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IL ROMANTICISMO

Il romanticismo inizia tra gli ultimi anni del 1700 (dipende dal paese- Germania 1798, UK data pubblicazione
del testo di Colaridge, Francia 1813 Mme de Stael) e finisce a metà del 1800. In Italia il romanticismo
corrisponde con il risorgimento.

In Italia a seguito di una pubblicazione (1816, pubblicazione di articolo sull’utilità delle traduzioni, cultura
italiana dovrebbe ammodernarsi e tradurre autori stranieri, così cultura può svecchiarsi) di Mme de Stael
inizia il dibattito tra classicisti e romantici. Foscolo scrive prima del 1813 ma nelle sue opere ci sono
comunque degli aspetti che annunciano un nuovo movimento.

È sempre sbagliato voler circoscrivere un movimento, il romanticismo incide sulle letteratura, sulle arti, la
musica, la filosofia e sul pensiero politico e sulle scienze, nella prima metà dell’800. C’è anche qualcosa che
si può definire come dato certo per tutti i romanticismi, prima di tutto l’atteggiamento individualistico (io è
fortissimamente sentito, concentrarsi su se stessi), l’idea della libertà (affermazione di se stessi al di là di
ogni cosa esterna: libertà nelle arti ma anche in politica), il culto dell’istinto naturale, e quindi del
sentimento (in polemica con illuministi) e il rifiuto delle tradizioni. Ogni paese ha una connotazione diversa
di romanticismo.

I romantici rivendicano la forza di essere diversi dalla tradizione, hanno un nuovo modo di vedere le cose, e
vogliono marcare una distanza che rimarrà tale. Il romanticismo ha un’estetica assolutamente autonoma e
originale rispetto alla tradizione. Foscolo si porta dietro la tradizione infatti è pre romantico, Manzoni la
tradizione non la guarda neanche.

Alle fine del 700 l’artista è ancora aristocratico intellettuale istruito, nell’800 invece è un individuo libero,
può avere una formazione ma può anche essere esterno, è un genio (entra prepotentemente nelle cose e le
vive dentro, come se fosse connaturato con le cose stesse, e sa dare forza alle cose. È colui che è spinto da
una sensibilità fortissima, va oltre le cose e gli schematismi e le convenzioni, è un genio ribelle). Gli autori
romantici sono mossi da un sentimento fortissimo, sempre alla ricerca del soddisfacimento del sentimento.

Un’altra prerogativa del romantico è il rapporto con la natura fortissimo, la natura è ispirazione ma è anche
stato d’animo. La natura mette in luce l’infinito.

Importanza delle traduzioni secondo Mme de Stael (articolo che scatena il dibattito classicisti vs
romanticisti): Mme de Stael attacca gli scrittori italiani e li accusa di essere incapaci di aprirsi alla novità,
soprattutto alla novità delle opere straniere, da cui dovrebbero prendere ispirazione per svecchiare la
letteratura italiana. Questo articolo apre la polemica tra i simpatizzanti della letteratura d’oltralpe e i
classicisti.

È interessante mme de Stael perché dice che la traduzione è un’attività significativa per l’ingegno umano,
perché obbliga alla conoscenza della lingua straniera e a una profonda conoscenza della lingua madre, e
impone al traduttore di studiare e individuare espressioni e termini che possano essere di esempio per chi
pratica la lingua. Quindi di fatto come in Germania c’è una traduzione capillare delle opere di Shakespeare,
così in Italia dovrà esserci un’altrettanta corposa traduzione. Tradurre vuol dire rendere più vicino alla
sensibilità di un popolo una cosa straniera e interrompere le distanze tra paesi che respirano stessi eventi e
stesse problematiche.

La traduzione avvicina le persone, e fa affluire le opere anche ai non addetti ai lavori, quindi l’uomo
borghese che sa leggere e scrivere ma che non conosce le altre lingue può avvicinarsi con la traduzione alle
opere degli scrittori stranieri. Così si avvicina la letteratura ad un popolo che a malapena sa l’italiano. Quindi
apprezzare dei contenuti è un valore, anche se i contenuti sono tradotti.
In Italia la situazione delle traduzioni è che i letterati non veicolano le traduzioni perché la letteratura
italiana è già erudita e classista (destinata a classi sociali elevate). Questi eruditi che secondo mme de Stael
camminano come delle galline in mezzo alle ceneri, sono l’opposizione dura rispetto al cambiamento.

Discussione romanticismo contro classicismo in Italia:

Da una parte intellettuali romantici che si radunano in una rivista « il conciliatore », dall’altra i neoclassici
che si radunano nella « biblioteca italiana ». Tutti gli intellettuali del conciliatore sono patriotti, sono
contrari all’occupazione straniera dell’Italia. Conciliatore è come il Caffè, fenomeno milanese composto da
Manzoni, Berchet, Ermes Visconti.

