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Letteratura 2

Letteratura italiana (Università degli Studi di Napoli Federico II)

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GIORDIANO BRUNO:
Perché si studia in letteratura?

Oltre a lasciarsi una commedia (il candelaio) Bruno è un personaggio simbolico perché si pone a cavallo tra i
due secoli e la sua filosofia scardina il principio di autorità e immagina un universo privo di gerarchie
eliminando una sovrastruttura trascendentale rispetto al rapporto tra uomo e mondo.

La filosofia di Bruno:
Con Giordano Bruno vediamo che le teorie e le filosofie di fine 500 conoscono il contrasto, in particolare
della chiesa e nonostante il rogo il processo di cambiamento è ormai irreversibile.

(Con Bruno Campanella e Galilei vediamo come il pensiero scientifico/pensiero libero procede inarrestabile)

La ricerca di Giordano Bruno è totalmente immanente cioè non supera il livello della realtà effettiva che si
può conoscere. Per Giordano Bruno il principio di infinità si associa all’universo non a Dio

Abbandonate le maglie concettuali della filosofia aristotelico-tomistica, (perché fondata unicamente sui
verba a discapito di una conoscenza diretta e autentica delle res), Giordano Bruno concepisce un nuovo
cosmo privo di gerarchie, infinito e infinitamente animato.

Fine delle auctoritates= la realtà si studia in modo diverso da quello dettato dalle autorità

Per Giordano Bruno l’aristotelismo tomistico non ha più validità.

Filippo Bruno nasce a Nola nel 1548, riceve istruzione a Napoli dove prende l’ordine domenicano.

Già nel 1576, a testimonianza di un percorso irrequieto, viene messo sotto inchiesta dall'ordine: fugge
dunque a Roma, dando così inizio ad una serie di spostamenti in Europa.

 Nel 1581 si sposta a Parigi, dove entra in contatto con gli ambienti della corte

Qui Bruno scrive il De Umbris Idearum, un’opera che getta le basi di una tecnica di cui è maestro Giordano
Bruno: la mnemotecnica.

La mnemotecnica

L'arte della memoria: attraverso la costruzione di articolate sceneggiature mentali, atte a rappresentare
concetti da rammemorare, Bruno tenta di riprodurre nello spazio mentale fantastico il divenire infinito, in
uno sfondo che non giunge mai pienamente al suo obiettivo. Non è altro che un processo fantastico
(oppone alla materia un sinun fantasticus, capacità dell’uomo di conseguire immagini mentali)

Quest’opera si associa negli stessi anni al Candelaio ovvero una commedia ma che vuole sovvertire i luoghi
tipici della commedia classica (considerabile anticommedia)

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Il Candelaio:
Nel 1582 Bruno scrive il Candelaio, commedia in cui viene alla luce in modo nitido la sua posizione: non un
rifiuto della tradizione, quanto una sua rielaborazione creativa.
*I modelli principali di quest’opera: Aretino e Forengo

Struttura della commedia:


Nella tradizione della commedia precedente si ha un’introduzione che ha struttura fissa e si divide
essenzialmente in 5 parti:

 commendatio: lode commedia autore oppure di dedicava l’opera


 rapportativo: discussione rispetto all’opera e al genere
 argomentativo: trama, personaggi misto e preambolo finale.

Il testo di Bruno si apre con 5 testi introduttivi differenti alla classica introduzione

1. Paratesto intitolato alla signora Morgana B


2. Argumento et ordine della commedia
3. Antiprologo
4. Proprologo
5. Bidello

Sovverte in maniera comica tutto ciò che precede la commedia, nel momento stesso in cui si presentano,
negano il loro ruolo e il valore della commedia.

La trama è estremamente articolata e ai personaggi principali e alle trame principali si associano una serie
di sottotrame dipendenti

I tre personaggi principali sono:

 Bonifacio: innamorato petrarchista (Petrarca come principio di autorità)


 Bartolomeo: alchimista (credenze come principio di autorità)
 Manfurio: grammatico pedante ovvero colui che pensa di poter spiegare il mondo attraverso le
parole. Colui che crede che il mondo vada studiato attraverso i libri e che le cose si debbano
 “adeguare” alle parole.

Tre trame principali legate dai tre protagonisti tenute insieme da un altro personaggio

 Gioan Bernardo: pittore. Alter ego dell’autore, si oppone alla prospettiva di Manfurio
rappresentando colui che si sottrae al principio di autorità.

Mentre gli altri personaggi hanno in comune l’essere legati ad un principio di autorità, il pittore rappresenta
colui che osserva la natura, che si dedica alla conoscenza prima di rappresentarla.

Il modello negativo è rappresentato soprattutto da Manfurio, con le sue vane enumerazioni di vocaboli e
particelle grammaticali latine che costituiscono una completa distorsione dell'ideale bruniano di una
comunicazione concettualmente feconda.

Il paradigma positivo viene individuato nel pittore Gioan Bernardo, capace di creare un lessico che ritragga
adeguatamente la realtà e dunque di ristabilire il nesso biunivoco tra parole e cose che, nel corso del tempo,
è stato incrinato dalla vuota pedanteria.

Attraverso i personaggi l'obiettivo è quello di mettere sotto una luce ridicola le derive inconcludenti della
cultura a lui contemporanea.

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Caratteristiche principali dell’opera:

 Il procedere attraverso situazioni plebee avendo come scenario la Napoli plebea di fine 500
(zona tra San Domenico e Nilo)
Nel candelaio la popolazione plebea rappresenta il polo positivo della giustizia e vede i borghesi
sconfitti. Il contesto plebeo che circonda i personaggi principali fa sì che loro appaiano come i
principali rappresentati della sinità ovvero coloro si rifanno solo al principio di autorità.

 La presenza di monologhi dei singoli personaggi che aprono un ampio spazio di riflessione, rispetto
ai soliti rovesciamenti e situazioni rocambolesche della commedia classica.

 La lingua bruniana intende rappresentare la realtà in tutta la sua concretezza, ricorrendo anche a
vocaboli dialettali. Dal punto di vista stilistico e linguistico siamo davanti ad una commedia
plurilinguistica e pluristilistica (prima monolinguistica e monostilistica per il modello di Bembo)
La capacità di osservare il mondo da tutte le sue parti sostenuta da Bruno implica di conseguenza
una varietà linguistica.

Trama:
Bonifacio sposato con Carubina vorrebbe amare la cortigiana Vittoria ma lo fa seguendo le modalità del
petrarchismo. Ciò ci rimanda ad un’allusione al titolo: il candelaio sarebbe lui colui che mantiene la candela.

Non accettazione della sua omosessualità, il principio di autorità fa si che lui non accetti la sua vera natura

Gioan Bernardo invece vive l’amore sottraendosi all’autorità petrarchesca e finisce per conquistare la moglie
di Bonifacio.

Nella tristezza felice e la felicità triste: epigrafe prima della commedia

Con questa epigrafe già si sta sovvertendo gli umori associati alla commedia che solitamente sono quelli
dell’hilaritas

Non è una commedia intesa classicamente, non vengono rispettate le unità aristoteliche.

Bruno considera le unità giuste per la tragedia classica antica e non per tutti i generi letterari

Questo ci fa comprendere meglio il pensiero di Bruno sui generi letterari es Petrarca è ritenuto si un grande
autore ma la sua scrittura non deve diventare una legge per il resto del mondo.

Riconosce una validità a queste grandi opere ma non condivide la sclerotizzazione della norma

Alla signora Morgana B:

Nomina personaggi illustri come il papa, principe di corte ecc. tutte figure che gestiscono il potere
temporale e spirituale.

Le autorità citate vengono tutte negate come destinatarie (dedicare è implicitamente indirizzare l’opera a
qualcuno)

Questa volontà di non nominare destinatari illustri è legata anche alla presenza da elementi osceni, infatti,
anche in questa prima parte di introduzione alla commedia possiamo scorgerli es:

o Il candelaio es. si riferisce a chi mantiene la candela ovvero sesso maschile


o “Chi mi levarrà questa candela di mano” riferimento osceno

Il piano dell’osceno viene contaminato con quello del pensiero elevato.

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Nella parte finale troviamo invece quasi una sintesi della filosofia bruniana:

“Ricordatevi, Signora, di quel che credo non bisogna insegnarvi: -Il tempo tutto toglie e tutto da; ogni cosa si
muta nulla s’annichila; è un solo che non può mutarsi…”

Non c’è trascendenza, Bruno non ragiona oltre il mondo esperibile attraverso i sensi, non esce dalle
dimensioni di spazio e tempo.

Le due dimensioni di spazio e tempo non sono percepite come una degradazione, concetto che fa invece
parte della filosofia aristotelico tomistica.

Il tempo: è l’unica dimensione che non si può esperire. E’ la dimensione in cui avviene la
metamorfosi, tutto muta tutto cambia attraverso il tempo.

Questo processo di metamorfosi mentre nel cristianesimo porta alla morte in Bruno consiste in una
continua trasformazione, tutto muta senza annullarsi.

Ciò che è eterno finisce per essere l’universo stesso soggetto a queste leggi di trasformazione, non ciò che è
al di fuori.

Lo spazio: idea della presenza di infiniti mondi all’interno dell’universo.

 Si trasferisce a Londra nel 1583 e tiene delle lezioni ad Oxford. In questo periodo iniziano ad arrivare
le accuse contro di lui, e inizia una fase intensissima di scrittura in volgare.

Tra 1584 e 1585 scrive sei dialoghi in volgare:

La Cenade le Ceneri, De la causa, principio et uno, De L’infinito universo e mondi, Spaccio de la bestia
trionfante, Cabala del cavallo pegaseo e De gli eroici furori.

Si tratta di una serie di opere nelle quali emergono, nella forma aperta e ambigua del dialogo, le idee
portanti di un pensiero filosofico.

Il manifesto della «rivoluzione onto-cosmologica» bruniana è il dialogo in volgare, pubblicato a Londra nel
1584

De la causa principio et uno:

In quest’opera Bruno illustra la sua visione cosmo ontologica. (com’è strutturato l’universo)

Il filosofo scardina l'opposizione tradizionale, di matrice sia aristotelica sia neoplatonica, tra

 Materia: femmina passiva


 Forma: maschio attiva

Bruno della materia sottolinea al contrario la fecondità: la materia è un principio vitale e attivo.

Essa genera dal suo interno le forme ed è animata da un inesauribile «appetito» che la induce a produrne
sempre di nuove, in un ciclo infinito in cui nessun ente si annulla e tutto viene continuamente trasformato.

Viene eliminata totalmente un’altra opposizione binaria:

 Potenza (presupposto che non esiste ancora)


 Atto

La distinzione tra potenza e atto diventa del tutto teorica: è impossibile la presenza di una potenza se non
all’interno della realtà (quindi atto).

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A doversi confrontare con un universo infinito è il soggetto conoscente, che è invece un ente finito, punto
fondamentale della sua ricerca filosofica consiste nell'individuazione di nuove vie attraverso le quali l'uomo,
pur nella sua finitudine, possa giungere ad intravedere l'infinito.

Secondo Bruno ci sono diverse tecniche per conoscere il processo infinito che regge l’universo:

Mnemotecnica:

Costruite le immagini mentali attraverso un processo di metafore continue. Secondo Bruno questo
garantirebbe un processo conoscitivo che permette all’uomo di intravedere il processo infinito dell’universo
con la sua capacità fantastica. Il processo di immaginazione è legato alle metafore.

Nel seno della fantasia vengono combinati creativamente gli elementi provenienti dalla conoscenza
sensibile, messi in relazione l’uno con l’altro per poi essere nuovamente scombinati e ricomposti tentando
di emulare i meccanismi della materia animata in perenne divenire.

È attraverso le statue mnemoniche che infatti il filosofo può creare immagini metaforiche.

La necessità di un lessico che si assimili quanto più possibile ai contenuti autorizza il filosofo alla creazione
di neologismi come il termine metamfisicosi *

metafisicosi: processo dell’arte mnemonica che prevede un’immagine mentale strettamente legata alla
realtà fisica

Eroico furore:

Ripresa della tradizione platonica secondo la quale il poeta è soggetto al furor, ad una possessione della
musa che porta alla produzione.

Bruno riprende questo elemento e lo rovescia in chiave positiva rispetto a Platone considerando il furor
come ciò che può far conoscere al poeta, attraverso un momento di illuminazione fantastica, quel processo
infinito dell’universo.

Anche nel campo della poesia Bruno comincia a scardinare i principi di autorità che governavano la
composizione delle opere e va in direzione della rottura del paradigma

Il poeta nel momento della creazione non deve adeguarsi alle regole ma deve avere una sorta di
illuminazione conoscitiva (aria di barocco, unione di metafore che dice qualcosa di nuovo)

Gli eroici furori:

Ultimo dei dialoghi pubblicati a Londra, in cui Bruno delinea un altro possibile cammino dell'uomo verso la
verità: l'eroico furore.

Essendo l’uomo un essere finito davanti all’infinità dell’universo gli è preclusa ogni possibilità di accesso alla
verità facendo unicamente affidamento sulla capacità intellettiva.

È necessario dunque ricorrere alla forza della volontà, che spinge il soggetto conoscente oltre i suoi limiti,
mettendolo nella condizione di raggiungere per un istante, in un lampo di illuminazione, l'assoluto nella sua
dimensione esplicata. L’azione della volontà, per dare i suoi frutti, deve congiungersi alla potenza della
fantasia.

In una prospettiva del genere, Bruno assume naturalmente le distanze dalle categorie tradizionali della
poetica: il filosofo ritiene che debbano essere biasimati quanti facciano della Poetica aristotelica una

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auctoritas indiscutibile senza comprendere che le regole in essa esposte servono per illustrare la poesia
omerica e non implicano un appiattimento ad essa degli altri generi.

Questa posizione implica un atteggiamento plastico e poetico nei confronti delle fonti, volto a far scaturire
da esse un nuovo potenziale conoscitivo.

Dopo un secondo breve soggiorno a Parigi Bruno gira numerose città europee, fin quando non torna in Italia
su invito del patrizio Veneziano Mocenigo.

Denunciato da colui che l’aveva ospitato arrestato dall’inquisizione e processato nel 1562, dichiaratosi
disposto a fare ammenda.

Il caso passa all’inquisizione di Roma e dopo 7 anni con il rifiuto di ritrattare viene condannato come eretico
e arso al rogo nel 1600.

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TOMMASO CAMPANELLA:
 Nasce in Calabria nel 1568
 Prende gli ordini domenicani.
 Nel 1588 legge Telesio e viene particolarmente colpito dalla sua concezione antiaristotelica che
vedeva principi del divenire il caldo e il freddo.

Bernardino Telesio legge il mondo recuperando una visione pre socratica (arche, filosofia naturale)

La poetica di campanella è strettamente legata alla sua filosofia ed è una poesia con profondi risvolti morali

Filosofia di Campanella:
La filosofia di Campanella è influenzata dal naturalismo telesiano, integrato con gli insegnamenti della
letteratura dei presocratici e di Marsilio Ficino.

l'lo si pone come un sapiente, colui che deve debellare i mali

(Il concetto di sapienza non ha significato di erudizione ma è legata ad un modo di stare al mondo)

Mali in 3 sfere:

 Tirannide come degenerazione del potere politico


 Sofisma come degenerazione della sapienza
 Ipocrisia come degenerazione delle relazioni tra gli uomini

Le sfere negative sono diramazione di 3 degenerazioni principali e queste 3 provocano i peccati che possono
essere ricondotti tutti alla sfera dell'amor proprio, dell'egoismo.

Si oppongono 3 sfere positive Insegnate da Temis divinità greca = giustizia:

 Potenza
 Sapienza
 Amore

La filosofia vera non può che basarsi su queste 3 istanze positive, chi sottostà all'amor proprio è un
ignorante.

Campanella riprende Telesio che considera la materia è governata dai principi del caldo e del freddo.

 Caldo: vinificante (Sole)


 Freddo: tende a far diventare gli esseri inorganici (metalli)

Il mondo è attraversato da un'energia vinificante che può avere diversa gradazione ma si espande in tutte

le cose.

Secondo Campanella la differenza tra esseri animali e uomo e quelli inorganici è lo spiritus

 Spiritus: sorta di vapore che attraversa la mente, agisce attraverso i nervi sul resto del corpo

plasmandolo in modo tale da renderlo quanto più possibile adatto alla conservazione della vita.

Capace di modificarsi attraverso stimoli esterni come suoni e parole.

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Esso, si situa alla base del processo gnoseologico umano, dato che riceve le impressioni dai sensi esterni e
poi le confronta tra loro, rielaborandole. Campanella ci illustra anche un concetto di magia naturalistica
immanente: la capacità di poter modificare lo spiritus viene definita magia.

Ciò renderebbe il poeta un "mago" proprio perché tramite le parole possiede questa capacità.

Anche in Campanella troviamo una critica al principio di autorità soprattutto nelle prime opere come

” La Philosophia sensibus demonstrata”: Non è più presente il concetto di trascendenza medievale ma la


conoscenza va dimostrata attraverso un'osservazione sensibile, sono le cose che forniscono conoscenza.

Il suo capolavoro nasce dall'incrocio della sua formazione e dalle esperienze negli ultimi anni del 600

 Nel 1594 fu denunciato all'inquisizione e poi arrestato, costretto poi alla pubblica abiura
 Nel 1598 torna nella sua città natale prese parte a una congiura contro il governo spagnolo, che fu
però scoperta e prontamente repressa

Conosce una fase di prigionia, deve mostrarsi pazzo per fuggire la condanna al rogo e deve abiurare.
Incarcerato prima a Roma e poi a Napoli negli anni di prigionia scrive la città del sole, opera scritta in volgare
1602 pubblicata poi in latino nel 1623 *L'edizione in volgare ripresa solo nel 1900

La città del sole:


La grande costruzione utopica che vide la luce nel 1602 in volgare e nel 1623 in latino, in cui

l'organizzazione sociale - oltre che sulla comunione totale dei beni, che impedisce che si generi negli animi

un amore egoistico - si regge sull'adeguamento tra attitudine individuale e ruolo che si ricopre.

Campanella si rifà sia all'Utopia di Thomas Moore che alla Repubblica di Platone. La repubblica di Platone è
animata dal mito dell'età dell'oro, dalla tradizione di uno spazio perfetto organizzato idealmente.

La differenza con l'antichità sta che l'età dell'oro è del passato, tutto si presenta come un mito nostalgico: il
tempo ha degenerato l'uomo, è impossibile tornare a quella situazione di equilibrio.

La città ideale dei moderni è invece collocata nel futuro perché considerata come raggiungibile. Immaginare
una città ideale implica anche una critica al presente

Obiettivo dell'opera è quello di mostrare come, in una città organizzata razionalmente, sia possibile
ristabilire il corretto nesso tra società e natura che filosofi come Aristotele, che non ha riconosciuto alcuna
dignità alle mansioni artigianali, hanno rescisso. I lavori manuali possono al contrario aiutare a ritrovare
quel contatto diretto con la realtà che è compito della religione solare favorire.

Gli elementi che riprendono il lessico cristiano fa si che abbia rapporti meno difficili con l’inquisizione
rispetto a Bruno

Come genere è definibile un dialogo poetico perché giunge all'universale (senso aristotelico poetico da
conoscenza storica guarda il particolare da meno conoscenza)

Il dialogo poetico è gestito da 2 personaggi:

 Un ospedalario (Cavaliere dell'ordine di Malta)


 Un Genovese che visita la città del sole e riporta notizie

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Elementi che caratterizzano la città del sole:

 Tempo: futuro
 Spazio: in paesaggi esotici es Sri Lanka preso come paese esotico per immaginare una città ideale
Taprobana

La città ideale è una città statica perché ha raggiunto un assetto definitivo stabile. Questa staticità è data dai
principi razionali che la governano (sempre principi naturalistici)

Principi città del sole:

Caldo sole governano si diramano 3 forme principi positivi

 Podestà: potere politico


 Sapienza: cultura
 Amore: relazioni riproduzione specie

Le cariche della città del sole:

1 metafisico (primo ministro)

3 ministri per i tre principi positivi:

 Pon
 Sin
 Mor

Caratteristiche della città del sole:

Come si sottrae l'amor proprio all'interno della città del sole? Abolendo la proprietà privata anche sulla
donna e i figli

 La riproduzione e la donna vengono pensati in termini razionalisti, in termini di funzione, no come


atto d'amore, la donna deve garantire la riproduzione positiva della specie.
 È garantita un'educazione a tutti e non c'è una gerarchia di valore tra lavoro manuale e
intellettuale. Ognuno deve seguire le proprie inclinazioni, questo implica una sorta di determinismo
dato che nessuno può venire meno alla propria inclinazione. Tutti devono essere puramente
funzionali alla propria inclinazione senza una vera libertà di scelta.
 L'educazione si svolge innanzitutto attraverso le mura della città: 7 ordini di mura dove ci sono i
principi della città che vengono impartiti attraverso passeggiate obbligatorie
 Forte controllo della comunità da parte degli ufficiali: ogni ufficiale è un addetto ad un valore e ogni
valore ha il proprio sistema di punizione
 Non si possono accogliere elementi esterni (difficilissimo)
 Non esiste il carcere, esiste solamente una pena capitale che può essere data dopo una serie di
processi solo quando il colpevole commette personalmente il proprio crimine
 Vengono indossate vesti militari per far si che gli adulti si tengano sempre attivi preparandosi alla
guerra

Educazione della città del sole:

 Fino ai 7 anni i bambini imparano l’alfabeto e restano più o meno liberi


 Dai 7 anni lavorano in officina e si determina la loro inclinazione
 Seguono le lezioni e in base alla propria inclinazione diventano officiali

Viene dato un valore maggiore alle arti che procurano il cibo.

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Forte critica alla tipologia di sapiente pedante: l’educazione si compie conoscendo il mondo non tramite una
sola arte

A differenza di Bruno, Campanella sottolinea la funzionalità dell’azione politica come elemento di renovatio
mundi. Il punto di contatto tra i due è l'immanenza dato che anche nel caso di Campanella il concetto di
renovatio è legato al qui ed ora. Il principio di salvezza immanente in una città umana sembra portare ad
una forma di divinizzazione dello stato. Questa città sembra essere una prefigurazione di uno stato assoluto.

La duplice accusa di eresia e cospirazione condurrà Campanella alla pena capitale che eviterà solo
fingendosi pazzo scontando però diversi anni di prigionia.

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GALILEO GALILEI:
Perché si studia in letteratura?
Con Galilei abbiamo il passaggio da un’impostazione della conoscenza di tipo premoderno a quello
moderno.

In questo periodo non viene fatta distinzione tra letteratura e scienza: ciò vuol dire che le opere della
letteratura saggistica sono pensate dagli autori stessi sia come trattati scientifici ma anche come opere che
hanno una valenza letteraria. Con Galileo l’elemento letterario è in risalto dato che la sua opera più
importante è sottoforma di dialogo e non di un trattato scientifico.

Per far fronte alla difficile situazione storico culturale l’autore si serve degli strumenti della letteratura.

Le strategie letterarie lo aiutano contro l’inquisizione e le opinioni che le sue opere susciteranno.

Così come Machiavelli inventa una lingua e uno stile per fondare nuove caratteristiche della trattatistica
politica, Galileo da vita ad un genere nuovo: il resoconto scientifico.

 Con Galileo ci troviamo al centro delle contraddizioni del barocco: Galileo prende esplicitamente le
distanze dalla sensibilità barocca ricollegandosi ad una tradizione umanistica rinascimentale.
Ma con lui viviamo comunque la contraddizione del periodo perché vediamo un aumento delle
nuove conoscenze e l’irrigidirsi dell’apparato ecclesiastico culturale di fronte ad esse: di fronte alla
nuova concezione del cosmo di Copernico nasce lo scontro tra le due cosmologie che cambiano
radicalmente la visione dell’uomo.
L’umanesimo aveva una concezione cosmologica che vedeva l’uomo al centro mentre con le nuove
teorie nasce un senso di dispersione di questa centralità. (Come Bruno e Campanella da l’idea di un
nuovo cosmo che mette in discussione l’immagine dell’uomo)

 Galileo si scontra contro qualsiasi concetto di autorità, non solo culturale contro l’auctoritas di
Aristotele ma anche dal punto di vista pratico infatti lo vediamo costretto dall’inquisizione a
rivedere le sue teorie fino a sottostare ad un processo e giungere all’abiura.

 Nuova centralità del mondo sensibile: la natura prende ruolo da protagonista, l’esperienza del
mondo sensibile diventa fondamentale per la conoscenza. Con Galileo c’è un ulteriore passaggio
perché l’esperienza sensibile prende una formalizzazione metodica: abbiamo la creazione di un
metodo induttivo: guardare i fenomeni e poi costruire le leggi che le governano

 Non si parte più dall’auctoritas, dalla teoria (metodo deduttivo) ma abbiamo un’esplosione della
curiosità umana nonostante la controriforma

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Galileo come Bruno è un uomo del 500, si forma alla fine del secolo

Nasce a Pisa nel 1564, si forma tra Pisa e Firenze quindi il centro di quello che era stato L’Umanesimo
italiano e questo influenza profondamente la sua cultura. I suoi studi sono inizialmente legati alla medicina
ma successivamente si sposterà sulle scienze matematiche. Il suo primo incarico importante è quello di
professore di matematica a Pisa.

Galileo ottiene l'insegnamento di matematica a Pisa nel 1589. Le ricerche di fisica e matematica assumono
progressivamente il centro del suo percorso, ma Galileo conserva però anche un interesse profondo per le
questioni letterarie, in particolare in questa prima fase pisano fiorentina.

Perché si allontana dalla sensibilità barocca?

Abbiamo due opere di Galileo che ci restituiscono la sua visione letteraria e ci rendono in grado di attestare
la sua lontananza dalla sensibilità barocca.

 Considerazioni al Tasso:

Alla fine del 500 si accende in Italia una polemica che coinvolge quasi tutti i letterati italiani:

Un grammatico che faceva parte di un circolo di umanisti campani di nome Camillo Pellegrino, pubblica un
piccolo dialogo in cui considera la liberata superiore all’opera di Ariosto.

Da questo nasce una polemica che arriva fino alla modernità (Goethe) e si trasmette anche a Galileo che
prende le parti di Ariosto e critica ferocemente Tasso:

Galileo traccia una distinzione tra il Furioso, creazione sontuosa della fantasia ariostesca, e la Liberata,
costruita invece da Tasso per accostamento minuto di tessere provenienti dai classici, secondo un
procedimento tutto artificioso e manieristico.

Galileo si sofferma particolarmente sull’uso delle metafore in Tasso considerandolo sfarzoso e non adeguato
per l’equilibrio che dovrebbe raggiungere un’opera letteraria

Questo ci fa capire la distanza dalla sensibilità barocca, Galileo è ancora legato al senso di equilibrio
umanistico rinascimentale ed evita lo sfarzo linguistico del barocco.

 La raffigurazione dell’inferno dantesco e la rappresentazione cosmologica:

Nel 1588 si impegna in un'opera sulla Figura, sito e grandezza de l'Inferno di Dante, opera tesa a ricavare
appunto il perimetro fisico dell'universo creato dalla fantasia dantesca;

Un passaggio decisivo è nel 1592 quando si sposta dalla Toscana a Padova in cui starà fino al 1610.

Galileo vive così un contesto politico completamente diverso:

 In Toscana era dipendente dei medici, legato anche alle gerarchie ecclesiastiche.
 Padova invece godeva della forte indipendenza della repubblica veneziana ed era anche uno dei
maggiori centri scientifico filosofici italiani.

La repubblica di Venezia gli da anche un sacco di incarichi pratici che lo obbligano a confrontarsi con il
mondo dell’artigianato ecc. infatti conosce maestri vetrai che gli permettono di perfezionare il cannocchiale

Questo lavoro avviene negli ultimi mesi del 1609; nell'inverno 1609-1610 Galileo dà inizio a una serie di
osservazioni che segnano un momento decisivo nella storia della scienza:

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Raccoglie tutto in una serie di appunti che accompagna anche con schizzi dedicati alla superficie della Luna.

 Scopre che la superficie lunare non è liscia ma come la terra ovvero ha montagne Valli ecc
 Galileo scopre che Giove ha nuovi satelliti e lui vede nel moto di questi satelliti un microcosmo
speculare al sistema solare (Giove sole satelliti pianeti)

Ciò mette in crisi l’immagine del cosmo degli antichi che credevano le sfere celesti immutabili (sfere
cristalline). Viene meno il concetto della Aristotelico dell’eternità delle sfere celesti

Per dare notizia della eccezionale messe di scoperte, Galileo raccoglie le osservazioni in un libretto di poche
decine di pagine di portata rivoluzionaria: è il Sidereus nuncius, pubblicato a Venezia nel giugno 1610.

Sidereus nuncius:
Libretto di poche pagine contenente le scoperte fatte da Galileo negli anni di osservazione col cannocchiale.

Le 550 copie vengono esaurite in una settimana, a riprova della straordinaria eco suscitata dalle scoperte di
Galileo. Scegliendo di impiegare la lingua della comunicazione scientifica internazionale, Galileo adotta un
latino semplice nel linguaggio e nella sintassi, e persino scarno, tutto mirato a offrire la successione delle
osservazioni e delle relative argomentazioni. E se in alcuni passaggi il testo annuncia in modo implicito
l’adesione al sistema copernicano, il Sidereus nuncius ha un impatto enorme proprio per la sua
immediatezza e semplicità.

Sono mesi decisivi anche sul versante biografico:

 Dopo quasi ventennio, Galilei decide di lasciare Padova e di tornare in Toscana: il passaggio presso i
Medici garantisce a Galileo una maggiore libertà negli studi, ma gli sottrae la protezione procurata
dalla secolare indipendenza della Serenissima Repubblica di Venezia rispetto alle pressioni che
arrivano da Roma.
All'altezza del 1610, tuttavia, la fama di Galilei ha ormai raggiunto le corti di mezza Europa, e lo
scienziato è convinto di poter giocare proprio a Roma la partita più importante.

L'immediata evidenza delle osservazioni dei cieli dovrebbe, nei suoi piani, convincere anche le gerarchie
pontificie della necessità di rivedere alcuni degli assiomi del sistema aristotelico-tolemaico.

 Nel 1611 Galileo si sposta dunque a Roma ed entra in contatto con gli ambienti legati ai Gesuiti del
Collegio Romano: partecipa a numerosi confronti e discussioni. In questi stessi mesi, entra a far
parte dell'Accademia dei Lincei: l'Accademia rappresenta un'avanguardia della più moderna cultura
italiana.
 Galileo torna a Firenze nella seconda metà del 1611, ma l'impressione suscitata dalle nuove
scoperte si prolunga nei mesi e negli anni subito successivi, diventando oggetto di discussioni anche
negli ambienti più alti.

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Le lettere copernicane:
Nel dicembre 1613 a un pranzo della granduchessa Cristina di Lorena si dibatte sui possibili contrasti tra
quanto emerso dalle nuove osservazioni e quanto invece riportato nelle Sacre Scritture.

Al pranzo è presente anche Benedetto Castelli, discepolo di Galilei, che invia al maestro un resoconto della
discussione. Galilei decide di affrontare direttamente il nodo e, rispondendo appunto al Castelli, espone la
sua opinione sul rapporto tra scienza e fede.

Scritta il 21 dicembre del 1613, è la prima delle cosiddette «lettere Copernicane», testi con i quali Galileo,
sia pure nella forma di comunicazioni private (che non dovevano dunque essere approvate dall’inquisizione
come ali altri testi che andavano a stampa), cercava di sciogliere il problema dei rapporti tra la nuova
scienza e la dottrina cristiana esposta nei testi biblici.

Lettera:
I destinatari di Galileo sono sempre nobili, intellettuali o scienziati perché la sua strategia è quella di
convincere prima coloro che possono agire nei confronti della chiesa, sulle gerarchie ecclesiastiche

Galileo crea un linguaggio scientifico che non è astratto perché i grecismi e i latinismi presume la
conoscenza delle lingue classiche, usa un lessico legato alla realtà concreta che ha di fronte con una
costruzione prosa ipotattica ma semplice.

In questa prima lettera Galileo non nega la religione ma ne distingue un piano letterale da un vero
sentimento della scrittura: Contesta una lettura letterale della Bibbia perché stando al significato letterale si
arriverebbe a compiere delle eresie. Es l’idea che dio che ha un corpo e sentimenti umani

Galileo ritiene che ciò dipenda dal fatto che i sacri scrittori dovevano rivolgersi al volgo e quindi avevano
bisogno di utilizzare finzioni per trasmettere la conoscenza

 La centralità della terra è una metafora per indicare una verità spirituale, centralità metaforica nei
termini della creazione divina
 Le sacre scritture non sono un vero assoluto ma è un vero relativo per la salvezza dell’anima, il vero
assoluto appartiene solo all’osservazione scientifica
 Le constatazioni scientifiche non possono essere negate dalle sacre scritture e la natura ha la
possibilità di far vedere gli effetti di dio
 La funzione della sacra scrittura riguarda la salvezza dell’anima e il comportamento degli uomini,
tutto ciò riguarda la fede e non l’osservazione del mondo
 La scienza non deve spiegare questi aspetti della vita umana ma come funziona il cielo

Citando spesso i testi sacri o testi dei padri della chiesa «Nel caso delle lettere copernicane degli anni 1613-
1615 Galileo commise un errore di conduzione, quello di invadere il campo dei teologi, che reagirono
energicamente per difendere la loro prerogativa di interpreti accreditati delle Scritture.

Proprio il confronto diretto tra i due ambiti - scienza e fede - procura delle reazioni inevitabili da parte delle
gerarchie ecclesiastiche: è a seguito di questa stagione di dibattiti, aperti a più livelli, che arriva infatti un
pronunciamento deciso della Chiesa in merito alle dottrine copernicane.

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 Nel febbraio del 1616 viene promulgato il «salutifero editto», con il quale si sancisce la condanna
della teoria di Copernico che prevede il movimento della Terra intorno al Sole.

Galileo deve accettare la prescrizione di non occuparsi più delle teorie copernicane, se non trattandole
esplicitamente come semplici ipotesi matematiche.

Malgrado stia da tempo lavorando a un Discorso del flusso e riflusso del mare, opera dedicata a dimostrare
come il movimento delle maree sia la prova indiscutibile del movimento della Terra, e dunque una conferma
dell'ipotesi copernicana, Galileo è costretto dal «salutifero editto» a frenare e a mutare direzione.

 A riavviare le discussioni sono le tre comete apparse nei cieli nell'autunno del 1618:

Galileo decide di non intervenire direttamente, ma affida le sue riflessioni a un Discorso sulle comete
pubblicato dall'allievo Mario Guiducci nel giugno del 1619. Il Discorso ha toni aggressivi e polemici e
sollecita una risposta risentita da parte del fronte gesuitico.

Lo scontro con il fronte gesuitico è dunque ormai dichiarato, e Galileo prepara con cura la risposta, con la
collaborazione stretta dell'Accademia dei Lincei.

Nasce così il Saggiatore, che Galileo compone lentamente nel corso del 1620-1621, e che assume come
destinatario Virginio Cesarini.

Il Saggiatore:
Il Saggiatore è un trattato di Galileo Galilei pubblicato nel 1624 in cui, rispondendo alle critiche di un
avversario in merito alla comparsa in cielo di alcune comete nel 1618, lo scienziato pisano espone i punti
fondamentali del suo metodo di ricerca.

Quando si sta per procedere alla stampa, l'elezione a pontefice di Maffeo Barberini, con il nome di Urbano
VIII, sembra rappresentare un segnale decisivo: Barberini è da sempre vicino ai Lincei e tra gli uomini della
sua corte figurano sostenitori di Galilei. Sotto cosi buoni auspici, il Saggiatore viene pubblicato nel 1623, e
offre una grande dimostrazione della fiducia galileiana nella possibilità della conoscenza umana.

In una prospettiva che supera le contorsioni di un sapere retorico a favore di un'indagine condotta in
maniera sperimentale.

 Nella primavera del 1624 Galileo viene più volte ricevuto in udienza privata da Urbano VIII e si
consolida in lui la fiducia nell'apertura di una nuova stagione culturale, con la conseguente
possibilità di riprendere più liberamente ricerche e pubblicazioni.

È possibile che Galileo abbia sottovalutato le resistenze ancora vive a Roma, e abbia al contrario puntato
troppo sul sostegno del pontefice: certo è che decide di tornare sul vecchio progetto di un Discorso del
flusso e riflusso del mare.

Questo da l’input della scrittura del dialogo dei due massimi sistemi perché lui vuole scrivere il trattato
definitivo sul copernicanesimo: per Galileo le maree erano la dimostrazione tangibile del movimento della
terra.

 Fa leggere il trattato e inizia a mandarlo alle gerarchie ecclesiastiche e qui ci sono le prime richieste
d’intervento quindi da trattato passa a dialogo su flusso e deflusso delle maree:

Il passaggio dal Discorso al Dialogo è da questo punto di vista un'innovazione strutturale decisiva: il dialogo
tra diversi interlocutori consente una mobilità di toni e di voci, un continuo trapasso di argomenti, con la
possibilità di digressioni e allontanamenti dall'esposizione principale.

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Una prospettiva aperta e plurale, dunque, che consente a Galileo di non esporsi direttamente quale
portatore di una ipotesi e allo stesso tempo di inserirsi nella grande tradizione umanistica del dialogo
filosofico. La strategia che adotta Galileo è quella di utilizzare il dialogo per mostrare diverse ipotesi:
riprende il dialogo umanista, che vede la verità come processo della conoscenza a cui si arriva man mano.

