale immutabilità. Il poeta la umanizza
chiamandola graziosa e diletta quasi fosse una fanciulla, e sembra trovare conforto nella sua
muta presenza.

il rimembrar delle passate cose / ancor che triste, e che l'affanno duri → Il testo non dice
perché il ricordo di un passato che è stato triste e continua a esserlo possa essere consolatorio.
Aiuta a capirlo un passo dello Zibaldone, nel quale Leopardi, ri ettendo proprio sugli
anniversari e sulle "illusioni" che essi sollecitano, scrive: «ci par veramente che [negli
anniversari] quelle tali cose che son morte per sempre né possono più tornare, tuttavia rivivano
e sieno presenti come in ombra». Il ricordo insomma ha il potere di ridare vita a ciò che è nito
per sempre, è un antidoto contro «l'idea della distruzione e annullamento che tanto ci ripugna».
La seconda parte dell’idillio è posta al presente e presenta un momento ri essivo, in cui compare
l’interiorità del poeta → il fulcro della poetica della rimembranza → il ricordo di un passato
triste che si tramuta in un presente triste sembra consolare il poeta, anche se nel testo non viene
spiegato il motivo per cui è così.
Tutta la poesia è strutturata strutturata sull’opposizione tra passato e presente, sebbene i
sentimenti permangano uguali il poeta trova un po’ di consolazione nel ricordo. Proprio il
ricordo permette di avere il tono dolce e pacato di questo testo.

Il sogno
In questo canto Leopardi sintetizza ed armonizza diversi sentimenti e situazioni sue personali
con la lettura di due opere di Petrarca → il II capitolo del Trionfo della Morte e la canzone
CCCLIX delle Rime “Quando il soave mio do conforto”. Il poeta immagina un dialogo durante
un sogno mattutino tra lui e una giovane donna, forse Teresa Fattorini, morta pochi mesi prima.
Nel sogno, la giovane donna si avvicina al poeta e gli chiede se lui si ricorda ancora di lei → il
poeta le chiede che cosa la tormenti. La giovane donna gli risponde che lui l’aveva vista morire
e che era morta nel ore della sua giovinezza. Il poeta, poiché è colmo di pianto per la morte di
lei, le domanda se qualche volta avesse provato qualche sentimento di amore per lui → se

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questo fosse stato vero, il poeta avrebbe avuto un ricordo a ettivo importante dal momento che il
futuro per loro due era ormai spezzato. Lei rincuora il poeta e gli dice che, durante la sua vita,
non era stata avara di pietà per lui. Il poeta allora la prega di avvicinare la sua mano destra al
suo petto e lei gentilmente corrisponde alla richiesta. Il poeta allora accosta la mano destra della
ragazza al suo cuore e la bacia. La giovane donna, guardandolo attentamente negli occhi, gli
dice che ormai lei è priva di bellezza sica e ancora lui freme di amore inutilmente → ormai lui
non vive e non vivrà più per lei perché il destino ha spezzato l’amore e la fedeltà che lui le
aveva giurato in vita. A questo punto il poeta, ansimando e piangendo, si risveglia dal sonno
anche se gli sembra di vedere la fanciulla ancora negli occhi e nella luce tenue della stanza.
Leopardi sintetizza ed armonizza due esigenze → da un lato manifesta il suo profondo bisogno
di esprimere l’acuto dolore per la morte di Teresa Fattorini, dall’altro Leopardi esprime sia il
suo dolore per la scomparsa della Fattorini sia il suo bisogno reale ed istintivo per Teresa Brini,
con le letture di Petrarca il quale aveva descritto, in forma onirica ed elegiaca, il suo incontro
con Laura morta. In questo modo, trasferendo tutto nel sogno, il giovane Leopardi immaginava
di potere soddisfare il desiderio di dare un bacio reale a Teresa Brini.
Il messaggio della poesia è certamente la presa di coscienza da parte del poeta che nel sogno
riceve la terribile verità che non avrà più un amore nella sua vita. Infatti, la morte della
fanciulla, che in giovane età aveva mostrato di avere una certa pietà ed amore per il poeta,
costituisce l’evento più terri cante e devastante per Leopardi che sperava di potere amare la
giovane Teresa e di esserne ricambiato. Invece, la morte prematura della ragazza, costringe il
poeta a rinchiudersi in sé stesso e a disperarsi ancora di più contro la natura e il destino.

A Silvia
Rappresenta l’inizio di una nuova stagione poetica → il poeta, dopo la stesura delle Operette
Morali, è tornato a comporre versi che appaiono più temperati ed equilibrati e non più
puramente idillici Il tema della lirica è la caduta dei sogni e delle illusioni. Il canto è dedicato
probabilmente a Teresa Fattorini, glia del cocchiere di casa Leopardi, morta di tisi nel 1818.
Fanciulla di cui Leopardi si era innamorato, senza però essere ricambiato. Altri critici però
ritengono che Silvia sia una costruzione psicologica del poeta → i richiami alla sicità della
ragazza, sono quasi inesistenti → alcuni critici sostengono che Leopardi ha ripreso lo stile
dantesco e che Silvia, come la Beatrice di Dante è evocata nella sua spiritualità, sia descritta per
le sue caratteristiche spirituali più che nell’aspetto sico Si tratta di una confessione del poeta →
la morte prematura di Silvia diventa il simbolo delle speranze stesse del poeta, diminuite
all’apparire della terribile verità della condizione umana → solo la giovinezza permette di avere
delle illusioni, mentre l'età matura porta con sé solo un carico di delusioni e dolori. Tutto il
canto è costruito sulle esperienze parallele della giovinezza di Silvia e delle illusioni del poeta
→ se Silvia, morta precocemente, non è potuta arrivare al limitare della gioventù, anche
Giacomo, che ha invece potuto varcarlo, non ha avuto sorte migliore poiché la vita è una
delusione senza senso e non esiste altra felicità nale se non la fredda morte e una tomba ignuda.

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Di fronte alla tristezza del presente e all'amarezza del futuro il ricordo dell'età giovanile si pone
come l'unico momento in cui l'esistenza si rivela a ascinante e densa di aspettative A Silvia si
divide in 5 parti:
● rievocazione di Silvia
● rievocazione del poeta
● la natura vista come sventura e inganno → tema delle speranze deluse e dal lamento del
poeta nei confronti di una natura che non consente la loro realizzazione.
● la morte come ne
● l’apparizione del vero
Sintatticamente la lirica presenta periodi brevi e concisi: poche subordinate, per lo più
temporali che si ricollegano alle tematiche del ricordo → tempo trascorso. Il tema principale è il
senso del vago e dell’indeterminato. La lirica è composta da sei strofe a lunghezza varia.
Settenari ed endecasillabi si succedono e la rima non ha schema prestabilito. L’unico elemento
di regolarità è dato dal ripetersi del settenario alla ne d’ogni strofa.

La quiete dopo la tempesta


Nella lirica viene a rontato la teoria del piacere → l’unica gioia concessa all’essere umano è
l’assenza del dolore
La poesia si apre con la rappresentazione idilliaca della vita del borgo di Recanati dopo la
tempesta → gli animali della campagna tornano alle loro occupazioni così come gli abitanti
riprendono i loro doveri quotidiani. Il cielo si schiarisce e il sole torna a risplendere
permettendo ad ogni uomo di a rontare un nuovo giorno con rinnovata felicità.

Alla parte descrittiva segue quella ri essiva e loso ca delle strofe seguenti → Leopardi espone il
suo pessimismo sotto forma di ironia → secondo il poeta la vita è bella proprio dopo che è
passata la tempesta ed ogni uomo si rallegra perché, come la natura vuole, al dolore segue il
piacere che è tanto raro ed e mero che si riduce a niente → Piacer figlio d’affanno …
frutto/del passato timore → La quiete, ossia il piacere, dopo un lungo momento di so erenza e
di terrore della morte scuote anche la gente che detestava o svalutava la vita.
La strofa nale è un’apostrofe alla natura matrigna → pessimismo cosmico. L’ironia dei versi
42-54 si trasforma in sarcasmo, poiché la natura ironicamente de nita cortese ed in grado di
concedere a larga mano i doni che ha da o rire agli uomini → in realtà non sono altro che a anni
e so erenze, e quel tanto di piacere che ne scaturisce invece è così poco da sembrare un
guadagno. Il nale pessimistico dell’opera è un augurio di felicità assoluta, recuperabile solo con
la morte.
L' umana prole si dimostra felice se le è concesso un solo attimo di riposo dai mali incessanti
della vita, e beata se libera da ogni a anno con il sopraggiungere della morte → il poeta si
rassegna a considerare il destino dell’uomo inevitabile ed eguale per tutti, il cui rimedio non è
altro che la morte.

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Questo idillio insieme a Il sabato del villaggio rappresenta un dittico → opera letteraria in due
parti, anche autonomi, ma fra loro complementari

Il sabato del villaggio


Il componimento è strutturato in due tempi nettamente scanditi, come in un apologo (cioè in un
racconto provvisto di una conclusione morale) → la sezione descrittiva occupa la maggior
parte del testo senza mescolarsi mai con le considerazioni di tipo ' loso co' intorno al piacere
La prima strofa descrive uno squarcio di vita paesana → è la sera del sabato → i contadini
rientrano dai campi, le persone anziane siedono a parlare davanti alle case e i fanciulli giocano
in piazza. Alle percezioni visive subentrano presto quelle acustiche → il lieto rumore dei
fanciulli, che riconforta il cuore, il schiettare del contadino che pensa con gioia al meritato
riposo.
I suoni dominano nella seconda strofa → nel silenzio della notte si sentono solamente i rumori
degli attrezzi del falegname, il quale si a retta a terminare il lavoro per godersi anche lui la festa.
L'io del poeta è assente dal racconto ma il lettore lo immagina mentre, insonne nella notte e
isolato dalla vita del paese, sente i rumori del mondo circostante e li interpreta

Seconda parte dell'apologo → inizia con la considerazione che il sabato di sette è il più
gradito giorno. È divisa in due movimenti distribuiti in due strofe brevi → nella prima il piacere
del sabato è contrapposto alla tristezza e alla noia della domenica. Finita l'attesa della festa, la
festa diventa infatti l'attesa del ritorno al travaglio usato, alla fatica quotidiana. Nella seconda,
contenente la vera e propria
morale, la dinamica sabato-domenica è tradotta sul piano esistenziale come rapporto tra
fanciullezza e maturità → Leopardi mostra una sorta di reticenza («altro dirti non vo'») a
proclamare che la vita adulta è «tristezza e noia», e si limita a esortare il fanciullo ideale a cui si
rivolge sul nale («garzoncello scherzoso») a godersi la «stagion lieta» della giovinezza → carpe
diem

Amore e Morte da Ciclo di Aspasia


Amore e morte è il secondo componimento del cosiddetto “ciclo di Aspasia” → il binomio
amore-morte, come momento inscindibile della vita, compare in una lettera dell’agosto 1833
che Leopardi invia a Fanny Targioni Tozzetti → per il poeta l’amore e la morte sono le sole
cose belle che ha il mondo, e le sole solissime degne di essere desiderate.
Il testo si fonda dal punto di vista concettuale e stilistico sulle antitesi tra l’amore e la morte e
s’indirizza verso una necessaria fusione
Dal punto di vista tematico la lirica pone in primo piano il concetto stesso di amore → la
predilezione per un soggetto astratto caratterizza l’intero ciclo di Aspasia, dove il poeta indugia
di più sui concetti e adotta un lessico che punta all’astrazione. In questa lirica l’amore è
l’illusione suprema che si avvia ad essere smascherata, è fonte di tormento ma permane il

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desiderio, che in ne scon na nell’annullamento dell’io e nella sovrapposizione con la morte. Per
questo motivo Amore e morte segna il momento più drammatico e di maggiore tensione nel
rapporto tra Leopardi e il sentimento amoroso → l’atteggiamento di Leopardi qui si fa titanico:
pur consapevole che nessuna «forza mortale» può sostenere il «gran travaglio interno» (vv. 76-
77) dovuto all’amore, e che presto sarà la morte a prevalere, il poeta a ronta con determinazione
e resistenza eroica la morte che viene, ra gurata nelle sembianze di una donna, sul cui seno il
poeta piegherà «addormentato il volto» (vv. 124). A se stesso
Questa lirica si lega a una precisa pagina della biogra a di Leopardi → la ne della passione
nutrita dal poeta per Fanny Targioni Tozzetti. Mentre nelle poesie precedenti era celebrata la
potenza del sentimento amoroso, in questa si registrano gli e etti devastanti della ne di
quell’ultima illusione, di quell’inganno estremo (v. 2).
Il titolo annuncia un soliloquio che, per il suo contenuto mortuario, prende la forma di
un’iscrizione tombale. Il soggetto si chiude in se stesso e invita il proprio cuore ad abbandonare
la vita e la speranza, a constatare l’insensatezza di tutte le cose e a disprezzare se stesso e il
resto del mondo. Il collasso del desiderio e della vita si traduce in un collasso della forma
poetica → le frasi che compongono questo testo sono tronche, spezzettate, danno spesso
l’impressione di essere incomplete e di rimanere sospese, e si susseguono tumultuosamente,
come fremiti di disgusto e di collera. Viene utilizzato un lessico che mette tristezza e trasmette
la mancanza di speranza, in alcune parti del canto il lessico infonde un forte pessimismo. Il
linguaggio usato è quindi impersonale e astratto. fango è il mondo (v.10) → Leopardi paragona
il mondo al fango esprimendo che è instabile e sporco e sottolineando la caratteristica
dell’essere inde nito perché il fango non è né terra né acqua

Aspasia
Il poeta ha lasciato Firenze da circa due anni ma il ricordo di Fanny, sebbene attenuato dal
tempo, è tutt’altro che scomparso → di tanto in tanto il volto bellissimo della donna gli torna
alla memoria e con esso gli atteggiamenti materni, l’eleganza dei modi e la ra natezza
intellettuale che lo avevano fatto perdutamente innamorare di lei.
Aspasia → moglie di Pericle. Dietro questo nome si cela la gura di Fanny Targioni Tozzetti.
Aspasia era apparsa al poeta come una gura divina, ma soltanto perché vista con gli occhi
ingenui e sognanti dell’amore, che inevitabilmente inducono la mente a creare un ideale di
donna che, in realtà, non esiste. Adesso che l’incanto si è spezzato, Leopardi è nalmente libero
di togliere quel velo divino del quale aveva voluto ammantare Aspasia e guardarla per come
davvero è, priva di quelle connotazioni ideali che l’avevano resa unica e meritevole dei suoi
sospiri → Leopardi si sente di nuovo libero, non più schiavo di quel giogo amoroso. ì
Aspasia non esprime tanto la passione e la so erenza che da essa scaturisce, quanto piuttosto il
momento in cui essa, ormai scemata, lascia il posto a quella sorta di distacco che rasserena
l’animo, non più tormentato dall’amore → la disillusione porta con sé la libertà polemica con il

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sesso femminile → secondo l’autore, dal punto di vista sentimentale, esso sarebbe inferiore a
quello maschile, poiché incapace di coglierne il grande fervore emotivo e lo slancio ideale.

GIOVANNI VERGA
verismo → ne ottocento → dopo l’unità d’italia: trionfo del liberoscambismo e dal
protezionismo → impatto sul sud, soprattutto sulla Sicilia

Abbiamo due sistemi politici che si vengono a fondere, ma anche due impostazioni economiche
diversi → questione meridionale: da una parte c’è un nord italia ampiamente avviato verso
l'industrializzazione e una produzione agricola di tipo intensivo (Cavour aveva razionalizzato la
produzione della vite in Piemonte); dall’altro lato abbiamo un sud prevalentemente agricolo,
dove vige il sistema del latifondo → sistema che non spinge verso la modernizzazione, ma è
profondamente ancorato alla ripetizione di modelli e tecniche del passato
Anche al sud abbiamo esperienze notevoli di produzioni industriali (industria della seta,
industria estrattiva in Sicilia), però alcune di queste produzioni vengono danneggiate dal
processo di uni cazione. Di fatto, l’Italia che ci viene consegnata è un’Italia unita dal punto
di vista politico e amministrativo, ma ancora profondamente separata al suo interno dal
punto di vista sociale, economico, culturale e linguistico.
Quell’obiettivo di Manzoni di creare un romanzo per tutti gli italiani rimane un obiettivo che
rimane per altri scrittori, come Verga, a cui rispondono in maniera diversa

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Altri fattori:
- crisi dei ceti medi tradizionali che si ritrovano a subire questo processo di uni cazione e
si trovano privi di una serie di protezioni che l’impostazione tradizionale gli aveva
fornito
- Un'Italia unita ha bisogno di un’ampia burocrazia per poter funzionare. La classe media
pubblica diventa la protagonista delle narrazioni → Pirandello, da una parte è
rappresentante di un ceto dei possidenti (classe di possidenti terrieri che può vivere di
rendita). I problemi arrivano quando le miniere di zolfo si allagano, diventano
improduttive, e dall’altro lato lo zolfo siciliano entra in competizione con lo zolfo
americano → declassazione di Pirandello, che deve capire come portare avanti la
famiglia

Verga e Pirandello non sono così distanti → per gli 80 anni di Verga viene chiamato
Pirandello per il discorso elogiativo. Se confrontiamo la vita dei due vediamo che ci sono
delle analogie e delle di erenze (Verga continua ad essere un possidente terriero, anche se
prova a vivere grazie alle sue opere)

Quel malcontento che nasce all’interno dei ceti medi e popolari, poi trova una soluzione da una
parte nella questione agraria e dall’altra nello sfogo del fascismo. Il verismo riesce a dar voce e
volto a queste tensioni, non ragionando in termini teorici, ma rappresentandoli. Ma nello stesso
tempo, dal punto di vista anche teorico
Positivismo → dottrina scienti ca/ loso ca che estende i principi della scienza a tutti gli ambiti
umani. La scienza si basa sulla misurazione, sui dati positivi → quei dati che possono essere
accertati. Questo tipo di impostazione deve essere impostato su tutto: in questa maniera si
possono migliorare le condizioni di vita dei ceti più svantaggiati.

NATURALISMO E VERISMO
Dai fondamenti loso ci del positivismo nasce il naturalismo → Nasce in Francia (Balzac,
Flaubert e Zola) → così come la scienza, osservando la realtà, facendo degli esperimenti, trova
il modo di migliorarla; la loso a deve fare allo stesso modo: deve guardare la realtà come se
fosse un esperimento. Applicare alla realtà del romanzo lo stesso metodo sperimentale della
scienza. L’obiettivo del positivismo è migliorare la società → visione progressista e
progressiva della realtà stessa

La linea del positivismo e del naturalismo dice che è vero che esistono delle leggi che
determinano l’uomo, ma conoscere queste leggi ci serve per disinnescarle e modi care l’umanità
stessa. È vero che esistono queste leggi che determinano l’uomo (interessi personali, lotta per la

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sopravvivenza), ma queste leggi non si possono modi care → viene a mancare quelle istanze
progressiste presenti nel naturalismo francese

La letteratura si fa per un pubblico più largo e i temi e il linguaggio sono più ra nati

paternalismo → accusa verso tutti gli scrittori


tono di superiorità

DIFFERENZE TRA NATURALISMO E VERISMO


● Voce narrante: nel caso del romanzo sperimentale, c’è una voce narrante che viene
dall’alto e dall’esterno → è come lo scienziato che osserva al microscopio la realtà che
sta osservando. Invece Verga utilizza un punto di vista interno → dal momento che la
realtà sociale che a ronta è più bassa rispetto al suo status, il punto di vista è dal basso e
interno (Es. Rosso Malpelo → l’incipit è ricorsivo → A è perché B e B è perché A →
un ragionamento che non è un ragionamento → questo giudizio appartiene al popolo: la
voce narrante non è Verga, ma il punto di vista è interno alla comunità. Di questa
mentalità si fa portavoce solidale della comunità)
Anche Manzoni utilizzava un narratore esterno che però interveniva. In questo caso
abbiamo un narratore che non interviene apertamente con commenti propri, ma
diventa quasi invisibile e si abbassa dal punto di vista della comunità.
Quello che viene realizzato da Verga è un e etto → quando Verga scrive bisogna dar l’e
etto che il racconto si sia scritto da sé
Verga non utilizza delle digressioni per descrivere dei luoghi o delle tradizioni come
Manzoni → Verga non vuole seguire Manzoni su questa strada → anche questo è un e
etto → Verga lavora sul meno, sulla sottrazione
Malpelo → tutti lo chiamano così, anche la sua stessa madre (quasi dimentica il nome di
battesimo) → Nella cultura siciliana rappresenta il destino del personaggio → la gura
che caratterizza il personaggio è un cerchio
● Linguaggio del narratore → nel naturalismo francese è colto e ra nato, mentre nel
verismo abbiamo un linguaggio spoglio, elementare e apparente semplice, regredito
anche sul punto di vista linguistico, perché se la lingua è l’espressione di un’ideologia,
allora il pensiero dei personaggi non può essere espresso in una lingua aulica. Una lingua
più retrograda è più di cile da capire da una lingua più colta → deve reimparare a
vedere la realtà come la vedrebbe un pescatore o un muratore per poterla rappresentare.
● Impersonalità → mentre nel romanzo naturalista abbiamo il distacco dello scienziato,
in Verga abbiamo il narratore che si scioglie, no a quasi scomparire, all’interno
dell’oggetto narrato
● Ideologia → il naturalismo francese è nutrito dal progressismo, in Verga abbiamo
un’idea conservatrice e pessimistica

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● Contesto → mentre in Francia abbiamo un contesto che è prevalentemente cittadino, in


cui la società industriale è a ermata, invece nel contesto a rontato da Verga abbiamo
prevalentemente un mondo agrario, più arretrato
● Finalità e risultati → da una parte l’“impegno” dello scrittore, cioè scrivere deve
essere un’attività sociale e politica (non è un caso che nasca in Francia → Zola, forte
della sua conoscenza dei fatti e del suo ruolo di scrittore, accusa il sistema politico e
sociale di aver messo
al bando un innocente come Refuse → J’accuse). Nel caso del verismo, questa idea
dell’impegno è molto meno presente, anzi si privilegia la letteratura, rinuncia al giudizio,
secchezza ed essenzialità → nonostante il fatto che Verga fosse un possidente terriero e
conservatore politico, la rappresentazione che ci da della realtà sociale dei suoi anni è
molto più e cace di quella consegnataci da altri scrittori progressisti.

GIOVANNI VERGA
1840 → Nasce a Catania da una famiglia nobile liberale e antiborbonica.
1858 → Si iscrive alla Facoltà di Legge a Catania, ma presto la abbandona per dedicarsi alla
letteratura.
1860 → Allo sbarco dei garibaldini si arruola nella Guardia Nazionale in favore dell’Unità
d’Italia.
1869 → Si trasferisce a Firenze, allora capitale d’Italia, dove frequenta i salotti intellettuali e la
vita mondana.
1872 → Si trasferisce a Milano, dove resterà per 20 anni. Qui ha contatti con gli scrittori della
Scapigliatura e conosce la narrativa europea. Negli stessi anni c’è a Milano anche l’amico
scrittore Capuana, che gli fa conoscere il Naturalismo francese.
1874 → Con la pubblicazione della novella Nedda inizia il processo di conversione al
Verismo.
1881 → Pubblica I Malavoglia.
1884 → Durante un viaggio a Parigi incontra gli scrittori Emile Zola ed Edmond de Goncourt,
esponenti del Naturalismo francese.
1890 → Torna de nitivamente a Catania, dove vive nei suoi possedimenti e si allontana sempre
di più dalla scrittura.
1920 → Viene nominato senatore a vita.
1922 → Muore a Catania.

SCAPIGLIATURA→ non è un movimento organizzato: si de nivano scapigliati un gruppo di


scrittori (soprattutto di Milano) che avversavano quelle che erano le convenzione della
letteratura dell’epoca e criticavano i modelli della società borghese → se la prendevano con i
grandi miti dell’epoca (es. Manzoni). Da una parte viene ri utata la tradizione, ma dall’altra si
nota una sorta di attrazione → non hanno un modello positivo da opporre, si pongono in una

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condizione di mera opposizione: ha a che fare con un certo modo di vivere zingaresco, proprio
degli artisti.
Questo con itto tra l’artista e la società è tipico del romanticismo europeo, che arriva tardi in
Italia (1857 → Le eur du mal). Quello che in Francia è stato ampliamento maturato, in Italia
non troviamo questo con itto tra artista e società.
Nel caso dei poeti scapigliati, tutto dalla vita alla produzione è integrato verso questa
opposizione alla società → introduzione al verismo e al decadentismo → casi che più o meno
accadono nello stesso periodo.
L’altro elemento è la rottura tra il signi cato e il signi cante → gli scapigliati si pongono in
una condizione di opposizione, ma riprendono lo stesso stile e la stessa lingua dei romantici

OPERE
Romanzi patriottici:
● Amore e patria (1856)
● I carbonari della montagna (1861-62)
● Sulle lagune (1963)

Romanzi mondani
● Una peccatrice (1966) → storia di un giovane commediografo catanese e del suo
rapporto con una seducente contessa, che lo porta a diventare un artista fallito.
● Storia di una capinera (1970) → storia di una giovane costretta a farsi monaca.
● Eva (1973) → narra le vicende di un pittore siciliano trapiantato a Firenze, che perde sé
stesso per amore di una ballerina.
● Tigre reale (1975) → racconta gli e etti corruttori esercitati sul protagonista da una
contessa russa.
● Eros (1975) → il cui protagonista si consuma progressivamente, no al suicidio.

Raccolte di novelle
● Vita dei campi (1880) → raccoglie novelle in cui è descritto il mondo della campagna
siciliana e la sua vitalità originaria. I personaggi di questi racconti sono estranei alle
situazioni arti ciali della vita cittadina e risultano dominati da passioni elementari. È un
mondo fuori dalla storia, fondato sulla ripetizione di ritmi sempre uguali, fatto di lavoro,
miseria, violenza, gerarchie, egoismi e codici di comportamento immutabili. La voce
popolare narrante spesso descrive i personaggi con sarcasmo e aggressività, creando un
contrasto con la tragicità delle vicende narrate. Fantasticheria, Jeli il pastore, Rosso
Malpelo, Cavalleria rusticana, La lupa, L'amante di Gramigna, Guerra di santi,
Pentolaccia
● Novelle rusticane (1882) → ripropongono ambienti e personaggi della campagna
siciliana, ma in prospettiva più amara e pessimista, portando in primo piano la miseria e

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la fame. Il mondo descritto in queste novelle si basa sul possesso della “roba”, sulla
ricerca della ricchezza, di fronte alla quale gli uomini perdono principi e valori. Il mondo
rurale non è idealizzato, ma rappresentato in tutti i suoi aspetti, sia positivi che negativi.
Il Reverendo, Cos'è il re, Don Licciu
Papa, Il Mistero, Gli orfani, La roba, Storia dell'asino di S. Giuseppe, Pane nero, I
galantuomini, Libertà, Di là dal mare
● Per le vie (1883) → riprende i temi di Novelle rusticane, ma in un’ambientazione
cittadina. Verga torna a raccontare la città come aveva fatto nei romanzi giovanili; questa
volta non parla però dell’ambiente borghese e mondano, ma preferisce la classe povera
cittadina.
● Ciclo dei vinti → si sarebbe dovuto comporre di cinque romanzi, in cui Verga voleva
rappresentare la lotta per la vita nelle diverse classi sociali, il cammino fatale verso il
progresso, quella umana che trascina via con sé i vinti, coloro che non riescono a stare al
passo. Nella crisi creativa che lo colpisce negli ultimi anni, lo scrittore lascia incompiuto
il progetto. Solo I Malavoglia e Mastro Don Gesualdo vengono pubblicati, mentre La
duchessa di Leyra, che avrebbe dovuto rappresentare il mondo della nobiltà travolto
dalla modernità, rimane allo stato di abbozzo. Gli ultimi due romanzi non saranno
nemmeno iniziati.
○ I Malavoglia → Storia di una famiglia di pescatori siciliani, colpiti da una serie di
disgrazie e dalle trasformazioni della modernità, che distrugge il loro mondo e li
riduce alla rovina. La famiglia stessa si disgrega progressivamente. Stile e
linguaggio si adattano, in conformità alla poetica verista, al mondo popolare
descritto.
○ Mastro Don Gesualdo → Racconta l’ascesa sociale di un muratore che riesce a
diventare ricco grazie alla sua intelligenza e alla sua forza di volontà. La ricchezza
non determina però la serenità dell’uomo e tantomeno garantisce il lieto ne della
storia. Mastro Don Gesualdo vede infatti disgregarsi gli a etti familiari e muore
solo. L’ambiente rappresentato è quello borghese e aristocratico e di conseguenza,
secondo il principio dell’impersonalità a della regressione, anche la cultura del
narratore e la lingua salgono rispetto alle opere precedenti.

Conversione al Vero → Rosso malpelo (1878)→ Verga si ripromette di indagare i


meccanismi della società cominciando dai ceti bassi per aumentare e procedere verso l’alto →
CICLO DEI VINTI: fantasmagoria della lotta per la vita
In Rosso Malpelo Verga mette insieme moduli che appartengono a tradizioni diverse → in certi
casi sembra che stia raccontando una aba → Verga era appassionato dell'etnologia: espressione
dei ceti popolari che si trova soprattutto nella aba → costante riferimento a immagini del mondo
animale → ranocchio, lavorava come una bestia, l’asino → relazione degli uomini improntata

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sull’animalità → idea che noi abbiamo degli animali, perché è il nostro comportamento verso le
“bestie”.

Da rosso malpelo si avvia l’idea del Ciclo dei vinti


Da una parte troviamo una dimensione ciclica della realtà → la routine dei pescatori; dall’altra
troviamo la storia che irrompe dentro questa dimensione ciclica (uni cazione → leva
obbligatoria, la guerra)

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Alle soglie della poesia novecentesca


I due grandi autori che introducono la poesia del 900 sono
- Gabriele D’Annunzio - Giovanni Pascoli

Contesto storico
Seconda metà dell’800 → identico sfondo socio economico del Romanticismo ma si accentua
ancora di più
● Il processo produttivo si fa sempre più razionale e organizzato → si allarga su scala
mondiale. Su scala mondiale signi ca anche che coinvolge di erenti classi sociali → i
nobili andavano a utilizzare merci che provenivano da altri luoghi già da secoli.
L’organizzazione del lavoro a scala globale si associa con i consumi di massa. Questo
comporta anche alle concentrazioni monopolistiche.
● Con la nascita della società di massa nasce anche la crisi dell'individuo → l’artista
subisce questa crisi, con anche l’ironia di chi sa che il proprio ruolo non solo è stata
messa in discussione, ma è anche marginale → il poeta vate è qualcosa del passato; nella
società moderna non c’è più spazio per questo ruolo → si assiste anche a una
declassazione non solo economica ma anche sociale → una volta che il poeta ha perso il
suo prestigio, cosa gli resta da fare? Il poeta può accentuare alcuni caratteri per farsi
notare e ritornare sulla ribalta:
○ poeta esteta che fa diventare la sua poesia un’opera → fa diventare la sua stessa
esistenza un’opera d’arte
○ poeta giocoliere che gioca con le parole e rinuncia apertamente al suo ruolo di
poeta
○ incarna il ruolo della vittima della società → poeta che piange, il poeta malato
Tutte queste maschere hanno numerose variazioni e anche risultati di erenti → a volte si
tratta anche di parodia, ma alla base c’è sempre la crisi → merci cazione dell'opera
d’arte → così come il pittore ha a che fare con il mercante d’arte che ha il ruolo di
vendere e creare un mercato attorno ai quadri → D’Annunzio è capace di capire le
dinamiche del mercato culturale che stanno cambiando (è un anticipatore).
Questa merci cazione ha come conseguenza la riduzione del pubblico → da una parte
abbiamo la massa, dall’altra abbiamo un pubblico elitario e ristretto
D’Annunzio scrive romanzi in cui ci sono lunghe descrizioni di ambienti → l’uomo
prepara l’incontro amoroso con la donna (attenzione ai dettagli) → tutto è preparato a
nché fare della propria vita un’opera d’arte → il lettore e la lettrice è qualcuno che
davanti a quelle descrizione sogna e immagina una realtà che non è la propria, ma a cui
vorrebbe tendere.
L'arte di d’Annunzio è stata perfezionata al fuoco nelle cronache bizantine →
d’Annunzio inizia a raccontare per i giornali che si occupano dei gossip dell’epoca,
soprattutto si

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concentrano su Roma, queste storie di tradimenti e di come erano vestiti


● Il con itto tra borghesia e proletariato → l'intellettuale proviene dalla borghesia ma
guarda al proletariato, alcune volte con una certa attenzione a un mondo a cui non
appartiene ma che vorrebbe interpretare, alcune volte anche con fastidio (d’Annunzio),
disprezzando la massa ma allo stesso tempo rivolgendosi alla massa

SIMBOLISMO→ reazione al materialismo del Positivismo, voce al sentimento del mistero


sotteso alla realtà → non tutto può essere spiegato con la ragione, anzi la profondità dell'essere
non può essere spiegata → è il mistero su cui si fonda la realtà. Il ruolo del poeta è andare in
fondo a questo mistero, quindi diventa il poeta come un sub, in virtù di una propria veggenza →
trovare un accordo nascosto tra le parole e le cose che a volte si può individuare non attraverso
un ragionamento ma una rivelazione.
Se la parola si trova di fronte a una certa insigni canza, c’è una resistenza possibile che è la
parola oscura, la quale attraverso le illuminazioni improvvise può rivelare un signi cato
nascosto.
Il signi cante stesso diventa signi cato → il suono della parola prima ancora di quello che signi
ca → poesia come musica → Wagner: opera totale → è possibile fondere poesia, musica e
attività performativa → teatro, l’opera lirica come arte totale

DECADENTISMO
Negli ultimi tempi si è veri cata una riduzione della gamma di signi cati del decadentismo e del
decadentismo come categoria storica.
Nasce tra la ne del 800 e l'inizio del 900. Origine del termine: da Languer, sonetto di Verlaine
(1884).
Sentimento della ne della civiltà
Temi che caratterizzano il decadentismo:
● attenzione verso la malattia → società malata → ma la malattia è considerata come uno
stato privilegiato di conoscenza → si ampli ca questa percezione anche attraverso le
droghe e l’alcool→ si ha questa idea di superare il limiti dell’uomo e della società
borghese → morte
● vitalismo → volontà di bruciare la vita, di vivere al massimo tutte le esperienze
● superomismo → Nietzsche e il superuomo → superamento dei limiti a cui l’uomo è
costretto dalla schiavitù morale borghese e cristiana → questa schiavitù lo rende debole
perché lo porta a prendersi cura alle persona più fragili. Ma così non c’è il superamento
→ raggiungimento di una nuova società non più schiava di una moralità . È anche il
rifugiato aristocratico della normalità
● eroe decadente → è il maledetto, l’esteta, l’inetto (colui che è incapace di portare avanti
un progetto di vita), la donna fatale, il fanciullino, il superuomo (velleitarismo
dannunziano)

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● scoperta dell’inconscio → forma di codi cazione dell'inconscio con freud → egli parte
da istanze positivistiche, però ci fa arrivare all’idea che l’io non è più padrone a casa sua
→ è controllato dall’inconscio. Il soggetto è scomposto → Freud, Marx (struttura e
sovrastruttura → qual è l'elemento che fa funzionare la società) e Nietzsche → tutto
questo mette in sospetto i discorsi consolidati dalla tradizione. Romanzo psicologico →
rivolto più che a rappresentare le azioni dei personaggi, le motivazioni interiori dei
personaggi stessi (i pensieri, i sentimenti)
→ non sempre questi pensieri si traducono in azioni, e a volte le azioni tradiscono i sentimenti.
● spiritualismo → tensione verso il mistero e il misticismo → panismo: teoria del tutto →
tutto può essere compreso non attraverso delle leggi razionali, ma attraverso l’intuizione
o il frammento: nel frammento può essere compreso il tutto. Il panismo non deve essere
confuso con il dio Pan → il dio pan che amava comparire all’improvviso, soprattutto nei
luoghi di passaggio o di scelta (bivi) e spaventare il viandante → questo ha generato la
paura di incontrare il dio pan → il panico è la paura di avere paura, di avere quella
sensazione di paura. Epifania → apparizione: è bene ca, salvi ca, qualcosa che porta alla
soluzione, che mostra o indica la soluzione
● estetismo → culto quasi religioso dell'arte, che non ha altri scopi → arte per l’arte →
arte pura: un’arte che a di erenza della concezione artistica di Manzoni (nesso
inscindibile tra bello, utile e vero). L‘arte trova in se stessa il proprio signi cato e i
proprio ne, che va oltre la morale.
● rivoluzione del linguaggio poetico → riscopre il valore magico della parole → serve a
evocare e entrare in risonanza con mondi lontani (esotismo), attenzione verso la
musicalità. Le gure privilegiate sono la metafora → collegamento tra sensi lontani che
sono legati da un ponte; e la sinestesia → gura retorica che coinvolge sfere sensoriali
diverse → allargamento della percezione

Decadentismo e Romanticismo a confronto


Troviamo dei caratteri comuni di continuità → questa continuità attraversa delle distinzioni
importante
Irrazionalismo → idea di ri uto della realtà → se il reale è razionale, allora nel ri utare la
ragione come modalità all’accesso al reale, di fatto si fugge dal reale stesso → si fugge dalla
realtà verso un altrove nel tempo e nello spazio, un altrove fantastico. Nel Romanticismo si
traduce in entusiasmo, anelito verso l’in nito, titanismo e ribellione. Invece nel
Decadentismo parliamo di stanchezza, smarrimento, presentimento della ne.
Se nel romanticismo si traduce in una predilezione per grandi sintesi (idealismo),
atteggiamento costruttivo che guarda alla totalità. Invece nel Decadentismo abbiamo la
predilezione verso il frammento, per le opere brevi e intense.
Se nel romanticismo questa idea costruttiva di tensione verso qualcosa che ancora non c’è ma
che si può creare, porta verso l’impegno, invece nel decadentismo l'impegno viene ri utato →

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i poeti non si impegnano nel migliorare la società.


Nel romanticismo abbiamo l'esaltazione del genio, della natura, della spontaneità e
dell’immediatezza; nel decadentismo abbiamo l'estetismo, principio dell’arte pura, e
l’esaltazione dell’arti cio → nel romanticismo si tende alla poesia che rappresenta la natura
il più vero possibile, invece nel decadentismo, tutta l'attenzione è rivolta verso l'arti cio e
l’arti ciale.
L’anelito religioso del romanticismo diventa misticismo nel decadentismo.
Se nel Romanticismo abbiamo la contrapposizione tra l’io e il il mondo, invece il
decadentismo per l’idea del panismo, c’è una identi cazione tra l’io e il mondo → l’uomo si
identi ca con il mondo e il mondo si identi ca con l’uomo
Se nel Romanticismo abbiamo un con itto tra l’uomo e la società, questo si allarga no a
rompersi → frattura tra intellettuale e società Il fascino del male e dell’oscurità del
romanticismo diventa gusti per la perversione e la crudeltà, per la corruzione
L'età privilegiata per il romanticismo è il medioevo → età sorgiva; il decadentismo guarda
soprattutto verso le epoche della decadenza (grecità alessandrina, tarda latinità, periodo
bizantino)

GABRIELE D’ANNUNZIO
Gabriele D’Annunzio nasce a Pescara nel 1863 da una famiglia più che benestante. Già dai
primi studi mostra subito un grande interesse per la letteratura ed è proprio negli anni del
collegio che pubblica la sua prima raccolta poetica (Primo Vere). Si trasferisce a Roma ai tempi
dell’università, iscrivendosi alla Facoltà di Lettere ma non termina gli studi e il periodo romano
sarà soprattutto un periodo di lavoro giornalistico, vita mondana, frequentazione di salotti
letterari e aristocratici. A Roma capisce che si sta creando un pubblico → Roma si costituisce
come la capitale d'Italia (aggrega dalla provincia tutta una serie di gure che trovano a Roma una
società che si sta formando)→ D’annunzio interpreta benissimo nella cronaca bizantina.
Mette in scena la sua gura di uno scrittore che fa della propria vita un'opera d’arte → una
vita che dà scandalo per i suoi amori e per la maschera dell’esteta.
Gli anni ‘90 sono da collocare il ciclo del superuomo → riconosciamo da una parte il
disprezzo per la borghesia (classe degli arricchiti che non hanno il sangue nobile), ma
dall’altre si rivolge soprattutto a loro, è il suo pubblico → d’Annunzio capisce le leggi del
mercato editoriale e culturale e di come questo mercato cerchi una gura dell’intellettuale a tutto
tondo. 1897 → avventura politica: da estrema destra a sinistra
1898 → il teatro
Questa sua idea di essere sempre il protagonista lo porta ad abbracciare situazioni
evidentemente contraddittorie per la moralità comune → il suo obiettivo è che si parli di lui
(contemporanea → oggi l’in uenza applica gli stessi sistemi).

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Con l’avvento del fascimo, Mussolini prende molti degli elementi di d'Annunzio, è necessario
metterlo da parte
1910 → fuga in Francia per debiti
1915→ volontario nella prima guerra mondiale (be a di Buccari, volo su Vienna)
1920 → impresa umana
Rapporti ambigui con il fascismo → esaltato come padre della patria, con nato nel “Vittoriale
degli Italiani”. D'Annunzio inventa molte parole → l’obiettivo era quello di tradurre delle
parole dall’inglese e adattarle all’italiano
Muore nel 1938
Fenomeno dannunzianesimo e rapporto con la cultura di massa → durante la sua vita ha
degli estimatori

Esordio: modelli Carducci e Verga


1882 Canto novo: modello Carducci, sentimento pagano della natura, vitalismo, morte.
Terra vergine: novelle, modello Verga per la tematica regionale, manca impersonalità e analisi
della lotta per la vita; matrice decadente: primitivo, eros, violenza; così anche Novelle della
Pescara
In realtà Verga e D’Annunzio condividono molta della loro vita e parti della loro tradizione
1889 → è l’anno di pubblicazione del Piacere e di Mastro Don Gesualdo

Fase dell’estetismo → in uenza dei poeti decadenti inglesi e francesi


1883 → Intermezzo di rime
1886 → Isaotta Guttadauro
1890 → Chimera

Il Verso è tutto → riprende nelle sue opere, soprattutto ne Il Piacere

1889 → Il Piacere → crisi dell’estetismo → non riesce a raggiungere il proprio scopo, non
riesce neppure a de nire lo scopo.
Le gure femminili principali del romanzo sono Maria Fares (rappresenta la gura verginale e
salvi ca) e Elena Muti (incarna la gura di Elena di Troia: donna seducente e distruttiva). Il
protagonista, Andrea Sperelli è incerto perché vuole fonderle insieme→ vuole creare una
gura che l’uomo può abbracciare sia in senso sico che intellettuale → dialettics donna-angelo
e femme fatale Nel momento di maggiore intimità, chiama la donna con il nome dell’altra →
d’Annunzio si prende gioco di questo personaggio → c’è una sorta di repulsione-attrazione
verso il protagonista, quindi l’estetismo è come una forza distruttiva

Anni Novanta: fase della bontà → in uenza del modello russo → Dostoevskij
Giovanni Episcopo (1891), L'innocente (1892), Il poema paradisiaco (1893).

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1892 → romanzi del superuomo


Prende da Nietzsche il ri uto del conformismo borghese e dell’etica della pietà. Prende anche
l’esaltazione dello spirito “dionisiaco” e della “volontà di potenza”, ma invece non prende la
critica alle ideologie e alle convenzioni.
L’aristocraticismo viene recuperato, però non viene ripresa l’idea di una umanità che va oltre
(prospettiva di un’umanità liberata dai dogmi e da ogni valore tradizionale) → per Nietzsche la
critica dei valori borghesi doveva servire a liberare e aprire a una nuova umanità (oltreuomo).
C’è il culto della civiltà greca classica e il contrasto dionisiaco/apollineo, invece manca la
critica al progresso e al mito del progresso (storicismo → la storia sia una linea tendenzialmente
positiva e progressiva).
incompiutezza → avvia dei cicli che però non riescono a concludersi

TEATRO
1898 → Città morta → teatro del superuomo; progetto di arte totale (Wagner). Ri uto del teatro
borghese per un teatro “di poesia”(personaggi d’eccezione e trama simbolica)
1904 → La figlia di Iorio → tragedia pastorale → recupero del teatro mitico → gusto
decadente verso il primitivo. Formule del linguaggio popolare

Le Laudi
Progetto di 7 libri (come le Pleiadi) cui giungono a compimento Maia, Elettra, Alcyone (1903),
Merope (1912) e Asterope (postumo)
● Maia → poema unitario di 8400 versi liberi → la poematicità vuol dire che la poesia si
dispiega su un numero maggiore di versi e disegna un quadro molto più ampio. Si tratta
di versi liberi → non ha uno schema di rima, di strofe e di versi prede nito dalla
tradizione:
segue uno schema che il poeta adatta alla situazione e soprattutto alla poesia → epoca di
crisi e anche la poesia subisce questa crisi: ormai si è sperimentato di tutto con tutte le
forme metriche [Ad esempio Leopardi non compone sonetti, perché ormai è una forma
che ha esaurito le sue potenzialità]. Si rompono questi schemi, si recupera la rima non in
maniera precostituita, ma adattandola alla musica della poesia stessa.
Il tema è il vitalismo gioioso e la comunione con la natura. Ulisse incarnazione del
superuomo; Ellade → recupero del passato mitico. Inno alla modernità capitalistica e
industriale che dissimula la paura dell’intellettuale. Lo stile è chiaro e c’è un'enfasi
retorica che a volte trascina nella propaganda reazionaria
● Elettra → oratoria e propaganda politica. Il tema principale è il passato e il futuro vs
il presente (polo negativo). Città del silenzio, esaltazione del medioevo e del
rinascimento
● Alcyone → racconta in versi un periodo di evasione durante le vacanze estive. Visione
panica della natura: fusione tra l’uomo e la natura, tra l’uomo, la donna e la natura →

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abbraccia anche il polo dell’alterità costituito dalla natura. Qui abbiamo una maggiore
musicalità e un linguaggio analogico.

La sera fiesolana (da Laudi, libro III, Alcyone) → parole che provengono da tradizioni diverse
e
contrastanti su ’l grano che non è biondo
Fresche le mie parole ne la sera ti sien ancóra e non è verde, e su ’l
come il fruscìo che fan le foglie del gelso fieno che già patì la falce e
ne la man di chi le coglie silenzioso e trascolora, e su gli olivi, su i
ancor s’attarda a l’opra lenta su l’alta fratelli olivi che fan di santità
scala che s’annera contro il fusto che pallidi i clivi e sorridenti.
s’inargenta con le sue rame spoglie Laudata sii per le tue vesti aulenti, o
mentre la Luna è prossima a le soglie cerule Sera, e pel cinto che ti cinge come il
e par che innanzi a sé distenda un velo ove il salce il fien che odora!
nostro sogno si giace e par che la campagna
già si senta da lei sommersa nel notturno Io ti dirò verso quali reami d’amor ci
gelo e da lei beva la sperata pace chiami il fiume, le cui fonti eterne a
senza vederla. l’ombra de gli antichi rami parlano
nel mistero sacro dei monti; e ti dirò
Laudata sii pel tuo viso di perla, o Sera, per qual segreto le colline su i limpidi
e pe’ tuoi grandi umidi occhi ove si tace orizzonti s’incùrvino come labbra che
l’acqua del cielo! un divieto chiuda, e perché la volontà
di dire le faccia belle oltre ogni uman
Dolci le mie parole ne la sera ti sien desire e nel silenzio lor sempre
come la pioggia che bruiva tepida e novelle consolatrici, sì che pare che
fuggitiva, commiato lacrimoso de la ogni sera l’anima le possa amare
primavera, d’amor più forte.
su i gelsi e su gli olmi e su le viti e
su i pini dai novelli rosei diti che Laudata sii per la tua pura morte, o
giocano con l’aura che si perde, e Sera, e per l’attesa che in te fa palpitare
le prime stelle!
La poesia è la trascrizione degli stati d’animo suscitati dall’apparire della sera nella campagna
di Fiesole (Firenze), in compagnia di un’amica (Duse) presente solo per discretissimi cenni. Le
protagoniste sono la sera e la natura che hanno un ruolo antropomor co, ogni aspetto naturale è
umanizzato.
La raccolta rimanda all’origine della letteratura italiana che viene recuperata anche attraverso
gli elementi della natura.
Una strofa di 14 versi è seguita da un terzetto a mo’ di antifona → tale schema è ripetuto 3
volte. Ogni strofa si apre con due endecasillabi e si chiude con un quinario. L’ottavo verso di

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ogni strofa è un endecasillabo e il quinario nale rima con il primo verso del terzetto. Nei terzetti
i versi mediani fanno assonanza fra loro. I terzetti hanno sempre lo stesso schema: il v. 1 è un
endecasillabo, con attacco sempre uguale Laudata sii; il v. 2 è un ternario sempre uguale O
Sera + verso di 12 sillabe; il v. 3 è un quinario.
Francescanesimo e antropomor smo del paesaggio sono i due assi della lettura della poesia.
Francescanesimo → nella lode alla sera riecheggia il Cantico delle creature → “fratellanza”
delle creature naturali e mistica “santità” del paesaggio
Antropomorfismo → introduce l’atteggiamento “mitico” di Alcyone, che non si ferma al puro
dato fisico, ma lo interpreta e lo tras gura in una sua particolare visuale → il paesaggio
“sente”, “patisce”, “parla” come se fosse una creature vivente
La prima strofa presenta la comparsa personi cata della Luna (v. 8) e l’immagine nale (vv. 11-
14) della campagna che “beve” la pace notturna. La triplice antifona introduce sempre un
vocativo alla Sera, personi cata in una creatura umana dal viso di perla e dai grandi umidi occhi
(vv. 15-16) e che in ne viene meno, cedendo alla notte in una morte indolore (vv. 49-51).
La seconda strofa accentua l’umanizzazione della natura → la pioggia è detta commiato
lacrimoso de la primavera (v. 21); i germogli dei pini sono chiamati novelli rosei diti e di essi si
dice che giocano con il vento (vv. 23-24); il eno patì la falce, ossia fu tagliato, ma con pietosa
umanizzazione; i fratelli olivi (di eco francescana) che sorridono (v. 31) ai colli. La terza strofa
prosegue allo stesso modo con il ume che chiama il poeta e la compagna, e le cui sorgenti
parlano misteriosamente (vv. 35-38); no alla fantasia delle colline paragonate a labbra
umane che custodiscono un segreto e che hanno un’apparenza consolatrice
Ognuna delle 3 strofe è composta di un solo periodo sintattico e ritmico, con frequenti
enjambement che ne garantiscono la uidità. Uso di alcuni dantismi: parole che provengono dalla
commedia o si riferiscono a quel caratteristico conio dei verbi (verbi che hanno in come
preverbo) → questa grande letterarietà di d’annunzio viene messa al servizio della descrizione
della natura.

Pioggia nel pineto (da Laudi, libro III, Alcyone)


Taci. Su le soglie di fiori accolti, su Odi? la pioggia
del bosco non i ginepri folti di cade su la solitaria
odo parole che coccole aulenti, verdura
dici piove su i nostri con un crepitìo che
umane; ma odo vólti silvani, dura e varia
parole più nuove piove su le nostre mani nell’aria secondo le
che parlano ignude, fronde più rade, men
gocciole e foglie su i nostri rade. Ascolta.
lontane. Ascolta. vestimenti Risponde al pianto il
Piove dalle nuvole leggieri, su i canto delle cicale
sparse. Piove su le freschi pensieri che il pianto
tamerici salmastre che l’anima australe non
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ed arse, piove sui schiude novella, impaura, né il ciel


pini scagliosi ed su la favola bella cinerino. E il pino
ha un suono, e il
irti, piove su i che ieri t’illuse, che
mirto altro suono, e
mirti divini, oggi m’illude, o
il ginepro altro
Ermione.
su le ginestre fulgenti ancóra, stromenti
diversi sotto Sola una nota quasi fatta virente, par da
innumerevoli dita. E ancor trema, si spegne, scorza tu esca. E tutta la
immersi risorge, trema, si spegne. vita è in noi fresca
noi siam nello spirto Non s’ode voce del mare. aulente, il cuor nel petto è
silvestre, d’arborea Or s’ode su tutta la fronda come pèsca intatta, tra le
vita viventi; e il tuo crosciare pàlpebre gli occhi son
vólto ebro è molle di l’argentea pioggia come polle tra l’erbe, i
pioggia come una che monda, denti negli alvèoli son
foglia, e le tue chiome il croscio che varia come mandorle acerbe. E
auliscono come le secondo la fronda più andiam di fratta in fratta,
chiare ginestre, o folta, men folta. or congiunti, or disciolti
creatura terrestre che Ascolta. La figlia (e il verde vigor rude ci
hai nome Ermione. dell’aria è muta; ma la allaccia i mallèoli
figlia del limo lontana, c’intrica i ginocchi) chi sa
Ascolta, ascolta. la rana, canta dove, chi sa dove! E piove
L’accordo delle aeree nell’ombra più fonda, su i nostri vólti silvani,
cicale a poco a poco più chi sa dove, chi sa piove su le nostre mani
sordo si fa sotto il pianto dove! E piove su le tue ignude, su i nostri
che cresce; ma un canto vi ciglia, vestimenti leggieri, su i
si mesce più roco Ermione. freschi pensieri che
che di laggiù sale, l’anima schiude novella,
dall’umida ombra remota. Piove su le tue ciglia nere su la favola bella che ieri
Più sordo e più fioco sì che par tu pianga ma di m’illuse, che oggi t’illude,
s’allenta, si spegne. piacere; non bianca ma o Ermione.
C’è una scansione stro ca, ma non riusciamo a identi care i versi → “strofa lunga” di 32 versi,
ripetuta 4 volte → sono di durata diversa e si adattano all’oggetto descritto: il poeta si pone in
ascolto delle parole della natura, che solo lui riesce ad interpretare
La prima parola è Taci → c’è un altro personaggio che è presente nella poesia ed è la donna che
lo accompagna, Ermione. Viene costantemente richiamata in causa.
La musicalità cambia → ritmo diverso in base ai diversi momenti. Questa orchestrazione
(Wagner) avviene tramite il signi cante della parola, cioè il suono, e attraverso gli elementi del
discorso che sono gli alberi, le foglie, gli animali presenti nella poesia. Questi elementi della
natura vengono de niti con parole proprie (es. gli alberi vengono descritti in base alla

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specie) → adamitico: il poeta è come un nuovo Adamo che richiama gli elementi della natura,
e chiamandoli li riporta in vita.
Al livello del signi cante → assonanze e allitterazioni:
- assonanza della O all’inizio, poi si passa all’assonanza della A, S e E(salmastre, arse),
poi cambia nell’assonanza della I, R e T (scagliosi, irti, mirti) → irti e mirti è una rima.
La sinfonia della pioggia è resa da degli e etti fonici → dipende come cade la pioggia fa un
rumore diverso

Agli elementi botanici si aggiunto gli elementi del mondo animale nella seconda strofa e ancora
altre piante → elementi che hanno una maggiore risonanza se li collochiamo nella tradizione
letteraria

La donna entra insieme all’uomo alla ne della strofa d’arborea vita


viventi
- gura etimologica → collegare due parole che hanno la stessa radice etimologica -

allitterazione della T (poi ripresa da volto) la metamorfosi dell’uomo avviene prima

con la similitudine

la pioggia cambia di suono → diventa meno vibrante anche se continuo e al suono della pioggia
si unisce il canto della rana → glia del limo
troviamo numerose ripetizioni (ascolta-ascolta, a poco a poco; si spegne - si spegne →
simmetria: due verbi che vengono accostati)

con penetrazione nella natura raggiunge la sua arme→ il pianto della pioggia diventa il pianto
della donna. In questa trasformazione della donna in albero → viene rimesso in versi l’episodio
par da scorza tu esca
tutti gli elementi di paragone appartengono al mondo delle piante
GIOVANNI PASCOLI
uno dei due pilastri che introducono alla letteratura del 900
Nasce nel 1855 a San Mauro di Romagna
10 agosto 1867 → morte del padre (violenta) → punto di origine di una catena di lutti e diventa
un episodio che da il via a una sorta di catena di violenta e si con gura come una tragedia
fondativa a cui fa costantemente riferimento sia in maniera esplicita che implicita (riferimenti
alla morte).
Nonostante la tragica situazione famigliare, intraprende una carriera di studio classico e poi la
carriera di insegnante che lo porterà a diventare docente di letteratura greca e latina in varie
università.