La biblioteca italiana ha una funzione conservatrice, ed è una rivista che è voluta dai francesi e dagli
austriaci, per dare un segnale di apertura nei confronti della letteratura italiana (contentino da parte degli
stranieri). Quindi uno è un’unione di liberi intellettuali che aderiscono a un progetto indipendente e
politico, l’altro no. Il conciliatore verrà chiuso dalla censura pochi anni dopo.

Pietro Giordani, un intellettuale della Biblioteca Italiana, aveva detto in un articolo che bisogna stare attenti
alle novità, non è detto che portino sempre cose belle. La novità appartiene alla scienza, non alla
letteratura. L’oggetto della scienza è il vero, la letteratura invece non si basa solo sul vero. Il conciliatore
risponderà dicendo che non è detto che letteratura non porti con se il vero, la letteratura porta con se il
vero dell’uomo.

Il Giordani fa un discorso sbagliato, perché separa la letteratura dal progresso, come se il progresso fosse
una cosa solo della scienza. Ma la letteratura è in continuo cambiamento. Però il Giordani, che sembra un
conservatore, poi dice che la sua paura è che la tradizione italiana si perda, visto che agli italiani manca un
paese e L’Unità, se si perde anche la tradizione di questo popolo chissà cosa rimane.

Alla fine dell’articolo c’è un riconoscimento che dice che non è che non sia utile tradurre, ma lui ha paura
che i popoli che assoggettano l’Italia politicamente la assoggettino anche culturalmente e portino via il
fondo paterno, ovvero la tradizione.

Il Conciliatore: esce a Milano negli anni 1818-1819 con cadenza bisettimanale. È finanziato da due
personaggi importanti, Federico Confalonieri e il marchese Luigi Porro Lambertenghi. Sono due aristocratici
assolutamente liberali. I redattori sono Silvio Pelvico (per il suo impegno e per la sua politica patriottica
viene incarcerato allo Splielberg) e Pietro Bolsieri. Tutti personaggi che hanno avuto grandi problemi con la
censura austriaca e che sono stati accusati di cospirare contro gli austriaci a Milano.

Si inseriscono poi altri redattori, Giovanni Berchet e Ludovico di Brême. Tutti gravita attorno alla figura di
Manzoni, sono i suoi amici. Questa cerchia di intellettuali è la compagnia di Manzoni, che non entra nel
conciliatore e non scrive articoli, ma lo finanzia e rappresenta l’anima intellettuale del giornale (suggerisce
interventi).

La dicitura vera della rivista è Foglio scientifico-letterario. Il modello è il Caffè dei fratelli Verri. Dal titolo si
capisce che devono essere trattati articoli riguardanti sia vita intellettuale che vita pratica degli uomini.
L’impegno è quello di divulgare idee nuove rispetto alla scienza (economia, diritto, tutto) e riguardo la
letteratura. Come sono utili gli articoli sulle scoperte tecnologiche, così è pubblicamente utile disquisire
sullo stato della lingua italiana (questione della lingua) e soprattutto è importante parlare di una letteratura
che non sia solo veicolo di nuove parole ma che porti delle idee nuove e utili al vivere meglio, parole vicine
a un pubblico non necessariamente colto e aristocratico, ma volutamente popolare (borghese). Quindi la
letteratura è il tramite tra ciò che è utile e ciò che è bello.

La cosa più bella che c’è scritta nelle pagine del conciliatore è nel primo articolo sulla scuola (vedi
classroom).
Sul conciliatore ci sono molti articoli in favore del romanzo e del teatro, inteso come luogo di educazione
collettiva. Basta con le dispute grammaticali, ma portiamo avanti una letteratura fatta di utile e dilettevole.

Manzoni traduce i concetti della letteratura come utile e dilettevole nella Lettera sul Romanticismo. Milano
quindi in questo momento fa un balzo in avanti, diventa un centro culturale e di ideazione politica molto
importante.

LETTERA SEMISERIA DI GRISTOMO A SUO FIGLIO di Berchet

Crisostomo parla della poesia e della letteratura, e dice che è vero che la poesia è qualcosa di congenito
nell’uomo, qualcosa di istintivo, e quindi tutti abbiano una sensibilità poetica, ma l’attenzione per la cultura
è fortissimamente determinata dalla condizione di vita di ciascuno. Berchet individua tre tipologie di
individuo: l’ottentotto, il parigino, e l’uomo normale romantico.

Dice che tutti abbiamo uno spirito poetico, perché la poesia è ingenua, quindi dentro all’uomo.