Già nel titolo c’è una presa di posizione, i sistemi da confrontare solo quello copernicano e quello tolemaico,
non viene considerata la credenza dei gesuiti che vedeva una specie di via di mezzo tra eliocentrismo e
teocentrismo (I pianeti introno al sole ma sole e luna girano intorno alla terra)

Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo:


Viene accettato dall’inquisizione e stampato nel 1632 con la richiesta di fare una premessa sul fatto che il
copernicanesimo non sia verità assoluta

 Dialogo diviso in 4 giornate: con questa divisione si lega alla tradizione toscana di cui padre è
Boccaccio. Già questo primo elemento fa capire quanto il dialogo comico avrà la sua importanza
all’interno del dialogo.
 Il dialogo funziona per digressione: introduce ogni giornata con un riassunto di argomenti
raccontati.
 Galileo costruisce lunghi periodi in cui a dominare è l'ipotassi, con una costruzione complessa
dell'esposizione articolata su molte subordinate. E’ tuttavia la coerenza logica del pensiero
galileiano che sorregge la prosa, ne determina attraverso una serie di connettivi la forte coesione
interna, e consente così al lettore, anche al lettore non specialista, di percepire la grande lucidità
con cui l'autore dispone i propri argomenti. Costruzione di un genere dialogico non più su dei
modelli di comportamento o trattato scientifico.
 Ambientato a Venezia che rappresenta un polo di libertà essendo repubblicano fuori dal polo di
influenza della chiesa
 Il dialogo viene in qualche modo piegato alla ragione scientifica.
Da una parte può dare la possibilità a Galileo di essere neutrale e dall’altro l’idea che
l’argomentazione rigorosa può dare ragione ad una teoria (applicazione metodo scientifico al
dialogo)
 Il Dialogo diventa una sorta di summa, di sintesi dell'intera opera galileiana, accostando nelle
battute dei tre personaggi scorci di libri già pubblicati e materiali invece ancora inediti

Il dialogo si apre con una dedica al gran duca di Firenze e poi con una lettera al discreto lettore:

Il discreto lettore è colui che si interessa realmente a ciò che dice (colui che sa discernere, separare) il
lettore deve essere discreto perché deve essere in grado di capire quale sistema sta seguendo. Come può
capirlo? Conoscendo l’ironia.

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Il dialogo avviene in un’ambientazione quasi contemporanea con due personaggi veramente esistiti e uno
fonte dell’invenzione satirica di Galileo:

I dialoghi, articolati in quattro giornate, si svolgono a Venezia, nel palazzo Sagredo.

I tre protagonisti sono:

 Giovan Francesco Sagredo: nobile veneziano, colto, amico e allievo di Galieli


 Filippo Salviati: fiorentino, anch’egli allievo di Galilei
 Simplicio: nome che nasconde un filosofo peripatetico che Galileo non vuole nominare
apertamente. Allude al filosofo bizantino del VI secolo noto soprattutto come commentatore di
Aristotele.

Si intravede poi, in taluni passaggi, la figura di un Accademico linceo che rimane senza nome, ma alla cui
autorità il personaggio di Salviati fa spesso riferimento come supporto per i suoi discorsi, una figura
dietro la quale è forse possibile leggere in filigrana la sagoma del vecchio maestro, l'autore nascosto tra
le righe.

Le dinamiche vedono le argomentazioni di Salviati opporsi a quelle di Simplicio, le prime a sostegno del
sistema copernicano, le seconde a sostegno del sistema tolemaico.

1. La prima giornata è dedicata a un’esposizione dei presupposti teorici di eliocentrismo e


geocentrismo
2. La seconda giornata è dedicata alla discussione del possibile moto diurno di rotazione della terra
intorno al suo asse
3. La terza giornata è dedicata alla discussione del possibile moto annuo di rivoluzione della terra
attorno al sole
4. La quarta e l’ultima giornata è dedicata alla descrizione del fenomeno fisico delle maree, fenomeno
che dovrebbe offrire la conferma del moto delle maree.

Proprio nella relazione tra i tre personaggi Galileo attinge risultati di grande efficacia: Sagredo, Salviati e
Simplicio danno vita a una sorta di commedia di materia scientifica nella quale i singoli fenomeni vengono
letti sia nella prospettiva tolemaica, sia nella prospettiva copernicana.

Alla figura forte e incisiva di Sagredo, le cui risposte si caratterizzano per uno stile più rapido, che giunge
anche alla caricatura delle posizioni più arretrate, si affianca una sorta di magistero più composto di Salviati,
disposto con pazienza e magnanimità a illustrare la solidità della teoria copernicana.

Di contro, spesso appunto bersaglio di ironia, si schiera la figura di Simplicio, impegnato in dichiarazioni
cariche di superbia a favore del sistema tolemaico: più che un personaggio reale (che pure è possibile
Galileo abbia in mente), un prototipo di dogmatismo e presunzione, che finisce per essere sopraffatto
dall'esposizione tutta concreta di Salviati.

Il disegno dell'opera culmina nella quarta giornata, ove il moto delle maree intende offrire la dimostrazione
definitiva del movimento terrestre.

L'esposizione della spiegazione di flusso e riflusso, da parte del solo Salviati, in un andamento meno mobile,
e piuttosto trattatistico, si sviluppa su un arco più breve rispetto alle giornate precedenti, e si chiude in
modo più reciso e univoco.

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Quasi per paradosso, sulla spiegazione delle maree Galileo aveva torto, ed era piuttosto Keplero ad avere
ragione.

Dopo la stampa del Dialogo Galileo si trova a dover affrontare un'improvvisa e forse inattesa reazione da
Roma: è lo stesso Urbano VIII a scagliarsi contro l'opera, forse persino sospettando che Galileo abbia voluto
schernirlo raffigura solo nelle battute goffe di Simplicio.

Per ordine del pontefice viene istituita una commissione d'inchiesta sul libro e sull'autore, che viene invitato
a presentarsi a Roma per sottoporsi a un interrogatorio da parte dell'Inquisizione.

Galileo cerca di resistere alla convocazione del Sant'Uffizio: inizia una guerra di posizione che va avanti per
settimane e che lo vede protestare a più riprese la propria innocenza, ma che alla fine lo vede costretto al
viaggio a Roma.

Con un meccanismo implacabile, il processo inizia il 12 aprile e arriva alla sentenza di condanna il 22 giugno
1633: come colpevole di eresia, Galileo è costretto all’abiura pubblica dei propri scritti, a riconoscere di
avere cioè erroneamente sostenuto la tesi copernicana; alla condanna si accompagna l’intimazione a non
affrontare più tali argomenti in futuro.

Per quanto riguarda le conseguenze dirette su Galileo, al vecchio scienziato, viene imposto un soggiorno
presso la villa di Arcetri. Galileo trascorre così gli ultimi anni in una condizione di emarginazione e
solitudine.

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GIAMBATTISTA MARINO:
Pochissimo è noto dei primi anni del Marino: si sa della nascita nel 1569, di una passione letteraria
contrastata dal padre, una passione che dovette alimentarsi anche per il passaggio a Napoli

In parallelo a questi anni di formazione letteraria, Marino conduce un'esistenza all'insegna dell'oltranza:

 Nel giro di un biennio, tra il 1598 e il 1600, viene per due volte condannato al carcere, per ragioni
che vanno dai reati sessuali alla produzione di documenti falsi

Nel 1600, probabilmente con l'aiuto dei suoi protettori, riesce pero ad evitare la seconda reclusione
e lascia Napoli.
 Si sposta verso Roma:

All'arrivo a Roma Marino si guadagna con rapidità la protezione di alcune delle famiglie più importanti: È
una scalata che conferma la straordinaria abilità di autopromozione del Marino, la sua capacità di farsi largo
come protagonista di una nuova stagione poetica. Sono ormai maturi i tempi per l'esordio a stampa: le Rime
vengono pubblicate a Venezia, presso Ciotti, nel 1602, dedicate al Crescenzi, e ottengono uno straordinario
successo.

Marino si rivela al pubblico italiano come un autore dall'ingegno vivacissimo, tra i libri annunciati spiccano
intanto la presenza dell'Adone, qui ancora nella misura di un breve poemetto

 Nel 1602 pubblica una prima raccolta di rime che poi prenderanno il nome di La lira che vengono
ordinate secondo delle sezioni tematiche

 Nel 1605 si trasferisce a Ravenna con numerosi viaggi verso Bologna e Genova

 Nel febbraio del 1608, si uniscono le due figlie di Carlo Emanuele I di Savoia con i principi delle
casate d'Este e Gonzaga.

 Per i due matrimoni torinesi Marino compone due testi encomiastici (dai tratti apertamente lascivi)
e si dedica poi a un prolungato omaggio indirizzato direttamente al duca

Si tratta di una politica di encomio con cui Marino riesce a mettersi subito in luce presso la corte torinese,
anche perché, accanto agli omaggi alla casata Savoia, scrive e fa circolare una serie di testi parodici contro
Gasparo Murtola, con l'evidente intenzione di scalzarlo dalla posizione di poeta di corte, Lo scontro, iniziato
forse in maniera scherzosa, diventa presto molto aspro e violento

Marino scrive una serie di sonetti burleschi (oggi noti come (Murtoleide); cui Murtola risponde o cerca di
rispondere per le rime

 Nel gennaio del 1609 tende al Marino un agguato per strada e cerca di ucciderlo.

Marino si salva miracolosamente, mentre il Murtola viene arrestato: l'episodio ha un'eco clamorosa, e vede
il Marino uscire da trionfatore, e per di più insignito del titolo di cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro

 Il trasferimento a Torino alla fine del 1609 sembra dunque l'ennesimo riconoscimento di
un'eccellenza, ma in realtà nasconde un versante in ombra.

Marino lascia frettolosamente Ravenna e il territorio dello Stato Pontificio perché inseguito da un ordine
del tribunale dell'Inquisizione che richiede un arresto e un trasferimento immediato a Roma. Accusato di
aver composto «poesie oscene ed empie», il Marino da qui in avanti deve fronteggiare le pressioni
dell'Inquisizione romana tuttavia Marino non si astiene ancora una volta da una condotta rischiosa.

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Già nei suoi primi mesi torinesi, infatti, scrive dei testi poco riverenti verso il duca (una Gobbeide, sembra, a
dileggiare il profilo fisicamente non impeccabile di Carlo Emanuele), e per tutta risposta viene subito
rinchiuso in prigione

Quando ritorna in libertà e in possesso dei suoi manoscritti, alla metà del 1612, Marino si impegna per
pubblicare alcune delle opere cui ormai lavora da molti anni,

 All'inizio del 1614, in un passaggio decisivo, Marino pubblica la terza parte delle sue rime, intitolata
la Lira

Nella quale raccoglie le liriche composte negli anni dopo il 1602 e allo stesso tempo chiude la propria
esperienza lirica, Rispetto all'esordio di inizio secolo.
La Lira del 1614 presenta quella che viene definita una nuova maniera mariniana: conserva una struttura
per capi, ma offre ora dei testi in cui la ricerca di metafore e la pratica dei concetti in clausola diventano più
marcate.

All’interno dell’opera troviamo riferimenti a Petrarca ma vengono cambiate le modalità di relazione tra l’io e
la donna e il simbolismo a cui allude: Rovescia tutta una serie di luoghi comuni es. parlando di una donna
nera

Seno Marino:
Questo componimento è un sonetto, componimento petrarchesco per eccellenza. Il soggetto diventa un
particolare erotico della donna: il seno.

Il cuore desideroso della donna deve in qualche modo nascondersi dai suoi occhi e appiattirsi il seno. Il seno
diventa lo schermo dagli occhi della donna. Si nega l’interezza della donna ma è come se il fosse frantumato
e si prendessero i singoli elementi in una prospettiva del tutto immanente (senza elementi di trascendenza.
Non più tramite tra terra e cielo ma diventa un motivo per cantare la passione erotica) Questo fa si che
Marino si affermi velocemente come poeta di riferimento.

 La partenza verso la Francia, nella primavera del 1615 nasconde la realtà assai più amara di una fuga
dall'Italia.

Alla corte di Francia Maria de' Medici, avviene comunque sotto gli auspici migliori. Marino viene bene
accolto dagli italiani a corte. Con la sua politica di encomio Marino trascorre in una condizione serena la
seconda metà degli anni Dieci, anche se nelle lettere fa trapelare un'impazienza sempre più viva per il
ritorno in Italia.

 Tra il 1619 e il 1620, sfruttando la maggiore libertà garantitagli dalla collocazione parigina, manda
comunque a stampa le due grandi raccolte annunciate da molti anni, la Galeria e la Sampogna.

La Galeria:
In quest’opera vediamo il rapporto tra parola e immagine decisivo anche per il barocco

Stampata a Venezia da Ciotti nel 1619 è una raccolta di 624 testi poetici (soprattutto sonetti e madrigali),
ciascuno dedicato a un’opera d'arte. Divisa in due grosse sezioni, Pitture e Sculture, documenta la
straordinaria passione mariniana per le arti figurative, e la sua intenzione di gareggiare con loro attraverso
la parola poetica. Ogni testo, infatti, piuttosto che descrivere la singola opera attiva una sorta di contesa
sull'oggetto rappresentato, che la parola poetica piega in chiave arguta e sorprendente.

L’Adone:

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Quando arriva a stampa, nei primi mesi del 1623, l'Adone è un poema cui Marino sta lavorando da ormai
trent'anni.

Le prime testimonianze risalgono agli anni napoletani e quell'altezza, e poi ancora per molti anni, l'Adone
rimane pero un poemetto, un'opera cioè abbastanza breve, composta da alcune centinaia di ottave
distribuita su tre canti

Una struttura semplice, dunque: tre tempi per innamoramento, amori e morte.

 La svolta avviene all'altezza del 1614-1615, tra gli ultimi mesi italiani e la decisione di passare in
Francia.

Persa la partita italiana, Marino probabilmente decide di allargare il disegno del poema su Adone,
muovendosi su una materia ovidiana, e soprattutto permettendosi degli azzardi che sarebbero stati rischiosi
in Italia. Così, ad esempio, per l'ottava di esordio, che offre un'invocazione a Venere che ricorda il
precedente di Lucrezio, De rerum natura.

Marino pubblica la prima edizione nel 1623 a Parigi e nello stesso anno ne pubblica una a Venezia
(modificata per riuscire a passare alla censura dell’inquisizione)

Dedicato a Maria de medici poi aggiunge dedica a Luigi XIII (valore di autopromozione tipico di Marino)

Mito classico di un amore scritto in ottave: nuova sensibilità rispetto ai generi (assenza del tema della
guerra tipico dei poemi scritti in ottave)

Il poema si incentra sull'amore che lega appunto Venere ad Adone, un giovinetto bellissimo di stirpe regale:
una favola mitologica, dunque, opposizione alla materia storica che doveva caratterizzare un poema epico.

L'elemento decisivo dell'Adone è però rappresentato dall'ampiezza: la storia dei due amanti, conclusa in
poche decine di versi nelle Metamorfosi di Ovidio (libro X), diventa la base pet il poema più lungo della
letteratura italiana costituito da Venti canti:

 Canti I-III: fase iniziale del poema, con l'arrivo di Adone a Cipro, l'incontro e 'innamoramento con
Venere

 Canti IV-VIII: i due amanti attraversano insieme il giardino dei sensi, e infine consumano la loro
unione sessuale nel canto VIII, canto significativamente intitolato I trastulli;

 Canti IX-XI: dopo l'unione sessuale e le nozze, Venere e Adone visitano i cieli della Luna, di
Mercurio, di Venere, osservando dall'alto le meraviglie del mondo;

 Canti XII-XVI: i due amanti vengono separati dall'arrivo di Marte; inizia una serie di avventure e
magie che vede Adone prima trasformato in un pappagallo, poi venire rapito da ladroni e infine
ricongiungersi con Venere, e persino essere eletto re di Cipro;

 Canti XVII-XX: Venere si allontana da Cipro e, nel canto XVIII, Adone viene ucciso da un
cinghiale durante una battuta di caccia. Il poema si chiude con una lunga celebrazione e con giochi
in onore del giovinetto, trasformato in anemone.

Anche questa breve sintesi del lungo racconto offre la misura di un distacco dai paradigmi dell'epica, dalla
materia di sangue e di guerra, della scelta mariniana indirizzata invece verso quello che viene presentato
come un «poema di pace».

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Un cambio di indirizzo che culmina anche nella descrizione del protagonista, Adone bellissimo e quasi
astratto, Adone incarna alla perfezione la scelta del Marino di una narrazione sensuale, mirata soprattutto ai
piaceri della passione amorosa.

L’eroe principale ovvero Adone ha veramente poco dell’eroe cavalleresco, si sottrae a qualsiasi
responsabilità del potere, rispetto alle categorie del poema cavalleresco vediamo un aeroe, si sottrae al
potere e al comando: Vediamo anche il suo rifiuto nel comando dell’isola di Cipro, dell’offerta che tra l’altro
viene mossa perché Adone vince una gara di bellezza.

Sulla storia principale si innestano una serie di episodi, digressioni che Marino aggiunge progressivamente
negli anni, passando dalla struttura in tre a una narrazione che accoglie digressioni e racconti secondari più
o meno collegati alla favola principale con una serie di numerose digressioni dove il principio di
verosimiglianza viene meno. Segna quindi la perdita di una narrazione compatta e logicamente coerente:
ma una sorta di montaggio di varie scene a partire dalla trama dell’innamoramento

L'Adone non rappresenta un'enciclopedia, ma una collezione di materiali letterari che Marino riprende dalla
sua sterminata cultura e intreccia intorno alle storie di Venere e Adone. In questo senso, di raccolta e
rifusione di tradizioni anche lontane, rappresenta davvero il poeta simbolo della stagione barocca.

Inoltre offre sezioni di fortissima ambiguità come ad esempio, quando la ferita di Adone, procurata dal
cinghiale, viene da Marino collocata sul «costato», in una proiezione che avvicina pericolosamente l'amante
di Venere a Cristo:

Nella scrittura del Marino non sembra però di poter scorgere la proposta organica di una teoria filosofica,
ma piuttosto la pratica divertita dell'intersezione tra sacro e profano (come era già avvenuto nelle Rime e
poi nelle Dicerie sacre). Nell'Adone domina un ideale di classicismo esclusivo, la possibilità di trapiantare e
trasfigurare ogni cosa nel terreno della letteratura e di celebrare il trionfo della letteratura stessa.

 Marino torna in Italia nella primavera del 1623.

È ormai convinto di aver superato le difficoltà con il Sant'Uffizio e l'elezione al pontificato di Maffeo
Barberini, con il nome di Urbano VIII, lo illude di poter contare sull'amicizia di un papa letterato.

Urbano VIII si mostra però freddo rispetto alla poesia mariniana e poi deve persino subire l'affronto di una
condanna pubblica da parte del Sant'Uffizio.

 Costretto a una sorta di reclusione: Nell'autunno del 1624, trasferitosi a Napoli, Marino si ammala e
trascorre in condizioni precarie le ultime settimane di vita.

Marino davanti all’accusa di plagio:


Nonostante durante il barocco si va contro il principio di imitazione del modello di Petrarca l’imitazione non
è completamente assente. Quando Marino verrà accusato di plagio si giustificherà con quella che chiamerà

 tecnica del rampino: saccheggiare il corpus della letteratura occidentale con estrema
spregiudicatezza.

Egli riteneva che saper copiare dalle altrui opere non fosse una cosa spregevole bensì un dono di pochi che
al meglio sapevano sfruttare questa suddetta capacità.

IL BAROCCO:

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L’Italia è la culla della rivoluzione umanistico rinascimentale e in più possedeva importanti modelli di fama
europea come Boccaccio e Petrarca.

Nel resto d’Europa, intanto le nazioni affrontano una fase di classicità, per esempio la spagna con Cervantes
e l’Inghilterra con Shakespeare

L’idea romantica e illuminista ci fa trasmette al barocco come periodo in cui viene meno questa sorta di
egemonia culturale italiana. Come fosse un processo degenerativo dell’impostazione rinascimentale
italiana. Tuttavia, nella prima fase del 600 l’Italia è ancora egemonica ed è ancora riconosciuto a livello
europeo.

Il barocco rappresenta una rottura di paradigma della modernità perché si passa da un’estetica normativa a
una in cui è la curiosità che domina i principi della produzione letteraria: A dominare il principio del gusto
non sono delle regole che vanno seguite ma la novità che può suscitare piacere nel lettore.

L’estetica guarda agli effetti che la poesia deve suscitare al lettore.

Vengono rotti gli schemi dei paradigmi precedenti per suscitare stupore nella novità.

E quella di Marino è un’arte legata al momento storico, non è atemporale ma va ad accordarsi con il gusto
del proprio momento storico. Questo è il principio che regge la meraviglia.

L'ideale di armonia riscontrabile in natura, che il modello classicista tendeva a riprodurre in arte, appare ai
manieristi inadeguato a rappresentare una realtà percepita come più complessa, ricca di sfumature, e zone
d'ombra.

Il Barocco letterario, che segue al Manierismo, nasce e si definisce come consapevole e volontaria rottura
con gli ideali di equilibrio e composizione della tradizione, sanciti nel Cinquecento dal canone classicista
rinascimentale e, per ciò che riguarda la poesia, dalla lirica petrarchesca.

La crisi delle certezze umanistiche e l'emergere di una sensibilità che guarda al mondo con sempre
maggiore meraviglia spingono gli autori a liberarsi dell'insieme delle regole del secolo precedente.

Con l'avvio del secolo, poi, la polemica tra difensori della tradizione rinascimentale (a favore del classicismo
di Ariosto) e innovatori (a supporto della più estrosa poetica tassiana) mira a demolire il principio di autorità
indiscussa di modelli e precetti, a favore del diritto all'autonomia e alla varietà espressiva.

Il gusto del pubblico come criterio guida del poeta:

Nel giustificare le proprie prese di posizione, Marino porta spesso l'argomento della svogliatura del secolo
(ossia la stanchezza del gusto causata dalla ripetitività delle convenzioni) che allontana i lettori dai testi
tradizionali, spingendoli a prediligere opere più ardite, stuzzicanti, all'insegna della stravaganza, come di
fatto si presentavano le opere di Marino l'autore non si limita a negare, con Tassoni, che i precetti abbiano
validità elema, ina sottrae ai critici il giudizio sulla validità dell'opera per affidarlo ai lettori.

Il fine della poesia è meravigliare:

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Marino si oppone ai precetti moralizzanti ecclesiastici e nella formula oraziana «utile dulci miscere» (unire
l'utile al dilettevole) subordina l'elemento del dovere a quello del diletto.

L'instabilità del mondo postridentino, le sue contraddizioni, le scoperte scientifiche e la repressione morale
e religiosa, spingono Marino e gli intellettuali, come lui sostenitori del rinnovamento, a ripensare le forme
espressive in senso "moderno", contrapposto, cioè,

Gli artifici retorici alle rigide categorie dell'antichità classica. "Meraviglia", "ingegno" "concetto" e metafora
diventano, cosi, gli artifici retorici atti ad esprimere questa nuova sensibilità;

Con la varietà infinita di immagini e oggetti proposti nelle loro opere e le audaci relazioni con cui vengono
associati, grazie ad un uso "spericolato" della metafora, gli scrittori stimolano il lettore al ragionamento
sottile e acuto, «ingegnoso», appunto, sollecitandolo alla soluzione di enigmi (i «concetti») che, svelati,
suscitano piacevole sorpresa, meraviglia.

La meraviglia e il piacere che essa suscita sono, dunque, moti dell'intelletto che legano poeta e autore nella
complicità per la scoperta dei legami nascosti tra gli oggetti di una realtà complessa e multiforme. Obiettivo
del poeta è «far inarcar le ciglia»,

La funzione conoscitiva della metafora:

Nel suo Cannocchiale aristotelico, il gesuita piemontese Emanuele Tesauro (1502-1675), individua nella
metafora lo strumento retorico irrinunciabile ai fini dell'espressione della nuova sensibilità, estendendone
le potenzialità di utilizzazione a ogni forma di comunicazione fino a farne un mezzo di decodificazione di
tutto il reale, il quale è popolato di segni densi di mobili ma precisi significati, mai diretti e referenziali ma
velati dietro iridescenze metamorfiche quanto mai gradite

La tensione all'innovazione che contraddistingue marcatamente l'opera di Marino gli garantisce un ampio
successo di pubblico e la benevolenza dei mecenati presso le corti più prestigiose d'Italia e Francia, facendo
di lui il punto di riferimento obbligato di tutta l'ampia e variegata produzione poetica del secolo.

"Marinista" è di fatto in Italia sinonimo di "barocco"

Sull'esempio di Marino, tutta la produzione lirica italiana del secolo barocco presenta un'accentuata varietà
di temi.

E nella poesia d'amore, territorio tradizionale dei petrarchisti, per la quale essi avevano codificato un
repertorio circoscritto di lessico e immagini, che la spinta all'innovazione si fa più evidente.

Nei lirici barocchi si riscontra infatti un ampliamento rilevante della gamma delle raffigurazioni femminili,
nella tradizione normalmente delineate con pochi tratti stereotipati (i capelli biondi, gli occhi celesti).
Accanto alla bellezza femminile dai capelli castani e neri, della donna nera e dell'orientale, il poeta barocco
celebra donne che si segnalano per particolari inconsueti e non riconducibili comunemente a un canone
estetico di armonia, come la vecchia, la zoppa, la sdentata, la cieca e la sorda.

Gli oggetti legati alla donna (pettini, occhialini, ventagli, specchi) diventano particolari preziosi su cui
l'attenzione del poeta si esercita per trasformarli, attraverso la metafora concettista, in elementi del mondo
naturale, alludendo così a corrispondenze tra la figura umana e gli oggetti della quotidianità e la multiforme
realtà.

Concetti fondamentali:

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 Ingegno: facoltà che regge la creazione artistica e che consiste nel saper mettere in contatto cose
distanti tra loro. Perché mettendo cose distanti tra loro vicine si può creare conoscenza
 Acutezza: la concreta manifestazione della facoltà dell’ingegno
 Concetto: Croce ritiene che il barocco non seguisse una variazione di rapporti consolidati: Il
principio del barocco è quello dell’istituzione di nuovi rapporti. C’è sempre un rapporto con il
precedente ma per istituire nuovi rapporti

Le metafore secondo i classici devono essere convenienti ma con il barocco questi rapporti vengono
rovesciati.

Un nuovo concetto di verosimiglianza:

Dal 500 c’è un recupero della teoria letteraria classica in particolare la poetica di Aristotele che viene spesso
commentata.

Il principio fondamentale che viene ripreso da Aristotele è quello della mimesis (cioè imitazione)

E’ giunta noi solo la parte sulla tragedia e la sua formalizzazione del canone dei principi che devono reggere
la buona tragedia dalla quale derivano le categorie aristoteliche.

Mimesis: la letteratura ha un rapporto di imitazione con la natura, imita cioè i fatti ovvero ciò che
costituisce la trama.

Queste azioni devono sottostare alle categorie aristoteliche.

Adeguando la poetica aristotelica ai generi rinascimentali la discussione che nasce si basa sul teatro e sulla
narrazione

• Es. tasso quando scrive i suoi discorsi teorici per giustificare la creazione della liberata fa riferimento
ad Aristotele

• Es. Il genere di riferimento di Boccaccio può essere adeguato alle categorie aristoteliche

• Es.Petrarca è inadeguabile perché non narra se non sotto forma di macrotesto ma lo svolgimento
del rapporto tra l’io e Laura è lirico. Parlare di stato d’animo non vuol dire parlare di azione, quindi viene
meno la poetica di Aristotele

Nel momento in cui si giustificherà Petrarca si creerà un assetto di generi che vede la narrazione come
autore che narra l’azione (imitazione della realtà attraverso voce autore)

Quindi abbiamo:

• il Dramma dove le azioni stesse avvengono sulla scena

• La lirica in cui si entra nell’interiorità del poeta senza l’imitazione di azioni

Quindi chi si attiene alla poetica aristotelica si trova a dover giustificare il modello di Petrarca

Questo vuol dire che chi continuava a considerare la poetica di Aristotele doveva giustificare Petrarca (in
quanto modello da imitare)

Come viene giustificato?

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A fine 500 si comincia a rivalutare l’idea di verosimiglianza e il primo a giustificare la lirica dal punto di vista
teorica è Tasso:

 Come la narrazione di azioni sta all’epica


 Così il concetto (le immagini di cui il poeta lirico si serve per rappresentare la propria interiorità) sta
alla lirica

I teorici che verranno dopo che si interrogheranno sulla natura del concetto per la verosimiglianza nel
concetto significa che invece di imitare le azioni imitiamo l’interiorità del poeta

Il poeta deve creare immagini verosimili per la natura e credibili per l’espressione dell’interiorità: Meglio
usare un’immagine impossibile ma credibile che possibile ma incredibile

Es invece di creare qualcosa di realistico ma poco credibile tipo uno esce dall’aula e gli cadono massi davanti
risultano incredibili: Un uomo vola impossibile ma il modo in cui viene proiettato ci sembra credibile

Rispetto alla teoria aristotelica di verosimiglianza tutti gli elementi impossibili possono entrare a far parte
della poesia e ciò da modo ai poeti di sperimentare, il concetto prende sempre più il significato di metafora
e è presente una sperimentazione perenne di immagini nuove.

La poesia barocca tra classicismo e sperimentazione:

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Sulla poesia del Seicento grava una condanna ormai antica: Tutta la lirica successiva al Marino conosce il
disprezzo dell’illuminismo e del romanticismo.

Già durante il Settecento, dentro e fuori l’Arcadia: e poi nel corso dell'Ottocento, e soprattutto nella Storia
della letteratura italiana di Francesco De Sanctis, la stagione della poesia barocca è stata giudicata un'epoca
di decadenza, segnata da un eccesso di sperimentazione che sfociava direttamente nel «cattivo gusto».

Soltanto negli ultimi decenni si è fatta strada una valutazione più approfondita: nel secondo 900 con due
antologie una di Benedetto Croce e una di Giovanni Getto viene riscoperta la lirica barocca.

Campo letterario: definizione di Bordieau che individua una situazione disegnata tra una serie di scontri tra
le varie poetiche. All’interno di questi scontri (che puntano ad avere una legittimazione simbolica rispetto ai
lettori) quando si afferma una poetica prende l’egemonia:

Il campo letterario della poesia 600esca è occupato da quella marinista barocca e quella classicista in uno
scontro molto acceso:

Alle due poetiche sono associati degli ambienti:

 Classicisti: Per i classicisti le città che più incarnano questa corrente sono Roma e Firenze. Roma
città papale maggiore opposizione alle novità del barocco, conservazione della tradizione. Qui
attorno a Michele Barberini eletto con il nome di papa Urbano VIII si crea un circolo che segue le
diretive classiciste
 Marinisti: Bologna e Napoli

Classicismo:
In questo ritorno al classico non ritroviamo la ripresa di Petrarca perché gli autori sono coscienti del
cambiamento dei paradigmi estetici, comprendono quanto sia importante per il pubblico ricevere degli
elementi di novità e quindi si fa ricorso a strumenti di novità diversi a quelli del barocco. Troviamo nuovi
riferimenti alla classicità come ad Orazio e Pindaro.

Non vengono utilizzate metafore ardite o immagini sfarzose. La poetica è semplice e presenta
un’articolazione rimica molto accentuata. Differente dal petrerchismo perché troviamo anche versi molto
brevi non più settenari ed endecasillabi.

La ricerca della novità si sposta dal piano dello sfarzo retorico barocco al piano della metrica. L’innovazione
che va verso la semplificazione della metrica e l’uso di una forte musicalità. (Canzonette componimenti che
proliferano di più)

Il poeta classicista da opporre a Marino è Chiabrera:

Nato a Savona nel 1552, Chiabrera muore nel 1638, in piena stagione barocca, dopo essere diventato uno
degli autori di riferimento del pontificato di Urbano VIII Barberini.

Chiabrera attraversa dunque in pieno la transizione che porta al primo Barocco italiano, e ne offre
un'interpretazione del tutto personale, assai diversa da quella del Marino, già a partire dalla prudenza e
dall'abilità con cui riesce a gestire il rapporto con i principali signori del tempo, tenendosi lontano da
polemiche e contrasti.

La sezione più importante della scrittura di Chiabrera è piuttosto rappresentata dalla lirica, entro cui da un
lato riprende i modelli della e sperimentazione tradizione classica, dall'altro si dimostra capace di una
sperimentazione inedita nell'ambito dei metri e dei ritmi.

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Già nel corso degli anni Ottanta realizza una serie di canzoni pindariche che, pubblicate a stampa nel 1591
con il titolo di Canzonette, riscuotono un grande successo di edizioni.

Nelle raccolte Maniere di versi toscani (21 componimenti), Scherzi (in tre sezioni, rispettivamente di 14, 12 e
44 componimenti) e Canzonette morali (16 testi), pubblicate negli anni a cavallo tra i due secoli, Chiabrera fa
d'altra parte sfoggio di una gamma di madrigali e canzonette

La raccolta delle Canzonette morali arriva a rappresentare una sorta di composta messa a punto sul piano
ideologico, offrendo in una compagine di pochi testi una riflessione di gusto oraziano, secondo un impianto
che Chiabrera tenterà di adibire come paradigma per la propria condotta.

Nel suo insieme la proposta di Chiabrera è dunque distinta dal concettismo e dall'infittirsi del tessuto
metaforico che caratterizza la generazione dei poeti di primo Seicento. E’ dopo l'elezione di Urbano VIII, nel
1623, che Chiabrera conosce una stagione di nuova centralità

Ed è nella sperimentazione, nei «nuovi modi» di una poesia che si incammina per sentieri inediti;
soprattutto sul piano delle forme, che consiste il grande lascito poetico del poeta savonese, che sarà poi
recuperato dalla migliore poesia dell'Arcadia e da Metastasio.

La poesia del circolo barberiano:


Nel corso degli anni Dieci, nello stesso decennio che vede maturare Maffeo Barberini

le esperienze profondamente innovative della Secchia rapita e dell'Adone, si profila tra Roma e Bologna
anche una linea culturale alternativa, che trova man mano il suo contro intorno al cardinale Maffeo
Barberini.

Nato a Firenze nel 1568, e cardinale già nel 1606, Maffeo nel corso dei suoi anni a Bologna, tra 1611 e 1614
stringe rapporti con alcuni letterati locali e che entra nel vivo della riflessione letteraria.

A ispirare questa linea dì un ritorno a una classicità composta e sorvegliata è dunque proprio Maffeo
Barberini e intorno a lui si stringono mano a mano, già alla fine degli anni Dieci, una serie di altri letterati,

allo stesso Chiabrera, al Preti, disposto ad abbandonare la linea più sperimentale dei suoi esordi.

Il circolo barberiniano diventa realtà grazie a un passaggio storico decisivo: l'elezione di Barberini a
pontefice, con il nome di Urbano VIII, nell'estate del 1623. Da quel momento l'opposizione alla poetica
mariniana diventa evidente, così come anche la proposta di una poesia che congiunga il modello di Petrarca
sul piano dello stile con quelli di Orazio e Pindaro.

A questa schiera si oppongono i marinisti

Differenza tra una prima fase della poesia barocca (contemporanea a Marino) e una seconda che porta ad
un’estremizzazione dei tratti di Marino.

Geografia della prima poesia barocca:


Le Rime di Marino vengono pubblicate nel 1602, ma già nel 1601 escono le raccolte liriche di Tommaso
Stigliani e Gasparo Murtola, poeti che saranno poi fieramente ostili al napoletano, ma che ancora nei primi

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anni del secolo paiono condividerne percorsi e persino amicizie. E appunto la novità uno dei paradigmi di
riferimento della 'nuova generazione': comune è la spinta a praticare nuovi moduli e nuovi contenuti, con
un ricorso marcato allo strumento della metafora, impiegata come chiave per prolungare e ispessire il
discorso poetico.

La poesia di pieno e tardo Seicento:


Intorno a una serie di percorsi poetici minori che si registrano nella zona centrale del secolo, le due
esperienze più significative si sviluppano quasi ai due estremi del sistema culturale italiano: da un lato il
Friuli di Ciro di Pers, dall'altro la Campania di Giacomo Lubrano.

La poesia conosce un oltranzismo stilistico e metaforico che porta ad una ripiega di contenuti:

I temi gli oggetti le metafore cominciano a diventare i corrispettivi dei sentimenti negativi che vengono
rappresentati. In particolare la fragilità la morte e il tempo rapace.

Es. Orologio a rote di Ciro di Pers

Orologio come misurazione del tempo ma questa espansione di sensi ci fa percepire la fragilità della
condizione umana e quindi l’essere soggetti alla morte

Ciro di Pers:

Nato nel 1599 nel castello di Pers, da una famiglia nobile, Ciro studia a Bologna

E tuttavia la sua poesia attinge un valore esemplare, da un lato nella ricerca metaforica, dall'altro nella
curvatura di ordine morale impressa alle sue composizioni concettose. Sono celebri, in questo senso, le
poesie sugli orologi, che suggeriscono una immediata riflessione sulla fugacità del tempo e sulla
transitorietà della dimensione umana.

Giacomo Lubrano:

Giacomo Lubrano (1619-1693) offre un'esperienza lirica soprattutto a matrice sacra.

La sua formazione gesuitica e il cammino all'interno dell'ordine danno occasione alla scrittura di Prediche
quaresimali nelle quali Lubrano realizza una scrittura fitta di acutezze, mirata a colpire 'ascoltatore

Lubrano dedica 30 componimenti al baco da seta, rielaborandone l'immagine di metamorfosi in una varietà
di approdi.

Scrive poi un sonetto dedicato all'«occhialino», la lente che ingrandisce smisuratamente gli oggetti: Il testo è
una dimostrazione dello sguardo nuovo della poesia barocca, sguardo nel quale ogni fenomeno viene
stravolto e si riscontra un passaggio immediato dalla percezione visiva alla novità del concetto; altrettanto
amplificata è la tensione retorica, che sposta subito il testo alla dimensione morale e che richiama il lettore
alla necessità di una prospettiva trascendente, oltre la misura umana delle cose.