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Lavora nell’individuare una sorte di nido familiare che è stato distrutto dall’uccisione del padre
→ si tenta a ricomporre attraverso il contatto stretto con la sorella (rapporto molto morboso) e
rinuncia a crearsi una famiglia propria
1895 → matrimonio della sorella Ida, tenta di ricostruire la fantasia del nido familiare a
Castelvecchio di Barga → diventa una sorta di pendant, luogo in cui si rifugia e ambienta I
canti di Castelvecchio; inizia la carriera universitaria (Bologna, Messina, Pisa, Bologna) Muore
a Bologna nel 1912.

Produzione poetica → varia


1891 → prima edizione di Myricae
1897 → Poemetti
1903 → pubblicazione dei Canti di Castelvecchio e dei canti di Alcyone (D’Annunzio) 1904
→ Poemi conviviali

Poetica → La matrice della sua poetica è positivistica → questa eredità la troviamo in alcune
caratteristiche:
● precisione nella nomenclatura ornitologica e botanica → dire con precisione le cose.
Anche se poi la scienza viene criticata e ri utata, con l’idea della valorizzazione del
mistero dietro le cose. Questa attenzione verso le cose si vede in un saggio dove critica
Leopardi: Leopardi reca un mazzolin di rose e viole → esponente di una tradizione
letteraria che non si preoccupa di chiamare le cose con il proprio nome ma parlano in
generale: le rose e le viole non sbocciano nello stesso momento. Pascoli riconosce un
difetto della letteratura italiana, quella che viene soprattutto da Petrarca: una linea che
seleziona il lessico in cui hanno cittadinanza poche parole (rose e viole hanno
appartengono a questo lessico), invece bisogna fare poesia anche con tutti gli elementi
della natura, perché essi hanno la possibilità e la forza di entrare a far parte della poesia.
● La realtà è disgregata e frammentata → non è possibile ricomporre, ma questo
specchio infranto può essere richiamato attraverso il simbolo → il symbolon è un
oggetto che veniva spezzato in due parti: una parte rimaneva a un soggetto, invece l’altra
a un altro soggetto e stava ad indicare un patto fra i due → la parte rimanda al tutto,
quindi è simbolo all’oggetto intero e al patto. Le singole parti di cui è composta la realtà
che conosciamo rimandano a un tutto, anche se non riusciamo a comprendere il disegno,
però quel singolo frammento rimanda sempre, tramite le allusioni e corrispondenze, al
tutto, pre gurando una sorta di identità tra l’io e il mondo sotto forma simbolica (alogica)
● fanciullino → colui che si trova nel prima dell’ingresso della violenza nella storia, cioè
quel bambino che attende il ritorno del padre, ma ancora non sa che il padre non tornerà
perché è morto→ è il nucleo primigenio della poesia e che rappresenta una possibilità
impossibile perché la storia non può andare indietro. Allo stesso tempo è dentro di noi, è
quella voce nascosta, che con il diventare adulti tentiamo di so ocare: è la voce

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prerazionale (alogica, astorica). Il poeta deve mettersi in ascolta della voce del
fanciullino → gli mostrerà la realtà come è apparsa ai suoi occhi nuovi, innocenti. Il
bambino chiede un nome per la realtà, ecco che il fanciullino è un Adamo che dà il nome
alle cose (ma è diverso da quello di D’annunzio) → nel caso di Pascoli questa volontà
nomenclatoria è di tipo non razionale.
● ideologia politica → Pascoli aderisce al socialismo di matrice anarchica, in cui ri uta la
lotta di classe in nome di un’idea di concordia tra le classi → alla dialettica marxiana
sovrappone la sua conoscenza del mondo classico (sostituisce Virgilio e Cicerone a
Marx) → questi ideali di concordia trovano posto nelle opere classiche di Cicerone e di
Virgilio (Bucoliche→ viene esaltato le piccole proprietà terriera, in cui il contadino è
proprietario della terra, che però è in via di estinzione: le guerre civili hanno creato un
ceto di soldati professionisti, che alla ne della guerra trovano come premio un
appezzamento di terreno che poi passa ai latifondisti; e Eneide). Pascoli guarda nel mito
del piccolo proprietario terriero una possibilità per l’Italia in cui c’è il contadino che
grazie ai propri sforzi riesce a sostenere la famiglia → anche ai tempi di Pascoli non
esiste questo mito (il padre stesso di Pascoli era un latifondista → motivo per cui è stato
ucciso). Lo collega con l’ideologia del nido → la piccola proprietà terriera è il nido.
Di fronte all’avventura coloniale dice che è giusto che l’Italia (nazione proletaria) cerchi
altre terre, in modo da allargare il con ne del nido per dare a più persone un pezzo di
terra → nazionalismo

Raccolte poetiche
epigrafe → frase che viene posta dopo il titolo. Nel caso di Pascoli vengono riprese dalla IV
bucolica di Virgilio → “Paulo maiora canamus / non omnes arbusta iuvant humilesque
myricae” →
● Myricae: arbusta iuvant humilesque myricae (1891-1911) → piacciano gli arbusti e le
piccole tamerici: viene eliminata la negazione. Pascoli vuole cantare cose piccole e
dimesse proprie di un paesaggio familiare e le poesia corrispondono a questo intento
tematico anche dal punto di vista stilistico: non si tratta di canzoni o di sonetti, ma di
forme più umili
0 tema dell’orfano → viene de nito il romanzo dell’orfano. L’io lirico che proclama
l’assenza del padre e il suo abbandono ed è collegato con il tema del nido
○ nido → natura come argine alla violenza della storia
○ varietà di forma e di metrica
○ grande capacità di utilizzare stili del passato in maniera nuova → innovazione
nella tradizione (uso del novenario → metro del passato)
○ frammentismo → brevità ; il verso viene scisto al proprio interno in parti più
piccole collegate per paratassi; aperture ex abrupto: il poeta fa un discorso
interiore in cui emerge la poesia

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● Poemetti (1897): Primi Poemetti (1904) e Nuovi Poemetti (1909) → una poesia di tipo
più disteso e narrativo → Paulo maiora: un po’ più grandi
0 taglio narrativo (terzine dantesche) → la commedia di Dante è una delle opere
maggiori che Pascoli conosceva. La terzina ha la capacità di raccontare in maniera
più distesa i versi
○ romanzo georgico
○ viene celebrata la piccola proprietà terriera → utopia regressiva (culto di un
mondo in via di sparizione)
○ tras gurazione della realtà umile → le piccole cose vengono rievocate attraverso
l’epos
○ mescolanza di semplicità e ra natezza
○ temi eccentrici: inquietitudine del sesso (Digitale purpurea), il dramma
dell’emigrazione (Italy)

● Canti di Castelvecchio (1903) → arbusta iuvant humilesque myricae → si collegano


alla raccolta myricae
○ Ciclo naturale come rifugio rassicurante e consolante
○ Castelvecchio viene de nito come nuovo nido. Il tema della morte è presente con
maggiore insistenza → è come se la poesia invece di funzionare come
elaborazione del lutto (qualcosa che si interiorizza) è una ferita che viene
costantemente riaperta → il tema del nido e della morte si ra orza e cresce. È
come se il poeta ha sacri cato tutta la sua esistenza a questo mito → trova in
questo tema una forma di ricompensa, per questo viene continuamente rievocato.
○ Temi morbosi.

● Poemi conviviali (1904). Pubblicati sul Convito → non omnes arbusta iuvant. ○ Clima
estetizzante (derivante dalla poesia parnassiana)
○ Ricostruzione del mondo antico (preziosa erudizione), ma con sensibilità moderna.

● Carmina latini (raccolti e pubblicati postumi, 1915) ○ Personaggi umili, umanitarismo


cristiano.
○ Lingua: latino rivissuto, ritmo spezzato come nelle poesie italiane

● Odi ed inni (1906) → canamus: Poemi italici (1911-1914), Canzoni di re Enzio


(1908-1909), Poemi del Risorgimento (1913)
○ poeta vate, celebratore delle glorie nazionali

● Saggi: sulla propria poetica (Il fanciullino), su Leopardi, Manzoni, Dante. Antologie
scolastiche.

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○ Fanciullino come veggente, «nuovo Adamo», poesia come scoperta e conoscenza.


○ Prosa colloquiale, dimessa. Tono sostenuto ed enfatico nei discorsi uciali.

Temi
● Ingegno versatile, impronta unitaria.
● Assassinio del padre come mito originario e originante: poesia della (mancata)
elaborazione del lutto (e sua perpetuazione).
● Il simbolo del nido, evento traumatico e mito regressivo:
○ regressione anagra ca: idealizzazione della fanciullezza;
○ regressione sociale: mondo arcaico della campagna;
○ regressione storico-culturale verso i primordi della civiltà occidentale
(classicismo).
● Immagine del celebratore della realtà piccolo borghese: intenti pedagogici, predicazione
umanitaria e sentimentalismo. Cantore delle piccole cose, è il Pascoli che ha avuto una
grande fortuna scolastica e che predica la necessità del perdono e della concordia.
● Sensibilità decadente, inquieta, tormentata, morbosa: indagatore del mistero che è al di là
delle cose più usuali. Rappresentazione dell’irrazionale, del sogno e della visione. Nido
come baluardo contro le angosce della realtà contemporanea, ma nello stesso tempo
deposito delle pulsioni più oscure e inquietanti.

Soluzioni formali
Ponte verso il Novecento
● Sintassi → prevalenza della coordinazione sulla subordinazione, frasi ellittiche, costrutti
nominali → visione alogica dell’esperienza, atmosfera visionaria e straniata.
● Lessico → mescolanza di codici diversi, superamento del monolinguismo petrarchesco;
Contini: linguaggio pregrammaticale (fonosimbolismo, onomatopee) e post
grammaticale (termini tecnici, nomenclatoria scienti ca, lingue speciali, varianti nello
spazio o nel tempo, latino) → rapporto tra io e mondo non più tradizionale, ma critico.
Estensione del diritto di cittadinanza poetica a tutti gli elementi della realtà (compimento
del Romanticismo).
● Metrica → apparentemente tradizionale, ma rimodulata con cadenze ritmiche inedite;
frantumazione di verso e sintagma; Contini: «accordo eretico» con la tradizione.
● Figure retoriche → linguaggio analogico, allusivo ed ellittico; sinestesia; astratto al posto
di aggettivo («nero di nubi»).

Lavandare da Myricae, sezione Ultima passeggiata, IV


Nel campo mezzo grigio e mezzo nero resta un
aratro senza buoi, che pare dimenticato, tra il
vapor leggero.

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E cadenzato dalla gora viene lo


sciabordare delle lavandare con tonfi
spessi e lunghe cantilene:

Il vento soffia e nevica la frasca, e tu non


torni ancora al tuo paese! quando partisti,
come son rimasta! come l’aratro in mezzo
alla maggese.

Durante una passeggiata nella campagna, Pascoli ascolta il canto di un gruppo di lavandare al
lavoro → è un canto triste, che accenna a una situazione di abbandono e solitudine la quale
corrisponde allo spoglio paesaggio autunnale e soprattutto nell’aratro dimenticato in mezzo alla
campagna
Si nota una netta tripartizione tematica coincidente con le 3 strofe: nella prima terzina domina
l’elemento visivo (il campo mezzo grigio e mezzo nero, l’aratro e la nebbia leggera), nella
seconda quello uditivo (lo sciabordare, il canto), mentre la quartina nale viene riportata la
canzone cantata dalle lavandare che parla di una giovane donna abbandonata dall’innamorato e
che è rimasta sola come l’aratro in mezzo al campo → c’è un TU: uomo lontano che è partito e
che non fa ritorno → il soggetto lirico si de nisce: è una donna. La lirica è quindi circolare: si
apre e si chiude con l’immagine- simbolo dell’aratro abbandonato
che rappresenta la solitudine → l’immagine ha anche un riferimento sessuale → donna che
rimane ferma e abbandonata
Lavandare → può essere sia verbo che sostantivo: infatti il titolo è ambiguo. Le lavandare sono
le donne che andavano al ume o alla fontana a lavare i panni, accompagnando i gesti con questi
canti e con i suoni che vengono emessi da questa sorta di rito.
In questa poesia viene inserito un verso di un canto romagnolo (il vento che soffia e nevica la
frasca) → inserimento di elementi preesistenti che appartengono alla tradizione popolare, che
vengono ripresi e riutilizzati.
A livello metrico, la rima imperfetta frasca - rimasta (vv. 7-9) allude alla metrica del canto
popolare, così come le rime interne dimenticato - cadenzato (vv. 3-4) e sciabordare lavandare
(vv. 4-5). Il ritmo ricorda una cadenza lenta e ripetitiva, ulteriormente rallentata dal
enjambement del v. 3 (dimenticato) → riproduce il carattere faticoso del lavoro delle lavandaie.

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Il lampo e Il tuono da Myricae, sezione Tristezze


E cielo e terra si mostrò qual era: E nella notte nera come il nulla, a un
la terra ansante, livida, in tratto, col fragor d’arduo dirupo che
sussulto; il cielo ingombro, frana, il tuono rimbombò di schianto:
tragico, disfatto: bianca bianca rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e
nel tacito tumulto una casa apparì tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e
sparì d’un tratto; come un occhio, poi vanì. Soave allora un canto s’udì,
che, largo, esterrefatto, s’aprì si di madre, e il moto di una culla
chiuse, nella notte nera.
Le due poesie si riferiscono a degli eventi atmosferici collegati tra loro:
LAMPO → impressione immediata che dura un attimo → la luce del lampo può rappresentare
un’improvvisa presa di coscienza del dolore e dell’insensatezza della vita. È quindi forte
l’antitesi tra il mondo sconvolto e la casa bianca bianca che appare improvvisa, come unico
porto sicuro → è il nido. L’obiettivo iniziale di Pascoli era quello di descrivere gli ultimi istanti
di vita del padre → analogia: il lampo è la fucilata che colpisce il padre, il cui occhio si apre
spalancato agli ultimi istanti di vita per poi chiudersi nel nero della morte. Inoltre cielo e terra
vorrebbero il verbo al plurale, ma Pascoli utilizza il singolare era per rendere la natura un unico
elemento, quasi un essere vivente che si lascia attraversare dal dolore. Il ritmo è concitato e
spezzato dando rapidità alla successione degli eventi e delle sensazioni che avvengono quasi
simultaneamente. climax → v.2 simmetria → v.3 elemento coloristico → v. 4 come un occhio
→ simbolismo: un elemento che viene associato ad un altro attraverso un’associazione di idee
notte nera → elemento coloristico
il TUONO è diverso dal lampo. Qui è più evidente il tema del fanciullino e del nido Se nel
lampo a dominare sono gli elementi coloristici, qui predominano gli e etti fonici con questo
inseguire il tuono nel ripercorre anche il suono e il suo movimento fonico. Il poeta racconta il
fragore improvviso suscitato dal tuono, che lascia spazio al silenzio, interrotto da un suono
rassicurante: la ninna nanna cantata da una madre a un bambino in culla.
nesso dentale + liquida → v. 2
v. 2 → assonanza e onomatopee
v. 3 → allitterazione della O
v. 4 → la tempesta si allontana quindi il suono si acquieta
Pascoli aveva un nominativo che era Svani → v. 6 : vanì
Alla ne della poesia ritorna il tema del nido, in cui il male non era ancora arrivato nella sua vita
→ il terrore del tuono è reso sereno dal canto di una madre e dal moto di una culla → Se la casa
(v. 5) de Il lampo rappresentava il “nido”, il rifugio protettivo, che però appariva e spariva
subito dopo, qui l’immagine della madre e del bambino suggerisce una quiete più duratura.
Il legame tra i due testi è esplicitato anche dalla ripresa, a incipit de Il tuono, del sintagma nella
notte nera presente nel verso di chiusura de Il lampo.

X agosto da Myricae, sezione Elegie → canto malinconico

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San Lorenzo, io lo so perché tanto


di stelle per l’aria tranquilla Anche un uomo tornava al suo
arde e cade, perché sì gran nido:
pianto nel concavo cielo l’uccisero: disse: Perdono; e
restò negli aperti occhi un
sfavilla.
grido: portava due bambole,
in dono... Ora là, nella casa
Ritornava una rondine al tetto: romita, lo aspettano,
l’uccisero: cadde tra spini: aspettano, in vano: egli
ella aveva nel becco un insetto: la immobile, attonito, addita le
cena de’ suoi rondinini. Ora è là, bambole al cielo lontano. E
come in croce, che tende quel tu, Cielo, dall’alto dei mondi
verme a quel cielo lontano; e il sereni, infinito, immortale,
suo nido è nell’ombra, che oh! d’un pianto di stelle lo
attende, che pigola sempre più inondi quest’atomo opaco del
piano. Male!
● tutta la poesia è costruita per simmetrie a due a due → si riconosce una macrostruttura e
una microstruttura
● abbiamo un’alternanza tra decasillabo e novenario all’interno della stessa strofa. La rima
è di tipo alternato → è un e etto voluto perché c’è un richiamo alla ninna
nanna: cerca di farsi coraggio per la tragedia che viene raccontata → la tragedia viene
raccontata anche attraverso riferimenti al mondo animale → rondine
● le 4 strofe più narrative sono incorniciate dall’evento atmosferico → notte di san
Lorenzo (presente nella prima strofa e nell’ultima).
● invoca anche il Dio padre → Cielo → riferimento alla trascendenza.Un Dio che non si
cura degli uomini, che abita nell’alto dei cieli → dio lucreziano: che non si preoccupa
degli in niti mondi
● sinestesia → occhi aperti un grido
● pianto di stelle → c’è qualcosa che ti commuove, sei portato a nutrire una forma di
compassione verso questo atomo opaco del Male (mondo) → la terra è intrisa dal male:
è un male che non si può estirpare; oppure è un atomo reso opaco da male → il male è
qualcosa che appartiene alla terra, quindi all’uomo, oppure è qualcosa che è venuto dopo,
quindi si può eliminare?

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Il gelsomino notturno da Canti di Castelvecchio


E s'aprono i fiori notturni
nell'ora che penso a' miei cari. Un'ape tardiva sussurra
Sono apparse in mezzo ai trovando già prese le celle.
viburni le farfalle crepuscolari. La Chioccetta per l'aia
azzurra va col suo pigolio
Da un pezzo si tacquero i di stelle.
gridi: là sola una casa
bisbiglia. Sotto l'ali Per tutta la notte s'esala
dormono i nidi, come gli l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
occhi sotto le ciglia.
brilla al primo piano: s'è
spento... È l'alba: si chiudono
Dai calici aperti si esala i petali un poco gualciti; si
l'odore di fragole rosse. cova, dentro l'urna molle e
Splende un lume là nella sala. segreta, non so che felicità
nuova.
Nasce l'erba sopra le fosse.
● è una poesia che viene o erta a un amico che si sposa → il tema delle nozze è alluso
attraverso dei riferimenti, ma è anche collegato al tema della morte → è messo davanti il
tema della morte → penso ai miei cari. Notte come il momento di pensiero alla morte
● deittici → là indica qualcosa di lontano al poeta → qualcosa che non appartiene alla
biogra a di Pascoli
● nidi e occhi vengono associati di nuovo
● terza strofa → riferimenti descrittivi che richiamano l’atto sessuale (la donna è vergine)
→ si chiudono i petali un poco gualciti → riferimento che appartiene al simbolismo:
simbologia del ore
● attenzione ai verbi e agli aggettivi → collegamento tra l’amore e la morte
● esala → richiama l’ultimo respiro
● erba sopra le fosse → allude sia al sesso femminile che alla morte (fosse)
● l’urna molle e segreta → riferimento all’utero che al sepolcro → riferimento classico del
ritorno al grembo femminile e alla morte

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● l’ultimo verso può alludere a una nuova vita, però il poeta non conosce questa
felicità, non gli appartiene → non so V
Oh! No: non c’era lì né pie nè flavour né
tutto il resto. Ruppe in un gran pianto:
«Ioe, what means nieva? Never? Never?
Italy da Primi Poemetti Never?»
Canto primo
IV Oh! no: starebbe in Italy sin tanto ch’ella
[…] guarisse: one month or two, poor Molly!
E Ioe godrebbe questo po’ di scianto.

Mugliava il vento che scendea dai colli


bianchi di neve. Ella mangiò, poi muta fissò
la fiamma con gli occhioni molli.

Maria guardava. Due rosette rosse Venne, sapendo della lor venuta, gente, e
aveva, aveva lagrime lontane negli qualcosa rispondeva a tutti Ioe, grave:
occhi, un colpo ad or ad or di tosse. «Oh yes, è fiero... vi saluta…

La nonna intanto ripetea: “Stamane fa molti bisini, oh yes... No, tiene un


freddo!„ Un bianco borracciol consunto fruttistendo... Oh yes, vende checche, candi,
mettea sul desco ed affettava il pane. scrima…
Conta moneta! Può campar coi frutti…
Pane di casa e latte appena munto.
Dicea: «Bimbina, state al fuoco: nieva! Il baschetto non rende come prima...
Nieva!» E qui Beppe soggiungea Yes, un salone, che ci ha tanti bordi...
compunto: Yes, l’ho rivisto nel pigliar la stima...»

«Poor Molly! Qui non trovi il pai con


fleva!»
il poemetto è quel genere più lungo, di tipo narrativo.
uno dei tratti tipici di Pascoli sono i tre puntini → indica la sospensione del discorso, ma allo
stesso tempo indica un discorso diretto → dialogicità interna, in cui troviamo la presenza di un
sistema io-tu (il tu è presente, si trova accanto al poeta) → in Italy abbiamo una famiglia di
immigranti che torna temporaneamente nel paese natale per curare la glia malata: la ragazza non
capisce l’italiano → c’è una mescolanza tra dialetto e inglese parlato dagli immigranti

perizia tecnica nel far rimanere l’italiano e l’inglese → confusione tra le lingue (neve-
never[mai] → la bambina crede che non tornerà mai in America che è la sua casa)

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quella della sua compagna; e l’una e

l’altra guardano lontano.


Digitale purpurea da Primi poemetti
Siedono. L’una guarda l’altra. L’una esile Vedono. Sorge nell’azzurro intenso del
e bionda, semplice di vesti e di sguardi; ciel di maggio il loro monastero, pieno
ma l’altra, esile e bruna, di litanie, pieno d’incenso.

l’altra… I due occhi semplici e modesti Vedono; e si profuma il lor pensiero


fissano gli altri due ch’ardono. «E mai non d’odor di rose e di viole a ciocche, di
ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti sentor d’innocenza e di mistero.

E negli orecchi ronzano, alle bocche


salgono melodie, dimenticate, là, da
tastiere appena appena tocche…

più?» «Non più, cara.» «Io sì: ci ritornai; e Oh! quale vi sorrise oggi, alle grate,
le rividi le mie bianche suore, e li rivissi i ospite caro? onde più rosse e liete
dolci anni che sai; tornaste alle sonanti camerate

quei piccoli anni così dolci al cuore…» oggi: ed oggi, più alto, Ave, ripete, Ave
L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi Maria, la vostra voce in coro; e poi d’un
quell’orto chiuso? i rovi con le more? tratto (perché mai?) piangete…

i ginepri tra cui zirlano i tordi? i bussi Piangono, un poco, nel tramonto d’oro,
amari? quel segreto canto misterioso, senza perché. Quante fanciulle sono
con quel fiore, fior di…?» nell’orto, bianco qua e là di loro!

«morte: sì, cara». «Ed era vero? Tanto io Bianco e ciarliero. Ad or ad or, col suono
ci credeva che non mai, Rachele, sarei di vele al vento, vengono. Rimane
passata al triste fiore accanto. qualcuna, e legge in un suo libro buono.

Ché si diceva: il fiore ha come un miele che In disparte da loro agili e sane, una
inebria l’aria; un suo vapor che bagna spiga di fiori, anzi di dita spruzzolate
l’anima d’un oblìo dolce e crudele. di sangue, dita umane, l’alito ignoto
spande di sua vita.
Oh! quel convento in mezzo alla montagna
«Maria!» «Rachele!» Un poco più le mani
cerulea!» Maria parla: una mano posa su
si premono. In quell’ora hanno veduto la
fanciullezza, i cari anni lontani.

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Memorie (l’una sa dell’altra al muto ciocche. Nel cuore, il languido fermento


premere) dolci, come è tristo e pio il d’un sogno che notturno arse e che s’era
lontanar d’un ultimo saluto! all’ alba, nell’ ignara anima, spento.

«Maria!» «Rachele!» Questa piange, Maria, ricordo quella grave sera. L’aria
«Addio!» soffiava luce di baleni silenzïosi.
dice tra sé, poi volta la parola grave a M’inoltrai leggiera,
Maria, ma i neri occhi no: «Io,»
cauta, su per i molli terrapieni erbosi.
mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola ero I piedi mi tenea la folta erba. Sorridi?
con le cetonie verdi. Il vento portava odor E dirmi sentia: Vieni!
di rose e di viole a
Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi… (l’altra lo stupore alza
degli occhi, e vede ora, ed ascolta con un
suo lungo brivido…) si muore!»

Due amiche si incontrano dopo tanto tempo e rievocano la comune giovinezza in convento. Ria
ora un particolare per entrambe importante: la digitale purpurea, un ore dall’odore dolciastro e
stregato che, secondo le suore, avrebbe ammaliato e ucciso chiunque lo avesse annusato.
Le donne che Pascoli presenta sono antitetiche: Maria è bionda, modesta e “semplice di vesti e
di sguardi”, mentre Rachele è esile, ma ha lo sguardo ardente ed è bruna. Maria riprende i tratti
della sorella che conduce l’intera vita col poeta, mentre Rachele potrebbe essere una donna
inventata (come a erma Maria in un suo scritto) oppure potrebbe riprendere le caratteristiche
dell’altra sorella del poeta che, attraverso il matrimonio, ha odorato la digitale purpurea, ovvero
ha provato la trasgressione consumando un atto sessuale. Rachele ha dunque un segreto: ha
odorato il ore che le ha fatto provare l’abbandono dei sensi.

Prima parte → È presente il linguaggio post-grammaticale e il fonosimbolismo (ginepri zirlano


tordi) e l’argomento è caratterizzato dal contrasto tra l’ingenuità di Maria e la spregiudicatezza
di Rachele che, nel momento in cui Maria non ricorda il nome del ore, è pronta a dire che quello
è il ore della morte. Ecco allora che il or di morte assume valore simbolico e si carica di
mistero.
Seconda parte → presenta il ricordo e la mescolanza di sensazioni visive, uditive e olfattive. Le
due amiche, tenendosi l’una con la mano sulla spalla dell’altra, rievocano le vicende del passato
che si materializzano profondamente nel presente. Esse rievocano il monastero → è
introdotto un trapasso tra suoni e profumi (litanie-profumo) e tra odori e suoni (melodie-odore
delle rose).

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Vengono rievocati i momenti della visita dei parenti nel convento e i pianti di alcune educande
che ricevono la visita di un loro spasimante e si rendono conto di essere isolate dal resto del
mondo. Le giovani hanno abiti bianchi e lunghi e si muovono in un ambiente così sereno che
presenta però in un angolo un raggruppamento di “dita umane spruzzolate di sangue” che
emanano il loro profumo. Si tratta dei ori della digitale purpurea che vengono umanizzati. È
presente l’opposizione tematica tra il candore delle fanciulle, sottolineato dalla presenza delle
rose e delle viole e dalle loro vesti bianche, e il senso del mistero, sottolineato dal profumo della
digitale. terza parte → ritorno al presente.
Rachele piange e confessa il suo peccato a Maria, senza alzare i suoi occhi scuri per la vergogna
e il senso di colpevolezza. Rachele a erma di aver sentito il profumo della digitale e con un
ashback ricorda la sera in cui aveva odorato il ore, presa da una voce ipnotica. Il poeta non
chiarisce quale sia la sua trasgressione. Potrebbe, perciò, trattarsi di: un sogno in cui Rachele
prova la sensazione della sensualità amorosa; la visita di uno spasimante a cui lei ha ceduto;
l’assunzione della droga. digitale purpurea → simbolo della trasgressione. Molti critici
pensano che la digitale sia strettamente collegata all’eros. Pascoli era traumatizzato e
ossessionato dall'amore erotico tanto che lo delega sempre ad altri.

● opposizione tra innocenza e sensualità rappresentato dalle due gure femminili: Maria
rappresenta l’innocenza (esile e bionda, semplice di vesti e di sguardi...due occhi
semplici e modesti) mentre Rachele rappresenta la sensualità (esile e bruna…occhi
ch’ardono)
● ambiguità della natura → il ore della digitale purpurea è bello e dolce però ha una
struttura a forma di dita insanguinate ed è un ore che strega e ammalia. Quel “vieni!
Vieni!” sembra detto dal ore → la natura è umanizzata, però in senso negativo, poiché
porta alla perversione.
● nel testo si ha la presenza di quattro dei cinque sensi: sensazioni visive (il ricordo del
monastero), sensazioni uditive (le litanie, le preghiere, i canti), sensazioni olfattive (il
profumo ammaliante della digitale purpurea) e sensazioni tattili ( le due donne si tengono
per mano; una posa la mano sulla spalla dell’altra)

AVANGUARDIE
Avanguardie → deriva dal francese avant garde → ambito semantico del lessico militare:
truppe speciali che hanno il compito di avanzare nel territorio nemico, quindi rappresentano la
punta avanzata dell’esercito. Nella letteratura si intendono degli anticipatori e innovatori, degli
elementi di rottura che possono costituire un possesso stabile.

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CREPUSCOLARI → nel 1910 indica il lento spegnersi della poesia dopo la stagione d’oro di
Carducci e D’Annunzio → ha una connotazione negativa rispetto all’apice degli autori esteti.
Questa de nizione non dispiacque ai protagonisti, infatti rimanda al tratto del crepuscolo → si
intende la parte del giorno che anticipa la sera, quindi l’ultima luce del sole prima delle tenebre
(il crepuscolo può essere anche quello del mattino).
Anche i crepuscolari sono orientati verso i modelli europei, soprattutto francesi e belgi e
guardano a Pascoli come un maestro, soprattutto per la sua poetica delle piccole cose Due
grandi scuole fanno base su Torino e Roma

Temi
● crepuscolo → atmosfera vaghe, chiaroscuri , dichiarazioni di stanchezza (si dichiarano
stanchi i poeti dopo una lunghissima tradizione letteraria),
● svuotamento dell’interno dei signi cati e delle forme della letteratura tradizionale
(mentre D’Annunzio aveva rotto con le forme tradizionali dalla forma interna, i
crepuscolari preferiscono utilizzare forme tradizionali che però vengono svuotate
dall’interno)
● attraversamento di d’Annunzio per approdare un proprio territorio → per la mole della
sua produzione e per la sua varietà e per la sua importanza culturale dell’epoca era un
riferimento ineludibile: non c’era campo della letteratura in cui d’Annunzio non si fosse
cimentato. Avere un modello così vasto ha bisogno di un attraversamento, cioè
attraversare vuol dire confrontarsi con le scene linguistiche: Gozzano lo attraversa grazie
all'ironia
● ra orzarsi del pubblico borghese, che concepisce l’arte e la letteratura come oggetti
di consumo → questa concezione viene tematizzata e entra a far parte della poesia. Nel
mondo borghese i valori poetici entrano in crisi, la poesia è venduta e scambiata → i
crepuscolari rispondono in maniera negativa (Io non sono un poeta) oppure in una forma
di resa (Lasciatemi divertire - Palazzeschi) e di rinunce
● malattia, debolezza dello spirito → non una malattia vissuta in maniera eroica o
romantica, ma intesa come il lento spegnersi; minaccia costante anche se apparentemente
l’individuo è sano
● se il poeta non è più poeta, che cos’è? Certo non è il borghese pratico o il mercante
abituato a maneggiare la ricchezza: non è né l’uno e né l’altro. Si vergognano davanti al
vizio della letteratura, si nascondono dietro i temi e gli stili.

Autori
● Sergio Corazzini → costantemente piange la propria malattia
● Marino Moretti → canta la quotidianità
● Guido Gozzano → usa i toni dell'ironia e la poetica dello shock, ma anche lui si sente
invecchiato presto. Anche per lui possiamo parlare del tema dell'inettitudine

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Caratteristiche formali
Spesso ci troviamo di fronte a una catalogazione degli oggetti → se non c’è un vero e proprio
centro, l'elemento ci dà l’immagine del mondo in via di disfacimento, oppure in cui convivono
oggetti di epoche diverse e di gusti diversi → antropomor smo ininterrotto. L’elenco
privilegia la paratassi, accostare frasi anche senza un senso logico → dialogismo (rivolgersi a
un tu → nella poesia entra il dialogo).
La raccolta di Gozzano si chiama Colloqui. Si tratta di una lingua colloquiale, apparentemente
comune, ma è intersiata da un lessico letterario spesso ricavato dal vocabolario dannunziano.
Anche il lessico è usato in maniera ironica (viene rovesciato) e caricaturale (il linguaggio viene
accentuato con i caratteri). Però con la distanza del tempo non sempre sono facili da cogliere →
cambia la percezione. Gozzano la realizza facendo cozzare l’aulico col prosaico (Montale) →
elementi alti con elementi bassi attraverso la rima dissoluzione dei signi cati delle parole in un
puro valore fonico → le parole perdono la loro semanticità per conservare solo un impronta
linguistica (uso di lastrocche, ritornelli, reduplicazione di lessemi). Pascoli parla di lingua pre
grammaticale (lingua che precede la costruzione dei signi cati ed esalta i suoni → onomatopee)
e post grammaticale (in cui convivono lessici di diverse lingue o di registri diversi).

Sergio Corazzini
Desolazione del povero poeta sentimentale da Piccolo libro inutile, 1906
Perché tu mi dici: poeta? specchio, come un povero specchio
Io non sono un poeta. Io non sono che melanconico.
un piccolo fanciullo che piange. Vedi che io non sono un poeta:
Vedi: non ho che le lagrime da offrire al sono un fanciullo triste che ha voglia di
Silenzio. morire.
Perché tu mi dici: poeta? IV
II Oh, non maravigliarti della mia tristezza! E
Le mie tristezze sono povere tristezze non domandarmi;
comuni. io non saprei dirti che parole così vane, Dio
Le mie gioie furono semplici, semplici mio, così vane, che mi verrebbe di piangere
così, che se io dovessi confessarle a te come se fossi per morire. Le mie lagrime
arrossirei. Oggi io penso a morire. avrebbero l’aria di sgranare un rosario di
III tristezza davanti alla mia anima sette volte
Io voglio morire, solamente, perché dolente ma io non sarei un poeta; sarei,
sono stanco; solamente perché i semplicemente, un dolce e pensoso fanciullo
grandi angioli su le vetrate delle cui avvenisse di pregare, così, come canta e
catedrali mi fanno tremare d’amore e come dorme.
d’angoscia; solamente perché, io V
sono, oramai, rassegnato come uno Io mi comunico del silenzio,
cotidianamente, come di Gesù.

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E i sacerdoti del silenzio sono i A Cesena da Il giardino dei frutti, 1916


romori, poi che senza di essi io non Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, ospite
avrei cercato e della mia sorella sposa, sposa da sei, sette
trovato il Dio mesi appena.
VI
Questa notte ho dormito con le mani in Batte la pioggia il grigio borgo, lava la
croce. faccia della casa senza posa, schiuma a
Mi sembrò di essere un piccolo e piè delle gronde come bava.
dolce fanciullo dimenticato da tutti gli
umani, povera tenera preda del primo Tu mi sorridi. Io sono triste. E forse
venuto; e desiderai di essere venduto, triste è per te la pioggia cittadina, il
di essere battuto di essere costretto a nuovo amore che non ti soccorse,
digiunare per potermi mettere a
piangere tutto solo, disperatamente il sogno che non ti avvizzì, sorella che
triste, in un angolo oscuro. guardi me con occhio che s'ostina a
VII dirmi bella la tua vita, bella,
Io amo la vita semplice delle cose.
Quante passioni vidi sfogliarsi, a bella! Oh bambina, o sorellina, o nuora, o
poco a poco, per ogni cosa che se ne sposa, io vedo tuo marito, sento, oggi, a
andava! chi dici mamma, a una signora;
Ma tu non mi comprendi e sorridi.
E pensi che io sia malato. so che quell’uomo è il suocero dabbene
VIII che dopo il lauto pasto è sonnolento, il
Oh, io sono, veramente malato! babbo che ti vuole un po' di bene…
E muoio, un poco, ogni giorno.
Vedi: come le cose. «Mamma!» tu chiami, e le sorridi e vuoi
Non sono, dunque, un poeta: ch’io sia gentile, vuoi ch’io le sorrida, che
io so che per essere detto: poeta, le parli dei miei viaggi, poi… poi quando
conviene viver ben altra vita! Io non siamo soli (oh come piove!) mi dici rauca di
so, Dio mio, che morire. Amen non so che sfida corsa tra voi; e dici, dici
dove,
è monotematica → il tema che ruota è tutto centrato sul fatto di non essere un poeta,
ma di essere un piccolo fanciullo che piange. Il titolo è una sorta di a ermazione nella
quando,
negazione → nega di essere un poeta ma scrive in versi. Il linguaggio è colloquiale ma
come,
ci sono delle forme letterarie e arcaiche (catedrali, angioli) → tessere che rimandano
perché;
a una tradizione letteraria posseduta da Corazzini.
ripeti
Non de nirsi poeta ma allo stesso tempo fare poesia, anche facendola attraverso modi
ancora
tradizionali.
quando,
lessico e semantica religiosa troppo insistita, è quasi una posa → è un immaginario
come,
che viene recuperato quasi in maniera ologra ca.
perché;
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Marino Moretti
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chiedi consiglio con un sorriso non più Tra nuova gente, nuove cure, nuove
tuo, di nuora. tristezze, e a me parla… così, senza
Parli d’una cognata quasi dolcezza, mentre piove o spiove:
avara che viene spesso per casa
col figlio e non sai se temerla o «La mamma nostra t’avrà detto che… E
averla cara; poi si vede, ora si vede, e come! sì, sono
incinta... Troppo presto, ahimè!
parli del nonno ch’è quasi al
tramonto, il nonno ricco, del tuo Sai che non voglio balia? che ho speranza
Dino, e dici: «Vedrai, vedrai se lo d’allattarlo da me? Cerchiamo un nome…
terrò di conto»; Ho fortuna, è una buona gravidanza…»

parli della città, delle signore che Ancora parli, ancora parli, e guardi le
già conosci, di giorni felici, di cose intorno. Piove. S'avvicina l'ombra
libertà, d’amor proprio, d’amore. grigiastra. Suona l’ora. È tardi.

Piove. È mercoledì. Sono a Cesena, E l’anno scorso eri così bambina!


sono a Cesena e mia sorella è qui
tutta d'un uomo ch’io conosco
appena
situazione assolutamente normale → c’è il poeta che va a visitare la sorella che si è sposata e
ha cambiato città → il dialogo con la sorella viene inserito nella poesia il primo verso è quasi
un telegramma
la voce della sorella viene inserita all’interno della poesia
si tratta di terzine di endecasillabi (metro della grande tradizione letteraria) → però non
tratta i grandi temi della letteratura, ma si tratta del trionfo della banalità. continua a
resistere la rima → è una rima incatenata
E l’anno scorso eri così bambina! → nostalgia verso una sorella che è cambiata, ma è diventata
una donna

GUIDO GOZZANO
Nasce a Torino nel 1883. Studi irregolari, è noto anche per la relazione irrequieta con la
poetessa Amalia Guglielminetti.
Sedotto dalle pose di d’Annunzio, Gozzano si atteggiò per qualche tempo a esteta dilettante,
frequentando gli ambienti mondani. Però questo periodo fu breve poiché Gozzano assunse il pro
lo di borghese di provincia, chiuso nel suo “piccolo mondo”, nel quale preferisce le cose
semplici e un po’ fuori moda. Nel 1907 gli venne diagnosticata la tubercolosi e per questo
cominciarono i soggiorni in località marine e in montagna per cercare di rallentare il decorso
della malattia. Appunto per questo nel 1912 intraprese un viaggio in India, il quale gli ispirò una

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serie di prose in forma epistolare che fu pubblicata nel 1917, dopo la sua morte, avvenuta nel
1916 a Torino.
1907 → La via del rifugio → per Gozzano la via del rifugio è la poesia che lo porta lontano
dagli altri e dalle distrazioni della vita cittadina, perciò si ritira in campagna, dove torna indietro
nel tempo attraverso i ricordi del proprio passato. In essi ritrova anche lo slancio vitale e
l’incanto perduto della fanciullezza.
1911 → I colloqui → 24 liriche. Il titolo dà maggiore importanza alla poetica perché si
concentra sul registro intimo e dimesso dei versi, simile a quello di una conversazione tra amici.
I testi sono raggruppati in 3 sezioni: Il giovenile errore, Alle soglie e Il reduce. Negli anni della
prima giovinezza, Gozzano ha sognato di vivere un giorno una vita romanzesca con una
passione intensa e travolgente, ma ciò si è rivelato un inganno letterario, perché amori del
genere, e soprattutto morti romantiche, sono caratteristiche solo dei romanzi. L’unica verità è la
morte nella vita reale, la quale è priva di fascino e viene accolta senza slanci romantici. Ciò che
salva dalla disperazione è l’ironia, la quale fa raggiungere all’uomo la serenità in modo da
guardare al mondo con il dovuto distacco.
1917 → Verso la cuna del mondo . Lettera dall’India → diario che racconta il viaggio verso
l’oriente, terra di origine e luogo in cui tornare

Il suo stile è legato alla tradizione → lessico preciso e incisivo, verso regolare ed elaborazione
elegante
Il protagonista delle poesie è il poeta guidogozzano → non è l’autore: crea una maschera
letteraria che per molti tratti corrisponde a sé., ma questa è una maschera, quindi può
permettersi di prendersi in giro.È un altro modo di interpretare la vita come letteratura di
d’Annunzio, ma in versione antieroica e abbassata, modesta. Fa una logica dismessa, in cui la
sua cifra è l’ironia e l’autoironia. Sminuisce la sua vita, ma per questo la mette sempre al
centro decadimento delle cose → Poeta dell’obsolescenza programmata (Sanguineti). Sembra
presentarci cose destinate a invecchiare precocemente, come se stesso, per questo non può
portare a termine nessun progetto

La signorina Felicita ovvero La Felicità da I colloqui, sezione Alle soglie


10 luglio: Santa Felicita. Signorina Felicita, è il tuo giorno!
A quest’ora che fai? Tosti il caffè: e il
I. buon aroma si diffonde intorno? O
Signorina Felicita, a quest’ora cuci i lini e canti e pensi a me,
scende la sera nel giardino antico all’avvocato che non fa ritorno? E
della tua casa. Nel mio cuore amico l’avvocato è qui: che pensa a te.
scende il ricordo. E ti rivedo ancora,
e Ivrea rivedo e la cerulea Dora e Pensa i bei giorni d’un autunno addietro,
quel dolce paese che non dico. Vill’Amarena a sommo dell’ascesa coi suoi

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ciliegi e con la sua Marchesa dannata, e II.


l'orto dal profumo tetro di busso e i cocci Quel tuo buon padre - in fama d’usuraio
innumeri di vetro sulla cinta vetusta, alla quasi bifolco, m’accoglieva senza
difesa... inquietarsi della mia frequenza, mi
parlava dell’uve e del massaio, mi
Vill’Amarena! Dolce la tua casa in confidava certo antico guaio notarile, con
quella grande pace settembrina! La somma deferenza.
tua casa che veste una cortina di «Senta, avvocato...» E mi traeva inqueto
granoturco fino alla cimasa: come nel salone, talvolta, con un atto che
una dama secentista, invasa dal leggeva lentissimo, in segreto. Io
Tempo, che vestì da contadina. l’ascoltavo docile, distratto da quell’odor
d’inchiostro putrefatto, da quel disegno
Bell’edificio triste inabitato! strano del tappeto,
Grate panciute, logore, contorte!
Silenzio! Fuga delle stanze morte! da quel salone buio e troppo vasto... «... la
Odore d’ombra! Odore di passato! Marchesa fuggì... Le spese cieche...» da
Odore d’abbandono desolato! quel parato a ghirlandette, a greche...
Fiabe defunte delle sovrapporte! «dell’ottocento e dieci, ma il catasto...» da
quel tic-tac dell’orologio guasto...
Ercole furibondo ed il Centauro, la «...l’ipotecario è morto, e l’ipoteche...»
gesta dell’eroe navigatore, Fetonte e
il Po, lo sventurato amore d’Arianna, Capiva poi che non capivo niente e
Minosse, il Minotauro, Dafne sbigottiva: «Ma l’ipotecario è morto, è
rincorsa, trasmutata in lauro tra le morto!!...» - «E se l’ipotecario è morto,
braccia del Nume ghermitore... allora...» Fortunatamente tu comparivi
tutta sorridente: «Ecco il nostro malato
Penso l’arredo - che malinconia! immaginario!»
penso l’arredo squallido e severo,
antico e nuovo: la pirografia sui III.
divani corinzi dell’Impero, la Sei quasi brutta, priva di lusinga nelle
cartolina della Bella Otero alle tue vesti quasi campagnole, ma la tua
specchiere... Che malinconia! faccia buona e casalinga, ma i bei
capelli di color di sole, attorti in
Antica suppellettile forbita! minutissime trecciuole, ti fanno un tipo
Armadi immensi pieni di lenzuola di beltà fiamminga...
che tu rammendi pazïente... Avita
semplicità che l’anima consola, E rivedo la tua bocca vermiglia così
semplicità dove tu vivi sola con tuo larga nel ridere e nel bere, e il volto
padre la tua semplice vita! quadro, senza sopracciglia, tutto

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sparso d’efelidi leggiere e gli occhi Maddalena con sordo brontolio


fermi, l’iridi sincere azzurre d’un disponeva gli arredi ben detersi,
azzurro di stoviglia... rigovernava lentamente ed io, già
smarrito nei sogni più diversi,
Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi accordavo le sillabe dei versi sol
rideva una blandizie femminina. ritmo eguale dell’acciottolio.
Tu civettavi con sottili schermi,
tu volevi piacermi, Signorina: e più Sotto l’immensa cappa del camino
d’ogni conquista cittadina mi (in me rivive l’anima d’un cuoco forse...)
lusingò quel tuo voler piacermi! godevo il sibilo del fuoco; la canzone
d’un grillo canterino mi diceva parole, a
Ogni giorno salivo alla tua volta poco a poco, e vedevo Pinocchio, e il mio
pel soleggiato ripido sentiero. Il destino...
farmacista non pensò davvero
un’amicizia così bene accolta, Vedevo questa vita che m’avanza:
quando ti presentò la prima volta chiudevo gli occhi nei presagi grevi;
l’ignoto villeggiante forestiero. aprivo gli occhi: tu mi sorridevi, ed
ecco rifioriva la speranza!
Talora - già la mensa era imbandita mi
trattenevi a cena. Era una cena d’altri Giungevano le risa, i motti brevi dei
tempi, col gatto e la falena e la giocatori, da quell’altra stanza.
stoviglia semplice e fiorita e il
commento dei cibi e Maddalena IV. Bellezza riposata dei solai dove il
decrepita, e la siesta e la partita... rifiuto secolare dorme! In quella tomba,
tra le vane forme di ciò ch’è stato e non
Per la partita, verso ventun’ore sarà più mai, bianca bella così che
giungeva tutto l’inclito collegio sussultai, la Dama apparve nella tela
politico locale: il molto Regio Notaio, enorme:
il signor Sindaco, il Dottore; ma -
poiché trasognato giocatore quei «È quella che lasciò, per infortuni, la casa
signori m’avevano in dispregio... al nonno di mio nonno... E noi la
confinammo nel solaio, poi che porta
M’era più dolce starmene in cucina pena... L’han veduta alcuni lasciare il
tra le stoviglie a vividi colori: tu quadro; in certi noviluni s’ode il suo passo
tacevi, tacevo, Signorina: godevo lungo i corridoi...»
quel silenzio e quegli odori tanto
tanto per me consolatori, di basilico Il nostro passo diffondeva l’eco tra quei
d’aglio di cedrina... rottami del passato vano, e la Marchesa
dal profilo greco, altocinta, l’un piede

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ignudo in mano, si riposava all’ombra Ecco - pensavo - questa è l’Amarena,


d’uno speco arcade, sotto un bel cielo ma laggiù, oltre i colli dilettosi, c’è il
pagano. Mondo: quella cosa tutta piena di lotte e
di commerci turbinosi, la cosa tutta
Intorno a quella che rideva illusa nel piena di quei «cosi con due gambe» che
ricco peplo, e che morì di fame, v’era una fanno tanta pena...
stirpe logora e confusa: topaie,
materassi, vasellame, lucerne, ceste, L’Eguagliatrice numera le fosse, ma
mobili: ciarpame reietto, così caro alla quelli vanno, spinti da chimere vane,
mia Musa! divisi e suddivisi a schiere opposte,
intesi all’odio e alle percosse: così
Tra i materassi logori e le ceste come ci son formiche rosse, così
v’erano stampe di persone egregie; come ci son formiche nere...
incoronato delle frondi regie v’era
Torquato nei giardini d’Este. Schierati al sole o all’ombra della Croce,
«Avvocato, perché su quelle teste tutti travolge il turbine dell’oro; o Musa -
buffe si vede un ramo di ciliegie?» oimè - che può giovare loro il ritmo della
mia piccola voce? Meglio fuggire dalla
Io risi, tanto che fermammo il passo, guerra atroce del piacere, dell’oro,
e ridendo pensai questo pensiero: dell’alloro...
Oimè! La Gloria! un corridoio basso,
tre ceste, un canterano dell’Impero, L’alloro... Oh! Bimbo semplice che fui,
la brutta effigie incorniciata in nero e dal cuore in mano e dalla fronte alta!
sotto il nome di Torquato Tasso! Oggi l’alloro è premio di colui che tra
clangor di buccine s’esalta, che sale
Allora, quasi a voce che richiama, cerretano alla ribalta per far di sé
esplorai la pianura autunnale favoleggiar altrui...
dall’abbaino secentista, ovale, a
telaietti fitti, ove la trama del vetro «Avvocato, non parla: che cos’ha?»
deformava il panorama come un «Oh! Signorina! Penso ai casi miei, a
antico smalto innaturale. piccole miserie, alla città... Sarebbe
dolce restar qui, con Lei!...»
Non vero (e bello) come in uno smalto «Qui, nel solaio?...» - «Per l’eternità!»
a zone quadre, apparve il Canavese: «Per sempre? accetterebbe?...»
Ivrea turrita, i colli di Montalto, la «Accetterei!»
Serra dritta, gli alberi, le chiese; e il
mio sogno di pace si protese da quel Tacqui. Scorgevo un atropo soletto
rifugio luminoso ed alto. e prigioniero. Stavasi in riposo alla
parete: il segno spaventoso chiuso

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tra l’ali ripiegate a tetto. Come lo Stagioni camuse e senza braccia, fra
vellicai sul corsaletto si librò con mucchi di letame e di vinaccia,
un ronzo lamentoso. dominavano i porri e l’insalata.

«Che ronzo triste!» - «È la Marchesa in L’insalata, i legumi produttivi


pianto... deridevano il busso delle aiole;
La Dannata sarà, che porta pena...» volavano le pieridi nel sole e le
Nulla s’udiva che la sfinge in pena e cetonie e i bombi fuggitivi... Io ti
dalle vigne, ad ora ad ora, un canto: O parlavo, piano, e tu cucivi
mio carino tu mi piaci tanto, siccome innebriata dalle mie parole.
piace al mar una sirena... «Tutto mi spiace che mi piacque
innanzi! Ah! Rimanere qui,
Un richiamo s’alzò, querulo e rôco: «È sempre, al suo fianco, terminare
Maddalena inqueta che si tardi: la vita che m’avanzi tra questo
scendiamo: è l’ora della cena!» - «Guardi, verde e questo lino bianco! Se
guardi il tramonto, là... Com’è di fuoco!... Lei sapesse come sono stanco
Restiamo ancora un poco!» - «Andiamo, è delle donne rifatte sui romanzi!
tardi!»
«Signorina, restiamo ancora un poco!...» Vennero donne con proteso il cuore:
ognuna dileguò, senza vestigio. Lei
Le fronti al vetro, chini sulla piana, sola, forse, il freddo sognatore
seguimmo i neri pipistrelli, a frotte; educherebbe al tenero prodigio: mai
giunse col vento un ritmo di campana, non comparve sul mio cielo grigio
disparve il sole fra le nubi rotte; a quell’aurora che dicono: l’Amore...»
poco a poco s’annunciò la notte sulla
serenità canavesana... Tu mi fissavi... Nei begli occhi fissi
leggevo uno sgomento indefinito; le
«Una stella!...» - «Tre stelle!...» - mani ti cercai, sopra il cucito, e te le
«Quattro stelle!...» «Cinque stelle!» - strinsi lungamente, e dissi: «Mia
«Non sembra di sognare?...» Ma ti cara Signorina, se guarissi ancora,
levasti su quasi ribelle alla perplessità mi vorrebbe per marito?»
crepuscolare: «Scendiamo! È tardi:
possono pensare che noi si faccia cose «Perchè mi fa tali discorsi vani?
poco belle...» Sposare, Lei, me brutta e poveretta!...»
E ti piegasti sulla tua panchetta facendo
V. al viso coppa delle mani, simulando
Ozi beati a mezzo la giornata, nel singhiozzi acuti e strani per celia, come
parco dei Marchesi, ove la traccia fa la scolaretta.
restava appena dell’età passata! Le

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Ma, nel chinarmi su di te, m’accorsi Tu non fai versi. Tagli le camicie per
che sussultavi come chi singhiozza tuo padre. Hai fatta la seconda classe,
veramente, né sa più ricomporsi: mi t’han detto che la Terra è tonda, ma tu
parve udire la tua voce mozza da gli non credi... E non mediti Nietzsche...
ultimi singulti nella strozza: «Non mi Mi piaci. Mi faresti più felice
ten...ga mai più... tali dis... corsi!» d’un’intellettuale gemebonda...

«Piange?» E tentai di sollevarti il viso Tu ignori questo male che s’apprende


inutilmente. Poi, colto un fuscello, ti in noi. Tu vivi i tuoi giorni modesti,
vellicai l’orecchio, il collo snello... tutta beata nelle tue faccende. Mi
Già tutta luminosa nel sorriso ti piaci. Penso che leggendo questi miei
sollevasti vinta d’improvviso, versi tuoi, non mi comprenderesti, ed
trillando un trillo gaio di fringuello. a me piace chi non mi comprende.

Donna: mistero senza fine bello! Ed io non voglio più essere io! Non
più l’esteta gelido, il sofista, ma
VI. vivere nel tuo borgo natio, ma vivere
Tu m’hai amato. Nei begli occhi fermi alla piccola conquista
luceva una blandizie femminina; tu mercanteggiando placido, in oblio
civettavi con sottili schermi, tu volevi come tuo padre, come il farmacista...
piacermi, Signorina; e più d’ogni
conquista cittadina mi lusingò quel tuo Ed io non voglio più essere io!
voler piacermi!
VII.
Unire la mia sorte alla tua sorte Il farmacista nella farmacia
per sempre, nella casa centenaria! m’elogïava un farmaco sagace:
Ah! Con te, forse, piccola consorte «Vedrà che dorme le sue notti in pace:
vivace, trasparente come l’aria, un sonnifero d’oro, in fede mia!»
rinnegherei la fede letteraria che Narrava, intanto, certa gelosia con
fa la vita simile alla morte... non so che loquacità mordace.

Oh! questa vita sterile, di sogno! «Ma c’è il notaio pazzo di quell’oca!
Meglio la vita ruvida concreta del Ah! quel notaio, creda: un capo ameno!
buon mercante inteso alla moneta, La Signorina è brutta, senza seno,
meglio andare sferzati dal bisogno, ma volgaruccia, Lei sa, come una cuoca...
vivere di vita! Io mi vergogno, sì, mi E la dote... la dote è poca, poca:
vergogno d’essere un poeta! diecimila, chi sa, forse nemmeno...»