L’ottentotto vive insieme alle sue capre, e non riesce tanto a far emergere la sua poesia ingenua, perché la
pesantezza della vita e la ristrettezza degli orizzonti lo schiaccia a tal punto che difficilmente può far
emergere la sua spontanea propensione per la poesia. Dall’altra parte c’è l’eccesso opposto, il parigino.
Vive nell’agio, ha tutto dalla vita. Questa tipologia di uomo non può più provare un trasporto ingenuo verso
la poesia, perché l’artificiosità della sua vita fatta di lusso e particolari eccentrici ha corrotto la sua natura.
Non ha più niente di naturale ma tutto è disinteresse, perché ha provato tutto.

All’intellettuale romantico interessa l’uomo normale, ovvero le persone che sanno leggere e scrivere, e che
vogliono piangere, ridere e immedesimarsi nella letteratura e nella poesia.

Tra le righe del discorso dice che è più facile che un ottentotto si avvicini alla poesia naturale spontanea che
un parigino.

La lettera è importante perché traduce quello che il conciliatore vuole far capire: il popolo medio
(borghesia) è fatto di gente di lavora, che è mediamente istruita, non è interessata alle questioni erudite
delle lingua (grammatica), ma che è interessata a trovare nella scrittura qualcosa che lo appassioni e lo aiuti
a leggere se stesso in maniera critica e lo porti a vivere meglio. E Manzoni è colui che fa questo passo.

ALESSANDRO MANZONI

LA VITA: Nasce nel 1785 da Pietro Manzoni e Giulia Beccaria. Matrimonio combinato da Cesare Beccaria,
padre di Giulia. Quando Manzoni ha sette anni i due si separano (separazione legale). Manzoni non è figlio
di Pietro Manzoni ma del suo amante Giovanni Verri.

Alessandro Manzoni viene separato presto dalla mamma, poiché vive con il padre e le sorelle nella villa al
Caleotto. Giulia Beccaria è la figlia di Cesare, quindi frequenta ambienti illuminati, mentre Pietro Manzoni è
un uomo conservatore di provincia, quindi tra i due non può funzionare, e il figlio è in mezzo alla diversità
culturale. Dopo la separazione Manzoni viene mandato in diversi collegi, e quando si separano i genitori e il
bambino rimane con il padre. Manzoni vede la madre nel 1808, quando muore Carlo Imbonati, il nuovo
marito della madre.

L’assenza della figura materna, gli studi presso luoghi religiosi, fa si che Manzoni nasca con uno spirito
ribelle, anticlericale (luoghi religiosi sono un luogo di manipolazione), giacobino. Fa studi classicisti, latino e
greco, il francese. Parla poco l’italiano, perché le sue lingue sono il francese e il milanese.

Nel 1792 Giulia Beccaria parte per Parigi insieme al compagno Carlo Imbonati (era stato allievo di Parini e
addirittura Parini gli aveva dedicato un’ode civile intitolata L’Educazione). Manzoni scriverà un Carme in
onore di Carlo imbonati (si immagina di incontrare Carlo Imbonati, debutto poetico). Parigi = ambiente di
stimolo (frequentava circoli di intellettuali, era immerso in un ambiente intellettuale all’avanguardia).
Manzoni vive la scuola malissimo, è un tormento per lui, tristezza e malinconia. Manzoni studia come autori
Alfieri e Parini e Vincenzo Monti, gli stessi di Foscolo. Vive in collegio tutto l’anno a parte alcune vacanze a
Lecco e in val sassi a con il padre.

Nel 1800 incontra Napoleone alla Scala, e ne rimane affascinato. Si infiamma e è entusiasta degli ideali della
rivoluzione francese, e frequenta i circoli a Milano anticlericali e giacobini.

1801 – primo amore (troncato dalla famiglia) + primi esercizi poetici (neoclassicismo).

Manzoni matura molti problemi psicologici, ha molti attacchi di panico in luoghi affollati ed è balbuziente
(agorafobia). Quando muore Carlo imbonati Manzoni rivede sua mamma, e da quel momento si crea un
legame che diventa fondamentale per il poeta (ha circa 20 anni). Conosce degli intellettuali a Parigi (Folière
e gli Ideologi francesi).

Nel 1809 scrive il poemetto Urania, l’ultima opera neoclassica (la produzione poetica continuava con calma)

LA CONVERSIONE: Fino a quel momento Manzoni era stato indifferente alla religione (accettava il
calvinismo) ma dopo ---> inizia un lungo cammino spirituale (battesimo della figlia/celebrazione
matrimonio) che portarono entrambi i coniugi a convertirsi. 1810 conversione di Manzoni: Manzoni è a
Parigi con Enrichetta Blondel (matrimonio Napoleone con Maria Teresa d’Austria). Nel caos Manzoni perde
Enrichetta e si rifugia nella chiesa di San Rocco e alla fine, dopo essere entrato e aver espresso un voto,
ritrova l’amore. Da qui si dice che derivi la conversione al cattolicesimo (in realtà passa anche attraverso
altre fasi, come l’incontro col calvinismo), però Manzoni nel suo convertirsi porta con se anche una
corrente di pensiero che sta tra il calvinismo e il cattolicesimo, che è il giansenismo: Dopo questa
conversione Manzoni volle ricelebrare il suo matrimonio secondo la religione cattolica e volle come guida
spirituale il monsignor Luigi Tosi, di orientamento giansenista: movimento religioso che si ispira alle teorie
di Giansenio, pensatore olandese, secondo il quale l'uomo peccatore è indotto al peccato dalla sua stessa
natura.