1690 rende le Scintille poetiche di Lubrano perfettamente contemporanee

Un nuovo modo di vedere le cose, da prospettiva inedita che spinge a leggere in una chiave diversa le tante
sortite apparentemente bizzarre di molta poesia barocca, a scorgervi il desiderio di un nuovo sguardo, di
collegamenti inauditi tra materie lontane, e dunque un portato di conoscenza nell'avvicinare oggetti
all'apparenza privi di ogni relazione. In questi due passaggi, maturati nella seconda metà del secolo

la stagione del Barocco letterario italiano mostra dunque il suo valore, rivelandosi assai diversa dal periodo
di decadenza descritto nelle storie letterarie dal Sette al Novecento: una stagione invece orientata, nei suoi

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diversi protagonisti e nelle varie opere, a giocare una partita coraggiosa per innovare la tradizione sul piano
dei concetti, delle materie, delle immagini poetiche.

Un genere nuovo: Tassoni e l’eroicomico


Alessandro Tassoni, letterato nato a Modena nel 1556, e dunque della generazione di Chiabrera interviene
sulla scena della letteratura maggiore con le Considerazioni sopra le rime del Petrarca, a stampa nel 1609.
Il nome di Tassoni è però soprattutto legato alla formazione del genere eroicomico: dopo una lunga
composizione, in parte avvenuta alla corte di Savoia (presso la quale Tassoni si trasferisce nella seconda
metà degli anni Dieci)

 Nel 1622 a Parigi appare la Secchia rapita, poema in ottave di dodici canti, che segna l’abbandono
del genere tradizionale della poesia epica e la scelta di sperimentare una forma inedita.

La storia racconta dello scontro tra modenesi e bolognesi nel corso dell'opposizione tra guelfi e ghibellini del
Trecento italiano, ma mescola particolari e vicende senza troppa attenzione al dato storico.
Tassoni pone al centro del suo racconto la secchia rubata dai modenesi alla città di Bologna: da questo
affronto e dalla successiva reazione muovono una serie di episodi che vedono sfilare personaggi improbabili
(e tra tutti il Conte di Culagna):

Dopo un attacco dei bolognesi i modenesi si riarmano, cacciano i bolognesi li inseguono fino a
giungere ad un pozzo dove c’è un secchio di legno che viene rubato e ciò fa riscatenare la guerra.

Dal punto di vista formale rappresenta il rovescio dell’adone (segue modello aristotelico)
La Secchia rapita si rivela in realtà una operazione letteraria estremamente raffinata: offre una parodia del
genere epico, allo stesso tempo mette in mostra una tensione sperimentale sul piano dello stile, va
sottolineata l'ambizione di realizzare comunque un poema regolare', condotto «secondo l'arte», e dunque
rispettoso dei precetti di poetica.
Viene meno la forma dell’eroe, l’innovazione è sulla caratterizzazione dell’eroe.
Lo corregge in vista di una edizione romana, inserendo correzioni approvate dal Sant'Uffizio, e torna a
rivederlo in vista dell'edizione definitiva del 1630.
A partire dalla fortuna della Secchia, il genere eroicomico (che poteva del resto vantare precedenti
significativi già nella stagione rinascimento diventa un fenomeno che conosce larga diffusione.

La riflessione politica e morale: la trattatistica.

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L’unica città non soggetta dalla Spagna è la repubblica di Venezia e questo incide sulla cultura letteraria

La trattatistica usa diversivi così come la poesia ha la metafora ecc

Per parlare di argomenti che riceverebbero la condanna dalla parte della chiesa si rifà a momenti lontani
della storia.

Dopo una prima fase cinquecentesca segnata da un incipiente sviluppo, la dominazione spagnola, nel corso
del Seicento, produce sull'Italia conseguenze gravi, sia sulla politica sia sull'economia.

Allo stesso tempo, la vita culturale, sociale e religiosa viene profondamente segnata dalla riorganizzazione
della Chiesa cattolica e dalla sua posizione nei confronti del mondo protestante: con il concilio di Trento
(1545-1563), la Chiesa di Roma intraprende una politica che ha lo scopo di ricomporre lo strappo avvenuto
in seguito alla Riforma protestante e che invece sfocia nell'assolutismo papale.

In Italia, la presenza dominatrice spagnola spinge, oltre che a un dissenso, a una riflessione storica e
politica, che ha in Machiavelli (nonostante le apparenti condanne) un modello ineludibile e che, nel XVII
secolo, raggiunge esiti pregevoli.

 I nomi che spiccano all'interno di questo dibattito particolarmente aperto e vivace sono quelli di
Paolo Sarpi e di Traiano Boccalini, autori che hanno un'esperienza molto prossima agli eventi storici
dei quali scrivono.

Le vicende storiche diventano oggetto della narrazione o argomento di riflessione.

La storiografia cinquecentesca, e segnatamente quella di Machiavelli e di Guicciardini, rappresenta


un'eredità notevole, che si sviluppa in modo assai fruttuoso nel corso del Seicento.

I nuovi storiografi, nelle mutate condizioni politiche, devono ora confrontarsi con l'affermazione
dell'assolutismo:

Ci ritroviamo in un contesto in cui segretari sudditi del potere non avevano la libertà di parlare di politica
come Machiavelli ma potevano solo tramite il concetto della ragion di stato

In questo periodo matura la questione intorno alla «ragion di Stato», sintagma coniato a metà del
Cinquecento circa, con cui, sulla scia delle affermazioni di Machiavelli intorno all'autonomia dell'arte della
politica enunciate nel Principe, si riflette sul rapporto della politica con l'etica.

Rispetto al passato, nel periodo della Controriforma, con «ragion di Stato», i teorici affermano l'assoluta
preminenza della politica sulla morale, per salvaguardare l'interesse dello Stato; una posizione che
naturalmente può confliggere con la difesa dei valori morali e religiosi, la quale, con la Riforma e la
Controriforma, si era imposta come una esigenza di primaria importanza.

 Connesso alla «ragion di Stato» è il recupero dello storico latino Tacito:

Nel corso del Cinquecento prende corpo il cosiddetto tacitismo, ossia quell'interesse verso Tacito che, negli
Annales, aveva descritto il dispotismo dell'imperatore Tiberio, del quale aveva apprezzato le capacità di
governo e allo stesso tempo biasimato aspra- mente il comportamento morale.

L'impiego di Tacito, a mo' di travestimento, permette di introdurre, velatamente, gli elementi più forti del
pensiero di Machiavelli (autore ripudiato e messo all'indice) senza una citazione diretta.

Una figura cruciale per mettere a fuoco il passaggio dalla storiografia cinquecentesca a quella secentesca e
allo stesso tempo per entrare nel merito della questione della «ragion di Stato» nella penisola, in un
contesto particolarmente sensibile a questo problema, è il gesuita piemontese

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Giovanni Botero:

Botero nei suoi testi politici condanna apertamente sia Machiavelli sia quell'uso di Tacito che difende il
potere assoluto. Con la sua celebre opera Della ragion di Stato adottando una soluzione diplomatica, cerca
di giustificare il comportamento del principe, il quale, per il mantenimento dello Stato, deve operare con
ogni mezzo per garantirne il bene e tuttavia in sinergia con la Chiesa. In buona sostanza, Botero propone
una teoria in cui convergano la «ragion di Stato» e i principi di natura morale e religiosa.

Paolo Sarpi:
Questi nasce nei 1552 a Venezia e a tredici anni entra nell'ordine dei Servi di Maria (i Serviti) con il nome di
Paolo.

La formazione, solidissima, include studi filosofici, scientifici, teologici e giuridici, e allo stesso tempo
contempla l'incontro con autori classici (Livio) e moderni (Machiavelli).

Nel 1589 Sarpi decide di ritornare a Venezia, conducendo una vita di riposo e consacrata agli studi e allo
stesso tempo tentando di sottrarsi agli incarichi ufficiali dei Serviti. Nella città lagunare ha modo di
frequentare circoli culturali, e di accostarsi al mondo diplomatico francese, che gli consente di conoscere in
modo migliore la situazione politica e religiosa d'oltralpe

Le vicende personali di Sarpi, ormai in attrito con la Chiesa per le sue frequentazioni di «eretici» e le sue
simpatie, sono destinate a incrociarsi con la politica della Repubblica di Venezia.

Nei primi anni del Seicento le frizioni tra questa e lo Stato della Chiesa si fanno più aspre: Lo scontro fra
Venezia e Roma si concluderà con un compromesso, raggiunto nell'aprile del 1607 grazie alla mediazione
francese. E nonostante una apparente pacificazione, nell'ottobre di quello stesso anno, a Venezia Sarpi
subisce un attentato, ordito dalla Curia. Di fatto, Sarpi continuerà a essere al servizio della Repubblica.

Istoria del Concilio tridentino:

Sarpi deluso della controriforma scrive l'Istoria del Concilio tridentino, cui egli lavora fin dal 1614 e che vede
la luce, senza la volontà autoriale e in aggiunta con lo pseudonimo anagrammatico di Pietro Soave Polano
(Paolo Sarpi veneto). Divisa in otto libri, l'Istoria si propone di ricostruire e analizzare i fatti relativi al concilio
di Trento (1545-1563), comprese le premesse sotto il papato di Leone X.

Nel concilio, che per Sarpi rappresenta un evento centrale per l'intera cristianità, finiscono per emergere
non le preoccupazioni religiose della Chiesa, ma quelle politiche: l'evento ha ottenuto risultati opposti
rispetto alle aspettative iniziali, che consistevano in un rinnovamento spirituale e in una riconciliazione. In
buona sostanza, la Chiesa della Controriforma ha scelto secondo Sarpi di allontanarsi ancora di più dalla
componente spirituale di cui aveva bisogno.

Torquato Accetto:
Torquato Accetto è un letterato che si colloca all'interno dell'ambito culturale napoletano della prima metà
del Seicento.

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Nasce intorno al 1580

L'esperienza poetica di Accetto è forte di quella di Petrarca e del petrarchismo di Bembo e al contempo
guarda alla scrittura di Tasso e di Marino.

Della dissimulazione onesta:

In un quadro politico e storico instabile, difficile e repressivo si inserisce la principale opera di Accetto, il
breve trattato Della dissimulazione onesta, edito nel 1641 (Napoli), ma probabilmente in lavorazione fin
dagli anni Venti.

Ripartito in venticinque capitoli, il trattatello si colloca nel dibattito sulla «ragion di Stato»: nello specifico,
Accetto, che molto probabilmente fa tesoro della sua esperienza come segretario, affronta la questione
relativa al comportamento da tenere in pubblico, contando su una produzione teorica che invitava a fare un
saggio uso della prudenza.

Lo scritto, come dichiara l’autore in apertura, consiste nel «trattar che 'I viver cauto hen 'accompagna con la
purità dell'animo».

Accetto si rivolge, insomma, a chi è nobile d'animo. La via intrapresa come soluzione per contrastare la
situazione coeva, contraddistinta dalla tirannide, e sopravvivere nel mondo violento, consiste in una difesa
della libertà, all'insegna della ragione e di un comportamento schermato e segnato dalla prudenza, la
«dissimulazione», per l'appunto, differente dalla simulazione che è ipocrisia e finzione.

Quindi la dissimulazione è una pratica virtuosi perché rinviando momento della verità non la smentisce

La verità, in conclusione, resta nell'ombra, o, meglio, coperta da un velo, per usare un'immagine di
tradizione neoplatonica, che à Accetto non era estranea.

 Nel primo passo, in cui è illustrato il concetto guida del libello, risalta la menzione del luogo
evangelico che era stato impiegato dai nicodemisti (termine derivato da Nicodemo, il fariseo che,
per timore e prudenza, si recò a far visita a Gesù durante la notte), ossia da coloro i quali
adottavano un comportamento dissimulatore, in ambito politico o religioso, che implicava
un'apparente adesione al pensiero dominante; inoltre, il motto, con la raffigurazione della colomba
e del serpente, indicava l'emblema della dissimulazione.
 Nel secondo passo viene evidenziata, programmaticamente, la differenza fra la simulazione e la
 dissimulazione: quest'ultima è soltanto un velo (e non falsità), in attesa del vero che prima o poi
riemergerà

L’autore afferma che la brevità del trattato è giustificata dal fatto che l’autore per scrivere quest’opera ha
dovuto dissimulare.

Come ha dovuto dissimulare? Amputando il testo per essere rispettoso del principio della dissimulazione.
L’amputazione viene mostrata visivamente con una sorta di piramide rovesciata che segna mancanze del
testo.

 Per giustificare il trattato si fanno vari riferimenti religiosi: La prima cosa che gli uomini hanno fatto
a dio è dissimulare
 C’è anche una inclinazione a dissimulare:

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Chi è soggetto alle passioni non riesce

Quello più adatto è il temperato che ha la capacità di mostrare una faccia serena quando è rabbioso
e così via.

 Per Accetto si deve dissimulare anche verso se stessi per non ricevere danno.
 La vita umana stessa condizionata dalla dissimulazione perché bisogna dimenticarsi di morire quindi
dissimulare la propria morte.
 Negli altri capitoli espone come dissimulare situazioni particolari come amore ira

L’amore è più difficile da dissimulare perché arginare le passioni per poterle dominare

 Di fronte alle ingiustizie dei regnanti il suddito deve nascondere i propri averi e le proprie qualità
positive. Mostrando la propria sapienza davanti ad un potere ingiusto potrà rivalersi su di se perché
prova invidia

Dopo la pubblicazione di quest'opera, di Accetto non si hanno più notizie.

La narrazione del Seicento:


Nel XVII secolo il romanzo è il nuovo genere narrativo in prosa che, in Italia e nel resto del panorama
europeo, meglio offre la possibilità di esprimere la mutevolezza e la complessità del presente, andando così

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incontro alle nuove esigenze del pubblico, abituato ormai a un consumo maggiore grazie al notevole
incremento del commercio librario.

In Italia, la produzione del romanzo, quantitativamente significativa, è circoscrivibile all'incirca nel periodo
tra il 1625 e il 1675, e soprattutto in area veneta e ligure.

Dal punto di vista della narrazione in fiorentino parliamo soprattutto di novelle e qui troviamo anche il seme
della narrazione romanzesca che si distribuisce soprattutto in due aree Venezia e la Liguria, la maggior parte
delle narrazioni vengono stampate in queste due aree e gli autori sono soprattutto veneziani dato dalla
mancata censura forte da parte della controriforma

Si riprende la narrazione antica, la tipologia del romanzo alessandrino con il modello del viaggio di
formazione con una serie di peripezie

oppure genere cavalleresco che diventa genere della prosa

La caratteristica è la mistione di generi. La prosa rende possibile coinvolgere diversi generi partendo
comunque da una forma alessandrina o cavalleresca.

La collocazione degli eventi narrati è variabile: si va dalla dimensione esotica all'ambientazione


contemporanea, ben riconoscibile dai lettori.

La strategia di ricorrere alla prosa per la trattazione romanzesca è un sintomo della stagione barocca ma
l’obiettivo non è più rivolgersi ad un pubblico elitario:

Ciò va di pari passo dall’esplosione del mercato tipografico che ora è molto ampio e che ormai ha una
dimensione popolare, il romanzo si lega alla disponibilità della stampa di diffondere queste opere.

Tra gli autori di romanzi, vanno ricordati almeno tre nomi, ossia Giovanni Ambrosio Marini, Girolamo
Brusoni

 Il genovese Francesco Fulvio Frugoni


 Il veneto Girolamo Brusoni

Giulio Cesare Croce:

Autore che non ha collegamenti con il mondo delle corti e con la cultura d’élite ma è strettamente legato
alla cultura popolare. Le sue opere sono direttamente indirizzate al popolo e il dialetto ha lo scopo di
diffondere le sue opere negli strati popolari della popolazione

Giulio Cesare Croce (1550-1609) nasce vicino a Bologna

Croce, che può essere considerato come una figura di raccordo tra il cantastorie e il venditore di libri,
compone centinaia di operette, in versi e in prosa (spesso fatte stampare a proprie spese, mentre altre sono
ancora conservate manoscritte).

Nei testi, prevalentemente di carattere burlesco e all'insegna della dimensione carnevalesca, l'autore parla
delle classi più umili (come i villani), della vita di città, dell'alimentazione.

La letteratura dialettale di croce è rivolta al popolo, l’utilizzo del dialetto punta ad un’immediatezza
comunicativa

Genere carnevalesco:

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Viene riconsiderato questo genere da uno studioso russo nel 900 che conia il termine del genere
carnevalesco. Categoria che riprenderebbe ciò che accade nelle festività carnevalesche ovvero il
capovolgimento del mondo.

Il rovesciamento dei valori in un’epoca controriformistica porta anche al rovesciamento di tutti i valori
spirituali (troveremo il corpo all’interno di questa tipologia di genere.

Mentre la letteratura dominante troviamo elementi del cuore e della mente nella letteratura carnevalesca
avremo attenzioni al basso ventre cibo e sesso

 Erotismo sfrenato e elemento della deiezione


 L’eroe è il contadino o villano popolare nel contesto urbano della piazza bolognese

Vari sono i generi affrontati: Le opere più celebri sono rappresentate dalle narrazioni in prosa

Es. Le sottilissime astuzie di Bertoldo (1606), in cui si raccontano le vicende del furbo contadino Bertoldo.

La letteratura dialettale napoletana:


Già nel Cinquecento nella cultura partenopea si possono registrare manifestazioni di letteratura dialettale,
nate dall'incontro con la lingua e la letteratura spagnola, sviluppatesi soprattutto all'interno della
dimensione teatrale, e legate a espressioni popolari di piazza.

Nel 600 ci ritroviamo in un contesto tipografico per cui il formato tascabile ha prevalentemente un
destinatario popolare, tutti i libri di croce hanno già una forma popolare

La stampa popolare è una fetta di mercato assestante che ha una codificazione tipografica precisa

Per la letteratura in dialetto napoletano consociamo una fase diversa:

Inizialmente il dialetto si afferma in generi popolari che riguardano la performance

In un secondo momento con Giulio Cesare cortese e Gian Battista Basile.

Giulio Cesare Cortese:


Nel XVII secolo Napoli conosce una notevole fioritura, sia sul piano economico sia su quello urbanistico. In
questa vivace temperie culturale è attivo Giulio Cesare Cortese (1570 circa-1640 circa)

Autore che può essere considerato il primo esponente di una produzione poetica in napoletano

Giulio Cesare cortese tra gli estremi degli altri due autori presenta un utilizzo del dialetto che non arriva agli
usi sofisticati di Basile ma cerca di compiere comunque una scalata sociale.

Cortese trascorre la vita tra varie corti:

Tutta la prima fase di cortese è data dalla volontà di affermarsi nelle corti spagnole e italiane

Una prima produzione poetica in toscano e di natura encomiastica, recentemente riscoperta, dice della
formazione colta di Cortese e delle sue prove nell'ambiente della corte, con il quale tuttavia è mancata
un'integrazione definitiva.

Letteratura riflessa: (benedetto croce) letteratura dialettale riflessa

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Riflessa no come capacità di imitazione del mondo popolare (no dialetto che imita il popolo)

Ma consiste in un utilizzo del dialetto in chiave oppositiva rispetto alla letteratura in lingua Toscana.

Non solo per mettere in evidenza il mondo volgare ma anche per portare il dialetto a dignità di lingua
letterale. Ha ambizioni letterarie tanto quanto quelle scritte in lingua Toscana

La fase di attività in dialetto di cortese va tra il 1612 e 1621, questo frangente non è così casuale

A differenza di Basile si trova a ricevere diverse delusioni dal mondo della corte

Dal 1600 in poi ritorna a Napoli e stampa una serie di opere che apriranno la strada a ciò che farà l’amico
Basile

Tra le sue opere spiccano:

 la Vaiasseide (al 1612 risale la prima edizione nota), ossia "il poema delle serve («vaiasse»), che,
diviso in cinque canti, narra, in ottava rima, della vita della plebe napoletana e in particolare di
alcune serve che decidono di ribellarsi alla loro condizione.
Si racconta di una sorta di ribellione delle vaiasse che decidono di abbandonare il proprio ruolo da
sottomesse e ogni canto si sviluppa come una sorta di lungo battibecco tra le vaiasse.
Tutto attraverso il mondo della piazza urbana napoletana con genuinità linguistica e stilistica
La lingua di cortese è più chiara perché mira all’aspirazione letteraria.
* Dal punto di vista politico carnevalesco appare come concetto rischioso perché rompe le categorie
dominati
Parzialmente vero perché nonostante sia rovesciamento del mondo è momentaneo e spesso
istituzionalizzato

 Da uno dei personaggi della Vaiasseide, il guappo Micco Passaro, prende vita il poema Micco
Passaro 'nnammorato (1619), in cui si narrano le vicende avventurose, con tratti eroicomici, del
protagonista. (viene ripreso il modello alessandrino)
All’interno troviamo paratesti in cui vengono inserite alcune lettere e un testo proemiale
In particolare un testo firmato da Gian Battista Basile utilizzando il suo anagramma
Sorta di reciproca incoronazione letteraria tra lui e cortese

 Viaggio di Parnaso (1621), opera costruita sulla scia di un modello puntuale (il Viaggio di Parnaso
del perugino Cesare Caporali), in cui Cortese, attraverso la descrizione di un viaggio fino al regno di
Apollo, rivendica apertamente una poesia originale basata sull'impiego del dialetto.

GIOVAN BATTISTA BASILE:

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Basile nasce a Napoli intorno al 1572; Vita avventurosa nasce da estrazioni sociali non elevatissime passa un
lungo periodo come soldato viaggiando. Dopo alcuni spostamenti all'interno della penisola e al di fuori di
essa, giunge, nel 1604, a Venezia, dove si arruola al servizio della Serenissima, che lo invia nell'isola di
Candia, allora colonia veneta e sotto la minaccia turca.

A Candia Basile fornisce prova delle sue qualità letterarie e partecipa alle attività dell'Accademia degli
Stravaganti, fondata da Alvise Cornaro. Dopo aver adempiuto i suoi doveri, nel 1608 ritorna in Campania e
successivamente si sposta a Napoli, ha stretti legami con i Gonzaga gode della protezione della sorella
Adriana.

Dopo un breve soggiorno mantovano, tra il 1612 e il 1613, al seguito della sorella, ritorna a Napoli.

Stringe amicizia con Giulio Cesare Cortese, il quale lo cita più volte nelle proprie opere.

Estremo opposto di Giulio Cesare croce: Letterato estremamente consapevole che conosce le lettere
classiche e nelle opere in volgare mette impegno umanistico.

Basile è scrittore che fa un uso disinvolto sia della lingua letteraria tradizionale sia del dialetto. In una prima
fase, tra il 1608 e il 1613, vedono la luce soprattutto a Napoli opere in cui l'autore opta per la lingua
toscana.

Tornato a Napoli compare la figura di Gian Alessio Battatutis, anagramma del poeta con cui firma opere in
napoletano caratterizzate da una visione molto più pessimista da cui emerge il clima negativo delle corti e
del periodo controriformistico.

Dal 1615 fino agli ultimi anni Venti ricopre il ruolo di governatore feudale in varie località meridionali.

Tutto il periodo finale della vita speso a Napoli viene passa gli ultimi anni tra impegni tra i quali governatore
di Giugliano dove muore nel 1632

La scelta consapevole del dialetto, secondo la tradizione inaugurata dall'amico Cortese, si manifesta nelle
Muse napolitane:

Stampate con lo pseudonimo (e anagramma del suo nome) Gian Alesio Abbattutis e di cui oggi è nota
edizione del 1635 (ma non è da escludere l'esistenza di stampe anteriori e oggi perdute)

L'opera, composta di nove egloghe in forma dialogica, ciascuna delle quali intitolata a una delle Muse,
descrive la colorata e brulicante vita della città di Napoli:

Le egloghe sono come nella vaiasseide dedicate ad un argomento tipico

Lo cunto de li cunti:

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L'opera più celebre di Basile, e tra le più significative del Seicento, è Lo cunto de li cunti ('La fiaba delle
fiabe')

Si tratta di una raccolta di cinquanta fiabe, divise in cinque giorni e raccontate da dieci vecchie.

Sebbene il modello decameroniano appaia evidente, la scelta narrativa intrapresa da Basile presenta

differenze notevoli.

Risulta operazione azzardata, difatti, collocare Lo cunto, testo estremamente complesso, all'interno del
genere novella. Basile raccoglie il magmatico materiale fiabesco prevalentemente di origine popolare in un
corpus, strutturandolo in una elaborata forma letteraria e rendendolo fruibile grazie alla freschezza e alla
ricca libertà espressiva del dialetto.

Nello specifico, la lingua impiegata si presenta densa di richiami alla tradizione popolare, con immagini
dall'efficace immediatezza, proverbi e espressioni idiomatiche.

Per quanto collocate in un contesto geografico localizzato, tra la Campania e la Basilicata, luoghi familiari a
Basile, le fiabe del Cunto, scritte a scopo d'intrattenimento, sono immerse in un'atmosfera meravigliosa e al
di fuori del tempo, una tra le ragioni che hanno decretato il successo del testo.

Tra il 1634-36 cominciano ad uscire in diverse stampe lo cunto de li cunti

Libro rappresenta un’assoluta novità per tutta la letteratura occidentale perché cunto è inteso come fiaba,
quindi è effettivamente la prima raccolta di fiabe.

Lo Cunto de li cunti è conosciuto anchecome pentamerone suggerendo un collegamento con il decameron


di Boccaccio:

Parzialmente veritiero ma abbiamo importanti le differenze tra le due opere:

 La differenza sostanziale è tra novella e cunto:


La novella ha impostazione prevalentemente realistica, situata e pochi elementi favolistici sempre
piegati alla rappresentazione di un mondo realistico
Il cunto completamente anti-realistica e falso viene preso come oggetto della narrazione

 L’altra differenza è la cornice: La cornice a differenza del decameron non è separata dalle novelle ma
va a formare il cinquantesimo cunto

La scrittura è fortemente barocca

L’introduzione presenta riferimenti colti perché nonostante il sottotitolo il destinatario è il mondo della
corte, infatti, vediamo elementi colti che si mischiano con quelli popolari.

Ogni fiaba si conclude con una sentenza morale

Ogni giornata con un’ecloga pieno di elementi pessimisti dell’epoca

L’elemento anti-realistico è legato anche alla visione pessimistica della realtà

La reazione al Barocco:

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La stagione delle riforme e il ritorno a un'esperienza fondata sulle regole della tradizione italiana classicismo
che caratterizzano il Settecento si avviano già alla fine del Seicento, quando (nell'ottobre del 1690) un
gruppo di letterati si riunisce per fondare l'Accademia dell'Arcadia, seguendo una serie articolata di spinte e
di interessi, e riprendendo del resto esperienze già maturate nell'ambiente di Cristina di Svezia.

La reazione alla stagione barocca, identificata in larga misura con il modello di Marino, è in effetti solo una
delle ragioni all'origine dell'accademia romana; accanto si colloca la necessità di individuare e difendere, al
di là del declino dell'ultima stagione, una tradizione letteraria italiana di valore, rispondendo alle critiche
che arrivavano dalla cultura francese.

Alla fine del 600 la Francia prende egemonia rispetto all’Italia nel campo letterario e si presenta come la
nazione che dal punto di vista culturale fonda la sua prospettiva su un razionalismo classicistico.

La polemica:

La polemica scatenata dallo scritto di Dominique Bouhours del 1687 (Manière de bien penser dans les
ouvrages d'esprit), indirizzato contro Tasso e contro una tendenza vacua e concettistica che sarebbe stata
propria della poesia italiana nel suo insieme, vede schierarsi non soltanto Giovan Gioseffo Orsi, che pubblica
nel 1703 le Considerazioni sopra un famoso libro franzese, ma anche la migliore cultura italiana, da
Crescimbeni a Muratori, in una difesa convinta dei classici dei secoli d'oro, il 'Trecento e il Cinquecento.

La risposta al Barocco si aggancia dunque a una rivendicazione della Bellezza della volgar poesia, come
recita programmaticamente un'opera fondamentale di Crescimbeni, andata a stampa nella data simbolica
del 1700; su questa base l'Arcadia offre anche, grazie alla nascita delle colonie nelle principali città italiane,
uno stimolo per la costituzione di una sorta di rete nazionale di letterati, e dunque per la nascita di confronti
e collaborazioni, con evidenti effetti di promozione delle linee della riforma letteraria.

Le linee di questa riforma, d'altra parte, non sono pienamente condivise o non sempre del tutto omogenee:
nel contrasto tra la visione dia confronto Crescimbeni, da un lato, che dominerà di fatto tutta la prima storia
dell'Arcadia, con il suo custodiato protratto fino alla morte nel 1728, e quella assai più ambiziosa e difficile
di Gravina, che mira a sottolineare una funzione civilizzatrice del fare letterario, e che si richiama alle origini
antiche, di matrice greca, si intravede una distinzione di prospettive che tornerà a presentarsi più avanti nel
corso del secolo, seppure in altre forme e in altri contesti: da un lato la proposta di una raffinata pratica
letteraria come codice condiviso, base per un radicamento sociale di una classe di intellettuali in rapporto
con le gerarchie politiche e religiose; d'altra parte invece la proposta di una poesia come veicolo di un
messaggio sapienziale, che viene reso accessibile, grazie alla veste universale del mito, a ogni tipologia di
lettore. Malgrado il fascino esercitato da Gravina, sarà la prima linea a risultare più produttiva.

La poesia di primo 700 e Metastasio:

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La concreta produzione di versi in effetti risente di queste direttive: mostrano un'attenzione estrema
all'aspetto formale, la ricerca di un'eleganza ottenuta in un certo senso per sottrazione, attraverso la
selezione di un linguaggio misurato e la costruzione-descrizione di immagini raffinate.

Nel giro di pochi decenni, in questo modo, si definisce una significativa transizione:

 Mentre la primissima stagione d'Arcadia, e soprattutto Gravina, avevano individuato Alessandro


Guidi come modello, anche per il suo simbolico distacco dagli esordi di marca barocca
 Nei primi decenni del Settecento, si definisce una poesia guidata da un ideale di misura, nella quale
alla linea di sperimentazione pindarica si preferisce piuttosto il più sicuro ritorno al modello di
Petrarca

Gli gli esiti, spesso circoscritti ed esili nei temi quanto accurati nella veste, saranno presi di mira come
esercizi di vacuo formalismo dagli intellettuali delle generazioni successive,

In questo quadro matura l'esperienza più importante di primo Settecento, quella di Metastasio. Legato
all'Arcadia sin dal magistero di Gravina, Metastasio è tuttavia capace di guadagnare una progressiva
autonomia, sia e soprattutto di misurarsi con il genere del melodramma, oggetto di una serie di riflessioni
critiche proprio in quegli anni.

L’ARCADIA:

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Istituita a Roma nel 1690.

Il suo periodo di maggior successo e autorevolezza coincide con la guida di Giovan Mario Crescimbeni (fino
al 1728).

Grazie alla cui opera organizzativa l'accademia diviene il centro di una rete internazionale che mette a
sistema varie iniziative riformatrici e promuove la riflessione sulla specificità della tradizione letteraria
italiana.

Il ripristino del buon gusto infatti implica una rilettura critica del passato è formalizzata la cesura
storiografica tra i secoli aurei, Trecento e Cinquecento, e il degenere Seicento marinista e pratiche proposte
di riforma letteraria indirizzate soprattutto alla lirica e al teatro.

La storia dell'adunanza, a dispetto della missione aggregativa, è fatta di contrasti e fratture: fortissima, tanto
da portare allo scisma d'Arcadia, quella fra la concezione della letteratura come fatto retorico-sociale
propria di Crescimbeni - vincente ma con la tendenza a chiudere l'Arcadia in un esercizio vacuo e
conformista - e quella filosofico-civile di Gian Vincenzo Gravina - più complessa ma in prospettiva più
feconda.

Il loro magistero, comunque, e il gusto tipicamente «arcadico» per la regolarità formale, la chiarezza e la
connessione delle idee, l'evidenza nelle descrizioni di oggetti.

Premesse seicentesche:
Alla fine del Seicento, anche per l'influsso dei modelli letterari, filosofici, scientifici e religiosi francesi e
inglesi, si afferma, anche in Italia, l’idea di una generale diversità - e di una tendenziale superiorità - della

modernità rispetto ai secoli precedenti.

Agli occhi dei contemporanei, il confronto con le più dinamiche realtà culturali europee fa emergere,
assieme alla percezione del ritardo culturale dell'Italia e della corruzione del suo gusto letterario, addebitata
a Marino e ai marinisti, la necessità di un rinnovamento e di un rilancio dell'intera produzione poetica e
letteraria.

Tali obiettivi si vanno realizzando nella prima parte del Settecento grazie agli sviluppi di istituzioni, iniziative
e polemiche sorte alla fine del Seicento di cui l'Arcadia si presenta come l'elemento aggregatore.

Cristina di Svezia a Roma:


1655 Cristina Vasa (nata nel 1626), dopo aver abdicato al trono svedese perché convertitasi dal
luteranesimo al cattolicesimo, compie il suo trionfale ingresso a Roma:

Mettendo in atto un mecenatismo diffuso e ricostituendovi, nel 1674, l'Accademia Reale, già istituita a
Stoccolma nel 1653. raccoglie principalmente eruditi e scienziati, ma anche letterati.

Nell'opera poetica di questi autori è presente, ed esplicitamente tematizzata, l'esigenza di distacco dalla
'corruzione' del marinismo, di ripristino dell'eleganza formale e della semplicità sentimentale dei classici
greci e latini, l'imitazione dei poeti trecenteschi e cinquecenteschi.

Inoltre, già nell'ambito dei poeti legati al circolo cristiano si afferma l'uso di riunirsi e leggere testi
all'aperto.

Polemica Bouhours Orsi

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Opera in cui troviamo esaltazione di uno spirito francese contro la messa in evidenza della crisi
della letteratura italiana. Scaglia critica contro Marino e marinisti
La critica della recente poesia italiana (Marino) come pure quella dei suoi grandi (Tasso) diviene del resto
una questione europea quando il gesuita francese Dominique Bonhours pubblica

De la maniere de bien penser dans les ouvrages d'esprit (1687) :

Ciritica i versi degli italiani per la loro eccessiva ornamentazione retorica e la concomitente mancanza di
rispetto per la verità storico-filosofica dei contenuti.

Al punto di vista razionalista di Boubours si contrappongono, negli anni seguenti, gli scritti di vari
intellettuali italiani che difendono i diritti della letteratura nazionale

Troviamo risposte con l’esaltazione dello spirito nazionale italiano che non punta ad una difesa del barocco
ma ritornando al 300 e al 500, gli intellettuali italiani ripiegano su posizioni classiciste

L'occasione polemica, che culmina con le Considerazioni sopra un famoso libro franzese (1703) del
marchese bolognese Gian Giuseppe Orsi (1652-1733):

Animate da un forte nazionalismo letterario, e, costringe letterati italiani a riflettere, criticamente, sulla loro
grande tradizione poetica e la sua specificità.

La fondazione dell’arcadia e le sue vicende:


La prima, indiretta risposta alle critiche del Bouhours è però rappresentata dalla fondazione dell'Arcadia:

Il 5 ottobre 1690 quattordici letterati, tutti appartenuti all'Accademia Reale e originari di ogni parte
d'Italia, si radunano nel convento annesso alla chiesa di San Pietro in Montorio, e istituiscono
l'Adunanza degli Arcadi che evoca insieme
 un luogo reale e mitico -la regione del Peloponneso abitata da pastori dediti al canto e alla poesia-
 un preciso punto di riferimento nella tradizione letteraria - il prosimetro di Sannazaro (e la
tradizione greco-latina da lui raccolta e rinnovata)
 - e un ideale estetico-morale - innocenza, semplicità o naturalezza da contrapporre alle
esagerazioni e agli artifici barocchi.

Emblema dell'accademia è il flauto a sette canne di Pan cinto da rami di alloro e pino; com'è consuetudine,
la titolatura dell'accademia si riverbera sui nomi dei soci - indicati con un nome pastorale e un toponimo
tratto dalla campagna arcadica.

L'ispirazione classicista dell'Adunanza è temperata da riferimenti cristiani: non solo molti dei fondatori sono
religiosi, ma l'unico patrono degli Arcadi è identificato in Gesù Bambino, adorato per primi proprio da
pastori.

L'Adunanza è costruita sul modello della società arcadica ed è un consorzio idealmente egualitario e,
almeno agli inizi, plurale. La sua amministrazione è affidata a un custode generale e a un Vice custode eletti
e coadiuvati dal collegio di dodici membri.

Primo custode è Giovan Mario Crescimbeni (1663-1728) a cui la carica verrà rinnovata fino alla morte.
Grazie alla sua infaticabile opera, l’iniziativa dei quattordici accademici va incontro a grande successo:

Crescimbeni d'altra parte punta a un'estensione massima del sodalizio: apre l'ingresso non solo ai letterati
ma anche a nobili, ecclesiastici, donne e stranieri allincando la produzione degli Arcadi non tanto agli
interessi degli eruditi quanto a quelli, più larghi, della società e dei salotti contemporanei.

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Alla diffusione dei principi arcadici contribuisce anche la «deduzione» delle «colonie» in altre città e
l'Arcadia diviene così una fondamentale infrastruttura culturale, mettendo in comunicazione i letterati (o
aspiranti o sedicenti tali) d'Italia e d'Europa, sollecitando la formazione di un gusto unitario e unificando gli
sforzi di riforma letteraria.

Nel 1696, l'altra personalità più significativa fra i fondatori dell'Adunanza, il calabrese Gian Vincenzo
Gravina.