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«Ma dunque?» - «C’è il notaio furibondo Luna, prigioniera fra le sbarre, imitava
con Lei, con me che volli presentarla a Lei; con sue luci bizzarre gli amanti che si
non mi saluta, non mi parla...» «È baciano in eterno.
geloso?» - «Geloso! Un finimondo!...»
«Pettegolezzi!...» - «Ma non Le nascondo Bacio lunare, fra le nubi chiare come
che temo, temo qualche brutta ciarla...» di moda settant’anni fa!
Ecco la Morte e la Felicità! L’una
«Non tema! Parto.» - «Parte? E va m’incalza quando l’altra appare; quella
lontana?» m’esilia in terra d’oltremare, questa
«Molto lontano... Vede, cade a mezzo promette il bene che sarà...
ogni motivo di pettegolezzo...» «Davvero
parte? Quando?» - «In settimana...» VIII.
Ed uscii dall’odor d’ipecacuana nel Nel mestissimo giorno degli addii
plenilunio settembrino, al rezzo. mi piacque rivedere la tua villa. La
morte dell’estate era tranquilla in
Andai vagando nel silenzio amico, quel mattino chiaro che salii tra i
triste perduto come un mendicante. vigneti già spogli, tra i pendii già
Mezzanotte scoccò, lenta, rombante su trapunti di bei colchici lilla.
quel dolce paese che non dico. La
Luna sopra il campanile antico pareva Forse vedendo il bel fiore malvagio
«un punto sopra un gigante». che i fiori uccide e semina le brume, le
rondini addestravano le piume al
In molti mesti e pochi sogni lieti, primo volo, timido, randagio; e a me
solo pellegrinai col mio rimpianto randagio parve buon presagio
fra le siepi, le vigne, i castagneti accompagnarmi loro nel costume.
quasi d’argento fatti nell’incanto; e
al cancello sostai del camposanto «Vïaggio con le rondini stamane...» «Dove
come s’usa nei libri dei poeti. andrà?» - «Dove andrò! Non so...
Vïaggio, vïaggio per fuggire altro
Voi che posate già sull’altra riva, immuni vïaggio... Oltre Marocco, ad isolette
dalla gioia, dallo strazio, parlate, o strane, ricche in essenze, in datteri, in
morti, al pellegrino sazio! Giova banane, perdute nell’Atlantico
guarire? Giova che si viva? O meglio selvaggio...
giova l’Ospite furtiva che ci affranca dal
Tempo e dallo Spazio? Signorina, s’io torni d’oltremare,
non sarà d’altri già? Sono sicuro di
A lungo meditai, senza ritrarre la ritrovarla ancora? Questo puro
tempia dalle sbarre. Quasi a scherno amore nostro salirà l’altare?» E
s’udiva il grido delle strigi alterno... La

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vidi la tua bocca sillabare a poco a «Sono partite...» - «E non le salutò!...»


poco le sillabe: giuro. «Lei devo salutare, quelle no: quelle
terranno la mia stessa via: in un palmeto
Giurasti e disegnasti una ghirlanda della Barberia tra pochi giorni le
sul muro, di viole e di saette, coi nomi ritroverò...»
e con la data memoranda trenta
settembre novecentosette... Giunse il distacco, amaro senza fine,
Io non sorrisi. L’animo godette quel e fu il distacco d’altri tempi, quando
romantico gesto d’educanda. le amate in bande lisce e in crinoline,
protese da un giardino venerando,
Le rondini garrivano assordanti, singhiozzavano forte, salutando
garrivano garrivano parole d’addio, diligenze che andavano al confine...
guizzando ratte come spole,
incitando le piccole migranti... Tu M’apparisti così, come in un cantico del
seguivi gli stormi lontananti ad uno Prati, lacrimante l’abbandono per
ad uno per le vie del sole... l’isole perdute nell’Atlantico; ed io fui
l’uomo d’altri tempi, un buono
«Un altro stormo s’alza!...» - «Ecco sentimentale giovine romantico...
s’avvia!»
Quello che fingo d’essere e non sono!
Parla di questo poeta che si sposta dalla città verso la campagna. Entra dentro questa piccola
comunità cittadina. In questa casa di campagna c’è la signorina Felicita → c’è qualcosa di
buono (faccia buona e casalinga) topos della belleza femminile → i bei capelli di color di sole
La donna viene paragonata a un quadro di autori amminghi → riferimento iconogra co che
attesta la grande conoscenza del poeta che paragona la donna a un’iconogra a nota
la bocca vermiglia → termine colto che però viene accompagnato dal volgare così larga nel
ridere e nel bere
cambia sempre di tono → passa dal colto al volgare
Al poeta piace che la donna cerca di conquistarlo, come se ci fosse una sorta di saggezza
originaria, naturale → gli piaceva essere al centro dell’attenzione. Anche una donna così
semplice mette in atto strategie di seduzione per conquistarlo → conquista cittadina Dopo
comincia la parte narrativa elenco → disposizione di tipo paratattico → le cose del passato
che però continuano a vivere in ambiente marginale, in cui resistono anche se sono
condannate alla sparizione. Questo rito fatto di piccole consuetudini ironia → usare parole e
espressioni auliche per de nire una semplice partita a carte Si trova in cucina mentre stanno
governando la cucina (lavano i piatti, li sistemano) → il silenzio è spezzato solo dal rumore
dei gesti abitudinari → dichiarazione di poetica: versi regolari rimati; accordavo le sillabe dei
versi / sul ritmo eguale dell’acciottolio → una poesia che nasce in cucina famigliare.

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Il poeta sognatore, che nell’ambiente del focolare domestico, pensa a Pinocchio (riferimento
letterario), chiude gli occhi e gli sovvengono presagi negativi. Il sorriso di Felicita diventa un
motivo di speranza, una possibilità di un’altra vita
La narrazione si sposta al solario, dove tra gli oggetti appare un quadro di una vecchia signora
→ l’ex proprietaria che lasciò la casa al nonno del nonno → clima quasi spiritico Dichiarazione
di poetica: abbiamo da una parte il quadro che rappresenta lo stile neoclassico (descrizione del
quadro): intorno a lei c’è un ammasso di oggetti → ciarpame reietto, così caro alla mia Musa!
Confonde l’alloro poetico con le ciliegie → qualcosa di più conosciuto, ma anche qualcosa che
è più utile economicamente, rispetto alla poesia
Il poeta ride dell’ignoranza della donna, ma anche della gloria poetica → anche la gloria
rappresentata dal quadro è un oggetto tra gli oggetti, destinato a essere scaricato nella so tta.
Abbandonare la vita letteraria per unirsi alla vita costituita dalle piccole cose con questa piccola
moglie
Vergogna della poesia → si contrappone la vita borghese,la quale è utile. Quella del poeta è una
vita sterile, che non porta a nulla
Non vuole essere più l’esteta gelido (d’annunzio) o il so sta →l’ideale è una vita all’indietro,
passatista. Il poeta decide di abbandonare e lasciare tutto e dire addio
Fino alla ne non sappiamo chi è, neppure lui lo sa. Anche la scena nale è apertamente costruita
secondo la tradizione romantica popolare (quella di Prati). Lui fa la parte dell’amato che lascia,
ma non ci crede a atto.

ANARCHICI → rappresentano una linea più trasgressiva, che assume un atteggiamento


provocatorio rispetto ai crepuscolari. Hanno una sorta di libertà assoluta,
di fatto scompare il concetto poetico: qualsiasi aspetto della realtà può essere rappresentato
dalla poesia. Gli autori si muovono nel territorio tra crepuscolari e futuristi e in un certo senso
prendono sia dall’una che dall’altra esperienza caratteri formali e ispirazioni.

Autori
● Aldo Palazzeschi → ricerca di un'estetica del brutto e del deforme, qualsiasi cosa che
non è regolare e che non obbedisce ai criteri della bruttezza romantica. brutto inteso
come elemento risonante della quotidianità. cacofonia → dissonanza estetica che si
traduce in una dissonanza di tipo fonico
● Corrado Govoni → propone un linguaggio diretto, quasi una registrazione mimetica
della realtà senza allusione. Una poesia che sembra non alludere
● Gian Pietro Lucini → usa parole impure, lunghe

Caratteristiche comuni
● estetica del brutto, del deforme e del cacofonico (Palazzeschi) → l’impoetico (ciò che la
morale riconosce cattivo e che l’estetica proclama brutto) non esiste

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● esibizione di un linguaggio diretto, privo di allusioni (Govoni)


● uso di parole “impure” e lunghe (Lucini)
● ri uto di ogni regola, sia tradizionale sia antitradizionale
● ricerca e programmatica rivendicazione del verso libero → verso anarchico: non
rispetta nessuna delle regole imposte dalla tradizione.
● Un andamento fondamentalmente prosastico → fa della prosa colloquiale una scelta
rivendicata

Aldo Palazzeschi
E lasciatemi divertire! da L'incendiario (1910)
Tri tri tri, fru Cucù rurù, laralaralarala!
fru fru, uhi uhi rurù cucù, Sapete cosa sono?
uhi, ihu ihu ihu. cuccuccurucù Sono robe
Il poeta si ! Cosa sono avanzate, non sono
diverte, queste grullerie, sono la
pazzamente, indecenze? spazzatura delle
smisuratamente Queste strofe altre poesie.
. bisbetiche? Licenze,
Non lo state a licenze, licenze Bubububu,
insolentire, lasciatelo poetiche. Sono la fufufufu,
divertire poveretto,
mia passione. Friù!
queste piccole
corbellerie sono il suo Friù!
diletto. Farafarafarafa, Se d’un qualunque
tarataratarata, nesso son prive,
paraparaparapa,
perché le scrive volgare. Ebbene, così mi Huisc… Huiusc…
quel fesso? piace di fare. Huisciu… sciu sciu,
Sciukoku… Koku koku,
Bilobilobilobilobilo Aaaaa! Sciu ko ku. Come si deve
blum! Eeeee! fare a capire? Avete delle
Filofilofilofilofilo flum! Iiiii! belle pretese, sembra
Bilolù. Filolù. Ooooo! ormai che scriviate in
U. Uuuuu! giapponese.
Non è vero che non A! E! I! O! U!
voglion dire, vogliono dire Ma giovinotto, ditemi un Abì, alì, alarì.
qualcosa. Voglion dire… poco una cosa, non è la Riririri!
come quando uno si mette vostra una posa, di voler Ri.
a cantare senza saper le con così poco tenere Lasciate pure che si
parole. Una cosa molto alimentato un sì gran sbizzarrisca, anzi è bene
foco? che non la finisca,

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il divertimento gli costerà un po’ forte, scrivere Ahahahahahahah!


caro: gli daranno del delle cose così, che ci Infine, io ho pienamente
somaro. son professori oggidì, a ragione, i tempi sono
tutte le porte. cambiati, gli uomini non
Labala falala falala eppoi domandano più nulla dai
lala… e lalala, lalalalala, Ahahahahahahah! poeti: e lasciatemi
lalala. Certo è un azzardo Ahahahahahahah! divertire!
È poesia, soprattutto nella misura in cui chi la scrive la considera tale. Non soltanto è scritta in
versi, seppur in versi di lunghezza irregolare, ma anche il tema della poesia è all’interno di essa
→ il mestiere del poeta, quello che resta da fare al poeta.
Gli uomini non dimandano più nulla ai poeti, e lasciatemi divertire→ crisi della parola
poetica, ma nella negazione che possa ancora esistere la poesia, c’è l’a ermazione che il poeta,
divertendosi con il fare poesia, fa della poesia vera e propria.
Gioca con l'armamentario delle licenze poetiche e con le gure onomatopeiche (Pascoli). Inoltre
sempre riferendosi a Pascoli, il poeta si riscopre nel bambino che gioca con la lingua e le parole,
ma nel fare questo sta cercando una rinnovazione della lingua stessa. Sono presenti le rime
(baciate, alternate, tronche); sono presenti anche delle rime un po’ meno usuali
foco → termine colto, quindi si ricollega alla tradizione letteraria → viene recuperata per essere
presa in giro. Anche la poesia italiana (e non solo), accanto alla tradizione alta ed elitaria di
matrice petrarchesca, ha un altro lone di tipo scherzoso, giocoso e realista → lo stesso Dante
Alighieri ha scritto dei sonetti scherzosi.

La passeggiata da L’incendiario
– Andiamo? pelle di velluto. Grandi Antica trattoria “La
– Andiamo pure. tumulti a Montecitorio. pace”, con giardino,
Il presidente pronunciò fiaschetteria, mescita di
All’arte del ricamo, fiere parole. tumulto a vino. Loffredo e
fabbrica passamanerie, sinistra, tumulto a Rondinella primaria
ordinazioni, forniture. destra. casa di stoffe, panni,
Sorelle Purtarè. Il gran Sultano di Turchia lane e flanella. Oggetti
Alla città di Parigi. ti aspetta. d’arte, quadri, antichità,
Modes, nouveauté. La pasticca di Re Sole. Si 26
Benedetto Paradiso getta dalla finestra per 26 A. Corso
successore di Michele amore. Napoleone
Salvato, gabinetto Insuperabile sapone alla Bonaparte.
fondato nell’anno 1843. violetta. Orologeria di Cartoleria del progresso.
avviso importante alle precisione. Si cercano abili lavoranti
signore ! La beltà del 93 sarte.
viso, seno d’avorio, Lotteria del milione. Anemia!

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Fallimento! Diodato Postiglione reumatismi, l’ultima


Grande liquidazione! scatole per tutti gli usi di scoperta della scienza !
Ribassi del 90 % Libero cartone. L’Addolorata al
ingresso. Hotel Inaudita crudeltà! Fiumicello, associazione
Risorgimento e Cioccolato Talmone. di beneficenza. Luigi
d’Ungheria. Lastrucci e Il più ricercato Cacace deposito di
Garfagnoni, impianti biscotto. Duretto e lampadine. Legna,
moderni di Tenerini via della carbone, brace, segatura,
riscaldamento: Carità. grandi e piccole fascine,
caloriferi, termosifoni. 2. 17. 40. 25. 88. fascinotte, forme, pine.
Via Fratelli Bandiera già Cinematografo Splendor, Professor Nicola
via del Crocefisso. Saldo il ventre di Berlino, Frescura: state all’erta
fine stagione, prezzo viaggio nel Giappone, giovinotti ! Camicie su
fisso. Occasione, l’onomastico di Stefanino. misura. Fratelli Buffi,
occasione! Attrazione ! Attrazione! lubrificanti per macchine
Cerotto Manganello, e stantuffi.
infallibile contro i Il mondo in miniatura.
Lavanderia, L’amor patrio primo piano,
Fumista, antico caffè. Antico forno,
Tipografia, Affittasi quartiere, Rosticcere e
Parrucchiere, rivolgersi al portiere friggitore. Utensili
Fioraio, dalle 2 alle 3. per cucina,
Libreria, Adamo Sensi Ferrarecce.
Modista. studio d’avvocato, [...]
Elettricità e cancelleria. dottoressa in medicina – Torniamo
indietro?
– Torniamo pure.
Impresa diretta tutto ciò che vede durante la passeggiata → insegne, titoli di giornale,
pubblicità, numeri civici, usso di informazioni che giungono agli occhi e alle orecchie di due
persone che stanno facendo una passeggiata → dialogo all’inizio e alla ne Possiamo
considerare tutta la poesia frutto del procedimento dell’accumulazione → in questo caso si
tratta di accumulazione caotica.
Questi due stanno passeggiando → in francese flanerì → nuova mentalità che si adegua alla
nuova società e alle grandi città appena nate. Nasce la gura del aneur → colui che passeggia
senza uno scopo apparente. La città con le vetrine e i negozi ha modi cato profondamento la
nostra idea di cammino. Prima si camminava guardando il cielo, sia di giorno che di notte,
invece oggi nella società moderna la luce dei negozi e il luccichio delle vetrine porta il nostro
sguardo ad abbassarsi e il guardare la merce ha preso il posto a quell'elaborazione dello spazio
intorno a noi. Oggi le luci non ci permettono di vedere il cielo, ma soprattutto reclamano la

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nostra attenzione. Quindi vediamo che sono numerosi i luoghi che mettono a confronto la notte
del passato dalla notte dominata dalla luce arti ciale.
Apparente caoticità dell’accumulazione → alla ne possiamo capire una storia al suo interno.
Titoli dei giornali, pubblicità → Uso della parola che possiamo de nire quasi di montaggio →
sembra che i singoli pezzi siano stati incollati in una sorta di collage che è il usso della poesia

FUTURISMO → 1909 → Filippo Tommaso Marinetti pubblica il Manifesto del


Futurismo → è una scuola vera e propria con il proprio manifesto e programma → se ne fa una
delle esperienza più importanti dell’Italia che ha successo anche all’estero Mira a distruggere,
disgregare, far esplodere dall’esterno la poesia e non solo in nome dell'esaltazione della
velocità, della rapidità e della macchina → temi moderni. La macchina intesa anche come
veicoli, tutto ciò che attraverso la tecnica rende l’uomo più potente.
Violenza → questa distruzione non può avvenire attraverso la moderazione, ma attraverso la
rivoluzione, cioè un cambiamento repentino
individualismo → Nietzsche
nazionalismo → nazione come individuo che si a erma e si contrappone alle altre nazioni anche
in maniera violenta, soprattutto attraverso la guerra → esaltazione della guerra → viene
considerata la sola igiene del mondo, possibilità unica di cambiare velocemente e con successo
le cose

Autori → Marinetti, So ci e Boccioni


Rivista Lacerba (1913) → fondata da Papini e So ci

Caratteristiche formali
● analogia immediata attraverso il sostantivo-doppio→ bisogna togliere tutti gli elementi
che portano a rallentare (similitudini, metafore lunghe). Attraverso un trattino, quindi la
sintassi viene distrutta → viene eliminato qualsiasi punteggiatura perché rallenta
● verbo all’in nito
● parole in libertà
● esaltazione della sostanza gra ca, visiva, acustica
● fusione di linguaggi e di arti: pittura, teatro, spettacolo → le recitazioni in pubblico
delle poesie, in cui i poeti cercano in tutti i modi di provocare il pubblico
(in certi casi si passava alla violenza sica nei confronti del poeta o del pubblico)
● Grande di usione all’estero → in Russia con Majakovskij e in America con Ezra Pound
● Ispirazione per il Dadaismo e il Surrealismo → queste esperienze trovano la loro
origine nel Futurismo
● prioritaria attenzione al linguaggio → in realtà è propria di qualsiasi linguaggio.
Qualunque poetica che da principale rilievo alla forma, come il manierismo e il barocco,

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presta maggiore attenzione al linguaggio che ai temi. Il rischio è che tutto si conclude nel
linguaggio, che alla ne diventa un esperimento sullo stile ma signi ca poco
● Morte al naturalismo → tutto ciò che ha ispirato i poeti per secoli è ora che smetta di
esistere
● discontinuità → il tono rivoluzionario è evidente
● i miti moderni vengono assunti senza nessuna critica → esaltazione della velocità e del
cambiamento repentino: non ci può essere nessun tipo di moderazione
● l’uomo moltiplicato → la velocità lo porta a non essere messo a fuoco
● simultaneità → più arti contemporaneamente

FILIPPO TOMMASO MARINETTI Bombardamento da


Zang Tumb Tumb Si parla del bombardamento → morte e
distruzione che viene ripresa in maniera quasi diretta. Dal punto
di vista fonico prova ad imitare il suono delle bombe che cadono
(allungamento delle parole).
Manca la punteggiatura; verbo all’in nito; manca l’io lirico → il soggetto protagonista di secoli
di letteratura e soprattutto della poesia viene dissolto a questa adesione alla realtà fenomenica, a
ciò che appare. Viene eliminato qualsiasi giudizio, anche quelli di tipo morale proprio perché
manca l’io.

Elaborazione di programmi e saggi che riuscissero a rendere conto di questa adesione.


analogia → “non è altro che qualcosa di profondo ……..” → come strumento per
abbracciare cose diverse, opposte e distanti tempo policromo, polifonico e polimorfo

Vuole fondare l'immaginazione senza li → arte amorta più essenziale. Se si punta tutto sullo
stile della parola, il rischio che consapevolmente si corre è l'insigni cazione, cioè non
trasmettere più un signi cato, ma solo il senso.

VOCIANI → Richiamano il loro nome dalla rivista La Voce → rivista letteraria fondata da
Giuseppe Prezzolini nel 1908. Ospitò interventi e collaborazioni dei più importanti intellettuali
dell’epoca, si occupò, oltre che di letteratura, anche di vita quotidiana e di ricerca intellettuale.
Di stampo non progressista né reazionario, mirava ad abbattere le barriere tra cultura e politica.
Poi maturò un impegno civile e cultura militante → impegno del poeta su temi di stretta
attualità → le riviste rappresenta un importante attore dell’evoluzione della cultura intellettuale
→ la rivista sono il luogo in cui gli intellettuali prendono posizione, si occupano di questioni
contemporanee, entrano in polemica tra di loro.
Tra il 1914 e il 1916 la direzione della rivista passa a Giuseppe De Robertis e si trasforma in
rivista letteraria dove troviamo:
● rinnovamento del linguaggio letterario: lirica e autobiogra a

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● predilezione per i testi brevi → domina il gusto per il frammento, per il testo
stilisticamente elaborato, per l’illuminazione.
Giacomo Debenedetti → “ci fu un periodo di questa nostra letteratura che, per esprimersi, non
sentì il bisogno di narrare” → scelta del saggio, della pagina di diario, del frammento descrittivo
o introspettivo, del poema in prosa (anche D’annunzio attraversa questa fase (Il notturno) →
predilezione verso il frammento

Caratteristiche
● attenzione verso l’esame di coscienza, in cui fare i conti con la propria storia → in
questi conti rientra anche il bilancio di quanto è stato ricevuto e di quanto si vuole dare
alla letteratura
● scrittura autobiogra ca in giovane età → tono autobiogra co. Chi li scrive non è una
persona anziana che ha già vissuto la sua vita, ma si tratta spesso di scrittori che fanno di
queste ricapitolazioni della loro vita in giovane età → da una parte presentendo una ne
precoce (c’è chi parte in guerra e muore), dall’altra parte è il clima di questo periodo e di
questa scuola
● scritture provvisorie e programmi d’azione intellettuali
● antiletterarietà → viene ri utata l’immagine del poeta vate, che proclama e che vuole
muovere le masse attraverso la sua parola poetica → ricerca di autenticità
● in uenza di Croce e l'estetica Crociana → arte è in primo luogo intuizione, sentimento;
abolizione dei generi e delle classi cazioni → separazione arti ciosa tra i domini dello
spirito → ricerca della lirica pura, che spesso si traduce in zone di con ne
● frammentismo → rinuncia ad opere dall’architettura complessa

queste caratteristiche vengono riprese da una parte del primo Ungaretti → attenzione alla parola
nuda, scarni cata, isolata; da una parte dai Vociani e dall’altra anche dai Futuristi
(mancanza di punteggiatura → nella prima raccolta non ci sono virgole) anche la poesia
onesta di Saba → poesia che va al cuore dell'io e cerca una nuova aderenza tra le parole che
si dicono e i sentimenti che si provano

DINO CAMPANA
Nacque a Marradi nel 1885. A etto da gravi disturbi psichici, che gli provocavano degli scoppi
d’ira, visse da nomade, vagabondando per l’Italia e anche fuori della penisola, In seguito
all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915, chiese invano di partire volontario per il fronte ma
venne riformato per manifesti segni di squilibrio mentale. Fu anche più volte ricoverato presso
ospedali psichiatrici. Muore nel 1932. Fu un autore maledetto → si scontra con la realtà e con la
società in maniera diretta

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Canti or ci
Nel 1913 Campana aveva consegnato il manoscritto del suo libro, il cui titolo originario era Il
più lungo giorno a Papini e So ci, sperando che accettassero di pubblicarlo ne Lacerba. Però So
ci lo perse, quindi Campana fu costretto a riscrivere l’opera. Da questo lavoro uscirono i Canti
orfici e secondo una leggenda, Campana li riscrisse a memoria → in realtà Campana aveva
l’abitudine di conservare gli abbozzi e le stesure provvisorie dei suoi testi. L’opera fu
pubblicata nel 1914 e molti anni più tardi fu ritrovato il manoscritto originario che fu
pubblicato nel 1973 → il passaggio dal Più lungo giorno ai canti or ci registra non solo una
rielaborazione migliorata dei testi già presenti, ma anche parecchie aggiunte signi cative
Il titolo si rifà al mitico poeta Orfeo, che per primo aveva varcato le porte dell’Ade, per sottrarre
al regno dei morti Euridice → Come Orfeo con la sua poesia scende nel fondo nell'ade per
riportare in vita la donna amata, così anche la poesia di Campana aspira a una poesia totale e
assoluta → or smo. Si tratta di un prosimetro → fonde prosa e verso e la poesia diventa parola
rivelatrice
L’atmosfera onirica viene resa con la frequente ripetizione di suoni e immagini, come nei
sogni → andamento ritmico ossessivo e sintassi quasi cantilenante
estremo vitalismo → Nietzsche viaggio simbolico → memoria della tradizione or ca
(poeta viaggiatore → viaggio nell’Ade)
Quello di campana non è il mondo reale, ma è il mondo visionario, degli emblemi e degli
enigmi, dove ogni oggetto o episodio perde il suo ordinario valore per entrare nell’ordine degli
eventi mitici → è l’occasione per il poeta or co di accedere alle verità ultime, nascoste ai
comuni mortali → memoria or ca → contiene gli archetipi ancestrali del genere umano

L’invetriata da Canti orfici


La sera fumosa d’estate
Dall’alta invetriata mesce chiarori nell’ombra E mi
lascia nel cuore un suggello ardente.
Ma chi ha (sul terrazzo sul fiume si accende una lampada) chi ha
A la Madonnina del Ponte chi è chi è che ha acceso la lampada? - c’è Nella
stanza un odor di putredine: c’è
Nella stanza una piaga rossa languente.
Le stelle sono bottoni di madreperla e la sera si veste di velluto:
E tremola la sera fatua: è fatua la sera e tremola ma c’è
Nel cuore della sera c’è,
Sempre una piaga rossa languente

Questo testo rappresenta un esempio importante dell’attrito di campana con la tradizione


simbolistica e dei caratteri espressionistici della sua poesia.

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I versi esprimono il disagio esistenziale del poeta (vita nomade e malattia mentale) attraverso
l’immagine della sera, simbolo di disfacimento e corruzione, nonostante l’apparente bellezza.
c’è-c’è; chi è -chi è → ripetizione
L’episodio da cui prende spunto è un episodio abitudinario → si trova in un luogo chiuso (bar,
osteria) e attraverso l’invetriata, il rosso caldo e acceso di un tramonto estivo riversa il suo
chiarore nell'ombra della stanza dove si trova il poeta; egli si sente inspiegabilmente ferito, nel
suo cuore, dalla luce color del sangue che invade la stanza. Ormai è buio; l'accendersi
improvviso di un lampione (presso un'immagine della Madonna dipinta in testa a un ponte)
sconvolge le tenebre. Nascono inquieti interrogativi nel poeta: chi è chi è

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che ha acceso la lampada? Il semplice avvenimento sembra inspiegabile e si carica perciò di


mistero. Il turbamento (la putredine, la forza corrosiva delle domande senza risposta) si
espande, contagiando la stanza in cui si trova il poeta che sembra caricarsi degli estremi bagliori
del tramonto (una piaga rossa languente). È il momento della notte; le stelle brillano quali
bottoni di madreperla, nel cielo buio, che pare dolce e morbido come una scura sto a di velluto.
Campana sottolinea però la natura fatua e tremola di questa bellezza: essa è destinata a svanire
con il ritorno del giorno. Non svanirà però sempre una piaga rossa languente (v. 11), ovvero la
nota di malinconia e tristezza che si è destata nell'animo del poeta nell'ora iniziale del tramonto
→ ora, pervade sia il suo cuore sia il cuore della sera.

CLEMENTE REBORA
Nasce a Milano nel 1885. Conseguita la laurea in Lettere, intraprende la carriera di insegnante.
Entrato in contatto con la Voce, ne divenne presto uno dei poeti più rappresentativi,
pubblicando nel 1913 Frammenti lirici. Rebora combatté durante la prima guerra mondiale →
una bomba gli esplose vicino e gli provocò una grave trauma nervoso. Nel corso degli anni ‘20
si converte al cattolicesimo e nel 1936 fu ordinato sacerdote. Muore nel 1957.
Nella poesia della prima fase troviamo sempre questioni religiose → poesia loso ca, in cui
viene registrato il dolore del mondo con l’uso espressionistico della parola → linguaggio
sovraccaricato, aprendo a una dimensione allegorica e deformando l’oggetto → via di fuga,
ricerca di un altro che possa consentire al soggetto di fuggire alla realtà
Viatico da Poesie sparse
O ferito laggiù nel affretta l’agonia,
valloncello, tanto invocasti tu puoi finire,
se tre compagni interi e conforto ti sia
cadder per te che quasi più non eri, nella demenza che non sa
tra melma e sangue impazzire, mentre sosta il
momento il sonno sul cervello,
tronco senza gambe
làsciaci in silenzio – grazie,
e il tuo lamento fratello
ancora, pietà di noi
rimasti
a rantolarci e non ha fine l’ora,
Tratta i traumi della guerra
Potrebbe appartenere a un canzoniere (non l’ha completato)
L'episodio che viene annunciato è uno delle esperienze più tragiche della guerra →
all’improvviso un soldato italiano viene colpito ripetutamente alle gambe. Rimane immobile al
suolo, fuori dalla trincea, “come un albero abbattuto” (v.6). Poco dopo i compagni accorrono,
allertati dai lamenti. Sanno che andare incontro al ferito e provare a trascinarlo al riparo è
pericoloso e con tutta probabilità vano, eppure lo fanno lo stesso, assistendo allo strazio di una

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vita che cede con paura il passo alla morte → un cecchino che lascia un soldato moribondo in
maniera tale da far arrivare i suoi compagni per metterlo in salvo, morendo anche loro
Infatti tre soldati restano, uno ad uno, vittime dei proiettili, e l’uomo resta solo, a piangere e
chiedere disperatamente aiuto, mentre i suoi compagni dietro la trincea lo implorano di
arrendersi alla morte per pietà di loro.
Il momento più signi cativo è forse quello in cui i compagni chiedono al ferito di “a rettare
l’agonia”. L’uomo è ormai in una “demenza che non sa impazzire” (v.13), ossimoro che rende
tragicamente l’idea di una vita che sta per nire in una grande so erenza e in una follia che non
arriva ad essere incoscienza → l’uomo moribondo è ridotto quasi ad elemento topogra co di
questo paesaggio di morte → tronco senza gambe
Ai commilitoni non resta che implorarlo perché si lasci morire, con un “grazie, fratello” (v.17)
che racchiude molteplici signi cati: grazie, perché hai combattuto con coraggio; grazie, perché
hai condiviso con noi l’orrore della trincea; e grazie, perché ci hai dimostrato che qui siamo tutti
fratelli, nonostante l’inevitabilità della guerra → questo verso è isolato viatico → indica, nella
religione cattolica, il sacramento dell’Eucarestia amministrato come alimento per l’anima utile
ad a rontare l’estremo viaggio ai fedeli infermi o in procinto di morire. tu puoi finire → il poeta
si rivolge al compagno
Le frasi brevi e spezzate servono ad aggiungere ulteriore drammaticità alla situazione già critica
per il linguaggio espresso.

O carro vuoto sul binario morto da Frammenti lirici, XI

O carro vuoto sul binario morto, E irrigidito rattieni


Ecco per te la merce rude d’urti Le chiuse forze inespresse
E tonfi. Gravido ora pesi Su ruote vicine e rotaie
Sui telai tesi; Incongiungibili e oppresse,
Ma nei ràntoli gonfi Sotto il ciel che balzàno
Si crolla fumida e viene Nel labirinto dei giorni
Annusando con fàscino orribile La Nel bivio delle stagioni
macchina ad aggiogarti. Contro la noia sguinzaglia l’eterno,
Via dal tuo spazio assorto Verso l’amore pertugia l’esteso, E non
All’aspro rullare d’acciaio muore e vorrebbe, e non vive e
Al trabalzante stridere dei freni, vorrebbe,
Incatenato nel gregge Per Mentre la terra gli chiede il suo verbo
l’immutabile legge Del continuo E appassionata nel volere acerbo
aperto cammino: Paga col sangue, sola, la sua fede
E trascinato tramandi
La rappresentazione delle vicende di un vagone ferroviario costituisce un’implicita
rappresentazione della vita dell’uomo sulla terra → come l’esistenza umana, ad un certo punto

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esso inizia a muoversi fra colpi e spinte e dopo essere agganciato un vagone tira l’altro →
l’uomo è come un vagone in mezzo ad altri vagoni che si muove in quanto obbligato da forze
esterne. Tuttavia in mezzo a tanto grigiore si intravede una possibilità di poter accedere alla
spiritualità dell’amore e al valore assoluto di ciò che è eterno. La prima parte (vv.1-8) è
dominata dall’immagine del carro merci inattivo, con una connotazione negativa: è vero che
esso non sta subendo alcuna costrizione, tuttavia la sua libertà è inutile senza nessuna
prospettiva perché è posteggiato su di un binario morto ed è vuoto, quindi non sta adempiendo
alla funzione per la quale è stato costruito. Nella seconda parte (vv.9-19), il carro si mette in
movimento, carico di merci e quindi inizia ad esplicare la propria funzione. Tuttavia, il poeta
insiste sulla sua condizione di so erenza edi schiavitù: il peso che crea s nimento, la motrici che
lo aggancia, sottomettendolo, l’incatenamento con gli altri vagoni, il percorso obbligato lungo le
rotaie.
aggiogarti, gregge, rantoli, gravido, sguinzaglia → termini che trasformano quasi il carro in un
animale. Nell’ultima parte, lo sguardo del poeta si sposta verso il cielo ed il carro diventa la
terra intera. Il cielo sotto cui si muove il treno è quasi ostile → esso sembra promettere una
dimensione spirituale che permetta all’uomo di vincere il non-senso, la noia di vivere. Ma
questo è soltanto un’illusione perché l’attesa è vana e dolorosa (= immagine del sangue). Il
carro aspirava ad una deviazione del percorso obbligato e ad un ricongiungimento delle rotaie,
un desiderio che, invece, come la condizione esistenziale dell’uomo, non potrà mai realizzarsi.
Il poeta, però, non si preoccupa di individuare le cause di una simile condizione umana sospesa
com’è tra una situazione di non vita ed una di non-morte (v. 25). La macchina è vista in
maniera diversa rispetto ai futuristi → diventa la macchina ferma: tutto converge l’abbandono
e l’inutilità
Metaforizzazione della macchina e della ferrovia → si parla di un treno o di un animale? →
trapasso tra l’oggetto e l’essere vivente
Se procediamo oltre in questa visione allegorica il tema è quello della libertà → il carro ha i
binari su cui basa la propria corsa. Da un parte c’è l’obbligo e dall’altra la potenza → il destino
che obbliga e la potenza trattenuta che vorrebbe sciogliersi da questo obbligo di fronte a questa
contrapposizione della violenza c’è una possibilità → il verbo allude al verbo cristiano; sangue
è un altro elemento che appartiene alla semantica cristiana

CAMILLO SBARBARO
● Nasce in Liguria nel 1888. Conduce una vita sempre più appartata. Muore nel 1967
● Partecipa a una linea ligure-piemontese che è caratterizzata dall’attenzione verso questo
paesaggio aspro e duro, che ha una qualche presenza della poesia (di questo sguardo sarà
erede Montale). In questa attenzione verso la verticalità c’è da una parte
una terra su cui lo sguardo può spaziare, ma terra fatta di durezza e dall’altra parte c’è il
paesaggio del mare che si apre.

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● la poesia di sbarbaro è caratterizzata dal paesaggio che diventa protagonista →


estraniamento (il soggetto non si sente a casa, è uno straniero) e pietri cazione
(come se la durezza del paesaggio tramutatasse lo stesso soggetto)
● l’espressione vociano (caricare la poesia di e etti) non gli appartiene, predilige invece
uno stile antiletterario: con pochi elementi colti e uno stile molto colloquiale
● poeta viandante (Baudelaire)→ non è tanto la città ad essere presente come dimensione
attraversata, ma è la natura → viene sentita estranea, cioè nella modernità il contatto con
la natura è perduto per sempre. Questo straniamento lo troviamo anche nello sguardo del
poeta, che ad un certo punto si vede camminare (vede se stesso dall’esterno) → l’io parla
di sé mimando un irraggiungibile sguardo esterno, straniato dal proprio corpo, che lo
porta a rivelare un’interiorità sempre alienata

Nel 1914 pubblica la sua seconda raccolta Pianissimo → una delle opere liriche più importanti
del primo Novecento italiano. Il titolo suggerisce il tono sommesso di un monologo sgorgato
dal suo animo come una “sconsolata confessione fatta a or di labbro a se stesso” → la raccolta
disegna un percorso interiore. sbarbaro è mosso da un ri uto viscerale per la vita sociale, in cui
si sente totalmente estraneo, quindi si chiude in un mondo tutto suo evitando ogni contatto con
l’esterno. Guardandosi dentro, però, Sbarbaro comprende che questa situazione dipende anche
da se stesso, che non riesce ad aderire alle cose. Quindi cerca di scuotersi da questa sensazione
muovendosi in 3 direzioni: innanzitutto fa leva sugli a etti familiari; poi cerca il contatto
violento con i miserabili, seguendo le orme dei poeti maledetti (Baudelaire e Rimbaud), per
provare un po’ di solidarietà umana; e in ne si cerca il contatto con la natura. Ma ogni sforzo è
vano perché si tratta di un sollievo momentaneo e non della liberazione desiderata, quindi
l’aridità riprende
il sopravvento. Invece camminiamo, camminiamo io e te
come sonnambuli.
Taci, anima stanca di godere da Pianissimo Taci, E gli alberi son alberi, le case sono
anima stanca di godere e di soffrire (all’uno e case, le donne che passano son donne, e
all’altro vai rassegnata). tutto è quello che è, soltanto quel che è.
Nessuna voce tua odo se ascolto: non di
rimpianto per la miserabile giovinezza, La vicenda di gioia e di dolore non ci
non d’ira o di speranza, e neppure di tocca. Perduto ha la voce la sirena del
tedio. Giaci come il corpo, ammutolita, mondo, e il mondo è un grande
tutta piena d’una rassegnazione deserto.
disperata.
Non ci stupiremmo, non è vero, mia anima, se
il cuore si fermasse, sospeso se ci fosse
il fiato…

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Nel deserto io guardo con asciutti occhi me


stesso.

La poesia, rivolta all’anima del poeta, riprende un modulo della tradizione lirica
→ A se stesso di Leopardi.
L’incipit ci fa pensare ad D’annunzio → taci, ascolta, odo però il tono è tutt’altro: non
c’è l'esaltazione panica, ma c’è un abbassamento. Il taci può essere anche un
indicativo presente. c’è il silenzio e lo svuotamento → una sorta di grado 0 dei
sentimenti (non c’è il pianto del poeta, non c’è la noia, la speranza, la rabbia) in cui
l’anima condivide con il corpo una sorta di rassegnazione disperata
Sentirsi estraneo a se stesso e al proprio corpo → il camminare è quasi autonomo,
senza anima → c’è una sorta di sdoppiamento (io e te anima) che porta a una
dissociazione tra l’io e il mondo e internamente l’io e il proprio interno, cioè l’anima
questo grado 0 della percezione si riversa in una sorta di assoluta tautologia (predicare
una cosa il nome stesso → e gli alberi son alberi) → non signi cano nient’altro oltre
la loro esistenza. Non abbiamo nessuna presa e conoscenza del mondo se non le gure
che ci passano davanti agli occhi e di cui non possiamo dire niente che il nome. il
mondo è un grande deserto vuoto e abbandonato → il soggetto guarda dall’alto se
stesso.

elementi udivi della prima strofa e elementi visivi nella terza e quarta strofa e
anche nell’ultima

La poesia è rappresentativa dello stile di Sbarbaro → assenza di espressionismo e


presenza di una sionomia prosastica, “bassa”, con l’assenza o la forte riduzione di
energia lessicale e di fantasia metaforica → la poesia si costruisce in maniera lineare.
Il tema generale è quello dello smarrimento dell’identità, annullamento del
soggetto e della sensazione di vivere una vita diversa e straniata. La scissione tra il
poeta e l’anima si veri ca in più punti → (vv. 10-13) quando il poeta coinvolge
l’anima nella ri essione che il cuore si arresti; oppure (vv. 14-21) la camminata da
sonnambuli in un mondo banale senza attrattive; o il mondo-deserto (vv. 22-23)
dove al poeta non resta che guardare se stesso con asciutti occhi, senza pathos né
tenerezze.
Al nucleo della "negatività" esistenziale si riferisce una tta serie di negazioni
esplicite e di termini associati al campo semantico dell’assenza di vitalità

Padre, se anche tu non fossi il mio… da Pianissimo


Padre, se anche tu non fossi il mio padre, se anche fossi a me un estraneo,
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per te stesso egualmente t’amerei. Ché mi ricordo Ma raggiuntala che strillava forte
d’un mattin d’inverno che la prima viola dalla paura ti mancava il cuore: ché
sull’opposto muro scopristi dalla tua finestra e ce avevi visto te inseguir la tua piccola
ne desti la novella allegro. Poi la scala di legno figlia, e tutta spaventata tu vacillante
tolta in spalla di casa uscisti e l’appoggiasti al l’attiravi al petto, e con carezze dentro
muro. Noi piccoli stavamo alla finestra. le tue braccia l’avviluppavi come per
difenderla da quel cattivo ch’era il tu
E di quell’altra volta mi ricordo che la sorella di prima.
mia piccola ancora per la casa inseguivi
minacciando Padre, se anche tu non fossi il mio
(la caparbia avea fatto non so che). padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto pel
tuo cuore fanciullo t’amerei.
La poesia è dedicata al padre → l’a etto ed il legame che il poeta prova per il padre è al di
sopra di qualsiasi legame sanguigno → Se anche egli non fosse suo padre, infatti, il suo a etto
non verrebbe meno, perché si fonda sulla stima per lui come persona, per le sue qualità umane
di sensibilità e di gentilezza, ben vive nella sua memoria. Emerge la nostalgia che prova
dall’utilizzo di versi semplici e ricchi di signi cato Ha un tono diverso rispetto alla poesia
precedente
rappresenta un’altra presenza della sua opera → l’ombra del padre troviamo ancora una volta il
tema dello straniamento (il padre che rincorre la glia) questa poesia ci da un'immagine paterna
che non è il padre freudiano, non è il padre dei divieti, ma è un padre a ettuoso → non riesce a
dare una punizione alla glia dopo aver commesso una monelleria; quasi bambino, che gioca e
si meraviglia di fronte alla prima viola che sboccia (stupore della vita che rinasce). In questi
anni c'è stata una trasformazione della gura paterna. C’è anche però un’insistenza sulla
negazione del paterno → c’è un dubbio che però viene presentato per essere subito negato (se
anche tu non fossi il mio padre)
GIUSEPPE UNGARETTI
1888 → Alessandria d'Egitto (periodo africano: scoperta della letteratura, memoria di paesaggi
fantastici e irreali); morte del padre impegnato nello scavo del canale di Suez, ottima
educazione grazie al forno aperto dalla madre; ingresso in un circolo anarchico
fondato da Enrico Pea. Frequentazione di Konstantinos Kava s
1912 → Parigi: frequenta le lezioni di Bergson ( losofo che ri ette su libri fondamentali sul
tempo e sulla di erenza tra il tempo cronologico, quello sico e quello dell'anima), poesia
decadente e simbolista (Mallarmé): poetica della memoria e del “sentimento del tempo”.
Esperienza delle avanguardie con Guillaume Apollinaire; collaborazione con Lacerba.
1914-1918 → Esperienza della guerra, come volontario. Ritorno a Parigi (1918-1920) 1921-
1925 → Roma: di coltà economica dei primi anni, impiego presso l’u cio stampa del

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ministero degli Esteri, collaborazioni giornalistiche e inviato all'estero per la “Gazzetta del
popolo”. Riscoperta della fede (1928).
1937-1942 → insegnante di letteratura italiana presso l'Università di San Paolo; lutti (1937
morte del fratello, 1939 perdita del glio Antonietto) → questa esperienza di dolore fa nascere la
raccolta Dolore
1942 → Ritorno a Roma e insegnamento alla Sapienza Letteratura italiana moderna e
contemporanea ( no al 1958)
Cura l'edizione de nitiva dei suoi versi: Vita d'un uomo (1969).
Muore nel 1970
● la nascita in un paese straniero sembra non avere una rilevanza nello studio delle sue
poesie. Ma nascendo ad Alessandria d’Egitto entra in contatto con un ambiente
cosmopolita: in quel momento era il luogo in cui con uivano gente da tante parti del
mondo per il taglio del Canale di Suez. Però da una parte ha un ambiente cosmopolita
ma dall’altro ha i grandi paesaggi del deserto
● negli anni 30 diventa il rappresentante maggiore della poesia ermetica → diventa una
sorta di riferimento della poesia ermetica, ma lui non era un ermetico (alcuni suoi stili
vengono ripresi dalla poesia ermetica)
● la vita errabonda che conduce lo spinse a pensare al proprio destino come a quello di un
nomade, condannato ad attraversare deserti o distese marine in cerca della sua “terra
promessa” → siccome tutti i luoghi in cui si stabilì erano percorsi da umi, al poeta
piacque scandire le tappe della propria esistenza a partire da esi (Nilo, Senna,
Isonzo, Tevere) esperienze eccentriche → non è un autore che racchiude la propria
esistenza poetica in un’unica nazione → lateralità geogra ca ha dentro di sé questa doppia
matrice africana -europea

Prima stagione: esperienza della guerra


Il porto sepolto (1916) + Allegria di naufragi (1919) → L’allegria (1931)
Il porto sepolto trae origine da una leggenda → evoca l’antico porto di Alessandria d’Egitto,
sprofondato sott’acqua da molto tempo. Per raggiungerlo, ci si deve immergere, raggiungendo il
fondale marino → da questa notizia ungaretti richiama una considerazione poetica → il poeta è
come il sub che scende nelle profondità alla ricerca del porto sepolto, cioè l’origine che il tempo
e la storia della vita ha nascosto e ha rimosso. Questa discesa poi indica una risalita in super cie
per riportare alla luce attraverso la parola poetica quel senso di inesauribile segreto → la poesia
si fa indagine della condizione umana e il poeta ha una responsabilità etica. Ungaretti assegna
alla poesia la funzione or ca di risalire ai primordi del mondo, alla condizione originaria di
innocenza → l’esperienza di barbarie della guerra non fa che raddoppiare il suo desiderio di
rinascita e di innocenza componente autobiogra ca → ricordi e paesaggi dell’infanzia e i
ricordi della prima guerra mondiale → le poesie di allegria hanno un luogo e una data, quindi
un qui e un’ora

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(hic et nunc) che le esalta al uire del tempo → precarietà dell’esistenza Si possono
considerare una sorta di diario sotto forma di poesie, però poi vengono rielaborate
Temi e motivi: mare, porto, viaggio, guerra, desiderio di fratellanza
Il fatto che sia una poesia rielaborata si vede anche dal mestiere di Ungaretti, che è alimentato
dai simbolisti francesi → analogia, oppure dai futuristi → assenza di punteggiatura. Al
contrario dei futuristi però, che riempivano tutta la pagina dalle parole, Ungaretti riduce la
poesia → vuole dare risalto alla parola, che è isolato all’interno della pagina → come la parola
gridata che riemerge dal deserto
Poesia come sottrazione e scavo → elimina tutto ciò che è super uo per dare forma
all’essenziale → riscoperta (come nelle statue: lo scultore scava e toglie materia per far riuscire
la statua). Questa riduzione avviene anche in metrica → i versicoli (prende un settenario e lo
scompone in un verso di 3 o 4 sillabe) → in questo senso il verso viene distrutto, ma il ritmo
originario resiste nella lettura → semantizzazione dello spazio bianco → così anche lo spazio
bianco assume un signi cato. Abbiamo l’isolamento della parola e la frantumazione della
sintassi
poetica dell’attimo
poesia testimonianza di Dio → signi cato meta sico e religioso, dal contingente all’assoluto

Allegria di naufragi è un ossimoro → il naufragio fa pensare a un destino avverso e a un


epilogo negativo dell’esistenza → chi combatteva al fronte sapeva che la propria vita era appesa
a un lo, che la morte si trovava sempre in agguato. Tale imminenza di destino, però, invece di
indurre il poeta a disperazione, lo a eziona ancora di più alla vita, di cui un uomo in guerra può
apprezzare il valore perché costretto a esporla di continuo al colpo fatale → godere
dell’esistenza → ulteriore signi cato delle indicazioni spazio-temporali → i luoghi e le date
celebrano la poetica di quel momento di pace in cui il naufragio della guerra e della morte è
momentaneamente dimenticato, e quindi consente al poeta di tu arsi nel porto sepolto della
natura innocente

Mattina da L’allegria, sezione Naufragi


M’illumino
D’immenso
Santa Maria La Longa il 26
gennaio 1917

La poesia è composta solo da due versi → 4 e 3 sillabe = settenario Ungaretti parla dell’alba
→ si intuisce dal titolo Mattina c’è una versione precedente della poesia che era un po’ più
lunga e aggiungeva la presenza del mare → d'immenso → un secolo dopo, il 26 gennaio
2017, un poeta è stato a Santa Maria La Longa all’alba per ricostruire ciò che ha visto
Ungaretti

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periodo di pausa → Ungaretti era tornato a casa e poi era tornato nuovamente e in questo
luogo c’è un campanile, da cui probabilmente ha scritto la poesia senso di gratitudine verso il
mondo in un momento di pausa dall'orrore della guerra con questa forte allitterazione della M
collega il me (soggetto) con la natura, nei confronti della quali si cerca una nuova sintonia.
M’illumino d’immenso → sinestesia, perché immensità e luminosità si percepiscono in maniera
diversa
L’obiettivo di Ungaretti è di comunicare l’incomunicabile → la luce violenta che proviene
dalla totalità dello spazio perché il sole con i suoi raggi può coprire qualsiasi distanza. Si tratta
di una pienezza sublime che ricorda la luce del Paradiso dantesco, capace di riportare il poeta
in uno stato di grazia.
Inizialmente, Ungaretti aveva pensato come titolo a Cielo e Mare → definisce solo il paesaggio,
mentre il secondo indica un momento preciso che diventa fortemente simbolico: la mattina è il
momento della rinascita e della riapertura al fluire della vita

Soldati da L’allegria, sezione Girovago


Si sta come d’autunno
sugli alberi
le foglie
Bosco di Courton luglio 1918

anche qui il titolo ci guida nell’interpretazione


Si tratta della variazione epigrammatica di una similitudine → abbiamo da una parte l'elemento
naturale → le foglie che cadono (caducità fragilità) collegata ai soldati e
all’esperienza della guerra → analogia. La fragilità insita sempre nella condizione umana è
accentuata dalla guerra, che rende ancor più precaria l’esistenza umana.
Il riferimento all’autunno, la stagione della morte per eccellenza, e il paragone con le foglie
fanno riferimento a una solida tradizione letteraria → il primo ad usare questa metafora è stato
Virgilio nel VI libro dell’Eneide e nella Commedia Alighieri paragona alle foglie che cadono
in autunno la massa delle anime dannate che si accalcano sulla barca di Caronte

4 versi → 4, 3,4,3 = settenario → il ritmo è quello del settenario con la cesura centrale. A
ungaretti viene tolto l’esperienza della metrica libera → scelta di innovazione (distruzione della
tradizione) ma allo stesso tempo di rispetto della tradizione
Moammed Sceab

Discendente di emiri di nomadi


suicida perché non aveva più
In memoria da Il porto sepolto Patria
Si chiamava

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Amò la Francia e dell’albergo dove abitavamo a


mutò nome Parigi dal numero 5 della rue des
Carmes appassito vicolo in discesa.
Fu Marcel ma non era
Francese e non sapeva più Riposa nel camposanto
d’Ivry
vivere nella tenda dei suoi
sobborgo che pare
dove si ascolta la cantilena del sempre in una
Corano gustando un caffè E giornata di una
non sapeva introduce la decomposta fiera

raccolta Allegria sciogliere il


E forse io solo so
canto del suo abbandono
ancora
che visse
L’ho accompagnato Locvizza il 30 settembre 1916
insieme alla padrona
Il titolo → il rapporto della memoria è centrale → la poesia che ha il compito di trasmettere la
memoria di chi non c'è più → memoria di Moammed Sceab (grande amico di Ungaretti) →
insieme a lui si reca a Parigi, ma l’approdo verso un nuovo ambiente diventa un motivo
di tragedia. Mohammed è una sradicato → a Parigi non riesce più a riconoscere le proprie radici
→ un emigrante che prova ad assimilarsi nella cultura del Paese che lo ospita troncando i
legami con il suo io di prima e con la generazione da cui proviene. Il mutare nome vuole dire
dimenticare l’esistenza di prima, si tratta di una conversione radicale → è una rottura con l’età
di prima che lo lascia privo di un luogo a cui richiamarsi per riconoscersi.
Ungaretti ha sempre associato la gura di Sceab alla propria ricerca di identità letteraria Non era
francese e non saoeva più vivere nella tenda dei suoi → quella che era l’esperienza dei suoi avi,
non gli appartiene più, prende le distanze → motivo del suicidio, perché non aveva più Patria →
tempo di nazionalismi → i nazionalismi sono motivi di guerra, la stessa guerra che Ungaretti sta
combattendo. La patria è il paese in cui si vive oppure è la terra dei padri, ciò da cui si proviene
e che dà l’identità alla nostra storia e al nostro destino? → questa contrapposizione Ungaretti ce
l'aveva presente → contrapposizione tra la vita di Ungaretti e quella di Moammed →
Moammed non riesce a sciogliere il canto del suo abbandono → la poesia che salva ungaretti
non riesce a salvare Sceab, il quale è diventato Marcel. È un ricordo lontano che è stato ri utato
da Moammed → non trova nella poesia la possibilità di trovare le parole per dire il proprio
trauma, e quindi si toglie la vita. È una morte solitaria → è solo accompagnato da Ungaretti e
dalla padrona dell’albergo. il verbo sapere ricorre in 3 luoghi
- E non sapeva sciogliere il canto del suo abbandono (v. 19)
- E forse io solo so ancora che visse (v. 35)

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- Saprò fino al mio turno di morire (v. 38) quella sapienza che viene dalla poesia e
torna alla poesia e che appartiene a Ungaretti → diventa un ulteriore compito morale quello
di trasmettere la memoria di chi non c’è più.
- Il porto sepolto da Il porto sepolto
Vi arriva il poeta Di questa
e poi torna alla luce con i suoi poesia mi
canti e li disperde resta quel
nulla
di inesauribile
segreto
Mariano il 29 giugno 1916 Si
tratta della lirica che dà il titolo alla prima edizione della raccolta e che rappresenta una delle
più esplicite dichiarazioni di poetica.
L’immagine in cui si incarna la gura del poeta è quella di Orfeo impegnato nella discesa agli
inferi per salvare la sua amata e destinato a ritornare alla luce. L'emergere da una zona profonda
non serve solo a rappresentare una forma di rinascita individuale, ma suggerisce anche l’a orare
della parola poetica → il poeta scende in profondità nel porto sepolto → luogo mitico e sorgivo
da dove nasce la poesia. Il compito del poeta è quello di trasmettere i canti agli uomini e alle
donne. Però di questa poesia gli resta il nulla → elemento così profondo: un inesauribile
segreto. La verità non può essere colta e rappresentata nella sua interezza perché l'inconscio cui
la poesia attinge si svela solo in modo intermittente
Veglia da Il porto sepolto
Un'intera penetrata nel mio
nottata buttato silenzio ho scritto
vicino a un
lettere piene
compagno
massacrato con d'amore
la sua bocca
digrignata volta Non sono mai stato
al plenilunio tanto
con la
attaccato alla vita
congestione
delle sue mani Cima Quattro il 23 dicembre 1915
Con questa lirica entra per la prima volta nella raccolta il tema della guerra → è la prima in cui
Ungaretti racchiude l’esperienza di un anno vissuto in trincea → presa di coscienza della
condizione umana, della fraternità degli uomini nella so erenza, dell’estrema precarietà della
loro condizione
Cima Quattro il 23 dicembre 1915 → nell’antivigilia di Natale, Ungaretti si trova in trincea a
vegliare un compagno morto da poche ore → momento dell’angoscia → la veglia funebre:
non è solo la veglia di chi deve fare la sentinella
il compagno massacrato → e etti espressionistici molto evidenti

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rapido trasporto dalla bocca contratta e la luna piena;


rispetto alla voce di vedetta qui c’è una nota di speranza → sentirsi attaccato alla vita nel
momento di vedere la morte apre una speranza, che è la poesia

La poesia si compone di due strofe di diversa lunghezza: la prima è di 13 versi, la seconda di 3 e


i versi sono liberi. I suoni scelti sono duri: domina la /t/ che troviamo anche raddoppiata
(geminata) /tt/ → nottata/ buttato/ lettere / attaccato. Le scelte lessicali sono molto importanti
perché il poeta insiste su parole «violentemente cariche e deformanti». Inoltre il poeta insiste sui
suoi –ato /–ata con una forte presenza del participio passato, così da rendere con immediatezza
la condizione in cui il poeta si trova. atmosfera leopardiana → luna piena che rischiara la trincea

Fratelli da Il porto sepolto


Di che reggimento siete Foglia appena nata
fratelli?
Nell'aria spasimante
Parola tremante involontaria rivolta
nella notte dell'uomo presente alla
sua
Fragilità
Fratelli
Mariano il 15 luglio 1916 Il
motivo della guerra diventa l’occasione per riscoprire una fratellanza data dal comune
orizzonte fragile che lega insieme i combattenti che si riscoprono così uomini. In un certo senso
c’è una sorta di antitesi nella prima strofa → da una parte di che reggimento siete indica una
appartenenze, dall’altra fratelli, parola antica che esprime una solidarietà, che però non viene
dal sangue, ma viene dal fatto che si trovano nella stessa situazione. Questa domanda sta a signi
care che in una guerra pur essendo tutti fratelli (perché uomini), la cosa più importante da
sapere dei fratelli che si incontrano è se sono amici o nemici del reggimento con cui si sta
combattendo. foglia appena nata → la parola Fratelli è appena nata, è nuova, si scopre adesso
→ in quel momento, al fronte, ci si riscopre fratelli uniti da un unico orizzonte di fragilità
involontaria rivolta (v.7) → il poeta allude all’involontaria ribellione dell’uomo che,
pronunciando la parola fratello, si mostra consapevole della propria fragilità e cerca la salvezza
nella solidarietà dei suoi simili
Ungaretti modi ca il titolo da Soldato a Fratelli perché quest’ultima parola rende maggiormente
ciò che poi il poeta esprime nella poesia → la solidarietà e la ricerca di un’umanità che nei
luoghi di guerra sembra non esserci. Nella versione de nitiva la parola fratello del v. 3 di

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Soldato viene spostata all’ultimo verso e cambiata in fratelli. In questo modo l’ultimo verso
riprende l’inizio della poesia, creando una sorta di cerchio.
I fiumi da Il porto sepolto Mi tengo a Ho ripassato le epoche
quest’albero mutilato abbandonato in della mia vita
questa dolina che ha il languore di un circo
prima o dopo lo spettacolo e guardo il Questi sono i miei
passaggio quieto delle nuvole sulla luna fiumi

Stamani mi sono disteso in un’urna Questo è il Serchio al quale hanno


d’acqua e come una reliquia ho attinto duemil’anni forse di gente
riposato mia campagnola e mio padre e
mia madre
L’Isonzo scorrendo mi
levigava come un suo sasso Questo è il Nilo che mi ha visto
Ho tirato su le mie quattr’ossa nascere e crescere e ardere
e me ne sono andato come un d’inconsapevolezza nelle estese
acrobata sull’acqua pianure

Mi sono accoccolato vicino al miei Questa è la Senna e in quel


panni sudici di guerra e come un suo torbido mi sono
beduino rimescolato e mi sono
mi sono chinato a ricevere il sole conosciuto

Questo è l’Isonzo e qui meglio mi Questi sono i miei fiumi contati


sono riconosciuto una docile fibra nell’Isonzo
dell’universo
Il mio supplizio è quando non mi Questa è la mia nostalgia che in
credo in armonia ognuno mi traspare ora ch’è
notte che la mia vita mi pare una
Ma quelle occulte corolla di tenebre
mani
che m’intridono mi regalano la
rara felicità
È molto lunga rispetto alle altre poesie della raccolta. È composta da quindici strofe di versi
liberi. Le strofe non hanno una misura regolare e de nita e vanno da un minimo di due ad un
massimo di otto versi.
La struttura della lirica si articola in tre tempi:
● I tempo → vv. 1-26: il poeta si trova nel Carso durante la Prima guerra mondiale; ri ette
con se stesso e dice di essersi steso dentro ad una cavità piena d’acqua, vicino all’Isonzo,

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per trarne bene cio sicamente (e spiritualmente). Lì ha iniziato a contemplare il


paesaggio, poi ha raccolto i suoi vestiti sudici di guerra e si è messo a prendere il sole.
● II tempo → vv. 27-41: Rinfrescato dall'acqua del ume, inchinato al sole, si riconosce
una piccola parte, una docile bra dell'universo, è un momento magico perché sente
ridestarsi in cuore il contatto con la natura che la brutalità della guerra aveva interrotto; è
felice perché ora vive in armonia con le cose che lo circondano mentre le memorie del
passato ri uiscono nella mente ritornata serena.
● III tempo → vv. 42-69: È un ashback della sua esistenza suscitato dal ume Isonzo → la
sua vita gli scorre davanti scandita dal ritorno di altri tre umi: il Serchio, dove ebbe
origine il ceppo della sua famiglia; il Nilo, sulle cui sponde nacque, crebbe e si sentì
ardere dal desiderio di nuove esperienze; la Senna, con le sue acque torbide come le
passioni giovanili e il rimescolio di idee e di polemiche con gli amici della nuova
avanguardia europea. Lì, a Parigi aveva capito qual'era la sua vita e la sua vocazione
poetica → scoperta della parte oscura: in quel suo torbido nel quale mi sono rimescolato
e mi sono riconosciuto → non essere fatto soltanto di una parte luminosa e lucente, ma la
scoperta di una parte oscura
Questa la sua nostalgia, questi i ricordi del passato resi più acuti nella notte che lo fascia con le
sue tenebre e lo protegge dalle insidie della guerra come la corolla protegge la parte interna del
ore.