Nel 1810 Manzoni rientra a Milano (piazza Belgioioso e in una villa a Cormano. A Cormano scrive Fermo e
Lucia, e si dedica all’arte botanica, coltiva i gelsi e il baco da seta, e si dice che li sia sepolto Carlo imbonati.
Nel cimitero di Brusuglio (Cormano) sono sepolti tutta la famiglia di Manzoni, solo lui è sepolto al cimitero
monumentale), motivo: allontanarsi da un ambiente ateo e anticlericale. La conversione non fu un
rovesciamento totale ---> ideali illuministici di libertà, uguaglianza e giustizia rimasero ma orientati in senso
religioso. La conversione mutò anche il genere poetico: inni sacri, una serie di componimenti poetici per
celebrare le varie festività liturgiche (inconclusi, ma rimase comunque un progetto ambizioso) --->
obbiettivo: opporsi alla scristianizzazione della società a causa dell’illuminismo.

Questa conversione in fondo non fu un cambiamento radicale della sua fede perché già lui credeva nei
valori morali della fratellanza e dell'uguaglianza spirituale. In tutte le sue opere è presente una profonda
religiosità perché vede dovunque la presenza della Provvidenza divina e considera la vita come una
missione in quanto ognuno di noi dovrebbe pensare a fare del bene. La sua religiosità si dimostra con
l'amore verso gli umili, verso i deboli e verso gli infelici. Il Manzoni, ed in questo si ritrova la sua
appartenenza al romanticismo, vede nel dolore la necessità che serve all'uomo per essere migliore. Egli si
può considerare romantico sia perché lui stesso scrive a favore del Romanticismo e sia per la sua religiosità.
Però abbiamo anche altri aspetti come quello classico e illuminista che si vedono nella chiarezza della lingua
ed anche nelle idee sulla rivoluzione francese che lo rieducano allo spirito di fratellanza e all'amore verso gli
umili. Oltre alla religiosità abbiamo in lui una grande moralità, cioè l'amore verso una letteratura che, utile,
serve ad educare.

Cattolico liberale (rosminiano) = corrente religiosa e politica, nata e sviluppatasi nell'Europa del XIX secolo,
che mirava a conciliare il pensiero cristiano con i principi liberali di libertà civili e sociali.
Altro tema importante: passione politica e civile, che viene risvegliata dagli sconvolgimenti politici (sconfitta
di Napoleone, restaurazione, austriaci riprendono il controllo sulla Lombardia), si rinnova l’idea di libertà
dallo straniero e indipendenza nazionale + crisi del 1817, a causa di malattie nervose, fallimento delle
speranze politiche, gran parte della chiesa appoggiò la restaurazione.

La crisi si risolse pian piano: 1817 iniziarono le grandi opere manzoniane. Manzoni definisce i caratteri della
propria poetica in due lettere: la lettera a M. Chauvet sull’unità di tempo, di luogo e di azione/la lettera sul
romanticismo al marchese Cesare D’Azeglio

Manzoni aveva delle idee liberali e romantiche (punto di riferimento per gli autori romantici, tant’è che la
sua casa diventa una succursale del conciliatore, intellettuali si riunivano per discutere). Il fondo si toccò
con la chiusura del conciliatore (troppe censure dagli austriaci) e l’arresto di Silvio Pellico per cospirazione
---> finalmente Manzoni si apre sulla questione della libertà e dell’indipendenza italiana (condivide
l’entusiasmo dei patrioti per la costituzione redatta da Carlo Alberto e la speranza di una guerra contro
l’Austria per liberare la Lombardia). Scrive due opere: 5 Maggio, elogio a Napoleone e Marzo 1821, in cui
invita gli italiani ad agire per la liberazione e l’unificazione.

+ scrive i promessi sposi e le tragedie

Dal 1827 in poi si cimenta del genere storico (storia di una colonna infame: processo agli untori della peste)
ma nel 1850 pubblica il “discorso del romanzo storico” in cui condanna il genere storico (unisce il vero della
storia al falso dell’invenzione). Risolve questa contraddizione ---> l’invenzione non è un falso, ma un
verosimile (stessa dignità del vero storico ma di un genere diverso).