Tra Crescimbeni e Gravina vi sono dissensi di fondo circa gli indirizzi poetici e la gestione dell'accademia, un
gruppo di altri «graviniani» si staccano fondando la «Arcadia Nuova»

Gravina accusa la vacuità della produzione arcadica e propone un classicismo più severo, inaugura un luogo
comune della critica all'impostazione di Crescimbeni, il quale però, forte del suo controllo burocratico-
amministrativo e della maggiore praticabilità della sua proposta letteraria, esce vincitore dal pur traumatico
«scisma d'Arcadia».

Non solo l'Adunanza non subisce forti perdite, ma, alla morte di Gravina, nel 1717, termina la sterile
esperienza dei Quirini e la scissione è ricomposta e si afferma la linea di Crescimbeni.

Teorici d’Arcadia:
Giovanni Mario Crescimbeni:

Crescimbeni giunge a Roma nel 1681 e si inserisce nella vita accademica della città, partecipando
all'Accademia Reale e alle riunioni di letterati organizzate dal Leonio.

L'opera di Crescimbeni è indissolubilmente legata a quella dell'Adunanza e le fortune di questa alla sua
capacità di costruire proficue relazioni clientelari con la curia vaticana, con nobili e regnanti ad essa legati e
con la Compagnia di Gesù.

I suoi testi poetici valgono come esemplificazione di buon gusto metrico e stilistico, forniscono una base
operativa all'attività organizzativa di cui Crescimbeni si fa carico.

Nell'ottica di Crescimbeni, l'Arcadia è il punto d'arrivo dal quale rileggere tutta la storia della poesia italiana:
ripercorrere il passato vale quindi a celebrare il presente e a dargli autorità.

Nascono così le sue opere di maggior rilievo: la Istoria della volgar poesia (Roma, 1698), affiancata
dall'opera dialogica La bellezza della volgar poesia:

La bellezza della volgar poesia (1700-1712) ripercorre storia poesia italiana e propone un modello di
poesia che si sottragga alla rappresentazione mitologica, bisogna riprendere la figura di Pindaro

Si propone una lingua e una poesia decorosa perché lo scopo ultimo è trasformare la poesia in un
codice sociale con cui i letterati comunicano

Questa prospettiva porterà ad una forma di conformismo e svuotamento delle forme poetiche

Quello di Crescimbeni è un ideale poetico semplice e operativo, impiegato per giudicare i secoli
precedenti, non esclusivo ma realizzabile da molti, in una dimensione di sociale condivisione.

Ciò che, per Crescimbeni, il secolo, orgoglioso della propria superiorità e diversità, ricerca è lo stupore non
dello strano ma della perfezione formale, dell'originalità nell'imitazione, dell'esattezza del gusto.

A questo ideale è ispirata la regolamentazione dello stile del sonetto nel quale l'equilibrio dello svolgimento
argomentativo all'interno delle partizioni metriche e le scelte elocutive non ammettono errore.

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Di qui l'invito rivolto ai poeti alla regolarità e perspicuità comunicativa, al decoro, necessari affinché la
poesia diventi elemento di socialità:

Alla sua morte Crescimbeni lascia un'accademia numerosa e ben radicata, ma legata a un gusto poetico che,
pur trionfante, chiude l'Arcadia nel conformismo, allontanandola da un progetto riformista.

Giovan Vincenzo Gravina:

Pur sconfitta, la proposta critica di Gravina, filosoficamente molto più agguerrita di quella di Crescimbeni, è
fondamentale sia per comprendere la temperie culturale dell'Arcadia, sia per l'influenza diretta su
Metastasio.

Formatosi all'insegna del razionalismo, prima a Scalea (1650-1715), poi dal 1680, come giurista e classicista,
nella Napoli antigesuitica e libertina.

Giovan Vincenzo Gravina giunge a Roma nel 1689;

Il ripristino del buon gusto è l'obiettivo che lo accomuna a Crescimbeni nella fondazione dell'Arcadia,

ma nel razionalismo di Gravina esso dipende da una concezione non retorico-sociale ma filosofico-civile
della poesia: essa è un medium per comunicare verità sapienziali e contribuisce ad attuare una riforma
etico-morale fondata sulla fiducia nella capacità della ragione umana di liberarsi da dogmi e pregiudizi per
giungere alla verità sulla base di precetti tratti da pseudo-interpretazioni della poetica d'Aristotele, Gravina
contrappone una «scienza poetica», una critica filosofico-razionale che nella poesia apprezza la massima
vicinanza dell'imitazione alla natura quale essa è, nobile ed ignobile, sia con la «favola», sia con le «parole»
e la versificazione.

L’idea di poesia da cui dipende, implicano anche un giudizio negativo sulla poesia italiana contemporanea,
affidato a

Della Ragione poetica:

Esalta valori razionalistici della poesia ma non in chiave retorico sociale ma in funzione filosofico
civile considerandola mezzo per divulgare concetti al popolo grazie anche alla rappresentazione
finzionale e recupero del mito. Gravina vi critica la pseudo-imitazione dei greci da parte di Chiabrera
e dei suoi seguaci.

La funzione della letteratura di connettivo fra i filosofi e il popolo si esplica soprattutto nell'epica e
nel teatro

Al di là degli esiti poetici, le tragedie e il trattato, costruiti in opposizione alle tragedie francesi e ai
disprezzati libretti per musica, sono i punti teorici e pratici da cui muoverà Metastasio che, pur
distaccandosi molto dal maestro, ne erediterà la cura per l'organicità della favola, l'impostazione
logocentrica, la somministrazione di temi filosofici incorporati nei personaggi e nelle loro vicende.

PIETRO METASTASIO:

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Discepolo di Gravina, uomo di spettacolo nei teatri d'opera italiani, poeta ufficiale della corte asburgica di
Vienna per cinquant'anni e tre imperatori: questa la carriera, (quasi) senza insuccessi, di Pietro Metastasio
riformatore dell'irriformabile dramma per musica.

Contro gli eccessi barocchi ma anche contro gli anatemi arcadici Metastasio si dedica al teatro per musica:
opta per un dramma logocentrico ed antropocentrico. La poesia è guida di tutte le arti

Centro del dramma metastasiano è poi la vita interiore dell'uomo, analizzata nelle passioni, soprattutto ma
non solo amorose, di personaggi 'grandi ed 'anime belle" la loro forza tumultuo- sa fa dell'uomo un essere
instabile - paralizzato dal dubbio o accecato dal desiderio -, un campo di forze contrastanti che solo grazie
alla ragione.

La tragedia metastasiana punta così a una drammaturgia della felicità, sia per il diletto che procura, sia per
l'utile che propone mettendo inscena modelli positivi: il teatro musicale diviene un luogo d'educazione il
gusto per la cantabilità, per l'ordine compositivo, per l'accurata connessione delle idee e per la precisione e
la sensibilità nel rappresentare l'animo umano, decreteranno l'enorme fortuna dei drammi e delle liriche di
Metastasio.

Questo dissidio delle passioni è iscritto nella poetica di Gravina ovvero che ci debba essere il diletto del
lettore ma deve servire al progresso sociale, avere una funzione sociale.

*Attenzione verso il gusto del pubblico.

Discussione sul melodramma del 600:

Il melodramma veniva ritenuto irriformabile (soprattutto dall’Arcadia) perché innesso ad una prospettiva
barocca con spettacolarità sia nella sceneggiatura

Nella fase barocca il canto più viene più accentuato rispetto al parlato

Questa impostazione cambia a fine 600 con un primo autore che riforma la scrittura melodrammatica
Apostolo Zeno che si dedica ad un teatro logocentrico, la parola riacquista la sua centralità e viene divisa la
parte recitativa dal canto

La sua produzione può essere divisa in tre fasi fondamentali:

1. Fase napoletano romana in cui il teatro è più sperimentale: L’opera che raggiunge maggior successo
è la Didone abbandonata
2. 2: Fase viennese dal 1730 quando Metastasio viene nominato poeta cesareo a Vienna mantenendo
la carica fino alla morte
Divisibile in 2 momenti:
 Piena affermazione con equilibrio tra teatro di conflitti e virtù: olimpiade e la clemenza di Tito
 Ultima fase: L’elemento legato all’istruzione assume preponderanza e quindi fase meno accesa

Nasce a Roma nel 1698

Rivela fra i dieci e gli undici anni straordinarie capacità di «parlare in versi su qualunque suggetto così
d'improvviso» Giovan Vincenzo Gravina (1664-1718) lo nota, lo sceglie come discepolo, gli grecizza il
cognome in «Metastasio» e lo educa alla lettura dei classici greci e latini è allievo devoto ma indipendente:
di nascosto legge anche gli sconsigliati o proibiti Tasso, Guarini e Marino.

Nel 1712 Gravina conduce Pietro a Napoli per completarne la formazione filosofico-politica all'insegna del
razionalismo.

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Il maestro introduce il fanciullo ai princìpi della filosofia di Descartes al trattato cartesiano di psicologia Les
passions de l'âme (1640), basilare per l'analisi dell'interiorità e la costruzione dei futuri personaggi e
drammi metastasiani.

La morte di Gravina (6 gennaio 1718), che lascia l'allievo prediletto suo erede materiale e spirituale, segna
una cesura.

 Il 15 aprile 1718 Metastasio entra in Arcadia

Il quinquennio a Napoli, dal 1707 capitale del Viceregno asburgico, sarà decisivo:

Metastasio avrà tutta una serie di occasioni teatrali destinate a spettacoli privati per un pubblico
aristocratico che portano l’autore sostanzialmente fuori dall'ortodossia arcadica che considerava non
riformabile l'ircocervo barocco dell'opera.

Esse rappresentano quindi il tirocinio di Metastasio nel vorticoso mondo dello spettacolo napoletano e delle
sue esigenze la possibilità di sperimentare situazioni drammatiche e uno stile capace di verbalizzare le
passioni»

Nel carnevale 1724, trionfa la Didone abbandonata.

Il dramma - Enea abbandona l'innamorata Didone, amata dal re africano larba, mentre Selene, sorella della
regina, è innamorata segretamente di Enca e amata da Araspe, confidente di Iarba - è costruito tutto sulla
volitiva ed impulsiva figura di Didone, Il dubbioso ondeggiare fra una ragione e laltra, fra un affetto e l'altro -
moto continuo che porta alla paralisi e mette in questione la propria identità e la propria missione - è un
tratto tipico di moltissimi eroi metastasiani, come pure è tipica la contemporanea presenza nell'animo di più
istanze e passioni, anche fra sé contrarie

Si fa così poeta delle emozioni e degli stati d'animo, autore di drammi in cui conta il percorso di formazione
morale

 Metastasio viene invitato a succedere ad Apostolo Zeno (1668-1750) nella carica di poeta imperiale.

Giunge a Vienna nel 1730 e ci resta fino alla morte

Questi anni segnano il culmine e il declino del teatro di Metastasio si concentra perciò su una
semplificazione dei drammi, poco concedendo alla spettacolarità scenica ma curando attentamente la
funzione drammatica della gestualità dei personaggi e l'approfondimento della loro psicologia, d'altra parte
enfatizzando la riflessione sulla regalità in funzione educativa.

Tutto ciò è ottenuto con estrema povertà di mezzi: massima semplicità ed essenzialità sono l'ideale cui
Metastasio punta per rendere comprensibile.

Olimpiade: In cui vediamo soprattutto patetismo amoroso e l’eroismo amicale


Il re Clistene ha posto la bella figlia Aristea amante riamata del principe ateniese Megacle come premio al
vincitore delle gare di Olimpia: 'impaziente Licida, creduto principe di Creta, se ne è innamorato, disperando
di poter più rivedere Argene - anch'essa in Elide sotto spoglie pastorali e col nome di Licori =, il matrimonio
con la quale era stato impedito dal re di Creta.

Inesperto di esercizi ginnici ed ignaro degli amori di Aristea, Licida chiede al generoso amico Megacle - già

pluricampione olimpico - di venire da Creta e gareggiare sotto suo nome.

La tensione fra doveri d'amicizia e d'amore raggiunge l'apice alla metà del II atto: Megacle ha vinto le

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gare e Aristea che lo ha riconosciuto attende trepidante di gioirne.

Nel drammatizzare il loro incontro Metastasio ripercorre uno a uno gli anelli delle connessioni logico-
sentimentali che dall'euforia conducono alla disperazione e l'aria che conclude la scena X, anziché
cristallizzare il recitativo in un paragone o in una sentenza, prolunga il dramma semplicemente riducendolo
alla sua essenzialità.

La pedagogia delle virtù regali, sospesa nell'Olimpiade culmina con la Clemenza di Tito (1734), che
ripropone, in versione estremizzata, l'idea per la quale il re deve vincere incertezze interiori e remore
private agendo nel solo interesse del popolo di cui egli è la guida scelta dalla Divina Provvidenza.

La morte dell'imperatore conclude la prima e più felice stagione creativa viennese.

Muore nel 1782

GIOVANNI BATTISTA VICO:


Nasce a Napoli nel 1668

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Giovanni Battista cresce fra i giuristi e i filosofi e la sua formazione comprende lo studio della filosofia antica
e moderna, dei classici latini e volgari.

 Nel 1699 vince il concorso per il posto di lettore d'eloquenza all'università

Quando proverà ad accedere a posizioni più importanti riceverà diverse delusioni

Vico vive la fase di primo 700 in cui lo sguardo viene rivolto ad una rilettura del passato che può essere
condotta in due modi:

• con l’attenzione al dato di fatto inteso come successione degli eventi svestendosi dei principi di autorità

• Oppure metodo portato avanti in Francia da Voltaire e gli illuministi: non guardare ai singoli eventi ma
all’evoluzione della società e delle istituzioni

Nella prima opera di Vico troviamo questa impostazione

De antiquissima Italorum sapientia:


I primi principi della sua attività filosofica li troviamo in quest’opera

Pubblicata nel 1710

Dell'opera, pensata in tre parti, resta solo la prima, il Liber metaphysicus.

Mantenendo uno sfondo metafisico cristiano ci vengono illustrati i due principi della sua filosofia:

 Factum: i fatti
 Verum: la verità che appartiene ad una dimensione assoluta (dimensione divina)

Le scienze che hanno l’ambizione di conoscere il mondo nella sua verità ultima così come creata da dio
hanno un’ambizione che verrà delusa perché non raggiungibile.

Alla scienza è occlusa la possibilità di arrivare al vero

I fatti invece sono ciò che l’uomo può veramente conoscere (ciò che l’uomo può fare)

La conoscenza possibile è su ciò che l’uomo ha fatto: Quindi bisogna guardare alla storia.

In questa prima opera l’attenzione di Vico cade anche sulla sfera corporale perché l’uomo fa e conosce
attraverso il corpo:

Parla della fase della fanciullezza in cui l’uomo conosce il mondo attraverso il corpo

Da qui partono una serie di riflessioni sulle diverse fasi della società corrispettive alle fasi delle età
dell’uomo.

Vico vi prosegue la critica al pensiero cartesiano: del basilare cogito ergo sum è negata la capacità di
fondare la conoscenza in esseri formati da mente e corpo

E cerca di ricostruire, a partire dalle tracce rimaste nella lingua (soprattutto latina), la sapienza metafisica
dei popoli italici pre-greci.

Nel rapporto sinonimico tra le voci verum e factum, Vico vede il fossile linguistico di un'antichissima verità
filosofica: è vero - quindi conoscibile - solo ciù di cui si è causa, ciò che si è prodotto.

E’ alla Scienza nuova che Vico, lavora fino al termine della sua vita, priva di avvenimenti significativi.

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La Scienza nuova:
L’opera dal punto di vista letterario rappresenta un punto di svolta:

L’obiettivo della scienza nuova per Vico è trovare scienze eterne che appartengono ai popoli storici

Questi sono mossi da alcune leggi che sono uguali per tutti i popoli e che possono essere scoperte
rileggendo i fatti a partire dalle origini = elemento di maggior conoscenza (anti cartesianesimo)

*Forma di storicismo = idea che sia possibile leggere all’interno della storia un processo che coincide ad un
principio unitario

Dell’opera abbiamo 3 edizioni:

 1725
 1730
 E una postuma del 1744

La «scienza nuova» di Vico è la filologia:

Non è da intendere solo in senso specialistico ma col significato di ermeneutica in cui effettivamente la
filologia ha una parte decisiva perché ricostruisce la verità dei fatti.

La filologia va poi a legarsi alla filosofia perché ciò che fa l’uomo non deve essere solo ricostruito ma anche
interpretato.

Essa è

 «scienza» perché conosce le leggi eterne del «comune» divenire storico di tutti i popoli gentili
 «nuova» appunto perché per la prima volta è presentata come scienza, metodologicamente pari e
negli esiti superiore a quella della natura, L'importanza del metodo, cui è dedicato il libro I.

L’opera è suddivisa in diversi libri ed è costruita attraverso degli assiomi brevi che indicano i principi
fondamentali di questa scienza nova

*Gli assiomi vengono impiegati per illustrare una Tavola cronologica della storia universale dalle origini del
mondo alla fine della seconda guerra punica (202 a.C.): su di essi si fonda la nuova scienza.

Dentro l’uomo risiedono i principi primi della storia e del suo sviluppo, principi mentali comuni a tutta
l'umanità e dipendenti, in ultima istanza, dalla provvidenza divina che li ha determinati.

Per ricostruire i fatti storici è necessario conoscerne le cause, risalire alle circostanze spirituali in cui gli
uomini li hanno prodotti: la storia è prima di tutto storia dello sviluppo spirituale dell'uomo come singolo e
come specie, delle leggi immutabili che regolano tale sviluppo.

Tra gli elementi che Vico individua per leggere l’evoluzione della storia umana sono gli eventi fondamentali
delle istituzioni

L'umanità, infatti condivide alcune strutture fondamentali di pensiero che si concretizzano in istituzioni ed
usanze comuni a tutti:

 il diritto naturale
 la religione: modo in cui l’uomo formalizza il suo spirito

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 le nozze: cellula essenziale della società, quando l’uomo inizia a costituire famiglie costruisce società
 la sepoltura dei morti: quando inizia a seppellire i morti inizia ad essere civilizzato

Risalire alle verità originarie dell'uomo implica indagare le più antiche usanze e forme di espressione,
soprattutto linguistica, poetica in particolare.

Il metodo di Vico non è archeologico ma è una sorta di archeologia linguistica, l’ermeneutica della scienza
nuova di applica al linguaggio e ai reperti linguistici delle società che si sono succedute

Tornare ai reperti delle civiltà originarie significa tornare ai testi poetici

Nelle narrazioni mitologiche e immaginose i testi poetici esprimono il pensiero, la sapienza degli antichi, il
modo in cui i poeti crearono - giusta l'etimologia per cui «poeta» vale «creatore» - il sapere, i costumi e le
istituzioni dell'umanità delle origini:

Iliade e Odissea vengono viste come le due opere che descrivono lo stato dell’uomo europeo nella sua
fanciullezza.

*Vico sarà tra i primi a porre il problema della questione omerica:

Omero - di cui nel III libro della Scienza nuova è negata l'esistenza come individuo ma non la realtà storica in
quanto coincidente col popolo greco, diviene quindi il deposito della antica sapienza greca e
dell'espressione della giovinezza dell'umanità.

I Testi vengono visti come portatori e testimoni di una civiltà e i miti servono ad istruire il popolo e a
tramandare le usanze es. rito della morte descrizione dettagliata nell’ Iliade

Tre età delle umanità:

Così come l’individuo ha tre età così le civiltà hanno tre stadi

 Età degli dei: corrisponde all’età della fanciullezza dominata dai sensi e l’immaginazione

L’uomo conosce il mondo con sensi e immaginazione e lo trasmette con il linguaggio poetico

 Età degli eroi: corrisponde all’età della giovinezza dominata dalla passione e dalla istituzione e
solidificazione delle istituzioni create dall’uomo.

 Età degli uomini: corrisponde all’età della maturità in cui il linguaggio degli uomini si spoglia
dell’immaginazione

Dopo queste tre età si apre un’età di decadenza e poi ripartono le tre età.

L'idea di poesia è radicalmente diversa da quella governata dal buon gusto e dalla ragione dominante nelle
teorie arcadiche. Afferma quindi e difende l'autonomia, la specificità gnoseologica della poesia contro le
forme della conoscenza logicorazionale.

Per Vico la poesia non è semplicemente un ornamento ma Vico rivendica l’autonomia della lingua poetica

Poesia: produzione che attraverso immaginazione e tecniche linguistiche danno vita ad un documento che è
impossibile trovare in altre forme di linguaggio che appartengono all’uomo.

Senso e fantasia danno corpo a un universale fantastico, un'immagine che contiene una verità generale.

La graduale astrazione dei popoli porta all’aridità dell’immaginazione e di scoperta del corpo (fanciullezza
poesia intelletto no)

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D'altra parte, ogni età (facoltà) non esclude ma prevale sull'altra e il progresso dall'una all'altra, che implica
mutamenti di ordine sociale e politico, non è necessario né irreversibile.

Metafora:

La metafora diventa per Vico uno strumento di conoscenza vero e proprio, non ha niente di ornamentale
ma è il mondo in cui conosce il mondo attraverso una mediazione linguistica

Essendo la metafora un accostarsi due campi semantici rappresenta in realtà l’accostarsi di due sensazioni
diverse che creano conoscenza:

Es. il fatto che l’uomo primitivo si immagina il dio che scaglia il fulmine elementi dell’uomo valori spirituali
elementi di conoscenza. (Possiamo considerare favole metafore che danno conoscenza)

La scrittura di Vico è influenzata dal barocco ma contiene forte elemento di distacco perché il barocco
valorizza l’elemento conoscitivo della metafora attraverso lo stupore, per Vico l’obiettivo è la conoscenza.

Assiomi:
• 16: Idea che le tradizioni volgari (popolari) mantengono dei principi di vero

Idea che le tradizioni dei popoli si trasmettono per lunghi millenni e si ricoprono di falso che la scienza
nuova deve liberare

• 17: La scienza storica può agire attraverso il parlare volgare, indagare sul linguaggio

• 20: Comparsa di Omero.

• 32: Sorta di spiegazione del principio metaforico che secondo Vico regge la mente umana.

L’uomo non conoscendo metaforizza i fenomeni attraverso la propria esperienza

Metafora come principio di conoscenza dell’uomo.

• 33: Metafisica Cristiana alle spalle, volontà divina assoluto lontano dal metodo che l’uomo può
costruire per conoscere per i fatti storici

• 35: Ignoranza che suscita meraviglia mentre nel barocco è la complessità che suscita meraviglia

• 36: Quanto meno l’uomo è evoluto rispetto alla conoscenza e all’astrazione

• 37: Essenza del pensiero di Vico sulla poesia. La poesia da senso alle cose insensate attraverso la
metafora facendo l’uomo regola dell’universo. Tutto grazie alla capacità immaginativa

• 52: Primo modo di conoscere dei fanciulli è imitare. Se i fanciulli imitano per conoscere anche i
popoli antichi conoscono attraverso l’imitazione della natura

• 53: Parla dei tre corsi. Poesia che viene prima della filosofia e che ha alla base le tradizioni popolari

CARLO GOLDONI:
Il percorso di Goldoni nella letteratura italiana del Settecento è segnato in primo luogo dalla proposta di una
riforma, da un'azione di rinnovamento all'interno del teatro comico

Di questa riforma Goldoni è certo l'interprete più significativo è infatti proprio Goldoni ad accreditarsi come
protagonista di un rinnovamento, di un passaggio di modernizzazione delle pratiche teatrali.

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Si fronteggiano, da un lato le convenzioni e gli stereotipi della commedia dell'arte, dall'altro un nuovo teatro
fondato sulla cura dei personaggi e dei testi, pensato in rapporto alla grande letteratura europea.

Il passaggio tra vecchio e nuovo avviene dunque con lentezza e gradualità, persino con un'area di ambigua
convivenza tra pratiche teatrali assai differenti.

E tuttavia, anche al di là di una comprensibile autopromozione, il ruolo di Goldoni e la sua interpretazione


del teatro contemporaneo rimangono uno snodo decisivo.

Il legame con Venezia:

Tutte le sue opere sono legate in modo diretto o indiretto a una città: Venezia, che rappresenta lo scenario
prevalente.

Oltre a doversi scontrare con l’esigenza di dover piacere al pubblico, dato il cambiamento della figura
dell’intellettuale a Venezia Goldoni costretto ad agire nel mondo degli impresari

Il mondo del teatro particolare veneziano è simbolico dal punto di vista del cambiamento di quest’epoca
perché mettere in scena una commedia vuol dire dover interagire con una serie di specialisti che
collaborano alla sua produzione es. artigiani della scenografia compagnia di attori impresari

L’opera non è più agganciata al teatro di corte, qui bisogna soddisfare il pubblico pagante

In Italia la forma teatrale è quella della commedia dell’arte quindi con poca presenza dell’autore

Non c’è una forte tradizione della tragedia e solo con Alfieri avremo questa tradizione che però non si
affermerà mai nella tradizione popolare.

Goldoni nasce a Venezia nel 1707 da una famiglia borghese (ciò incide profondamente sulla propria vita
artistica) Compie la sua formazione di giurisprudenza tra Perugia Chioggia e Venezia.

Questa formazione irrequieta si lega subito alla scrittura teatrale.

Una prima fase della vita di Goldoni è scissa tra le esigenze di rispondere ad una professione borghese
voluta dal padre (avvocato) e la vocazione teatrale:

Il suo esordio teatrale è legato ai moduli della commedia dell’arte

L’autore, in questo momento, è uno scrittore di trame che hanno come protagonisti le maschere fisse
tipiche italiane:

Crea un canovaccio ma poi le battute sono tutte demandate all’improvvisazione degli attori.

L’opera teatrale per funzionare aveva quindi come requisito principale dei buoni attori.

E la mancanza di opere completamente scritte, con protagonisti sempre le solite maschere fisse facevano si
che spesso si spostassero gli elementi d’intrattenimento sulla scenografia ecc (tradizione barocca di
stupore) perché le commedie in se risultavano tipizzate.

Negli Anni 30 inizia a concepire diversamente il teatro, inizia la sua riforma con dei passaggi graduali:

Goldoni avvertiva l’esigenza di riprendere figure che richiamino l’attesa dello spettatore, abituato alla
commedia dell’arte.

 Nel 1731: costretto in certa misura dalla morte del padre, Goldoni prende infine la laurea in legge e
l'anno dopo comincia ad esercitare la professione di avvocato a Venezia.

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Ma ciò non cancella la tensione per la scrittura di teatro: dopo una serie di prove minori che valgono da
laboratorio di sperimentazione:

 dal 1734 inizia infatti a collaborare con il teatro San Samuele di proprietà Grimani e con un altro
teatro.

Prende avvio così una stagione fitta di opere:

 nel 1738 Goldoni scrive il Momolo cortesan:

Una commedia nella quale accanto alle indicazioni sommarie riservate agli attori, la parte del
protagonista è scritta per intero, precisata in battute definite.

Certo è che il Momolo cortesan rappresenta da subito, una svolta: la mediazione tra una sezione scritta e
parti lasciate invece all'improvvisazione degli attori.

I primissimi anni Quaranta sono fitti di scritture, e questa sperimentazione più avanzata va di pari passo con
la composizione di canovacci, opere buffe, melodrammi, prima di un nuovo scarto:

 la commedia La donna di garbo, composta nel 1742-1743, rappresenta il primo caso di commedia
interamente scritta, con battute definite per tutti gli attori.

Nel periodo del San Samuele Goldoni mette dunque a fuoco gli elementi chiave della sua riforma:

lo fa attraverso un rapporto serrato con il pubblico veneziano insieme con le compagnie degli attori

La proposta di una innovazione conviva in Goldoni con una parziale conservazione dei moduli della
commedia dell'arte, proprio in ragione del necessario spirito di mediazione con quella che era la pratica
degli attori, affermatasi e raffinata nel corso di generazioni.

Ed anzi proprio l'alternanza nella produzione goldoniana tra testi più tradizionali e altri più innovativi si può
almeno in parte spiegare con il rapporto quotidiano con le compagnie teatrali, con il gusto del pubblico, con
le richieste degli impresari e, non ultimo, con la concorrenza agguerrita di altri scrittori attivi nella scena
teatrale veneziana.

 Goldoni nel 1744 è costretto a lasciare Venezia per ragioni economiche, si stabilisce a Pisa.

Qui riprende a esercitare la professione di avvocato, continuando però a comporre, a distanza, opere per il
teatro veneziano.

In questo periodo pisano cade anche aggregazione all'Arcadia

 Il triennio pisano si chiude nel 1748 e segna anche la chiusura della stagione del Goldoni avvocato.

 Poco dopo il ritorno a Venezia:

Da questa fase in poi si apre la fase centrale della riforma del teatro di Goldoni:

Nel l 1748 apre il periodo in cui si afferma come autore di teatro veneziano e ha il suo contratto più
importante:

Goldoni sottoscrive un contratto per cinque anni con l'impresario Girolamo Medebach,
impegnandosi a comporre per ogni stagione otto commedie e due opere musicali

Inizia una stagione intensa, con le opere più significative che, composte accanto a drammi e opere buffe,
risultano tutte calate nel vivo della società veneziana.

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Quella dal 48 al 53 sarà la fase più importante perché le commedie vengono messe in scena in uno dei
maggiori teatri veneziani: Sant Angelo

Accanto a questa analisi prospettica del mondo veneziano

 Nel 1750 Goldoni realizza con il Teatro comico una riflessione e una rappresentazione della sua
riforma:
La commedia, di impostazione metateatrale, mette infatti in scena una compagnia di attori che
provano una commedia dello stesso Goldoni e che in questo modo, discutendo del testo, mettono
in luce le novità dell'esperienza goldoniana.

 Sempre nel 1750 data anche la presenza di molti nemici della riforma teatrale dell’autore nella
lunga prefazione al primo volume delle sue opere, Goldoni offre una versione nitida dei modi e
degli obiettivi del suo nuovo teatro:

Mondo e Teatro:
Lo studio del «Mondo» come una palestra per l'analisi e la comprensione delle passioni umane, nella
dinamica continua tra vizi e virtù e nell'inesauribile varietà delle esperienze umane; lo studio invece del
Teatro» per acquisire i colori utili a «far impressione sugli animi», a conferma della curvatura morale che
Goldoni imprime alla sua istanza di riforma;

Mondo e Teatro, con il corollario di una scrittura prossima alla «Natura», diventano così i due poli che
orientano la scrittura, in una combinazione di analisi di costumi e realtà e di abile resa scenica. In questo
scambio tra realismo e mestiere, tra natura e artificio, il dato cruciale è che Goldoni si offra soprattutto
come portatore di un intento educativo sul pubblico contemporaneo.

Dunque, i due cardini attorno ai quali Goldoni costruisce le trame delle sue commedie sono:

 Il mondo: la realtà quotidiana che, saputa osservare, offre un vastissimo campionario di personaggi
e situazioni" da commedia"

 Il teatro: la pratica scenica, la capacità di saper guardare con distacco il risultato della propria opera,
intuendo i gusti del pubblico e dunque, il modo migliore per suscitare l'approvazione.

Tutte le commedie sono riconducibili ad una volontà di rappresentare il mondo così com’è senza tipi fissi,
personaggi che hanno una loro lingua (uso del dialetto) e una loro psicologia.

Il mondo è inteso come stratificazione sociale e psicologica

E personaggi proprio per staccarsi dai caratteri fissi vanno nella direzione dell’approfondimento psicologico

Nel fare questo, da uomo di spettacolo e in un Settecento in cui il teatro era anche una vera e propria
impresa commerciale, si rendeva conto di non poter fare a meno del consenso del pubblico pagante.

E dunque i due poli della ricerca sperimentale goldoniana furono questi: il mondo, così com'è e non come lo
vorremmo o lo immaginiamo; e il teatro, nel senso della concreta pratica teatrale, di quell'insieme di
espedienti e misure che l'esperto autore sa di poter mettere in campo per attirare il consenso degli
spettatori

 La locandiera viene scritta nel 1752 e messa in scena nelle prime settimane del 1753 al teatro
Sant'Angelo: Ci troviamo già nella fase finale di questa produzione pienamente riformata anche
perché nel 1753 ci sarà la rottura definitiva tra Goldoni e l’impresario.

La locandiera:

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Ad animare e governare la scena è la figura di Mirandolina che, nell'ambiente ristretto di una locanda,
orchestra una composita schiera di corteggiatori: con la sua vitalità, e con un sapiente dosaggio di fascino e
vezzi, Mirandolina non solo attrae il conte di Albafiorita e il marchese di Forlipopoli, ma riesce nel
capolavoro di fare innamorare un cavaliere misogino, da sempre ostinato nell'odio contro le donne.
Compiuto il suo proposito, e di fronte dunque alla possibilità di nozze che sanciscano un'ascesa sociale, la
donna alla fine decide di sposare Fabrizio, il giovane cameriere della locanda.

 La parte centrale degli anni Cinquanta si rivela un periodo in ombra, nel quale Goldoni matura
progressivamente una visione meno fiduciosa ed empatica rispetto al contesto di Venezia

L'ammirazione verso la borghesia cittadina si va spegnendo e così anche quell'ideale di operosità


dinamica e aperta che aveva caratterizzato gli anni precedenti.

Se alcune sue opere avevano destato polemiche per lo sguardo ironico rivolto verso le classi nobiliari
(esemplare da questo punto di vista la Locandiera), alla metà degli anni Cinquanta le tonalità del prudente
riformismo goldoniano si fanno così meno convinte ed efficaci.

 Goldoni approda a Parigi nell'agosto 1762 e si trova d'improvviso calato in un contesto assai diverso
rispetto al mondo veneziano.

Gli Italiens della Comédie propongono al pubblico parigino un programma composito, articolato tra testi
musicali e testi ancora legati alla tradizione della commedia dell'arte.

Il cammino della riforma portato avanti da Goldoni in Italia deve dunque essere in parte accantonato, in
nome di un adattamento a un sistema culturale diverso.

Goldoni, costretto a una linea di mediazione:

- da un lato la proposta di scenari per il pubblico francese, alla ricerca di una tessitura semplice,
mirata al divertimento
- dall'altro l'invio di commedie a Venezia al Vendramin, in parte per rispettare obblighi di
contratto, in parte per proseguire su una linea di scrittura che non aveva echi in Francia

Goldoni, ormai avanti con gli anni, è d'altra parte impegnato nella gestione a distanza della propria opera e
nella promozione del suo ruolo, che passa anche attraverso gli incontri con i principali intellettuali francesi,

 Nel 1783, avvia la composizione dei Mémoires, un'autobiografia scritta significativamente in


francese

L’ILLUMINISMO:
Si definisce abitualmente Illuminismo quel movimento, sviluppatosi in Europa nella seconda metà del
Settecento, che si propone di lottare contro tutti i residui irrazionali perduranti nella vita politica,
economica, sociale, morale, intellettuale e contro l'ignoranza, i pregiudizi, che valgono a perpetuarli.

 L'arma assunta per questa lotta è la ragione: i principi razionali, per spazzare via le cause di
oppressione e di infelicità degli uomini.

Secondo gli illuministi occorre sottoporre all'esame libero e critico della ragione tutte le manifestazioni della
realtà, accettandole o respingendole a seconda che esse reggano o meno a tale esame.

In tutta Europa la ragione viene assunta come metro di giudizio assoluto, gli illuministi guardano al passato
(soprattutto al Medioevo) come a una lunga serie di errori e di aberrazioni e ne sottopongono a critica tutti

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gli istituti politici, giuridici, culturali e religiosi, respingendo ogni pretesa di legittimità fondata solo sulla
tradizione, sull'autorità e sulla fede; sono inoltre convinti che la loro età segni una svolta fondamentale nella
storia: Vi è dunque negli illuministi un potente slancio ottimistico.

La tendenza a privilegiare le sensazioni e i sentimenti si instaura in particolare a partire dalla seconda metà
del secolo quando il razionalismo è corretto dal sensismo.

Le radici culturali di tutti questi atteggiamenti illuministici sono facilmente individuabili nella nuova
scienza di Copernico, Galilei, Bacone, Newton, nel razionalismo cartesiano e nel pensiero empirista
inglese - di cui John Locke (1632-1704) fu il principale teorico.

Il terreno di sviluppo e di irradiazione dell'Illuminismo è soprattutto la Francia

Il movimento illuminista è infatti espressione della classe emergente nell'Europa del Settecento: la
borghesia, che aspira a diventare classe dirigente impadronendosi del potere ed esercitando la sua
egemonia su tutta la società.

Ciò non vuol dire che gli intellettuali illuministi provengano esclusivamente dalle file della borghesia; spesso,
anzi, sono aristocratici di nascita, ma si fanno comunque portavoce della visione e delle esigenze della
classe emergente. Questa, per affermarsi, deve disgregare le vecchie strutture monarchiche e assolutistiche
che ne bloccano lo sviluppo, e liberarsi dall' egemonica oppressione dell'aristocrazia feudale e del clero.

La fiducia nella ragione, come forza che può trasformare il mondo, diventa quindi l'emblema della
borghesia.

Tuttavia, gli intellettuali illuministi non prevedevano che lo scontro tra la borghesia e il vecchio mondo
avrebbe prodotto uno sconvolgimento tanto violento e auspicavano, al contrario, il trionfo della ragione per
via pacifica e indolore, attraverso riforme determinate dall'alto dai sovrani "illuminati", conquistati dalla
nuova "filosofia”

L’illuminismo italiano:
Se l'Illuminismo francese prende le mosse dall'esempio e dalle elaborazioni teoriche inglesi, quello italiano
si sviluppa certamente sotto lo stimolo della combattività degli intellettuali francesi e della loro efficace
opera di divulgazione.

 l'Illuminismo italiano si caratterizza poi in base ai contesti culturali dei singoli Stati, raggiungendo
esiti originali e rilevanti sul piano culturale più che su quello politico e sociale.