Il poeta compie un percorso mentale della sua esistenza attraverso i quattro umi che hanno
segnato le quattro tappe più importanti della sua esistenza:
● il Serchio → ricorda ad Ungaretti la sua famiglia, originaria di Lucca;
● il Nilo → gli ricorda l’Egitto, dove è nato e dove ha trascorso la sua infanzia;
● la Senna → gli ricorda l’ambiente francese, nel quale ha completato la sua formazione
culturale e letteraria;
● l’Isonzo → fiume legato al momento attuale, quello della guerra nel Carso, la morte, la
distruzione
Tutti questi fiumi confluiscono simbolicamente nel fiume in cui sta vivendo le sue ore più
difficili, cioè l’Isonzo.
Significa che tutte le esperienze del poeta sfociano in una amara considerazione sulla vita e sul
dolore → nelle memorie del passato egli ritrova la serenità e la pace che la notte ora protegge e
avvolge nel silenzio delle sue tenebre.

Cotici → il riferimento al luogo in cui si trova è molto puntuale → deittici (quest’albero


mutilato, questo è l’Isonzo)
Lo scenario è quello della guerra in cui uomini e piante partecipano allo stesso destino di morte
circo → sembra incongrua. Torna nella 4 strofa (acrobata sull’acqua) → immagine di un
momento di divertimento che tende a far divagare, ma in realtà è falso. Infatti è il circo prima e

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dopo lo spettacolo, non durante.


Eppure la natura o re una sorta di quiete → o re anche la possibilità di un lavaggio di
purificazione → rito sacro quello che compie il poeta: si distende e l’acqua da una parte il
liquido amniotico (origine: Serchio → Lucca, Nilo) ma è anche un rito battesimale, secondo un
mitologema (nucleo mitico molto forte), cioè l’acqua che insieme è ricordo del vita embrionale
e dall’altra parte pre gurazione della morte (urna)
Il poeta si immerge nell’acqua del ume e lascia che l’acqua compia il suo lavoro di puri
cazione. Dopo di che riemerge e si china a ricevere il bacio del sole → memoria della propria
infanzia (come un beduino)

Nel momento in cui Ungaretti sta combattendo una guerra per i con ni, qui rivendica un’identità
basata non sulla contrapposizione e sulla distinzione, ma sulla molteplicità e sulla compresenza
dei diversi. Accanto a lui il ume diventava elemento frontiera, luogo di contrapposizione, di
scontro e di morte. Invece i umi per Ungaretti sono uno e molti → non si riconosce solo in un
ume → nostalgia → identità fatta di strappi e di ferite
È vero che ci sono le tenebre, la notte, la mancanza di luce, però c’è un ore
L’immagine del nomade (beduino, acrobata) rimanda alla dimensione del viandante →
Ungaretti ha viaggiato molto nella sua vita.

Seconda stagione: sentimento tragico della fuga del tempo


Sentimento del tempo (1933) → 70 liriche suddivise in 7 sezioni
Arrivo a Roma → la città eterna trasmette a Ungaretti il senso del tempo e della memoria, dello
splendore e del fatale declino di ogni civiltà → caducità → Barocco → sentimento della vanità
delle cose terrene, destinate a consumarsi nel tempo. È a partire dal sentimento barocco del
tempo che Ungaretti matura la propria tormentata conversione al cattolicesimo → il barocco
rappresenta il tramite e lo specchio della sua stessa fede inquieta → si aggrappa all’idea di
eterno per far fronte all’orrore della ne in cui precipita tutto ciò che è destinato a morire.
A Roma si avvicina anche alla mitologia → mondo di divinità pagane maggiori e minori → l’io
biogra co del poeta, che nel Porto sepolto si mostrava direttamente, qui si traveste, si cala nei
panni di personaggi mitici e si proietta in una gura universale.
temi → Roma, tempo, memoria, morte, metamorfosi della natura, disfacimento e caducità di
ogni cosa, mito
● restaurazione letteraria → recupero delle forme tradizionali: ritorno all’ordine →
armamentario mitologico; stile più sontuoso; gusto colto; le forme ritrovano la
punteggiatura; ritorno dei versi tradizionali (endecasillabo); la sintassi si fa più
complessa (baroccheggiante); musicalità più uente

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Terza stagione: dolore personale e collettivo


Il dolore (1947); La terra promessa (1950) → progetto incompiuto di un melodramma su
Enea; Un grido e paesaggi (1952); Taccuino del vecchio (1960)
● linguaggio ricercato, di in uenza letteraria;
● sintassi lineare, secondo strumenti già sperimentati dal poeta e dalla tradizione lirica;
● presenza della punteggiatura e della rima, utilizzo di forme metriche della tradizione.
Il dolore → è incentrata sul dolore, personale (perdita del glio e del fratello) e collettivo
(Seconda guerra mondiale). Forte della fede conquistata, Ungaretti vede i tragici eventi come il
diabolico frutto dell’allontanamento dell’uomo dalla legge divina → la guerra diventa una sorta
di apocalisse → assume connotati biblici. Il poeta si sente quasi al nire della sua esistenza →
determina il tono di saggezza, distacco e malinconia → richiama i propri simili alla pietà e alla
fratellanza
La terra promessa → sebbene il titolo sia biblico, Ungaretti preleva i personaggi dall’Eneide →
tutti all’inseguimento di un’utopica “terra promessa”, ma anche costretti a constatare di aver
riposto le proprie speranze in mete ingannevoli

Un grido e paesaggi → il grido è quello emesso da Antonietto in punto di morte; paesaggi


allude ai luoghi del mondo evocati dalle altre poesie. Su tutti i testi aleggia il motivo dominante
della vecchiaia → la memoria, innescando una presa di coscienza, dovrebbe svolgere una
funzione catartica, di distacco dalle passioni e dagli inganni della vita, facendo della vecchiaia
non più soltanto il tempo della malinconia ma anche il tempo della conquistata sapienza.
Il taccuino del vecchio → si ricollega a La terra promessa, ma senza la proiezione leggendaria
dell’Eneide. Qui Ungaretti suggella l’universalità della sua condizione → la terra promessa è
diventata il nome in codice del paradiso.

Giorno per giorno da Il dolore, sezione Giorno per giorno


I appena mutato, temo, fumo… Come si
"Nessuno, mamma, ha mai sofferto può ch’io regga a tanta notte?…
tanto..." E il volto già scomparso ma
gli occhi ancora vivi dal guanciale III
volgeva alla finestra, e riempivano Mi porteranno gli anni
passeri la stanza verso le briciole dal chissà quali altri orrori, ma
babbo sparse per distrarre il suo ti sentivo accanto, m’avresti
bimbo… consolato…

II IV
Ora potrò baciare solo in sogno le Mai, non saprete mai come m’illumina
fiduciose mani… E discorro, lavoro, sono l’ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più…

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V dell’amore che mi strazia non solo segno


Ora dov’è, dov’è l’ingenua voce che in un breve appannamento se dall’inferno
corsa risuonando per le stanze, arrivo a qualche quiete…
sollevava dai crucci un uomo stanco?
… La terra l’ha disfatta, la protegge XII
un passato di favola… Sotto la scure il disilluso ramo cadendo
si lamenta appena, meno che non la
VI foglia al tocco della brezza… E fu la
Ogni altra voce è un’eco che si spegne furia che abbatté la tenera forma e la
ora che una mi chiama premurosa carità d’una voce mi
dalle vette immortali… consuma…

VII XIII
In cielo cerco il tuo felice volto, ed i miei Non più furori reca a me l’estate,
occhi in me null’altro vedano quando né primavera i suoi presentimenti;
anch’essi vorrà chiudere Iddio… puoi declinare, autunno, con le tue
stolte glorie:
VIII per uno spoglio desiderio, inverno
E t’amo, t’amo, ed è continuo schianto!… distende la stagione più clemente!…

IX XIV
Inferocita terra, immane mare mi separa Già m’è nelle ossa scesa
dal luogo della tomba dove ora si l’autunnale secchezza, ma,
disperde il martoriato corpo… Non protratto dalle ombre,
conta… Ascolto sempre più distinta sopravviene infinito un demente
quella voce d’anima che non seppi fulgore: la tortura segreta del
difendere quaggiù… M’isola, sempre più crepuscolo inabissato…
festosa e amica di minuto in minuto, nel
suo segreto semplice… XV
Rievocherò senza rimorso sempre
X un’incantevole agonia di sensi?
Sono tornato ai colli, ai pini amati e Ascolta, cieco: “Un’anima è partita
del ritmo dell’aria il patrio accento dal comune castigo ancora illesa…”
che non riudrò con te, mi spezza ad
ogni soffio… Mi abbatterà meno di non più udire i
gridi vivi della sua purezza che di
XI sentire quasi estinto in me il fremito
Passa la rondine e con essa estate, e pauroso della colpa?
anch’io, mi dico, passerò… Ma resti

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XVI XVII
Agli abbagli che squillano dai vetri Fa dolce e forse qui vicino passi dicendo:
squadra un riflesso alla tovaglia l’ombra, “Questo sole e tanto spazio ti calmino.
tornano al lustro labile d’un orcio gonfie Nel puro vento udire puoi il tempo
ortensie dall’aiuola, un rondone ebbro, il camminare e la mia voce. Ho in me
grattacielo in vampe delle nuvole, raccolto a poco a poco e chiuso Lo
sull’albero, saltelli d’un bimbetto… slancio muto della tua speranza.
Inesauribile fragore di onde si dà che Sono per te l’aurora e intatto giorno”.
giunga allora nella stanza e alla
freschezza inquieta d’una linea azzurra,
ogni parete si dilegua…
La so erenza per la morte del glio viene messa in versi in maniera cronistorica del dolore il glio
che so re e che muore → abbandona il padre, il quale vede svanire la compagnia che
immaginava allietato i suoi anni anziani
Primo frammento → parla di suo glio Antonietto che è molto so erente per il suo malessere. Il
primo verso, è una frase che egli rivolge alla mamma e che è rimasta impressa al poeta. Il volto
del glio è spento ma i suoi occhi sono ancora vivi. Entrambi si trovavano al davanzale della
nestra a dare le briciole ai passeri festosi e così facendo riusciva a distrarre il bambino dai
pensieri più bui.
Secondo frammento → il bimbo muore e il poeta si rende conto che tutte le cose più tenere che
gli riservava, come baciargli le mani in segno di ducia, da ora in poi potrà farlo solo in sogno.
Ma la vita va avanti, anche dopo un lutto, e il poeta si chiede come sia possibile essere in grado
di sopportare un dolore così grande.
Terzo frammento → Il poeta è pessimista sul suo futuro e sospetta che ci saranno altre so
erenze per lui. Inoltre dice che qualunque orrore gli sarebbe capitato, gli sarebbe stato su
ciente avere il glio accanto per sentirsi consolato.
Quarto frammento → ci sono momenti in cui il poeta si sente triste e senza speranza ed è
proprio in questi casi che immagina di rivedere il proprio glioletto, sotto forma di ombra, venuto
per confortarlo (come un angelo custode).
Quinto frammento → Il poeta ripensa a quando il suo bimbo stava bene e correva per la casa e
la sua voce risuonava dolcemente in ogni stanza. E mentre adesso la terra si nutre del suo corpo
(lo deteriora), c'è una parte di lui che nessuno potrà mai toccare ed è custodita nel ricordo del
poeta. Ne parla come se si trattasse di una favola del passato.
Sesto frammento → il poeta dice che quando ripensa al glio e riesce a immaginare la sua voce,
perde interesse verso chiunque altra persona parli vicino a lui o gli rivolga parola. Settimo
frammento → il poeta dice che ogni volta che guarda il cielo cerca di rivedere il suo volto →
nella forma delle nuvole
Ottavo frammento → dice che lo ama, ma è una disperazione continua.

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Nono frammento → qui spiega la distanza che lo separa dal glio defunto ma che il ricordo lo fa
sembrare vicino a sé.
Decimo frammento → il poeta dice di essere ritornato a Roma, città che sente sua perché la
conosce molto bene. Tuttavia questo non basta per fargli tornare il buon umore perché queste
sensazioni le avrebbe potuto provare insieme al glio
Undicesimo frammento → qui il poeta dice che il tempo passa, e anche lui passerà... a miglior
vita.
Tredicesimo frammento → Il poeta dice che le stagioni non gli trasmettono più nulla, né la
vivacità dell'estate, né i colori della primavera, solo l'inverno è simile al suo stato d'animo.
Quattordicesimo frammento → dice di sentirsi appassito, paragonandosi alla natura
rinsecchita nella stagione autunnale.
Quindicesimo, sedicesimo e diciassettesimo frammento → riprende a parlare per metafore
alternando sentimenti dolci a uno stato d'animo distrutto → solo in forma poetica è possibile
descrivere questo mix di dolore e ingiustizia.
giorno per giorno → tempo del dolore e poi il tempo della memoria del glio che non c’è più
sintassi secca → esposizione nuda del proprio dolore, senza nessuna forma di compensazione
nella speranza e nella fede, e neppure nella malinconia del ricordo. È una so erenza che trova
voce nella poesia, che non può lenire, ma può servire a dare voce a questo grido di dolore.

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UMBERTO SABA
● 1883 → Trieste. La madre è ebrea, il padre abbraccia l’ebraismo per potersi sposare. Il
suo vero nome è Umberto Poli. Il padre abbandonò ebraismo e moglie non appena nasce
Umberto; no a tre anni il piccolo fu a dato a Peppa (balia slovena, cattolica) → per
lui sono anni felici, il trauma è quando la madre lo viene a riprendere → duplice con itto
padre-madre e madre-nutrice (complicato da questioni razziali e culturali).
● Formazione da autodidatta; apprendistato letterario a Firenze (1905).
● Dal 1907 al 1908 è militare volontario a Salerno → Versi militari.
● 1909 → sposa Carolina Wöl er (Lina).
● 1910 → pubblica Poesie (con lo pseudonimo di Umberto Saba → dal vezzeggiativo
datogli dalla balia).
● 1912 → acquista una libreria antiquaria.
● 1921 → prima edizione del Canzoniere.
● Dal 1929 al ’31 si sottopone a terapia psicoanalitica con Edoardo Weiss, allievo di Freud
(→ Il piccolo Berto).
● 1938 → fugge da Trieste, a causa delle persecuzioni razziali. Tornerà nella sua città solo
alla ne della guerra. Si rifugia a Firenze (incontro con Montale), poi a Roma e a Milano.
● 1945 → seconda edizione del Canzoniere.
● 1946 → Scorciatoie e raccontini.
● 1947-1948 → terza edizione del Canzoniere. Pubblica Storia e cronistoria del
Canzoniere con lo pseudonimo di Giuseppe Carimandrei.
● 1951 → quarta edizione del Canzoniere (1961 edizione de nitiva per Einaudi). ● 1957 →
muore in una clinica di Gorizia.
● 1975 → viene pubblicato postumo Ernesto → racconta la storia autobiogra ca
dell’iniziazione omosessuale di Saba

Temi e poetica
● Quello che resta da fare ai poeti (1911) → Cosa resta fare ai poeti? → la poesia onesta:
ricerca l’autenticità, si allontana dalle avanguardie per riconoscersi nei grandi poeti della
tradizione. Poesia semplice, apparentemente banale, lessico di pubblico dominio,
impasto di poetico e impoetico, intreccio con il lessico aulico del
melodramma ottocentesco (Gramsci: vera poesia nazionale)
● Metrica → forme della tradizione: sonetti, canzoni e canzonette, terzine e distici a rima
baciata. Predilezione per la rima
● modernità → psicoanalisi e componente autobiogra ca → la poesia ha un forte potere
conoscitivo → conoscenza di far emergere le emozioni profonde che si
agitano nell’inconscio → la psicoanalisi è un modo per trovare un importante fattore
conoscitivo
● Trieste come protagonista

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● eterogeneità formale → sperimentazione di diversi generi letterari (favola, ritratto,


lettera, autobiogra a, dialogo e fuga musicale, sogno e mito, novella e epos, idillio e
aforisma)

Il canzoniere
È il libro di una vita → in esso con uiscono tutte le raccolte che Saba andò pubblicando negli
anni → è un progetto in continua rielaborazione e evoluzione: l’edizione de nitiva uscì postuma
nel 1961. La forma di canzoniere consente che i singoli componimenti diventano parte di un
tutto, entrando in relazione con gli altri. Saba rispetta sostanzialmente l’ordine di stesura ma
non sempre la cronaca è fedele agli avvenimenti autobiogra ci.
Fondamentalmente i tre volumi rappresentano 3 fasi della sua esistenza lirica:
● Volume primo (1900-1920): 125 liriche, 9 sezioni; corrisponde alla prima edizione
(1921), si chiude con Cose leggere e vaganti e L’amorosa spina. Il tempo
dell’esperienza: esperienza militare e vita amorosa (Lina, le commesse Paolina e
Chiaretta) → Saba si tu a nella vita, sperimentando le gioie e le delusioni, le di
coltà e i dolori.
● Volume secondo (1921-1932): 105 liriche, 8 sezioni; si conclude con le poesie
d’ispirazione psicoanalitica del Piccolo Berto. Il tempo della conoscenza: esame
retrospettivo, romanzo familiare (traumi infantili, complesso dell’orfano) → ripercorre la
propria esistenza allo scopo di capirne il segreto, per comprendere le cause profonde del
proprio malessere e le leggi universali che regolano la vita umana
● Volume terzo (1933-1954): 165 liriche, 9 sezioni; si chiude con le Sei poesie della
vecchiaia. Il tempo della sapienza: da una lato all’autobiogra a si sovrappone il mito e
la letteratura (Mediterranee) e dall’altro alla vena narrativa si sostituisce quella
epigrammatica (Parole, Ultime cose, Quasi un racconto). saba non ha più motivo di
rovistare nella propria infanzia, perché ha capito che il dolore è universale

Trieste da Il canzoniere, sezione Trieste e una donna


Ho attraversata tutta la città. Poi ho troppo grandi per regalare un fiore; come
salita un'erta, popolosa in principio, un amore con gelosia.
in là deserta, chiusa da un muricciolo: Da quest'erta ogni chiesa, ogni sua via
un cantuccio in cui solo siedo; e mi scopro, se mena all'ingombrata spiaggia, o
pare che dove esso termina termini la alla collina cui, sulla sassosa cima, una
città. casa, l'ultima, s'aggrappa. Intorno
Trieste ha una scontrosa grazia. Se circola ad ogni cosa
piace, è come un ragazzaccio aspro e un'aria strana, un'aria tormentosa,
vorace, con gli occhi azzurri e mani l'aria natia.

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La mia città che in ogni parte è viva,


ha il cantuccio a me fatto, alla mia
vita pensosa e schiva

Da una parte si riallaccia alla grande tradizione petrarchesca, ma dall'altra parte si rifà alla
letteratura europea soprattutto tedesca → Saba è profondamente collegato a Trieste, che ha una
posizione particolare: Trieste si trova in un crocevia (è il porto dell'impero austroungarico →
commercio di merce e uomini; è anche la città della civiltà tedesca; Trieste ha anche una
tradizione di lingua italiana e solvenza → con na con la Slovenia. Inoltre la balia di Saba è
slovena). Questo crocevia di cultura è anche il momento di incrocio di religioni diverse. Da
questo miscuglio nasce la poesia di Saba → una poesia che però, per essere così proiettata verso
il tedesco, si di erenzia da altri poeti che hanno più vicino il francese
Prima strofa → il poeta descrive la strada in salita che conduce alla collina a ollata, vivace,
rumorosa all'inizio e sempre più solitaria alla ne. Percorrendo la strada giunge in un piccolo
spazio chiuso da un muricciolo, "un cantuccio" che segna il con ne della città e lì il poeta siede
solo ma non diviso dal mondo che ama.
Seconda strofa → Qui paragona Trieste a un ragazzaccio aspro e vorace, facendola diventare
un personaggio vivo e autonomo. Il ragazzo possiede una grazia innata, una bellezza spontanea
e naturale; i suoi occhi azzurri → ri ettono il colore del mare di Trieste, evocano tenerezza. Le
sue mani sono grandi per compiere atti gentili (come regalare un ore) ma dietro questa
apparenza si nasconde una grande dolcezza. Questo contrasto viene identi cato dal poeta come
un amore tormentato dalla gelosia. Dall'alto della salita che gli consente di avere una visione
panoramica di tutta la sua città, gli pare che "ogni chiesa, ogni via", "l’ingombra spiaggia" e "la
collina", gli appartengano e che sono avvolti nell' “aria natia” che è anche un'aria strana e
tormentosa.
Terza strofa → Dalla sua postazione, il poeta fa le sue ri essioni, osserva la vita intorno senza
farne parte, ma senza neppure sentirsi estraniato. Sa di poter trovare nella città uno spazio adatto
alla sua vita "pensosa e schiva".

Mio padre è stato per me «l'assassino» da Il canzoniere, sezione Autobiografia


Mio padre è stato per me un sorriso, in miseria, dolce e
«l'assassino», fino ai vent'anni che astuto. Andò sempre pel mondo
l'ho conosciuto. Allora ho visto pellegrino; più d'una donna l'ha
ch'egli era un bambino, e che il amato e pasciuto.
dono ch'io ho da lui l'ho avuto.
Egli era gaio e leggero; mia madre
Aveva in volto il mio sguardo azzurrino, tutti sentiva della vita i pesi.
Di mano ei gli sfuggì come un pallone. Ed io più tardi in me stesso lo intesi: Eran due
razze in antica tenzone
«Non somigliare – ammoniva – a tuo padre».

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È un sonetto → forme più usate e abusate della tradizione letteraria (Leopardi ha smesso di
scrivere sonetti). Saba recupera il sonetto in un momento di rottura con il passato. Però lo adatta
a quello che vuole dire, al suo spirito. Il sonetto ha una struttura di tipo contrastivo: due blocchi
(due quartine e due terzine). Rima alternata nelle quartine, rima ripetuta o duplicata nelle terzine
→ tutta la prossima dal punto di vista formale è costruita su un sistema binario.
Il tema è incentrato anche sulla duplicità → duplicità tra madre e padre, presente sin dal titolo:
assassino è messo tra virgolette uncinate → riprende le parole della madre . È lei che lo
definisce l'assassino. Già nel titolo abbiamo la presenza del padre e il punto di vista della madre.
Bambino fa rima con assassino → crudeltà che ha avuto nei confronti della moglie e del figlio
in realtà è la crudeltà di un bambino che non si accorge del male che fa.
Saba ha ottenuto in dono dal padre un segno sico, cioè lo sguardo azzurrino → in questo
scambio di aggettivi è il padre c'è ha lo sguardo del glio → inversione nel rapporto genitoriale:
il padre è il bambino
Assassino, bambino, azzurrino, pellegrino → pellegrino è sempre il padre che gira il mondo
senza avere una cosa, cioè un luogo dove stabilirsi e avere il proprio centro. Il sorriso da una
parte è dolce ma dall'altra è astuto → come se volesse ingannare. Ha ricevuto l'amore e l'a etto,
ma soprattutto è stato nutrito da diverse donne → tutto ciò può essere un paragone con Ulisse.

Nelle terzine la contrapposizione tra il padre e la madre si fa più diretta.


Mette agli estremi Egli e mia madre → enjambement che ampli ca l'inversione irregolare → il
padre è caratterizzato dallo sguardo azzurrino che richiama il cielo e il mare (cose leggere e
vaganti → un'altra sezione del Canzoniere) ed è gaio e leggero, invece la madre sente tutti i pesi
della vita.
La madre avverte il figlio di non assomigliare al padre
Eran due razze in antica tenzone → c'era una contrapposizione tra di loro che va oltre al fatto
che la donna è avversaria dell'uomo, ma riguarda anche le religioni → Contrasto così antico e
perpetuo che è come se in questa dialettica i due fossero segni di una contrapposizione profonda
e netta.
Più tardi in me stesso lo intesi → il contrasto che era esterno (tra la madre e il padre) è il
contrasto che lui vive al proprio interno tra l'aspetto leggero e vagante e l'angoscia del vivere, la
pesantezza delle responsabilità → sava non sceglie tra il lato, ma racchiude in sé questa
tensione e la fa diventa poesia → nasce dalla compresenza e una sorta di corrente elettrica che
viene da questi due poli.
Ecco perché il sonetto non è un tributo al passato, ma è una forma, per la sua dimensione
dialettica bipolare che si sviluppa tra due contrasti, che realizza meglio questa idea→ possiamo
parlare di innovazione all'interno della tradizione

L'uso di un lessico ancorato al passato → recupero di forme consolidate della tradizione uscite
fuori dall'uso e che appartengono al lessico lirico del melodramma (ei, tenzone, )

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Città vecchia da Il Canzoniere, sezione Trieste e una donna


Spesso, per ritornare alla mia casa che bestemmia, la femmina che
prendo un’oscura via di città bega, il dragone che siede alla
vecchia. Giallo in qualche bottega del friggitore,
pozzanghera si specchia qualche la tumultuante giovane impazzita
fanale, e affollata è la strada. d’amore,
sono tutte creature della vita e
Qui tra la gente che viene che del dolore; s’agita in esse, come
va dall’osteria alla casa o al in me, il Signore.
lupanare, dove son merci ed
uomini il detrito di un gran Qui degli umili sento in
porto di mare, io ritrovo, compagnia
passando, l’infinito nell’umiltà. il mio pensiero farsi
Qui prostituta e marinaio, il vecchio più puro dove più turpe è la via
Questa è una delle poesie più intense e rivelatrici di saba → rende tutto un lato della sua
anima e della sua poesia → perduto nei vicoli e vicoletti di città vecchia, il poeta trova
l’infinito - nell’umiltà
Trieste è la protagonista di questa poesia → qui è paragonata a una donna. È la città vecchia in
cui si incontrano persone provenienti dal porto, cui si specchia giallo il fanale, la gente che
arriva e che va → Città vecchia è il nucleo più antico di trieste, che comprendeva il ghetto
ebraico il motivo centrale della poesia è enunciato ai vv. 9-10 → riprendono il concetto
nietzschiano della coincidenza tra quotidianità e in nito → a una tematica “bassa” corrisponde
uno stile di apparente semplicità, ma sapientemente calcolato nelle scelte lessicali, sintattiche e
metriche → la poesia ha un taglio narrativo e realistico (nella descrizione delle persone) e
predilige un lessico quotidiano → l’e etto di colloquialità è però bilanciato sul piano sintattico
dalle numerose inversioni e dagli iperbati; mentre a livello metrico dai frequenti enjambement
Il lupanare → bordello. Tutte quelle gure che non fanno parte dei luoghi borghesi.
Continua commistione tra elementi colloquiali e elementi colti Dragone →
soldato
Attenzione alle rime → nella prima strofa abbiamo una rima incrociata (casa-strada è un
assonanza) → caratteristica della poesia di saba dove le rime sono imperfette
Detrito-infinito
Friggitore-amore- dolore → un elemento che fa rima con due parole chiave. Fa rima anche
con Signore → elementi cristico nel fatto che, nell'ultima strofa, in questo scendere e
abbassarsi nella parte più misera della città, tra gli umili, il pensiero si fa più puro. Infinito →
riferimento a Leopardi , ma si rifà di più a Pascal → l'uomo nel suo essere umile è capace di
concepire l'in nito.

A mia moglie da Il Canzoniere, sezione Casa e campagna

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Tu sei come una giovane una bianca Tu sei come la pavida


pollastra. Le si arruffano al vento le coniglia. Entro
piume, il collo china per bere, e in l'angusta gabbia ritta
terra raspa; ma, nell'andare, ha il al vederti s'alza,
lento tuo passo di regina, ed incede e verso te gli orecchi alti
sull'erba pettoruta e superba. È protende e fermi; che la crusca e
migliore del maschio. È come sono i radicchi tu le porti, di cui priva
tutte le femmine di tutti i sereni in sé si rannicchia, cerca gli
animali che avvicinano a Dio, angoli bui. Chi potrebbe quel
Così, se l'occhio, se il giudizio mio non cibo ritoglierle? chi il pelo che si
m'inganna, fra queste hai le tue uguali, e in strappa di dosso, per
nessun'altra donna. Quando la sera assonna aggiungerlo al nido dove poi
le gallinelle, mettono voci che ricordan quelle, partorire? Chi mai farti soffrire?
dolcissime, onde a volte dei tuoi mali ti
quereli, e non sai che la tua voce ha la soave e Tu sei come la rondine che torna
triste musica dei pollai. in primavera. Ma in autunno
riparte; e tu non hai quest'arte.
Tu sei come una gravida giovenca; Tu questo hai della rondine: le
libera ancora e senza gravezza, movenze leggere: questo che a
anzi festosa; che, se la lisci, il collo me, che mi sentiva ed era
volge, ove tinge un rosa tenero la vecchio, annunciavi un'altra
tua carne. se l'incontri e muggire primavera.
l'odi, tanto è quel suono lamentoso,
che l'erba strappi, per farle un Tu sei come la
dono. È così che il mio dono t'offro provvida formica.
quando sei triste. Di lei, quando
escono alla
Tu sei come una lunga cagna, campagna, parla
che sempre tanta dolcezza ha al bimbo la nonna
negli occhi, e ferocia nel cuore. che l'accompagna.
Ai tuoi piedi una santa sembra, E così nella
che d'un fervore indomabile pecchia ti ritrovo,
arda, e così ti riguarda come il ed in tutte le
suo Dio e Signore. Quando in femmine di tutti i
casa o per via segue, a chi solo sereni animali che
tenti avvicinarsi, i denti avvicinano a Dio;
candidissimi scopre. Ed il suo e in nessun'altra
amore soffre di gelosia. donna.
Una delle poesie più note → il poeta celebra la moglie paragonandola molto

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domesticamente al alcuni animali, dei quali mette in rilievo le qualità che essi condividono con
la donna → la moglie non apprezzerà questa poesia
Contrasto con la tradizione lirica italiana → la donna non è paragonata ad animali nobili,
domestici e umili → gli animali non diventano simboli, conservano la loro natura
Dopo una crisi famigliare i due si rifugiano in compagnia, dove ritrovano una certa armonia →
questa dimensione agreste è per Saba un momento di serenità.
È una sorta di similitudine continuata che ha un andamento da litania (tu sei, tu sei, tu sei)
→ tipica delle preghiere mariane. Richiamo biblico anche al Cantico dei cantici
Il poeta, come il fanciullo, ama gli animali, che, per la semplicità della loro vita, si
“avvicinano a Dio”, cioè alle verità e in nessun'altra donna → non la paragona a nessun'altra
donna. Dio non può essere paragonata a nessun altro uomo, non può essere antropo zzata.
Ecco perché per parlare di Dio si ricorre sempre agli animali, e non a una qualità dell'uomo.
C'è una tradizione nell'esprimere le qualità superiori della donna attraverso i riferimenti
animali → ma non appartengono alla tradizione della lirica colta. Il fatto che sono animali
lontano dall'idea tradizionale della donna rende l'esempio e il paragone ancora più forte.
Dall'altro lato c'è questa idea di un modo animale fatto di quotidianità e di convivenza paci ca
Saba era ateo e per lui Dio coincideva con la natura → il paragone fra la moglie e gli animali
deriva dal fatto che, secondo Nietzsche, alla donna viene attribuita una posizione più vicina alla
natura, quindi più elevata di quella dell’uomo
C'è una contrapposizione → da una parte ci sono gli animali che sono più vicini a Dio ma
dall'altra c'è una sorta di inquietudine:
Cagna → dolcezza innata → riferimento a Dio. Ma scopre i denti → minacciare.
Coniglia → si strappa il pelo di dosso → so re per procurare il nido per il parto Rondine →
torna in primavera e riparte, ma la donna rimane. Come la donna porta la primavera, così
come la donna porta la primavera all'uomo → facoltà di generare la vita Formica →
capacità di organizzare e amministrare il ménage familiare
Pecchia (ape) → operosità
Vengono richiamati gli elementi della vita famigliare (giovinezza della donna, la gravidanza, la
gelosia, il parto e i gli, e l'abbandono)

Teatro degli Artigianelli da Il Canzoniere, sezione 1944


Falce martello e la stella d’Italia rosseggia parco ai bicchieri l’amico
ornano nuovi la sala. Ma quanto dell’uomo, cui rimargina ferite, gli
dolore per quel segno su quel muro! chiude solchi dolorosi; alcuno
venuto qui da spaventosi esigli, si
Entra, sorretto dalle grucce, il scalda a lui come chi ha freddo al
Prologo. Saluta al pugno; dice sue sole.
parole perché le donne ridano e i

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fanciulli che affollano la povera Questo è il Teatro degli


platea. Dice, timido ancora, dell’idea Artigianelli, quale lo vide il poeta
che gli animi affratella; chiude: «E nel mille
adesso faccio come i tedeschi: mi novecentoquarantaquattro, un
ritiro». giorno di Settembre, che a tratti
Tra un atto e l’altro, alla Cantina, in giro rombava ancora il cannone, e
Firenze taceva, assorta nelle sue
rovine
Siamo ancora nella guerra dopo l'8 settembre l'Italia viene divisa in due→ nuova solidarietà tra
gli uomini nata dalle speranze Rappresentazione teatrale

Il testo può essere suddiviso in tre parti:


1° strofa → la descrizione della sala con l'aggiunta dei simboli del comunismo, ritornati dopo
un periodo d'assenza (durante il ventennio fascista i partiti politici erano stati dichiarati illegali).
2° strofa → in questi versi viene descritta l'atmosfera della sala del teatro è felice, ma è una
contentezza triste. Il presentatore nonostante sia nella triste condizione di mutilato che si regge
con le stampelle, non perde occasione per far ridere o almeno sorridere le donne e i bambini ma
sempre mettendo in primo piano gli ideali di giustizia e fratellanza del socialismo si rivolge
anche agli uomini che bevono per dimenticare le so erenze patite.
3° strofa → nei versi nali il poeta descrive le cose come stanno, speci cando il luogo e la data,
come a darne una rilevanza dal punto di vista storico.

C'è il tentativo di scoprire una venatura civile della propria poesia → non è solo rivolta a se
stesso ma è anche rivolta alla comunità, ha una dimensione corale. Dimensione intima fatta
di una comunità di intenta nelle piccole cose che dimentica la so erenza Tema delle rovine →
tema costante della seconda guerra mondiale. Il fatto che i bombardamenti sono realizzati
sulle città è un elemento di novità → no all'ottocento la guerra si combatteva nelle campagne.
Nella seconda guerra mondiale la separazione tra fronte e retroguardia si annulla → la guerra
viene portata dentro la città, in mezzo ai civili, che muoiono insieme ai soldati → esperienza
comune
Le rovine diventano anche un simbolo della ricostruzione della lingua → una lingua che è stata
corrotta dalle parole del fascismo e della guerra deve essere di nuovo messa in piedi e dando
senso nuovo a parole come patria, Italia → si possono usare come le rovine per costruire
qualcosa
L’uso di parole logore e di rime antiche è apertamente tematizzato nella poesia

Amai da Il canzoniere, sezione Mediterranee


Amai trite parole che non uno quasi un sogno obliato, che il dolore

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osava. M’incantò la rima fiore riscopre amica. Con paura il cuore amore, le si
accosta, che più non l’abbandona. la più antica difficile del mondo.
Amo te che mi ascolti e la mia buona Amai la
verità che giace al fondo, carta lasciata al fine del mio gioco

Dichiarazione di poetica e polemica rivolta ai poeti ermetici → Saba non apprezza il loro
atteggiamento di superiorità, la mancanza di comunicatività con il pubblico, l'idea di arte come
cosa aristocratica, come dono per pochi e non per tutti.
Il discorso riguarda il cuore ed esprime un impegno soprattutto morale, in quanto il dolore rende
amica anche la verità più dura → per Saba non c'è amore senza dolore, tanto che il "doloroso
amore" costituisce l’essenza della vita, la quale è anche una fonte insostituibile di gioia e di
consolazione, come risulta dai due versi conclusivi, che si riferiscono direttamente al lettore
("Amo te che mi ascolti"), per renderlo partecipe a questa esperienza.
Nella prima strofa egli parla delle sue scelte per quanto riguarda lo stile. Nella seconda, ci parla
dei contenuti, cioè egli ricorda che con l’aiuto della poesia ha sempre cercato di esaminare la
profondità dell’animo umano. La verità viene spesso dimenticata come se si trattasse di sogno.
Il cuore le si avvicina con un certo timore perché la verità, una volta scoperta, non lo lascerà
più. Quindi, per Saba, la poesia ha quasi una funzione terapeutica,perché è utile per guarire il
dolore: è meglio scoprire ciò che a volte si cerca di non vedere perché troppo doloroso, piuttosto
che vivere nella dimenticanza. Nella terza strofa, il poeta si rivolge direttamente al lettore con
un tono di a etto e di simpatia Rima fiore amore è la più di cile e antica del mondo → la rima
è quella più usata essendo la più facile, quindi è di cile dire qualcosa di nuovo e vero. Però
è necessario perché la poesia onesta nasce dalla verità → richiama Ungaretti
Fiore - amore - dolore - cuore →
C'è un tu → del lettore, della donna
Al ne del mio gioco → a nché possa continuare oppure alla ne

Ulisse da Il Canzoniere, sezione Mediterranee


Nella mia giovanezza ho navigato sottovento sbandavano più al largo, lungo le coste
dalmate. Isolotti per fuggirne l’insidia. Oggi il mio regno a fior d’onda emergevano, ove
raro è quella terra di nessuno. Il porto un uccello sostava intento a prede,accende ad altri
i suoi lumi; me al largo coperti d’alghe, scivolosi, al sole sospinge ancora il non domato
spirito,
belli come smeraldi. Quando l’alta e della vita il doloroso amore
marea e la notte li annullava, vele

È la poesia che chiude la sezione. Ulisse è rivissuto attraverso la memoria autobiogra ca → di


chi è nato e vissuto sempre guardando lo stesso mare.

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L’identi cazione seria e totale → io lirico. Ma anche qua possiamo riconoscere l'intertestualità
profonda:
- Foscolo → Nella mia giovanezza ho navigato lungo le coste dalmate (ove il mio corpo
fanciulletto giacque - A Zacinto); il porto accende ad altri i suoi lumi (e prego anch’io
nel tuo porto quiete - In morte del fratello Giovanni); sospinge ancora il non domato
spirito (quello spirto guerrier ch’entro mi rugge - La sera)

L'eroe greco rispecchia lo stato d'animo attuale di Saba → l'autore è infatti nella tarda maturità,
ma sente di non avere esaurito la propria parabola esistenziale; anzi, la vita può ancora o rirgli
verità da scoprire, purché non si accontenti dell'approdo, ma si metta in viaggio per raggiungere
altre mete.
Secondo una versione del mito, Ulisse, giunto ormai vecchio in patria dopo molti viaggi e
spostamenti, sentì l'impulso di rimettersi in viaggio, per soddisfare la sua insaziabile sete di
conoscenza. Abbandonò perciò nuovamente l'isola natale e i propri familiari. Allo stesso modo,
il poeta non desidera la quiete che può o rire una tranquilla vecchiaia; non si rassegna a una
condizione senile di rinuncia e di passiva attesa della morte → Il porto / accende ad altri i suoi
lumi. Come Ulisse, è animato da uno slancio giovanile → me al largo /sospinge ancora il non
domato spirito e si sente destinato a nuove esperienze, anche se ciò signi cherà dover a rontare
nuove prove e inquietudini.
L'analogia che vi è tra Saba e Ulisse si estende a molti degli elementi presenti nel testo. Per
esempio, gli isolotti che emergono sul pelo dell'acqua, che paiono belli come smeraldi alla luce
del sole, ma in realtà micidiali per le navi durante l'alta marea notturna, alludono all'isola delle
sirene → corpo metà di donna e metà di volatile ed erano causa di morte per i marinai
incautamente attratti dal loro canto fascinoso ma fatale; perciò le vele devono fuggirne l'insidia
→ Saba introduce gli scogli come un emblema delle di coltà dei pericoli della vita, da cui si
sente a ascinato, malgrado le insidie che nascondono (scivolosi).

Ernesto → il romanzo è rimasto incompiuto ed è stato pubblicato postumo nel 1975. Il


protagonista è Ernesto, un adolescente triestino abbandonato dal padre e respinto da una madre
arcigna → evidente proiezione dell’autore → in particolare, Saba rievoca la relazione
omosessuale con un uomo adulto, che aveva avuto un peso importante nella degenerazione
patologica del suo malessere.
Saba si so erma in particolare sulla psicologia del ragazzo, che appare tormentato dalla curiosità
di esplorare la propria sessualità, ma al contempo viene costantemente sovrastato dai sensi di
colpa causati dai tabù della società in cui è nato ed è cresciuto.

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EUGENIO MONTALE
autore cardine del 900
● 1896 → Genova. Famiglia medio-borghese, studi tecnici e passione per la musica.
Problemi di salute che lo obbligano ad avere formazione da autodidatta → grazie anche
all'aiuto della sorella che gli passa i libri e gli consiglia le letture. È una formazione
eclettica e varia, non centrata su un percorso de nito. Soggiorni estivi a Monterosso → in
Liguria, che rimangono nella sua memoria come paesaggio ospitale e famigliare, ma
anche un paesaggio aspro e irto.
● 1917 → Corso u ciali a Parma, partecipa alla prima guerra mondiale. Amicizia con
Solmi, Sbarbaro, Bobi Bazlen. Collaborazione con Gobetti (1924) → gura importante
che si oppone al fascismo e che lega Montale alla famiglia degli oppositori liberali.
● 1925 → Teorizza l’esigenza di semplicità, chiarezza e senso del limite; rinnovare
dall’interno la tradizione culturale (Stile e tradizione). Scoperta di Svevo.
● Ossi di seppia. Adesione al manifesto degli intellettuali antifascisti.
● 1927 → Si trasferisce a Firenze, rivista “Solaria” (apertura alle nuove esperienze
europee), direttore del Gabinetto Vieusseux (1929-1938), opposizione al regime.
● 1939 → Le occasioni. Collaborazione con “Letteratura” e “Campo di Marte”
● 1943 → Finisterre → La bufera e altro (1956) → dopo questa raccolta c'è un lungo
silenzio poetico
● 1948 → Milano. Attività di giornalista per il Corriere della Sera (Il secondo mestiere), di
traduttore (Quaderno di traduzioni)
● 1971 → Satura, Diario del ’71 e del ’72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977) ●
1975 → Premio Nobel per la letteratura.
● 1981 → muore a Milano

Le donne → Sono varie gure femminili in cui dobbiamo attenzionare il fatto che entrano nella
sua vita come gure di poesia.
Irma Brandeis → detta Clizia delle Occasioni. Nata in una ricca famiglia ebraica newyorkese
di origine austro-boema. Nel 1933 incontra Montale a Firenze durante un viaggio estivo e nasce
una storia d'amore destinata a concludersi de nitivamente nel 1938 → la loro storia d'amore di
conclude per due motivi: lei fu perseguitata, quindi deve tornare in America, non può restare in
Europa. Montale è tentato a seguirla, però nello stesso tempo ha intrapreso una relazione con
Drusilla Tanzi (con cui il poeta si sarebbe sposato agli inizi degli anni Sessanta), e Drusilla
avrebbe cercato di interrompere il rapporto tra Eugenio e la Brandeis. Nel 1939 cessa anche il
loro intenso scambio epistolare, una volta svanita l'ultima possibilità per il poeta di imbarcarsi
per raggiungerla negli Stati Uniti.
Drusilla Tanzi → detta Mosca delle poesie di Satura. Era sposata con il critico d’arte Matteo
Marangoni quando a Firenze conobbe Montale, con cui andò a vivere nel 1939.

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Secondo una lettera inviata ad Irma Brandeis, Montale impedisce due volte il suicidio di
Drusilla, che teme la partenza di Eugenio per raggiungere Irma negli Stati Uniti. La Tanzi
sposerà invece Montale nel 1962 e morirà l'anno dopo, in seguito a complicazioni derivanti da
una caduta e dalla conseguente rottura del femore.
Maria Luisa Spaziani→ detta la Volpe. Conosciuta in occasione di una conferenza tenuta a
Torino nel 1949, tra i due nacque, dopo un periodo di assidua frequentazione a Milano, un
sodalizio intellettuale caratterizzato anche da un'a ettuosa amicizia.
Se Clizia, che il nome deriva dalla divinità amata da Apollo che poi si incarnerà nel girasole
(immagine aerea che nella poesia di Montale si tras gura nell'immagine della donna angelo), la
Volpe è un'immagine più terrena e sensuale con connotati erotici.

La cosa a cui dobbiamo fare attenzione non è il fatto che ci sia l'autenticità biogra ca dietro le
gure femminili della poesia, ma il fatto che da qui parte la possibilità di mettere in versi, dare
voce tramite la poesia una ri essione interiore che travaglia l'identità biográ ca sia della donna
che del poeta.

Temi e poetica
Montale è quello che con maggiore consapevolezza compie l'attraversamento di d'Annunzio e
del simbolismo. Solarità panica → da una parte Alcyone che viene riletto da Montale in una
dimensione diversa. Sempre in questa logica di attraversamento l'obiettivo di Montale è quello
di interpretare il simbolismo in una dimensione storica, facendo i conti con il proprio presente
→ forte compresenza e importante dimensione storica quasi necessaria.
Questo vivere la storia ha una risonanza di sicuro disagio → disagio esistenziale e storico →
polemica contro i poeti laureati e ri uto del poeta vate → Poesia di conoscenza in negativo,
ma anche una poesia come testimonianza. Non è più tempo di poeti vate, cioè quelli che
possano dare indicazioni al popolo → momento in cui la società di massa comincia ad a
ermarsi. Nell'ottocento abbiamo la costruzione della nazione attraverso la gura del popolo. Il
poeta che compito ha? Quella poesia civile che ancora Foscolo, Manzoni e in parte anche
Leopardi mettono in piedi, è chiaro che adesso non è più possibile
→ ciò che non siamo, ciò che non vogliamo
La poesia di Montale richiama un alto tasso di narratività → in poesia bisogna alludere più
che dire → bisogna tacere il retroterra dell'origine e mostrare gli e etti e gli oggetti. La
potenza di questa poesia consiste che già nel mostrare questi oggetti e immagini sono su
cienti per imitare un'esperienza di vita.
Straordinaria complessità interna e architettura calibrata → una complessità che ha fatto dire al
critico Testa che la poesia di Montale è un'opera statua, come qualcosa di compatto che però a
uno sguardo più attento rivela movimento e una costruzione più accurata
Fedeltà alla parola poetica unita a una costante ri essione critica sulla funzione della poesia
e una convinta difesa del senso della letteratura → Ri uto degli sperimentalismi → Rispetto

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ad Ungaretti che aveva esibito la propria rottura con la lingua e la sintassi e la punteggiatura, e
quindi è il più diretto continuatore della rivoluzione con il passato e poi quella che sarà la
poetica dell'eccezione degli ermetici, Montale manifesta un classicismo modernista → da una
parte rivendica la tradizione classica, rivendita la propria appartenenza a una storia lunga che
vede punti di riferimento in Petrarca e leopardi, ma dall'altra fa i conti con la rottura del
modernismo. Quindi l'operazione che fa è un'operazione di un equilibrismo dinamico. È un
equilibrio tra tentazione anarchica all'innovazione assoluta dei futuristi e dall'altra una
tentazione a una chiusura verso un classicismo manierista.
Attenzione alla precisione nominativa e semantica → il modello di riferimento è Pascoli.
Montale si pone sulla strada del vocabolario lungo, non selezionato e ristretto, ma nel quale
convivono parole di origine diversa e di ambiti diversi
Predilezione per paesaggi e oggetti dimessi → paesaggi che non vengono ripresi in una
prospettiva esaltata, ma anzi vengono privilegiati aspetti quotidiani e dimessi. Recupero degli
elementi della tradizione → ma non per rifarli, ma per innovarli dall'interno: musicalità
(iterazioni foniche), forme metriche (quartina, canzone libera, strofe lunga dannunziana), rima
(anche ironica e dissimulata). Sintassi ampia e complessa.

Meriggiare pallido e assorto da Ossi di seppia, sezione Ossi di seppia


Meriggiare pallido e assorto Osservare tra frondi il
presso un rovente muro palpitare lontano di scaglie di
d’orto, ascoltare tra i pruni e mare mentre si levano tremuli
gli sterpi schiocchi di merli, scricchi di cicale dai calvi
frusci di serpi. picchi.

Nelle crepe del suolo o su la E andando nel sole che abbaglia


veccia spiar le file di rosse sentire con triste meraviglia com’è
formiche ch’ora si rompono ed tutta la vita e il suo travaglio in
ora s’intrecciano a sommo di questo seguitare una muraglia che
minuscole biche. ha in cima cocci aguzzi di bottiglia
La poesia è formata da tre quartine e da un’ultima strofa di cinque versi → questi sono
novenari, decasillabi o endecasillabi → i versi sono regolari → gioca sul variare su aggiungere
una sillaba e eliminarne un'altra (sta intorno a una dimensione simile) → innovazione nella
tradizione.
L’incipit della prima strofa è costituito da un verbo e due aggettivi, pallido e assorto → il
pallore è quello dato dal forte chiarore della luce del sole nel pomeriggio estivo, mentre
quell’assorto può essere considerato quasi come una metonimia, in quanto capace di rendere
l’idea della lentezza e della acchezza
immagine del rovente muro (v.2) → rende ancora più esplicita la calura estiva
Vi troviamo molti topoi montaliani → il paesaggio scabro, aspro e assolato della Liguria; la
concezione dolorosa della vita È una situazione in cui non ci viene detto chi è che cosa e

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neppure il dove, ma l'esperienza viene mostrata.


Rima baciata nella prima strofa
La seconda quartina è dominata dalla descrizione di un ambiente carico di elementi naturalistici
con le formiche rosse (v. 6) che marciano sulle crepe del suolo (v. 5) in le che si rompono e
s’intrecciano (v. 7), e prosegue identico nella terza dove però lo sguardo del poeta narratore si
allarga rispetto all’orto del v. 2 per abbracciare un orizzonte più largo ma, comunque,
frammentato e angusto, dove la vista del mare si riduce alle sue scaglie (v. 10), cioè ai pochi
frammenti visibili attraverso le fronde degli alberi
Rima ipermetra → v. 5-7 → in realtà il no si legge con il verso successivo che inizia per
vocale (enjambement)Nella musicalità la rima torna nella lettura Rima
alternata nella seconda strofa

L’ultima strofa rompe il usso della narrazione poetica delle prime tre quartine, ma mantiene
l’uso dell’in nito sostantivato nei verbi sentire (v. 14) e seguitare (v. 16), fa eccezione l’uso del
gerundio andando (v. 13) in apertura di strofa, che tuttavia non rompe il tono impersonale del
testo, ma lo arricchisce di un signi cato ulteriore. Risulta evidente anche il collegamento ritmico
che unisce tutti versi in una continua consonanza che dà, dal punto di vista musicale, l’e etto di
una triste cantilena → idea pessimistica dell’esistenza → ripetersi continuo e stanco di so
erenza emerge con l’uso del gerundio in andando (v. 13) e con maggiore evidenza attraverso il
verbo seguitare (v. 16).
L’essere umano, quindi, procede incapace di vedere, accecato dal sole che abbaglia (v.13) e
perciò impossibilitato ad arrivare a una vera conoscenza, può solo sentire (v.14), cioè intuire,
una qualche verità sull’esistenza, di come questa sia un continuo travaglio (v.15) da cui non si
può fuggire, come una muraglia (v.16) che ha sulla sommità dei cocci aguzzi (v.17) per
impedire che qualcuno scavalchi per vedere cosa c’è dall’altra parte.