I GRANDI TEMI MANZONIANI

Ricerca dell’unità d’Italia ---> premessa fondamentale: unificazione linguistica, Manzoni voleva dare all’Italia
una lingua in cui tutti potessero riconoscersi (promessi sposi del 27 = lingua troppo poco popolare, fa un
lavoro di rifacimento linguistico secondo il modello fiorentino e pubblica l’edizione del 40).

La ricerca della libertà: anche a causa di un’infanzia dettata da rigide regole, Manzoni celebrò sempre la
libertà (portata a Milano dalla rivoluzione francese, libertà politica, religiosa, libertà dalle passioni, di
giudizio, nelle scelte linguistiche). Tutto deriva dalla libertà fondamentale ---> libertà del peccato

La ricerca e la fedeltà al vero: la fedeltà al vero è una sorta di faro per lui (anche la conversione riconduce
alla verità di Cristo). La sua tensione verso la verità è la tensione verso la rivelazione (fornisce la chiave per
comprendere appieno l’uomo). Manzoni quindi arriva alla fede mosso dalla necessità di capire, e nella
rivelazione non trova solo l’incontro con Cristo ma anche la spiegazione dei misteri della vita umana.
L’esigenza di fedeltà al vero si manifesta come fedeltà al vero della storia (molte ricerche prima di scrivere).

L’impegno politico per la libertà d’Italia: Manzoni scrisse molto per la nazione (libertà = rifiuto del peccato
che ci rende schiavi, non deve interessare solo le singole persone ma anche le nazioni, aspirazione sociale).
A causa delle critiche all’oppressione austriaca e alla frammentazione italiana ---> numerose critiche e
censure (riscrisse il coro dell’Adelchi a causa dell’equiparazione fra latini opposti dai franchi e la situazione
attuale, non poté pubblicare il 5 maggio perché supportava Napoleone, nei promessi sposi c’era il paragone
fra Lombardia sotto il governo spagnolo e austriaci).

L’unità linguistica: grande ostacolo per l’unità d’Italia. Una delle mancanze più grandi era quella di una
lingua comune a tutto il territorio italiano quindi la questione della lingua è funzionale per due motivi
(democratizzazione della cultura = diminuzione del divario fra lingua scritta e parlata, e comunicazione più
facile fra gli italiani). Nei promessi sposi si impegna a usare il fiorentino come modello linguistico.

Ricerca dell’originalità: Manzoni scrive opere nuove (non usa le tre unità, personaggi di umile condizione e
a differenza di Scott segue alla lettera la storia).
Tre elementi comuni dell’inizio della produzione manzoniana:

- Maestria nel possesso degli strumenti linguistici + conoscenza della tradizione

- Sperimentalismo per cercare una propria voce originaria

- Convertire le belle forme in un linguaggio che fosse capace di esprimere il vero

GLI INNI SACRI

Dopo aver riconquistato la verità cristiana ---> esigenza manzoniana di fedeltà al vero (il vero = è l’unica via
possibile per restituire alla poesia la dignità che essa aveva perso nell’esercizio cortigiano). Manzoni vuole
coniugare la poesia (il bello) con la preghiera (il vero) ---> quindi: inni sacri (scopo: celebrare le festività
liturgiche ma anche ricordare che i sentimenti nobili dell’animo umano, come libertà, uguaglianza e
fratellanza, sono in primo luogo degli ideali cristiani). Inizialmente gli inni dovevano essere 12, ma ne scrive
solo 4 in più di tre anni, poi pubblica la pentecoste (dal 1817 al 1822 stendendo due versioni incomplete +
una definitiva). Non c’è un ordine cronologico: inizia dalla resurrezione (resurrezione personale dal peccato)

Innovazione del contenuto: tratta non esperienza personale (sentimenti, io soggettivo) ma grandi misteri
della religione cattolica (condivisi da tutta l’umanità). La lirica da individuale ---> corale (la personalità del
poeta si esprime solo attraverso lo stile). L’equilibrio viene raggiunto solo nella pentecoste. Come la chiesa,
che è rappresentante di Dio sulla terra, ha avuto il coraggio di diventare universale, così il fedele diventa
modello della società.

Nuove fonti a causa di nuovi contenuti (non si tratta più di descrivere una situazione ma di aprirsi
all’infinito, caratteristica romantica) ---> se prima ci si affidava a Petrarca, ora si guarda alle sacre scritture
(+ commenti danteschi). Gli inni sono caratterizzati dall’uso di antitesi, ossimori e domande retoriche
(riproduzione retorica del messaggio concettuale del cristianesimo = capovolgimento dei valori, il regno dei
cieli non è dei potenti ma degli umili). Negli inni inoltre Manzoni rivoluzione il lessico: introduce parole
escluse dal lessico lirico perché ritenute troppo prosaiche. Introduce strofe chiuse a versi la cui misura
riprende l’andamento degli inni latini. (le prime 4 non hanno successo, la pentecoste invece si molto).