Il mancato rinnovamento civile e sociale in Italia si spiega essenzialmente con la debolezza obiettiva di una
borghesia imprenditoriale numericamente esigua e pertanto incapace di sostituirsi ai centri del potere
tradizionale.

Le principali città in cui la cultura illuministica italiana ebbe modo di fiorire furono Napoli e Milano:

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 A Napoli: le nuove tendenze culturali trassero impulso dalla politica di riforme inaugurata dalla
dinastia dei Borboni, al potere dal 1734.
Gli intellettuali illuministi appoggiavano le iniziative giurisdizionaliste dei sovrani, intese a
rivendicare i diritti dello Stato contro i secolari privilegi della Chiesa
Tra questi figurano insigni studiosi come Antonio Genovesi (1713-69), Ferdinando Galiani (1728-87)
e Gaetano Filangieri (1753-88), fondatori della moderna economia politica e delle discipline
economiche e monetarie, e fautori (Filangieri in particolare) di una riforma generale della
giurisprudenza.
 A Milano: il dominio austriaco favori il sorgere di un movimento illuministico che, per impulso dei
sovrani illuminati Maria Teresa e Giuseppe II, condusse, in accordo con i ceti borghesi emergenti,
un'opera di svecchiamento delle strutture feudali, di riorganizzazione dell'apparato amministrativo,
Intellettuali come Pietro Verri Alessandro Verri e Cesare Beccaria guardavano con favore al
riformismo asburgico e collaboravano col governo, entrando spesso nell'amministrazione pubblica.

 l'Illuminismo napoletano si formò in ambito accademico-universitario, senza mai realmente


distaccarsene
 L’illuminismo lombardo si preoccupò, invece, di divulgare le nuove idee presso un pubblico di non
letterati mediante lo strumento giornalistico, in forme spigliate e briose (con "Il Caffè")

Il programma culturale degli illuministi milanesi puntava su una letteratura fatta di argomenti vivi e attuali,
civilmente impegnata e intesa a promuovere la pubblica utilità attraverso la diffusione delle nuove idee
progressiste.

Il gruppo aveva posizioni vivacemente battagliere e polemiche nei confronti della cultura accademica.
Propugnava l'uso di un linguaggio immediato, libero dagli impacci del classicismo.

La figura dell’intellettuale:

Con l’illuminismo affrontiamo anche il cambiamento della figura del letterato e dell’’intellettuale:

 Fino alla fine del 600 figura dell’intellettuale è legato ai servizi di un’istituzione intellettuale es.
letterati chierici o letterati di corte
Le prime crepe con questa tradizione possiamo vederle già nel 600 con autori come Bruno,
Campanella, Marino

L’intellettuale principalmente era colui che doveva soddisfare i bisogni politici e culturali della corte

Questo viene meno nel 700 e inizia la figura dell’intellettuale moderno che passa ad essere qualcuno che
deve formarsi in maniera “autonoma”

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*Ciò porta anche ad una graduale laicizzazione delle strutture formative

L’intellettuale deve cominciare a poter vivere di ciò che scrive anche perché ora cambiano le condizioni
d’origine essendo ora maggiormente proveniente dalla classe borghese

Questo comporta l’esposizione costante verso il pubblico, e la sua risposta diventa fondamentale per la
carriera dell’intellettuale.

Es Metastasio arte che si modifica al piacere del pubblico

 Nel 700 il letterato ha bisogno di presentarsi pubblicamente anche come qualcuno che interviene
nel presente e crea una connessione più diretta con il pubblico stesso

Non a caso questa è l’epoca in cui nasce il concetto di opinione pubblica

(in cui l’intellettuale è chiamato ad intervenire, forte connessione tra intellettuale e pubblico)

Si richiedono allora figure poliedriche, personaggi capaci di intervenire su più aspetti culturali

Da questo possiamo spiegarci la nascita delle riviste che nascono come mezzo di discussione pubblica
dell’intellettuale, mezzo di mediazione tra la cultura e il pubblico

 Spectator
 encilopedie: visione dell’intellettuale specialista

Le accademie continuano ad essere legate alle istituzioni:

Ora si mantiene il nome dell’Accademia ma l’ambito è completamente diverso


Es Accademia dei pugni dove non c’è dipendenza alle varie istituzioni e nonostante la forma di chiusura sono sempre interessanti ad agire sul
pubblico

Luoghi e modalità della cultura illuminista:

Ci fu una perdita di prestigio delle accademie, per lo più legate a un circuito cittadino o provinciale.

Esse mantennero una funzione propulsiva come luogo di dibattito e di scambio interdisciplinare là dove le
spinte innovative si rivelarono più forti:

È il caso delle accademie milanesi dei Trasformati e dei Pugni.

 Accademia dei Trasformati: si radunava una nobiltà aperta alle nuove istanze illuministiche, ma con
posizioni moderate, favorevoli cioè a un cauto riformismo in campo politico-sociale e, in campo
culturale, a una conciliazione tra una cultura moderna civilmente impegnata e la tradizione classica.
 Accademia dei Pugni: assumeva posizioni più battagliere nel diffondere la cultura dei "lumi" e nel
contrapporsi alla letteratura classicistica.

Nell'Accademia dei Trasformati maturò la poesia civile di Giuseppe Parini

Nell'Accademia dei Pugni prese forma la rivista più famosa dell'Illuminismo italiano, "Il Caffè".

L'Accademia d'Arcadia perse invece progressivamente il potere di assicurare su base nazionale la celebrità
di uno scrittore.

I periodici illuministi si caratterizzarono per l'intento divulgativo e commerciale, fatta eccezione del caffè
dedicato soprattutto alla divulgazione e discussione di nozioni tecniche e scientifiche la maggior parte dei
periodici italiani mantenne un carattere letterario.

Diverse esperienze di illuminismo italiano: Napoli e Milano

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Mentre le esigenze di tipo modernizzante arrivano principalmente da Francia e Inghilterra

 Francia: moti rovesciamento antico regime


 Inghilterra: rivoluzione industriale

L’Italia non sviluppa immediatamente la corrente illuminista

I due centri principali dell’illuminismo italiano sono Milano e Napoli

Centri essenzialmente diversi: la declinazione illuministica è legata a personalità specifiche che hanno
visioni differenti sul ruolo dell’intellettuale

 A Napoli: Giannone, Galiani e Filangieri che appartengono stagione con tratti di contiguità che
arrivano fino al 1799 e trovano il suo compimento con Vincenzo Cuoco, l’ultimo rappresentante.
Nella maggior parte degli autori le opere si concretizzano in ampi trattati soprattutto in nuove
discipline Es nasce cattedra di scienza politica
La riflessione sull’assetto storico sociale è declinata in maniera trattatistica
Filangieri da vita ad un’opera estremamente innovativa e giacobina di diritto legislativo

Si differenzia dall’ illuminismo milanese perché l’elemento teorico è molto più spiccato rispetto alla visione
pratica di quello Lombardo

 A Milano: nell’ illuminismo Lombardo le forme dell’intervento del presente sono legate a forme
nuove come quella del saggio o pamphlet
Il saggio tenta di coniugare da una prospettiva personale la riflessione sul presente e l’esigenza della
soggettività specialistica

In Lombardia la funzione di mediazione (tra i vari strati popolari) è molto più presente anche in autori come
i fratelli verri

A differenza del regno di Napoli dove ci sono ancora strutture feudali lì è c’è già presente sorta di
industrializzazione e Milano comincia da questo momento in poi a diventare un polo decisivo dal punto di
vista economico e culturale

 Pietro Verri è un personaggio importante all’interno dell’amministrazione asburgica, lavora


comunque sulla mediazione politica.
 Vincenzo Cuoco con il saggio sulla rivoluzione napoletana offre una riflessione che rappresenta una
chiave di lettura per tutto il territorio nazionale cioè riconoscimento del fallimento della rivoluzione

Riconosce il distacco classe popolare e intellettuale: le forme rivoluzionarie della classe intellettuale sono
differenti dalle esigenze delle classi popolari. *non si può rivoluzionare l’antico regime se non si trova
legame tra strati popolari

Esperienze dell’illuminismo lombardo:


L’Accademia dei Pugni:
È l'inverno tra il 1761 e il 1762 a Milano quando un gruppo di sodali si raccoglie liberamente nella cosiddetta
Accademia dei Pugni, uno spazio di sociabilità dove si traducono in territorio milanese le idee di
rinnovamento culturale, politico ed economico della società civile elaborate dagli illuministi francesi

L’Accademia deve il curioso nome all’animosità delle discussioni che vi si svolgevano.

Vi parteciparono molti degli illuministi lombardi dell’epoca, tra i quali Alessandro Verri, Alfonso Longo, Luigi
Lambertenghi, Giuseppe Visconti, Cesare Beccaria, autore del celebre opuscolo Dei delitti e delle pene.

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Erano giovani aristocratici, studiosi di legge e di economia, convinti della necessità di riformare la gestione
dello Stato. Molti di loro collaborarono attivamente con il governo asburgico di Maria Teresa e Giuseppe II.

Il caffè:
Il «Caffè», periodico di lingua, letteratura, costume, economia e politica che esce ogni dieci giorni tra il
giugno del 1763 e il novembre del 1766 (per un totale di 74 fogli, poi riuniti in due tomi), nasce proprio
come costola di quest'Accademia, in ragione innanzitutto della coincidenza degli intellettuali coinvolti:

La rivista, ideata con l'intento di promuovere e di spingere sempre più gli animi italiani

 allo spirito della lettura


 alla stima delle scienze e delle belle arti
 all'amore delle virtù, dell'onestà, dell'adempimento de' propri doveri

Si riallaccia alla grande tradizione giornalistica europea ironica e accattivante che ha come capofila il
britannico «The Spectaton di Addison

La cornice di un caffè ideale in cui discutere i temi all'ordine del giorno costituisce un dispositivo formale di
collegamento tra i testi, ma anche etico collante tra i vari contributi è il presupposto di fondo che lo
svecchiamento civile della società passi attraverso il superamento del sistema feudale di ancien régime
(emblematico a questo proposito il contributo di Longo Osservazioni su i fedecommessi), ottenuto
attraverso la promozione dell'iniziativa imprenditoriale della classe borghese, sono tra le personalità più
rappresentative della Milano dei Lumi.

I fratelli Verri:
 Il primogenito Pietro come si è visto, vive l'esperienza dell’Accademia dei Pugni e del «Caffè» e a
pubblicare saggi di economia politica di taglio liberale, diviene funzionario asburgico su temi di
interesse tributario ed economico;
 Alessandro (1741-1816), dopo aver composto durante gli anni del «Caffè» un Saggio sulla storia
d’Italia intraprende tra il 1766 e il 1767 un viaggio a Parigi al seguito dell'amico Cesare Beccaria e
poi a Londra, per trasferirsi quindi a Roma, dove abita fino alla morte, dedicandosi a esperimenti
letterari in varie direzioni: traduzioni, drammi e romanzi.

Osservazioni sulla tortura di Pietro Verri: avviate nel 1760 ma pubblicate con intento polemico nella loro
redazione definitiva solo nel 1777

Nell'opera si dimostra, ricorrendo anche all'autoritas di testi giuridici, come l'iter processuale contro il
barbiere Giangiacomo Mora, accusato come untore fosse viziato dalle confessioni estorte attraverso la
tortura, pratica lontana dallo stabilire la verità dato altissimo rischio di colpire e di far confessare un
innocente

Dei delitti e delle pene:


Capolavoro dell’illuminismo italiano che nasce nel 1764 nell’ambito dell’Accademia dei pugni

La prima rivoluzione che Beccaria introduce in questo saggio è la differenza tra peccato e reato:

Fondare la Giurisdizione sul principio del peccato comporta la totale assenza dell’elemento laico dello stato,
l’individuo non viene giudicato in base al criterio immanente

La distinzione che diventa capitale perché quando il reato viene schiacciato sull’elemento immanente non si
presuppone una somma di risarcimento successivo

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Il reato non comporta l’idea di un giudizio successivo ma è qualcosa che può trovare un risultato
nell’immanenza non nella trascendenza.

La condanna deve essere reintegrazione e non punizione e la pena di morte perde qualsiasi senso.

Uno dei passaggi più significativi del saggio è la discussione sulla legittimità di comminare la pena capitale.
Mirando sempre al fine dell'utile collettivo e del singolo, Beccaria nota che «non è l'intensione della pena
che fa il maggior effetto sull'animo umano, ma l'estensione di essa»;

 La pena capitale non è un diritto, è inutile e dannosa, e va sostituita con la privazione perpetua della
libertà, benché possa essere applicata come «guerra della nazione con un cittadino» quando gli
istituti della convivenza civile versino in uno stato di degenerazione

Quale che sia la gravità del delitto, la domanda filosofica a monte permane: come prevenire i delitti?
Attraverso leggi chiare, semplici, tali che «tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna
parte di essa sia impiegata a distruggerle» e che «favoriscano meno le classi degli uomini che gli uomini
stessi», incutendo allo stesso tempo un giusto timore

Il pamphlet si chiude con una riflessione sullo stadio di sviluppo di un corpo sociale nella sua relazione con
l'intensità della pena: «a misura che gli animi si ammolliscono nello stato di società cresce la sensibilità e,
crescendo essa, deve scemarsi la forza della pena, se costante vuol mantenersi la relazione tra l'oggetto e la
sensazione».

In seguito al successo dell’opera Beccaria si reca a Parigi con Alessandro Verri per stringere i rapporti con i
philosophes, ma, sopraffatto dalla nostalgia, l’autore resta nella capitale francese solo qualche settimana
per poi tornare in Italia, provocando reazioni derisorie e una brusca rottura nel rapporto con Pietro Verri.

Altre opere di rilievo:

 Il discorso sull’indole del piacere e del dolore (Pietro Verri):


Opera in cui l’autore cerca di delineare con un approccio scientifico ma anche genealogico, le due
principali passioni che spingono l’uomo ad agire: l’amore del piacere e la fuga dal dolore. Esse sono i
due grandi contenitori in cui si potrebbe racchiudere Il “grande arcano” ossia la sensibilità
dell’uomo. Indice dell’influenza della corrente francese più estremistica
Opera che fa capire che si va in una direzione essenzialmente materialistica

GIUSEPPE PARINI:
Giuseppe Parini è un personaggio che coglie le contraddizioni dell’epoca in cui ora l’intellettuale deve
faticare per sopravvivere: Dovrà barcamenarsi tra le diverse attività soprattutto quella di precettore nelle
famiglie aristocratiche e solo in età avanzata avrà un riconoscimento dal punto di vista statale.

Pur facendosi volentieri carico di compiti amministrativi, Parini è per vocazione un poeta e un educatore.

La sua estrazione provinciale, povera e plebea è all'origine del particolare punto di vista da cui egli osserva
la società e gli uomini, e ne immagina la riforma. La prossimità, lungamente esperita, al mondo degli ultimi
acuisce la sua percezione della strutturale ingiustizia della società, dell'immoralità dei privilegi e delle

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ricchezze di un'aristocrazia neghittosa e corrotta, vantaggi economico-sociali ingiustificabili ove non


s'accompagnino a una moralità e a un'utilità comune che li riscatti.

L’essere poeta di Parini va in contraddizione con l’idea d’azione dei principi illuministi che nell’immaginario
comune dovrebbe attraverso le forme del saggio e del trattato ecc. (periodo in cui parte la tendenziale
emarginazione della poesia)

Quindi Parini partendo da elementi culturali illuministici costruisce una poesia all’altezza del tempo

Ma essendo lui formatosi sui modelli dell’arcadia troviamo altri due elementi contrastanti insieme:

 Il classicismo estremo dell’arcadia


 Gli ideali illuministi

La sua è una poesia sbilanciata al commento e azione del presente ma con delle forme che rimandano ad un
classicismo precedente (che risale a Petrarca)

Le opere non prendono mai una direzione giacobina ma cercano di essere una mediazione

La critica feroce e caricaturale verso la nobiltà non ha alla base l’idea di portarla alla dissoluzione bensì
quella di farle assumere il ruolo di classe illuminata che lavora ad una riforma per cambiare lo stato di cose
presenti.

La tecnica dello straniamento:


I testi agiscono sul lettore tramite due meccanismi fondamentali:

 Meccanismo emotivo
 Meccanismo di emozione intellettuale
- O ci si identifica nell’opera
- Oppure l’emozione è data da una dislocazione, lasciare la propria zona di confort

Utilizzando il meccanismo di straniamento attraverso il testo si arriva ad un momento di rilevazione dato


dalla frizione da ciò che pensiamo e ciò che leggiamo es.:

Le lettere persiane (Persiani che vedono la cultura europea, visione abituale filtrata attraverso gli occhi di
un’altra cultura)

Questa tecnica viene utilizzata anche da Parini es lunghe trafile delle motivazioni proposte dal nobile sono
qualcosa che ci costringe guardare diversamente la classe aristocratica e spostare lo sguardo rispetto ai
luoghi comuni associati ad essa

Il classicismo di Parini:
Parini è una figura simbolicamente importante per comprendere il neoclassicismo:

Nel 700 la visione classicista prende una profonda distanza dal concetto di classicismo che intendevamo
prima:

• Precedentemente le caratteristiche del classicismo comprendevano

• Una visione emulativa nei confronti dell’antichità

Il prendere forme di equilibrio della classicità per ricreare quella forma di armonia e bellezza

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Con il 700 e l’illuminismo il recupero delle forme classiche è molto distante da questa visione

Le forme vengono recuperate dalla classicità con la consapevolezza di una distanza incolmabile con i modelli
di riferimento

Frequentazioni accademiche ed aristocratiche segnano la formazione intellettuale e la fittissima produzione


letteraria di Parini di questi anni accademici, aprendola ai testi dell'Illuminismo inglese e francese

Nasce a Bosisio il 23 maggio 1729, figlio di Francesco Maria, piccolo commerciante di sete, e Angiola Maria
Carpani

Giunge poi a Milano dov’è mantenuto e alloggiato da una prozia che gli permette di studiare. (non eccelle in
nessuna delle materie del corso di studi, ma accumula letture poetiche che ne formano un gusto scevro da
influenze francesi)

Parini è ordinato sacerdote nel 1754, e dallo stesso anno fino al 1762 abita come precettore nella casa del
duca Gabrio Serbelloni, circostanza che gli consente di entrare a stretto contatto col bel mondo
settecentesco, i suoi riti, i suoi gusti e le sue fatuità.

Dialogo sopra la nobiltà:


Una delle poche opere in prosa di Parini, del 1757 (ma elaborato fino al 1762)

Dialogo fantastico in cui Parini sottopone a critica insensatezza del vanto di una nobiltà di sangue disgiunta
da una personale nobiltà di spirito.

L'operetta, inscena il dialogo fra due cadaveri, di un poeta e di un nobile, accidentalmente finiti accanto,
nonostante la diversità dei rispettivi funerali e sepolture:

*viene subito messo in evidenza l’elemento materialistico della cultura illuministica con l’uso dell’ironia

Al nobile che, perché nobile, reclama, anche sottoterra, il suo diritto di nascita a stare fisicamente discosto
dal plebeo, il poeta ribatte rivelando la falsità dei suoi convincimenti

Convinto poi dell'assurdità di vantare meriti ereditari e finanche dell'ingiustizia su cui si fondano le
ricchezze, i titoli e i privilegi di cui gode, frutto di antichi soprusi, il nobile muta atteggiamento.

Emerge così la fondamentale istanza educativa della satira pariniane:

La critica alla nobiltà di Parini è indirizzata al singolo e alle sue opinioni, alla società e ai suoi costumi, ma
anche alla poesia e in generale alla letteratura, chiamata a recuperare la propria dignità e a usare ogni
mezzo, anche la satira, per mostrare la verità, indirizzare alla virtù e mettere in atto la propria missione
educativa *Parini da voce alla propria ispirazione satirico-morale soprattutto in alcuni testi lunghi in terzine
o endecasillabi sciolti.

Nei Trasformati Parini trova però anche l'ambiente culturale adatto a cimentarsi in un più ambizioso
progetto poetico: la composizione di odi di argomento civile che mettano in piena luce la persona del poeta
e affermino esplicitamente i suoi ideali progressisti, che, sul piano ideologico-politico

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Odi:
Così come il giorno anche le odi vivono una complessa situazione filologica

Esse si suddividono in fasi prevalentemente tematiche:

 Prima fase: momenti di riflessioni sul presente

Qui prevale l’elemento di riflessione sull’assetto sociale o alcune problematiche della sfera scientifica
attraverso una meditazione arcadica formalizzata tramite l’utilizzo di un linguaggio neoclassico

Vengono trattati argomenti come:

- Rapporti tra città e campagna


- Situazione igienica
- L’importanza della vaccinazione soffermandosi sulle conseguenze del vaiolo sull’infanzia

 La vita rustica: riprende il tema, tipicamente arcadico, della «libertade agreste» (v. 12) è usato
per affermare la superiorità morale del produttivo e pacifico ideale fisiocratico, implicitamente
contrapposto all'avido e armato mercantilismo
 La salubrità dell'aria: Lo sperimentalismo è certo tematico, ma ancor più poetico-linguistico: la
concentrazione espressiva, spesso ardita, e le scelte retoriche e lessicali di Parini piegano il
lessico aulico della tradizione letteraria a rappresentare e giudicare la realtà contemporanea
nella concretezza e quotidianità di oggetti e problemi, dando luogo a formulazioni, spesso
polisemiche, sorprendenti e memorabili
 L'innesto del vaiuolo: parla del vaiolo e delle prime forme di vaccinazione, percepite
negativamente
 Seconda fase:

Nella fase iniziale Parini è fiducioso e crede nella possibilità di un intervento nel presente, questo intervento
ora si circoscrive solo all’ambito della formazione.

 La terza fase: maggior elemento di chiusura agli eventi e alla possibilità di un cambiamento
Riguardano principalmente l'argomento amoroso oppure, come nel caso di Alla Musa, un
ripiegamento sulla poesia stessa: chi aveva fondato la sua poetica all'azione sul presente, si
focalizza invece ora sulla poesia in sé e per sé.

Nel 1762 Parini abbandona il servizio dei Serbelloni.

Parini diviene quindi il precetto- re di Carlo Imbonati Parini accenna anche a «quel poema, che vorrei
stampato» (v. 80): è Il Mattino, poi pubblicato nel 1763.

Il Giorno:
Poemetto in endecasillabi sciolti che per la sua prima redazione (1763) era diviso in tre parti:

- Giorno
- Mezzogiorno
- Sera

Successivamente modificato: Il processo di revisione porta a un mutamento strutturale dell'opera:

Il Giorno passa ad essere diviso in quattro parti (Mattino, Meriggio, Vespro, Notte)

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Parini ci lavora tra anni 1792-1796 per poi essere definitivamente abbandonato.

Il Mattino ha per tema le (in)attività d'un giovane aristocratico ed offre quindi un giudizio globale sulla
nobiltà lombarda.

Parini introduce però una nuova modalità di intervento e di critica sociale: copre i panni del poeta satirico
con quelli del maestro d'eleganza e di divertimento, Abbandona perciò i toni dell'indignazione e della
rivendicazione, lascia I'«amaro fiel» e la «sferza»), e costruisce il proprio conversevole discorso sull'ironia,
sull'uso costante dell'antifrasi e sulla continua celebrazione ed elevazione stilistica di vite e oggetti preziosi
ma fatui, che incessantemente rimandano a una realtà sociale di oppressione, sfruttamento, ingiustizia.

Il Mattino si apre con l'ironica dedica Alla Moda, la «vezzosissima dea» che governa «la nostra brillante
gioventù»: da essa dipendono la scelta degli endecasillabi sciolti i riferimenti ironici alla nobiltà di sangue o
di moneta; il raffronto fra la durezza degli avi e la vita oziosa, annoiata del signorino; le abitudini viziose e
imbelli, ma anche la sua relativa '"innocenza' per ignoranza o inconsapevolezza (la corruzione dei costumi
sociali ed educativi si ripercuote sul singolo).

*endecasillabi sciolti verso più vicino all’esametro latino

Al fondo della critica pariniana sta il tema, già delle odi, del distacco della società aristocratica (il «concilio /
di semidei terreni», vv. 61-62) dalla natura

Per questo è emblematico l'inizio vero e proprio della mattinata del «Giovin Signore», che, reduce dalla
nottata di festeggiamenti, si corica al canto del gallo che invece richiama all'opera contadini ed artigiani,
presentati anche qui come modelli di vita laboriosa e accordata a un ordine elementare e superiore

La mattinata del nobile, risvegliatosi a giorno fatto, sarà tutta occupata dalla preparazione di sé per l'uscita
in carrozza. Il risveglio, la colazione, la lunga sosta alla toilette e la vestizione offrono il destro per
rappresentare la miriade d'oggetti e di persone che gli ruotano attorno, le visite ricevute deve ritrarre
l'esterofilia, superficialità e immoralità delle letture durante la pettinatura

Scopo dei preparativi è la comparsa nel bel mondo e soprattutto l'accompagnamento della dama di cui il
«Giovin Signore» è cavalier servente. ma già qui la riflessione sull'amore, come costume sociale, è un punto
fondamentale del poemetto:

 Il cicisbeismo rappresenta il segno della corruttela nobiliare, della distorsione artificiosa del
bene e della virtù, Alla divisione fra amore e matrimonio viene dedicata la favola di Amore e
Imene, una delle due che Parini inserisce nel testo - com'è tradizione nei poemi didascalici – allo
scopo di fornire un 'riposo' poetico e dilettevole al lettore.

Conclusi i preparativi e gli indugi, finalmente il «Giovin Signore» si precipita alla dimora della sua dama, con
la quale trascorrerà le altre parti della giornata; il sonnacchioso e lento mattino si conclude, con cambio di
ritmo, sulla violenta corsa del cocchio Il Mezzogiorno.

Non muta, rispetto al Mattino, l'impianto formale e ideologico, ma si arricchisce di nuovi temi.

Parini lascia non finita la sua opera maggiore.

A lungo abbandonato, il lavoro su Mattino, Mezzogiorno e Sera riprende negli anni Ottanta.

Le condizioni sono però mutate: la spinta riformatrice ed educativa che anima le stampe degli anni Sessanta
e che era sostenuta dal contesto e dal 'programma' della ormai chiusa Accademia dei Trasformati si è
riversata in un'effettiva partecipazione alle riforme teresiane.

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In realtà né il quadro ideologico pariniano, né 'asprezza della sua satira mutano, ma i frammenti del Vespro
e della Notte indicano un indebolimento della funzione del precettore, che tende ad essere assorbito dalla
struttura descrittiva.

Viene però così meno un elemento di fondamentale unità dell'opera che tende a disgregarsi in una serie di
episodi staccati.

Cambiamenti del Mattino rispetto alla prima redazione:

Viene tagliata la dedica alla moda smorzando di già la critica satirica con cui iniziava il poema

Insieme a questo viene tagliato l’incipit: i primi 30 versi del poema.

Adesso si apre in modo molto più immediato, direttamente con la rappresentazione dei personaggi e la
descrizione di ciò che verrà narrato.

Perché vengono fatti questi tagli?

Perché avviene un cambiamento del contesto storico culturale:

Mentre gli anni della prima redazione (anni 60) sono gli anni della fase di illuminismo illuminato in cui
l’aristocrazia è ancora aggrappata allo status di classe dominante

Quando si passa alla revisione del poemetto è in corso la rivoluzione francese e di conseguenza la forte
azione della classe borghese contro la nobiltà.

Vengono quindi smorzati gli elementi più feroci di critica e anche la dinamica interna tra la rappresentazione
delle varie classi sociali:

 Nella prima redazione è sottolineata la differenza tra le classi sociali messe a confronto
 Nella seconda redazione invece di mettere a confronto la nobiltà con altre classi si sottolinea la
degradazione della nobiltà contemporanea, che in questo caso viene criticata perché non
rappresenta più la classe che può agire per il miglioramento sociale. Ne si sottolinea l’inattività
rispetto agli avi.

VITTORIO ALFIERI:
Vittorio Alfieri muore nei primi anni del diciannovesimo secolo, vive quindi a cavallo dei due secoli.

Vive un momento di transizione importante in cui vediamo gli estremi esiti dell’Illuminismo europeo e
assistiamo già all’annuncio di una sensibilità nuova.

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 Nasce ad Asti il 16 gennaio 1749, da una famiglia della ricca nobiltà terriera, in una regione
periferica Piemonte sabaudo (Piemonte francofono) e questo gli permette di avere facile accesso
alle grandi opere francesi.

* Alfieri è un conte, un nobile che però cerca di fare a meno della propria classe, che tenterà di superare le
sue origini, ma effettivamente è la sua situazione che gli permette di vedere con occhio critico la realtà
politica del suo tempo. Vedremo che parteciperà ai dibattiti politici illuministi con diverse opere.

Compie gli studi presso la Reale Accademia di Torino

Significativa è poi l’esperienza del grand tour: compì numerosi viaggi per l'Italia e l'Europa, che si
protrassero dal 1767 al 1772

 Visitò prima le principali città italiane, poi si recò a Parigi, in Inghilterra, in Olanda

Aveva così potuto accumulare una concreta esperienza delle condizioni politiche e sociali dell'Europa
contemporanea. Vivere i vari tipi di regimi tirannici presenti nel territorio europeo

Ritornato a Torino

 nel 1768 aveva cominciato a leggere, dedicandosi soprattutto agli illuministi francesi, Montesquieu,
Voltaire, Rousseau, che costituiranno poi la base della sua cultura

Un momento essenziale era stata anche la lettura di Plutarco, storico greco autore di una serie di biografie
di uomini illustri greci e romani.

 Nel 1773 scrive l'Esquisse du jugement universel (Schizzo del giudizio universale, 1773), satira della
società nobiliare ispirata ai modi di Voltaire, stesa in francese
 Nel 1775 scrive Antonio e Cleopatra

In questo episodio Alfieri scorge il primo manifestarsi della sua vocazione di poeta tragico.

Nello stesso periodo insieme all’inizio della produzione si applica allo studio della lingua italiana per
impadronirsi di un linguaggio adatto alle tragedie che intende scrivere.

Lo scoppio della Rivoluzione eccita il suo spirito antitirannico

Ma presto gli sviluppi del processo rivoluzionario suscitano in lui riprovazione

• Nel 1780 si trasferì a Roma dove cominciò a comporre il Saul.


• Nel 1783 fece stampare i primi due volumi delle Tragedie.
• Dal 1785 si stabilì in Alsazia, alternando a questa residenza lunghi soggiorni parigini: da qui fino al
1792 svolse un intenso lavoro, curando la stesura e l'edizione di varie opere.
• Tra il 1787 e il 1789 pubblicò la nuova edizione delle Tragedie e nel 1790 ultimò la Vita di Vittorio
Alfieri da Asti scritta da esso, pubblicata postuma
• Nel 1792 fugge da Parigi e viene a stabilirsi a Firenze, dove vive i suoi ultimi anni portando a
termine la stesura di opere minori come il Misogallo e le Commedie.

A Firenze muore I'8 ottobre 1803.

Dove collocare Alfieri?


Gli elementi presenti nella sua produzione come il titanismo contro la società, il conflitto istinto natura
società possono farci considerare Alfieri un “preromantico” che però si nutre di testi illuministi

Estremizza l’illuminismo e trapassa in qualcosa che non può essere ancora romanticismo ma avvertiamo già
la presenza di una sensibilità nuova.

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Il rapporto con gli ideali illuministi:


L'odio contro la tirannide che è il punto centrale di tutta la sua riflessione, il rifiuto del potere in sé, in
assoluto e in astratto, in quanto ogni forma di potere è iniqua e oppressiva, possedendo una facoltà
illimitata di nuocere.

La Rivoluzione francese è l’evento che più influisce sulla vita di Alfieri:

Alfieri frequenta gli intellettuali francesi e diventerà uno dei grandi modelli dei rivoluzionari

Inizialmente si mostra favorevole alla rivoluzione, riconosce necessario un’azione di forza

Si allontana successivamente dalle posizioni rivoluzionarie e il suo sostegno si tramuta in un attacco appena
si rende conto che la situazione stava degenerando allontanandosi dai propri ideali.

Reputa la rivoluzione una falsa libertà che maschera una nuova tirannide borghese quindi

 Critica giacobini, vede i rivoluzionari francesi come un problema per l’unità nazionale
 Critica l’illuminismo e condanna la possibilità del passaggio degli ideali francesi in Italia.

L’inizio della produzione:


Alfieri per molti anni parla soltanto francese e il dialetto piemontese.

La conquista della lingua italiana è molto lenta: solo nella fase in cui Alfieri cresce e fa esperienza del mondo
es grand tour si avvicina alla grande produzione letteraria italiana.

• Le prime opere di Alfieri risalgono al 1771: es. la composizione di un sonetto che definirà egli stesso
sonettaccio

Da questo momento hanno iniziano i suoi esperimenti letterari:

Con le rime del 75-76 ha i primi riscontri e nello stesso periodo parte la produzione tragica, ricordiamo

• Antonio e Cleopatra
• Il Filippo, la prima tragedia che conclude.

Della tirannide:
Della tirannide, trattato steso nel 1777, in concomitanza con gli inizi della produzione tragica

L’opera non rappresenta niente di particolarmente originale se considerata all’interno del contesto della
discussione sulla tirannide

Rappresenta l’estremismo illuministico che poi lui stesso finirà per criticare successivamente

L’atteggiamento di Alfieri è differente rispetto ai modi moderati di Voltaire e Montesquieu

Alfieri si preoccupa di definire la tirannide, identificandola con ogni tipo di monarchia che ponga il
sovrano al di sopra delle leggi.

Conduce una critica contro l'ideale settecentesco del dispotismo illuminato e riformatore: le tirannidi
moderate, a suo avviso, velando la brutalità del potere, tendono ad addormentare i popoli; tirannide anche
alcune forme di oligarchia.

Lo scrittore passa poi a esaminare le basi su cui si appoggia il potere tirannico:

 La nobiltà: strumento nelle mani del despota

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 nella casta militare: mediante cui i sudditi sono oppressi


 nella casta sacerdotale: che educa a servire con cieca obbedienza.

Alfieri affronta inoltre il modo di comportarsi dell'uomo libero sotto la tirannide:

 Potrà ritirarsi dalla vita sociale


 Potrà ricorrere al gesto eroico del suicidio
 Oppure potrà uccidere il tiranno (andando anche in questo caso incontro alla morte)

In un passaggio ammette la possibilità di un’insurrezione popolare contro il tiranno, considerando sempre


che la sua concezione di popolo non comprende effettivamente tutto il volgo ma una categoria ristretta.

Della tirannide rappresenta il momento più radicale e rivoluzionario della riflessione politica alfieriana, un
momento tipicamente giovanile.

Le satire:
L'acre polemica contro la realtà contemporanea compare anche nelle Satire, scritte tra il 1786 e il 1797

Tornano certi temi della riflessione giovanile, ma rovesciati di segno:

 il poeta riprende la polemica antiaristocratica,


 aggredisce anche i principi fondamentali della cultura illuministico-borghese

Insomma, nelle Satire si manifesta la radicale opposizione di Alfieri allo spirito del secolo.

La delusione e la crisi degli ideali si esprime ancora più radicalmente nelle sei Commedie

Il Misogallo:

La Rivoluzione francese, nel suo rivelarsi sempre più chiaramente come rivoluzione borghese, fa precipitare
la crisi ideologica di Alfieri:

• Il misogallo è un prosimetro con cui Alfieri esprime un odio furibondo contro la Francia, che in
realtà è odio contro la Rivoluzione, contro i principi illuministici e lo spirito borghese.

In un primo tempo, Alfieri aveva guardato con simpatia alla rivoluzione come affermazione di libertà, ma
poi, dinanzi al precisarsi di concrete rivendicazioni sociali ed economiche, doveva fare i conti con la durezza
della realtà.

La poetica tragica:
A scegliere la forma tragica come espressione del suo mondo interiore il poeta è indotto da vari motivi

 Poiché tradizionalmente la tragedia rappresentava figure umane eroiche ed eccezionali, essa


appariva il genere poetico più adatto ad esprimere il titanismo

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 Secondo un'opinione diffusa nel mondo letterario del tempo, la tragedia non aveva ancora trovato
nella cultura italiana una realizzazione soddisfacente: si riteneva che mancasse all'Italia un grande
poeta tragico

Alfieri prova a fare nella tragedia ciò che Goldoni fa per la commedia: Una codificazione del tragico italiano

Per questo il congegno drammatico deve:

 Bandire ogni elemento superfluo, in modo da costituire un tutto unico e compatto dall'inizio alla
fine; deve cioè evitare i personaggi secondari, che sono puri riempitivi.
 Le battute sono in prevalenza brevi, abbondano le parole monosillabiche.
 Lo stile tragico, per Alfieri, deve distinguersi nettamente da quello lirico e da quello epico questi
tendono al canto, mentre la tragedia esprime confitti tra individualità, idee e passioni.

Gli strumenti che impiega a tal fine sono:

 le continue variazioni di ritmo, per cui mai due versi successivi hanno gli stessi accenti
 la presenza continua di pause e di fratture al loro interno
 inversioni ardite nella costruzione sintattica, enjambements fortemente inarcati
 L'ordine comune delle parole è violentemente sconvolto

Le sue tragedie vengono scritte in endecasillabi sciolti, endecasillabi che costruisce spezzandoli in varie
battute, rompere il ritmo descrivere la concitazione delle scene.