Nell'ultima strofa c'è un suono che rimane sempre uguale (gli) ma cambia la vocale nale. Non
c'è il soggetto → utilizza solo modi inde niti (in nito e gerundio). In D'Annunzio il soggetto era
messo al centro e si estendeva no a inglobare dentro di sé la natura. Qui invece l'io non esiste
più, diventa qualcosa di vago e inde nito.
Meriggiare pallido e assorto → Identi ca una situazione, un'esperienza. In questa visione dell'ora
del mezzogiorno presso un paesaggio che possiamo riconoscere con quello ligure Sterpi - serpi
→ rima già usata da Dante nell'inferno (canto dei suicidi → siccome rinunciato alla propria vita,
non sono degni di avere la forma di esseri umani, vengono imprigionati dentro delle sterpi e che
vengono rotti dal passaggio degli animali. Anche Virgilio e Dante spezzano questo ramo ed
esce una voce). È voluta da Montale per ricreare un'atmosfera infernale richiamando uno dei
canti più cupi e oscuri dell'opera di Dante. Da una parte il sole, ma dall'altra l'oscurità dei suoni
u/i/gli/ste e tutte le vocali chiuse. Formiche che intrecciano e si dividono in minuscole biche →
lo sguardo del poeta in questa e nella strofa successiva rivolge in basso, verso la terra e il vicino

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e poi verso l'oltre, verso l'istante e il palpitare lontano. Inizia con un senso uditivo e nisce con
l'udito → circolarità In nito di Leopardi nell'alternarsi tra il vicino e il lontano.
Il palpitare lontano di scaglie di mare→ Notiamo un'immagine composita in cui il mare assume
dei connotati animaleschi, quindi partecipa nell'aspetto sico animale → le scaglie richiamano il
pesce o il serpente (serpi del v. 4)
Cocci aguzzi di bottiglia → Il travaglio, la fatica , la so erenza, il disagio e il dolore ma anche il
limite, il muro , qualcosa che separa che oltre il quale non si può andare, una ne → siepe di
Leopardi: è un elemento naturale che fa scaturire la poesia. Dal dolce naufragar alla so erenza
→ il travaglio della vita introduce la so erenza, al contrario della serie che introduce il dolce
naufragar. Le cose non sono viste come simboli, ma nella loro realtà esistenziale → tema della
resistenza → una resistenza di fronte alle tempeste della vita → realismo delle piccole cose:
senza l'ironia di Gozzano e senza quella sorta di regressione verso l'infanzia di Pascoli. Il fatto
che il soggetto sia così inde nito mentre la realtà fenomenica ha una presenza così de nita (le
cose vengono chiamate con il loro nome) è un altro elemento di distanziamento da Gozzano e
Pascoli. In entrambi i casi l'io viene messo davanti alle cose, da una parte con l'ironia e dall'altra
il poeta fanciullino che richiama la perdita del padre e la rottura familiare, le cose vengono
chiamate a fare da argine. Il nido di Pascoli è un ampliamento dell'io.
Quando parliamo di realtà fenomenica è il fenomeno che si mostra e si può percepire con i
sensi.

Ossi di seppia
La prima edizione fu pubblicata nel 1925 e contava in tutto 50 testi disposti in 4 sezioni
(Movimenti, Ossi di seppia, Mediterraneo, Meriggi). A questa edizione ne segue un’altra del
1928 che si arricchisce di 6 nuovi componimenti.
Il titolo, confermando l’idea di una poesia residuale, evoca allo stesso tempo lo scenario marino
che fa da sfondo alla raccolta e suggerisce anche una visione abbastanza tragica della vita.
L’immagine degli ossi di seppia sparsi sulla riva proviene da d’Annunzio, che l’aveva già citata
in Alcyone. però il paesaggio di Montale è diverso da quello di d'Annunzio. Infatti non richiama
l’incontenibile esuberanza delle energie vitali che si sprigionano in un tripudio di forme e
colori, ma al contrario è un paesaggio aspro, arido, petroso e desolato, roso dalla salsedine,
schia eggiato dai venti e dai mari → diventa l’espressione del male di vivere → una condanna
senza remissione ai lavori forzati, alle privazioni dolorose, agli ostacoli insormontabili e
all’ostilità dell’ambiente. Però allo stesso tempo questa raccolta nutre anche un attesa del
miracolo come si vede nella poesia I limoni
Inoltre, richiama sia l'elemento dell'acqua sia un elemento di terra, perché le ossa arrivano alla
spiaggia. Doppio statuto di meriggiare pallido e assorto → da una parte la collina impervia
delle cinque terre e dall'altra parte il mare che si intravede all'orizzonte. Richiama la
consistenza tenue quasi impercettibile che Montale richiama da Sbarbaro, trucioli →
riconoscimento di un magistero, di una volontà di collegarsi a quell'esperienza poetica.

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La strada che Montale percorre è appartata in cui la poesia viene difesa, e una costante
resistenza della ri essione poetica.
La domanda che cos'è la poesia e che cosa resta da fare ai poeti? → tendenza alla autori essione.
Alle spalle c'è il trauma del simbolismo francese. Il poeta che ha perso laurea nel fango, nel
quotidiano mistero della vita cittadina. A questa domanda come risponde Montale → ri uta gli
sperimentalismi. Montale manifesta un classicismo modernista → Montale riprende i classici,
ma non per rifarli, ma per innovarli dall'interno.

Tu montaliano → rivolto alla donna in particolare, ma anche al lettore. Anche il Dialogismo,


una costante nella poesia del 900, diventa una caratteristica propria del suo modo di fare poesia
Non chiederci la parola da Ossi di seppia, sezione Ossi di seppia
Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l’animo nostro informe, e a lettere di fuoco lo
dichiari e risplenda come un croco perduto in mezzo
a un polveroso prato.

Ah l’uomo che se ne va sicuro, agli altri ed


a se stesso amico e l’ombra sua non cura
che la canicola stampa sopra uno
scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti, sì


qualche storta sillaba e secca come un ramo. Codesto solo
oggi possiamo dirti, ciò che non siamo, ciò che non
vogliamo.

L’incipit della poesia è una imperativa negativa Non chiederci la parola (v.1), che con la
declinazione al plurale sembra suggerire la volontà di questo scritto di prendere parola a nome
di tutti i poeti → la crisi è universale e coinvolge l’essenza stessa della poesia, l’impossibilità di
dare risposte, di rappresentare in tono positivo o assertivo gli aspetti dell’animo umano.
Troviamo quel tu montaliano, che in questo caso si rivolge a un soggetto non de nito. È una
dichiarazione di poetica. Non chiederci la parola che possa squadrare (parola dantesca) il nostro
animo → cioè che lo esprima. Non chiederci la parola del poeta vate, colui che è capace di
indicare direzioni precise → consapevolezza dell’incapacità della poesia contemporanea di
stabilire qualcosa di solido
Immagine del paesaggio →il fuoco è l'unica nota di colore. L'aspetto del paesaggio è collegato
al discorso.

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Antimodello dell'uomo che se ne va sicuro e stampa la sua ombra sopra uno scalcinato

Le prima e la terza strofa fanno da cerniera negativa, mentre la seconda è più positiva
La terza strofa richiama la prima. Abbiamo un altro riferimento al canto dei suicidi di Dante →
qualche storta sillaba e secca come un ramo (allitterazione dea S). Gioca con questa
dichiarazione di poetica dicendo alla ne ciò che non siamo ciò che non vogliamo → spazio di
resistenza e sopravvivenza della poesia. Non è un silenzio assoluto

Struttura compatta: 3 quartine con un sistema di rime incrociato nella prima; nella seconda
abbiamo una rima ipermetra; nella terza abbiamo una rima alternata.

Spesso il male di vivere ho incontrato da Ossi di seppia, sezione Ossi di seppia Spesso il
male di vivere ho incontrato:
era il rivo strozzato che gorgoglia, era
l’incartocciarsi della foglia riarsa, era il
cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio che


schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza del meriggio, e la
nuvola, e il falco alto levato.

male di vivere → deriva direttamente dal Canto notturno di un pastore errante dell’Asia di
Leopardi
La struttura della poesia è bipartita → nella prima quartina, al male di vivere seguono tre
oggetti-simbolo a esso relativi → il rivo strozzato, la foglia riarsa che si accartoccia, il cavallo
stramazzato. Nella seconda quartina, all’a ermazione positiva del valore dell’indi erenza (vv.
5-6) seguono altri tre oggetti-simbolo → la statua nel sonnolento meriggio, la nuvola, il falco
→ climax.
Il contrasto tra il male di vivere e il bene si rispecchia nel contrasto fra la prospettiva “verticale”
che accomuna la statua, la nuvola e il falco e la prospettiva opposta in cui si collocano il rivo, la
foglia e il cavallo stramazzato → probabilmente ha lo stesso signi cato lo stacco netto fra i suoni
chiari e distesi della seconda quartina (in particolare l’ultimo verso) e i suoni invece aspri della
prima quartina (incartocciarsi, riarsa, strozzato, stramazzato) → i suoi aspri derivano da Dante
→ il rivo strozzato che gorgoglia → quest’inno si gorgoglian nella strozza (Inf. VII, 125)
In questa lirica è particolarmente evidente la compresenza della componente assertiva e di
quella descrittiva → all’oggetto simbolico si accompagna la "spiegazione" dello stesso Tutta
la poesia è in una successione di immagini: le immagini dovrebbero rappresentare i contenuti
del primo verso, cioè il male di vivere, che però non viene espresso per de nizione, ma

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attraverso queste immagini → immagini di so erenza e di morte che mettono insieme elementi
sici no a quelli animali (cavallo stramazzato) → come se la natura fosse un essere vivente che
non è costituito da vari livelli di coscienza, ma che ha un tutt'uno, organismi olistico .
Elementi fonici: a fare da cerniera tra la prima e seconda strofa è il v. 5 bene non seppi, fuori
del prodigio → non ha conosciuto il bene, però lascia una certa ambiguità a causa della parola
bene messa all'inizio (potrebbe essere il Bene oppure un avverbio). Il che al v. 6 è soggetto o
complemento oggetto? Oppure entrambi? Non c'è un'interpretazione univoca, tutte e due
possono essere possibili.
Il ruolo dato a questa divina Indifferenza → è indi erenza da parte di un'entità superiore, che
non gli importa del male presente nella storia, negli uomini e nelle donne, ma anche negli
elementi della natura. Dio non si cura del male. Però esiste un Bene → formula ambigua che
però a erma: non ho conosciuto altro bene (formula litotica: nega per a ermare). Il prodigio da
una parte rivela la divina Indi erenza ma dall'altra è rivelato dalla divina Indi erenza.
Progressione → mentre gli oggetti e le situazioni della prima strofa appartenevano alla
dimensione terrena, invece nella seconda strofa lo sguardo si rivolge verso l'alto. → collegato al
prodigio al centro della poesia

Prima strofa abbiamo una rima incrociata; nella seconda strofa abbiamo una rima interna / in
mezzo (prodigio - meriggio).
Incontrato - stramazzato - levato → composizione ad anello.
I limoni da Ossi di seppia, sezione Movimenti tocca anche a noi poveri la nostra
Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le parte di ricchezza ed è l'odore dei
piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. limoni.
lo, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere mezzo seccate Vedi, in questi silenzi in cui le cose
agguantano i ragazzi qualche sparuta s'abbandonano e sembrano vicine a
anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, tradire il loro ultimo segreto, talora ci
discendono tra i ciuffi delle canne si aspetta di scoprire uno sbaglio di
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. Natura, il punto morto del mondo,
l'anello che non tiene,
Meglio se le gazzarre degli uccelli si il filo da disbrogliare che finalmente ci
spengono inghiottite dall'azzurro: più chiaro metta
si ascolta il susurro nel mezzo di una verità. Lo sguardo
dei rami amici nell'aria che quasi non si fruga d'intorno, la mente indaga
muove, accorda disunisce nel profumo che
e i sensi di quest'odore che non sa staccarsi da terra dilaga quando il giorno più
e piove in petto una dolcezza inquieta. Qui delle languisce. Sono i silenzi in cui si
divertite passioni per miracolo tace la guerra, qui

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vede in ogni ombra umana che si allontana sulle case, la luce si fa avara - amara
qualche disturbata Divinità. l'anima. Quando un giorno da un
malchiuso portone tra gli alberi di una
Ma l'illusione manca e ci riporta il tempo corte ci si mostrano i gialli dei limoni;
nelle città rumorose dove l'azzurro si mostra e il gelo dei cuore si sfa, e in petto ci
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase. La pioggia scrosciano le loro canzoni le trombe
stanca la terra, di poi; s'affolta il tedio dell'inverno d'oro della solarità.
La poesia costituisce una dichiarazione di poetica → poetica antieloquente, che contrappone al
sublime, all'arti ciale e al retorico l’adesione alla realtà quotidiana, elementare, di cui si fa
simbolo l’odore dei limoni
Il nucleo fondamentale della poesia è la contrapposizione alla poetica solenne dei poeti laureati
(D’Annunzio) della propria poetica aderente a una realtà più umile e quotidiana → più “vera”
Polemica contro i poeti laureati → i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi
poco usati → attraversamento di d’Annunzio → L'incipit ricorda la pioggia nel pineto di
D'Annunzio. Tutta la prima strofa è una sorta di ripresa polemica e antifrastica del lessico
dannunziano. In un certo senso viene richiamato anche Pascoli, la sua prima raccolta Myricae,
la cui epigrafe diceva A tutti piacciono gli arbusti e le piccole tamerici. Montale si mette dalla
parte di Pascoli: piante comuni, però con una variazione importante → la pianta di riferimento
di Montale sono i limoni. Una pianta comune e utile perché dà frutto.
Un altro tema è la concezione dolorosa dell’esistenza come catena, un susseguirsi inevitabile di
fatti dei quali non si comprende il senso, illuminato solo dalla presenza di poter a errare il verso
signi cato della vita → frustrazione dell’intellettuale del Novecento
Gli alberi dei limoni richiamano il paesaggio ligure → importanza della linea ligure in
Montale.
Anguille → sarà il soggetto di un'altra poesia L'anguilla
Valore simbolico dei limoni, illuminazione epifanica e annuncio di liberazione →
Epifania → manifestazione immediata non razionalmente spiegabile e che mette in contatto
l'uomo con un'alterità → i limoni rappresentano questa epifania.
Il primo esempio si trova nella seconda strofa → attraverso i rami da dove si intravede il cielo e
rappresentano una pausa e di quiete rispetto al male della storia (guerra). L'altro elemento lo
troviamo alla ne dove i limoni compaiono nei cortili delle case. L'epifania è la rivelazione di
qualcosa che si rompe all'interno della consuetudine del mondo → questa rottura, questa
smagliatura che improvvisamente rivela la possibilità di una senso.

Nella quarta strofa non è più il paesaggio delle cinque terre , ma si sposta nella città, una città
grigia e piovosa. L'estate e la primavera delle storie precedenti vengono sostituite dall'inverno e
l'autunno.

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Il giallo dei limoni che improvvisamente si mostrano allo sguardo del cittadino viandante con lo
splendore dei loro frutti, che qui vengono rappresentati dalle trombe d'oro della solarità
(sinestesia)

Robusta e unitaria trama musicale, fatta di rime e assonanze. La sintassi è abbastanza lineare,
con una particolare insistenza sull’anastrofe → funzionale alla messa in evidenza della singola
parola poetica → agguantano i ragazzi (v.6), più chiaro si ascolta il susurro (v.13), ci riporta il
tempo (v.37)

Le occasioni (1939)
Il titolo "occasioni" vuol dire da una parte situazioni, episodi casuali e che mettono in moto la
memoria involontaria, ma dall'altra anche sono la resa in italiano del kairòs, cioè del momento
opportuno → i greci avevano fondamentale 3 modi per indicare il tempo:
chronos → il tempo cronologico; Aion → il tempo eterno; kairos → il tempo opportuno,
fuggevole che veniva rappresentato come un fanciullo veloce che aveva il capo rasato e un ciu o
sulla fronte.
Questa idea del tempo opportuno che accade all'improvviso era una nozione tipica del mondo
greco e Montale recupera, all'interno del susseguirsi sempre uguale dei giorni, si aprono degli
squarci, nel quale accade ciò che capita. Non sono le “occasioni” esterne, pubbliche o private,
che interessano a Montale, ma i momenti epifanici, quelli in cui un oggetto, un incontro, un
gesto o una parola innescano spontaneamente una verità che colpisce il poeta, inducendolo a
scoprire ciò che conta è ciò che non vale. Quindi il titolo della raccolta allude a quegli eventi
accidentali, involontari, in cui misteriosamente si crea un cortocircuito tra il mondo e il soggetto
che interagisce con esso → correlativo oggettivo → per Montale non è un espediente arti ciale,
ma è la fonte stessa della risonanza interiore che dà l’innesco alla scoperta e alla rivelazione di
una verità e Montale si limita a rievocare l’evento epifanico che l’ha messa in moto
Nell'ultima parte della sezione abbiamo in riferimento importante agli eventi storici → avvento
dei regimi totalitari, resistenza e difesa dei valori di civiltà connessi alla cultura → aleggia un
clima cupo, il sentimento angoscioso di una minaccia imminente e di una prossima catastrofe.
L’unica fonte di salvezza dalla follia, dalla devastazione e dal sangue è la protezione o erta da
una donna coraggiosa e indomita. In questo senso, le Occasioni sono un canzoniere d’amore,
perché solo aggrappandosi a un intenso legame a ettivo il poeta può trovare la forza di resistere
allo scatenarsi della barbarie e vincere il male di vivere.
Nelle occasioni si amplia il procedimento allegorico, recuperando la grande tradizione
dantesca: tensione verso una poesia che ha la verità come obiettivo. Questo ampliamento del
procedimento allegorico si registra attraverso una complicazione della sintassi e della
simbologia: gli oggetti diventano amuleti che servono a mediare il mondo sensibile e quello
ulteriore, sconosciuto. Il mediatore fondamentale è la donna: assume le forme dell'angelo

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dell'annunciazione. La donna angelo, di matrice stilnovista, che si intreccia con il famoso tu


montaliano. Nella tradizione la caratteristica di questa donna è l'essere assente, donna che da
una parte rivela e dall'altra però non è sullo stesso piano dell'uomo per il suo ruolo di
mediatrice. In particolare la presenza della donna angelo la ritroviamo alla sezione Mottetti
dedicata a Clizia: la donna che è fuggita dalle leggi razziale. Anche se non è mai nominata, qui
diventa simbolo del desiderio umano, gura anche dell'assenza, di un vuoto originario che attiva
il desiderio. Accanto a questa sezione abbiamo altre sezioni e altre donne. Spesso le donne
montaliano hanno funzioni ben precise: Annetta o Arletta rappresenta Anna degli Uberti; Maria
Rosa Solari; Paola Nicoli; Gerti Tolazzi; Dora Markus; Liuba Blumenthal. La possibilità di una
rivelazione è a data alla donna.

Montale richiama la dimensione chiusa della poesia


Non recidere, forbice, quel volto da Le occasioni, sezione Mottetti
Non recidere, forbice, quel volto, solo
nella memoria che si sfolla, non far del
grande suo viso in ascolto la mia nebbia
di sempre.

Un freddo cala… Duro il colpo svetta. E


l'acacia ferita da sé scrolla il guscio di
cicala
nella prima belletta di Novembre.

Si tratta di due strofe di 4 versi ciascuna (3 endecasillabi e un settenario). I versi pari della
prima strofa rimano con i versi pari della seconda → sfolla - scrolla; sempre - novembre (rima
imperfetta). Invece i versi 1 e 3 rimano tra loro → volto - ascolto. Mentre troviamo delle rime al
mezzo → cala - cicala (vv. 5, 7); svetta belletta (vv. 5, 8). Assonanze → acacia - cicala (vv.
6, 7); ferita - prima (vv. 6, 8); recidere - forbice (v. 1).
Il tema è “il volto che le forbici del giardiniere autunnale recidono con i rami dell’acacia” →
Montale si augura che un volto caro, ancora vivo nella memoria, non venga tagliato dalle
forbici del tempo, che attenua e confonde i ricordi → come d’autunno le forbici del giardiniere
tagliano i rami alti dell’acacia e fanno cadere nel fango un guscio di cicala (labile ricordo
dell’estate) che era rimasto attaccato a un ramo. tema della memoria → la bipartizione
strutturale della poesia rispetta ed esalta quella tematica: nella prima strofa è presente il vero
nucleo lirico, cioè l’azione distruttrice del tempo sulla memoria, nella quale si a evolisce
anche il ricordo dei fatti e dei volti più cari, in particolare quello della donna amata, Clizia
forbice → anticipa l’immagine metaforica della seconda strofa

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Il tu è rivolto a un oggetto, cioè la forbice → apostrofe → la forbice che recidere il lo dei ricordi
→ rimanda alle 3 parche della mitologia greca. Il ricordo perde di consistenza e quello della
donna rimane l'unico volto. La poesia così perde il suo valore

Volto - ascolto → sinestesia formidabile: il volto è ciò che è rivolto verso l'interlocutore e che
nel contatto visivo si pone in ascolto. C'è una dimensione fortissima di profonda relazione, fatta
di contatti, ma questa relazione è una relazione ricostruita perché la donna non c'è. È ra gurata
da questa immagine che sostituisce l'elemento reale, ma che lo sostituisce in maniera mancante.

La seconda quartina riguarda la situazione dell'io lirico, che è solo.


Guscio di cicala → allude al canto della cicala: in una certa simbologia della favola della cicala
e della formica rappresenta la poesia, quella poesia che però qui è un guscio vuoto,
semplicemente la corazza esterna
Belletta → fango. È un termine dantesco utilizzato nella Commedia.
La casa dei doganieri da Le occasioni Tu lo sciame dei tuoi pensieri e vi sostò
non ricordi la casa dei doganieri sul irrequieto.
rialzo a strapiombo sulla scogliera: Libeccio sferza da anni le vecchie mura e
desolata t'attende dalla sera in cui v'entrò il suono del tuo riso non è più lieto: la
bussola va impazzita all'avventura. e il
calcolo dei dadi più non torna.
Tu non ricordi; altro tempo frastorna
la tua memoria; un filo s'addipana. Oh l'orizzonte in fuga, dove
s'accende rara la luce della
Ne tengo ancora un capo; ma petroliera!
s'allontana la casa e in cima al tetto Il varco è qui? (Ripullula il
la banderuola affumicata gira senza frangente ancora sulla balza che
pietà. Ne tengo un capo; ma tu resti scoscende . . . ) Tu non ricordi la
sola né qui respiri nell'oscurità. casa di questa mia sera. Ed io non
so chi va e chi resta.
La bufera e altro (1956)
Nelle 15 liriche campeggia ancora la gura di Clizia, messaggera sullo sfondo del con itto
mondiale.
La bufera è il simbolo della guerra e della violenza che si scatena, ma Montale, al contrario
degli altri poeti, introduce in maniera ltrata e visionaria la tragedia di quegli anni. La guerra
diventa una manifestazione storica di un male cosmico → male di vivere, che sovrasta i destini
umani e li attraversa o li minaccia.
In questo quadro diventa ancora più necessario il soccorso dall’alto → il poeta elabora
ulteriormente la perdita della donna amata, incrociando il mito ovidiano di Clizia col racconto
biblico della passione e morte di Gesù → la Clizia della Bufera è chiamata a ripetere ed
assumere su di sé la missione redentrice di Cristo → Cristofora → immagine del Salvatore

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che si sacri ca per la redenzione dell’umanità (resistenza della poesia)→ dimensione religiosa.
Per un attimo sembra che Montale veda nella religione l’unica possibile via d’uscita al male
cosmico che si riversa nella storia.Clizia è la protagonista delle prime due sezioni (Finisterre e
Silvae), però nita la guerra, ella esaurisce la sua funzione. La seconda parte del titolo altro è il
dopoguerra, il tempo della ricostruzione e il poeta è diviso tra speranze di rinascita e nuove
angosce. Clizia viene sostituita da una nuova musa, cioè Maria Luisa Spaziani, soprannominata
Volpe, a cui è dedicata la sezione Madrigali privati → il poeta delimita la nuova relazione
amorosa entro una sfera intima e personale Quindi accanto alla gura della donna angelo c'è la
gura della donna erotica, emblema di un desiderio carnale. Accanto alla poesia vista come
trascendenza abbiamo la poesia dell'immanenza, che si fa presenza sica, quasi biologica.
In tutta la raccolta abbiamo la compresenza di tanti registri e stili, e il modello è ancora quello
di Dante con il suo plurilinguismo e pluristilismo.
L'anguilla da La bufera e altro, sezione
Silvae
L’anguilla, la sirena che risale in profondo, sotto la piena
dei mari freddi che lascia il avversa,
Baltico per giungere ai nostri di ramo in ramo e poi
mari, ai nostri estuari, ai fiumi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel
cuore

del macigno, filtrando tra gorielli di l’anima verde che cerca vita là dove solo
melma finché un giorno una luce morde l’arsura e la desolazione, la
scoccata dai castagni ne accende il scintilla che dice tutto comincia quando
guizzo in pozze d’acquamorta, nei fossi tutto pare incarbonirsi, bronco seppellito;
che declinano dai balzi d’Appennino l’iride breve, gemella di quella che
alla Romagna; l’anguilla, torcia, frusta, incastonano i tuoi cigli e fai brillare intatta
freccia d’Amore in terra che solo i in mezzo ai figli dell’uomo, immersi nel tuo
nostri botri o i disseccati ruscelli fango, puoi tu non crederla sorella?
pirenaici riconducono a paradisi di
fecondazione;
messaggio positivo → il poeta reagisce alla crisi delle speranze e alla possibilità della morte
della poesia indicando un nuovo valore, cioè la forza biologica della vita, rappresentata
dall’anguilla → la poesia stessa potrà sopravvivere se si identi cherà con essa e imparerà a
vivere nel fango e nel deserto della società contemporanea
È un unico periodo sintattico, dall’inizio alla ne non c’è interruzione: anche da un punto di vista
della metrica richiama la natura sinuosa dell'anguilla.
Il testo si divide in due parti: nella prima (vv. 1-14) si descrive il viaggio che l’anguilla compie
dall’oceano al Mediterraneo e poi dal mar Tirreno agli Appennini risalendo il corso di un
ume e dei suoi auenti. Nella seconda (vv. 15-30) prevale la vitalità invincibile

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dell’animale, capace di sopravvivere e di riprodursi in condizioni di estremo disagio

v. 1 → L’anguilla, la sirena → la sirena è una gura mitologica metà donna e metà pesce (con ne
tra due specie → l’anguilla è metà pesce e metà serpe) e caratterizzata dalle capacità di canto e
di incanto → per cui l’anguilla è anche un simbolo del canto poetico

Il tu a cui si rivolge è sempre la donna (Clizia) → Questa sorta di continuità tra l'essere umano
e quello animale, ovvero l'essere naturale, perché rappresenta tutti gli elementi della natura.
Questa sorta di continuum è un'altra sorta di rappresentazione del panismo dannunziano.
L'anguilla è un animale strano che non si sapeva dove nasceva, dai mari lontani no ai umi, e
quindi è una creatura che nell'arco della sua esistenza condivide stati diversi: animale marino,
animale uviale, pesce ma allo stesso tempo serpente. In questa capacità metamor ca dell'anguilla
il poeta riconosce un tratto umano → puoi tu non crederla sorella?. → Questa capacità di
passare i vari strati dell'esistenza umana: a rontare passaggi diversi no a ridursi all'essenza.
Questo passaggio di illimpidimento avviene attraverso la melma e il fango. L'anguilla
rappresenta una possibilità per l'uomo: nel momento in cui
la realtà si fa più torbida, la vita può ripartire proprio da questo momento. La vita sembra
racchiudersi nel momento più basso. Quando tutto pare incarbonirsi tutto comincia.

In questo testo si a ronta la questione della morte della poesia → nita il breve periodo in cui
Montale aveva creduto possibile un cambiamento profondo della società italiana dopo la caduta
del fascismo, il poeta è costretto ad assistere al trionfo dei partiti di massa, ma soprattutto alla
massi cazione della società italiana → rischia di distruggere ogni valore, in particolare quello
dell’individualità e originalità, quindi della poesia. Per sopravvivere, la poesia dovrà identi carsi
con la forza stessa della vita (rappresentata dall’anguilla)

La primavera hitleriana da La bufera e altro, sezione Silvae


Né quella ch’a veder lo sol si gira… Dante della stagione morta, negli orti che da
(?) a Giovanni Quirini Maiano scavalcano a questi renai.

Folta la nuvola bianca delle falene Da poco sul corso è passato a volo un
impazzite messo infernale
turbina intorno agli scialbi fanali e sulle tra un alalà di scherani, un golfo mistico
spallette, stende a terra una coltre su cui acceso
scricchia e pavesato di croci a uncino l'ha preso e
come su zucchero il piede; l'estate inghiottito, si sono chiuse le vetrine,
imminente sprigiona ora il gelo povere e inoffensive benché armate
notturno che capiva nelle cave segrete anch'esse di cannoni e giocattoli di
guerra, ha sprangato il beccaio che

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infiorava di bacche il muso dei capretti tuoi lidi gli angeli di Tobia, i sette, la
uccisi, la sagra dei miti carnefici che semina dell'avvenire) e gli eliotropi nati
ancora ignorano il sangue dalle tue mani – tutto arso e succhiato da
s'è tramutata in un sozzo trescone d'ali un polline che stride come il fuoco e ha
schiantate, di larve sulle golene, e punte di sinibbio....
l'acqua séguita a rodere le sponde e più
nessuno è incolpevole. Oh la piagata
primavera è pur festa se raggela in
Tutto per nulla, dunque? – e le candele morte questa morte! Guarda ancora in
romane, a San Giovanni, che sbiancavano alto, Clizia, è la tua sorte, tu
lente l'orizzonte, ed i pegni e i lunghi addii che il non mutato amor mutata serbi, fino
forti come un battesimo nella lugubre a che il cieco sole che in te porti si
attesa dell'orda (ma una gemma rigò abbàcini nell'Altro e si distrugga in Lui,
l'aria stillando sui ghiacci e le riviere dei per tutti. Forse le sirene, i rintocchi
che salutano i mostri nella sera col respiro di un'alba che domani per tutti della loro
tregenda, si confondono già si riaffacci, bianca ma senz'ali col suono che slegato dal
cielo, scende, vince - di raccapriccio, ai greti arsi del sud...

Poesia più politica di questa fase. Racconta l'incontro tra Hitler e Mussolini a Firenze nel
1938
È composta da 4 strofe irregolari per misura e struttura, dove si incontrano endecasillabi e doppi
settenari ma anche frequenti versi lunghi (scomponibili in versi regolari sommati tra loro)
L’incontro tra Hitler e Mussolini diventa occasione per Montale di condannare il nazismo e il
fascismo, ma anche la debolezza degli italiani, che sono complici inconsapevoli dei crimini dei
due dittatori. L’orrore è esplicito e il tema dei campi di sterminio nisce per assumere una
valenza universale ed esistenziale → condizione di prigionia dell’uomo
Folta la nuvola bianca delle falene impazzite → Montale ricorda che quel giorno ci fu sull’Arno
una singolare invasione di farfalle bianche. La nevicata di farfalle bianche sembra far tornare
l’inverno → sconvolgimento del mondo che è dominato dal caos

In questa poesia il ruolo salvi co di Clizia (per la prima volta nominata) assume una nuova
connotazione universale e collettiva. In un primo momento il suo potere appare vani cato dal
male → i momenti positivi vissuti con la donna sembrano infatti annullati. Attraversato questo
momento negativo, Clizia porta con sé una nuova speranza → il gelo della nuvola bianca
iniziale è destinato a fermare il male. L’opera di salvezza, anticipata dall’immagine della stella
cadente della terza strofa, è garantita dallo sguardo di Clizia → si trasforma nella gura stessa di
Cristo → il miracolo di Clizia è destinato a tutti gli uomini.

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Satura (1971) e ultime raccolte


Montale riprende la poesia dopo un lungo periodo di silenzio. Montale abbandona lo stile alto,
ricco e poetico delle raccolte precedenti e adotta il tono piano e discorsivo, quasi prosastico,
del parlato quotidiano.
Il titolo deriva dal latino satura lanx → allude sia alla varietà della materia (la satura lanx era
il piatto misto di primizie che si o rivano agli dei), sia all’indole prevalentemente satirica dei
testi → Montale usa la satira innanzitutto per indicare la varietà. Ma c'è anche il carattere di
rovesciamento della satira: in realtà il rovesciamento è connotato a tutta la raccolta → ci o re il
rovesciamento di un intero libro. Viene meno la tensione meta sica e anche la storia diventa
quasi una costruzione da smontare → prendendo spunto da fatti di cronaca o ricordi personali,
Montale interviene con ri essioni spesso amare, quando più ironicamente leggere, sui costumi e
sugli idoli della nuova società di massa (il culto dei soldi, il consumismo, la noia, la ricerca
dello svago). È anche critico nei confronti delle ideologie delle istituzioni.
A Montale non resta che rifugiarsi nel cerchio privato degli a etti → cercare protezione e guida
in una donna energica e rassicurante → Satura è il libro di Drusilla Tanzi, soprannominata
Mosca, per gli spessi occhiali tondi che portava per correggere una fortissima miopia. Montale
scrive questi testi dopo la morte della compagna avvenuta nel 1963.Due sezioni intere rievoca il
loro rapporto → Xenia I e Xenia II → il titolo è legato al culto antico dell’ospitalità → il
giorno della partenza l’ospite riceveva dal padrone di casa dei doni, accompagnati da brevi
messaggi augurali → Montale scrive biglietti di commiato per la moglie morta che era
“ricomparsa” per un attimo accanto a lui nella “foschia”

Alla Mosca da Satura, sezione Xenia


I, 4 → Avevamo studiato per l’aldilà Avevamo
studiato per l'aldilà un fischio, un segno di
riconoscimento. Mi provo a modularlo nella
speranza che tutti siamo già morti senza
saperlo.

Si tratta di versi liberi dalle misure lunghe e irregolari.


Il poeta rievoca una specie di scherzo concordato con la moglie → i due avevano
immaginato di poter comunicare anche dopo la morte per mezzo di qualche segnale
particolare. Adesso il poeta triste e solo → mi provo a modularlo → questo tentativo è
innanzitutto un sintomo di rimpianto per la moglie morta. Però la poesia fornisce anche una
spiegazione per il gesto del poeta, un’implicazione più profonda, ovvero la speranza
(espressa con ironia) che tutti siamo già morti senza saperlo. L’ironia del poeta dà adito a
due possibili ipotesi: 1. egli forse, vuole dirci che non c’è alcun aldilà, alcuna possibilità e
ettiva di rincontrare la moglie; oppure 2. pensa che aldilà e aldiqua sono termini

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intercambiabili e che il mistero coinvolge non solo la vita oltre la morte, ma innanzitutto
questa vita, della quale non sappiamo nulla.
Rovescia la situazione: il schio che rappresenta un motivo reale. L'esistenza è il velo di maia da
squarciare per arrivare alla vera esistenza, cioè l'aldilà
II, 5 → Ho sceso, dandoti il braccio… Ho Piove da Satura sezione Satira II
sceso, dandoti il braccio, almeno un Piove. È uno stillicidio senza
milione di scale e ora che non ci sei è il tonfi di motorette o strilli di
vuoto ad ogni gradino. bambini.
Anche così è stato breve il nostro lungo
viaggio. Piove da un cielo che non ha
Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le nuvole. Piove sul nulla che si fa
coincidenze, le prenotazioni, le trappole, in queste ore di sciopero
gli scorni di chi crede generale.
che la realtà sia quella che si vede.
Piove sulla tua tomba
Ho sceso milioni di scale dandoti il a San Felice
braccio non già perché con quattr'occhi a Ema
forse si vede di più. e la terra non trema perché non c'è
Con te le ho scese perché sapevo che di terremoto né guerra.
noi due Piove non sulla favola
le sole vere pupille, sebbene tanto bella di lontane stagioni,
offuscate, erano le tue ma sulla cartella
Ci troviamo in presenza di versi liberi che contano anche degli endecasillabi sciolti.
Ci sono poche rime (crede/vede) ma la musicalità viene resa dall’ assonanza
(viaggio/braccio) e dalla scelta di un linguaggio semplice e colloquiale.
Ho sceso almeno un milione di scale → iperbole: il poeta vuole semplicemente far
capire che il cammino accanto alla donna amata è stato lunghissimo
è stato breve il nostro lungo viaggio → ossimoro: Montale contrapponendo questi
due termini vuole far capire che la vita insieme alla moglie, anche se e ettivamente
durata tanti anni, adesso sembra brevissimo
Non mi occorrono le coincidenze, le occasioni → autoironia: tutte quelle situazioni
che aveva utilizzato per indicare la possibilità di un'epifania.
In questa poesia si rivela un grande dolore per la perdita della moglie. Da notare il
gioco di parti che si invertono: sua moglie aveva una malattia agli occhi e quindi non
vedeva quasi per niente. La guida “reale” era quindi Montale che, appunto per aiutarla
a camminare, la teneva sottobraccio e l’accompagnava camminando, ma se lui era
stato per lei una guida sica, la donna risulta essere al contrario una guida “spirituale
per il poeta che infatti, senza lei, adesso sente solo un grande vuoto → nella seconda
strofa c'è un rovesciamento satirico perché era ancora una volta la donna che rivela
all'uomo la verità delle cose.
esattoriale, piove sugli ossi
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di seppia e sulla greppia Piove sui nuovi epistèmi del primate a due
nazionale. piedi, sull'uomo indiato, sul cielo
ominizzato, sul ceffo dei teologi in tuta o
Piove sulla Gazzetta paludati, piove sul progresso
Ufficiale qui dal balcone della contestazione, piove
aperto, piove sul sui work in regress, piove
Parlamento, piove su via sui cipressi malati del
Solferino, piove senza cimitero, sgocciola sulla
che il vento smuova le pubblica opinione.
carte.
Piove ma dove appari non è
Piove in assenza di acqua né atmosfera, piove
ermione se Dio vuole, perché se non sei è solo la
piove perché l'assenza è universale e se mancanza e può affogare.
la terra non trema è perché Arcetri a
lei non l'ha ordinato.
Tutta la poesia è una dichiarata parodia della Pioggia del pineto di d'Annunzio. Ma qui la
pioggia è sulla città e sulla metropoli massi cata.
I versi liberi sono raggruppati in brevi strofe di varia misura
Il bersaglio polemico è la contemporaneità → la parodia della famosa poesia dannunziana si
traduce in una parodia della realtà politica, sociale e culturale in cui il poeta si trova a vivere,
ma alla quale sente di essere del tutto estraneo.
Piove → anafora → messa in evidenza della banalità e super cialità dominanti nella società
contemporanea, abituata a mettere sullo stesso piano, ad esempio, la cartella esattoriale e la
loso a
Via Solferino → sede del Corriere della Sera
Pure la poesia stessa viene presa in giro → ossi di seppia
C'è un ulteriore polemica sulle prese della scienza di rappresentare la nuova teologica, cioè un
nuovo sistema che possa uni care tutto.
Arcetri → osservatorio di Firenze → richiama Galileo Galilei quindi la scienza
Uomo indiato → uomo che si fa Dio → cielo ominizzato → il cielo diventa a misura di uomo
Work in regress → work in progress → si torna indietro
La pioggia colpisce ogni cosa con durezza, abbattendosi persino sul nulla che si fa nelle ore di
sciopero generale, sulla tomba ad Ema in cui è stata sepolta la moglie del poeta, sulla
mangiatoia statale alla quale si arricchiscono in maniera disonesta i politici corrotti e il loro
entourage, sulla Gazzetta Uciale, sul Parlamento, sulla via in cui si trova la sede del Corriere
della Sera , sugli studi d’antropologia culturale, sull’uomo che si sente un dio e sul cielo che si è
abbassato a misura umana, sugli uomini delle due “chiese” dominanti in quel periodo in Italia
(quella comunista e quella cattolica), sul progresso della contestazione studentesca e della

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protesta operaia, sulle opere in regresso, sui cipressi malati del cimitero e persino sull’opinione
pubblica.

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MODERNISMO ITALIANO
Si tende a ridurre l'esperienza del Decadentismo e si introduce la categoria del modernismo con
autori come Svevo, Pirandello, Tozzi, in parte Gadda (narrativa) e Sbarbaro, Montale, Rebora,
in parte Ungaretti (poesia).
Periodizzazione incerta: : 1904-1929, oppure da 1857 (Les eurs du mal, Madame Bovary) no
agli anni Sessanta

È la reazione a una crisi di modelli di spiegazioni del mondo che no al 800 avanzato erano
ancora saldi: il determinismo, il positivismo, anche il darwinismo (ereditarietà). La crisi investe
anche i paradigmi scienti ci della sica, quella che è la costruzione classica: legge di causa-e etto,
tempo e spazio come categorie assolute.
Il romanzo ottocentesco perde uno dei suoi capisaldi, viene eroso dall'interno.
● Percezione di una realtà esterna, positiva e veri cabile → assume rilevanza il romanzo
psicologico, dove il baricentro si sposta dall’esterno all’interno
● Scoperta di una nuova materia psicologica → inversione del rapporto gerarchico tra
«satelliti» e «nuclei» narrativi;
● Possibilità di rendere visibile il mondo fenomenico Principali innovazioni formali del
romanzo modernista:
● Capovolgimento tra realtà e rappresentazione → frequenti inserti metanarrativi e ri
essivi. Nel momento stesso delle osservazioni noi interpretiamo la realtà che stiamo
osservando, quindi l'osservazione neutra non esiste. Nel romanzo modernista viene
reintrodotto il narratore intradiegetico. C'è un peso importante agli inserti metanarrativi e
ri essivi sulla narrazione stessa→ mentre il narratore sta raccontando pensa (il fu Mattia
Pascal → nelle due premesse loso che c'è una ri essione sulla narrazione)
● Narratore inattendibile; di erenza tra vero e falso, critica della verosimiglianza e del
paradigma mimetico
● Destrutturazione della trama, tempo "misto" → al tempo sico si intreccia il tempo
psicologico
● Metamorfosi del personaggio uomo → la gura dell'uomo viene distrutta già prima da
Freud→ c'è un con itto dentro di noi: inetto, anonimo, dissoluzione dell'unità,
sgretolamento dell'uomo borghese.

Novella modernista
Primo trentennio del XX secolo
Funzione Freud e centralità della vita psichica → Centralità data alla vita quotidiana, la
quale diventa il centro della narrazione. Al centro dei romanzi vengono messi non eventi
capitali ma le cose quotidiane: anche quelli che sono episodi rilevanti passano senza che queste

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cose de costituiscono una di erenza nel uire delle cose → la vita quotidiana diventa un
dispositivo di conoscenza.
Scissione dell'io → in cui la parte esteriore non conosce quella più profonda → problema
dell'uomo freudiano. L’io è in costante lotta per riconquistare sé stesso.
Narratore non portatore di verità
Frantumazione della trama → procedimento analitico (Pirandello); scorciato (Tozzi), assurdo
o paradossale (Pirandello, Palazzeschi)
Strategia delle raccolte all’insegna della frammentarietà → dispersione (Pirandello),
negazione o parcellizzazione (Tozzi), progressione di tipo ri essivo-speculativo (Svevo)

Generi e forme della narrativa breve italiana


● Componimento narrativo generalmente in prosa, il cui intreccio è essenziale e
concentrato sulla singolarità di una certa esperienza.
● Dinamica storica e possibili attese del lettore (Jauss).
● Opposizione novella/romanzo → non è possibile riferirsi solo al numero di pagine
(Pirandello).
● Pluralità delle forme brevi: motto, facezia, bozzetto, gurina (minori); novella, aba,
favola, racconto (maggiori); lettera ttizia, istoria inventata, romanzo epistolare (ibride).
● E etti della brevità: molteplicità, accumulo, serialità quindi necessità di una
macrostruttura, per aggregazioni e ibridazioni.
● Calvino: predilezione personale e vocazione delle letteratura italiana per le forme brevi
(Lezioni americane).
● E etti della brevitas → inizio di scorcio; massima concisione (Quintiliano, «non nel dire
di meno, ma nel non dire di più di quanto occorra»); Jolles → distinzione tra forme
artistiche (“caso”, ovvero racconto novellistico) e le forme semplici
(proverbio), ma osmosi tra forme;
● origine sapienziale del narrare (brevità-saggezza).
● Fabula da confabulatio (Boccaccio), ovvero a abulazione che unisce veritas e fictio.
● Boccaccio (Genealogia deorum gentilium) distingue 4 tipologie di fabula → fabula di
Esopo (→ favola); fabula mitologica; fabula dei poeti («verosimile» o argumentum);
fabula priva di verità, ossia abe di magia popolare.
● Importanza dell’interpres nel capire (intelligere) e nello sciogliere (enodare) le
ambiguità della fabula (Boccaccio, Eco).
● Modalità narrativa del «racconto raccontato» (Sharazade, Odisseo).
● Benjamin (Il narratore, 1936) → la narrazione è trasmissione di esperienze in una
comunità di interpreti, lettori e ascoltatori, e scompare uccisa dal romanzo. «L’arte di
narrare volge al tramonto perché vien meno il lato epico della verità, la saggezza. Ma si
tratta di un processo che ha origini lontane. E nulla potrebbe essere più sciocco che
vedere in esso solo un “fenomeno di decadenza”, per non dire un fenomeno “moderno”

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● Storytelling e narrazione. Storytelling è narrazione? → Le grandi narrazioni che hanno


segnato la storia dell’umanità, da Omero a Tolstoj e da Sofocle a Shakespeare,
raccontavano miti universali e trasmettevano le lezioni delle generazioni passate, lezioni
di saggezza, frutto dell’esperienza accumulata. Lo storytelling percorre il cammino in
senso inverso: incolla sulla realtà racconti arti ciali, blocca gli scambi, satura lo spazio
simbolico di sceneggiati e stories. Non racconta l’esperienza del passato, ma disegna i
comportamenti, orienta i ussi di emozioni, sincronizza la loro circolazione.

LUIGI PIRANDELLO
Esiste la letteratura siciliana? Gli autori siciliani e quelli che trattano della Sicilia hanno
qualcosa in comune?
Pirandello non è un autore che guarda principalmente alla Sicilia → non è al centro del suo
sguardo di narratore. Però sicuramente dalla Sicilia ricava numerosi ussi
All'indomani dell'unità d'Italia la Sicilia emerge in primo piano all'interno della letteratura
italiana:
● Questione meridionale → problema del diverso sviluppo delle aree del paese →
conversione di Verga
Nella biogra a di Pirandello c'è un percorso simile a quelli che compiranno altri siciliani Nasce
nel 1867 in una località di campagna chiamata Caos, nei pressi di Agrigento (Girgenti) da una
famiglia borghese garibaldina: suo padre gestiva l’estrazione di zolfo da alcune miniere prese in
a tto → a causa di un primo dissesto nanziario, all’inizio degli anni ottanta, costrinse la
famiglia a trasferirsi per qualche tempo a Palermo, dove Pirandello continua i suoi studi. Nel
1887 si iscrisse alla Facoltà di Lettere di Rome, dove entra in con itto con un professore di
latino, quindi è costretto a cambiare facoltà → su consiglio e con una lettere di
raccomandazione del lologo Monaci, completa e si laurea a Bonn. A roma si inserì subito negli
ambienti letterari, dove conobbe Luigi Capuana.
Nel 1893 Pirandello si sposa con Maria Antonietta Portulano, la glia del socio in a ari del padre.
Ma nel 1903 un evento sconvolse la via economica e domestica di Pirandello → l’allagamento,
a causa di una frana, di una grande zolfare su cui il dre aveva investito tutto il suo patrimonio,
inclusa la dote della nuora. A pagarne il prezzo maggiore fu la salute mentale della moglie, il
cui già fragile equilibrio psichico, compromesso da un esaurimento nervoso, fu de nitivamente
sconvolto. Quindi Pirandello è costretto a provvedere al sostentamento della famiglia con solo il
suo ingegno → da una parte cerca di accelerare la sua carriera → saggio sull'umorismo; e
dall'altra parte pubblicare le novelle che gli venivano pagate (Il fu Mattia Pascal, Si gira / I
quaderni di sera no Gubbio operatore). Però la sua fama mondiale, quella che gli valse il premio
Nobel per la Letteratura nel 1934, si deve al successo clamoroso delle sue opere teatrali →
ottiene notevole successo con I 6 personaggi in cerca di autore. Il successo di Pirandello è di più

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verso il vasto pubblico che verso la critica: Benedetto Croce non lo sopportava → L'umorismo è
una sorta di critica all'impostazione di Croce che toglieva spazio e peso ai generi.
1924 → Impegno di Pirandello di dirigere un teatro d'arte → bisogna avere il supporto dello
stato, il quale però era fascista. Nel momento in cui il fascismo rivela il suo lato oscuro,
Pirandello chiede la tessera per la necessità di sostenere il suo progetto. Nell'opera di Pirandello
però non possiamo trovare nessun elemento di a ancamento che possa alludere a una vicinanza
nei confronti del fascismo, anzi tutta la sua opera può essere letta come un rovesciamento delle
idee del fascismo.
Nel 1934 conquista il Nobel della letteratura → manca il suo discorso perché dovrebbe dire
qualcosa sul fascismo. Durante questo evento viene fotografato davanti la macchina da scrivere
(immagine celebre)
Nel 1936 muore di polmonite. Nel suo testamento chiede di essere cremato e le sue ceneri
sparse, cosa che però il regime vietava.

L'umorismo (1908 / 1920)


Dovrebbe essere un trattato su cosa sia l'umorismo. Pirandello distingue tra l'umorismo e il
comico: il comico è la avvertimento del contrario; invece l'umorismo è il sentimento del
contrario → esempio della vecchia imbellettata → Vedo una vecchia signora, coi capelli ritinti e
poi tutta go amente imbellettata e parata d’abiti giovanili. Mi metto a ridere. Avverto che quella
vecchia signora è il contrario di ciò che una vecchia rispettabile signora dovrebbe essere. Posso
così, a prima giunta e super cialmente, arrestarmi a questa impressione comica. Ma se ora
interviene in me la ri essione, e mi suggerisce che quella vecchia signora non prova forse nessun
piacere a pararsi così come un pappagallo, ma che forse ne so re e lo fa soltanto perché
pietosamente s’inganna che, parata così, nascondendo così le rughe e la canizie, riesca a
trattenere a sé l’amore del marito molto più giovane di lei, ecco che io non posso più riderne
come prima, perché appunto la ri essione mi ha fatto andar oltre a quel primo avvertimento →
la ri essione per pirandello è il cambiamento della prospettiva → se pensiamo al motivo per
cui la vecchia si veste in quel modo, se guardiamo la realtà dal punto di vista della donna, il
sorriso ci muore in viso e rima e una smor a → sentimento del contrario. Il sentimento è
un'emozione più ri essione, ciò che viene avvertito istintivamente passa attraverso la ri essione.
C'è la gura del rispecchiamento → questo specchio è la ri essione e l'umorismo è la amma che
infrange lo specchio e svela la nzione.
Esempio dai promessi sposi → momento in cui Renzo va dall’Azzeccagarbugli. L'umorismo
sorge dal commento del narratore → aggiunge un momento di ri essione, implicando una sorta
di gioco di specchi.
Essere il doppio della poetica di Pirandello → erma bifronte è anche l'immagine del teatro: una
faccia che ride e una che so re.
La ri essione viene a interrompere il movimento spontaneo e armonioso delle idee e delle
immagini → quello che veniva notato come una pecca del romanzo, cioè le interruzioni e le

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digressioni, le quali interrompono la nostra associazione ai personaggi. In queste continue


interruzioni siamo portati a ri ettere sui meccanismi della narrazione.

Temi e poetica
● Narratore copernicano → Copernico che ha cambiato il sistema di riferimento
dell'umanità, facendole perdere la sua centralità, e questo cambiamento di riferimenti ha
avuto un approdo nella narrazione? L'uomo è in una posizione decentrata. Nel
novecento il solito personaggio ottocentesco, che ha uno sviluppo e una carriera, viene
fondamentalmente decostruito e diventa un personaggio frammentato o irrisolto o
impiegato costantemente in una propria costruzione (Il fu Mattia Pascal) . Il fu Mattia
Pascal diventando Adriano Meis si reinventa ma fallisce. Anche il narratore viene
decentrato.La letteratura del passato non viene ri utata, come nel caso del futurismo, ma
viene riusata in maniera ironica (es. biblioteca di Miragno)
● Vitalismo → contrasto tra vita e forma. Fonti: Simmel, Bergson, Binet, lettura critica di
Tilgher.
● Disgregazione dell’identità → maschere imposte dal meccanismo sociale, sfuggente
idea di identità. Indebolimento dell’io, nascita della società di massa: l’industria, la
burocrazia sono macchine spersonalizzanti.
● Vita sociale come «trappola» o «stanza della tortura»: la famiglia, la società ● Fuga
possibile nell’irrazionale. Eroe estraniato, loso a del lontano.
● Costante tensione alla ri essione, carattere saggistico della scrittura. Relativismo
conoscitivo?. Dal relativismo alla relazione.
● Oltre il Decadentismo: non è più possibile l’epifania dell’Essere? (Luperini). Mancanza
di una totalità organica.
● Interrogazione costante dell’oltre in tutta la produzione (non solo alla ne): c’è un oltre in
tutto (Sera no Gubbio).
● Degradazione dell’artista nella società di massa (Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca
della sua riproducibilità tecnica)
● Umorismo → dialettica tra «avvertimento del contrario» (comico) e «sentimento del
contrario» (umorismo).
● Rapporto con la polifonia e il carnevalesco di Bachtin.
● Gusto del paradosso

Novelle per un anno


Dal 1894 al 1919 Pirandello pubblicò 15 libri di novelle. Egli concepì il disegno ambizioso di
arrivare no a quota 365, in modo da o rire ai propri lettori una novella al giorno per un anno
intero → da qui il titolo Novelle per un anno. Pirandello aveva previsto di ripartire le 365
novelle in 24 volumi, però, a causa dei suoi impegni teatrali, riuscì a pubblicarne solo 15
(l’ultimo volume uscì postumo).

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In questa opera Pirandello deliberatamente scompone la realtà, mostrandola nel suo disordine
multiforme → infatti se si leggono le novelle di seguito non si trova un lo logico che le colleghi.
Pirandello non si cura neanche di inserirle in una cornice.
Le ambientazioni geogra che sono quelle in cui l’autore ha vissuto più a lungo, quindi la Sicilia,
isola arida e infuocata, coperta di lava, zolfo e polvere, colta prevalentemente in una dimensione
arcaica e folcloristica, quasi terra del mito e della superstizione; e Roma, vista quasi sempre in
controluce, senza monumenti e ritrovi mondani, teatro grigio e as ssiante di esistenze anonime e
meschine.
I drammi dei personaggi ruotano frequentemente intorno al tema degli e etti paralizzanti dei
ruoli pubblicamente sanciti che diventano trappole che morti cano ogni intima aspirazione e
rendono la vita insopportabile: in particolare la dimensione domestica e lavorativa. La famiglia
è priva di intimità, continuamente ferita dall’adulterio, vista come un peso schiacciante di
doveri e responsabilità ed è il luogo privato della nzione. Mentre il lavoro è ripetitivo, poco
apprezzato e mal pagato.
I personaggi subiscono la propria situazione senza possibilità di modi carla. Pertanto, resta loro
che piegarvisi, o cercare qualche segreta valvola di sfogo, o crearsi un mondo tutto loro oppure
abbandonarsi all’immersione rigenerante nella natura o nell’evasione nella fantasia. Quando
nessuno di questi ripieghi riesce, si apre l’abisso della pazzia → la sua causa scatenante non è
quasi mai un fatto grave o traumatico; infatti, basta un nulla per far esplodere la tensione
accumulata. Però questa causa scatenante ha valore di epifania, cioè apre gli occhi al
personaggio, svelandogli l’alienazione del suo stato e la sua esposizione a forze incontrollate.

Romanzi
● Marta Ajala (1893) → L’esclusa (1903): legami con il Naturalismo nella materia
(donna accusata di tradimento) e nell’impianto narrativo (narrazione in terza persona);
realtà solo soggettiva, polemica con il determinismo naturalista.
● Il fu Mattia Pascal (1904): «trappola» delle istituzioni sociali che imprigionano il usso
vitale; critica dell’identità individuale; impianto narrativo: narrazione autodiegetica,
focalizzazione su l'io narrato; punto di vista soggettivo e inattendibile; ri essione
metanarrativa.
● I vecchi e i giovani (1913): romanzo storico (Fasci siciliani, Banca Romana); scontro
generazionale; la storia non conclude, umorismo.
● Suo marito (1911): incomunicabilità e focalizzazione alternata.
● Si gira (1915) → Quaderni di Sera no Gubbio operatore (1925): eroe
estraniato alla vita, trionfo della macchina, critica della meccanizzazione e della merci
cazione dell’arte; conclusione: «silenzio di cosa» di Sera no e rei cazione dell’artista;
impianto narrativo: narrazione autodiegetica, straniamento della materia, «romanzo da
fare».