Manzoni vorrebbe far vedere che dio c’è nella storia: da quando Dio ha parlato agli uomini tramite Cristo gli
uomini sono più liberi, e l’inno sacro = funzione di rinnovare il patto fra individuo e dio stesso, religione e
morte, e rendere gli uomini più fedeli (fedele vero, di animo e di cuore).

LA PENTECOSTE: La pentecoste si celebra la discesa dello spirito santo sugli apostoli, che dopo la condanna
di cristo si sono nascosti per paura di essere uccisi. La discesa dello spirito di Cristo sul capo degli apostoli
da loro inizio di uscire allo scoperto per diventare messaggeri nel mondo del messaggii cristiano --->
pentecoste = divulgazione del messaggio di cristo, quindi è un messaggio di libertà, fratellanza e
uguaglianza.

C’è una forma poetica nuova, metrica ---> testo in settenari e ottonari, lascia l’endecasillabo e sceglie un
verso più breve che un po’ risponde all’innografia cristiana ma aiuta anche il testo ad essere più concitato,
più veloce, più impetuoso. Ritmo incalzante, non placido come quello dell’endecasillabo.

Significato della pentecoste: scende sulla chiesa attraverso lo spirito santo e fa si che la chiesa diventi una
forza per l’umanità.

Gli Inni Sacri di Manzoni si pongono l’obiettivo di rinnovare profondamente la lirica italiana, abbandonando
la tradizione petrarchista che faceva leva sull’io del poeta per aprirsi a comunicare con tutti gli uomini. Qui,
i valori democratici propugnati dall’Illuminismo sono rivissuti in chiave cristiana come fratellanza tra gli
uomini e riscatto finale degli oppressi sugli oppressori. La Pentecoste è l’ultimo e il più importante degli Inni
Sacri di Manzoni. Il tema di fondo è la celebrazione della venuta dello Spirito Santo tra gli apostoli, grazie
alla quale nasce, di fatto, la Chiesa cattolica. La discesa dello Spirito crea una comunità, una collettività dei
fedeli, dove si può trovare una vera realizzazione dell’individuo: gli uomini sono tutti uguali in quanto tutti
figli di Dio. Il vero eroismo è quello quotidiano; Manzoni crede in una Provvidenza divina attiva nella storia e
capace di conferirle un significato superiore, ma comprende anche il peso del dolore e delle ingiustizie nelle
vicende umane. Dunque, l’invito allo Spirito affinché si manifesti risulta incalzante e appassionato nella
seconda parte dell’opera. Nell’inno sono compendiate due immagini di Dio: da un lato quella di una divinità
misericordiosa e consolatrice, dall’altro quella di un giudice severo e implacabile.

Nella prima parte (vv.1-48), viene descritta la situazione della Chiesa alle sue origini, prima della discesa
dello Spirito Santo, avvenuta cinquanta giorni dopo la Pasqua: gli apostoli, soli, timorosi e impauriti dopo la
morte di Cristo, restavano nascosti, dimenticati da tutti, senza possibilità di comunicare; poi, con l’avvento
dello Spirito, iniziano la predicazione in tutte le lingue e prendono coraggio. Lo Spirito si presenta come una
forza dall’azione miracolosa, che elimina la separazione tra divino e umano. Questa parte, che si apre con
l’apostrofe alla Chiesa, è percorsa da numerose interrogative dirette.

Nella seconda parte (vv. 49-80), sono enunciati gli effetti miracolosi della predicazione apostolica che si
rivolge a tutti gli uomini, con un messaggio di pace, amore e uguaglianza. La discesa dello Spirito, pertanto,
porta un messaggio di profondissimo rinnovamento (si noti, a tal proposito, l’anafora di “nova”), inaugura
una vera e autentica dimensione democratica, in quanto rende tutti gli uomini uguali tra loro e dona loro
una rinnovata libertà. Qui la forma ricorda quella dottrinale delle narrazioni evangeliche, ma ai concetti
teologici astratti, si affiancano descrizioni di scene quotidiane (ad esempio, quella della schiava che sospira
baciando i figlioli, vv. 65-66).

Nella terza parte (vv. 81-144), si prega lo Spirito Santo affinché discenda sempre su tutti gli uomini, dia loro
una dimensione in cui ognuno possa trovare il vero significato della propria vita e offra loro una possibilità
di salvezza nella storia. Questa parte è segnata da ripetizioni = imitare lo stile delle preghiere liturgiche.

Il tono è molto solenne, la forma elaborata e molto ricca di figure retoriche e di concetti complessi e
profondi, il registro linguistico è molto elevato ed è quello tipicamente liturgico. Le lunghe similitudini ai vv.
41-46 e 103-112 ricordano quelle del Paradiso dantesco. Sono molto frequenti le ripetizioni, le domande
retoriche e i parallelismi, per potenziare la funzione pedagogica e ideologica dell’inno. Al tono solenne, si
affiancano talora connotazioni molto realistiche, per dare l’idea della Chiesa come entità davvero vivente e
operante nel mondo.