Alfieri mira sempre a disciplinare quei contenuti in forme rigorosamente classiche:

Rispetta puntualmente le tre unità aristoteliche di tempo, di luogo e d'azione la scelta risponde ad esigenze
autentiche e sentite, nel poeta risultando perfettamente in armonia con la necessità di una struttura tragica
tesa, rapida e incalzante

L’evoluzione del sistema tragico:


Le prime tragedie di Alfieri vivono in un rapporto di osmosi con le opere trattatistiche, in questa fase la
tragedia è ancora fortemente schematica

Caratterizzante nella tragedia di questo primo periodo è il conflitto tra due grandi entità:

 un tiranno
 un eroe di libertà

Alfieri scrive tre tragedie di libertà:

 La Virginia: Sommossa popolare che rovescia il tiranno, tragedia che descrive come si può vincere la
tirannide
 La Congiura dei Pazzi: Congiura che fallisce
 Timo Leone: Con questa tragedia si apre una fase di diversa sensibilità in cui nonostante la vittoria
dell’eroe è presente la sofferenza data dalla morte del fratello. Inizia quindi ad essere introdotto il
conflitto familiare. Opera di transizione.

Questa tragedia avvia un cambiamento grazie al quale Alfieri passa da uno schematismo politico delle prime
tragedie passa ad altre forme di conflitto: La conflittualità si esprime in forme nuove e Saul è frutto della
maturità di questa fase.

Saul:

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Tragedia del 1783 di materia biblica, divisa in cinque atti e scritta in endecasillabi sciolti.

David viene designato da dio come colui che diventerà re di Israele

A lui si contrappone la figura del monarca Saul che vive un conflitto complesso, un conflitto anche familiare
dato che David oltre ad essere il promesso sposo della figlia è amico dell’altro suo figlio.

Ma Saul non accetta l’idea di perdere il trono e caccia David.

La tragedia sarà un grande racconto delle oscillazioni del carattere di Saul che passa dall’odio nei confronti di
David e un riconoscimento in lui di una figura familiare.

Il solito conflitto tra personaggi vede ora l’aggiungersi di un’altra entità: qui c’è un altro tiranno molto più
potente di Saul, Dio.

Saul è un tiranno autocosciente, che conosce bene la tirannide ma che sfida un tiranno superiore a lui.

Già dall’atto secondo il conflitto tra tiranno terreno e celeste è dichiarato

Il tema su cui insiste Saul è quello dell’abbandono da parte di Dio

Assistiamo poi alla sua pazzia data dal continuo oscillare per l’odio verso David come usurpatore del suo
ruolo per volontà di dio e della visione come personaggio positivo

La Mirra:
La Mirra (1781-86), con il Saul, instituisce il vertice della produzione tragica del poeta.

L'argomento è tratto dal mito classico, ma la vicenda si svolge in realtà in un interno familiare, in un
ambiente che potremmo dire borghese.

Mirra nutre una passione incestuosa per il proprio padre Ciniro, Il conflitto tragico è dato dalla lotta
di Mirra contro l'urger irrefrenabile della passione colpevole, una lotta vana e disperata, perché la
passione corrode a poco a poca la resistenza della volontà e la stessa vita dell'eroina, portandola
alla morte.

Mentre in Saul la figura del monarca riprende gli aspetti delle altre tragedie di Alfieri nella Mirra il tiranno
non è presente, o almeno questa volta il tiranno è un tiranno interno, astratto che richiama il conflitto tra
natura e cultura.

Nel mito antico l’innamoramento è causato da Venere qui l’intervento non è centrale ma l’amore di Mirra è
sotto i riflettori.

Questa si costruisce come una tragedia del non detto, Mirra reticente non vuole confessare la passione per
il padre, cosa che infatti farà intendere solo nelle ultime scene del quinto atto.

Mirra si autocondanna per tutta l’opera di una colpa di cui nessuno comprendere la natura

La passione per il padre la porterà a rifiutare il suo promesso sposo con la conseguente reazione del
genitore.

Nonostante ciò, Cirio è un elemento inedito della tragedia alfieriana, è la prima figura di monarca positiva, è
padre amorevole.

Qui Cirio non si presenta come una figura ostile ma come un padre pronto a tutto da parte con l’unico scopo
di comprendere il dolore della figlia e di aiutarla.

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*Differenza con il Filippo prole che deve chiamare il padre signore, il Mirra Ciniro tende a sottolineare il suo
essere prima padre poi monarca

I segnali della passione di Mirra per il padre iniziano ad apparire nell’atto terzo ma Mirra non confesserà mai
apertamente il suo amore

E’ proprio la psicologia di Mirra che fa da tiranno in questa tragedia, motivo per cui in fine la ragazza muore:
Mirra non può essere in nessun modo risarcita perché questo conflitto interiore è insanabile.

Il tiranno è proprio ciò che risiede in lei e che deve confrontarsi con gli istinti che è costretta a governare.

La vita
Alfieri è l’autore della maggior autobiografia letteraria: è un testo molto articolato, molto vario.

• Nel 1790 Alfieri iniziò a scrivere la Vita; vi ritornò poi sopra e la rielaborò profondamente fino ai suoi
ultimi giorni

Al suo interno troviamo elementi di autoironia che lo allontanano dall’idea di autosacralizzazione.

L'impulso si era manifestato sin dai giovanili Giornali

o La Parte prima è divisa in quattro «epoche», Puerizia, Adolescenza, Giovinezza, Virilità;


o la Parte seconda non è che una «continuazione della quarta epoca», secondo la definizione
dello scrittore stesso.

Le commedie: (1800-03)
L’esperienza letteraria di Alfieri si conclude con la produzione comica.

Compie un passaggio dalla tragedia alla commedia

Qui si assiste al rovesciamento totale dell'antico ideale eroico, poiché vengono impietosamente messe a
nudo le autentiche motivazioni dell'agire umano

Nelle prime quattro commedie critica tutte le forme di governo europeo collocandole tutte nell’antichità e
propone un modello di regime politico sopportabile:

Nascono così le quattro commedie "politiche" che sono una satira allegorica delle varie forme di governo

• L'uno: quello monarchico


• I pochi: quello oligarchico
• I troppi: quello democratico
• L'antidoto: La forma politica che funziona è costituita da un potere costituzionale e
un’oligarchia di nobili che deve far rispettare le leggi

Le altre due commedie sono:

o Finestrina
o Il divorzio

UGO FOSCOLO:
Nicolò Foscolo (Ugo fu un nome assunto più tardi dal poeta) nacque nel 1778 a Zante, possedimento della
repubblica di Venezia

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L'essere nato in terra greca e da madre greca rivesti molta importanza per il poeta, l’isola natia rimase
sempre nella sua memoria come simbolo di serenità luminosa, bellezza, gioia vitale, fecondità.

 Alla morte del padre, per problemi economici. la madre si stabilì a Venezia e li Niccolò la raggiunse
nel 1793, a quindici anni.

Conoscendo poco la lingua italiana, si gettò negli studi, creandosi rapidamente una notevole cultura, sia
classica sia contemporanea; al tempo stesso cominciò a scrivere i primi versi

Politicamente era entusiasta dei principi della Rivoluzione francese ed assunse posizioni fortemente
libertarie ed egualitarie.

Ebbe pertanto noie con il governo oligarchico e conservatore della Repubblica di Venezia

 Nel 1796, per sfuggire ai sospetti del governo, lasciò la città rifugiandosi per qualche tempo sui colli
Euganei.

Nel frattempo, le armate napoleoniche avanzavano nell'Italia del Nord.

Foscolo fuggì a Bologna, arruolandosi nelle truppe della Repubblica cispadana e pubblicando un'ode
A Buonaparte liberatore, in cui esaltava il generale francese come portatore di libertà.

 Formatosi a Venezia un governo democratico, vi fece ritorno

Dopo che Napoleone aveva ceduto la Repubblica veneta all'Austria con il Trattato di Campoformio, lasciò di
nuovo Venezia e si rifugiò a Milano.

Il "Tradimento" di Napoleone fu un trauma che segnò profondamente l'esperienza di Foscolo

Tornò ad arruolarsi partecipando a vari scontri

 Nel 1808, ottenne la cattedra di Eloquenza all'Università di Pavia. Sembrava la sistemazione tanto
sperata, ma la cattedra fu presto soppressa dal governo.

Si recò allora a Firenze

In seguito alla sconfitta di Lipsia torna a Milano

Dopo la sconfitta definitiva di Napoleone a Waterloo e il rientro a Milano degli Austriaci il generale
Bellegarde gli offri la direzione di una rivista culturale, la Biblioteca italiana, con cui il nuovo regime cercava
di conquistare il consenso degli intellettuali. Ma Foscolo, dopo alcune esitazioni (aveva già steso una bozza
del programma), rifiutò per coerenza con il suo passato e con le sue idee.

 Fuggì da Milano e andò in esilio prima in Svizzera poi a Londra dove morì nel 1827

L’ideologia:
Nella formazione di Foscolo convergono le componenti tipiche della cultura del suo tempo:

 la tradizione classica
 le più moderne sollecitazioni preromantiche

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 l'Illuminismo settecentesco

Tra i moderni: Foscolo guarda con ammirazione al rigore morale e civile di Parini e alla fiera
indipendenza, all'ansia di libertà di Alfieri.

Al tempo stesso subisce le suggestioni del sentimentalismo di Rousseau e del Werther di Goethe,

Tra gli illuministi: subì in un primo tempo l'influenza di Rousseau, che gli suggerì concezioni
democratiche ed egualitarie.
Sempre da Rousseau derivò al giovane Foscolo il culto della natura come fonte di tutto ciò che è
autentico e positivo, nonché il culto della passionalità intensa.

Più tardi Foscolo si staccò da questi principi, abbracciando le concezioni più aspramente pessimistiche di
Machiavelli e del filosofo inglese Thomas Hobbes (1588-1679), che lo inducevano, al contrario, a credere
nell'originaria malvagità dell'uomo, in perenne, feroce conflitto con gli altri uomini per sopraffarli e imporre
il suo dominio.

Materialismo:

Il materialismo di Foscolo proviene sempre dalla cultura illuministica del Settecento, con l'apporto però
anche di pensatori e poeti classici, come i greci Democrito ed Epicuro e il latino Lucrezio.

Il materialismo è la posizione di chi ritiene che tutta la realtà sia materia, ed esclude quindi lo
spirito, se non come prodotto della materia stessa.

Ne deriva la negazione del trascendente e della sopravvivenza dell'anima dopo la morte.

Il mondo, quindi non è retto da una superiore intelligenza, ma da una cieca forza meccanica.

La morte segna l'annullamento totale dell'individuo.

La visione generosamente attiva ed eroica della vita che è propria di Foscolo induce in lui insoddisfazione
per queste posizioni e lo spinge a cercare alternative, a ricuperare la dimensione ideale dell'esistenza.

La funzione della letteratura e delle arti:

Un fondamentale valore alternativo che Foscolo propone è la bellezza, di cui sono depositarie la letteratura
e le arti.

Alle arti Foscolo assegna i seguenti compiti:

 Il compito di depurare l'animo dell'uomo dalle passioni che nascono dai conflitti della vita associata,
di consolarlo dalle sofferenze e dalle angosce del vivere.
 Rasserenare e purificare l'animo dell'uomo per renderlo più umano, allontanarlo dalla condizione
feroce che continua a permanere in lui dai tempi primitivi e che lo spinge alla violenza e alla guerra

La letteratura e le arti hanno quindi per Foscolo un’inestimabile funzione civilizzatrice.

 Ad essa contribuisce anche il compito di Tramandare le memorie, in cui consiste l'anima di un


popolo, ciò che ne garantisce la coesione e fa di esso non un'accozzaglia casuale di individui ma una
nazione. Nel caso dell'Italia, ciò si collega con la funzione patriottica.

Le ultime lettere di Jacopo Ortis:


Una prima redazione dell'Ortis fu parzialmente stampata dal giovane Foscolo a Bologna, nel 1798, ma restò
interrotta per le vicende belliche.

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Lo stampatore, per poter vendere il libro, lo fece concludere da un certo Angelo Sassoli (che tenne però
presenti materiali di Foscolo stesso).

Il romanzo fu ripreso da Foscolo e pubblicato, con profondi mutamenti, nel 1802.


Su di esso lo scrittore ritornò ancora, durante l'esilio: L’Ortis è dunque un'opera giovanile, ma anche
un'opera che Foscolo senti come centrale nella sua esperienza.

Si tratta di un romanzo epistolare, il racconto si costruisce attraverso una serie di lettere che il protagonista
scrive all'amico Lorenzo Alderani (con alcuni interventi narrativi dell'amico stesso).

Il modello a cui Foscolo guarda è soprattutto I dolori del giovane Werther di Goethe

Il modello di Werther:

Chiaramente ispirato al Werther è il nodo fondamentale dell'intreccio, un giovane che si suicida per amore
di una donna già destinata come sposa ad un altro.

Ma vicino a Goethe è anche il nucleo tematico profondo: la figura di un giovane intellettuale in conflitto con
un contesto sociale in cui non può inserirsi. Goethe per primo aveva colto questa situazione di conflitto tra
intellettuale e società

Goethe ha intuizione di rappresentare il conflitto attraverso una vicenda privata e psicologica

Foscolo riprende questo nucleo tematico sviluppandolo in relazione alle particolari caratteristiche del
contesto italiano dei suoi anni

Differenze con il modello di Werther:

Il conflitto sociale, che nel Werther si misura essenzialmente sul piano privato dei rapporti personali, qui si
trasferisce anche su un piano politico.

Ma sono i caratteri stessi del conflitto che si trasformano:

 Il dramma di Werther: è quello di non potersi identificare con la sua classe di provenienza: la
superiore sensibilità del giovane artista sono respinti dal mondo borghese è respinto anche
dall'aristocrazia, che è ancora la classe dominante, chiusa ottusamente a difesa dei suoi privilegi di
casta.
 Diverso è il dramma di Jacopo: il senso angoscioso di una mancanza, il non avere una patria, un
tessuto sociale e politico degno di questo nome entro cui inserirsi.

Il fatto essenziale è che il Werther fu scritto prima della Rivoluzione, l'Ortis dopo;

 dietro il giovane Werther c'è la Germania dell'assolutismo principesco, caratterizzata dal dominio
sociale dell'aristocrazia e da una borghesia vile e reazionaria
 dietro il giovane Ortis c'è invece l'Italia dell'età napoleonica
- In Werther c'è la disperazione che nasce dal sentire il bisogno di un mondo diverso, senza però
intravedere alcuna possibilità di una trasformazione profonda
- In Jacopo c'è invece la disperazione che nasce dalla delusione rivoluzionaria, dal vedere tradite
tutte le speranze dal rendersi conto che lo strumento rivoluzionario è ormai impraticabile.

Non essendovi alternative possibili sul piano della storia, l'unica via che si offre ad Ortis per uscire da una
situazione negativa, al tempo stesso insostenibile e immodificabile, è la morte.

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Al suo interno si trova già una ricerca di valori positivi; che possano permettere di superare il vicolo cieco
della storia: la famiglia, gli affetti, la tradizione culturale italiana, l'eredità classica, la poesia.

Questi motivi saranno sviluppati nelle opere successive

Dei sepolcri:
I Sepolcri sono un poemetto (il termine con cui Foscolo lo definisce è «carme») in endecasillabi sciolti, sotto
forma di epistola poetica indirizzata all'amico Ippolito Pindemonte.

L'occasione fu appunto una discussione avvenuta con questi a Venezia nell'aprile del 1806, originata
dall'editto napoleonico di Saint-Cloud (1804), con cui si imponevano le sepolture fuori dei confini
delle città e si regolamentavano le iscrizioni sulle lapidi.

 Pindemonte, da un punto di vista cristiano, sosteneva il valore della sepoltura


 Foscolo, da un punto di vista materialistico, aveva negato l'importanza delle tombe, poiché la morte
produce la totale dissoluzione dell'essere.

Nel carme, steso nel settembre dello stesso anno, rielaborato nei mesi successivi e pubblicato nell'aprile del
1807, Foscolo riprese appunto quella discussione, ribadendo inizialmente le tesi materialistiche sulla morte,
ma superandole poi con altre considerazioni che rivalutavano il significato delle tombe.

Anche il carme ha al centro il motivo della morte: ma è superata l'idea, derivante dal materialismo
settecentesco, e, che essa sia semplicemente un «nulla eterno».

Questa sopravvivenza è garantita dalla tomba, che conserva il ricordo del defunto presso i vivi.

La tomba assume quindi per Foscolo un valore fondamentale nella civiltà umana: è il centro degli
affetti familiari e la garanzia della loro durata dopo la morte, è il centro dei valori civili, conservando
le tradizioni di un popolo e stimolandolo a mantenersi fedele ad esse, tramanda la memoria dei
grandi uomini e delle azioni eroiche spingendo alla loro imitazione.

Si inserisce così il motivo politico.

L'Ortis si chiudeva col suicidio del protagonista, che escludeva ogni possibilità d'intervento in una situazione
bloccata, senza vie d'uscita sul piano della storia.

 Ora invece, attraverso l'illusione, Foscolo arriva a riproporre quella possibilità dell'azione politica
nella storia che l'analisi razionale del contesto portava ad escludere, ed introduce la prospettiva di
un riscatto dell'Italia dalla miseria presente proprio grazie alla funzione esercitata dalle memorie di
un passato di grandezza, tenute vive dal culto delle tombe.

Le caratteristiche del discorso poetico:

Foscolo stesso si preoccupa di precisare in risposta ad un critico francese, Guilan, il suo carme, a differenza
della poesia sepolcrale, è essenzialmente poesia civile:

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Il carme si presenta dunque come

Una densa meditazione filosofica politica: essa però non è esposta in forma argomentativa, bensì
attraverso una serie di figurazioni e di miti

Il discorso del carme ha una struttura rigorosa ed armonica; e, i trapassi da un concetto all'altro, da una
figurazione all'altra, avvengono in forma fortemente ellittica, lasciando nell'implicito molti passaggi
intermedi.

Estremamente mossa è parimenti la prospettiva spazio-temporale, che contribuisce a dare al breve carme
una suggestione di estrema vastità:

Si passa dallo spazio ristretto ed appartato della tomba («All'ombra dei cipressi») alla prospettiva
immensa della terra e del mare in cui la morte semina le infinite ossa» degli uomini: si succedono
spazi aperti e spazi chiusi.

Il linguaggio è estremamente elevato ed aulico, il lessico rimanda alla tradizione della poesia
classicheggiante ed in particolare al modello di Parini e di Allieni, però la parola è sempre densa di echi e di
suggestioni piegata a significazioni personalissime

La sintassi può variare dalla sentenza concisa e lapidaria al periodare ampio complesso, ricco di subordinate
e di inversioni

L’endecasillabi sciolti, metro classico per eccellenza è trattato con estrema duttilità, piegato tutti i toni
attraverso il ritmo degli accenti, le pause interne, gli enjambements, il timbro delle vocali e delle
consonanti.

Le odi e i sonetti:
Foscolo cominciò a scrivere sin da ragazzo odi, sonetti, canzoni e altre composizioni di vario metro: sono
esercizi letterari che dopo una rigorosa revisione, pubblicò in parte con le Poesie nel 1803, che
comprendevano solo due odi e dodici sonetti.

Le odi:

Le due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All'amica risanata, risalgono al periodo della scrittura
dell'Ortis, ma rappresentano tendenze opposte:

Le Odi rappresentano le tendenze più squisitamente neoclassiche della poesia foscoliana.

Al centro di entrambe vi è il vagheggiamento della bellezza femminile, trasfigurata attraverso la


sovrapposizione delle immagini di divinità greche; in cui il poeta sembra voler riprodurre i canoni della

contemporanea pittura o scultura neoclassica; ricorrono continui rimandi mitologici, evocati con raffinata
erudizione; il lessico è quanto mai aulico e sublime e la struttura sintattica riproduce le architetture del
periodare classico.

Il neoclassicismo di Foscolo si rivela dunque ben diverso da quello arcadico e montiano, esteriore e
puramente esornativo: il culto foscoliano della bellezza esprime un'esigenza autentica e profonda,
che nasce da un rapporto problematico con un momento storico tormentato

I sonetti:

I sonetti sono più vicini alla materia autobiografica e alla passionalità dell'Oris:

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La maggior parte è infatti caratterizzata da un forte impulso soggettivo, fitte sono le reminiscenze di altri
poeti

In essi la classica forma del sonetto è reinventata, in modi fortemente originali, nella struttura sintattica e
metrica, nella tessitura delle immagini

Ma vi sono anche ripresi, in un discorso di estrema densità lirica, i temi centrali dell'Ortis:

 la proiezione del poeta in una figura eroica sventurata e tormentata


 il conflitto con il «reo tempo» presente
 il «nulla eterno» come unica alternativa
 l'impossibilità di trovare un terreno stabile su cui poggiare
 l'illusione della sepoltura "lacrimata"
 il rapporto con la terra «materna» e con il mito antico
 il valore eternatore della poesia.

IL NEOCLASSICISMO:
Il neoclassicismo è una corrente che si distingue dall’idea del classicismo di 500-600

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Ciò che cambia in questo periodo è la consapevolezza della modernità che pone una distanza rispetto
all’idea dell’antichità

E’ possibile individuare due autori archetipi del neoclassicismo: Ippolito Pindemonte e in maniera maggiore
Vincenzo Monti

Pindemonte in minor parte perché mostra già elementi che problematizzano la ripresa del classico.

Con le poesie campestri di Pindemonte (1788) ci ritroviamo difronte a delle poesie che sembrano subire le
influenze europee dello sturm un drang, e quindi legate ad una dimensione “preromantica”

Non è più presente un contesto bucolico quanto un rispecchiamento tra uomo e natura.

*Pindemonte utilizza un tono elegiaco.

Altri esempi: Nelle epistole in versi e nei sermoni è presente forma di neoclassicismo più grammaticalizzato
che riprende il modello antico oraziano. E in questo caso il neoclassicismo viene declinato in senso morale.

Perché Pindemonte e Monti sono i maggiori rappresentati del neoclassicismo italiano? Perché il
neoclassicismo da i suoi frutti più importanti attraverso le traduzioni di grandi classici antichi

 Monti traduce l’Iliade (che riceve maggior successo)


 Pindemonte traduce l’odissea

La traduzione di Pindemonte riscuote minor successo perché manca di quel respiro epico romanzesco tipico
dell’Odissea. Anche in questa traduzione l’autore riversa la melodia dominante della sua poesia elegiaca.

Monti invece rappresenta la declinazione neoclassica italiana non solo dal punto di vista formale ma anche
per la posizione che assume rispetto alla società e quello che sta avvenendo: Monti prova a ripresentare,
adeguandolo all’altezza dei tempi, quella che era la figura dell’intellettuale cortigiano.

Cambiata la classe dirigente, cerca di legarsi a questa per conquistare una postura autoriale definita.

Molto attivo nel presente, prende posizioni di subalternità da una classe egemone all’altra (caratterizzata a
continui cambiamenti) e ciò influisce anche sulla sua produzione rivolta soprattutto ad elogiare il presente.
Questo comporta un’assenza di autenticità all’interno delle proprie opere.

(Periodo in cui l’espressione poetica tende all’espressione di autenticità)

Vincenzo Monti:
Ciò che si ricorda maggiormente di Monti sono le poesie più esistenziali e la traduzione dell’Iliade

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E’ possibile dividere l’attività di Monti in 3 fasi:

Vincenzo Monti nasce nel 1754, compie i suoi studi a Ferrara e poi si sposta a Roma

 I fase: a Roma inizia a pubblicare le sue prime opere, raccolte di testi poetici e diventa una sorta di
intellettuale cortigiano rispetto al papato di Papa Pio VI e pubblica nel 1793 “In morte di Ugo
Bassville”, repubblicano ucciso dai rivoluzionari.

Il poema è un poema contro rivoluzionario. Monti a Roma assume le vesti del poeta della reazione

 II fase: Nel 1797 si sposta a Milano (dove si sta consumando l’esperienza repubblicana cisalpina) e
qui rinnega la sua postura autoriale precedente e prende posizione come poeta della rivoluzione.
Comincia a scrivere opere (effettivamente) dedicate alla figura di Napoleone che viene individuato
come colui che sta portando la rivoluzione anche oltre i confini francesi.

Le opere in particolare sono il prometeo e la maestà di Napoleone.

Da poeta della reazione passa quindi a poeta della rivoluzione questo perché Monti è un intellettuale che
prova ad essere cortigiano rispetto ai luoghi in cui si trova e le classi egemoni presenti.

Da poeta della reazione a poeta della rivoluzione

 III fase: Con la restaurazione, tornano i vecchi dominatori di cui Monti diventa poeta

Tra il 1815 e 1816 pubblica due poemi: il mistico omaggio e il ritorno di astrea

De Santis sarà il primo a mettere in evidenza la posizione intellettuale di Monti (è il poeta più importante di
questa fase. Decisivo per Foscolo e autori successivi anche per Leopardi)

Perché la traduzione è il suo lavoro meglio riuscito? Forse proprio perché in una traduzione è meno
presente la parte soggettiva autoriale.

Monte traduce l’Iliade in endecasillabi sciolti sottolineando elementi nella raffigurazione della guerra che fa
si che si capiscano gli schieramenti in ballo.

La traduzione rappresenta il momento maggiore del suo classicismo (1810)

Monti muore nel 1828 e proprio tra il 1810 e il 1828 (nel 1816) prende avvio la polemica classicisti-
romantici.

La polemica classicisti romantici:


La polemica inizia nel 1816 quando Pietro Giordani (un intellettuale neoclassico di forte caratterizzazione
illuministica e risorgimentale) traduce un articolo di Madame d’stael “Sulla maniera e l’utilità delle
traduzioni” che viene pubblicato sulla Biblioteca Italiana.

Con questo articolo Madame d’stael tenta di trasmettere soprattutto in Francia e in Italia le istanze nate in
Germania con lo sturm un drang.

In questo articolo la cultura italiana viene identificata come frazione della cultura europea più arretrata
perché ancora aggrappata alle norme del classicismo che sono evidenti soprattutto nella traduzione.

Guardando ancora ad una forma di poesia imitativa rispetto alla forma classica ignoravano la cultura
straniera non risultando più all’altezza dei tempi. Gli italiani dovrebbero impegnarsi a tradurre i
contemporanei stranieri (in particolare tedeschi e inglesi)

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A questa polemica risponde lo stesso Giordani schierandosi contro Madame d’stael, dalle sue considerazioni
possiamo evincere i principi della polemica:

Avvertiamo il cambio di paradigma perchè con quello che dice Giordani noi possiamo vedere la punta finale
di quel processo normativo che appartiene all’estetica classicista e che si basa sull’idea che la bellezza che
una volta raggiunta è irripetibile.

Perché guardare alla classicità? Perché momento in cui è emersa la bellezza estetica delle arti. Chi viene
dopo non può che applicare il principio di imitazione perché la bellezza non può essere ricreata.

Di conseguenza

 da un lato abbiamo chi dice che la bellezza non è un valore assoluto ma mutevole e storico
 E chi pensa che la bellezza sia eterna

Tra 700-800 sta cambiando nel momento in cui viene meno il concetto di un assoluto non può esserci più un
principio normativo, la norma va creata. Non abbiamo più un’idea di poetica come adeguamento a delle
leggi a priori ma una poetica che si crea in base al mutamento del gusto storico.

Giordani prova a declinare questa idea neoclassica rispetto a quella che è l’esigenza politica nazionale

Come giustifica il fatto di utilizzare la mitologia? :

Cerca di giustificare la sua posizione come una sorta di arte illuminata, con l’idea che se questo patrimonio
di bellezza rappresenta il valore assoluto, l’intellettuale deve far si che venga veicolato in maniera
pedagogica alle classi subalterne così ciò che era appannaggio dell’aristocrazia diventi cultura diffusa.

In opposizione c’è chi ritiene che la cultura non debba essere calata verso il popolo ma è la cultura popolare
che deve acquistare dignità e diventare cultura diffusa (valorizzazione del dialetto, storie motivi della classe
popolare).

Differenza di posizione molto forte tra Giordani e Romantici.

Non è immediata l’associazione classicisti conservatori perché la biblioteca italiana diventa organò culturale
che fa riferimento agli austriaci e infatti gli autori che si schierano a favore di madame come Ludovico di
Breme, Pietro Bordieri, Giovani Berchet formano un’altra rivista Il conciliatore che accoglie i testi dei
romantici e dura fino al 1819 perché verrà immediatamente chiusa perché individuata dalle diligenze
austriache come una rivista potenzialmente seviziosa.

La lettera semiseria di Crisostono al suo figliuolo: (Giovanni Berchet)

Mostra la consapevolezza dei romantici della classificazione sociale e da la possibilità di comprendere chi
sono i destinatari dei romantici. Berchè con tono umoristico suddivide la popolazione in:

 Ottentotti: analfabeti, disinteressati alla cultura


 Parigini: intellettuali eruditi e salottieri legati ad una cultura arretrata (classicista)
 Popolo: una classe che sta a metà tra la classe media e la borghesia

Avendo come destinatari il popolo la letteratura si deve adeguare a quelli che sono i suoi nuovi destinatari.

Gli elementi del romanticismo sono giustificati dall’idea dei destinatari ed è qui che si vede la specificità del
romanticismo italiano che rispetto a quello europeo d

 a un lato mantiene un forte legame con gli ideali illuministici (forte componente morale meno
presente nel romanticismo europeo dove la componente espressiva è più accentuata)
 Dall’altro lato è caratterizzato da una spiritualità religiosa molto legata al cristianesimo

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La risposta di Manzoni:
Anche Manzoni partecipa alla polemica in forma privata con una lettera pubblicata solo successivamente
dove troviamo una massima che ben racchiude la sua concezione della letteratura:

Secondo Manzoni la letteratura deve avere

 il vero come soggetto: legame del romanticismo (anche in maniera conflittuale) che a con la realtà e
non più l’ideale della bellezza
 L’interessante come mezzo: una poetica che non è più legata alla norma ma è l’autore che crea un
interesse estetico. Non è più il bello che significa imitare il mezzo da utilizzare ma qualcosa che può
suscitare nel lettore interesse estetico
 e l’utile come scopo: interesse morale, il testo letterario ha una declinazione morale.

Condivide le posizioni romantiche per l’idea che la letteratura debba educare a valori civili e morali, rifiuta il
classicismo come arida imitazione fondato sull’uso della mitologica e si allontana con gli ideali romantici che
non si sposano bene con la poetica del vero interessante e utile.

La risposta di Leopardi:
Nel 1816 un Leopardi 17enne scrive due lettere in cui risponde all’articolo prendendo posizione contro i
romantici, schierandosi dalla parte di giordani e dei classicisti.

Le due lettere non verranno pubblicate e nel 1818 Leopardi scrive un saggio il Discorso di un italiano intorno
alla poesia romantica in risposta a uno scritto di Breme che forma il suo primo lavoro di riflessione sulla
scrittura poetica che prende le mosse fra la polemica tra classicisti e romantici

In realtà le sue posizioni sono molto originali rispetto a quelle dei classicisti:

Per lui, la poesia è soprattutto espressione di una spontaneità originaria, di un mondo interiore immaginoso
e fantastico, proprio dei primitivi e dei fanciulli. Per questo è d’accordo con i romantici italiani nella loro
critica al classicismo accademico e pedantesco, al principio di imitazione, alle regole rigidamente imposte
dai generi letterari, all’abuso meccanico e ripetitivo della mitologia classica. Però rimprovera agli scrittori
romantici, la ricerca dello strano, dell’orrido, del truculento; rimprovera loro anche il predominio della logica
sulla fantasia, l’aderenza al “vero” che spegne ogni immaginazione.

Proprio i classici antichi, sono per lui un esempio mirabile di poesia fresca, spontanea, immaginosa.

GIACOMO LEOPARDI:
Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798.

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La formazione culturale è affidata a precettori casalinghi: si tratta di ecclesiastici che condividono il gretto
classicismo di Monaldo e soddisfano le esigenze religiose della madre.

Già a dieci anni Giacomo è in grado di scrivere composizioni in latino, oltre che in italiano, nonché piccole
trattazioni filosofiche.

Più importante dell'insegnamento dei precettori è però, fin dall'infanzia, il rapporto diretto di Giacomo con
la ricchissima biblioteca paterna (circa quindicimila volumi). Oltre che un gran numero di testi di erudizione
e di cultura classica e religiosa.

 Tra il 1809, e il 1816 si svolgono quei sette anni di studio matto e disperatissimo che conferiranno
alla cultura di Giacomo una vastità e una sicurezza straordinarie: Giacomo si impossessa delle lingue
classiche e di un'erudizione solidissima.
Nascono le prime prove poetiche, due tragedie e altri testi creativi, nonché numerose esercitazioni
nel campo dell'erudizione, della filosofia, della morale, della logica.
 Intorno al 1816 si colloca quella che lo stesso Leopardi definì «conversione letteraria»: all'amore per
l'erudizione si sostituisce cioè una più accesa consapevolezza dei valori artistici.
In realtà entra in crisi l'intero equilibrio esistenziale del giovane Giacomo.
I tentativi poetici acquistano un significato più intenso, e nascono i primi risultati di rilievo: l'idillio Le
rimembranze.
 Il 1817 è un anno per più versi decisivo nella giovinezza leopardiana: nel febbraio prende il via la
corrispondenza con l'illustre letterato piacentino Pietro Giordani e nell'estate fissa le prime
osservazioni in quel complesso diario del pensiero che formerà lo Zibaldone.

L'amicizia con Giordani rafforza il desiderio di affermazione individuale già fortissimo in Giacomo e
favoriscono la rottura con le posizioni cattoliche e reazionarie della famiglia.

La formazione illuministica e classicistica di Leopardi inizia a organizzarsi in un sistema teorico originale e


coerente.

 Nasce nel 1818, il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica.


 Nel 1819 Giacomo tenta la fuga dalla prigionia familiare, scoperto dal padre, rinuncia, cadendo in
un abbattimento ancora più profondo (anche le condizioni fisiche non sono buone)

Tra il 1819 e il 1822 Leopardi vive dunque a Recanati in tensione continua con la famiglia, Allo zibaldone
affida un gran numero di riflessioni che segnano la sua cosiddetta «conversione filosofica», e cioè L’adesione
a una concezione materialistica e atea.

La ricerca poetica si svolge lungo due filoni principali:

- la poesia sentimentale degli idilli (compone fra l'altro I'infinito, La sera del di di festa e Alla luna)
- la poesia impegnata delle grandi canzoni civili (fra le quali Ad Angelo Mai, Bruto minore e
Ultimo canto di Saffo).
 Finalmente, nel novembre del 1822 Giacomo può lasciare Recanati recandosi a Roma.

È una nuova delusione: i monumenti della latinità lo lasciano indifferente, la città gli spiace, letterati gli
appaiono presi solo da una meschina e provinciale passione per l'erudizione.

 Nel maggio del 1823, dopo cinque mesi, fa dunque ritorno a Recanati.

Qui si getta di nuovo nell'elaborazione filosofica e nella scrittura. La messa a punto di un pensiero
rigorosamente materialistico e disincantato lo porta su posizioni di combattivo pessimismo. Alla poesia dà
provvisoriamente l'addio con la canzone Alla sua donna, e, nel 1824, si getta nella composizione delle
Operette morali.

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 Nel luglio del 1825 Leopardi lascia di nuovo Recanati, diretto a Milano e in questo periodo vive
fra Milano e Bologna.

Al conte bolognese Carlo Pepoli dedica un'Epistola che interrompe eccezionalmente il silenzio poetico di
questi anni.

Intanto alcune Operette escono sulla «Antologia», la rivista dei moderati fiorentini ruotanti attorno a Pietro
Vieusseux; ma Leopardi declina l'invito a collaborare, Frequenta però il salotto Vieusseux a partire
dall'estate del 1826, quando si stabilisce a Firenze.

Nel 1827 vengono pubblicate a Milano le operette morali.

 Sul finire del 1827, Leopardi si trasferisce a Pisa e questo momento rasserenato favorisce il
ritorno alla scrittura poetica aprendo la stagione del ciclo pisano-recanatese.

Torna poi a Recanati dove Leopardi resta dal novembre del 1828 all'aprile del 1830.

Leopardi compone altri quattro grandi canti (Le ricordanze, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del
villaggio e il Canto notturno di un pastore errante dell'Asia).

 Nell’aprile del 1830 lascia Recanati e non vi tornerà più.

Torna a Firenze dove fa amicizia con lo scrittore Antonio Ranieri e si innamora di Fanny Targioni Tozzetti, per
lei scrive (tra il 1832 e il 1835) alcune canzoni che segnano uno dei momenti più originali e alti della sua
nuova produzione poetica (Il pensiero dominante, Amore e Morte, A se stesso, Aspasia, che formano il
cosiddetto "ciclo di Aspasia", dal soprannome assegnato alla destinataria).

Nel 1831 esce a Firenze la prima edizione dei Canti

(Vari spostamenti con Ranieri tra Roma e Firenze)

 Nell'ottobre 1833 Leopardi e Ranieri si trasferiscono infine a Napoli

Le condizioni di salute di Leopardi peggiorano progressivamente; ma il suo desiderio di intervenire nella vita
culturale contemporanea è più forte che mai: il contatto con l'ambiente fiorentino e poi con quello
napoletano, dove prevale una tendenza spiritualistica, acuisce la sua ostilità verso ogni forma dell'ideologia
borghese.

Il progetto di un'edizione completa delle opere in cinque volumi presso l'editore Starita di Napoli fallisce per
l'intervento della censura, (fra cui, nel 1835, la seconda edizione, ampliata, dei Canti)

L'ipotesi di un'edizione parigina a cura del De Sinner naufraga anch'essa; così che l'edizione delle opere
approvate dall'autore uscirà postuma solamente nel1845, a Firenze, per cura di Ranieri.

 Tra il 1836 e il 1837 Leopardi, vive fra Torre del Greco e Torre Annunziata, ai piedi del Vesuvio,
anche per sfuggire all'epidemia di colera che si è intanto abbattuta su Napoli. Leopardi
compone in questo periodo gli ultimi due canti (Il tramonto della luna e La ginestra o il fiore del
deserto).

