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LAILA WADIA
LA SCRITTURA E IL CONCETTO DI CITTADINANZA
di Gianluca Bocchinfuso
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senso del multiculturalismo oggi all’interno di società che ospitano diverse
lingue e si definiscono «aperte e accoglienti» nel senso più profondo del ter-
mine. Nonostante questo, il termine cittadinanza divide. Impone steccati e
porta a discutere in modo sbagliato del tema dell’identità e della radici di un
popolo, col presupposto di rappresentare le società monoliti, immobili nel
loro essere e nel loro agire.
Il giardino dei frangipani ha dentro i temi a lei più cari con alcuni pun-
ti di vista particolari di cui parleremo.
La protagonista pone la domanda delle domande: «Torneresti mai
a vivere nella tua città d’origine?». In un altro passaggio del libro,
quando arriva in Italia, afferma: «Emigrare è come rinascere: nuovo
passaporto, rinnovo del prestito sulla vita. Imparai a vestirmi in modo
diverso, mangiare in modo diverso, parlare in modo diverso».
Quanto è difficile tornare veramente a vivere nella propria terra di
origine. E, soprattutto, quando la propria terra d’origine si lascia per
altri orizzonti, rimane veramente solo “terra d’origine”? Quando si ri-
nasce, si rinasce veramente? E da cosa?
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«Ogni persona ha la propria storia, i propri motivi per lasciare la casa do-
v’è nato, ma credo che ci accomuni il fatto di aver avuto una frustrazione:
economica, politico, socio-familiare o dei diritti negati. Chi si sposta con in
mente un progetto di vita (e non una soluzione temporanea) credo davvero
che rinasca in tutto. Si trova infante nella cultura e nella lingua, deve investi-
re nell’imparare tutto da zero. A volte deve lasciare alle
spalle tante certezze e il suo ruolo nella società di partenza, per andare in-
contro ad un destino ignoto e forgiarsi uno spazio nuovo in una terra nuo-
va.
A livello personale, tornare a casa è una gioia ma anche uno spaesamen-
to. I paesi stanno crescendo e avanzando a ritmi mai visti. Tutto cambia in
poco tempo: l’urbanistica e quindi anche le persone, i linguaggi, le politiche,
le economie. Un migrante acquisisce uno sguardo a volo di uccello: vicino e
lontano, critico e benevolo. Doppio. Diventa doppio. A volte bigamo, aman-
do due paesi. A volte invece si sente doppiamente straniero e spaesato».
«Si può appartenere a uno o più luoghi» dice Kumari nel libro. Sot-
tolineando la possibilità di vivere quotidianamente in due o più luo-
ghi, in maniera fluida, ibrida, arricchendosi attraverso quello che si
aveva prima e quello che si ha adesso. Quanto è difficile oggi far com-
prendere questo elemento fondamentale della migranza?
«Goethe diceva che bisogna avere sia radici, sia ali. Potrei dire che l’India
è le mie radici, l’Italia le mie ali. Ma non è così. In verità non vivo solo tra
l’India e l’Italia: vivo soprattutto in uno terzo spazio, quello delle parole, che
sono liquide e fluiscono in mille direzioni.
Sono convinta che siamo sempre meno cittadini di un paese e sempre
più gruppi di idee e progetti condivisi. Non ha importanza che io sia india-
na o italiana o inglese, questo non mi definisce, non mi identifica. Mi identi-
fica il fatto di essere una donna, una narrastorie, un’insegnante, una tradut-
trice, con certe idee, certi interessi e certe passioni.
La mia casa è il gruppo di persone con cui condivido scelte, aspirazioni
e progetti per il futuro. Si migra - con la testa e con il cuore - in ogni mo-
mento della propria esistenza, dentro la propria città, ma anche dentro sé
stessi. Anche le montagne sono elastiche, altrimenti franerebbero».
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tri personaggi contribuendo ad una coralità narrativa diversa anche con
elementi di intreccio narrativo sia in termini di prolessi che di analessi.
È una scelta voluta all’inizio o cresciuta durante la stesura del romanzo
per pronunciare gradualmente la complessità delle diverse identità?
«Volevo che il romanzo fosse un mosaico di storie, di incontri casuali,
che poi non sono mai casuali. Tutte queste persone e tutte le storie raccon-
tate sono vere. Sono stata testimone di molti degli eventi, altri mi sono state
raccontate dai protagonisti. Come narrastorie le ho semplicemente tessuti in-
sieme. Dapprima ho dovuto conoscere Kumari, la voce narrante, ascoltare le
sue parole dentro la mia testa per farla conoscere ai lettori. Poi, attraverso i
suoi occhi ho voluto dare spazio agli altri protagonisti del romanzo. Parten-
do dalla storia di una donna, ho voluto parlare di una pagina della storia del-
l’Italia poco conosciuta».
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progresso. Fare qualcosa si può? Kumari, con il suo esempio, ci indica una delle vie mae-
stre: dare una istruzione e pari opportunità alle donne».
«L’uomo è ossessionato dal diverso». In piena carriera Kumari, ad
incontri pubblici, scatena reazioni contrastanti per quello che dice e
quello che rappresenta. La paura della diversità è solo una questione
culturale?
«Sono fermamente convinta che chi teme l’altro è solo poco sicuro del-
la propria identità. Chi ha una base solida non teme il diverso. Credo che
molto spesso parole come «intolleranza» o «razzismo» vengano usate erro-
neamente per descrivere invece una paura della povertà, quasi fosse conta-
giosa, quasi per paura di ricordare che ad emigrare una volta (e tuttora) sia-
no anche cittadini dei paesi avanzati».
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mo sempre dei paesi più forti - relegano la pluralità dell’identità a fatto di fol-
klore o di bieco sottostruttura politica.
Laila Wadia – con Kumari e con tutti i personaggi che incontra e con cui
condivide momenti di vita – porta al massimo della riflessione narrativa il
senso dell’individuo e il suo essere oltre ogni etichetta definita e immobile.
NOTE
1 Laila Wadia, Il giardino dei frangipani, Oligo Editore, Mantova 2020
2 Laila Wadia, Come diventare italiani in 24 ore. Il diario di un’aspirante italiana, Lorenzo Bar-
bera Editore, Siena 2010. Provocatorio libro in risposta a chi pretende che un migrante assi-
mili i «valori» europei in poco più di ventiquattro ore.
3 La liberazione dell’Oriente, per Kipling, era basata sul compito proprio dell’Occidente:
civilizzare l’Oriente stesso, ovvero occidentalizzarlo, in un rapporto di superiorità e di con-
trollo, lasciando l’Esta in totale subalternità. All’inizio della sua Ballata dell’Est e dell’Ovest
(1889), scriveva: «Oh, l’Est è Est, e l’Ovest è Ovest, e mai i due si incontreranno, finché il
Cielo e la Terra si presenteranno infine al Grande Seggio del Giudizio di Dio».
Riferimenti biobibliografici
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