Manzoni però si accorge subito che fa fatica come poeta (testo è ostico) ---> rischia un po’ di perdere
l’impeto spirituale perché usa un lessico molto complesso. Le due odi civili sono occasionali (nate da un
impulso unico che non si ripeterà più, dove cerca di ripeterlo si perde dal punto di vista linguistico).

LETTERA A M. CHAUVET

Successivamente alla tragedia “il conte di Carmagnola”, che si diffuse in tutta Europa ci furono molte
critiche (tra cui il critico teatrale Victor Chauvet) perché Manzoni non rispetta le unità aristoteliche. Per
Manzoni l’unica unità accettabile è quella di azione ---> le altre due nuocciono alla verosimiglianza e alla
fedeltà al vero storico. Manzoni risponde a Chauvet tramite una lettera in cui spiega la sua scelta di usare
un sistema tragico nuovo (quello storico più che classico). Egli chiarisce i ruoli dello storico (deve ricostruire
gli avvenimenti che forniscono il materiale sul quale il poeta lavorerà, il suo compito non è quello di
inventare i fatti ma di raccoglierli) e del poeta (indagare le ragioni che hanno condotto gli uomini a
compiere determinate azioni, ricostruzioni dei sentimenti, dare voce a ciò che la storia non dice). Tutto ciò
al fine di salvaguardare la verosimiglianza (errore: carattere di artificiosità di invenzioni di fatti non esistiti
per introdurre sentimenti a loro volta fittizi, quando si dovrebbe partire da fatti reali).
Prima parte: vuole dimostrare che il poeta per comporre tragedie deve rinunciare a inventare i fatti e
basarsi del tutto su avvenimenti storici che non devono essere modificati (stile Shakespeare). Qual è allora il
ruolo del poeta? Al poeta rimane la poesia, che non consiste nell’inventare i fatti (operazione facilissima)
ma nell’accertare i fatti e partire da essi per indagare l’anima. (vero storico/vero poetico). Il poeta tragico
quindi non deve mettere in scena i fatti della storia ma, partendo da episodi realmente accaduti, deve
descrivere le motivazioni interiori che hanno indotto gli uomini a compiere questi gesti. Il poeta quindi ha il
compito prima di indagare e poi di rivelare l’animo umano, specialmente quegli animi toccati dalla
sventura. Manzoni non parla solo della tragedia ma va anche a toccare un altro genere: il romanzo. Lui
individua lo sbaglio nel romanzo (difetto: inventare i fatti per adattare ad essi dei sentimenti a loro volta
inventati), soltanto che l’autore se non parte da fatti realmente accaduti finirà per incappare nel falso (per
questo tipo di scrittore i fatti realmente accaduti non contano nulla, contano solo le invenzioni dei fatti che
si prestano meglio a dare vita ai sentimenti, alle passioni, alle ideologie che egli vuole trattare). Per Manzoni
anche i romanzieri dovrebbero agire come agiscono gli autori del sistema tragico storico: ovvero non
limitando la loro inventiva ma circoscrivendola dentro ai confini segnati dalla verità storica e dalla
verosimiglianza, in modo da creare episodi conformi alla vita reale.

LETTERA SUL ROMANTICISMO

Nasce perché nel 1823 il marchese Cesare d’Azeglio scrisse a Manzoni sia per congratularsi per la
pentecoste che per dirgli che secondo lui il movimento romantico non sarebbe durato molto, allora
Manzoni rispose con questa lettera in cui identificava la parte negativa del romanticismo, ovvero tutti
quegli aspetti che il romanticismo negava (rifiuto della mitologia, delle regole classiciste,
dell’immaginazione) e una positiva, che non era ancora del tutto chiara (movimento molto giovane) ma che
era riassunta nel fatto che la letteratura dovesse avere l’utile come scopo, il vero come soggetto e
l’interessante per mezzo. L’utile (a seguito dell’illuminismo) significava che la letteratura doveva contribuire
a migliorare le condizioni di vita della società e degli uomini accrescendone il sapere e la consapevolezza
(filosofia utilitaristica). L’interessante come mezzo va a spiegare la scelta di determinati argomenti, non
devono essere temi imposti da una tradizione scolastica obsoleta, ma che abbiano a che vedere con la vita
reale della popolazione ---> trattare temi ai quali la popolazione è più interessata. Non basta però trovare
argomenti interessanti ma bisogna ricercare in essi il vero storico e morale ed esprimerlo tramite la
letteratura, perché è solo da essi che deriva il bello (interesse che attrae gli uomini alla lettura). Il vero
infatti consente al lettore di raggiungere la verità che cercava e nello stesso tempo di riposarsi e di dilettarsi
con essa, il falso invece illude, e crea un diletto temporaneo che verrà prima o poi scacciato dal vero.