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● Uno, nessuno e centomila (1925-26): crisi dell’identità individuale; conclusione:


abbandono al uire della vita (irrazionalismo); impianto narrativo: monologo del
protagonista a un interlocutore immaginario, salta la concatenazione di cause ed e etti

Il fu Mattia Pascal (1904)


È un incipit di un romanzo modernista, in cui viene in maniera leggera e allo stesso tempo
radicale dissolto il cardine dell'identità → era l'unica certezza ma che viene a mancare. Mattia
Pascal → i nomi di Pirandello non sono casuali: Mattia richiama alla gura del matto. Ma
richiama anche all'evangelista Matteo. Il secondo nome del personaggio Adriano Meis →
assiste a una discussione teologica: se Gesù fosse l'uomo più brutto del mondo. È sempre
all'interno di una scenario cristiano e i due nomi Adriano, riferimento all'imperatore, Meis,
studioso De Meis.
Pascal → fa riferimento al losofo Pascal → fragilità dell'uomo. Dell'uomo posto tra gli in niti.
Blaise Pascal è anche un matematico che lavora sulle probabilità. Infatti uno dei pensieri più
noti di Pascal è quello della scommessa sull'esistenza di Dio. La svolta nella vita di Mattia
Pascal è quando vince al casinò: fa un ragionamento molto preciso su quante volte bisogna
scommettere → i numeri rimandano alla numerologia angelica. Il caso è l’unico motore della
storia, che procede, al di fuori di ogni logica, disegno preordinato e legge statistica, sulla spinta
di circostanze inaspettate e incontri fortuiti. In quest’opera tutto appare accidentale, a
cominciare dalle ripetute vincite del protagonista alla roulette, che non obbediscono ad alcun
metodo, ma si a dano al caso.

Premessa
Rimanda alla genealogia, alla famiglia perché era la caratteristica sia del romanzo ottocentesco
che del romanzo realista.
La cornice in cui nasce il romanzo è la biblioteca → il romanzo nasce in un dialogo
intertestuale con i libri. La biblioteca viene spostata in una chiesa sconsacrata → Santa Maria
Liberale → è una santa che non esiste: unire Santa e Liberale è un contrasto: da una parte la
santità e dall'altra lo spirito liberale e laico. Inoltre la chiesa è sconsacrata quindi è un'immagine
della modernità in cui il sacro è stato gettato fuori, l'edi cio della cristianità è stato privato della
sua sacralità ma continua a conservare degli elementi che rimangono come elementi da
interpretare.
Non c'è nessuna sorta di esaltazione nel compito del bibliotecario → Pirandello ne parla come
uno sfaccendato → c'è anche l'allusione alla crisi della gura intellettuale.
Ironia nella mancanza di qualunque riferimento alla missione della scrittura → caso strano.
Anticipazione che spinge alla lettura → terza e ultima, de nitiva morte.

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Premessa seconda (filosofica) a mo’ di scusa


C'è una seconda premessa. Pressante e ponente presenza ragionativa di continua ri essione, non
soltanto sui personaggi, ma anche sull'atto stesso della scrittura.
Questa seconda premessa loso ca è una giusti cazione sull'atto di scrittura.
Eligio → signi ca colui che sceglie. Colui che sceglie Mattia Pascal e lo invita a scrivere. È un
prete, quindi un ulteriore riferimento religioso.
Ambientazione non secondaria → Scrive alla luce del lume che proviene dalla cupola. Il
lume gli viene dall'alto, come una sorta di ispirazione. Il tema della luce è una costante del
romanzo (laterninoso a) e soprattutto c'è anche la dialettica tra luce naturale e luce arti ciale.
I libri da cui trae ispirazione sono libri che uniscono il profano e il sacro. La cosa umoristica è
che questi due libri sono legati insieme. Sono libri inventati → come mai è così attento ai
dettagli?
Attenzione di tipo sacrale nel confronto dei libri (rimasti nella polvere e pieni di ragni) Mattia
Pascal sta scrivendo la propria storia e don Eligio lo invita a ispirarsi ai libri. C'è un'ispirazione
libresca, non soltanto reale, ma viene anche dichiarato esplicitamente. Discussione sulla svolta
copernicana → Copernico ci ha rivelato che l'uomo non è al centro dell'universo, quindi che
senso ha raccontare in maniera minuziosa la storia dell'uomo. Riferimento biblico a Giosuè →
nella questione galileiana: Galilei si scontra con la chiesa per l'ipotesi eliocentrica. Questa
ipotesi si scontra con una questione teologica, o meglio ermeneutica → bisogna seguire ciò che
è scritto nella bibbia, ovvero che Giosuè per proseguire la battaglia disse al sole di fermarsi. I
sostenitori della Bibbia vedono le sacre scritture come un testo che avesse un riferimento alle
cose reali. Galilei dice che in realtà la Bibbia non dice come va il mondo e il cielo, ma si dice
come si va in cielo. Quindi la risposta di Galilei si costituisce in una separazione tra la scienza e
l'ambito teologico-morale che ha deviato i principi. Questo richiama è tutto condensato al
riferimento di Giosuè. C'è anche un riferimento di Leopardi → trottolina che gira → la natura
che fa morire l'uomo. Da una parte la provvida natura, quindi riferimento ironico a Leopardi →
consiste nelle illusioni che ci ha creato nelle quali l'uomo si distrae facilmente; dall'altra parte
riferimento a Pascal con divertissement → Il comune spegne i lampioni in modo tale da
guardare le stelle e la luna, facendosi credere che queste cose sono state create per noi.

Il narratore che si pone in una posizione decentrata, dall'esterno osserva la propria esistenza →
autore umorista: essere doppio.

Tra le svolte della modernità Darwin è importante per capire tutto il romanzo o sperimentale
francese . L'idea che l'uomo sia un animale sottoposto alle leggi della selezione naturale come
tutti gli altri, che non ci sia una di erenza ontologica naturale tra l'uomo e le altre "bestie" è un
concetto che a poco a poco entrerà nella letteratura. Nel romanzo realista questo processo da
luogo al concetto del darwinismo sociale → ciclo dei vinti. Pirandello parla di vermucci, un
riferimento al mondo animale per indicare lo stesso orizzonte. Se accogliamo questa idea lo

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scrittore come deve scrivere? Finché la narrazione ha sempre questa sorta di credito
antropocentrico, in cui pone l'uomo al centro, la rivoluzione darwiniana è come se non fosse
mai avvenuta (coscienza di Zeno). In realtà Darwin cosa ci insegna? Chi è l'individuo o la
specie che resiste alla selezione naturale? È quella più forte o quella più adatta?
Questo tipo di scenario è lo stesso su cui va avanti l'uomo: chi resiste alla ne del romanzo?
Nel caso di Svevo non è l'individuo più forte, ma Zeno, l'inetto, ma è colui che si adatta

Quaderni di Serafino Gubbio operatore


Romanzo meno noto di Pirandello, ma allo stesso tempo molto interessante. L’opera viene
pubblicata in una prima edizione con il nome Si gira. È il primo ambientato nel cinema: il
cinema è il contesto di riferimento. Sera no Gubbio racconta la sua via in maniera autobiogra
ca. Si trova a Roma e dopo un primo periodo di smarrimento dove trova alloggio in un ospizio.
Poi grazie a una serie di situazioni fortuite riesce a lavorare nella casa cinematogra ca
Kosmograph, diretta da Nicolò Polacco (Copernico), come addetto alla cinepresa, dietro la
quale, Sera no assumo il ruolo di spettatore distaccato della vita, che guarda gli altri vivere →
questa caratteristica lo promuove a portavoce della loso a dell’autore.
L'io viene messo in prima posizione: il narratore studia→ nel senso che le osserva per capire se
sappiano quello che fanno. Se c'è una conoscenza profonda dell'essere. Gli altri sono turbati per
il suo sguardo insistente. Lo sguardo resistito getta inquietudine. In realtà è uno sguardo
indagatore perché il soggetto cerca di capire se chi è impegnato nella quotidianità sa quello che
fa e perché lo fa → meccanicismo della vita → Sera no Gubbio è destinato a essere servo di una
macchina → Sera no si de nisce ripetutamente “una mano che gira una manovella”: il suo ruolo
di operatore cinematogra co si risolve in un atto meccanico. Tutti siamo parte di questo
congegno esterno della vita che ci dà questa impressione di impegnarci ed essere occupati per
distrarci → anche la morte è una distrazione. Anche il divertimento diventa un'occupazione →
ri essione dei tempi moderni. Sera no sarà un operaio dell'industria del divertimento in quanto è
un addetto al cinema

Nella vicenda ci sono varie storie che si intrecciano: Sera no che si trova al centro: da una parte
la relazione tra l'attore principale e l'attrice che richiamano le trame dei romanzi d'appendice e
dall'altra però questa dimensione si aggancia a un'altra allegoria con la presenza di alcuni
elementi:
Violinista → presa più piccola della vicenda più grande di Sera no Gubbio. Questo violinista è
impazzito perché si è reso conto di essere diventato un servo della macchina del divertimento.
Quando suona al cospetto degli attori e delle maestranze e al cospetto della tigre (c'è anche una
tigre nel cinema → rappresenta il polo naturale che resiste in gabbia → tentativo di
rispecchiamento dal fondo naturale da chi la modernità industriale ci va allontanati)

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Donna felina → donna fatale per l'uomo. Però in questo caso è davvero quella attrice fatale che
ha portato l'amico di Sera no, Giorgio Mirelli, a togliersi la vita? Oppure è una donna fragile
che vede la propria bellezza s orire e che tiene i suoi ritratti come una sorta di specchio, in cui
vede l'amore dell'artista che era riuscito a tras gurare la bellezza della donna, ma in realtà vede il
proprio animo corrotto
Cinema → Pirandello aveva notevoli riserve nei confronti del cinema perché lo considerava
inferiore rispetto al teatro. Possiamo notarlo nell'atteggiamento degli attori che non si
rivedono nelle ombre sullo schermo bianco. Si sentono privati dell'anima e della voce (Cinema
muto) e privati del rapporto con il pubblico. Quello che nota l'autore è che viene a mancare
quella relazione dinamica e la dimensione comunitaria che era presente nel teatro (vedere la
reazione del pubblico e il vedersi sul palco) → ha una dimensione ridotta nel cinema. Siccome
l'artista viene inserito nel processo di consumo dell'opera d'arte, perde quel ruolo sacrale che
ancora conservava. Infatti tutto il romanzo, così anche il fu Mattia Pascal, ci sono questi
riferimenti alla desacralizzazione dell'arte → l'ospizio ha degli elementi della sacralità, però è
un sacro che viene rovesciato nella modernità. Sera no Gubbio è in un certo senso l'uomo che ha
perso la sua centralità e rimpiange l'eìEden da cui è stato cacciato, cioè la giovinezza passata a
Sorrento.

Sera no Gubbio→ da una parte Sera no ricorda i sera ni, cioè degli esseri angelici che mediano
tra l'uomo e Dio. Invece Gubbio richiama al lupo di Gubbio → francescanesimo: San
Francesco riesce a domare e a parlare con il lupo che portava distruzione a Gubbio → il polo
naturale nel romanzo è rappresentato dalla tigre. Anche la macchina da presa , la quale è
chiamata ragno meccanico → animalizzazione della stessa tecnica

Colloquio con la madre


Da una parte il tema del nome → non riconosce l'amico ma dopo si ricorda il nome. Dall'altra
parte l'incontro con la madre dà una consegna all'autore. Il dolore che nasce dal fatto che la
madre lontana non lo può più pensare perché morta ( nché era viva lei pensava a lui quindi per
lei era ancora vivo, ma quando è morta lei non lo può pensare più, quindi non è più vivo per lei)
Riconoscimento della relazione relazionale che sta alla base di tutta la sua opera. Guarda le
cose con gli occhi di chi non c'è più → questo ti farà so rire la te le farà vedere più sacre e
più vere → recupero della sacralità perduta nella modernità.
Dimensione di cercare una sorta di radice anche nel materno e nel corpo della madre (guarda le
mani) → la madre consegna al glio un gesto

Teatro
Inizio: testi dialettali → Lumìe di Sicilia, Pensaci Giacuminu!, Liolà, ‘A giarra, ‘A biritta cu ‘i
ciancianeddi. Teatro dell’assurdo, alcuni tradotti in italiano.

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Ripresa apparente del dramma borghese di impianto naturalistico, ma disvelamento


dall’interno della logica assurda delle convenzioni borghesi → Pensaci, Giacomino!, Così è
(se vi pare), Il piacere dell’onestà, Il giuoco delle parti. Prospettiva straniata che impedisce
l’identi cazione emotiva degli spettatori: • ottica deformante e stravolta, parodia e assurdo;
• personaggi scissi e contraddittori, quasi burattini;
• linguaggio concitato, convulso;
• grottesco come forma umoristica del teatro

Teatro nel teatro: Sei personaggi in cerca d’autore (1921), Ciascuno a suo modo (1924),
Questa sera si recita a soggetto (1929), Enrico IV (1922):
• cade la convenzionale separazione della quarta parete;
• messa in scena dell’impossibilità di scrivere e rappresentare il dramma;
• eroe estraniato e doppio (Enrico IV), fondamentalmente immaturo e incapace di aprirsi alla
vita.
Il rischio del «pirandellismo».
Teatro dei miti → Nuova colonia (1928), Lazzaro (1929), I giganti della montagna
(incompiuto):
• irrazionalismo e misticismo, contatto con l’Essere attraverso il simbolo;
• linguaggio lirico ed ispirato;
• avvicinamento alle tematiche del Decadentismo, clima di «ritorno all’ordine»;
• arte nella società industriale: rapporto con il mercato, con il potere (fascismo).

Sei personaggi in cerca d’autore


È una “commedia da fare” → l’autore, concepiti nella mente questi personaggi, li ha poi ri
utati, non trovando la loro storia abbastanza interessante per un’opera d’arte. Per non svanire
nel nulla, essi decidono allora di rivolgersi a un capocomico, cui chiedono di poter
rappresentare sul palcoscenico almeno gli episodi salienti della loro vicenda. La compagnia si
ri uta di far recitare direttamente i personaggi, quindi si conviene che questi rappresenteranno
gli episodi a uso degli attori, mentre il suggeritore cercherà di annotare le battute. Però alla ne
la verità del dramma vissuto dai personaggi, consegnata alla
recitazione degli attori e ai gusti del regista, viene completamente stravolta, no ad arrivare alla
parodia → contra azione del soggetto → quando le maestranze teatrali antepongono le
convenzioni drammaturgiche alla resa fedele dell’opera → nel momento in cui la vita si
trasforma in teatro, prende una forma che la falsa, tradendo la verità delle cose.
ITALO SVEVO
Il suo vero nome fu Aronne Ettore Schmitz. Nasce nel 1861 a Trieste → la città allora era il
porto dell’impero asburgico, quindi era un orentissimo centro commerciale, che aveva legato la
sua fortuna ai tra ci marittimi.

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Il nome letterario Italo Svevo costituisce una duplice nazionalità linguistica e culturale: quella
italiana e quella tedesca → rispecchia esattamente il pro lo di Trieste, da sempre italiana benché
soggetta alla dominazione austriaca. Però lascia in ombra la terza componente, cioè quella
ebraica → Svevo non metterà mai in particolare evidenza la sua religione ebraica, non essendo
praticante. Però la critica ha riconosciuto alcune a nità e riferimento a quella cultura
Per volontà del padre, Svevo andò a imparare l’arte del commercio in un collegio della Baviera,
dove ebbe l’opportunità di migliorare la conoscenza del tedesco. Anche se aveva sempre avuto
una predilezione per gli studi umanistici
1880 → fallimento dell’azienda paterna → Svevo dovette cercarsi in fretta un lavoro, che trovò
come bancario presso una liale triestina della Unionbank di Vienna.
Nel 1899 Svevo conobbe la cugina Livia Veneziani ( glia di una sorella del nonno materno) di
cui si innamorò. I due si sposarono nel 1896 (Livia era cattolica quindi Svevo si battezzò per
sposarla) e così Svevo entrò nell’industria del suocero, il quale aveva brevettato una vernice
sottomarina che impermeabilizzava le chiglie delle navi.
Non avendo trovato un editore disposto a pubblicare le sue opere, fece stampare a proprie spese
i suoi due primi romanzi → Una vita (1892) e Senilità (1898), i quali non ebbero grande
successo. Dopo la prima guerra mondiale, riprese a scrivere con La coscienza di Zeno (1923),
la quale neanche ebbe successo. Solo grazie all’amicizia con James Joyce, il quale visse a
Trieste per un po’ e aiutava Svevo a imparare l’inglese, le sue opere ebbero un grande successo
all’estero e di conseguenza furono rivalutate anche in Italia. Muore in un incidente stradale a
Motta di Livenza nel 1928

Opere
Svevo scrive più per svago e diletto. Le opere sono più opere di uno scrittore che scrive per
svago o per diletto. Lascia incompiute la maggior parte delle opere oppure le pubblica nelle
riviste come dipendente o a proprie spese, ma non hanno riscontro.
La coscienza di Zeno, il suo romanzo più famoso, verrà pubblicato molto tempo dopo, dopo la
prima guerra mondiale, nel 1923 → l’opera divenne famosa grazie a James Joyce. L’opera fu
tradotta in Francia, Germania e Inghilterra. In ne il “caso Svevo” esplose anche in Italia, grazie
a Eugenio Montale. Quindi pubblicò alcuni importanti racconti e abbozzò un quarto romanzo, Il
vegliardo, rimasto incompiuto a seguito della sua morte improvvisa Una vita (1892) →
Personaggio protagonista “troppo” moderno, antieroe, individuo marginale e disadattato,
inettitudine. Romanzo dell’esistenza: attenzione al vissuto interiore del protagonista.
Coscienza come strumento di autoinganno. Funzione compensatoria del sogno. In uenza di
Schopenhauer: desiderio ostinato di piena
a ermazione, insaziabilità della volontà di vivere. Suicidio come fallimento. Cornice
naturalistica del romanzo: felice compromesso tra la vocazione analitica e la tradizione
realistica dell’a resco sociale. Attenzione agli ambienti e all’intreccio

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Senilità (1898) → Riduzione dei personaggi a un quartetto e rinuncia alla descrizione del
milieu. Prevalenza della focalizzazione interna, tempo dell’intimità. Personaggi senili e inetti.
Cornice del carnevale: rovesciamento del consueto e ritorno a una normalità più “greve”

La coscienza di Zeno
Con questo romanzo Svevo ci presenta un personaggio nuovo, fuori dagli schemi abituali, né
positivo né negativo, combattuto tra diverse possibilità e sempre in precario equilibrio sul lo del
fallimento e della malattia.
Il protagonista è Zeno Cosini, un ricco triestino che per liberarsi dal vizio del fumo si sottopone
a una cura psicanalitica che consiste nel mettere per iscritto la propria vita. L’opera si compone
di 8 capitoli: nella Prefazione il dottore presenta la sua decisione di pubblicare le memorie di
Zeno. Nel successivo Preambolo la parola passa a Zeno, che ci dice di non poter recuperare la
sua infanzia, ormai troppo lontana nella memoria.
Il capitolo Il fumo è dedicato al famoso proposito dell’ultima sigaretta, che Zeno non riesce mai
a mettere in pratica, perché ogni volta che si impone di smettere di fumare fallisce per i
sotterfugi che egli stesso mette in pratica. Nel capitolo La morte di mio padre invece Zeno
torna indietro alla sua giovinezza e al di cile rapporto col padre che, in punto di morte, gli dà
uno schia o (che poteva anche essere una carezza), che Zeno interpreta come ultima punizione e
sberle o del padre nei suoi confronti. Nell’ultimo capitolo, Psico-analisi, la narrazione torna al
presente e Zeno annuncia la sua decisione di abbandonare la cura, criticando il metodo
psicanalitico del medico e dichiarando di essere guarito dalla sua malattia grazie a una serie di
successi commerciali favoriti dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale.
Un elemento originale de La coscienza di Zeno è la cornice. Si dice infatti che il romanzo sia
stato scritto su incitamento del medico e interrotto per l’inso erenza di Zeno nei confronti del
dottore, il quale decide, un po’ per vendetta, di pubblicare queste memorie → Svevo inventa un
nto pretesto, che avrebbe spinto il suo personaggio a raccontare la propria vita. Questo romanzo
si può de nire come un’autobiogra a aperta, in cui il protagonista Zeno Cosini ci racconta la sua
vita per episodi sparsi, saltando da un momento all’altro → tempo misto: il continuo
intrecciarsi dei piani temporali della narrazione (presente, passato prossimo e passato remoto)
allontana dall’impianto narrativo del romanzo tradizionale, in cui gli eventi si disponevano in
ordine cronologico. L’io narrante usa il monologo interiore per confrontare presente e passato
ed esprimere sentimenti e giudizi, ri essioni e ricordi. Il presente in uenza la ricostruzione del
passato e quello che è già avvenuto. È il tempo della ripetizione → capitolo Il fumo →
ripetizione dell’ultima sigaretta**
Zeno Cosini → Zeno non c'entra con l'autore, anche se ci sono dei riferimenti alla vita di
Svevo. È un ricco triestino appartenente alla classe borghese, all’interno della quale non riesce
però a integrarsi perfettamente. Zeno oscilla infatti continuamente tra malattia e salute,
coscienza e inganno, socialità e asocialità.

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Zeno ha la caratteristica importante di essere un narratore inattendibile, vale a dire che non
possiamo essere sicuri che quello che ci racconta e le interpretazioni che dà dei fatti
corrispondano alla realtà. Questo dubbio è espresso in modo chiaro dal dottore nella Prefazione
quando si riferisce alle tante verità e bugie ch’egli [Zeno] ha qui accumulato. → anche il Dottor
S. è un narratore inattendibile perché non ci possiamo dare di un dottore che pubblica i diari
personali del suo paziente (atteggiamento scorretto) → lo stesso protagonista non nutre ducia
nello psicologo. Quindi il lettore è portato a non darsi di nessuna voce narrante, mette tutto in
discussione.
Zeno è il rappresentante perfetto dell’inetto sveviano → un uomo eternamente indeciso,
incapace di prendere in mano le situazioni. Zeno è inadeguato a vivere nel mondo borghese di
cui fa parte, si sente a disagio e prova un continuo senso d'inferiorità. Egli insegue sempre una
felicità che si dimostra illusoria e irrealizzabile ed è tormentato da un eccesso di coscienza, cioè
dal voler sempre analizzare le cose della vita e svelarne le falsità e gli inganni, su cui si basa la
vita borghese. Tuttavia Zeno non riesce a sottrarsi a quei valori borghesi che capisce essere falsi
e continua a vivere in questa contraddizione.
La peculiarità di Zeno è il distacco umoristico: mentre si autoanalizza Zeno tende a sfuggire
dalla serietà di questa analisi, a non prendersi troppo sul serio.
La malattia di Zeno si può identi care con la sua inettitudine, con il suo non saper stare al
mondo. Questo porta Zeno a sottoporsi alla psicanalisi, che è il motivo della scrittura stessa del
romanzo. Ripercorrendo le vicende della propria vita, il medico spera che Zeno riporti a galla
il trauma che ha determinato la sua malattia, ma la cura sembra non aver e etto e Zeno
l’abbandona. Interessante però il fatto che non appena abbandoni la cura Zeno si dica guarito,
grazie ad un inaspettato successo commerciale → il mondo che fa ammalare Zeno è anche la
cura, ma questo lieto ne è in qualche modo annullato dalle ultime pagine del libro, in cui Zeno
profetizza un’apocalisse, un’enorme esplosione che distruggerà il mondo. La malattia di Svevo
allora può essere paragonata alla malattia del mondo, una civiltà malata la cui unica via
d’uscita è l’annientamento totale.

**Il gesto nale dell'esperienza dà più sapore e gusto all'esperienza. L'ultima sigaretta si associa a
un elemento esterno (data, morte del padre) → avvenimento che possa sostenere la volontà
debole del personaggio che non è capace di smettere con il vizio del fumo, il quale non è l'unico
vizio del personaggio.
Il gesto iniziale di fumare nasce con la relazione con il padre, una relazione ambigua: da una
parte segue un processo di imitazione (vuole essere come il padre) dall'altra c'è la proibizione
→ fa il contrario di quello che gli dice il padre (il godimento nasce dal divieto)→ Non è
quel padre autoritario e severo che si impone, ma lo vediamo come una gura incolore e
sfuggente. L'ultimo gesto del padre è lo schia o: dovrebbe essere il gesto del padre autoritario
che con la violenza espone il proprio ruolo, ma è realmente una schia o?
Oppure è un gesto involontario nel momento in cui cade?

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C'è una sorta di di erenza tra il padre di Freud e l'immagine del padre di Zeno che non obbedisce
alla gura freudiana: è più assente. Quindi la nevrosi di Zeno comincia a nascere da questa
mancata corrispondenza

Inetto perché rappresenta la di coltà della volontà nel novecento → l'io viene messo in
discussione → esiste una corrente di pulsione che di volta e in volta agisce dentro di noi? Da
una parte Zeno è il pensatore, che ragiona e dall'altra parte c'è il lottatore Guido che agisce
nella vita e riesce in tutto.

Capitolo La storia del mio matrimonio → frequentazione di Zeno con la famiglia Malfenti e le
quattro sorelle Ada, Augusta, Alberta e Anna. Zeno è innamorato della bellissima Ada, ma
l’impossibilità di questo amore lo induce a ripiegare verso Alberta e in ne, quasi senza
rendersene conto, verso Augusta, che però si rivela una moglie modello, dotata di quella
concretezza e quella salute di cui Zeno si sente privo. Questo tormento continuo porta Zeno a
instaurare un rapporto clandestino con Carla (La moglie e l’amante).
Zeno si dichiara alla prima sorella, ma nella stessa sera si dichiara alla seconda e terza sorella
→ esiste la volontà? tutto il romanzo è fatto di queste che sembrano scelte ma alla ne sono
ripieghi o atti mancati, cioè gesti e azioni che in personaggio dichiara di voler fare ma alla ne
non lo fa.
Nel capitolo Storia di un’associazione commerciale Zeno ci conduce all’interno del suo mondo
lavorativo e ci racconta il suo rapporto con Guido Speier, marito di Ada, la cui abilità nel
lavoro e la cui fortuna in tutte le cose della vita fanno da contraltare ai continui fallimenti di
Zeno. Tuttavia Guido si rivelerà alla ne più fragile di quello che sembrava e le improvvise di
coltà lo porteranno al suicidio → l'atto mancato più famoso: Guido mette in scena un tentato
suicidio, su consiglio di Zeno, ma sbaglia la dose delle pillole e muore veramente.
Un giorno Zeno gioca in borsa e riesce a recuperare tutte le perdite di Guido, ma così facendo
arriva in ritardo al funerale di Guido perché aveva sbagliato funerale. Ada glielo rinfaccia →
capacità di fornirci punto di vista diversi nonostante il narratore singolo

Inetto → colui che è incapace di portare no in fondo la propria volontà, o che nutre
contemporaneamente più volontà di segno opposto. Inadatto, disadattato. Ma alla ne del
romanzo questo individuo più debole, quindi che non si trova a proprio agio all'interno della
lotta per la vita, lo scontro per la sopravvivenza, riesce a resistere proprio per questo motivo.
Nel mutare delle condizione di vita per la guerra, quelli che sono più forti soccombono, invece i
più deboli e i malati non solo riescono a resistere ma conquistano anche delle posizioni di
vantaggio, grazie alla tecnica → l'animale uomo non ha in natura zanne, unghie per difendersi,
non è più grosso, feroce o veloce rispetto agli altri animali. Ma ha la capacità di costruire dei
dispositivi capaci di renderlo più forte. Ma questa capacità diventa però la possibilità di una
catástrofe perché se l'individuo più fragile di tutto si impadronisce di un dispositivo tecnico

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potentissimo, come una bomba, e messa al centro dell'universo e fatta esplodere, così abbiamo
una con agrazione universale: tutto di negativo andrà nell'universo. Questa catastrofe universale
sarà data dall'individuo più fragile, quello meno adatto

Capitolo 3 Il fumo
Il godimento è legato al divieto → perché bisogna dire dei no? Se i genitori non mettono dei
limiti non scatta il desiderio. Il soddisfacimento immediato non produce la soddisfazione. Se c'è
il tempo di maturare il desiderio di quell'oggetto, allora la conquista diventa più soddisfacente.
Dal punto di vista di Zeno, il suo dramma consiste nel fatto che il padre non è abbastanza
autoritario. È in realtà debole, fa nta di imporsi ma non ci prova più di tanto. Quando Zeno
infrange il divieto del fumo , egli non prova tanta soddisfazione.

Capitolo 4 la morte del padre


Rappresentazione allo specchio con il rovesciamento con il rapporto del padre a favore del glio.
Il padre a letto e angosciato perché sente l'arrivo della morte e il glio in alto in salute

Cap. 8 psicoanalisi
Se il soggetto che si pone in analisi conosce la psicoanalisi
Zeno sa cosa vuole il suo analista e inventa un sogno, così accontenta il suo analista
Confusione: lui si è reso conto di non poter guarire dalla malattia, ma tutti sono malati, solo che
lui se n'è reso conto. Allora nei confronti della debolezza l'animale uomo ha inventato la
tecnica, cioè utilizzare dei dispositivi per superare i propri limiti e debolezze.

Racconti
Italo Svevo è anche autore di racconti e testi teatrali
● La novella del buon vecchio e della bella fanciulla (1926) → è un invito alla castità
senile: chi ha raggiunto una certa età deve rassegnarsi alla quiescenza e vincere gli
improbabili richiami dei sensi.
● Una burla riuscita (1926) → racconto di un oscuro scrittore, invecchiato senza mai
raggiungere il successo sperato (evidente proiezione dell’autore), ai cui danni viene
ordita una burla, solleticandone le velleità di riconoscimento e di fama. Svevo fa i conti
con il successo letterario, atteso per tanti anni e giunto insperato, tentando di esorcizzare
la propria megalomania.
● Corto viaggio sentimentale (1922) → è un esperimento di narrazione modellata
sull’Ulisse di Joyce. Svevo esplora la vita interiore del protagonista durante un viaggio in
treno dal tramonto all’alba, operando una dilatazione del tempo interno che aderisce ai
vissuti del personaggio, riprodotti nel loro uire senza ordine.
● Vino generoso (1926). Fatto banale (invito a un matrimonio, concessione del medico di
sottrarsi alla dieta ferrea) diventa l’occasione per un confuso e caotico, ma radicale e

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severo, scandaglio interiore (Tortora). Scoperta della contraddizione del personaggio


(socialismo). Rivelazione del sogno: individuo spregevole, privo di scrupoli, capace di
sacri care la glia per la propria sopravvivenza. Abbandono di ogni inutile velleitarismo.
Trauma come esperienza del tempo quotidiano.

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MOD.C

FEDERICO TOZZI
Nasce a Siena nel 1883. Suo padre, proprietario terriero e commerciante, aveva accumulato una
discreta fortuna, gestendo anche un’osteria in pieno centro. Era autoritario, dotato di una forza
impressionante, manesco e preoccupato solamente di far fruttare al meglio i suoi poderi. Per
questo, nché visse, rappresentò per il glio una gura terribile e opprimente. Tozzi crebbe così
introverso e taciturno. Compì studi irregolari, senza riuscire a conseguire nessun diploma. Per
un breve periodo cercò sfogo nella politica, entrando in un circolo socialista. Seguì una crisi
religiosa, che lo riaccostò al cattolicesimo e per emanciparsi dalla tutela del padre, tentò senza
successo il giornalismo, nché vinse un concorso nelle ferrovie.
Alla morte del padre, Tozzi lasciò il lavoro, vendette l’osteria e si ritirò in campagna a
Castagneto. In questi anni compose versi, abbozzò romanzi, avviò una serie di collaborazioni
giornalistiche e fondò con l’amico Domenico Giuliotti la rivista La Torre, ispirata a un
cattolicesimo ultraconservatore.
Scoppiata la guerra, fu arruolato nella Croce rossa. La protezione di Borgese e di Pirandello gli
valse l’accesso alla casa editrice Treves, dove uscirono Bestie, Con gli occhi chiusi e Tre croci.
Nel 1920 Tozzi fu colpito dall’epidemia di febbre spagnolo che gli fu fatale.

Opere e poetica
● Formazione vociana e letture disordinate (anche Verga, Dostoevskij e soprattutto
D'Annunzio).
● Impegno di Borgese per una valutazione positiva (Tempo di edificare). Rivista Solaria
(1926-1936) lo considererà tra i suoi autori di riferimento.
● Necessità di uscire dal dilettantismo delle sensazioni per scavare nella propria coscienza
e interrogarsi sul senso delle cose.
● Tendenza all’impressionismo lirico a fondo paesistico (Bestie) e ricerca di oggettività
(errata attribuzione al novero dei veristi).
● Rancoroso autobiogra smo: con itto tra la durezza degli antichi valori contadini e gli
interessi meschini della piccola borghesia cittadina.
● Disagio, fallimento esistenziale, incapacità di maturazione dei personaggi:
condizione di passività e inerzia.
● Con gli occhi chiusi → Romanzo di formazione ‘mancata’.
○ Doppia focalizzazione: padre e glio;
○ Complesso edipico anomalo (fantasia di castrazione), emulazione e introiezione del
modello violento del padre da parte del glio. Lotta contro l’autorità paterna, lotta
politica come transfert.
○ Inettitudine e candore del protagonista; mondo degradato e grottesco,
comportamenti animaleschi degli altri personaggi.

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● Tre croci → Abulia e inettitudine morale dei tre fratelli Gambi, prede dei vizi capitali di
gola, ira, superbia, accidia.
Bestie (1917)
Sono delle specie di situazioni che hanno in comune la presenza di una bestia. Questo animale
appare in maniera epifanica, una presenza muta che di fatto non o re delle situazioni all'intreccio
in modo tale da modi care. Però produce delle situazioni di rispecchiamento, di angoscia, di
vergogna nei confronti del soggetto umano

Con gli occhi chiusi (1919)


In entrambi i romanzi con uiscono situazioni autobiogra che dell'autore.
Abbiamo il con itto tra padre e glio, ma anche tra i valori della durezza della società contadina e
gli interessi della borghesia. Il protagonista a ronta un processo di maturazione controllato
Con gli occhi chiusi → sorta neotenia (gli animali nascono con gli occhi chiusi). L'uomo nasce
con gli occhi aperti ma riesce a vedere più tardi. Però molti animali riescono a camminare sin da
subito, invece l'uomo ci mette anche un anno. L'animale uomo nasce immaturo a di erenza delle
altre specie animali, che nascono con delle capacità mature. Il processo di maturazione
dell'uomo è più lungo, perché assume un peso più importante l'educazione, rispetto agli animali.
Il protagonista vive con gli occhi chiusi, cioè in una situazione di prolungata immaturità, è come
se avesse un velo sugli occhi. Non si accorge che la donna verso la quale ha dei sentimenti
confusi, in realtà sta con un altro uomo, non ricambia i suoi sentimenti.
È stato de nito un romanzo di formazione mancato
Questo processo dura per tutto il romanzo, soltanto alla ne si accorgerà che la donna è incinta di
un altro uomo
Il protagonista non ha la capacità di a rontare le sue emozioni, no ad arrivare ad atti violenti.
Lo stesso succede nei confronti del padre, il quale vorrebbe subito che fosse forte, capace di
andare nel mondo con le proprie gambe. Quindi attua della violenza nei suoi confronti. Da una
parte il glio reagisce alla violenza ma dall'altra non la capisce.

Tre croci (1920)


Nell'Italia del primo ventennio del Novecento, in una città di provincia i tre fratelli Gambi
corrono avidi e disperati la loro avventura ma la pagheranno cara: prima con la decadenza
economica, mentale e sica, poi con la morte.
Tre Croci è un romanzo psicologico che racconta del disastro di una famiglia
Una libreria lasciata in eredità dal padre e tre fratelli che si trovano a gestirla: Giulio, il più
forte, melanconico, intelligente, il solo che avesse voglia di lavorare; Niccolò, l'unico dei tre ad
aver preso moglie, ci teneva a sembrare sagace, faceva anche l'antiquario; in ne c'era Enrico,
l'idiota, che faceva il legatore in una piccola bottega.
Per risolvere i problemi nanziari che avevano colpito la libreria, Giulio aveva iniziato a rmare
cambiali false. Un giorno però la situazione precipita: la banca non solo respinge la cambiale,

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ma addirittura lo denuncia. I tre fratelli, che vivono tutti a casa di Niccolò e Modesta, insieme
alle due nipoti Chiarina e Lola, sono in preda al panico perché hanno perso tutto e rischiano un
processo. Giulio, disperato, si impicca: si tratta di un delirio senza scampo, vivere era diventata
per lui una cosa involontaria ("l'impossibilità di prendere decisioni è la causa della mia indi
erenza") e i fratelli appro ttano della disgrazia per far ricadere su di lui tutta la colpa e venire
assolti. A quel punto Niccolò caccia di casa Enrico e interrompe ogni legame con lui. Dopo un
primo periodo di benessere, inizia per Niccolò una discesa che lo condurrà alla morte; stesso
destino per Enrico che, dopo aver fatto per mesi il mendicante, viene accolto in un ospizio ma la
sua vita era ormai volta al termine.

Forma di rovesciamento di tanti riferimenti dell'iconogra a cristiana: i tre fratelli Gambi sono
degli inetti, sono incapaci di mandare avanti l'impresa familiare, una libreria, perché sono preda
di peccati capitali. Falsi cano la rma di una cambiale per continuare a fare soldi.
Tic → uno continua a toccarsi un lato della bocca; un altro non riesce a smettere di mangiare.

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RIVISTE ITALIANE
Riviste che non sono contrarie al regime
La ronda (1919-1923) → nasce a Roma per iniziativa di Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini,
Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi. Sostiene l’autonomia della letteratura e l’assoluta
preminenza dello stile sui contenuti (“prosa d’arte”) → lo stile di Svevo e Pirandello erano
mal visti. Ri uta il coinvolgimento dello scrittore sul piano politico-sociale e lo
sperimentalismo delle avanguardie. Propone un ritorno all’ordine attraverso il recupero dei
valori della tradizione. Esplorazione distaccata e straniata del mondo e classicismo anche in
funzione comico parodistica, stile basso e antiletterario

Il selvaggio (1924-1943) → Fondata da Mino Maccari, esalta i valori della provincia e del
mondo contadino, considerati i veri capisaldi dell’“italianità”. Aderisce con entusiasmo al
regime, pur criticando alcune scelte del governo.

L'italiano (1926-1942) → Si può considerare la prosecuzione del selvaggio. Fondata dallo


scrittore e pittore Leo Longanesi, già collaboratore della rivista “Il Selvaggio”. Sostiene con
convinzione il regime di Mussolini

900 (1926-1929) → viene fondata a Roma da Massimo Bontempelli. Propone per la società
italiana una concezione di tipo modernista-industriale, schierandosi a favore del movimento
di Stracittà. si batte per una cultura modernamente europea. Entra in polemica con la
posizione rustico-tradizionalista della rivista “Il Selvaggio” e del movimento di Strapaese.
Promuove una letteratura fondata sul “realismo magico”: magia insita nel quotidiano in
termini onirici e con funzione conoscitiva → una sorta di sperimentazione degli elementi
magici ma inseriti nel quotidiano

Primato (1940-1943) → nasca a Rokma per iniziativa di Giuseppe Bottai e Giorgio


Vecchietti. si rivolge soprattutto ai giovani ed è molto di usa nelle scuole. Si avvale della
collaborazione dei maggiori scrittori e intellettuali italiani (come Buzzati, Gadda, Pavese,
Quasimodo, Montale). Ri ette la crisi della cultura fascista, assumendo posizioni fortemente
critiche e promuovendo un vivace confronto di opinioni → sorta di palestra e di esercitazione
delle voci del secondo dopoguerra

Riviste che si oppongono al regime


Il Baretti (1924-1928) → nasca a Torino per iniziativa di Pietro Gobetti. trasferisce il discorso
politico sul piano letterario e conduce un’azione estrema di resistenza nei confronti del
regime. Si richiama allo spirito critico, riformista e cosmopolita dell’Illuminismo. Reagisce
al dannunzianesimo, al futurismo, al dilettantismo con la forza delle argomentazioni liberali e
la serietà dell’impegno morale, seguendo l’esempio crociano Solaria (1926-1936) → nasce a

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Firenze per iniziativa di Alberto Carocci. Si propone come “repubblica delle lettere” in virtuale
alternativa alla dittatura. Unisce all’interesse per lo stile una forte esigenza di moralità. A
ronta il problema della responsabilità storica dello scrittore. Valorizza scrittori italiani
ignorati dalla critica u ciale (Saba, Svevo, Tozzi). Di onde la conoscenza degli autori
stranieri (Rilke, Eliot, Joyce, Proust e Kafka) Letteratura (1937-1947) → viene fondata a
Firenze da Alessandro Bonsanti. raccoglie l’eredità di “Solaria”, come dimostra l’attenzione
riservata agli autori europei.

La cultura (1933-1935) → viene fondata a Torino da Giulio Einaudi. raccoglie l’eredità del
“Baretti”. Si oppone al provincialismo e al nazionalismo fascista attraverso l’apertura alle
culture europee
Raccoglie l'eredità del baretti

Il frontespizio (1929-1940) → nasca a Firenze in ambiente cattolico. carca di recuperare la


spiritualità e i valori religiosi nell’arte e nella letteratura. Si orienta verso le soluzioni
dell’Ermetismo

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ROMANZO DI FORMAZIONE
Elisabetta Mondello, L'adolescente nel Novecento
Nel novecento L'adolescente diventa protagonista del romanzo ma in maniera diversa dal
romanzo di formazione dei secoli precedenti. Consisteva in un processo di esperienze (Grande
Tour) che si concludeva all'adesione del modello borghese → matrimonio e ingresso nel mondo
del lavoro.
Nel novecento il processo di maturazione non è più lineare. Da una parte si oppone la
psicoanalisi e dall'altra la società. Nel novecento abbiamo parecchie rotture di continuità → la
generazione che fa la resistenza si contrappone alla generazione precedente che ha aderito al
fascismo.

ALBERTO MORAVIA
Nasce a Roma nel 1907 da una famiglia dell’agiata borghesia. Colpito dalla tubercolosi ossea,
che lo obbligò a prolungati soggiorni in sanatori, dovette interrompere gli studi, ma ebbe
insegnanti privati e una formazione da autodidatta. Nel 1929 esordisce con Gli indifferenti. Tra i
suoi romanzi più noti: Agostino (1944), La ciociara (1957), La noia (1960), L'uomo che guarda
(1985).
moravia fu anche giornalista, reporter e critico militante; collaborò al “Corriere della Sera” e
all’”Espresso” e fondò nel 1953 con Alberto Carocci la rivista di cultura “Nuovi Argomenti”.
Per i loro contenuti osceni, i libri di Moravia furono messi all’Indice dal Sant’U zio. Nel
1941 sposa la scrittrice Elsa Morante e muore a Roma nel 1990.

Temi e poetica
● Moravia è stato sostanzialmente uno scrittore della comunità. È stato uno scrittore della
comunità politica, civile e letteraria, nella quale ha vissuto e con la quale ha tessuto
molteplici rapporti». (Ra aele Manica)
● Struttura teatrale degli Indifferenti, stile sobrio e asciutto; immobilità interiore e
accettazione passiva dell’esistenza. Con itto generazionale, riti di iniziazione, perdita
della purezza originaria: rovesciamento del romanzo di formazione
● «Moravia è stato uno scrittore, un narratore, dalla mentalità saggistica. Nel senso che ha
provato e riprovato le proprie idee in ogni momento della sua vita, le ha messe
continuamente in discussione. Ha avuto la singolare ventura, un dono, di riuscire a
tradurre le idee, di volta in volta più importanti delle epoche che ha attraversato, in fatti
narrativi» (Ra aele Manica)
● Temi: dimensione tragica dell’esistenza, l’indagine della realtà, la sessualità e i rapporti
di classe. I romanzi di Moravia hanno delle costanti: sesso → tema allegorico; Borghesia
→ ruolo sociale ● Rischio di ripetizione.
● Impegno dell’intellettuale: per la libertà d’espressione e di stampa, per le nuove
democrazie; il problema delle armi nucleari; il femminismo e la fame nel mondo.

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Intellettuale impegnato → intellettuale che prende parte attiva alla vita politica e sociale in
virtù del proprio essere di intellettuale. Questo concetto nasce in Francia con Zola con l'a aire
je refuse. Zola incarna la gura di intellettuale che attraverso i propri scritti riesce a rivelare i
problemi del governo. La conoscenza non deriva da un appartato specialistico, ma riesce a
collegare elementi diversi quindi rappresenta l'ultima evoluzione del grande sogno umanistico.
L'intellettuale umanista riesce a svelare anche gli inganni del potere.
Qual è l'autonomia dell'intellettuale all'interno di una società di comunicazione di massa?
Moravia interpreta profondamente il concetto di intellettuale impegnato. Scrive per tante
riviste e giornali che arriva sempre a più persone. Sempre più persone intraprendono gli studi
no all'università.
Mandato sociale dell'intellettuale → in nome di chi parla l'intellettuale? E a chi parla? Ha un
mandato che riguarda una parte politica → qual è il rapporto tra l'intellettuale e la politica?
Per Vittorini l'intellettuale Non deve obbedire e di ondere in altri termini le indicazioni date dal
partito. Però dall'altro lato c'è l'aspetto economico → chi nanzia la rivista?

Gli Indifferenti (1929)


È interamente ambientato in spazi chiusi → questa condizione di oppressione e di prigionia
senza scampo che a igge anche gli spazi del romanzo è simbolo della vacuità e
dell’inutilità della realtà e dell’incapacità dei protagonisti di appropriarsene e di modi
carla. Moravia denuncia infatti l’incapacità di volere e di vivere autenticamente la realtà
(l'indi erenza, appunto) propria della borghesia degli anni Trenta del Novecento, schiava dei
valori del denaro e del sesso.
I protagonisti sono una famiglia composta dalla madre, Mariagrazia Ardengo, il suo amante,
Leo, e i due gli, Carla e Michele. Questi ultimi sono totalmente incapaci di reagire alla
condizione di fallimento economico e morale in cui versa la famiglia, e non riescono ad opporsi
all’amante della madre, Leo, interessato ad impossessarsi della casa degli Ardengo e a sostituire
la vecchia amante con la glia di lei, ben più giovane e piacente. Un altro personaggio che torna
nel racconto è Lisa, ex amante di Leo e amica di Mariagrazia, pervasa da un’insana passione per
il giovane Michele, sul quale proietta il desiderio di una giovinezza ormai s orita da tempo. Leo
a sua volta desidera ardentemente Carla, che in ne gli si concede per vana ribellione verso gli
schemi familiari, nendo poi col sposarlo. Unendosi a lui in matrimonio non si rende conto di
compiere il proprio destino di indi erente donna borghese, incarnando una "nuova" Mariagrazia
e ricadendo nella medesima "indi erenza" etica che già caratterizza la madre. Michele, dal canto
suo, cede alle lusinghe di Lisa, pur disprezzandola, e, con il proposito di vendicare la sorella, a
ronta Leo con un’arma scarica; l'incidente diventa simbolo della cronica incapacità di Michele
di volere davvero qualcosa, e di agire di conseguenza.
Il romanzo si conclude allora con la scena emblematica di Mariagrazia e della glia Carla che
partecipano ad un ballo mascherato. La maschera, immobile e statica, esprime tutta l’indi
erenza e l’apatia dei personaggi che la indossano; i personaggi del romanzo sono del tutto in

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balia degli eventi, incapaci di comprendere e di vivere la realtà, o di farsi arte ci in qualche
modo del proprio destino. Le vicende narrate simboleggiano un rito d’iniziazione che ci mostra
il passaggio dall’immaturità adolescenziale all’età adulta, e che si cristallizza nell’amara
accettazione della realtà per quello che è, abbandonando la volontà (e la speranza) di un
cambiamento

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CESARE PAVESE
1908 → Nasce a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, da una famiglia piccola borghese. Presto si
trasferisce a Torino, dove compie gli studi.
1932 → Si laurea in Lettere con una tesi sul poeta statunitense Walt Whitman. In questo
periodo inizia a tradurre autori inglesi e statunitensi.
1934 → Prende il posto di Leone Ginzburg (arrestato dalla polizia fascista) alla direzionedella
rivista «La Cultura» e inizia a collaborare con la casa editrice Einaudi.
1935 → Viene arrestato per i suoi rapporti con il gruppo antifascista “Giustizia e Libertà”
eviene inviato al con no per un anno a Brancaleone Calabro.
1936 → Pubblica la raccolta di poesie Lavorare stanca.
1941 → Esce Paesi tuoi, con cui Pavese ottiene il primo grande successo come scrittore.
1943 → Durante l’occupazione tedesca si rifugia nel Monferrato, dove guarda alla Resistenza
con distacco.
1945 → S'iscrive al Partito Comunista e collabora al giornale «L’Unità». In questi anni
approfondisce la ri essione sul mito e sul folklore.
1950 → A giugno vince il Premio Strega per La Bella estate. In agosto viene ritrovato morto
suicida.

Poetica
La personalità, le opere e le poesie di Cesare Pavese ci restituiscono l’immagine di un uomo in
continua analisi di se stesso e dei rapporti con gli altri e con il mondo. Questo determina una
serie di contraddizioni, in particolare tra letteratura e impegno politico; esistenza individuale e
storia collettiva e il passato mitico e trasformazioni della modernità Nella sua vita, Pavese si
sentì sempre estraneo al mondo e agli altri uomini, si sentiva altrove → questa percezione
deriva da un ossessivo scavo interiore, che lo porterà al suicidio → si può leggere di questa
battaglia interiore nel diario intitolato Mestiere di vivere → nelle frasi nali del diario inizia a
prendere forma l’idea del suicidio

Questo continuo scavo interiore porta Pavese a ri ettere nelle sue opere su alcuni temi ricorrenti:
● la sua infanzia nelle Langhe e il mondo contadino → nei quali Pavese vede un passato
originario irrecuperabile, che cerca però di recuperare attraverso la scrittura.
● la natura e i suoi ritmi inesorabili che vanno dalla nascita alla morte, a cui si
contrappone il tempo eterno e immortale del mito
● la città e la modernità che trasformano la natura → se la campagna è una forza
originaria, la città è il luogo della nzione e dell’arti cio → opposizione tra città e
campagna
● lo sguardo degli altri, che ci impone delle maschere → visione più tragica rispetto a
Pirandello

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● la falsità del mondo → oltre ad essere false le immagini che gli altri costruiscono di noi,
Pavese capisce che anche l’immagine che noi costruiamo di noi è quella di un io che non
esiste.
● il bisogno d’amore → con itto tra uomo e donna ● la solitudine e l’esclusione sociale
● la Resistenza e l’impegno politico
● il fascino della morte

POESIA:
1936 → Lavorare stanca
Questa raccolta di poesie è stata la sua prima opera pubblicata. È un tipo di poesia sia realista
che simbolista → descrive una realtà ma allo stesso tempo rimanda a qualcos’altro di esterno, a
un signi cato nascosto.
Le poesie inserite in questa raccolta si pongono a una via di mezzo tra prosa e poesia, usando un
verso molto narrativo. Il ritmo si costituisce in lunghi versi che si ripetono per creare l’e etto di
una realtà condannata alla continua ripetizione

Negli anni 30 Cesare Pavese si dedica soprattutto a racconti. In uenzato dalla narrativa realista
statunitense e dalle novelle di Giovanni Verga (realismo) → anche dal punto di vista linguistico,
Pavese si attiene alla realtà attraverso l’uso del dialetto e di molti dialoghi

Lo steddazzu da Lavorare stanca


L’uomo solo si leva che il mare è ancor buio e le
stelle vacillano. Un tepore di fiato sale su dalla riva,
dov’è il letto del mare, e addolcisce il respiro.
Quest’è l’ora in cui nulla può accadere. Perfino la
pipa tra i denti pende spenta. Notturno è il
sommesso sciacquìo. L’uomo solo ha già acceso un
gran fuoco di rami e lo guarda arrossare il terreno.
Anche il mare tra non molto sarà come il fuoco,
avvampante.

Non c’è cosa più amara che l’alba di un giorno in


cui nulla accadrà. Non c’è cosa più amara che
l’inutilità. Pende stanca nel cielo una stella
verdognola, sorpresa dall’alba. Vede il mare ancor
buio e la macchia di fuoco a cui l’uomo, per fare
qualcosa, si scalda; vede, e cade dal sonno tra le
fosche montagne dov’è un letto di neve. La lentezza
dell’ora

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è spietata, per chi non aspetta più nulla.

Val la pena che il sole si levi dal mare e la


lunga giornata cominci? Domani tornerà
l’alba tiepida con la diafana luce e sarà come
ieri e mai nulla accadrà. L’uomo solo vorrebbe
soltanto dormire. Quando l’ultima stella si
spegne nel cielo, l’uomo adagio prepara la
pipa e l’accende

Pavese, con questa poesia, descrive la monotonia della vita e la sua solitudine all’arrivo
dell’alba e allo spegnersi dell’ultima stella: lo steddazzu
Questo componimento poetico è formato da tre grandi strofe, le prime due costituite da nove
versi e l’ultima da sette per farla risaltare e far capire al lettore che nell’ultima strofa c’è quello
che il poeta vuole comunicare

Per descrivere questa monotonia Pavese usa lo stile prosastico → eliminando le rime il ritmo
diventa più lento (e questo è dato anche dalla lunghezza dei versi, oltre l’endecasillabo, e dal
fatto che le frasi sono tutte coordinate fra loro e non subordinate). Per mantenere il ritmo lento,
usa soltanto due caratteristiche poetiche: la prima è la sinestesia nella prima strofa → notturno è
il sommesso sciacquio; la seconda è un ossimoro sempre nella prima strofa → mare
avvampante;
Per descrivere la solitudine ripete molte volte l’uomo solo → è generico ma nello stesso tempo
l’autore l’ha usato per descriversi. Inoltre usa l’immagine dell’uomo che accende la pipa →
descrive un senso di abitudine, e poi quella della pipa e della stella che pendono e questo ci
trasmette un senso di instabilità e monotonia.
Pavese spezza la frase mettendo in evidenza le parole più dure come nulla/può accadere o
amara/che l’inutilità → con questi due enjambement si nota subito il fatto che Pavese non si
aspetta nulla dalla vita. Inserisce anche delle gure che suggeriscono la disperazione: una è
l’uomo solo vorrebbe soltanto dormire → il sonno viene inteso come il sonno della morte così
da non a rontare mai più le situazioni di cili della vita ; l’altra è descritta nel v. 24 quando
l’ultima stella si spegne nel cielo → dice implicitamente che anche lui vorrebbe “spegnersi”
come la stella per smettere di vivere
steddazzu → è l’ultima stella che si spegne la mattina → sembrerebbe un riferimento alla
speranza che è l’ultima a spegnersi → lo spegnersi della speranza di qualcosa di nuovo, di una
svolta nel senso della vita del poeta.

1950 → Verrà la morte e avrà i tuoi occhi → raccolta pubblicata postuma

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NARRATIVA:
1941 → Paesi tuoi 1942 → La spiaggia 1947 → Il compagno 1947 → Dialoghi con Leucò
1949 → Prima che il gallo canti, che comprende i due romanzi brevi Il carcere e La casa in
collina → La casa in collina (1948)
È il racconto in prima persona del protagonista Corrado, un professore di Torino che durante la
guerra si rifugia nella sua casa in collina alla ricerca di solitudine. Qui incontra però Cate, una
donna che ha amato in passato, e segue le sue vicende e quelle dei suoi amici partigiani, no al
loro arresto da parte dei tedeschi. Il romanzo vuole mettere in luce la contraddizione
dell’intellettuale di fronte alle cose del mondo, il suo isolamento e il nascondersi dalle
responsabilità collettive → problema di Pavese si trovava combattuto tra la volontà di
isolamento e la necessità di intervenire nella realtà con un’azione politica. 1949 → La bella
estate, trilogia che comprende → Feria d’agosto, Il diavolo sulle colline, Tra donne sole
1950 → La luna e i falò
Anche qui abbiamo il tema della guerra partigiana.
È la narrazione in prima persona di Anguilla, tornato nel paese dove è cresciuto dopo aver
vissuto e fatto fortuna in America. Anguilla è alla ricerca della sua infanzia, rappresentata
dall’immagine festosa dei falò accesi in collina ad agosto. Cerca le tracce delle persone che ha
conosciuto da bambino, ma viene a sapere dei nuovi falò, quelli di morte, e delle distruzioni e
delle violenze che hanno interessato le colline durante la guerra partigiana.