Tornato a Napoli nel febbraio, si aggrava ancora e infine muore, mentre infuria il colera, il 14 giugno 1837.

Il sistema filosofico leopardiano:


Leopardi rifiuta un uso specialistico della speculazione filosofica: afferma la tendenza alla speculazione
quale bisogno esistenziale e sociale (potremmo dire antropologico).

Non pensa cioè in quanto filosofo ma in quanto essere umano e in quanto essere sociale.

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I due criteri guida sui quali Leopardi tenta di adeguare le proprie riflessioni sono:

 la rispondenza alle esigenze profonde dell'individuo


 la rispondenza ai caratteri della condizione umana in sé considerata

Il vero che interessa Leopardi è il vero esistenziale dell'io e il vero sociale dei molti.

Ogni ipotesi deve perciò essere verificata al cospetto della propria esperienza e al cospetto della
molteplicità delle esperienze umane cioè avere valore sia soggettivo che oggettivo.

I termini nei quali Leopardi organizza la propria prima riflessione filosofica, intorno al 1817-1818 sono quelli
tipici dell’Illuminismo settecentesco:

Leopardi affronta subito il problema dell’infelicità umana tema cardine di tutto il suo pensiero.

In questa prima fase del suo pensiero, l’infelicità non dipende dalla natura.

La natura è infatti considerata un'entità positiva non perché essa assegni all'uomo una condizione
realmente felice, ma perché produce solide e generose illusioni; che rendono l’uomo capace di virtù e
grandezza.

La civiltà umana ha però distrutto le illusioni che rendevano la vita sopportabile e ha abbandonato l’uomo a
un’infelicità sempre più insopportabile.

L'infelicità dell'uomo non è dunque un dato costitutivo, esistenziale, ma storico: gli antichi erano ancora
capaci di grandi illusioni, mentre i moderni le hanno perdute quasi completamente.

Vi sono tuttavia ancora, anche per i moderni, dei margini per recuperare le grandi illusioni degli antichi

L'ispirazione civile di alcune canzoni di questo periodo (e fino al 1821-22) testimonia il perdurare di una
fiducia nella recuperabilità dei grandi valori del mondo antico.

 Tra il 1829 e il1823 questo “'sistema della natura e delle illusioni" entra progressivamente in crisi a
causa del modificarsi dei vari elementi che lo sorreggono.

Nel 1819 traballa e viene meno l'adesione di Leopardi al cattolicesimo; ed egli abbraccia definitivamente il
sensismo illumiministico, meglio confacente alla direzione della propria ricerca: le idee dipendono dalle
sensazioni e il comportamento umano è diretto alla conquista dell'utile.

L'esito sfortunato dei moti rivoluzionari carbonari del 1821 riduce la fiducia nel valore liberatorio
dell'impegno civile e nella sua praticabilità ed efficacia nel presente e l'esperienza romana, tra la fine del
1822 e l'inizio del 1823, delude la speranza che fuori di Recanati le possibilità di vita autentica e felice siano
più alte.

Negli anni tra il 1819 e il 1823 Leopardi acquisisce fra l'altro un punto di vista rigorosamente materialistico,
ispirato al meccanicismo settecentesco. E respinta ogni ipotesi sull'esistenza di elementi spirituali (a partire
dall'anima umana).

La causa dell'infelicità umana è indicata nel rapporto tra il bisogno dell'individuo di essere felice e le
possibilità di soddisfacimento oggettivo.

Nasce a questo proposito quella che Leopardi chiama «teoria del piacere».

Teoria del piacere:

L'uomo aspira naturalmente al piacere. Ma il piacere desiderato è sempre superiore al piacere


effettivamente conseguito e conseguibile. Il desiderio è anzi in sestesso illimitato, e perciò destinato

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comunque a non essere soddisfatto, Deluso dagli insufficienti appagamenti reali, l'uomo ne cerca di illusori,
sperando sempre di raggiungere la felicità nel futuro, oppure accontentandosi di raggiungerla solo
nell'immaginazione.

Queste riflessioni comportano una ridefinizione del concetto stesso di natura:

Ora la responsabilità dell'infelicità umana è fatta invece ricadere per intero sulla natura, che determina la
tendenza umana al piacere e infonde negli uomini il bisogno di felicità , senza poter poi in alcun modo
soddisfare tale bisogno; e anzi facendo della vita umana un insieme di delusioni, di sofferenze e di noia, con
l'unico scopo di procedere verso la morte.

Ora non sono più le condizioni storiche a essere indicate quale causa dell'infelicità, ma le condizioni
esistenziali dell'uomo.

Infatti è la vita stessa, nella sua organizzazione universale, a essere orientata solamente alla perpetuazione
dell'esistenza, senza che il desiderio di piacere degli individui venga tenuto in alcuna considerazione.

Ma alla condanna della civiltà si sostituisce ora una considerazione complessa e ambivalente di essa,
positiva e negativa al tempo stesso:

- Da una parte la civiltà è l'arma attraverso la quale l'uomo ha smascherato la verità della propria
condizione, recuperando così, se non la possibilità di essere felice, almeno la dignità della
coscienza.
- D'altra parte però la civiltà, sottraendo l'uomo al dominio delle forze naturali e delle illusioni, lo
ha reso più egoista e più fragile.

 Tra il 1823 e il 2827 la riflessione leopardiana trova un approdo provvisorio in una specie di
saggezza distaccata e scettica, ispirata soprattutto al pensiero greco ellenistico.

Leopardi rinuncia alla, scrittura poetica; espone nelle Operette morali (in gran parte nate nel 1824) i risultati
pessimistici e disincantati della propria filosofia, colpendo attraverso il sarcasmo le illusioni dei suoi
contemporanei.

In questa ultima fase, che si definisce con nettezza soprattutto a partire dal 1830 e oceupa gli ultimi
anni, torna in primo piano l'esigenza dell'impegno civile, da cui scaturisce la proposta di una nuova
funzione intellettuale.

Si assiste a una valorizzazione del momento sociale dell'esperienza umana. Ciò consente fra l'altro di
rispondere una volta per tutte alla questione del suicidio, frequentemente affrontata da Leopardi:

esso costituisce una viltà e un errore, in sostanza, perché provoca dolore nei superstiti, rendendo loro più
insopportabile la vita.

Lo sforzo degli esseri umani deve invece essere rivolto a soccorrersi scambievolmente.

Da questa intensa pietà per il genere umano deriva la possibilità di ricostruire una morale, fondata non su
astrazioni ma sul sentimento della fraternità sociale. Il vero coincide con il riconoscere il male della
condizione umana. Compiere questa denuncia è un dovere sociale.

A questo punto il pensiero leopardiano assume i connotati di un progetto di civiltà:

Sulla coscienza del vero deve infatti basarsi un nuovo modo di vivere da parte degli uomini: consapevoli del
male comune e del nemico comune (la natura), essi devono allearsi per ridurre il più possibile il dolore di
tutti gli uomini e accrescere la felicità consentita dal loro stato Fisico-biologico.

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Promuovendo l'intera umanità a soggetto di questa lotta contro i limiti naturali, Leopardi trasferisce a tutti
gli nomini, senza distinzione alcuna, i valori del titanismo alfieriano

Ed è su questa base concettuale che si muovono tanto la ricerca artistica degli ultimi anni (con al centro i
Paralipomeni e La ginestra).

La poetica:
Leopardi si pronuncia per la prima volta pubblicamente nella sua prima giovinezza con il Discorso di un
italiano intorno alla poesia romantica, in risposta all’articolo di Ludovico di Breme stampato sullo
“Spettatore”, che però non venne pubblicato.

Il rifiuto del romanticismo nel Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica riguarda innanzitutto il
rapporto tra poesia e sensi:

I romantici, secondo Leopardi, vogliono portare la poesia «dal visibile all'invisibile e dalle cose alle idee, e
trasmutarla di materiale e fantastica e corporale che era, in metafisica e ragionevole e spirituale»

Quindi recidendo il legame tra poesia e natura, che è l’unica sua ragione d’essere.

 I romantici facendo in questo modo rinnegano il fondamento e la funzione della poesia che
consistono appunto nel mantenimento di un forte legame con la natura a dispetto della ragione
e della civiltà.
 Leopardi propone una poesia capace di servirsi innanzitutto dei sensi per provocare sul lettore
un effetto forte rivendica così la propria formazione sensistica) . L'origine di ogni emozione
artistica è nel rapporto con la natura, più facile e diretto per gli antichi e difficile e artificioso per
i moderni.

La poesia ha proprio il compito di ristabilire, sul piano dell’immaginazione quel rapporto primitivo e diretto
con la natura, che la civiltà e la ragione vanno distruggendo sul piano dell’intelletto.

Ai moderni non è più possibile quel rapporto fantastico e immaginativo con la natura che agli antichi era
ancora aperto, quindi la strada che resta per ristabilire un contatto con la natura primitiva e lo studio degli
antichi e l’imitazione dei loro procedimenti.

E’ soprattutto su questa condanna della modernità che si fonda il classicismo leopardiano, questa è segnata
da:

 Il distacco dalla natura


 Il prevalere della riflessione e della ragione sull’immaginazione e sulle illusioni

Alla poesia compete di garantire un appiglio a quello che il bisogno antropologico di illudersi, di
immaginare, di fantasticare, di sentire il rapporto con la natura e dell’esistenza.

Vediamo come già a partire dal Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica il classicismo
leopardiano abbia una ragione e uno scopo ben diversi, la poesia deve avere una funzione sociale.

Il classicismo leopardiano ha dunque una ragione e uno scopo ben diversi da quelli degli altri classicisti
italiani, la poesia deve avere per Leopardi.

Questa funzione deve esercitarsi in maniera differente dai romantici:

 Per i romantici il mondo della letteratura dovrebbe superare il distacco da quello quotidiano, la
letteratura dovrebbe subire un rinnovamento al pari delle strutture della società
 Leopardi esprime l’esigenza di tenere vivi i modi di sentire caratteristici dell’uomo e ben sviluppati
del mondo antico (l'immaginazione, i valori nobili, le virtù), che rischiano invece di scomparire nel

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mondo moderno, privando l'umanità di una ricchezza fondamentale e di una consolazione


insostituibile.

Quello che Leopardi recupera dall’illuminismo è dunque la componente sensistica.

Da Vico riprende la corrispondenza tra prospettiva storico-individuale e dimensione artistica, cioè tra

 Fasi dell'evoluzione civile dei popoli e della maturazione personale degli individui
 Modi di essere della letteratura e dell'arte

La massima affermazione della poesia corrisponde al potere dell'immaginazione nell'infanzia di ciascuno e


dell'umanità.

 Presso gli antichi quest’affermazione si è realizzata con la più alta riuscita artistica, dato che la maturità
degli individui non li privava del tutto dell’immaginazione e consegnava loro un’efficacissima facoltà di
rappresentarla nell’arte.

• Tra i moderni, la fanciullezza sperimenta questa facoltà di sentire poetico, riesce quasi a far vivere la
condizione antica, ma poi la maturità ci fa riallontanare inesorabilmente da essa.

Ai poeti compete di rievocare, attraverso la memoria, questa fase, corrispondente a un'esperienza


individuale e a una forma antica di civiltà, la sua sfiducia nel progresso e nel senso della storia (cioè il suo
radicale antistoricismo) lo allontana dal progressismo moderato e spesso provvidenzialistico dei romantici
italiani e dalla loro fiducia nella storia.

Vediamo allora che il classicismo leopardiano (antiromantico) non ha nulla di tradizionalista, tuttavia la
distanza che prende dal romanticismo non esclude punti di incontro, infatti si ritrovano anche in Leopardi
alcuni aspetti dell’immaginario romantico:

- La scissione io-mondo

- La tensione tra uomo e natura

- L’angoscia, il dolore, l’infinito, il mistero

- L’atteggiamento combattivo

- Il motivo del canto lirico

(irriducibile al romanticismo per l’ideologia materialista, il rifiuto dell’irrazionalismo e la poetica


originariamente classicista)

La funzione sociale antropologica della poesia, a contatto con le condizioni storiche e individuali si traduce
con l’esaltazione della virtù civile e del patriottismo è applicata alle necessità di riscatto nazionale dalla
canzone All’Italia

A partire dagli Idilli, Leopardi si dedica alla poesia esistenziale, cosa che ci fa comprendere la differente
concezione di classicismo leopardiano, che al contrario si fonda su un bisogno di concretezza e un
atteggiamento polemico verso il presente.

La poesia deve essere in grado di corrispondere all'aspirazione umana al piacere servendosi di specifiche
tecniche, da qui la nascita della poetica del vago e dell’indefinito:

Data presenza innata dell’immaginazione dell’uomo e la tendenza costitutiva dell’immaginazione,


all’indeterminatezza, la poesia deve perseguire a sua volta un’espressività a sua volta indeterminata.

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Ecco come si spiega la ricerca di vocaboli capaci di aprire prospettive polisemiche e la riflessione sulla
specificità della lingua poetica contrapposta al linguaggio filosofico.

L’evoluzione del pensiero leopardiano segna anche l’evoluzione della sua poetica a partire dai suoi termini
portanti: natura, civiltà, illusioni, ragione.

Dopo il Discorso del 1818, non si incontra più una testimonianza organica e ampia di poetica, ma si
deve ricorrere alle numerose notazioni frammentarie presenti nello Zibaldone e nelle lettere,
nonché in alcune Operet te morali e, perfino, in certi passaggi dei Canti.

A partire soprattutto dal 1823, la crisi del "sistema della natura e delle illusioni" determina un nuovo
orientamento di fondo:

La caratterizzazione negativa della natura e la riconsiderazione problematica della civiltà implicano il venir
meno della fiducia nella poesia e nelle sue capacità di ridare voci alle grandi illusioni positive della natura
primitiva. Ne consegue il rifiuto della poesia e l’adesione a una letteratura volta alla distruzione delle
illusioni.

La prosa delle Operette morali prende il posto degli idilli; nell'unico testo poetico tra il 1824 e il 1827,
l'Epistola al conte Carlo Pepoli (1826), si trova l'esaltazione del vero contro le illusioni.

La rinascita della poesia a partire dal 1828 non rinuncia ad alcuni dei termini chiave della poetica giovanile:

In questa fase la prospettiva della memoria da i suoi risultati più alti e la ricerca del vago e dell’indefinito
non cessa di costituire una specificità della scrittura poetica leopardiana.

Viene meno la contrapposizione tra poesia e filosofia:

Resiste fino alle prove ultime (alle canzoni sepolcrali, al ciclo di Aspasia e a La ginestra), la grande messa in
scena della memoria, delle passioni, dei desideri personali e collettivi; ma accompagnata a un continuo
controcanto riflessivo, a un bisogno di ragionare, a una esigenza di pensiero, Illusioni e critica delle illusioni
convivono ormai in una poetica che fonde poesia e filosofia, riconoscimento del bisogno antropologico di
armonia e di bellezza e denuncia dei caratteri mistificati e illusori delle sue incarnazioni storiche.

In tali condizioni, però, muta il compito sociale della poesia: essa non deve più restaurare la forza delle
illusioni, ma stabilire il vero e comunicarlo agli uomini.

Un nuovo progetto di intellettuale:


Rispetto alla concezione tradizionale dominante, Leopardi interpreta il ruolo di scrittore in maniera
differente:

Per Leopardi la letteratura non può essere posta al servizio di una prospettiva sociale e politica, andando
così in contraddizione l’ideologia illuministica.

Scrivere è invece esprimere in modo concreto ed empirico un io: il fondamento della poesia leopardiana è
legato alla persona biologica e psichica dell'autore.

E’ così che si spiega l’inclinazione lirica, la dimensione civile e impegnata nella scrittura.

Prevale, da questo punto di vista, la tendenza a distruggere e a demistificare: cioè la tendenza a


smascherare il carattere illusorio e infondato dei miti e delle ideologie su cui di norma si fonda la civiltà.

Questo atteggiamento è fondamentale per comprendere il complesso rapporto con l’illuminismo di cui
Leopardi riconosce valido e mette in pratica l’aspetto critici, quindi la verifica puntuale nei confronti delle

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credenze e dei valori tradizionali, ma non possiede la fiducia in nuovi miti e nuove illusioni da sostituire a
quelle precedenti (es progresso)

La concezione leopardiana dell’intellettuale non si fonda ne su privilegio sociale o altre condizioni simili, ma
piuttosto rivendica la base antropologico-empirica della ricerca filosofica e della funzione intellettuale.

Lo zibaldone di pensieri:
Nell’estate 1817, all’età di 19 anni, Leopardi inizia a raccogliere in un quaderno le proprie riflessioni che poi
andranno a formare lo Zibaldone di pensieri. Il titolo allude alla varietà disordinata dei temi affrontati e al
carattere frammentario e provvisorio della scrittura.

Non nasce come opera per il pubblico ma consiste in una sorta di diario intellettuale nel quale l’autore
appunta anche episodi autobiografici e impressioni dirette.

Nello zibaldone vengono fissate riflessioni di studio e numerosi pensieri di carattere tecnico. Gli appunti
hanno il compito di raccogliere materiale e a fissare un ricordo nella mente dell’autore, a tentare di mettere
chiarezza.

Nonostante la natura disorganica dell’opera sono presenti temi ricorrenti e di questi si assiste ad una
continua evoluzione che porta in certi casi anche a cambiamenti radicali della prospettiva dell’autore, come
nel caso del rapporto tra natura e civiltà.

E’ quindi formato da fasi diverse di elaborazione a cui corrispondono atteggiamenti di scrittura differenti.

La teoria del piacere:

Nell’uomo è presente un desiderio infinito di piacere, ma la possibilità di realizzarlo è invece finita, cosa che
consegue l’inevitabile appagamento. La premessa che pone Leopardi per esporre la teoria del piacere è che
l’anima umana desidera un piacere infinito, senza limiti

- né per durata
- né per estensione

Ne consegue che il desiderio rimane inappagato perché nessun piacere è infinito, la natura delle cose
prevede che tutto sia circoscritto.

L'esempio del cavallo, a conclusione del brano, dà concretezza alla tesi esposta:

“Se tu desideri un cavallo, ti pare di desiderarlo come cavallo, e come un tal piacere, ma in fatti lo
desideri come piacere astratto e illimitato. Quando giungi a possedere il cavallo, trovi un piacere
necessariamente circoscritto, e senti un vuoto nell'anima, perché quel desiderio che tu avevi
effettivamente, non resta pago.”

Qui la causa dell’infelicità non è individuata nella civiltà che ha ucciso le illusioni prodotte dalla natura, ma
nel rapporto tra il bisogno di felicità dell’individuo e la possibilità di soddisfacimento oggettivo.

L’uomo aspira naturalmente al piacere ma ciò che desidera è sempre superiore a ciò che è conseguibile.
Dalla teoria del piacere deriva una nuova visione della natura, ora considerata in termini negativi: essa
stessa sarebbe infatti responsabile dell'infelicità umana perché essa stessa determina la tendenza
dell'individuo al piacere.

Le operette morali:
Nel 1824 Leopardi scrive le Operette morali, venti prose di argomento filosofico e di taglio satirico, in forma
di narrazione, discorso o dialogo. *L’edizione definitiva esce solo postuma a cura di Ranieri

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Le Operette morali contengono il nucleo della riflessione filosofica leopardiana elaborata tra 1823 e 1819: il
pessimismo, il materialismo, la critica alle ideologie borghesi della restaurazione.

La scelta della prosa satirica delle operette coincide con l’abbandono della poesia da parte dell’autore.

Quindi le prime prose delle operette da una parte riportano le conclusioni del periodo che precede,
dall’altro segnano l’ingresso in una fase di distacco in cui si addice il registro ironico.

Leopardi concepisce le operette come opera unitaria e organica ma, nonostante ciò, la struttura si rivela
essere il contrario: da una prosa all'altra le tecniche narrative, i protagonisti mutano le ambientazioni e
quando ricostruibili, le epoche storiche.

L’organicità sta nel fine del libro, che è sia pratico che concettuale, vuole infatti

- Mostrare il vero e irridere tutte le sue mistificazioni illusorie e colpevoli


- Individuare i modi di vita adeguati alla consapevolezza del vero

Il fine pratico implicito in questa ricerca di tipologie comportamentali decreta il carattere morale dei testi e
giustifica l’aggettivo del titolo.

Mentre l'abbassamento del diminutivo (operette) dipende dalla formula letteraria e concettuale prescelta
da Leopardi: una formula non seria, solenne e sostenuta, ma satirica.

I caratteri salienti della satira sono innanzitutto il ricorso al registro comico per rappresentare un contenuto
tragico e serio.

I diversi temi delle operette circolano da un testo all’altro con progressive riprese e arricchimenti:

 Un tema fondamentale riguarda la teoria del piacere a cui si riconnettono quello della natura e della
civiltà.
 Un altro tema presente è quello della concezione materialistica.
 Viene infine sviluppata una critica ad alcune costanti della civilità umana e del pensiero moderno,
in particolare: l'illusione antropocentrica, derisa in nome della marginalità miserabile dell'uomo
nell'universo, il mito del progresso.

Lo stile delle Operette risente della contaminazione dei generi. Si va perciò da:

- un registro lirico alto


- un registro filosofico-medio
- un registro realistico-basso, colloquiale.

Le Operette morali vogliono assolvere tre funzioni fondamentali:

 Rappresentare senza veli la necessità del dolore per gli uomini


 Smascherare e deridere le illusioni consolatorie, di nuovo prevalenti nel clima culturale della
Restaurazione,
 Additare un modello di reazione all'infelicità, consolatorie nelle passioni e nei gesti generosi e
audaci che anche la disperazione può consentire.

Le operette si aprono con “La storia del genere umano”, prosa che narra da una prospettiva mitica e
allegorica le vicende dell’umanità.

Il tema dell’infelicità presente in queste opere è ricondotto al suo nucleo filosofico con il successivo
“Dialogo della Natura e di un Islandese”

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Questo dialogo ha un significato centrale nella riflessione filosofica leopardiana: affronta infatti il tema
nodale della natura, portando a maturazione una lunghissima serie di pensieri depositati nello Zibaldone e
già in parte ripresi nelle operette che precedono.

Crolla ogni residuo di fiducia o giustificazione nei confronti della natura, che invece è considerata forza
spietata e impersonale, indifferente al destino dei viventi e quindi nemica della loro felicità

Un islandese è fuggito dalla Natura per tutta la vita, convinto che essa perseguiti gli uomini rendendoli
infelici, ma un giorno - mentre si trova nel cuore dell'Africa - se la ritrova davanti, in figura di donna
gigantesca.

Nel dialogo tra i due emerge l’indifferenza della natura al bene e al male degli uomini.

La natura stessa afferma le leggi di un rigoroso materialismo: nulla tocca l’interesse della Natura, lei è solo
volta a perseguitare la durata dell’esistenza attraverso un circuito perpetuo di produzione e distruzione, non
a dare senso alle proprie creature.

Il dialogo si chiude con la disperata richiesta di significato che l’Islandese rivolge alla Natura e che quindi
resta senza risposta.

Il dialogo è mozzato sulla disperata richiesta di significato rivolta dall'Islandese alla Natura, e resta dunque
senza risposta

Altro testo interessante all’interno delle operette morali è “Il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue
mummie” in cui viene affrontato il tema della morte e offre un corollario alla teoria del piacere.

L’operetta si apre eccezionalmente con un testo poetico, il Coro di morti nello studio di Federico Ruysch, una
stanza di canzone libera in cui i morti dichiarano di fuggire la vita come da vivi fuggivano la morte, dicono di
essere più al sicuro dai mali dell’esistenza, benché tanto la morte quanto la vita neghino agli uomini ogni
forma di felicità con i morti.

Concluso il loro coro, si mette a dialogare lo scienziato Federico Ruysch, approfittando di un quarto d'ora in
cui eccezionalmente è concesso ai morti di rispondere ai vivi.

Le curiosità dello scienziato riguardano l’esperienza del morire, ma le risposte che gli vengono date sono
insoddisfacenti: il morire non è accompagnato da nessuna sensazione ma anzi coincide con il cessare di
tutte le sensazioni.

La morte è l’assenza di ogni energia vitale e quindi, in riferimento alla teoria del piacere è un evento
piacevole: annullando la sensibilità si annulla il desiderio del piacere, insieme vengono meno anche la
facoltà di soffrire e di percepire l’insoddisfazione del desiderio.

I CANTI:
I canti e la lirica:
Per quanto riguarda il rapporto tra modernità e poesia, per Leopardi esse sono in contraddizioni se non
addirittura incompatibili.

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 La vera poesia è quella degli antichi: primitiva, immaginativa, colma di illusioni e di indefinitezza.
 La modernità è invece il regno della ragione, e il primo effetto della ragione è la distruzione delle
illusioni e dell'immaginazione.

1. In un primo momento, con la stesura delle canzoni civili e degli idilli, Leopardi tenta di dare vita alle
illusioni antichi, di favorire un ritorno all’immaginazione attraverso un recupero dei loro grandi miti.
2. In un secondo momento, con la stesura dei canti pisano-recanatesi e i testi ultimi, si dedica invece
alla distruzione delle illusioni

In entrambi le stagioni creative Leopardi afferma la centralità della lirica quale massima espressione
linguistica dell’uomo, l’unica rimasta ai moderni e che possiede il potere di reclamare una funzione anche in
un mondo che ha distrutto i presupposti stessi della poeticità (le «favole antiche» e le virtù).

Essa dovrà però adeguarsi alla nuova condizione rivendicando il bisogno di autenticità e di valori, o
smascherando l’inautenticità del mondo moderno.

La tradizione lirica precedente si fonda sul canone petrarchista, che vede al centro il soggetto quale
istituzione letteraria. Ciò vuol dire che la condizione del soggetto lirico è autentica ma ricondotta comunque
a un disegno generale.

Con Leopardi invece il soggetto diviene un “io” concreto, tangibile, addirittura biografico. Le sue
affermazioni in prima persona si fondano sull’esperienza concerta.

L’importanza di questa esperienza individuale concreta si rafforza nei canti pisano recanatesi fino a
diventare la base dimostrativa della base filosofica della vita.

La prospettiva leopardiana presuppone anche un'altra novità rilevante: la tendenza all'oggettivazione, cioè
all'argomentazione, alla dimostrazione teorica e dunque alla filosofia.

I Canti danno vita a un soggetto che oltre che a vivere e a sentire pensa, e così dall’infinito alla ginestra: il
pensiero si fonda sull'esperienza, il ragionamento è un attributo del soggetto, deriva dalla sua condizione
specifica. Ed è in questo modo che la tendenza all’oggettivazione, quindi alla tensione filosofica, si fonda
sulla forte presenza del soggetto.

La lirica moderna deve dunque a Leopardi questo grande modello di poesia fondata sul soggetto concreto e
protesa al pensiero oggettivo, questo modello di lirica intrinsecamente filosofica, nuova e diversa rispetto
alla ormai secolare tradizione del petrarchismo

Composizione, struttura, titolo, vicende editoriali:


Il libro è composto da 41 testi di varia lunghezza, composi tra il 1816 e il 1837 (tra i 18 e i 39 anni)

Il grosso di questa produzione si concentra nel quinquennio iniziale (1818-1822), e negli ultimi otto anni.

Prima della composizione dei Canti, Leopardi pubblicò numerose stampe parziali dei testi fra cui Canzoni
(1824) e Versi (1826)

Tali edizioni attestano la consapevolezza leopardiana di aver lavorato su due filoni principali assai diversi,:

 uno di tipo patriottico-civile-filosofico: canzoni


 uno evocativo-esistenziale-sentimentale: idilli

Le ragioni che hanno determinato la specifica distribuzione strutturale dei testi, all'interno dei Canti non
sono univoche o evidenti, benché alcuni criteri risultino facilmente desumibili

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 Per esempio, non viene seguito rigorosamente l’ordine cronologico di composizione che tuttavia
viene rispettato in molti casi, soprattutto dispone i testi secondo blocchi cronologicamente
omogenei.
 Agisce spesso in modo coerente la suddivisione dei generi, che però non è così rigida (soprattutto
per il gruppo delle canzoni civili del 1818-22 e per gli idilli del 1819-21).

La struttura dei Canti è il risultato di varie esigenze e intenzioni, non sempre coerentemente soddisfacibili: il
criterio cronologico, di genere e tematico si incrociano nella struttura del libro non sempre convergendo.

E’ possibile suddividere la produzione in tre fasi:

1. Prima fase (1818-22), che vede nascere le canzoni civili e gli idilli
2. Seconda fase (1828-30), caratterizzata dai grandi canti pisano-recanatesi
3. Terza fase (183137) - corrispondente a una «nuova poetica», come l'ha definita Binni - che presenta
i testi d'amore del cosiddetto "ciclo di Aspasia", le canzoni sepolcrali e componimenti impegnati
come La ginestra.

Temi e situazioni dei canti:


 Il tema civile:

Compare con forza, fin dal titolo nel testo di apertura, All'Italia in cui emerge un’esigenza di attualità e di
impegno diretto nel presente.

La stessa esigenza riappare anche nelle altre canzoni civili (1818-1821), soprattutto in Ad Angelo Mai:

Qui si registra una maturazione della riflessione leopardiana, vediamo sostituire al patriottismo precedente
una rappresentazione puntuale e terribile del clima asfissiante dell’Europa in piena restaurazione.

Nella canzone dedicata a Mai, in particolare, il clima della Restaurazione, direttamente patito dal soggetto,
diviene l'espressione esemplare della modernità.

La modernità che è segnata dalla fine del potere delle illusioni e dall’arido dominio del vero, in
contrapposizione alla virtù felice o al dolore dotato di senso degli antichi.

Da questa rappresentazione negativa della modernità deriva la crescente sfiducia nel significato
dell’impegno civile e delle virtù connesse, così che con la canzone Bruto minore e il suicidio dell’eroe si
chiude la prima stagione delle poesie civili di Leopardi.

Ora la virtù è ormai solo una vana parola che non ha senso seguire.

L’esperienza delle operette morali che si apre poco dopo configura un tipo di impegno civile ma volto alla
contestazione radicale, invece che all’intervento o alla proposta.

E’ negli ultimi anni che torna ad essere presente il problema della società in quanto istituzione
storica e in questo caso l’approccio è prevalentemente satirico-polemico.

La ginestra, Quest'ultimo testo esprime una proposta in positivo, che manca invece nel resto dell'opera
leopardiana:

Ripropone la centralità del momento civile associato, messo per un periodo in ombra dalla prospettiva
individuale dei canti pisano recanatesi e del ciclo di Aspasia. Ora la società umana è guardata con bisogno di
valorizzazione che riscatti gli uomini dalla minaccia e dalle privazioni imposte dalla condizione naturale.

Il punto di vista di un’utopica fratellanza universale non altera la concezione pessimistica e disincantata della
condizione dell’uomo sulla terra.

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La proposta conclusiva del percorso leopardiano non si fonda cioè su un rovesciamento di


prospettiva o su un ripensamento.

 Il rapporto tra antichi e moderni:

Strettamente collegato al tema civile è la questione del rapporto tra antichi e moderni:

 Come agli antichi appartenevano le illusioni e di conseguenza la virtù, l’eroismo e i valori


 Così ai moderni appartengono la condizione del vero e quindi i vizi, la viltà e l’egoismo

Da ciò deriva anche che la poesia, caratteristica del mondo antico, divenga difficile o impossibile per i
moderni. Questi temi sono al centro della canzone Ad Angelo Mai e si ritrovano soprattutto in Bruto minore.

 Il tema della memoria:

E’ uno dei temi più caratterizzanti della poesia dei Canti, essendo il passato per i moderni l’unico
catalizzatore possibile di poesia: il poeta moderno deve trarre dal passato dell’umanità e per fare ciò deve
essere in grado di ritornare al proprio passato individuale cioè la fanciullezza. Da questo deve ricavare il
rapporto immaginoso con la realtà e il sostegno delle illusioni.

Un esempio è La Sera del dì di festa in cui viene rievocato il proprio passato e il passato storico dell’umanità
(i romani), che procedono affiancati.

Dopo la rottura segnata dalle Operette morali questo sistema diviene più complesso: accanto al
rapporto vitale e produttivo con il passato diviene necessaria la riflessione sul conflitto tra passato e
presente, tra illusioni e disillusione, tra speranze e delusione.

Questa nuova esigenza trova la propria realizzazione più alta in testi come Le ricordanze e A Silvia:

In A Silvia, analogamente, il significato sta proprio nel rapporto di contrasto e di negazione tra il passato
della speranza e il presente della morte e del fallimento.

Leopardi non canta Silvia da viva, ma ne ha cantato la vita e le attese dopo che la morte e la disillusione
avevano svelato il vero significato: è dunque soltanto nella prospettiva del ricordo e del passato che
l'esperienza acquista senso.

 Le illusioni:

Al tema della memoria è collegato dunque quello delle illusioni

Le illusioni sono anzi profondamente segnate dalla dimensione temporale: caratterizzano l'antico, l'infanzia,
il passato, mentre si dileguano e rovinano nel moderno, nella maturità, nel presente.

La morte delle illusioni è il danno pianto nella canzone Ad Angelo Mai, dato che con le illusioni sono venuti
meno ogni possibile virtù e ogni possibile felicità.

Ed è però anche la conquista rivendicata molti anni successivi nella Ginestra, dato che soltanto il
riconoscimento della verità (infelice) della condizione umana può fondarsi il progetto utopico di alleanza
solidale tra gli uomini.

Però anche nella vicenda dei Canti sono presenti messe in scena di illusioni presenti e vive, e del
loro valore attivo di conoscenza e di esperienza positiva:

E’ il caso dell'Infinito, una vera e propria esaltazione del significato formativo e rigenerativo dell'abbandono
a immaginazioni illusorie.

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Tanto in Alla sua donna quanto nel Pensiero dominante l'illusione rivendicata è l'amore, altro tema
importante dei Canti.

L’amore:

Esso è presente in testi come Il primo amore e Il sogno e agisce profondamente nella Sera del dì di festa,
come catalizzatore dell’interiorità angosciata del soggetto, ma occupa soprattutto il centro dell’Ultimo canto
di Saffo

Qui l'amore si configura quale sfida estrema del soggetto: l’amore di Saffo è un’estrema apertura di credito
alla vita, dopo la quale, in mancanza di risultati non può che avere luogo un rifiuto radicale e definitivo.
Attraverso il gesto di togliersi la vita, Saffo nega l’esistenza di un valore alle cose che lascia.

La ricerca di senso:

Nel sistema dei Canti la ricerca di senso, come si è visto stemperata appena dalla consapevolezza che essa è
un'illusione, viene poi a frangersi in A se stesso.

Qui, come nell'Ultimo canto di Saffo, è proclamata l'indegnità del reale rispetto all'amore:

«Non val cosa nessuna / i moti tuoi».

Anche il cerchio dell'amore, come quello della memoria e delle illusioni, rischia di chiudersi, nella struttura
del libro, su una nota negativa e distruttiva.

A scongiurare questo rischio nichilistico sta innanzi tutto sopra un bassorilievo antico sepolcrale, l’amore è
riscattato implicitamente quale valore minacciato e dilapidato dalla natura distruttrice:

«Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre di strappar dalle braccia [..] all'amante l'amore: e l'uno
estinto, l'altro in vita serbar? Come potesti far necessario in noi tanto dolor, che sopravviva amando
al mortale il mortal?»

Sta anche, più corposamente, la prospettiva solidaristica della Ginestra, nella quale è caldeggiato un mondo
in cui ciascuno «abbraccia» tutti gli altri «con vero amor»: all'amore quale rivendicazione di senso
individuale, illusoria o fondante, si sostituisce questa immagine allargata e collettiva di amore quale segno
di alleanza.

Se il carattere distintivo delle società moderne è, secondo il giudizio di Leopardi, 'egoismo, questa proposta
tratteggia una possibilità radicalmente alternativa, facendo anche dell'amore un territorio da rinnovare e
rifondare, cioè un «vero» amore.

Il paesaggio dei canti:


In Leopardi si configura una tensione tra soggetto e paesaggio che ricalca la tensione del rapporto tra uomo
e natura.

Es. l’Ultimo canto di Saffo dove la natura è presentata nella sua bellezza e armonia ma ciò che
caratterizza poi il movimento drammatico del testo è la tensione tra questa bellezza e la bruttezza
del soggetto: Saffo non può più fare conto su un'accoglienza nella natura, su una corrispondenza,
nel paesaggio, tra interiorità e mondo esterno.

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In questo modo, la bellezza del paesaggio naturale diviene nell'Ultimo canto di Saffo una persecuzione.

Il paesaggio può quindi avere un volto doppio, la sua bellezza è ambigua. Qui una serie di esempi:

 Nella Sera del dì di festa l'incanto notturno contiene l'angoscia del soggetto senza che tra i due
termini si stabiliscano un vero contatto e uno scambio
 Nel Passero solitario prende corpo una primavera rispetto alla quale ciò che conta, nella figurazione,
è un'estraneità del passero.
 In A Silvia si assiste a un meccanismo alquanto diverso: il «maggio odoroso» che corrisponde al
tempo delle speranze è pronto a trasformarsi nell'inverno che inaridisce l'erba allorché si verifica
l'evento rivelatore della morte della protagonista.

Analoga ma più inquietante è la procedura della Quiete dopo la tempesta: se al paesaggio rovinoso della
tempesta segue quello positivo della quiete, così come al dolore segue il piacere (cessazione del dolore) ne
consegue che la natura serena ha soltanto il valore di una tempesta cessata.

E se l'augurio finale invita la morte a far cessare tutti i dolori, ne consegue che il piacere e la quiete
corrispondono alla morte, avendone la medesima funzione, cioè annullare il dolore.