Il romanticismo inoltre rifiuta il classicismo e in particolare il mito pagano, in quanto non condivide il
sistema di valori su cui esso si fonda (basato sull’orgoglio, sulla superbia e sulla potenza), e inoltre la parte
morale dei classici era estremamente falsa, dunque il romanticismo, appellandosi al cristianesimo, rinuncia
a questo modello di valori, rendendo più difficile l’adesione del lettore e propone l’utile, il buono e il
ragionevole, valori che sono tutti in linea con quanto promosso dal cristianesimo.

LE TRAGEDIE DI MANZONI

Manzoni scrisse due tragedie:

il conte di carmagnola

l’Adelchi

le due tragedie furono accompagnate da un’attenta riflessione teorica che riguardava principalmente due
punti: la questione delle tre unità e quella della moralità dell’opera.

Manzoni sostiene che l’unica unità fondamentale è quella di azione, ma non intesa come un solo evento al
sul quale si basa tutta l’opera ma come una concatenazione di fatti legati tra di loro i quali girano tutti
attorno a un evento centrale, anche se i fatti si trovano a distanza di luogo e tempo fra di loro. Rigetta
invece le altre due unità sostenendo che le altre due andassero a smorzare il vero. Manzoni inoltre risolve il
dubbio sul se fosse possibile, da cristiano scrivere delle tragedie nonostante fossero ritenute immorali dai
padri della chiesa. Egli dice di si, perché quelle accuse riguardavano il sistema tragico classico, non quello
storico, che conduceva invece allo scopo morale fondato sulla verità storica. Per appellarsi alla storia però
deve rinunciare alle tre unità che renderebbero la storia innaturale. Inoltre un’opera falsa e artificiosa
genera soltanto una sorta di fascinazione sullo spettatore, che si riduce a testimone inerte della realtà,
Manzoni invece vuole che egli sia giudice dell’opera, cioè capace di distinguere cosa è giusto e cose è
sbagliato e di prendere una posizione. La tragedia quindi ha uno scopo morale. Per accentuare questo
scopo Manzoni modifica la funzione del coro, che è inteso come un luogo separato dal dramma che
esprime l’opinione dell’autore riguardo a un determinato fatto e incita il pubblico a confrontarne il giudizio.

Il personaggio innocente: mentre con Aristotele e nelle tragedie classiche i personaggi erano sempre dei
mezzani, cioè ne del tutto innocenti ne del tutto colpevoli (perché si credeva che dando la colpa a un
innocente il pubblico si sarebbe arrabbiato con gli dei), con Manzoni i protagonisti delle sventure diventano
proprio gli innocenti. Questo perché a seguito della crocifissione e della resurrezione di Cristo, innocente, le
sventure dell’innocente sono occasioni per espiare le proprie colpe e per partecipare al dolore di Cristo,
inoltre sono sventure soltanto se le si misura con un metro terreno, se invece si tiene conto della vita
eterna nell’aldilà allora non saranno più sventure, perché entra in gioco il concetto di provvidenza.

Tuttavia nonostante questa visione ottimista le tragedie rimangono sempre tragedie, e le tragedie
romantiche raccontano spesso la storia di un eroe i cui tentativi per sfuggire al proprio destino non fanno
altro che accelerarne il destino stesso e affrettarne il compimento (esempio: conte di Carmagnola).
Carmagnola andrà in contro al proprio destino cercando fino a in fondo di evitarlo, cioè non riesce ad
accettare e ad amare la sua situazione, come fece Cristo, e il suo destino (non completa il passaggio dal
mondo del fato a quello della provvidenza). Nelle altre tragedie di Manzoni invece i personaggi identificano
nel loro destino la volontà di Dio e la accettano. Con Manzoni c’è il passaggio dal fato (insieme di leggi
imperscrutabili che dominano il mondo e alle quali non si può scampare, superiori anche a Dio) e la
provvidenza (che indica l’azione di Dio, che tutto sa, nella storia e negli eventi naturali, i quali avvengono
con un disegno preciso, e spetta all’uomo decidere se assecondare la provvidenza o no) ---> il cristianesimo
pone l’accento sul libero arbitrio.

Nella tragedia è molto più facile incarnare la visione del fato piuttosto che della provvidenza, in cui l’uomo
non può fare nulla per sfuggire al proprio destino. Con la visione cristiana invece l’uomo può collaborare al
piano di Dio, accettando la propria sorte e confidando nell’intervento di una provvidenza che opera nel
mondo e che assicura serenità, dando comunque per scontato che la vera felicità la troverà l’innocente
nell’aldilà.

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