Pavese si pone in equilibrio tra problematica esistenziale, fascinazione del mito e richiamo alla
concreta realtà storica del tempo. Si tratta di romanzi di iniziazione in cui uno o più personaggi
legati da amicizia a rontano dolorose prese di coscienza della maledizione che grava sugli
uomini e sul mondo. Questi romanzi descrivono una realtà concreta, ma non coincidono con la
narrativa neorealista per il predominare di situazioni liriche, di una rete di simboli e della
presenza del destino tracciato nel mito.
Negli anni 40 Pavese s'interessò anche a temi legati al folklore e al mito → in essi l’autore vede
le motivazioni originarie dei comportamenti umani.

ALTRE OPERE PUBBLICATE POSTUME 1951 → Letteratura americana e altri


saggi 1952 → Il mestiere di vivere (diario)
1953 → Notte di festa (racconti)
1959 → Fuoco grande → romanzo scritto a capitoli alterni con Bianca Garu
CARLO EMILIO GADDA
Nasce nel 1893 a Milano da una famiglia borghese (che annovera anche senatori). Il rapporto
con i genitori è con ittuale, essi lo vogliono ingegnere, e infatti intraprenderà questi studi. A
quell’epoca in tutti gli ordinamenti vi era una materia di letteratura italiana → questo
provocherà un rancore forte soprattutto verso la madre. Nel 1915 parte per la Prima guerra
mondiale come volontario, perché in essa vede il compimento del risorgimento → la guerra, in
realtà, rivela tutti i mali dell’Italia → trauma per la guerra mal gestita dall’Italia e il dolore per
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la perdita del fratello. Aderisce al fascismo perché in questo vede un regime che tendeva a
mettere ordine, come simbolo delle due tendenze che stimolano la scrittura di Gadda. La realtà è
caos, ma allo stesso tempo tiene insieme tutto.
Poi esplicita la sua rinuncia al regime in Eros e Priapo dopo la Seconda guerra mondiale.
Tra il 1922 e il 1931 intraprende dei viaggi per lavoro in Argentina, francia, Belgio,
Germania e Vaticano
Il caso Gadda scoppia nel secondo dopoguerra: comincia a scrivere nel primo Novecento, ma il
suo ruolo viene maggiormente giocato nella Seconda metà del Novecento, soprattutto nella
cosiddetta “neoavanguardia”. L’altro grande problema di Gadda è che molte delle sue opere
sono incompiute: il suo laboratorio è molto complesso. Ci sono degli stadi intermedi come la
pubblicazione su rivista. Dal 1963 al 1973 c’è il suo momento di maggiore successo (anche
oggi è uno dei poeti simbolo di quell’epoca). Muore a Roma nel 1973.

Temi e poetica
Per Gadda capire la poetica vuol dire guardare allo stile dell’autore. Egli riesce ad essere
sempre innovativo nello stile: mescola dialetto, linguaggio quotidiano, lessico scienti co,
latinismi, parole straniere → mescolare le lingue così come la realtà è mescolata. Uno dei suoi
autori di riferimento, paradossalmente, è Manzoni → anche se sembrano proprio agli antipodi.
Gadda fa non solo parlare i suoi personaggi con il loro dialetto, ma li fa anche pensare con la
stessa lingua. Oltre all’insieme delle lingue vi è anche un insieme di varietà di queste ultime →
uso del dialetto in direzione sociale diversa in base ai personaggi.
Tutto questo in un momento in cui si sta andando verso l’omogeneità linguistica. Ma
allora perché Manzoni? → angoscia dell’in uenza → Gadda vede in Manzoni un modello
da seguire per quanto riguarda l’analisi psicologica dei personaggi, no all’introspezione
della coscienza.

● strati cazione linguistica diacronica e sincronica (nel tempo e nello spazio)


● antifascismo attraverso scelta linguistica
● accumulazione caotica di termini a erenti a dimensioni disparate e immagini bizzarre
● calderone linguistico, immagine del mondo labirintico e privo di simmetria
● Una vita vista come caso informe, pasticcio e garbuglio → in cui lo scrittore si immerge
in maniera quasi maniacale e morbosa nel non-senso del particolare
● Dall’altro lato il tentativo di mettere in ordine: l’idea che non esista una sola unica causa
ma più cause → concause → generano un vortice che simboleggia l’idea della
modernità novecentesca, della sica quantistica in cui se di una particella stabiliamo la
massa non possiamo stabilire la velocità e viceversa. Riprende la teoria delle catastro : un
granello di sabbia non è la causa del crollo di una montagna di sabbia, ma la realtà
raggiunge un livello di soglia tale per cui implode. Il gomitolo diventa sempre più grande
e diventa sempre più di cile per noi scioglierlo. Di tutto questo Gadda era

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assolutamente consapevole e cerca di trasportarlo nelle sue opere, come il pasticciaccio


che è un giallo. Se, appunto, nel giallo, ci sono un insieme di concause, allora non c’è un
solo assassino e il giallo rimane irrisolto.
Allora perché il giallo? Perché ci serve a dare ordine, anche producendo mimeticamente la
realtà.

● Rappresentazione barocca attraverso lo struggimento psicosolidale delle frasi,


allungate attraverso la presenza dei due punti. A governare non è la linea retta, la
simmetria delle parti, ma la linea curva e aperta.
● Tendenza all’accumulazione: digressioni, elenchi caotici → corrispettivo di una visione
enciclopedica. Inserire tutto dentro il romanzo (enciclopedismo imperfetto, non può
entrare tutto in un romanzo).
● ammirazione per il romanzo ottocentesco (manzoniano) → visione organica del mondo.
Ma è impossibile realizzare tale ordine → lunghe digressioni centrifughe, andamento
divagante e frammentario, incompiutezza

La cognizione del dolore


Il romanzo fu pubblicato tra il 1938 e il 1941 a puntate sulla rivista Letteratura e in ne nel 1963.
Gadda iniziò la stesura dopo la morte della madre nel 1937, lo editò più volte ma rimase
incompiuto.
sfondo autobiogra co → ambientato nel Maradagal (Italia prefascista); trauma famigliare →
morte in guerra del fratello minore.
Tras gurazione della realtà storica e ambientazione simbolica in Sud America (conosciuta
dall’autore).
La vicenda è ambientata a Lukones, villaggio nell’immaginario Paese sudamericano del
Maradagàl, oppresso dalla dittatura e appena uscito vincitore da una guerra col vicino Stato del
Parapagàl → le speci che caratteristiche con cui Gadda descrive il Maradagàl ricorderebbero
quelle della Brianza durante il periodo fascista. Il protagonista è l’ingegnere Gonzalo
Pirobutirro d’Eltino, in un certo senso alter ego dell’autore: scrittore per passione, l’uomo nutre
un forte odio per il defunto padre che ha messo l’apparenza di fronte ad ogni cosa. Gonzalo
convive ancora con l’anziana madre, per la quale prova un profondo a etto.
Tuttavia, la convivenza forzata porta i due a covare una sorta di inso erenza reciproca: da una
parte Gonzalo so re di scatti d’ira nei confronti della madre, dall’altra l’anziana donna si ritrova
ad aver paura del glio → situazione insostenibile, che culminerà con l’omicidio della madre di
Gonzalo per mano ignota → dopo aver ri utato la protezione di un gruppo di reduci di guerra, al
ritorno da un viaggio di lavoro ritrova la madre morta, vittima di percosse. Tentando di
ricostruire una linea guida che lo porti a conoscere le origini del dolore presente nella sua vita, il
protagonista cerca di scoprire chi sia stato ad uccidere la madre. L’opera, però, restò
volutamente incompiuta, impedendo al lettore di conoscere l’identità dell’omicida.

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● solitudine e fuga dall’oceano delle stupidità


● alternanza di tragico e comico e l’ombra del sospetto sul protagonista per la morte della
madre
● digressioni dei deliri
● critica feroce alla società borghese di Milano degli anni ‘30
● reinvenzione della lingua grazie all’uso di metafore, termini deformati, impasto di parole
del dialetto lombardo, spagnolo e latino

Quer pasticciaccio brutto de via Merulana


Gadda amava il genere giallo → il giallo esprime la tensione all’ordine, tensione che nasce dalla
voler risolvere il garbuglio dove verità e menzogna sono legate → Gadda decide di scrivere un
giallo ambientato a Roma, città dei garbugli per eccellenza, città caotica e piena di maschere
dove ognuno si trova a recitare la parte e a nascondersi nel pasticcio per celare la verità
inconfessabile.
Lo scrittore milanese comincia a scrivere questo racconto giallo all’inizio del 1946 sfruttando
un fatto vero, cioè l’omicidio di due vecchie signore romane per mano di una ex domestica.

Le prime cinque puntate vedono la luce sulla rivista “Letteratura” e una sesta viene annunciata,
anche se mai pubblicata. Nel 1953, l’editore Garzanti propone a Gadda di ultimare il
Pasticciaccio e nel 1957 viene pubblicato.

Il romanzo è ambientato a Roma nel Febbraio del 1927. Sono anni molto particolari perché il
regime fascista è cominciato da due anni e tutto deve essere ammodernato ed equilibrato. Ogni
tipo di di ormità non può essere tollerata. Roma, tuttavia, è una città multiforme e piena di
squilibri, dove il disordine è parte integrante della città.
L'investigatore Francesco Ingravallo conduce quella vita solitaria, trasandata e un po’
disperata; è una persona energica e di polso e non disdegna, quando serve, di parlare in modo
franco usando il suo dialetto (molisano) che anima e vivacizza le pagine del romanzo.
È un uomo consapevole della complessità del reale e di quanto sia di cile perseguire quella che
si chiama “verità” → gomitolo-groviglio-pasticcio → signi ca che l’uno non esiste, ma
esistono relazioni, contaminazioni, nodi che rendono la verità complessa e indecifrabile,
negativa e non positiva

Tutto è confuso e i rapporti di causa-conseguenza sono alterati come in una moltiplicazione


all’in nito, che non conosce una vera e propria soluzione (come il romanzo). L’idea di
confrontarsi con il groviglio è il cuore del romanzo ed è anche la soluzione stilistica di Gadda
che ci o re una lingua tutta intrecciata e piena di neologismi e bizzarrie di ogni sorta.

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Trama
Roma, palazzo di Via Merulana, civico 219, detto palazzo degli ori
Viene riferito ad Ingravallo che al 219 c’è stata una sparatoria, Ingravallo resta sbalordito e si
reca subito al palazzo dove c’è un tumulto generale. Appura che un giovane si era introdotto in
casa della contessa Menegazzi e l’aveva rapinata. Al commissario sembra subito evidente che
il rapinatore debba avere un complice, ma l’unico indizio che si riesce a reperire sulla scena del
crimine è un biglietto del tram, caduto dalla tasca del ladro (giacché la contessa esclude si possa
trattare di una delle sue domestiche).
Emerge un unico particolare dai vari interrogatori, una sciarpa di colore verde con cui il ladro si
era camu ato.
Mentre Ingravallo è intanto a scoprire qualcosa di più sul ladro ecco che nello stesso palazzo,
dopo appena tre giorni, nell’appartamento dei Balducci, viene trovata morta con la gola tagliata
Liliana Balducci, già nota al commissario. Le indagini procedono in modo parallelo, ma
sembrano quasi toccarsi, come se si trattasse di due fatti in fondo concatenati se non altro per lo
spazio e il tempo in cui sono avvenuti.
Il primo nella lista degli indagati è il cugino della vittima, il dottor Giuliano Valdarena, che ha
rinvenuto il cadavere e ha dato l’allarme. Giuliano non è del tutto innocente perché sembra che
ci sia un rapporto un po’ torbido tra i due cugini. Dall’interrogatorio viene fuori che Liliana è
profondamente ossessionata dall’impossibilità di avere gli al punto che ritiene necessario
circondarsi di gli surrogati che tiene in casa per brevi periodi. Si capisce allora che Liliana
vorrebbe un glio da Giuliano. Tuttavia glielo impedisce la sua fede cristiana e la devozione per
il marito Remo. Vorrebbe almeno adottare il glio che nascerà dal matrimonio del cugino
Giuliano con la sua sposa. Nonostante le falle nella versione di Valdarena, questi viene
scagionato.
Compare Don Corpi, il padre spirituale e confessore della Balducci, che dà lettura del
testamento, tra l’altro era stato redatto poco prima che venisse uccisa → si indaga sulle
domestiche e nipoti adottive di Liliana.
Le indagini si spostano nel paese di Marino a sud di Roma → ci si concentra su Zamira Pàcori,
una maga-tintora, fattucchiera e sarta che ha ritinto la sciarpa
I gioielli della contessa Menegazzi vengono ritrovati in un casello ferroviario e grazie ad altri
interrogatori si identi ca il giovane dalla sciarpa verde che però resta da rintracciare. Il
romanzo si interrompe bruscamente con l’interrogatorio di Ingravallo ad una delle cameriere
della donna uccisa: Tina, questa glia adottiva, messa alle strette dall'interrogatorio di
Ingravallo grida la sua innocenza e il delitto resta un caso aperto: un pasticciaccio brutto, senza
soluzione.

principio di indeterminazione → nel 1927 il sico Werner Karl Heisenberg aveva formulato il
principio di indeterminazione in meccanica quantistica, stabilendo l’impossibilità di
determinare esattamente la posizione di un corpo in un determinato sistema.

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Questo signi ca che la perfetta linearità del romanzo giallo diventa una pura utopia → niente è
del tutto prevedibile e non esiste la linearità dei rapporti di causa-conseguenza → è come se
Gadda avesse applicato il principio di indeterminazione di Heisenberg al suo romanzo e, più in
generale, a tutta la realtà che lui si sforza di rappresentare. Ecco perché il giallo di Gadda non
può avere una soluzione univoca, perché tutti sono coinvolti nel groviglio e condividono se non
la responsabilità almeno la partecipazione.

Incipit di Quer pasticciaccio brutto de via Merulana


Presentazione del personaggio i due punti ricorrenti allungano la frase aggiungendo e
integrando la presenza del dialetto in presa diretta, ma anche all’interno della stessa descrizione
del narratore. Chi è il narratore? È un narratore esterno, ma con il tempo il punto di vista si
concentra sui personaggi, come sui colleghi del dottor Ingravallo → Gadda, dunque, prende
Manzoni, come nel caso della descrizione di Don Abbondio, ma lo fa suo.
C’è una forte carica di ironia e parodia nelle parole. C’è una simpatia nei confronti di questa
Liliana Balducci → tanto è vero che il marito viene presentato come il “caprone”. È lo stesso
Ingravallo che pensa queste cose. La discussione di quella giornata/serata in presa diretta. La
famiglia Balducci ci viene delineata ancora di più. Ci vengono presentate due nipoti diverse.
Quella di stavolta non è quella dell’altra volta: questa è appena uscita dall’infanzia. La
descrizione della società vede il cambiamento della lingua: il dialetto romanesco ci viene
presentato anche in una costruzione sintattica molto aderente. Attraverso la mimesi ci vengono
presentati la lingua e il punto di vista di chi guarda quel palazzo, della gente.

Elemento testuale sul rapporto tra Gadda e Manzoni


Riesumazione manzoniana – racconto italiano di ignoto nel Novecento (1924) →
Rilettura di Manzoni in cui l’elemento tragico viene messo in risalto → Gadda parla della
società del Novecento e della propria società uscita dalla Prima guerra mondiale. Altro
elemento tenuto molto in considerazione è l’ignavia politica e pubblica. Come ne I promessi
sposi, gli elementi descrittivi dell’incipit vengono ripresi qui da Gadda: il male della storia,
però, permea la natura, anche gli animali. Vi è una ripresa alle grida manzoniane, leggi
ridondanti, non rispettate e inutili → una norma deve avere l’obiettivo di farsi capire, di essere
chiara, comprensibile a tutti. Manzoni sa che la lingua può essere usata non solo per
comunicare, ma anche per nascondere. Cos’è l’oggetto della comunicazione? La funzione della
lingua può essere quella di separare, di individuare all’interno della società dei gruppi elitari che
interpretino il messaggio e detengano il potere. Il “latinorum” è, in epoca manzoniana, la lingua
del potere, che nasconde, compresa da pochi. Levi dice che questa tentazione della lingua del
potere non è soltanto dei cattivi, ma è anche dei buoni: “Omnia munda mundis”, tutto è puro per
i puri: citazione paolina citata da Fra Cristoforo perché il frate portinaio non conosceva il latino,

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lo aveva sentito a messa… “io so quello che è giusto fare, non c’è bisogno che tu lo
comprenda.”
Renzo: se c’è questo inganno della scrittura, allora tanto vale che i miei gli la conoscano e la
imparino.

Di fronte ad un caos del mondo come si fa a trovare un centro degli ambiti del sapere? Una
soluzione potrebbe essere trovare un metodo → metodo della ricerca e del dialogo, della lologia
e dell’ermeneutica → bisogna far dialogare (o meglio, chiarire) i singoli saperi, provare a
spiegarli e poi renderli comprensibili all’opinione pubblica in modo che quest’ultima sia capace
di decidere
NEOREALISMO
Il Neorealismo nasce dai giornali clandestini dei partigiani, dalle cronache e dai diari della
guerra e del dopoguerra: ha un carattere spontaneo e trasversale ai generi, incrociando
narrativa, memorialistica e saggistica → Calvino - prefazione ristampa 1964 del sentiero dei
nidi di ragno → si osserva una “smania di raccontare” → è nita la resistenza, la guerra civile,
l’invasione da parte dei nazisti → Narrare per testimoniare → la letteratura si incarica di
testimoniare quello che è stato. La letteratura non deve consolare, non deve addolcire, non deve
lasciare le cose come stanno ma deve promuovere una liberazione. Una liberazione dai bisogni
materiali: progetto politico che viene incarnato dalla letteratura neorealista.

Il neorealismo è una corrente che si sviluppa prevalentemente nel cinema, nasce dai bisogni
materiali: si registra all’aperto. Grandissima narrazione di un certo spirito italico che dalle di
coltà riesce a ricavare qualcosa di nuovo e di diverso. Gli attori non sono professionisti, c’è
una scarsità nella pellicola e per questo viene impiegato il piano sequenza. Ci troviamo, quindi,
di fronte ad una letteratura in cui trionfano i dialoghi, l’attenzione alle condizioni sociali
dell’Italia al secondo dopoguerra. Rispetto al Realismo contadino, il Neorealismo guarda più
alla città e alla fabbrica → l’idea della rivoluzione comunista e del socialismo reale ha come
soggetti gli operai e l’industria, solo che in Italia l’industrializzazione non è di usa in maniera
omogenea perché abbiamo, soprattutto nel dopoguerra, un nord Italia pullulante di importanti
fabbriche e nanziamenti e un sud Italia in cui permane la questione agraria del latifondo, con i
contadini che non hanno la proprietà ma vengono salariati.
Dopo una prima fase spontanea, in cui il Neorealismo si con gura come “corrente
involontaria”, a partire dal 1948 – anno della Costituzione e del primo governo della
Democrazia Cristiana – con il polarizzarsi della politica interna la letteratura neorealista, vicina
alla sinistra, si interroga sul proprio ruolo in relazione alla linea del partito. La letteratura
abbandona l’evasione astratta dominante nel periodo tra le due guerre e si dedica a
rappresentazioni realistiche della situazione sociale
Cosa si propongono di fare gli intellettuali? Di ondere la conoscenza delle condizioni di vita
dell’Italia del dopoguerra. Abbiamo una produzione molto ampia.

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1955 → pubblicazione del Metello di Pratolini cambia qualcosa → metellismo → le


critiche al romanzo si riferiscono al fatto che il popolo non è reale e viene idealizzato. Il popolo
è visto come portatore di valori positivi che ormai devono essere abbandonati. Gli elogi identi
cano l’opera di Pratolini necessaria a comunicare le condizioni di vita dei ceti più umili. Si
innesca una polemica tra i sostenitori del “realismo socialista”, che interpretano il romanzo
come un suo esempio, e chi invece critica l’idealizzazione del popolo a ermando che la stagione
del Neorealismo vada ormai chiusa
C’è una contraddizione interna nell’intellettuale: egli viene, ovviamente, dalla borghesia, ma si
rivolge al popolo interpretandolo → se l’obiettivo dello scrittore è il rispecchiamento, lui non vi
appartiene. Secondo le stampe marxiste la borghesia dovrebbe essere rovesciata dalla classe
operaia → missione dell’intellettuale. La Resistenza è avvertita come sorta di nuovo
risorgimento.
Abbiamo una rappresentazione mimetica del parlato, il narratore come testimone e non come
studioso (a di erenza di Verga, che non va ad Acitrezza per scrivere i Malavoglia).

ELIO VITTORINI
Nasce nel 1908 a Siracusa. Figlio di un ferroviere, cosa che gli permette di viaggiare spesso e
con facilità sul treno. Nel 1927 sposa Rosa Quasimodo, sorella del poeta Salvatore, e si
trasferisce a Firenze → nel 1929 collabora con la rivista Solaria. Negli anni ‘30 collabora per la
rivista Bargello che, pur essendo interna al regime fascista, lo critica da posizioni di sinistra.
Lo scoppio della guerra civile in Spagna porta Vittorini a una profonda crisi morale e politica →
scrive un articolo apertamente antifranchista → questo processo interiore è raccontato in
Conversazione in Sicilia e prosegue con l’avvicinamento all’area antifascista e comunista.
Nel 1939 si trasferisce a Milano, dove si concentra la sua attività e il suo maggior impegno da
promotore culturale.
Dal 1945 al 1947 esca Il Politecnico → rivista ideata e diretta da lui stesso che doveva agire da
foglio di agitazione culturale e politico → con questa rivista fa conoscere la letteratura estera In
più si colloca nella questione del tradimento dei chierici → Julien Benda sosteneva che gli
intellettuali non devono sporcarsi le mani con le questioni concrete perché devono mantenere
una certa superiorità. Inoltre, la questione dell’intellettuale politico proposto da Gramsci.
Rispetto alle idee di Togliatti, Vittorini si ribella dicendo che egli non deve suonare il pi ero
della rivoluzione → occorre promuovere una cultura della liberazione piuttosto che quella della
consolazione. Muore a Milano nel 1966

Conversazione in Sicilia
Questo romanzo, apparso per la prima volta a puntate sulle pagine di Letteratura tra il '38 e il '39
e poi in volume nel 1941, è il più complesso della produzione di Vittorini, e si caratterizza per
la molteplicità dei livelli di lettura. Il romanzo comincia quando il protagonista Silvestro
Ferrauto, da tempo preda di un senso di irrequietezza cui non riesce dare sfogo, riceve una

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lettera del padre dalla Sicilia che gli dice di aver lasciato la moglie per un'altra donna: decide
così di partire per l'isola per consolare la madre. Dopo l’incontro con la madre, con cui il
protagonista parla del passato, del padre e di suo fratello morto in guerra, il viaggio evolve in
una ricerca profonda nel cuore di una Sicilia che l’autore immagina come fuori dal tempo. Il
romanzo termina con Silvestro che si ritrova in un cimitero a parlare con l’anima di un soldato
morto, che si scopre poi essere quella del fratello Liborio, con cui discute sulla so erenza che
viene ripagata in ne dalla gloria, e termina con Silvestro che ritorna a casa della madre e la trova
a lavare i piedi ad un uomo in lacrime: il protagonista quindi si congeda.
Vittorini scrive questo romanzo in un momento di grande crisi di coscienza e di forte critica al
fascismo. L’ossatura abesca di questo romanzo è mescolata alle in uenze della letteratura
statunitense e delle avanguardie europee, per costruire un racconto che è la metafora del
percorso di maturazione del protagonista/autore.

Uomini e no
Scritto nel 1944, nel pieno della guerra, e pubblicato nel 1945, presenta un evidente ri esso
autobiogra co. Il protagonista, Enne 2, è un partigiano che è anche un intellettuale e un uomo
pieno di dubbi che si pone continuamente domande sul senso profondo delle sue azioni.
Si tratta di un romanzo sulla Resistenza, dove ai capitoli che raccontano le concitate e violente
azioni dei gappisti si alternano capitoli in cui l’autore descrive lo stato d’animo del protagonista,
straziato dall’amore per Berta, sposata e insicura nell’abbandonare suo marito, ed emotivamente
scosso da quella violenza che le circostanze lo costringono ad agire, e che lo porteranno al sacri
cio nale.
Lo stile del romanzo è fortemente simbolico, quasi ermetico, e punta, attraverso l’e cace
uso delle immagini letterarie a raccontare un’esperienza di vita che superi quella storicizzabile
del protagonista per arrivare a portare messaggi e ri essioni universali.
BEPPE FENOGLIO
Nacque ad Alba nel 1922 e qui rimase per tutta la sua vita. Frequentò l’università di Torino
senza arrivare alla laurea a causa della guerra che lo vide soldato e poi partigiano nella
Resistenza. Dopo la guerra si dedicò alla letteratura in cui seppe emergere con il suo schietto
realismo. Aveva cominciato a scrivere all’indomani della guerra, ma poche furono le opere che
pubblicò in vita. Fra il 1952 e il 1962 collaborò con alcune riviste culturali e ottenne alcuni
premi per le sue opere, ma i suoi libri migliori furono pubblicati postumi. Agli inizi del 1962 si
manifestò il cancro ai bronchi che lo uccise nel 1963.

Le opere di Fenoglio si incentrano su due temi predominanti


● la guerra partigiana
● la vita contadina nelle Langhe → campagna piemontese
Quando Fenoglio parla della Resistenza lo fa senza trionfalismi, con obiettiva valutazione dei
fatti, talvolta con un tono ironico che tende a ridimensionare l’aspetto epico per sottolinearne

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la sconvolgente crudeltà. Invece, parlando delle Langhe, il suo sguardo è puntato sulla
quotidiana fatica dei contadini e sulla essenzialità rude dei loro reciproci rapporti.
Anche la lingua di Fenoglio è singolare e cambia registro al cambiare dell’argomento trattato:
misurata e quasi letteraria, asciutta e con evidenti in uenze della lingua inglese → grande amore
e passione per la letteratura inglese e angloamericana, nei romanzi e racconti sulla Resistenza;
quasi espressionista e con in ussi dialettali quando è in bocca ai langaroli. Sempre essenziale e
scarna.

Il partigiano Johnny → viene pubblicato postumo, molti si sono interrogati sullo scopo di
questo romanzo. A proposito della lingua di Fenoglio si è addirittura parlato di fenglese → le
strutture della lingua inglese permeano anche l’italiano.
Calvino individua nel partigiano Johnny una dimensione epica che possiamo sciogliere ad
almeno due livelli: da una parte un’epica dell’antieroe. Da una parte scontri epici, dall’altro
epos rinascimentale come “l’Orlando Furioso”.
Nel caso di Una questione privata, il protagonista va alla ricerca della verità: gli viene detto
che la donna di cui è innamorato, presentatagli da un amico, aveva intrattenuto una relazione
proprio con questo suo amico. Milton va alla ricerca di questo suo amico per sapere appunto
questa verità, ed è qui che entra in gioco la questione privata, nello sfondo della resistenza →
proprio come Orlando che durante le crociate va alla ricerca di Angelica. Un inseguimento
tragico, muoiono ragazzi. Una guerra civile, fatta da lacrime e sangue.

Il gorgo da Racconti
La scrittura di Fenoglio è molto tesa. Il padre voleva suicidarsi, ma nel testo questa cosa non
viene mai esplicitata. Contesto per sottrazione, ci viene fornito il minimo indispensabile.
Famiglia notevolmente in di coltà: sorella malata, fratello in guerra in Abissinia
(rappresentata attraverso un’espressione dell’epos ariostesco: guerra con i mori). Il Belbo è lo
stesso ume delle langhe di Pavese. Tutto il resto è fatto di gesti. Il glio capisce che la sua unica
presenza può fermare il padre, ma non sa se sarà su ciente. Il glio non guarda il padre perché
ha vergogna di vederlo “come nudo”, fragile, vulnerabile → è un’espressione biblica: Noè, in
un episodio della genesi, si ubriaca andando a letto nudo, i suoi gli si prendono gioco di lui
tranne uno che lo copre. Richiamo alla tentazione del serpente; lettura della bibbia più
protestante che cattolica.
La conclusione è quella di una serenità dopo una tempesta. Ma i nali di Fenoglio sono sempre
aperti. Egli ha questa capacità di lasciarci incerti sulla conclusione. I nervi premuti al glio dal
padre potrebbero servire ad addormentarlo per proseguire l’atto del suicidio. Scrittura quasi
priva di aggettivi, frasi spesso sgrammaticate, incomplete. Dialoghi e monologhi non esplicitati.

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Attraversamento e superamento del Neorealismo


Numerosi autori si allontanano progressivamente dall’esperienza del Neorealismo per
soddisfare il bisogno di una più originale e matura ricerca letteraria, anche attraverso
l’elaborazione di uno stile inedito e personale → soluzioni narrative personali
● Elio Vittorini → interpreta le condizioni dell’umanità so erente e il tema della Resistenza
attraverso il lirismo simbolico della sua scrittura
● Cesare Pavese → avvia la sua ricerca di una “realtà simbolica”, fondata sul mito e
programmaticamente lontana da ogni naturalismo
● Alberto Moravia → nelle opere del dopoguerra a ronta tematiche neorealistiche legate a
particolari situazioni locali o regionali
● Pier Paolo Pasolini → descrive l’ambiente del sottoproletariato nelle borgate romane,
celebrandone il vitalismo e l’autenticità, in polemica opposizione alla degradazione della
società dei consumi
● Leonardo Sciascia → analizza con competenza la condizione di arretratezza del
Meridione, denunciando soprattutto i fenomeni di tipo ma oso
● Italo Calvino → negli anni Sessanta abbandona il lone abesco e fantastico per a rontare
alcune questioni politico-sociali
● Elsa Morante → in Menzogna e sortilegio descrive una complessa trama di rapporti
familiari avvolti in un’atmosfera surreale e onirica
● Carlo Emilio Gadda → ri uta ogni rappresentazione naturalistica della realtà e propone
una scrittura plurilinguistica che utilizza i registri più disparati ed eterogenei, dal dialetto
ai tecnicismi e ai latinismi
GIUSEPPE TOMASI DI LAMPEDUSA
Di origine nobile, nasce a Palermo nel 1896 e trascorre una vita dedita allo studio e alla lettura
→ studia a Roma e a Palermo.
Combatte nella prima guerra mondiale ed è fatto prigioniero dopo la disfatta di Caporetto.
Riesce a fuggire dall’Ungheria e si dedica agli studi. Viene poi richiamato alle armi anche nella
seconda guerra mondiale, ma per questioni lavorative viene congedato quasi subito.
Si dedicò alla narrativa negli ultimi anni di vita scrivendo Il Gattopardo, suo capolavoro. Muore
a Roma per un tumore ai polmoni nel 1957.

Il gattopardo (1958)
Romanzo storico, pur non essendoci né Garibaldi né altri. Tomasi di Lampedusa scrive del
momento di passaggio dalla dominazione borbonica all’unità d’italia. Storia editoriale curiosa.
Viene pubblicato postumo da Feltrinelli. La storia è un pretesto per sviare l’attenzione, non ci
sono i personaggi ma ci sono le grandi questioni. Secondo Spinazzola è un romanzo
antistorico, perché non c’è il progresso. gattopardismo → atteggiamento di chi appoggia le
innovazioni ma in realtà non vuole cambiare nulla di sostanziale e mira solo a conservare i
propri privilegi. È un romanzo antistorico perché dimostra che non ci sono mai cambiamenti

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nei rapporti di potere → pubblicare questo romanzo nel 1958 voleva dire che questi
cambiamenti sono apparenti, perché nei giochi di potere ci sono sempre le stesse persone.

La vicenda si svolge nella Sicilia (Regno delle due Sicilie, dominato dai Borboni) sconvolta dal
Risorgimento e dall’arrivo dei Mille e quindi dell’incipiente unità d’Italia. Più precisamente
tra il maggio 1860 e il maggio del 1910. Il protagonista è il Principe Salina → guarda con
disprezzo ai cambiamenti che stanno avvenendo nell’Italia risorgimentale, al contrario di suo
nipote Tancredi che invece cavalca l’onda del successo garibaldino, cercando di convincere
anche lo zio a farlo → il principe di Salina non ha mai accettato i cambiamenti avvenuti nella
sua regione a seguito dell’Unità d’Italia → i siciliani infatti si sono sentiti bloccati nella loro
tranquillità e hanno visto gli italiani come invasori. Al Principe Salina viene anche o erto di
diventare Senatore del nuovo regno, ma con garbo ri uta, non sentendosi all’altezza in modo
quasi fatale → lui è un uomo del vecchio mondo, costretto a vivere nel nuovo, sentendosi
inadatto ormai a entrambi.
Impossibilità del cambiamento → Cambiare è un’illusione perché niente davvero cambia,
niente migliora → i Siciliani si vanno bene così come sono e non amano il cambiamento, si
lasciano dominare dalle correnti così come capita, sentendosi in qualche modo già perfetti – nel
senso quasi più di conclusi, già passati, antichi, mitici.
ERMETISMO
Tre generazioni poetiche → la divisione per generazioni nasce da Magrì → identi ca questi
tratti caratterizzanti
Prima generazione → poeti nati tra 1883-1890 → nascita della ne dell'ottocento e che quindi
raggiungono una maturità agli inizi del novecento → caratterizzati da una dimensione or ca
della realtà. Una poesia rivolta al passato, soprattutto quello mitico Seconda generazione →
nati tra la ne dell’ottocento e gli inizi del novecento → è di cile, soprattutto per Quasimodo che
ha una varietà formale e tematica tra le poesie prima della guerra e quelle dopo, individuare un
tratto caratterizzante, però si può individuare una dimensione onirica e mitica. Poesia come
punto d'incontro la dimensione sensibile e quella spirituale. Una concezione del mondo
sacrale → mondo come creazione divina. Questa è la generazione più in uenzata
dall'ermetismo perché raggiunge la maturità negli anni 30
Terza generazione → nati tra il 1906 e il 1915 → si dividono in:
Elegiaci → guardano alla terra con distacco, senso di sradicamento e si rivolgono alla
fanciullezza come periodo di incanto, che si può attingere solamente con il ricordo Ermetici →
continuano la lezione di Quasimodo, guardano alla poesia come strumento di conoscenza meta
sica e considerano la fanciullezza

Poesia italiana degli anni '30


Anni ‘30 → avvento del fascismo → ai poeti si incarica di guardare in versi alla realtà. Si
aprono due strade: o di opposizione al regime (non è possibile) o di silenzio. Una poesia che

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travalica la storia e il presente, anche l'impegno nei confronti dell'attualità, per cercare un
contatto con una dimensione atemporale, una dimensione meta sica che va oltre le
contingenze terrene. La poesia non ha un tema → poesia atematica → il rischio è di una
poesia che si riduce al puro suono, che suggerisce ed evoca piuttosto che de nire. Il linguaggio
si fa indeterminato, astratto e volutamente prezioso. Rispetto alle avanguardie, che avevano
implicato una rottura del linguaggio poetico, qui
abbiamo un ritorno alla tradizione → viene ampliato il lessico di Petrarca Giudizio di
Francesco Flora → considerava ermetica, cioè chiusa, questa poesia aristocratica. L’ermetismo
era sinonimo di “poesia oscura”, incomprensibile senza necessità. Il centro della poesia è
Firenze, in cui la poesia viene ampliata da suggestioni neoplatoniche e dal spiritualismo
cattolico

Estremismo postsimbolista → riprende dei caratteri però li porta all'estremo


Far corrispondere al particolare, l'universale
Le parole devono tendere al massimo di assolutezza:
● Indeterminazione ed astrattezza
● Eliminazione degli articoli
● Omissione dei nessi grammaticali e sintattici
● Eliminazione dell'elemento razionale
● Uso assoluto del sostantivo
● Sintassi nominale
● Frequenti termini astratti
● Recupero del signi cato etimologico delle parole → radice originaria delle parole.
Risalita delle radici dell'essere in cui l'essere si identi ca con il linguaggio. Gli ermetici
riescono a superare e andare oltre la storia, la quale non può più essere a rontata,
risalendo le radici ontologiche dell'essere

Carlo Bo → Letteratura come vita → se, secondo la dottrina cristina, è l’anima di cui gli uomini
sono stati dotati a farne delle creature a immagine e somiglianza di Dio, non può che essere
l’anima, in quanto partecipe del divino, la sede privilegiata di un contatto con l’Assoluto, un
colloquio intimo e spirituale. Il poeta ermetico deve svuotare l’anima di tutto ciò che
normalmente la ingombra, ostruendo il passaggio: le passioni, la memoria, la volontà e i
pensieri. La voce che parla dall’interno dell’uomo e che coincide con la poesia stessa, nella sua
forma più pura, per rendersi “presente” ha bisogno di questo sgombero → è l’assenza
dell’umano che prelude la “presenza” del divino Umanesimo totale → non un uomo separato

Principali poeti ermetici:


Mario Luzi Piero bigongiari Salvatore Quasimodo

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SALVATORE QUASIMODO
Nasce a Modica (Ragusa) nel 1901. Durante l’infanzia vaga da un paese all’altro della Sicilia
orientale, perché il padre fa il capostazione. Nel 1908, il catastro co terremoto di Messina,
cambia la vita del futuro poeta: il padre è incaricato di riorganizzare la stazione. A Messina si
diploma all’Istituto Tecnico e intanto pubblica poesie su alcune riviste simboliste locali. Nel
1926, per lavoro, è a Reggio Calabria → le aspirazioni letterarie si facevano più urgenti ma, al
tempo stesso, la costrizione del lavoro lo allontanava dai suoi obiettivi. Una volta a Reggio,
però, ritrova ducia grazie a Salvatore Pugliatti, che lo spinge a riprendere i versi → nasceva così
il primo nucleo delle poesie di Acqua e terre. Nel 1029 lo scrittore Elio Vittorini, da poco suo
cognato, lo invita a Firenze → rivista «Solaria» e pubblicazione di Acque e terre. Nel 1932
pubblica Oboe sommerso, con cui il poeta dichiara di aver dato inizio all’Ermetismo in senso
proprio. Però nel 1936 si conclude la fase ermetica della sua poesia con la pubblicazione di
Erato e Apollion → è una celebrazione di Apollo, dio del sole e protettore delle Muse, e di
Ulisse, l’esule per eccellenza
1940 → pubblica un’antologia di lirici greci
La seconda guerra mondiale segna uno spartiacque → la raccolta Giorno dopo giorno (1947)
segna un netto cambiamento stilistico: la poesia si fa più impegnata, attenta alla società
(neorealismo)
1959 → premio Nobel per la Letteratura
1968 → muore a Napoli dopo essere colto da un malore

Poetica
Nella prima parte della sua ricerca poetica, specie in Acque e terre, Quasimodo risente del
panismo dannunziano, esalta il legame con la natura unendolo più volte al senso di esilio
vissuto nella città. La terra siciliana e il suo mare diventano sue muse ispiratrici. È la fase
propriamente ermetica, tutta rivolta al rapporto tra parola-immagine-intimità.

Nel 1947 uscì la raccolta Giorno dopo giorno, un’opera che è il frutto proprio di quel passaggio
attraverso la guerra → Quasimodo si appassiona ai temi civili ed è sinceramente impegnato a
rinnovare l’uomo → punto di vista superiore e privilegiato → poeta inteso come antenna capace
di registrare in maniera sensibilissima e profonda la verità. Quella verità che giace a fondo

Si sforza di utilizzare un linguaggio classico e letterario → traduttore di testi greci


(l'ispirazione che proviene da un testo precedente, riesce a dare anima a una poesia molto
preziosa e tecnica). Ma senza scelte espressive.

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Alle fronde dei salici da Giorno dopo giorno


E come potevano noi cantare Con il piede
straniero sopra il cuore, fra i morti
abbandonati nelle piazze sull'erba dura di
ghiaccio, al lamento d'agnello dei fanciulli,
all'urlo nero della madre che andava incontro
al figlio crocifisso sul palo del telegrafo? Alle
fronde dei salici, per voto, anche le nostre
cetre erano appese, oscillavano lievi al triste
vento.

Poesia civile → Quasimodo esprime tutto il suo odio verso gli oppressori e il sacri cio che fa per
voto di non scrivere poesie → alle fronde infatti sono appese le cetre che i poeti hanno messo
da parte per quel periodo
Si apre con una domanda retorica → la Sicilia era oppressa dallo straniero, di conseguenza il
nostro cuore era oppresso → con il piede straniero sopra il cuore . Risposta a quanti stavano
criticando la scelta ermetica di prendere posizione. In un certo senso è anche un'ammissione di
colpa → la poesia deve concorrere a modi care il mondo, ma di fronte al feroce e crudele
spettacolo di morte provocato dalla guerra, il poeta rinuncia alla poesia → la parola pura”
dell’ermetismo si dichiara impotente dinanzi al dramma della storia
vv. 8-9 → Riferimento biblico tratto dal salmo 136 → esilio degli ebrei in Babilonia → gli ebrei
schiavi si ri utano di cantare (appendono le cetre ai salici) → riferimento all'occupazione nazista
Altri riferimenti religiosi → Lamento d'agnello → per rappresentare i lamenti dei bambini;
Urlo nero della madre (sinestesia) che va incontro al figlio crocifisso → Maria e Gesù il palo
del telegrafo → accentuare il legame tra il Vangelo e la vita moderna

Uomo del mio tempo da Giorno dopo giorno


Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo
del mio tempo. Eri nella carlinga, con le ali maligne,
le meridiane di morte, – t’ho visto – dentro il carro di
fuoco, alle forche, alle ruote di tortura. T’ho visto:
eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo
sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso
ancora, come sempre, come uccisero i padri, come
uccisero gli animali che ti videro per la prima volta.
E questo sangue odora come nel giorno quando il
fratello disse all’altro fratello: “Andiamo ai campi”.
E quell’eco fredda, tenace, è giunta fino a te, dentro
la tua giornata. Dimenticate, o figli, le nuvole di

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sangue salite dalla terra, dimenticate i padri: le loro


tombe affondano nella cenere, gli uccelli neri, il
vento, coprono il loro cuore

La lirica è composta in versi liberi e tratta il tema della violenza senza limiti dell’uomo
v. 11 quando il fratello disse all’altro fratello → riferimento biblico → episodio di Caino e
Abele → ogni guerra è una guerra fratricida → La dimensione mitica è declinata nell'eternità
della guerra come contesa tra l'uomo e l'uomo.
Ma, nella parte nale del componimento, Quasimodo lancia un appello → i giovani, i gli di oggi,
dovrebbero discostarsi da ciò che hanno fatto i padri, che tanto giacciono ormai nelle tombe e
hanno solamente avvoltoi a rodere il loro cuore, mentre nell’aria si di onde l’odore dei loro
cadaveri portato dal vento
MARIO LUZI
Nasce a Castello (Firenze) nel 1914. Nel 1932 si iscrive alla facoltà di Lettere all’università di
Firenze, dove stringe amicizia con Carlo Bo e altri giovani → costituiscono il nucleo originario
della rivista “Il Frontespizio”
1935 → pubblica la sua prima raccolta poetica La barca
Dal 1943 no alla ne della seconda guerra mondiale si sposta con sua moglie Elena in val d’arno,
interrompendo momentaneamente la sua attività lavorativa.
1940 → pubblica la raccolta Avvento notturno → poesie in uenzate dal simbolismo francese
1957 → Onore del vero
1978 → Al fuoco della controversia
1990 → Frasi incise di un canto salutare
Muore nel 2005 a Firenze

Poetica
Può essere suddivisa in tre fasi:
● la prima comprende la produzione degli anni ‘30-’40 → si tratta di poesia ermetica in
uenzata dal simbolismo francese
● la seconda fase comprende le raccolte Primizie del deserto (1952), Onore del vero
(1957), e Dal fondo delle campagne (1965) e quella del 1971 Su fondamenti invisibili;
aumenta l’inquietudine e l'amarezza dei testi, in cui vengono descritti paesaggi
angosciosi e tetri, in cui il poeta sembra aggirarsi nella ricerca vana del senso della vita
● la terza fase → Luzi adotta uno stile più prosastico nei suoi componimenti e si concentra
in particolare sul ricordo nostalgico della giovinezza

L’esserci, il primo da Al fuoco della controversia, sezione Atelier di Venturno


L’esserci, il primo e più nudo dei misteri il perché. Si sposta verso il profilo della
– gli chiedo delirando il come, gli chiedo

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sua incarnazione lui, scompare sotto stupisce, stupisce di


flutti d’oscurità. questo –
Umilmente se no, Pensieri che
all’altro capo dello stesso enigma lui ho avvertito, vibranti nell’aria,
nel bulbo del sonno si prepara, lui svegli tra la pietra intatta e quella
sente già alta sulle dune la stella già formata. O atelier.
puntata della sua natività. E
Si tratta di un dialogo tra il poeta e Dio (che peraltro non è mai nominato), alla ricerca del senso
ultimo dell’esistenza.
Il mistero dell’esistenza non è esplorato dalla ragione, incapace di a rontarlo, ma dalla poesia →
moltissimi interrogativi rimangono senza risposta, mentre a ora con sempre maggior violenza
il problema del male e della scon tta dell’uomo. Il mondo si rivela fatto di brandelli insigni
canti, ma emergono anche Pensieri che ho avvertito, vibranti nell’aria → la percezione che in
ogni frammento l’esserci si rivela attraverso l’incarnazione di Cristo. Il “deliro” che colpisce
l’uomo è proprio questo mistero insondabile dell’incarnazione → un enigma che non ha
spiegazioni razionali, ma che pure sta al centro della storia umana. Sono questi i pensieri che si
a ollano nella mente del poeta, mentre osserva pensieroso le statue dell’amico scultore → tra la
pietra intatta e quella già formata

Non startene nascosto da Frasi e incisi di un canto salutare, sezione Genia Non
startene nascosto nella tua onnipresenza. Mostrati, vorrebbero dirgli, ma non
osano. Il roveto in fiamme lo rivela, però è anche il suo impenetrabile
nascondiglio. E poi l'incarnazione- si ripara dalla sua eternità sotto una gronda
umana, scende nel più tenero grembo verso
l'uomo, nell'uomo....sì, ma il figlio
dell'uomo in cui deflagra lo manifesta e lo
cela......
Così avanzano nella loro storia.

È un’invocazione a Dio perché si riveli ed esca dal suo “nascondiglio” della sua onnipotenza →
da sempre Dio si è rivela e nello stesso tempo nascosto agli uomini: vv. 4-6 → apparve a Mosè
come un prodigio attraverso cui Dio gli faceva conoscere la sua volontà, ma senza svelarsi
interamente.
vv. 10-11 → riferimento all’incarnazione → si rende visibile solo attraverso un bambino, ma
non poteva rivelare immediatamente il figlio dell’uomo (v. 12), se non attraverso la fede. Quindi
all’uomo tocca la di cile ricerca di Dio che non ha mai ne in questa vita. Qui la religiosità di
Luzi appare come impegno costante di perlustrazione

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Nell’imminenza dei quarant’anni da Onore del vero


Il pensiero mi insegue in questo borgo e il tuffo del rondone taglia il filo cupo ove corre
un vento d’altipiano sottile in lontananza dei monti.
Sono tra poco quarant’anni d’ansia, E detto questo posso incamminarmi
d’uggia, d’ilarità improvvise, rapide com’è spedito tra l’eterna compresenza del tutto
rapida a marzo la ventata che sparge luce e nella vita nella morte, sparire nella
pioggia, son gli indugi, lo strappo a mani polvere o nel fuoco se il fuoco oltre la
tese dai miei cari, dai miei luoghi, abitudini fiamma dura ancora.
di anni rotte a un tratto che devo ora
comprendere. L’albero di dolore scuote i
rami…

Si sollevano gli anni alle mie spalle a


sciami. Non fu vano, è questa l’opera che
si compie ciascuno e tutti insieme i vivi i
morti, penetrare il mondo opaco lungo
vie chiare e cunicoli fitti d’incontri
effimeri e di perdite o d’amore in amore o
in uno solo di padre in figlio fino a che
sia limpido.

All’avvicinarsi del compimento dei suoi quarant’anni, il poeta sente la necessità di ripensare al
signi cato della propria vita e dell’esistenza in generale → possiamo dire che è investito da una
crisi esistenziale. Soprattutto sente la necessità di capire il senso del dolore e della morte → ne
generale delle cose.
La risposta gli viene data dalla fede in Dio → essa consente di riconoscere un valore che investe
non solo la vita ma anche la morte → tutto è nalizzato alla realizzazione del progetto divino. In
questa prospettiva può essere accettato anche il destino individuale, nella speranza che esso non
si esaurisca in se stesso ma si prolunghi al di là dell'estinzione apparente.
Il paesaggio è composto da oggetti concreti, ma il loro accostamento produce un senso di
astrattezza nel lettore.
v. 12 → l’albero rappresenta probabilmente l’uomo → antropomor zzazione della natura Nella
seconda strofa si dichiara di dover comprendere il senso delle so erenze e del dolore, invece la
terza strofa assume quasi subito un tono a ermativo → l’ideologia religiosa dà un senso alle
cose della vita.
L’aver raggiunto una certezza, in questo caso la fede in Dio, consente al poeta di continuare a
vivere, forte di una ducia nell’esistenza di un signi cato della vita. Infatti essa non è solo
polvere, ma è anche fuoco, dal momento che il fuoco, cioè la vita, dura ancora, anche oltre la
amma, cioè dopo la morte

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Vola alta parola da Per il battesimo dei nostri frammenti Vola


alta, parola, cresci in profondità, tocca nadir e zenith della tua
significazione, giacché talvolta lo puoi – sogno che la cosa
esclami
nel buio della mente –
però non separarti da me, non arrivare, ti
prego, a quel celestiale appuntamento
da sola, senza il caldo di me o almeno il
mio ricordo, sii luce, non disabitata
trasparenza …

La cosa e la sua anima? O la mia e la sua sofferenza?

Si rivolge direttamente alla parola poetica → dialogo tra il poeta e la sua poesia. Alla parola non
viene chiesto di astrarsi, come per la poesia ermetica. È la tensione a tenere insieme l'alto e il
basso, il cielo e la terra.
Ma questa parola per signi care deve accompagnarsi con l'uomo → la poesia non può essere
astratta, ma deve essere nutrita dall'uomo. Il poeta esorta la parola a volare alta, a toccare gli
estremi opposti (nadir e zenith), a espandersi in tutta la sua esuberanza.
Il componimento diviene così una dichiarazione di poetica → la parola poetica viene invitata a
manifestare tutte le sue possibilità, ad attingere gli in niti signi cati che le sono propri.
Nell'ultimo verso il poeta pone un dilemma (modulo delle due interrogative): La più profonda
natura della poesia è giungere all’anima, cioè all’essenza più profonda delle cose? Oppure è
esprimere la so erenza delle cose e dell’uomo?La poesia si chiude senza risposta.
Il poeta prega la parola di non dimenticarlo, di conservare il ricordo di lui → si può interpretare
questa preghiera come rivolta in Dio: nella tradizione ebraica e cristiana, infatti, Dio è parola.
GIORGIO CAPRONI
Nasce a Livorno nel 1912 e visse a La Spezia durante la Prima guerra mondiale. Completa gli
studi a Genova, dove si trasferisce a dieci anni con tutta la famiglia → Genova sarà città del
cuore per Caproni per via della sua verticalità e della sua apparente irrazionalità; una città lirica,
anzi addirittura «omerica».
L’infanzia di questo poeta fu condizionata dalle di cili condizioni economiche in cui la
famiglia precipitò dopo il richiamo in guerra del padre e i tumulti sociali e politici che
prepararono l’avvento del Fascismo.
A 18 anni comincia a darsi da fare per portare un salario a casa e accetta l’incarico di fattorino.
A seguito del diploma magistrale (1935), diventa maestro di scuola elementare Nel 1938 si
trasferisce a Roma, dove conosce Rosa Rettagliata che sposò nel 1938. A Roma insegna presso
la scuola Giovanni Pascoli a Trastevere.

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Seconda guerra mondiale → Caproni, richiamato alle armi nel 1939, viene mandato di nuovo a
Genova. Nel giugno 1940 viene inviato poi tra i monti dell’estrema frontiera occidentale a
combattere la fulminea campagna di Francia. Finita la Seconda guerra mondiale, torna
all’insegnamento che sceglie come professione di vita.
Ritornato a Roma, conosce di persona il poeta Carlo Betocchi → forse l’amico più prezioso di
Caproni, infatti lo coinvolge in svariate iniziative e condivide con lui i preziosi contatti con gli
altri scrittori → lo aiuta a farlo entrare nel vivo della scena poetica italiana. Anche Giacomo
Debenedetti lo aiuta in diversi momenti, introducendolo alla casa editrice Garzanti dove
Caproni pubblica “Il seme del piangere”, una delle sue raccolte più famose. Muore a Roma nel
1990

Poetica
La musica e la voce è alla base della sua poetica. Caproni prende le distanze dall’Ermetismo e
trova presto la via di una sua originale poetica → La funzione della poesia risiede innanzitutto
nel servire la vita, adattandosi ai suoi modi, esattamente il contrario della poesia ermetica.
Poesia costantemente allegorica
Poeta artigiano capace di una grande perizia e tenacia, attento alla musicalità della sua poesia.
La rima non ha un valore esornativo, ma suggerisce una terza idea taciuta. Le forme tradizionali
vengono decostruire e riusate

Il passaggio di Enea (1956) → a Genova distrutta dai bombardamenti rimane in piedi la statua
di Enea che scappa da Troia, con il glio tenuto per mano e che porta in spalla il padre →
immagine che rappresenta per Caproni un senso da una parte di speranza ( glio), ma dall'altra
una missione del recupero del passato (padre)
D'ora in poi le raccolte sono introdotte da una citazione dantesca

Il seme del piangere (1959) → La morte della madre diventa l'occasione per un evocazione
della madre → Caproni non ha conosciuto la madre da giovane. Il titolo è una ripresa dantesca
dal XXXI canto del Purgatorio → Beatrice sta spiegando a Dante il passaggio all'altra vita, il
valore e mero dei beni terreni (compreso il corpo), e come avrebbe dovuto seguirlo in alto
per non perdere l’amore. È dunque una raccolta che a ronta la realtà della morte ma anche la
volontà di trascendenza e di immortalità di chi resta sulla terra

Il muro della terra (1975) → Caproni cerca di trovare un varco verso la trascendenza e la
spiritualità, se non proprio verso una religiosità vera e propria. Il tema è quello della perdita e
della vana ricerca della propria identità, cui s’intreccia quello della morte di Dio → Senso che
viene costantemente cercato e negato allo stesso tempo → La ricerca del senso diventa la
ricerca di Dio, il quale però viene cacciato. Dio viene paradossalmente chiamato alla

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responsabilità del mondo. Viene chiamato, ma negato e di conseguenza a rontato Caccia al male
→ bestia; Caccia al bene perduto

L'uscita mattutina da Il seme del piangere, sezione versi livornesi


Come scendeva fina e sul labbro, e sottile
giovane le scale la nuca e l’andatura
Annina! Mordendosi la ilare – la cintura
catenina d’oro, usciva stretta, che acre e
via lasciando nel buio gentile (Annina si
una scia di cipria, che voltava) all’opera
non finiva. L’ora era di stimolava.
mattina presto, ancora
albina. Ma come Andava in alba e in trina
s’illuminava la strada pari a un’operaia regina.
dove lei passava! Andava col volto franco
(ma cauto, e vergine, il
fianco) e tutta di lei
Tutto Cors’Amedeo,
risuonava al suo tacchettio
sentendola, si destava.
la contrada.
Ne conosceva il neo
È dedicata alla madre
Uso delle rime→ ina → richiama il nome Annina. Le rime vengono ulteriormente ampliate
dalle assonanze.
La gura della madre è espressa da pochi caratteri ma signi cativi. Ma soprattutto il suono dei
tacchi. Dialogicità interna
Uso delle parentesi → introducono un ulteriore dialogo interno. Indicano il carattere
verginale della madre → precedente all'avvento del glio Volto
franco → esprime sicurezza

Nella tradizione la donna angelo è ssa → sono gli e etti che genera negli altri che ci dicono
dell'apparizione. Invece qui la gura femminile è dinamica → riuso dei temi della tradizione
letteraria

Lo stravolto da Il muro della terra, sezione Bisogno di guida


«Piaccia o non piaccia!» disse.
«Ma se Dio fa tanto,» disse, «di
non esistere, io, quant’è vero Iddio,
a Dio io Gli spacco la Faccia».

Gioco tra l'esistere e il non esistere. Nello stesso tempo questo dialogo con un Dio assente.
È a lui che il poeta che minaccia di spaccare la faccia

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Rima tra piaccia e faccia e Dio e io


Il volto di Dio viene nascosto, ma qui viene declinato con un più prosaico faccia → intesa come
quella dimensione quotidiana, dal lessico comune
LINEA LOMBARDA
Ci riferiamo a quegli autori che appartengono geogra camente alla Lombardia , ma che si
connettono con una tradizione che nel secondo ‘900 è stata sorvegliata e messa in evidenza da
Dionisotti (un critico) → autore di “Storia e geogra a della letteratura italiana’’, fa notare come,
oltre al parlare di storia nella letteratura, cosa che si fa n dai tempi di De Sanctis, si può
proporre un altro asse, di matrice geogra ca, che può rappresentare una continuità nella storia.
Sovrappone dunque l’asse diacronico e quello geogra co. Da qui nasce dunque la domanda: è
possibile individuare delle continuità, ossia dei caratteri comuni, ad autori che si richiamano ad
uno stesso luogo geogra co? Sì → tra gli autori lombardi notiamo infatti un’attenzione alla
realtà delle cose, un verismo, n da Bottesini della Riva (1300), passando per la poesia dialettale
(Carlo Porta), Manzoni (padre nobile di questa linea) e, in poesia, Saba e Montale (non nati in
Lombardia ma maestri elettivi perché, per esempio, Montale si trasferisce e lavora a Milano e
scrive per il Corriere della Sera, importantissima istituzione sociale lombarda).
L’altro aspetto della linea lombarda riguarda il rapporto con l’industria: possiamo infatti
notare numerosi autori che lavorano sia per l’industria che nell’editoria (Sereni, che lavora per
la Pirelli, industria chimica e di gomme, nonché della trasformazione della plastica, ma anche
per la Mondadori, oppure Fortini).

VITTORIO SERENI
Nato a Luino (Lago Maggiore) nel 1913, si trasferì nel 1925 a Brescia con la famiglia e ancora,
nel 1933, a Milano. Qui si accostò alla cerchia di intellettuali che facevano capo al losofo
Antonio Ban e divenne amico della poetessa Antonia Pozzi. Si laureò in lettere e cominciò a
lavorare come insegnante di italiano e latino nei licei milanesi. Frequentava intanto l’ambiente
di letterati e artisti che facevano capo alla rivista Corrente. Nel 1941 pubblicò con le edizioni di
Corrente il suo primo libro di versi Frontiera
Richiamato alle armi, come u ciale di fanteria, venne fatto prigioniero dagli inglesi in
Africa settentrionale e fu perciò recluso per due anni in campo di prigionia, tra Algeria e
Marocco. Tali vicende ispirarono le liriche del Diario d’Algeria (1947). Finita la guerra,
Sereni riprese l’insegnamento liceale, che lasciò per lavorare prima all’u cio stampa della
Pirelli e poi come dirigente editoriale alla Arnoldo Mondadori. Dopo alcuni anni di silenzio
poetico, nel 1965 uscì il suo terzo libro Gli strumenti umani
1981 → Stella variabile. Sereni fu autore anche di prose saggistiche e di memoria e di
traduzioni poetiche. Morì a Milano nel 1983.

Caratteristiche della poesia di Sereni:

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● Messa in crisi dell’io lirico tradizionale, accompagnato dalla presenza di altri


interlocutori (si rivolge a se stesso e ad altri).
● Attraversa numerose fasi:
○ Ermetismo → campo necessario da attraversare per raggiungere la poesia
dell’impegno, del realismo del secondo dopoguerra;
○ Esperienza della guerra e della prigionia in Algeria → segnerà uno scatto;
proverà infatti un costante rammarico per non aver potuto partecipare alla
Resistenza, per la mancata partecipazione alla storia. In pratica il blocco
della prigionia gli impedì di andare in campo e agire.
○ Fase di Strumenti umani → tema della contraddizione del presente, che deve fare
i conti con l’industria;
○ Stella variabile → in cui l’uomo e il poeta perdono le coordinate di riferimento per
comprendere il mondo.

1 fase → Frontiera (1941)


Il titolo ha un valore reale e un valore simbolico → da una parte si riferisce alla frontiera tra
Italia e Svizzera presso cui è situata Luino (paesaggio che domina le liriche della raccolta) →
l’Italia viene vista come chiusa, autarchica, fascista, mentre l’Europa è caratterizzata da
esperienze varie e o re speranze; dall'altra parte, la frontiera porta in sé anche l’idea simbolica
del con ne, del limite, che segna la realtà intera e la condizione umana → in questo contesto il
lago di Luino rappresenta la realtà nota e la giovinezza, mentre al di là della frontiera c’è lo
spazio dell’ignoto

Ecco le voci cadono e gli amici… da Frontiera


Ecco le voci cadono e gli amici sono
così distanti che un grido è meno
che un murmure a chiamarli. Ma
sugli anni ritorna il tuo sorriso
limpido e funesto simile al lago che
rapisce uomini e barche ma colora
le nostre mattine.

Il tema del distacco e della lontananza (rispondente all’”assenza” degli ermetici) qui si esprime
nella separazione dagli amici e dalla donna amata, perduta e richiamata alla memoria dopo anni,
e si traduce in un’evocazione lirica chiara e sobria.
Caratterizzata dall’uso di sintassi nominale e paratattica, predilezione per verbi impersonali e
lirismo di fondo.
Qui l’ermetismo è richiamato nell’immagine che non è chiarita, sciolta → è il lago che separa,
che rappresenta la frontiera. Troviamo il tema della mancata comunicazione, della parola che

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diventa suono indistinto che cade; tuttavia rimane la memoria del sorriso,
limpido ma funesto . C’è anche la presenza del tu femminile , ma non speci cato.
Sicuramente troviamo l’in uenza chiara di Montale delle Occasioni. Rapisce=sottrae
/allontana dallo sguardo.

2 fase → Diario d’Algeria (1947)


È un diario a posteriori, in cui le poesie già scritte vengono ricostruite , rivisitate e ricollocate in
un orizzonte diaristico. Il libro è suddiviso in tre sezioni→ la prima è dedicata alle esperienze di
guerra precedenti la cattura del poeta, in particolare alla campagna di Grecia; la seconda parte è
il vero e proprio diario della prigionia in Algeria, presso Orano; la terza, intitolata Il mal
d'Africa, raccoglie altri testi legati all'esperienza della guerra e della prigionia.
Il sentimento dominante nell'opera è quello della lontananza da tutto → una segregazione di
cui il poeta (morto alla guerra e alla pace) so riva profondamente; tra l'altro egli patì moltissimo
di non poter partecipare alla Resistenza. Accanto al rimpianto per la giovinezza perduta e per la
cocente scon tta esistenziale, si precisa il grande tema dell'identità minacciata,
dell'insicurezza, della crisi esistenziale originata dalle ferite della storia → la crisi vorrebbe
risolversi nella poesia, ma il tentativo di rimarginare la ferita non riesce: il poeta proclama di
essere incompleto per sempre.

Non sa più nulla, è alto sulle ali da Diario d’Algeria


Non sa più nulla, è alto sulle ali il il vento che fa musiche bizzarre.
primo caduto bocconi sulla Ma se tu fossi davvero
spiaggia normanna. il primo caduto bocconi sulla spiaggia
Per questo qualcuno stanotte normanna
mi toccava la spalla prega tu se lo puoi, io sono
mormorando morto alla guerra e alla
di pregar per l'Europa mentre pace. Questa è la musica
la Nuova Armada si ora:
presentava alle coste di
delle tende che sbattono sui
Francia. Ho risposto nel
sonno: - È il vento, pali. Non è musica d'angeli, è la
mia sola musica e mi basta-.
Campo ospedale 127, giugno 1944
La poesia è data “giugno 1944” e si riferisce allo sbarco in Normandia delle truppe alleate
anglo-americane, in cui il primo ferito venne trasportato in aereo in soccorso. Questa notizia
raggiungerà Sereni via radio mentre è coricato in cella. Da qui verrà mitigata l’immagine
attraverso l’angelo trasportato dalle ali (il ferito trasportato in aereo) → il poeta immaginò che
di notte, proprio durante lo sbarco, nel dormiveglia, un'ombra gli si avvicina e gli sussurra di
pregare per il destino dell'Europa libera dalla presenza nazista. Ma ormai il poeta è incredulo ad
ogni speranza, indi erente a tutto

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Notiamo il rammarico, la malinconia, la vergogna, la situazione di scacco. Nel momento in cui


c’è la liberazione da parte degli alleati, il poeta è bloccato sulla soglia, né vivo né morto , senza
scelta, morto alla guerra e alla pace. L’unica consolazione risulta essere la poesia, la musica, il
fruscio delle tende che sbattono sui pali

➔ Gli anni ’60 costituiscono un discrimine, perché nel ’63 ci sarà la neoavanguardia,
caratterizzata dal desiderio di introdurre nella poesia e nella letteratura le innovazioni che
la società neo-capitalista sta attraversando, usando collage, presa diretta, plurilinguismo
(Sanguinetti). Secondo la neoavanguardia la realtà può essere registrata mimeticamente,
quasi senza essere analizzata: se la realtà è caos, la letteratura deve mostrare e registrare
il caos, e così via col plurilinguismo. Alla base dunque troviamo l’idea che la realtà sia
cambiata così velocemente che se si prova ad analizzarla cambierà durante l’analisi. In
questo modo però si cancella l’io lirico, che viene abbattuto, scisso, a di erenza della
visione uni cante precedente. Tra l’avanguardia storica e la neoavanguardia di fatto
cambia proprio la posizione del poeta, che nel futurismo, per esempio, era in prima linea.
La posizione neoavanguardista tuttavia non apparterrà né a Sereni né a Fortini, ma
preparerà il ’68, con l’apertura dell’universalità a tutti, che porterà al referendum sul
divorzio, sull’aborto. Queste esperienze saranno vissute con consapevolezza dai poeti
precedentemente citati perché lavorano e sono parte dell’editoria. La fabbrica, inoltre, si
con gura come luogo delle contraddizioni, perché luogo di fatica e sfruttamento, ma
anche luogo di creazione del benessere.

Gli strumenti umani (1965)


La raccolta segna una svolta nella produzione poetica dell’autore → rappresenta una nuova
esperienza letteraria in cui la materia tematica e lo stile del poeta si aprono a una maggiore
volontà comunicativa e si rendono sempre più disponibili ad un contatto con il mondo esterno
nella propria oggettività e, al contempo, nella propria “impurità”.
strumenti umani → i mezzi attraverso i quali l’uomo entra in contatto con il mondo ed
alludono alla capacità progettuale dell’uomo e alla sua attitudine ad incidere sul reale:
vengono scelti dunque perché indicano quegli espedienti con cui l’uomo a ronta l’esistenza e il
destino, includendo anche la stessa poesia → lo “strumento” di lavoro del poeta. L’attenzione
della poesia all’apertura verso il mondo comporta inoltre delle implicazioni riguardanti la
relazione dell’io con l’altro → l’io poetico è infatti chiamato anche ad un’interazione con la
presenza/assenza altrui. In particolare, la poesia degli Strumenti umani è disposta ad accogliere
al suo interno molte altre “voci” che interagiscono fra loro e si sommano a quella dell’io lirico
→ le voci rivestono la funzione di fornire al soggetto una nuova visione delle cose, uno sguardo
sulla realtà che permette di dare al mondo una connotazione simbolica nuova → ruolo centrale
della comunicazione e del dialogo.

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Però gli strumenti umani hanno anche un’accezione limitativa → essi alludono anche ad una
loro insita manchevolezza, rappresentano un’incolmabile distanza tra l’io e il mondo,
un’inadeguatezza nell’essere completamente immersi nella vita, nella società, nei rapporti
umani. Quindi la stessa poesia è testimonianza della mancata possibilità di una vera interazione
con il mondo e ri ette una condizione umana incompleta, dubbiosa, che assume consistenza solo
dal contrasto con ciò che invece possiede una solida realtà

Amsterdam da Gli strumenti umani


A portarmi fu il caso tra le nove e le dieci d'una
domenica mattina svoltando a un ponte, uno dei
tanti, a destra lungo il semigelo d'un canale. E
non questa è la casa, ma soltanto -mille volte già
vistasul cartello dimesso: "Casa di Anna Frank".

Disse più tardi il mio compagno:quella di


Anna Frank non dev'essere, non è privilegiata
memoria.Ce ne furono tanti
che crollarono per sola fame senza il
tempo di scriverlo.
Lei, è vero, lo scrisse.
Ma a ogni svolta a ogni ponte lungo ogni canale
continuavo a cercarla senza trovarla più ritrovandola
sempre.
Per questo è una e insondabile Amsterdam nei
suoi tre quattro variabili elementi che fonde in
tante unità ricorrenti, nei suoi tre quattro fradici
o acerbi colori che quanto è grande il suo
spazio perpetua, anima che s'irraggia ferma e
limpida su migliaia d'altri volti, geme dovunque
e germoglio di Anna Frank.
Per questo è sui suoi canali vertiginosa Amsterdam.

La serie Dall'Olanda è composta da un diario di un viaggio olandese. Sullo sfondo della città
campeggia la memoria di Anna Frank → Sereni commenta però che la sua memoria non deve
annullare quella di tante altre vittime.
Amsterdam è un’altra città di acque, che viene utilizzata come proiezione della memoria della
Shoah. La casa di Anna Frank viene scoperta quasi per caso. I luoghi e i tempi, invece,
sono precisi, caratteristica della linea lombarda. Troviamo il dialogismo col tu, col compagno.
Come sempre, il tema della guerra viene vissuto con rabbia; qui però vengono messe in luce le

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tante voci perdute, che non hanno trovato il tempo e il modo della scrittura, a di erenza di Anna
Frank. La città stessa dunque può diventare una grande pagina, perché il poeta si incaricare di
ricordare coloro che non hanno potuto lasciare la propria memoria. Il simbolo della memoria
mancata diventano i canali, dove venivano gettati i corpi.

Una visita in fabbrica da Gli strumenti umani


I II
Lietamente nell’aria di settembre più sibilo La potenza di che inviti si cerchia che
che grido lontanissima una sirena di lusinghe: di piste di campi di gioco di
fabbrica. Non dunque tutte spente erano le molli prati di stillanti aiuole e persino
sirene? Volevano i padroni un tempo tutto fiorirvi, cuore estivo, può superba la rosa.
muto sui quartieri di pena: Sfiora torrette, ora, passerelle la visita da
ne hanno ora vanto della pubblica quiete. poco cominciata: s’imbuca in un fragore
Col silenzio che in breve va chiudendo come di sottoterra, che pure ha regola e
questa calma mattina prorompe in te centro e qualcuno t’illustra. Che cos’è un
tumultuando quel fuoco di un dovere sul ciclo di lavorazione? Un cottimo cos’è?
gioco interrotto, la sirena che udivi da Quel fragore. E le macchine, le trafile e
ragazzo tra due ore di scuola. Riecheggia calandre,
nell’ora di oggi quel rigoglio ruggente dei questi nomi per me presto di solo suono
pionieri: sul secolo giovane, ingordo di nel buio della mente, rumore che si somma
futuro dentro il suono in ascesa la guglia a rumore e presto spavento per me
del loro ardimento… ma è voce degli altri, straniero al grande moto e da questo
operaia, nella fase calante stravolta in un agganciato.
rancore che minaccia abbuiandosi, di sordo Eccoli al loro posto quelli che sciamavano
malumore che s’inquieta ogni giorno e ogni là fuori qualche momento fa: che sai di loro
giorno è quietato – fino a quando? O voce che ne sappiamo tu e io, ignari dell’arte
ora abolita, già divisa, o anima bilingue tra loro …
vibrante avvenire e tempo dissipato o Chiusi in un ordine, compassati e svelti,
spenta musica già torreggiante e triste. Ma relegati a un filo di benessere senza
questa di ora, petulante e beffarda perdere un colpo – e su tutto implacabile
è una sirena artigiana, d’officina con e ipnotico il ballo dei pezzi dall’una
speranze: stenta paghe e lavoro nei all’altra sala.
dintorni. Nell’aria amara e vuota una
larva del suono
delle sirene spente, non una voce più ma in
corti fremiti in onde sempre più lente un
aroma di mescole un sentore di sangue e
fatica.

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La poesia è dedicata al rapporto tra letteratura e industria. Viene rievocato il ricordo di una
visita fatta da Sereni a una fabbrica
Prende spunto da un particolare secondario, il fatto che le sirene, che danno una scansione al
tempo della fabbrica e che rendevano ovvio il fatto che ci fosse la fabbrica alla città,
improvvisamente non suonano più. La poesia si apre con la memoria della sirena della scuola,
dopodichè si passa al presente, con le sirene della fabbrica che tacciono per ordine dei padroni
(linguaggio speci co della fabbrica), contro cui combattono gli operai. Rendere mute le sirene
signi ca infatti rendere muto il suono di pena che si sente nei luoghi di fatica, come se signi
casse che non c’è più fatica e so erenza. Si sente poi una sirena, ma dell’o cina, che lavora per
la fabbrica. Viene dunque rappresentato l’indotto, ossia quelle piccole attività che lavorano per
la fabbrica e che versano in condizioni peggiori della fabbrica. In questa registrazione del
mondo dunque notiamo delle dicotomie: operaipadrone ma anche fabbrica- indotto. Tuttavia c’è
anche una forma di attenzione alla fatica produttiva della fabbrica, che nasce dal lavoro delle
mani e produce un oggetto per altre mani; c’è quasi una sorta di orgoglio per la civiltà delle
macchine. Anche la fabbrica infatti ha un potere attrattivo per il poeta perché la sirena, che apre
e stimola la poesia, è sia il suono, ma anche la gura che attrae Ulisse col canto.
Dell’organizzazione del lavoro nella fabbrica ciò che colpisce maggiormente il poeta è la
catena di montaggio, la quale inserisce ogni operazione, ogni singolo gesto da parte degli
addetti, in un ben de nito ciclo di lavorazione (v. 37) → in questi ciclo tutto è previsto in
anticipo e calcolato al secondo, in modo che gli operai eseguono il compito senza perdere un
colpo → gli operai sono visti come ridotti essi stessi ad automi → così spersonalizzati, ridotti
all’atto che compiono, i lavoratori cessano di essere soggetti liberi e singolari, e regrediscono al
rango di “strumenti umani”

Stella variabile (1981)


In questa raccolta, Sereni lancia una s da all’opacità e all’imperfezione del mondo. stella
variabile → rispetto al cielo dantesco delle stelle sse o al riferimento stabile costituito dalla
stella polare suggerisce l’idea di un orientamento meno sicuro, soggetto a variazioni, precario.
Però, per quanto parziale e incostante, il poeta non smette di a darsi a lei.
Questa raccolta esprime la compresenza di impotenza e potenzialità, la di coltà del poeta a
capire il mondo e allo stesso tempo l’impulso a cercarvi nuovi e nascosti signi cati
FRANCO FORTINI
C’è un dialogo tra Calvino (con alter ego Palomar) e Fortini
IL FISCHIO DEL MERLO , CORRIERE DELLA SERA , 10 AGOSTO 1975
Tutto inizia con un’attenzione acustica e visiva all’osservazione della realtà. Palomar si chiede:
gli uccelli comunicano coi suoni o con le pause e i silenzi tra i suoni? Considera il merlo perché
il suo schio è quello che gli ricorda di più l’uomo. Troviamo qui una manifestazione
dell’angoscia della fallacea dell’antropocentrismo: abbiamo questa idea che l’universo sia fatto
a immagine e somiglianza dell’uomo, che qui inizialmente si calma, ma poi riprende. C’è poi un

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tentativo di comunicazione tra uomo e merlo, che testimonia solo la distanza uomo-animale. A
questa distanza si unisce e si sovrappone un’altra distanza, quella tra nuove e vecchie
generazioni (si riferisce anche e soprattutto alla generazione del ’68), descritto come un fossato
incolmabile. Ma da cosa è dato? Secondo Calvino è dato da una parte dall’impossibilità da parte
delle vecchie generazioni di trasmettere l’esperienza, perché le nuove generazioni devono
sbagliare da sé per crescere e maturare, e da un’altra parte dalle di erenze storiche, a cui non
riusciamo a dare un senso. Pasolini dirà che è una mutazione patologica, perché la cultura non
può essere comunicata e la natura precede il linguaggio e dunque non può essere comunicata.
Fortini risponderà in ‘’I giovani secondo Calvino ‘’, il 22 Agosto 1975, dicendo: l’esperienza si
può comunicare. Anche la biologia risente dei cambiamenti storici, e il naturale e l’umano non
vanno né confusi né separati. C’è sempre stato un contrasto tra natura (istinto) e cultura
(civiltà), che è lo stesso contrasto alla base del rapporto tra le generazioni. Prosegue poi
dicendo:’’ È facile sedurre i giovani, dicendo loro ciò che vogliono sentire’’. Ciò che è di cile
invece è fare la propria parte, ammonirli, fare prediche; ciò che i giovani credono naturale (che
negli anni ’70 era anche la fuga nelle droghe) è in realtà un fattore culturale. Fortini altrove de
nirà inoltre la fuga nelle droghe come ‘’surrealismo di massa’’, che va verso il nichilismo, in cui
importa solo l’invenzione quotidiana.
Tema di Fortini → Tensione verso il cambiamento e attesa apocalittica della ne della storia.
PRIMO LEVI
Nasce a Torino nel 1919 da una famiglia ebrea di intellettuali piemontesi. Laureato in chimica e
chimico di professione, diventa scrittore dopo la traumatica esperienza della deportazione nel
campo di lavoro di Auschwitz → è questo l’evento centrale della vita di Levi, che fa scattare
la molla della scrittura, sentita come una necessità di confessione, di analisi, oltre che un dovere
morale e civile. Il ricordo ed il trauma mai superato della deportazione e dell'esperienza di
Auschwitz è anche probabilmente alla base del suo suicidio, avvenuto nel 1987 a Torino.

Le leggi razziali gli fanno aprire gli occhi sulla natura del fascismo e lo spingono verso l’azione
politica → alla ne del '42 entra nel Partito d’Azione clandestino e dopo l’armistizio dell’8
settembre del '43 si unisce a un gruppo partigiano della Valle d’Aosta. Ma catturato dalla
milizia fascista, viene internato nel campo di concentramento di Fossoli e nel '44 deportato ad
Auschwitz.

Nell'opera di Levi scienziato e letterato si fondono e danno vita ad una scrittura limpida, chiara,
essenziale, dove ogni parola viene "pesata" e dai cui emerge, nonostante il suo vissuto, una
ducia illuministica nella ragione.
Se questo è un uomo (1947) → È una testimonianza importante di un periodo centrale della
storia del '900, ossia la Seconda Guerra Mondiale → è il racconto in prima persona
dell’esperienza in un campo di concentramento nazista. Pone al centro l’importanza della
memoria.

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Nella prefazione Levi ci dice che ciò che l’ha spinto a scrivere il libro è la ricerca di una
liberazione interiore, il bisogno di raccontare la sua terribile esperienza. La narrazione ha un
carattere frammentario → i ricordi si compongono nella nostra mente per frammenti. Il
racconto si svolge in prima persona, poiché l’autore parla di eventi che ha realmente vissuto →
il narratore si identi ca quindi sia con il protagonista che con l’autore. Al racconto dei fatti si
uniscono commenti, pensieri dell’autore, interpretazioni dei fatti, divagazioni su vari temi e
ri essioni sulla condizione umana → Levi descrive i processi psicologici suoi e degli altri
deportati, che risultano molto importanti in una situazione così tremenda. L’autore racconta
piccoli particolari, ci parla di persone, dei loro nomi e delle loro azioni: tutto questo ha lo scopo
di dare una dimensione umana al racconto e di descrivere la progressiva perdita di umanità
all’interno del lager. Spesso l’autore chiama in causa il lettore, ponendo domande su cosa
avremmo fatto noi in quella situazione.
La necessità di documentare l’orrore mentre lo si sta vivendo nasce per Levi nello stesso
campo di concentramento nel quale viene rinchiuso → i primi appunti sono proprio di allora.
Scrivere per ricordare quindi, ma soprattutto per sopravvivere, trovando le parole per descrivere
quanto accaduto e renderlo così reale, indagabile e comprensibile
Il tema principale è la memoria → trascrizione dei ricordi dell’autore, ma si pone anche come
memoria collettiva, destinata a tramandarsi ai posteri → bisogna ricordare ciò che è stato a
nché l’orrore non si ripeta

La tregua (1963) → è la prosecuzione delle vicende narrate in Se questo è un uomo e descrive


il rientro a casa del protagonista dopo la liberazione di Auschwitz. L’atmosfera generale è
quella della liberazione dall’incubo nazista e, al tempo stesso, della sospensione del proprio
destino (di “tregua”, appunto) in attesa di ricominciare una vita “normale”.

I sommersi e i salvati (1987) → nella prefazione Levi sostiene di non aver l’intenzione di far
opera di storico e di voler riportare nel libro più considerazioni che fatti → il testo è fatto
soprattutto di ri essioni sugli aspetti più signi cativi della tragica esperienza nei Lager È dal
ricordo, dai sentimenti, dai ragionamenti, dalle sensazioni provate al momento della liberazione
e negli anni successivi, che emergono i fatti più drammatici.
La vergogna → terzo capitolo → tratta il problema morale della “minoranza anomala” che si è
salvata dai campi di sterminio → Levi descrive il tormento morale e il senso di colpa dei
“salvati” che, poiché “mancava il tempo, lo spazio, la pazienza, la forza”, non hanno saputo o
potuto aiutare tutti gli altri prigionieri. La pena di questi “salvati” non sarà però minore nel resto
della loro esistenza, tanto che in molti sceglieranno la via del suicidio

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ITALO CALVINO
Italo Calvino nasce nel 1923 a Cuba, dove i genitori risiedevano e svolgevano la professione di
agrotecnici. Quando ha solo tre anni la famiglia torna in Italia, a Sanremo.
Nel 1944 partecipa alla guerra partigiana, esperienza che lascerà traccia nelle sue prime opere.
Nel dopoguerra Calvino inizia a militare nel Partito Comunista Italiano e si iscrive alla
Facoltà di Lettere a Torino, città in cui si trasferisce. Intanto pubblica qualche racconto in rivista
e collabora con la casa editrice Einaudi, con la quale pubblica nel 1947 il suo primo romanzo Il
sentiero dei nidi di ragno.
Nel 1952 Italo Calvino pubblica Il visconte dimezzato, che insieme a Il Barone rampante e Il
Cavaliere inesistente forma la trilogia de I nostri antenati. Nel 1965 Calvino pubblica Le
Cosmicomiche.
Alla ne degli anni Sessanta si trasferisce a Parigi, dove frequenta il gruppo di scrittori
dell’Oulipo. Tra la ne degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Ottanta, Calvino pubblica le sue
opere più importanti: Il castello dei destini incrociati, Le città invisibili, Se una notte d’inverno
un viaggiatore e Palomar. Muore nel 1985

Il sentiero dei nidi di ragno (1947) → è un romanzo neorealista che a ronta il tema della
Resistenza italiana dal punto di vista di un bambino, Pin → orfano di entrambi i genitori e vive
con la sorella (prostituta). Il romanzo è ambientato nell’epoca dell’occupazione tedesca in Italia.
sentiero dove fanno i nidi i ragni → dove Pin nasconde la pistola rubata a un soldato tedesco

Ultimo viene il corvo (1949) → la tematica prevalente è quella legata alla Seconda guerra
mondiale e all’esperienza della Resistenza. Il racconto descrive un episodio di vita partigiana
→ durante la guerra alcuni partigiani e un ragazzo pescano trote in riva a un ume → per
catturare i pesci utilizzano le stesse armi che portano al anco. A un certo punto il ragazzo chiede
il fucile a uno degli uomini che glielo porge dubbioso → il ragazzo dimostra una mira
eccezionale → i partigiani, sbalorditi, lo prendono con sé. Arriva la notte e si fermano in una
baita, ma al primo chiarore dell’alba il ragazzo si arma ed esce per conto suo, continuando a
sparare a ogni cosa che vede muoversi. Incontrato un gruppo di soldati nemici, il ragazzo apre
fuoco e, dopo aver ricevuto in risposta una ra ca di colpi, si nasconde, pur continuando a
sparare → il ragazzo si lancia all’inseguimento di un soldato nemico nel bosco. Arrivato in una
radura, il soldato si nasconde dietro una grossa pietra e il ragazzo, pur assediandolo là dietro,
uccide ogni uccello che passi sopra di loro → quando un corvo comincia a volteggiare sopra i
due duellanti → il soldato, divorato dalla tensione poiché il giovane si ostina a non colpirlo,
esce improvvisamente dal proprio rifugio, indicando il volatile. Il ragazzo lo colpisce in pieno
petto, proprio sull’aquila cucita sull’uniforme → ri essione sulla problematicità della morale
umana e sul problema del discernimento del bene dal male → l’uccisione nale del soldato → il
giovane lo insegue e lo uccide con una fredda strategia, che prevede il sacri cio degli altri
animali di passaggio.

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Il barone rampante (1957) → parla di un ragazzo, Cosimo Piovasco di Rondò, glio del
Barone di Rondò, di dodici anni che si arrampica su un albero e decide di non scendere per il
resto della sua vita. Il romanzo è compreso in un arco di 53 anni e viene raccontato sotto forma
di un lungo ashback da Biagio, fratello del protagonista → solo raramente il narratore torna al
presente. Cosimo, all’età di 65 anni, ormai vecchio e debole di salute e provato dagli anni
trascorsi sugli alberi, improvvisamente sparisce appeso all'ancora di una mongol era.

La giornata di uno scrutatore (1963) → lo spunto del romanzo è tratto da un'esperienza che
Calvino ha vissuto durante le elezioni politiche del 1953 presso l'Istituto Cottolengo di Torino.
Il romanzo si svolge in un solo giorno → il sette giugno del 1953. Il tempo ed il luogo sono
riferiti in maniera precisa dall’autore durante il corso della narrazione degli eventi.

Le città invisibili (1972) → Marco Polo, l’esploratore veneziano che nel XIII secolo giunse
l’estremo oriente attraversando lo sconosciuto mondo delle terre dell’Asia, si trova al cospetto
di Kublai Khan, imperatore del regno dei Tartari. L’imperatore chiede a Marco di raccontargli
del suo lungo viaggio e in particolare vuole che gli vengano descritte le città che ha visitato.
Marco Polo non si limita ad una descrizione sica, o esteriore, delle città che incontra (e che nel
testo hanno tutte un nome di donna e non il nome reale e storico), ma espone anche un
resoconto dettagliato delle città che gli vengono in mente quando vede quelle reali, delle
sensazioni e delle emozioni che ogni città, con i suoi profumi, sapori e rumori, suscitano.
temi → il caos che caratterizza la realtà; e il sogno, la fantasia, le capacità dell’immaginario di
gurarsi panorami inesistenti in cui nascondersi o in cui trovare un posto

Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979) → il testo si compone di dieci inizi di romanzi,
intervallati dal racconto delle vicende dei protagonisti: il Lettore e la Lettrice (Ludmilla). I due
sono alla ricerca di un libro che non troveranno mai: ogni volta, infatti, che si avvicineranno ad
ottenerlo, si imbatteranno in nuovi libri sempre incompleti, attraverso una serie di situazioni di
erenti → concetto di storia nella storia.

Palomar (1983) → è un romanzo di cile da de nire. Ha una struttura tripartita e ogni parte a
sua volta ne comprende 9; questa ricorrenza numerale e strutturale ricorda sicuramente la
Divina Commedia; viene presentata la complessità del reale, con azioni come ‘’voler contare
tutti i li d’erba di un prato’’; proverà a risolvere con un algoritmo, con una divisione in blocchi
del prato, ma su alcuni li d’erba c’è il dubbio riguardo a quale blocco appartengano. Calvino ci
mette di fronte a una realtà fuzzy, vale a dire una realtà in cui non c’è più solo zero e uno , ma
anche una serie di valori intermedi.

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ELSA MORANTE
Nasce a Roma nel 1912. Alla ne degli studi liceali, lascia la famiglia e va a vivere per conto
proprio; ma la mancanza di mezzi economici la costringe ad abbandonare la facoltà di Lettere
→ si mantiene da sola con la redazione di tesi di laurea, dando lezioni private di italiano e
latino, e in seguito collaborando a riviste e a giornali.
Nel 1936 conosce Alberto Moravia che sposerà nel 1941. Nello stesso anno viene pubblicato
anche il suo primo libro, Il gioco segreto, in cui è raccolta una piccola parte della vasta
produzione narrativa destinata ai giornali. Nel 1943 inizia a scrivere il suo primo romanzo
Menzogna e sortilegio, interrompendo tuttavia la stesura verso la ne della seconda guerra
mondiale, per seguire il marito, indiziato di antifascismo, sulle montagne di Fondi, in Ciociaria.
Nel '44 ritorna a Roma, ma intanto il suo complicato e di cile rapporto con Moravia
alterna momenti di comunicazione intensa ad altri di distacco e malessere. Nei primi anni
Cinquanta Morante collabora con la Rai, scrive il racconto Lo scialle andaluso e lavora alla
redazione del suo secondo romanzo L'isola di Arturo (1957) → Premio Strega. Ammalatasi in
seguito ad una frattura al femore, subisce un intervento chirurgico, e trascorre gli ultimi anni di
vita a letto, non potendo più camminare. Nell'aprile del 1983 tenta il suicidio aprendo i
rubinetti del gas, ma viene salvata da una domestica. Dopo un nuovo intervento chirurgico
rimane in clinica, a Roma, dove muore d'infarto nel 1985

Menzogna e sortilegio (1948) → il romanzo è caratterizzato dalla sottigliezza dell’indagine


psicologica e l’analisi della vita familiare della storia tormentata di una donna, Elisa, che rivive
in prima persona il dramma di una vita familiare vissuta tra mille di coltà ed incertezze. È un
romanzo tutto al femminile, perché, in ultima analisi, gli uomini si rivelano dei vinti → lo è
Francesco, lo è Edoardo, entrambi scon tti da debolezze di carattere e mali incurabili.

L’isola di Arturo (1957) → racconta la storia di Arturo e della sua prima adolescenza, dei suoi
primi amori e delle delusioni familiari; si tratta di un romanzo di formazione, quindi, e di
un'opera che presenta caratteristiche che l'allontanano totalmente dallo stile e dai temi del
neorealismo, avvicinandolo piuttosto a una aba in cui si incontrano atmosfere irreali e dal
sapore quasi mitico. La prima parte del romanzo, quella che racconta gli anni dell'infanzia di
Arturo, descrive un'ambientazione staccata da qualunque ancoraggio storico mentre, con
l'evolversi della vicenda, sono proprio la quotidianità, il con itto, la realtà a fare irruzione nella
vita di Arturo sconvolgendola, costruendo una narrazione in cui ogni esperienza determina un
momento di crescita che assume un valore simbolico
PIER PAOLO PASOLINI
Nasce a Bologna nel 1922. Si iscrive alla facoltà di lettere e inizia a interessarsi alla scrittura.
Nel 1942, per sfuggire alla guerra si rifugia a Casarsa nel Friuli (paese della madre), dove apre
una scuola e pubblica le prime poesie. Nel 1950 si trasferisce a Roma, dove si inserisce nel
mondo della letteratura e del cinema, vivendo in forti ristrettezze economiche.

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1955 → Ragazzi di vita → ottenne grande successo ma subì un processo


1961 → esordio come regista con il lm Accattone, che consacra il suo successo e lo rende un
personaggio pubblico
1975 → muore assassinato a Ostia

I protagonisti dei romanzi di Pasolini sono ragazzi divisi tra la leggerezza dell’infanzia e il
senso del pericolo e della morte tipico degli adulti, ma che l’ambiente in cui vivono li
costringe ad a rontare prima del tempo. Sono personaggi che hanno perso la loro innocenza,
ma mantengono qualcosa di quel mondo dell’infanzia che gli è stato negato. Sono capaci di
gesti di grande violenza e di grande tenerezza, completamente assorbiti dall’ambiente
degradato in cui vivono e senza appigli per poterne uscire. La lingua del narratore è un
italiano semplice e piano mentre, per i dialoghi tra i personaggi, viene usato il romanesco
delle borgate → ascoltato dai ragazzi che ispirarono le sue storie.

Ragazzi di vita (1955) → non si tratta di una storia unica, ma di una serie di episodi legati dalla
gura del Riccetto, un ragazzo delle borgate di Roma coinvolto in attività criminali insieme agli
altri giovani del quartiere. Nel romanzo ritroviamo però anche momenti di tranquillità e
tenerezza

Scritti corsari (1975) → raccolta di articoli redatti da Pasolini, la maggior parte dei quali
pubblicati su "Il Corriere della Sera"
corsaro → lo scrittore vuole comunicare la sua posizione controcorrente → sceglie di a
rontare i temi più scottanti dell'epoca, tra cui la sessualità e l’aborto, con spirito critico e
originale. I bersagli principali delle sue critiche sono la classe politica corrotta e incapace; il
capitalismo e il consumismo che hanno rovinato l’Italia; e l’omologazione della vita sociale
causata dalla tv e dai miti del progresso

Poesia civile → poesia che si interessa della condizione dell’uomo, propone soluzioni, a ronta
problemi di natura politica e morale → Pasolini “non fu un poeta u ciale, celebrativo, retorico,
come sono stati in Italia nella seconda metà dell’Ottocento, Carducci e D’Annunzio, bensì poeta
che vede il Paese natale non come lo vedono né possono vederlo, appunto, i potenti di questo
paese” (Moravia).
Quello che caratterizza Pasolini è il punto di vista dal basso → la sua poesia è civile perché è
una poesia che vuole dar voce e visibilità a chi mai è stato ascoltato e visto. Il punto di vista dal
basso è evidente nella scelta di scrivere le sue prime raccolte di poesie (Poesie a Casarsa e La
meglio gioventù) in friulano, il dialetto parlato dai contadini descritti in quelle poesie. Ma per
essere poeta civile Pasolini si deve rivolgere anche al resto d’Italia → poesie in italiano,
attraverso le quali Pasolini si riallaccia alla tradizione dei poeti civili → questo lo porta a una

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lingua e a uno stile che, pur restando comprensibili e semplici, hanno come modelli i poeti della
tradizione.
La caratteristica fondamentale della poesia di Pasolini è quella di essere in equilibrio tra
mondi diversi → colto e popolare; nazionale e universale; città e campagna; dialetto e italiano.
Quello che mantiene l’equilibrio è la carica morale → la poesia per Pasolini è un diario
intellettuale, attraverso cui esprimere il proprio pensiero e agire per migliorare il
mondo

Le ceneri di Gramsci (1957) → risultò nuovo e per certi versi sorprendente nel panorama
poetico degli anni ’50 → Pasolini riprende l’endecasillabo e la terzina dalla poesia di Pascoli.
La raccolta è nuova anche per i contenuti, che si allontanavano completamente sia
dall’ermetismo sia dal neorealismo, e sintetizzano la sua condizione personale vissuta nelle
borgate di Roma, ma rifondata e rinnovata, anche e soprattutto, dalle nuove letture di Marx e di
Gramsci → da un lato aderisce al marxismo e al pensiero di Gramsci, ma dall’altro lato Pasolini
non vede nel popolo delle borgate romane il proletariato che ha la coscienza di classe, pronto a
fare la rivoluzione sociale. Pasolini toglie, così, ogni incanto politico al popolo delle borgate
perché le valorizza solo per la loro vitalità primitiva e originaria di gente che vive solo di lavoro
pratico, ma senza avere la coscienza di classe
Antonio Gramsci → fondatore del Partito Comunista Italiano. Analizzò la struttura culturale e
politica della società → elaborò il concetto di egemonia, secondo il quale le classi dominanti
impongono i propri valori politici, intellettuali e morali alla società, con l'obiettivo di saldare e
gestire il potere intorno a un senso comune condiviso da tutte le classi sociali, comprese quelle
subalterne.

Il pianto della scavatrice da Le ceneri di Gramsci


I scheggia ancora di mille vite,
Solo l’amare, solo il conoscere conta, disamore, mistero, e miseria
non l’aver amato, non l’aver
conosciuto. Dà angoscia dei sensi, mi rendono nemiche

le forme del mondo, che fino a


il vivere di un consumato amore.
ieri erano la mia ragione
L’anima non cresce più. Ecco nel
calore incantato d’esistere. Annoiato, stanco,
della notte che piena rincaso, per neri
quaggiù tra le curve del
fiume e le sopite visioni della
piazzali di mercati, tristi strade
città sparsa di luci,
intorno al porto fluviale, tra le
baracche e i magazzini misti

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agli ultimi prati. Lì mortale è il le cui lotte contro gli sparsi


silenzio: ma giù, a viale Marconi, blocchi di fango, le colate di
alla stazione di Trastevere, appare terra, sembrano in quel
tremito disfarsi.
ancora dolce la sera. Ai loro rioni,
alle loro borgate, tornano su Ma tra gli scoppi testardi della
motori leggeri - in tuta o coi benna, che cieca sembra, cieca
calzoni sgretola, cieca afferra,

di lavoro, ma spinti da un festivo quasi non avesse meta,


ardore i giovani, coi compagni sui un urlo improvviso,
sellini, ridenti, sporchi. Gli ultimi umano, nasce, e a tratti
avventori si ripete,

chiacchierano in piedi con voci così pazzo di dolore, che, umano,


alte nella notte, qua e là, ai subito non sembra più, e ridiventa
tavolini dei locali ancora lucenti morto stridore. Poi, piano,
e semivuoti.
[...] rinasce, nella luce violenta, tra i
palazzi accecati, nuovo, uguale,
VI urlo che solo chi è morente,
Nella vampa abbandonata
del sole mattutino - che riarde, nell'ultimo istante, può gettare in
ormai, radendo i cantieri, sugli questo sole che crudele ancora
infissi splende già addolcito da un po'
d'aria di mare…
riscaldati - disperate vibrazioni
raschiano il silenzio che A gridare è, straziata da
perdutamente sa di vecchio latte, mesi e anni di mattutini
sudori - accompagnata
di piazzette vuote, d’innocenza.
Già almeno dalle sette, quel dal muto stuolo dei suoi scalpellini, la
vibrare cresce col sole. povera vecchia scavatrice: ma, insieme, il
presenza fresco sterro sconvolto, o, nel breve
confine
d’una dozzina d’anziani operai,
con gli stracci e le canottiere dell'orizzonte novecentesco,
arsi dal sudore, le cui voci rare, tutto il quartiere... È la città,

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sprofondata in un chiarore di
festa,

- è il mondo. Piange ciò che


ha fine e ricomincia. Ciò che
era area erbosa, aperto
spiazzo, e si fa cortile, bianco
come cera, chiuso in un
decoro ch'è rancore; ciò che
era quasi una vecchia fiera

di freschi intonachi sghembi al sole, e


si fa nuovo isolato, brulicante in un
ordine ch'è spento dolore.

Piange ciò che muta, anche per


farsi migliore. La luce del futuro
non cessa un solo istante

di ferirci: è qui, che brucia


in ogni nostro atto
quotidiano, angoscia
anche nella fiducia

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che ci dà vita, nell'impeto

gobettiano verso questi operai, che

muti innalzano, nel rione dell'altro

fronte umano, il loro rosso straccio

di
Sono qui presenti l’inizio e la ne di questo poemetto che racconta di una sera estiva a
Roma in cui il poeta medita sul proprio passato, cercando di vincere il pessimismo cui
è tentato di abbandonarsi. Narra poi del suo ritorno a casa e della notte trascorsa
ancora nello sforzo di una di cile rielaborazione esistenziale, no all’alba e al
riprendere della vita, rappresentato dal rumore proveniente da un vicino cantiere edile
→ qui il lavoro degli operai e soprattutto il rumore di una vecchia scavatrice (che
sembra manifestare una disperazione quasi umana) riassumono con alta carica
simbolica il dolore per la trasformazione, anche quando sia per il meglio, accanto al
sentimento del fallimento storico delle rivendicazioni operaie
Si tratta di terzine di versi liberi legate da rime o da assonanze e consonanze, secondo
lo schema della terzina dantesca (ABABCB…)
Nella prima parte abbiamo la presenza di atmosfere e “ gure” umili legate al
sottoproletariato → Pasolini gli attribuisce una connotazione positiva, in particolare in
nome dei valori della corporalità e della sensualità. Nella sesta parte, invece viene
sottolineata l’intensa caratterizzazione simbolica della realtà rappresentata.
L’adesione del poeta alla condizione operaia è rivelata da molti particolari della sesta
parte, nei quali viene sottolineata la miseria dei proletari, mettendone
contemporaneamente in luce un qualche umile eroismo → lotte contro… (v.13) →
tuttavia, questa adesione rivela un atteggiamento intenerito e commosso di tipo
populistico che non una prospettiva di classe

Poesia in forma di rosa (1964) → in questa raccolta Pasolini a erma in modo


ossessivo la delusione per gli sviluppi della vicenda politica e intellettuale italiana e
gli pare ormai inutile tutta la dialettica, piena di illusioni, degli anni cinquanta. Nasce
con questa raccolta il mito della "Nuova Preistoria" → quando la Società ritornerà
natura → dovuto alla delusione stessa della storia e dalla presa di coscienza che "la
Rivoluzione non è più che un sentimento" e a fondarla saranno i barbari, cioè le plebi
meridionali e del Terzo Mondo.

Supplica a mia madre da Poesia in forma di rosa


speranza.

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È difficile dire con parole di figlio Perché l’anima è in te, sei tu, ma
ciò a cui nel cuore ben poco tu sei mia madre e il tuo amore è
assomiglio. la mia schiavitù:

ho passato l’infanzia schiavo di questo


Tu sei la sola al mondo che sa, del senso alto, irrimediabile, di un
mio cuore, ciò che è stato sempre, impegno immenso.
prima d’ogni altro amore.
Era l’unico modo per sentire la vita,
Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo l’unica tinta, l’unica forma: ora è
conoscere: finita.
è dentro la tua grazia che nasce la mia
angoscia. Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla
Sei insostituibile. Per questo è dannata ragione.
alla solitudine la vita che mi hai data.
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler
E non voglio esser solo. Ho un’infinita morire.
fame d’amore, dell’amore di corpi Sono qui, solo, con te, in un futuro
senza anima. aprile…
Il testo equivale a una drammatica confessione → il padre duro e inaccessibile e la madre dolce
e amatissima furono, nella vita del poeta, alla base di un profondo con itto edipico al quale è
riconducibile la so erta esperienza dell’omosessualità.
Il componimento è formato da distici di versi lunghi a rima baciata → si tratta di versi doppi,
per lo più formati da due settenari.
Uno dei temi è il contrasto tra la grazia della madre (v.6) e la condanna derivante da essa per il
poeta → tale condanna è espressa con parole forti → orrendo (v. 5), angoscia (v.6), dannata
(v.7), schiavitù (v.12). Tuttavia il contrasto tra grazia e condanna è solo apparente → esiste un
rapporto logico tra le due → la grazia della madre la rende insostituibile, stabilisce un legame
troppo forte ed esclusivo tra la madre e il glio, il quale può solo rivolgersi a corpi senz’anima
(v.10), dato che l’anima è legata alla grazia della madre. Il timore del poeta è che la madre
possa voler morire per sottrarsi alla relazione con un glio di cui disapprovi le scelte di vita →
per questo il poeta si conferma legato a lei e quasi illuso di avere uno spazio per un amore in cui
anima e corpo coincidono e in cui la vita possa collocarsi dentro la ragione e non al di fuori di
essa (v.18)
Inoltre questo contrasto tra grazia e dannazione evoca un clima religioso, così come il
riferimento all’anima

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LEONARDO SCIASCIA
Nasce a Racalmuto (Agrigento). Nel 1935 con la famiglia si trasferisce a Caltanissetta →
Sciascia frequenta l'istituto magistrale: tra i suoi insegnanti c’è Vitaliano Brancati, che
diventerà fondamentale nell'istruzione del futuro scrittore. Legge autori francesi e forma la
propria coscienza civile sulle opere di Voltaire, Montesquieu, Cesare Beccaria, Pietro Verri. Nel
1941 prende il diploma magistrale e nello stesso anno si impiega al Consorzio Agrario,
occupandosi dell'ammasso del grano a Racalmuto → costruisce un forte legame con la realtà
contadina.
Nel 1957 va a Roma, dove lavora presso il Ministero della pubblica istruzione, ma l'esperienza
dura un anno. Torna a Caltanissetta con la famiglia, dove diventa impiegato di un u cio
del Patronato scolastico. Nel 1967 si trasferisce a Palermo per seguire negli studi le glie e per
scrivere. Due anni dopo inizia la sua collaborazione con il Corriere della Sera. A metà degli
anni Ottanta gli viene diagnosticato il mieloma multiplo. Va a Milano per curarsi: qui continua
la sua attività di scrittore. Muore nel 1989 a Palermo.

Il giorno della civetta


Lo spunto per il romanzo venne allo scrittore da un episodio reale di cronaca → l’omicidio del
sindacalista Accursio Miraglia per mano della ma a (Sciacca 1947) → l’ispirazione a fatti
reali e di cronaca è un elemento tipico della scrittura di Sciascia.
Il giorno della civetta esce per la prima volta nel 1960 sulla rivista «Mondo Nuovo» e l’anno
successivo viene pubblicato dalla casa editrice Einaudi. civetta → è tratto da un passo
dell’Enrico VI di Shakespeare → come la civetta / quando di giorno compare → Sciascia
spiega che il riferimento è al fatto che la ma a una volta agiva in segreto, era un animale
notturno come la civetta, mentre oggi ha raggiunto ormai un potere talmente grande da poter
agire alla luce del giorno: da qui il titolo.
La storia si svolge in nove giorni e si apre con un omicidio → mentre sta per salire su un
autobus pieno di persone viene ucciso Salvatore Colasberna, piccolo imprenditore locale che
possiede un’impresa edile. Di fronte al cadavere, le persone sull’autobus spariscono
velocemente, mentre l’autista e il bigliettaio si mostrano reticenti alle domande dei carabinieri.
Il capitano Bellodi ha l’incarico di svolgere l’indagine, ma si scontra con l’omertà. Il
commissario Bellodi interroga i soci di Colasberna e, nonostante la reticenza di questi, riesce a
capire che l’omicidio è legato al fatto che Colasberna con la sua impresa edile non si fosse
adattato al sistema di potere della ma a. Nel frattempo al commissariato si presenta anche una
donna, che denuncia la scomparsa del marito, Paolo Nicolosi, e riferisce a Bellodi il nome del
probabile assassino del marito: Diego Marchica detto Zicchinetta. Nicolosi sarebbe stato
ucciso da Zicchinetta perché aveva visto lo stesso Zicchinetta sparare a Colasberna. Intanto a
Roma, assistiamo alla conversazione tra due politici, uno dei quali si lamenta dell’indagine che
Bellodi sta portando avanti, rendendo chiaro che gli omicidi su cui il capitano sta investigando

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sono di natura ma osa e che la politica non ha interesse nel trovare il colpevole e anzi
preferirebbe che il caso venisse insabbiato.
Bellodi, nel frattempo, interroga anche Calogero Dibella, soprannominato Parrinieddu, al
quale riesce a carpire il nome di un possibile mandante degli omicidi, ovvero un certo Rosario
Pizzuco. Parrinieddu viene però ucciso a sua volta. Bellodi fa allora arrestare Pizzuco e il boss
della ma a Mariano Arena, ma non riesce a mettere insieme prove su cienti ad incastrarli
ed è costretto a rilasciarli. Bellodi, scoraggiato, prende una licenza di un mese e torna a Parma,
dove poco dopo viene a sapere che tutto il suo lavoro è stato distrutto da un alibi trovato per
Zinnichetta, di conseguenza cadono anche le accuse verso i ma osi Pizzucco e Arena. Viene
infatti negato il carattere ma oso degli omicidi, dal momento che per l’assassinio di Nicolosi è
accusato l’amante della moglie.
Nelle ultime pagine del libro il capitano Bellodi, nonostante la delusione, esprime la volontà di
tornare in Sicilia e continuare a combattere contro i mali di quella terra. Una particolarità del
romanzo è l’alternarsi di capitolo narrativo e uno dialogico → entrambe le tipologie di capitoli
hanno un proprio lone logico, costituiscono quasi due segmenti distinti e si concludono con due
capitoli narrativi. Le parti dialogiche hanno degli interlocutori anonimi, sta al lettore sforzarsi
per capire quale dei personaggi sta parlando → è molto stimolante per il lettore e serve anche
per de nire meglio e rendere più rilevanti le caratteristiche di Bellodi e Arena. Inoltre,
l’espediente dell’anonimato (essendo un romanzo di denuncia) serve all’autore per tutelarsi da
possibili conseguenze penali. All’apparenza Il giorno della civetta si presenta come un romanzo
giallo, tuttavia è soprattutto un romanzo di denuncia → Sciascia si schiera infatti contro: il
clima di violenza e intimidazione creato dalla ma a in Sicilia; l’omertà dei siciliani, che
attraverso il loro silenzio permettono e favoriscono il potere della ma a; i politici, che spesso
sono complici della ma a, coprendo i crimini dei ma osi per trarne vantaggi personali. È il primo
romanzo a denunciare la ma a.
All’inizio degli anni Sessanta per molti la ma a non esisteva, nemmeno il governo ammetteva
la sua esistenza e poche o nessuna azione veniva compiuta contro questo fenomeno. Con Il
giorno della civetta per la prima volta un’opera letteraria a ronta questo tema, denunciando
apertamente la ma a e svelando i meccanismi di questa organizzazione criminale e le
complicità che la rendono possibile → può anche essere de nito come un romanzo
impegnato.
GESUALDO BUFALINO
Nasce a Comiso (Ragusa) nel 1920. Sin da bambino Bufalino dimostra di avere dimestichezza
con il mondo della parola e della scrittura, è a ascinato dai dizionari e dalle antologie poetiche
presenti nella piccola biblioteca del padre.
Inizia gli studi liceali a Ragusa e dopo due anni ritorna a Comiso, divenuta nel frattempo sede di
un liceo classico. Nel 1939 Bufalino vince per la Sicilia un premio di prosa latina sull'orazione
Pro Archia di Cicerone, bandito dall'Istituto Nazionale di Studi Romani. Sono questi gli anni
della scoperta della letteratura europea, della lettura dei grandi classici francesi e russi, della

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passione per Baudelaire → Bufalino scrive versi in uenzati dalle letture compiute e i suoi
interessi culturali sono completati dalla grande attenzione per il cinema. Nel 1940 Bufalino si
iscrive alla Facoltà di Lettere dell'Università di Catania, ma nel '42 è costretto ad interrompere
gli studi per la chiamata alle armi. Dopo la ne della guerra collabora, alle riviste lombarde
"L'Uomo" e "Democrazia", pubblicando alcune liriche e qualche prosa.
Riprende gli studi iscrivendosi all'Università di Palermo laureandosi in Lettere → partecipa ai
concorsi di Stato e consegue l'abilitazione per l'insegnamento.
Nel 1950 inizia una lunga elaborazione del romanzo Diceria dell'untore, ma non va oltre
l'abbozzo. Nel 1971 completa la stesura di Diceria dell'untore e ha inizio una decennale
revisione dell'opera. Solo nel 1981 Bufalino si decide a pubblicarlo, e riscuote un grande
successo. Nel 1988 vince il Premio Strega col romanzo Le menzogne della notte. Nel 1996
muore all'ospedale di Vittoria a causa di un incidente d'auto.

Diceria dell’untore
Si tratta di un vero e proprio capolavoro, scritto in un linguaggio di cile, che richiama quello
della Sicilia barocca dove, tra una chiesa maestosa e lucente e un vicolo malfamato e oscuro, si
incrociano continuamente vita e morte, dando origine a manifestazioni collettive di inalterata
attrattiva e complessità.
La storia, ambientata nell’estate del 1946, parla di un giovane reduce dalla Seconda Guerra
mondiale che si ammala di tubercolosi e viene con nato nella Rocca, un sanatorio posto nella
Conca d’Oro. Molti sono i personaggi che animano il lazzaretto, ciascuno dei quali rappresenta
un diverso modo di concepire la vita e l’attesa della morte.
In ne c’è il protagonista, che aspetta il suo turno con lucida consapevolezza e quando guarirà
avvertirà un disagio interiore, causato dalla sensazione di tradimento del patto tra morenti
stabilito con i compagni della Rocca. Molteplici visioni della vita e della morte che si scontrano,
duellano e cedono di fronte all’inesorabilità dei loro destini. Nella Rocca si giunge alla morte
attraverso lo strumento della malattia, che però in questo romanzo assurge a strumento che
nobilita, quasi un rispettabile sostitutivo della vita comune e mediocre. La malattia e la morte
sono ra gurate come elementi caratteristici della condizione umana → la malattia sembra
quasi essere testimonianza visibile di una
di erenza interiore; la morte, pur concepita come scandalo che interrompe il cammino, o re
all’uomo la possibilità di un confronto che lo coinvolge in tutta la sua complessità →
confronto che non ammette riduzioni, totalitario e dispotico. Eppure, non ammette
scorrettezze, è onesto no all’eccesso e pur mantenendo il riserbo nché l’ultimo respiro non è
stato emesso, o re garanzia di risposta.

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