La mancanza della dimensione del paesaggio-stato d'animo ha nell’Infinito un esempio significativo:

Tutti gli elementi esplicitamente nominati del paesaggio circostante il soggetto («colle»), «siepe»,
«orizzonte», «piante» non valgono per quel che sono e per quel che esprimono, ma, proprio al contrario,
per quel che il soggetto è in grado di mettere in scena aldilà di essi e perfino contro di essi: al limite della
siepe, poniamo, si sostituisce 'illimitato della propria costruzione mentale.

In ogni caso, e fino a questa esperienza estrema, il rapporto con il paesaggio maturale configura
tensione e inappartenenza.

E’ di norma presente nel dato naturale paesaggistico un elemento di distruzione o di negatività che qualifica
minacciosamente il rapporto con il soggetto e con l'uomo.

 In Saffo c'è il ritrarsi delle acque e delle rive dai piedi insicuri.
 Nel passero solitario c'è il sole che ferisce gli occhi tramontando, con il suo inquietante messaggio
luttuoso
 Nella sera del di dì festa c’è il cielo «che si benigno / appare in vista» e che esprime però la ferocia
della natura, la quale ha creato il soggetto solo per farlo soffrire
 In A Silvia c'è l'inverno che inaridisce l'erba

Anche il paesaggio nel Canto notturno di un pastore errante dell'Asia contiene un nucleo negativo e
minaccioso: tutta la seconda strofa, dedicata all’allegoria del «vecchierel bianco, infermo», è presenta infatti
una natura ostile ed estrema:

«per montagna e per valle, per sassi acuti, ed alta rena, e fratte, al vento, alla tempesta, e quando
avvampa l'ora, e quando poi gela ecc.».

Ma, più che la negatività la mancanza di significato, che si esprime nella distanza e nell'indifferenza tra
soggetto e oggetti naturali:

Nel canto notturno il pastore vorrebbe sapere dalla luna il significato dei deserti che egli percorre, di
«greggi, fontane ed erbe» che incontra, il significato della «primavera» e del caldo estivo, dell'inverno con i
suoi «ghiacci».

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Il pastore sperimenta l'estraneità di ciò che vede rispetto al proprio mondo interiore, davanti al cielo
notturno e alle stelle, cioè davanti a una delle visioni che meglio rappresentano, tradizionalmente, l'accesso
al significato delle cose.

Il contesto del paesaggio naturale, lungi dal garantire l'identità del soggetto, la mette al contrario in
subbuglio, minandone la possibilità stessa.

L'assenza di significato nel paesaggio del Canto notturno indica il venir meno del privilegio
dell'uomo nel cosmo. L'universo non è più sentito come una cornice della condizione umana, la
terra e l’universo non sono fatti per l’uomo ma il paesaggio costituisce anzi uno degli oggetti più
inquietanti di tale ricerca.

Uno dei temi centrali della Ginestra è proprio la critica dell’antropocentrismo, affidata alla messa in scena di
un paesaggio desolato, quale testimone dell’indifferenza della natura alle sorti dell’uomo, quindi quale
smentita di ogni privilegio riservato all’umanità.

Passeggiando alle pendici del vulcano, il soggetto non vive una qualche avventura interiore o obiettiva sullo
sfondo di un paesaggio consenziente, ma fissa gli occhi su quel paesaggio e si interroga sul suo significato.

Metri forme, stile, lingua:


Centrale nel sistema di forme romantiche, la canzonetta ha pochissima rilevanza nei Canti, dove conta
un'unica presenza (Il risorgimento).

E anche il sonetto e l’ode, decisivi per il versante classicistico sono totalmente assenti.

L’originalità di leopardi non si configura quale audace innovazione metrica, ma piuttosto quale
modificazione graduale, e commisurata ai propri puntuali bisogni espressivi, di forme metriche tradizionali.

Nei canti sono presenti solamente endecasillabo e settenario, versi portanti della tradizione lirica italiana.
Tuttavia, questi metri vengono forzati da Leopardi sia utilizzando sonorità nuove e personali, sia attribuendo
una funzione fondamentale all’enjambament.

Tornando a scrivere canzoni nel 1828, dopo cinque anni, Leopardi produsse infine, a partire da A
Silvia, un tipo di canzone radicalmente mutato, definito canzone libera o, appunto, leopardiana

Qui è presente:

 Una libera alternanza di settenari ed endecasillabi


 Libertà nella disposizione delle rime, risulta
 E’ libero anche il numero di versi di ciascuna strofa.

L'altra forma metrica fondamentale dei Canti, l'endecasillabo libero, o sciolto, si presta bene al genere
dell'epistola in versi e della satira. Gli esempi illustri di Parini e dei Sepolcri foscoliani incoraggiavano
tuttavia anche usi civilmente impegnati.

Su questa linea si collocano alcuni componimenti dei Canti come l'epistola Al conte Carlo Pepoli.

Prevale però nei Canti un uso più strettamente lirico dell'endecasillabo sciolto, come negli idilli del
1819-21 (L'infinito, La sera del di di festa, ecc.). Per questo impiego, Leopardi si è rifatto all'esempio
di Monti.

La soluzione leopardiana risulta però intensamente originale.

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Anche nella lingua e nello stile dei Canti si osserva la tendenza leopardiana a rinnovare la tradizione senza
attuare cambiamenti radicali, può essere per esempio registrata l'introduzione di una componente
prosastica

E tuttavia il ricorso alla "prosa" nei Canti si accompagna a uno stile elevato e non riguarda comunque la
lingua in senso stretto: infatti la lingua cui Leopardi mira è una lingua canonica, una lingua dalla quale deve
innanzitutto sprigionarsi il senso di diversità nei confronti del presente.

Le scelte linguistiche di Leopardi risentono di un’elaborazione teorica intorno alla lingua, in particolare
quella poetica.

La predilezione per voci che esprimano vaghezza, distanza, indefinitezza, e d'altra parte per parole rare e
per usi lontani dalla norma, si fonda in particolare sulla distinzione tra" '"termini" e "parole"

 I termini «presentano la nuda e circoscritta idea» dell'oggetto cui si riferiscono, e risultano quindi
particolarmente adatti all'uso tecnico-scientifico.
 Le parole, invece, «non presentano la sola idea dell'oggetto significato, ma quando più quando
meno, immagini accessorie»

La prima fase della poesia leopardiana:


Gli anni che vanno dal 1818 al 1822 sono caratterizzati da una rapidissima evoluzione delle posizioni
leopardiane per quanto riguarda

- Il pensiero
- La poetica
- I concreti tentativi di scrittura

Vediamo come in questo periodo cerca di staccarsi dalla formazione cristiana e dagli atteggiamenti
reazionari ereditati dal padre, l’esigenza di nuovi valori e l’adesione ad una prospettiva materialistica e
pessimistica.

Nel campo della scrittura poetica, questa condizione produce tre direzioni fondamentali di ricerca:

1. Una prima, destinata a essere subito interrotta e rifiutata, è di tipo esplicitamente romantico, peri
temi quotidiani e scabrosi
2. Le canzoni
3. Gli idilli

Tanto nelle canzoni quanto negli idilli si affaccia un bisogno di espressione di tipo esistenziale, nonché la
tendenza alla riflessione filosofica

- Negli idilli (1819 1821) sperimenta una poesia più modernamente lirica, di tipo "sentimentale",
con una selezione linguistica più intima e concentrata, impiegando forme metriche aperte e
personali
- Nelle canzoni (1818-1822) Leopardi tenta una poesia impegnata, inizialmente strettamente
patriottica (quindi civile in senso più ampio) ricorrendo alla struttura tradizionale della canzone
petrarchesca e impiegando un linguaggio fortemente letterario.

L'impegno patriottico e civile delle canzoni si conclude, dopo la delusione dei moti rivoluzionari del 1821,
con la canzone Bruto minore, nella quale l'eroe romano, sconfitto, dichiara inutile l'impegno in nome della

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virtù e si uccide. Un significato meno direttamente "politico" ha l'altra canzone del suicidio, l'Ultimo canto di
Saffo

Accanto alle due canzoni si collocano altri testi, anch'essi conclusivi di questa stagione, come Alla Primavera,
o delle favole antiche e Alla sua donna, con la quale Leopardi si licenzia per cinque anni dalla poesia.

La canzoni civili 1818-1822:


I canti si aprono proprio con un consistente nucleo di canzoni, 9 delle 10 pubblicate a Bologna nel 1824.

(la decima, Alla sua donna, viene fatta slittare al di là degli idilli, a chiudere la prima fase della poesia
leopardiana)

Coerentemente con il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica Leopardi si misura con un tipo di
poesia nobilmente impegnata, ispirata ai modelli classici e suscitatrice di passioni e virtù elevate.

Il tema prescelto è innanzitutto quello attuale del patriottismo

In All’Italia è centrale il tema della decadenza italiana e il confronto tra la grandezza antica e il presente.

Ad Angelo Mai invece nasce da uno spunto particolare, il ritrovamento di una cospicua parte del De re
publica di Cicerone ad opera dell’erudito (appunto Angelo Mai) a cui viene dedicata la canzone.

Qui la struttura logico argomentativa insiste molto sul contrasto tra la grandezza degli antichi, la cui voce
risuona anche dalle carte appena ritrovate, e la degenerata viltà dei contemporanei, tra i quali il poeta si
presenta come un’eccezione.

La canzone si snoda attraverso il colloquio con alcune grandi figure esemplari di italiani (Dante, Petrarca,
Cristoforo Colombo, Ariosto, Tasso, Alfieri)

La progressione degli autori corrisponde alla scoperta moderna della noia, dell’arido vero, del nulla come
condizione reale dell’uomo. Il disagio del poeta cresce assieme al clima asfissiante della restaurazione di cui
il poeta da un’angosciata testimonianza.

In tutt'e tre queste canzoni si riscontra la ricerca di un linguaggio capace di unire classicità e modernità.

Altri temi presenti nelle canzoni di questo periodo sono:

- L’educazione
- Il rapporto tra natura e civiltà
- Il fatto che il cammino della civiltà coincida con una progressiva perdita di contatto con la
natura e con la scoperta dell'infelicità.

Le canzoni del suicidio:


Denominate del suicidio sono due canzoni del 1822:

1. il Bruto Minore
2. Ultimo canto di Saffo

Bruto Minore presenta un suicidio civile e chiude il tema civilmente impegnato delle prime canzoni

Qui il protagonista è l’ispiratore dell’assassinio di Cesare, (poi sconfitto).

Deluso dai valori repubblicani, in nome dei quali ha guidato la congiura e travolto dell’avverso destino
storico, rinnega la stolta virtù fino allora seguita, accusa l’indifferenza dell’universo e degli dei ai casi infelici
dell’uomo, fiuta ogni illusione di immortalità religiosa o di durata nella memoria degli uomini, e infine
esprime il desiderio di riconfondersi, morto e da tutti dimenticato, nella materia inerte.

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L’Ultimo canto di Saffo presenta un suicidio esistenziale e conclude la riflessione sulla rottura moderna del
rapporto armonioso con la natura. Qui il conflitto è tra l’infelice poetessa greca spiritualmente sensibile ma
fisicamente brutta, con un’accusa fiera del destino dell’uomo e degli idei, causali distributori di infelicità e
felicità.

Gli idilli:
Tra il 1819 e il 1821 vengono stesi gli idilli, parallelamente alle canzoni.

La differenza è che presentano un punto di vista lirico-soggettivo, senza tuttavia escludere un orientamento
riflessivo.

L'espressione di una condizione interiore personale si associa (soprattutto nell'Infinito e nella Sera del di di
festa) a un bisogno di interrogarsi e di riflettere, riflessioni che acquistano anche una certa valenza
conoscitiva e filosofica.

Anche il linguaggio è differente rispetto alle canzoni, qui viene ridotta al minimo la componente erudita
(classicista arcaicizzante) per scegliere un lessico più comune nobilitato tuttavia dalla ricerca del vago e del
pellegrino.

Lo stile si avvicina a quello di un colloquio intimo, evitando le inversioni troppo pronunciate o le metafore
inconsuete.

Per la metrica viene abbandonata la forma di canzone per l’endecasillabo sciolto. Questo perché il verso
sciolto può esprimere senza difficoltà i momenti più distesi e narrativi di questi testi, ben prestandosi a
registrarne le intensificazioni riflessive esistenziali, soprattutto tramite il ricorso degli enjambaments.

Testi presenti negli idilli:

- L'infinito (1819):

Presenta in soli quindici versi un complesso itinerario immaginativo e conoscitivo. presenta in soli quindici
versi un complesso itinerario immaginativo e conoscitivo. L’infinito dello spazio e del tempo è definito
attraverso il confronto con una situazione di limite sensoriale: la visione di un colle e di una siepe che
ostacolano lo sguardo del poeta.

- La sera del dì di festa (1820):

Nella sera del dì di festa si alterna il confronto con un paesaggio notturno dominato dalla luna e dalla
distanza indifferente dalla donna amata e la riflessione sull’immensità del passato (individuale e storico)
perduto e irrecuperabile.

- Alla luna:

Presenta un paesaggio notturno schiarito dalla luce lunare, ma la ricorrenza di un anniversario rende con
leggerezza la sofferta solitudine del poeta che può abbandonarsi al piacere del ricordo e
dell’immaginazione.

Un periodo di passaggio:
Sono presenti due testi centrali nei Canti che fanno comunicare la prima parte delle canzoni e degli idilli con
quella successiva dei grandi canti pisano-recanatesi e poi fiorini e napoletani

Si tratta di

- Uno snodo formale, in quanto apre strutture metriche più articolate e mosse

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- Uno snodo ideologico in quanto propone i temi già affrontati dell’amore e della società da un
punto di vista radicalmente innovativo (critico pessimistico anziché idealizzato ed eroico)

Questi due testi centrali sono:

- Alla sua donna


- L’epistola Al conte Carlo Pepoli

Alla sua donna (1823) si ricollega alla tradizione della lirica amorosa petrarchesca, ma con un presupposto di
negatività che ne sconvolge i termini: la donna a cui Leopardi si rivolge è per costituzione assente e anzi non
esiste, è una pura immaginazione, illusione del soggetto poetico.

Il canto d'amore si rivolge dunque a un'immagine di cui viene negata non solo la realtà ma anche la
possibilità. In questo modo a essere cantata è la forza di quelle illusioni che la conoscenza del reale
distrugge.

Più forte ancora del risarcimento illusorio è il peso dell’accusa che Leopardi compie in questo testo:

L’impossibilità e l’assenza di ciò che viene concepito dall’uomo come unica possibile consolazione ai
mali della vita, valgono a provare la negatività e l’orrore del mondo.

Il secondo testo è l'epistola in endecasillabi sciolti Al conte Carlo Pepoli (1826)

Essa testimonia la volontà del poeta di distaccarsi dalla poesia e dalle illusioni che essa porta
necessariamente con se.

Il provvisorio distacco dalla poesia dipende dalla crisi dalla concezione precedente di poesia di Leopardi:

L’adesione totale al pessimismo e la perdita della fiducia nel valore compensativo della natura, espresso
anche nelle operette morali, rappresentano le basi dell’abbandono alla poesia.

Alla base del distacco sono quindi connesse:

- Ragioni storiche (la impoeticità del moderno)


- Ragioni ideologiche (la caduta del "sistema della natura e delle illusioni" che aveva animato la
prima poesia leopardiana)
- Ragioni esistenziali (una crisi di sensibilità e di abbandono immaginativo),

L'inizio del silenzio poetico coincide quasi perfettamente con l'abbandono di Recanati e con l'apertura della
deludente esperienza romana, cui tengono dietro i periodi bolognesi e milanesi, Fino al contatto, nel1827,
con lo stimolante ambiente fiorentino dei moderati riuniti attorno a Vieusseux.

I canti pisano recanatesi:


L'epistola Al conte Carlo Pepoli, del 1826, aveva pronunciato in via definitiva la rinuncia alla poesia, viene
ripresa nella primavera del 1878, eccezionalmente in sintonia con il clima e l’ambiente pisano.

Il poeta che aveva perso ogni capacità di appassionarsi ed illudersi ora la ritrova, benchè
consapevole dell’insensibilità della natura alle emozioni degli uomini.

Grande novità della nuova poesia leopardiana dalla quale si sviluppano anche testi successivi.

La condizione umana nega il piacere

Quindi Leopardi canta l’aspirazione al piacere sullo sfondo della sua costitutiva irrealizzabilità, si appresta ad
essere poeta delle illusioni sulle rovine di ogni possibile illusione.

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Questa è la poesia appassionata degli slanci tipici dell’uomo, l’amore e al tempo stesso la poesia che
definisce con nettezza la vanità di questi slanci, a prescindere destinati al fallimento.

- A Silvia:

Composta a Pisa tra il 19 e il 20 aprile 1828 è il primo esempio, nella poesia leopardiana, di canzone libera.
La libertà del metro e delle rime si associa a una sensibilità musicale di altissima suggestione.

Il tema riporta alla giovinezza recanatese, che viene rievocata con tenerezza e abbandono nel momento
stesso viene analizzato il suo fragile destino di disillusione e di morte.

La tisi che uccide Silvia e la delusione che colpisce tutte le speranze di Giacomo testimoniano il
destino generale dell’uomo.

In ogni caso restano irrealizzate le illusioni e le speranze della giovinezza, la cui estinzione suona come una
condanna rivolta al destino e alla condizione umana.

Il rivelarsi tragico della verità che avviene tramite la morte di Silvia, suscita la protesta del poeta nei
confronti di una natura crudele, ingannatrice e persecutrice di uomini.

La verità della condizione umana ora svelata coincide con la perdita di ogni speranza e con il fissarsi dello
sguardo sulla morte.

Tornato a Recanati per l'ultimo soggiorno nella cittadina natale, Leopardi vi compone, tra l'agosto del 1829
e l'aprile del 1830, altri quattro testi

- Le ricordanze:

In cui la rievocazione del passato, delle sue attese e delle successive delusioni si affida a un andamento a
onde di ricordo, originate da specifiche sensazioni del presente o per associazioni di idee.

- Canto notturno di un pastore errante:

Qui è presente un uomo vissuto lontano dalla civiltà occidentale (così da sottolineare la base antropologica
dei suoi interrogativi, del suo bisogno di significato e di valore) che durante una notte solitaria parla con la
luna e riflette sulla propria vicenda e sulla condizione umana in generale.

Il pastore formula varie ipotesi di senso fino a tratteggiare una rappresentazione desolata e pessimistica
della vita. Il desiderio di ricevere risposte dalla natura (la luna) e lo slancio comunicativo verso di essa si
scontrano con l’indifferenza assoluta dell’universo

- La quiete dopo la tempesta e il sabato del villaggio:

Rappresentano due momenti della vita recanatese, che vengono caricati di un intenso significato simbolico:
il ritorno del sereno dopo un temporale, la vigilia di una festa.

Superficialmente potrebbero sembrare un’affettuosa descrizione delle piccole gioie umili concesse
dall’uomo ma la realtà che evinciamo è che gli unici piaceri consistono nella cessazione provvisoria di un
dolore (La quiete dopo la tempesta) o nell'attesa illusoria di un bene che sta per venire.

Quindi la conclusione sarà in ogni caso amara.

- Il passero solitario:

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Il passero solitario è scritto dal punto di vista della giovinezza e presagisce il rimpianto vano degli anni
maturi. (ciò ne ha determinato la collocazione, quasi con funzione di anticipazione prospettica dello
sviluppo complessivo del libro).

Paragonando la propria vita a quella del passero ilpoeta vi riscontra numerose analogie: l'amore della
solitudine, la propensione al canto, il rifiuto dei piaceri della primavera e della giovinezza.

Ma più forte e significativa risulta poi la differenza tra le due esistenze: mentre infatti il passero, guidato da
un inconsapevole istinto naturale, non rimpiangerà, trascorse la primavera e la giovinezza, di aver sprecato il
tempo migliore della propria vita senza goderne, il poeta invece si rivolgerà indietro con rimpianto,
pentendosi inutilmente.

Ancora una volta viene messa in risalto la contraddizione che attraversa l’essere umano, facendone per un
verso il prodotto di una condizione naturale e materiale e per un altro legandolo alla facoltà ragionativa con
tutte le conseguenze che ciò comporta.

La terza fase della poesia leopardiana:


Nel 1830 Leopardi abbandono definitivamente Recanati, il presentarsi di nuove e intense esperienze
esistenziali, una serie di vicende significative, nella sfera amorosa oppure il confronto con la cultura
napoletana degli ultimi anni portano Leopardi a tentare un nuovo radicale rinnovamento poetico.

Il rinnovamento riguarda tanto l'aspetto tematico quanto quello stilistico-formale.

- Sul piano tematico i testi di questo periodo si orientano in tre direzioni fondamentali:
 l'amore quale passione concreta e vissuta (il "ciclo di Aspasia")
 la riflessione filosofica in ottica duramente negativa e antidealistica (soprattutto le canzoni
sepolcrali e La ginestra)
 l'intervento ideologico-politico sia per rifiutare i miti moderati di progresso e di riforma sociale sia
per avanzare una personale proposta di solidarietà fondata sulla disillusione

- Sul piano formale:

Troviamo anche qui la canzone libera e accanto ad essa compaiono nuovi tentativi come la brevissima A se
stesso (metricamente consistente in una eccentrica canzone di un'unica stanza), o come i versi sciolti della
Palinodia.

 Lo stile abbandona l’effusione lirica e definisce una nuova concentrazione espressiva fondata su
un uso spesso estremo della sintassi.
 Il lessico si apre a termini finora assenti dal repertorio leopardiano
 Per quanto riguarda la poetica alla valorizzazione del ricordo, della distanza e della vaghezza
segue ora la scelta del presente, del tangibile e della concretezza

Il ciclo di Aspasia:
Ciò che mette in moto il rinnovamento poetico è l’esperienza amorosa degli anni fiorentini, la passione del
poeta per la bellissima Fanny Targioni Tozzetti

La donna è chiamata «Aspasia» solo nell'ultimo dei testi a lei dedicati, "Aspasia" è il nome di una prostituta
amata da Pericle.

Alcuni testi:

- Amore e morte:

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Il tema romantico è affrontato tramite il rovesciamento dei pregiudizi comuni: la morte è raffigurata come
una bellissima fanciulla, in connessione con l’amore.

Qui l’esperienza radicale e privilegiata dell’amore si presenta come unica consolazione concessa ai mali degli
uomini, insieme alla morte.

L'augurio per chi sappia vivere con eroica passione è dunque di sperimentare l'uno o l'altro dei due
«fratelli», l'amore o la morte.

- A se stesso:

E’ uno sfogo in cui viene fatta una condanna durissima della negatività dell’esistenza, che sembra quasi
rimandare ad un dio del male che «a comun danno impera».

- Aspasia:

Qui è ricordato l’incontro con Fanny puntando su pochi intensi elementi scenografici e psicologici.

Il centro del canto è occupato dalla riconquista della propria integrità sentimentale, cioè la riuscita
elaborazione del fallimento. Si chiude poi rivendicando la libertà solitaria del soggetto al cospetto della
realtà

L’esperienza della passione amorosa si qualifica al di fuori della tradizione lirica del petrarchismo, si
conferma ancora una volta il legame intimo tra esperienza personale e riflessione filosofica.

L’amore è la dimostrazione più profonda dell’infelicità umana dato che amando si concepisce e
accarezza con l’immaginazione un’ipotesi di felicità non realizzabile, ma risulta al tempo stesso la
maggiore consolazione concessa dal fato agli uomini, che attraverso questa illusione possono
affrontare consapevolmente il male della vita.

Per questo l'amore si associa alla morte quale bene supremo per gli uomini, La formulazione del binomio
"amore e morte" (oggetto esplicito di uno dei testi del ciclo) sancisce una nuova apertura eroica per il
soggetto, che se sperimenta l'amore può sfidare la morte e perfino invocarla.

Le canzoni sepolcrali:
Accanto a testi di più diretto impegno ideologico-politico, come la Palinodia e la Ginestra, si collocano le due
canzoni sepolcrali, composte probabilmente tra il 1834 e il 1835, a Napoli. Entrambe affrontano il tema
della morte, con una ripresa del precedente foscoliano dei Sepolcri

L'esperienza della perdita diviene l'occasione per interrogare energicamente l'intera vicenda umana,
sottoponendo a una verifica esistenziale la condizione dei viventi. Vengono in tal modo coinvolti nell’analisi
tutti i grandi temi già sperimentati dalla ricerca leopardiana: la natura, il piacere, il dolore, il senso
dell’esistenza. In entrambe la canzoni si affiancano ingredienti appassionati e partecipi, commossi e vibranti,
da una parte, e un tono distaccato e perfino sarcastico, dall’altra.

Il messaggio conclusivo della ginestra:


Al periodo napoletano (gli ultimi tre anni e mezzo di vita del poeta) appartengono le ultime composizioni.

Tre dei cinque testi di questo periodo sono dominati da una prospettiva intensamente satirica, che
attraversa anche la stessa Ginestra.

E’ come se l’atteggiamento dissacratore delle operette morali penetrasse nella scrittura poetica.

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Leopardi sembra ora rinunciare ai presupposti di poetica sui quali si fondava la precedente ricerca: l'amore
del vago e dell'indefinito, la tensione verso il passato e la memoria, il sentimento della perdita,
l'interrogazione esistenziale, la difesa e la restituzione sia pure illusoria di un modo di sentire "antico"

Il poeta sembra ora interessato a prendere posizione nel dibattito vivo e attuale della società italiana:

- La ginestra:

Composta a Torre del Greco nel 1836 in sette strofe in cui il poeta si sofferma su un complesso tessuto
problematico, che affianca una ricognizione esistenziale intorno al senso e al destino dell’uomo a una
discussione serata e vivace con le posizioni ideologiche dominanti, fino ad avanzare una proposta sociale
fondata sull'alleanza tra gli uomini e su un modello equo e solidale di società.

Il paesaggio desolato del Vesuvio è luogo simbolo della condizione umana sulla terra e smentisce ogni
ottimismo consolatorio.

Leopardi muove una critica verso le tendenze filosofiche dominanti negli anni della Restaurazione,
improntate a uno spiritualismo religioso e a una prospettiva sociale progressista, entrambe fiduciose nel
valore privilegiato della specie umana.

Il poeta rivendica la dignità del proprio andare controcorrente e il dovere di denunciare l’infelicità
costitutiva e immodificabile della condizione umana, dato che il dolore, la vecchiaia, la malattia, la morte
renderanno sempre dolorosa la vita dell'uomo sulla terra.

Questa rivendicazione filosofica non si accontenta di reclamare la propria fondatezza e di obiettivare


dati di fatto, ma si propone come modo di sentire di tutti, come coscienza diffusa di una futura
umanità liberata da tutte le mitologie consolatorie della religione e del progresso

E’ in questo passaggio e nella prospettiva sociale allargata il dato nuovo e originale della posizione
leopardiana: la verità, ovvero la obiettiva coscienza delle cose quali esse sono in realtà, non è più concepita
quale puro dato filosofico ma ha valore in quanto consapevolezza diffusa, quale coscienza di tutti gli uomini.

Tale consapevolezza di massa riguardo all’infelicità e alla fragilità della condizione umana può quindi
consentire l'individuazione del vero nemico degli uomini: la natura

E’ contro la natura che deve compiersi un'alleanza tra tutti gli uomini, tesi a costruire una rete di solidarietà
e di soccorso reciproco.

Modelli positivi sono l'uomo malato e povero che riscatta la propria dignità nel non dissimulare
vigliaccamente la propria reale condizione ma mostrandosi anzi senza vergogna quale è realmente, e,
soprattutto l’umile ginestra, che attende sulle pendici del vulcano la distruzione imminente o possibile
senza per questo cercare risarcimento in illusorie prospettive di durata, e anzi pronta a piegarsi sotto la lava
senza inchinarsi con viltà davanti al destino né elevarsi.

ALESSANDRO MANZONI:
Alessandro Manzoni nacque a Milano nel 1785, dal conte Pietro e da Giulia Beccaria, figlia di Cesare
Beccaria.

Ricevette la tradizionale educazione classica è uscito dal collegio si inserì nell’ambiente culturale milanese, si
dedicò anche intensamente al lavoro intellettuale, servendo parecchie opere poetiche nel gusto classicistico
dell'epoca.

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• Nel 1805 lasciò la casa paterna e raggiunse la madre a Parigi, qui frequenta salotti letterari

Fauriel strinse con lui una profonda amicizia, specie attraverso un fitto scambio di lettere durato diversi
anni, divenne un importante punto di riferimento per Manzoni nel periodo più fecondo della sua attività di
scrittore.

A Parigi, il contatto con ecclesiastici di orientamento giansenista, vicini agli ideologi, incise anche sulla sua
conversione religiosa.

• Nel 1810 lasciò Parigi ritornando definitivamente a Milano a un profondo rinnovamento si era
compiuto nella sua visione della realtà, che era ormai integralmente ispirata al cattolicesimo.

Il rinnovamento coinvolse anche l'attività intellettuale e letteraria: Manzoni abbandonò la poesia


classicheggiante, lasciando incompiuti vari progetti, e si dedicò alla stesura di una serie di Inni sacri (1812-
15), che aprivano la strada ad una successiva serie di opere di orientamento romantico, nutrite di interessi
storici oltre che religiosi.

Dopo il ritorno in Italia, Manzoni condusse l'esistenza appartata del possidente, dividendosi tra la sua casa
milanese e la villa di Brusuglio.

La sua vita era dedicata allo studio, alla scrittura, alle intense pratiche religiose, alla famiglia, che cresceva
numerosa.

Fu vicino al movimento romantico milanese e ne seguì attentamente gli sviluppi

Con la pubblicazione dei Promessi sposi, nel 1827, si può dire concluso il periodo creativo di Manzoni.

Lo scrittore assunse un atteggiamento di distacco verso la formula stessa del romanzo storico, che gli aveva
consentito di scrivere il suo capolavoro.

Successivi tentativi lirici, come un inno sacro sull'Ognissanti, rimasero incompiuti.

Conseguentemente, approfondì gli interessi storici, filosofici e linguistici. Lavorò per anni, fino al 1840, alla
terza redazione del romanzo, ma con intenti ormai prevalentemente linguistici.

In questi anni della maturità e della vecchiaia la sua vita fu anche funestata da una serie interminabile di
lutti

Muore a Milano nel 1873.

Alessandro Manzoni è un autore che rispetto a Leopardi ripercorre più generi e porta il romanzo italiano a
livello del romanzo europeo.

L’esempio precedente dell’Ortis ha uno stile, una lingua e un tema che rimanda alle tematiche dello sturm
un drang, quindi contenente non elementi prettamente realistici, mentre con i Promessi sposi il romanzo
arriva al suo equilibrio.

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Negli altri paesi europei, in particolare Inghilterra, Germania e Francia il romanzo conosce una piena
espressione già nel 700, nasce infatti in quegli anni in Inghilterra con l’arrivo della rivoluzione industriale.
Rappresenta il corrispettivo letterario della nascita della società borghese.

L’Italia conosce la nascita della borghesia (in senso moderno industriale) solo nella metà dell’800, la fase
della prima industrializzazione è poco presente in Italia e questa potrebbe essere una ragione per cui il
romanzo prende posizione solo in quegli anni. (non solo questa ragione)

L’altro problema riguardava il fronte linguistico: il romanzo deve avere una lingua diversa da quella tipica
della tradizione italiana dove vige un modello boccaccesco o l’idea che si debba utilizzare una lingua aulica,
non di uso comune.

In questo periodo è assente un’unità linguistica, si parla maggiormente il dialetto o comunque un italiano
molto regionalizzato, cosa che rende difficile concepire un genere che necessita la lingua d’uso.

La questione della lingua:


Ad inizio Ottocento cade un’altra tappa decisiva della questione della lingua.

Si contrappongono tre fronti differenti:

 Il fronte generalmente classicista che trova una sua formalizzazione nell’idea di purismo (idea
linguistica di cui tra i maggiori rappresentati c’è un napoletano Basilio Puoti)
Proponevano come lingua letteraria quella dei grandi autori del 300

All’interno dell’ambito classicista ci sono altre posizioni che non fanno che aggiungere come riferimento
pochi autori rispetto al modello 300esco

Lo stesso Monti propone un modello che tenga in considerazione anche la lingua del 500

Questa fazione non si pone il problema di un’ipotetica lingua nazionale, di uso quotidiano, ma
propongono un italiano estremamente formalizzato e quindi praticabile solo nella scrittura.
(Leopardi rientra in questa linea)

Si contrappongono altri due ambiti:

 Uno in chiave romantica che propone una lingua nazionale che sia il minimo comun denominatore
delle varie identità nazionali, dei vari dialetti. Questa linea arriverà fino ad un importante linguista
Ascoli che proporrà questo in chiave anti-manzoniana l’dea che l’italiano non doveva essere
un’operazione verticistica, ma una libera e stretta unificazione.
 La terza linea (quella che sposerà Manzoni) è l’idea che non si debba guardare più al modello
letterario trecentesco ma il fiorentino contemporanea utilizzato dall’alta borghesia, eliminandone i
tratti più dialettali.

Questa sarà la scelta verticistica, a partire da questa forma ci sarà l’influenza di altre varietà linguistiche fino
poi all’evoluzione definitiva dell’italiano standard.

Manzoni con i Promessi Sposi produce un romanzo all’altezza della cultura europea perché
innanzitutto crea una lingua adatta al romanzo, e per i decenni successivi da un punto di riferimento
dal quale gli autori si potranno allontanare o avvicinare.

Anche Manzoni presenta una forma di romanticismo del tutto peculiare:

In lui troviamo questa sorta di mediazione tra illuminismo e romanticismo, questo fa si che nelle sue opere
siano presenti le tematiche del romanticismo smussate da elementi morali derivanti dall’Illuminismo.

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Alessandro nasce in una famiglia che ha ancora il modello dell’intellettuale illuminista

Quando si trasferisce nel 1805 a Parigi inizia a scrivere le sue prime opere, ancora molto influenzate dal
modello classicista (Monti temprato dall’idea didascalica dello stesso Parini)

Scrive:

 Il trionfo della libertà


 Urania
 Partenide

Una prima prova più importante è dedicata a Carlo Imbonati in occasione della morte di questa figura
paterna, scrive nel 1805 un poemetto: In morte di Carlo Imbonati.

Questo poemetto inscena una sorta di visione in cui la figura di Carlo si fa portavoce di una specie di morale
illuministica in cui l’elemento principale è l’idea di essere un uomo virtuoso, quindi l’esigenza di agire
secondo principi pratici (pratici perché morali).

E’ qui che in qualche modo si fonda l’idea che per Manzoni il principio morale debba guidare la propria
formazione culturale e le proprie opere estetiche. (contraddizione rispetto al romanticismo che vede il
distacco della sfera estetica a quella morale)

Come Leopardi anche Manzoni sostiene che fosse decisivo trattare del vero:

 Per Leopardi il vero ha un’essenza ontologica


 Per Manzoni il vero ha una natura morale, storica cioè il vero è il dato storico alla quale bisogna
associare una letteratura morale.

La conversione:
Mentre Manzoni è a Parigi nel 1810 si apre la sua fase cattolica, si converte al cattolicesimo.

In lui sono fortissimi gli elementi legati al giansenismo, molto forte l’idea del conflitto tra bene e il male.

Contemporaneamente in questo periodo ha dei rapporti importanti con Fuoriel che gli trasmette novità
romantiche e mantiene in lui vive le influenze illuministe.

L’evento simbolico legato alla sua conversione è quello della perdita della moglie durante una festa che
ritrova poi all’interno di una chiesa. Interpreta il fatto come un segnale spirituale e da qui nascerebbe la
conversione, ma in realtà era vicino al cattolicesimo già in precedenza.

Dopo conversione comincia il suo periodo più prolifico: 1815-1827

Nell’arco di dieci anni compone tutti i suoi capolavori

Il primo progetto che nasce è quello degli inni sacri, che prendono una prima forma nel 1815 e poi resta
incompiuto.

Gli inni sacri:

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Con la conversione, la poesia deve diventare forma espressiva di contenuti religiosi che possano essere
compresi e condivisi da tutti, in forme non solo emotive e sentimentali.

Se la scelta del genere «inno» -Inni sacri sono significativamente i testi poetici che, all'interno della liturgia
religiosa, vengono pronunciati coralmente dai fedeli - risponde alla volontà di dare espressione letteraria ai
contenuti della fede, Manzoni mostra però anche una precisa volontà di rinnovamento delle forme religiose,
di superamento di pratiche devozionali esteriori e popolaresche, per una poesia che sia veicolo di contenuti
teologici ortodossi, ma che possa diffonderli attraverso forme metriche di facile assimilazione, con una
lingua poetica nuova

L’opera doveva comprendere 12 inni sacri coincidenti con le più importanti festività cattoliche, ma finirà per
scriverne solo quattro.

• La Resurrezione
• Il Natale
• La Passione
• Il nome di Maria

Legata a questo progetto è la Pentecoste che però porta a termine solo nel 1822.

I primi quattro inni, i più antichi, sono costruiti su uno schema fisso:

• enunciazione del Tema


• rievocazione dell'episodio centrale
• commento che affronta le conseguenze dottrinali e morali dell'evento.

La Pentecoste, invece, nella redazione definitiva, rompe lo schema, mettendo da parte i motivi teologici e
l'episodio, e insiste sul rivolgimento portato dallo Spirito nella sua discesa nel mondo, culminando in un'
invocazione affinché esso scenda ancora sull'umanità.

Insieme tenta di continuare la composizione, scrive gli Ognissanti che pubblica solo successivamente in
forma frammentaria. (Manzoni si interroga sulla vita, metafora sulla misteriosità della vita si chiede perché
un fiore che spande il suo profumo “inutile” sia stato creato dalla grazia divina)

 Nel 1833 riscrive il Natale che presenta un argomento non legato solamente alle festività ma al giorno in
cui muore la prima moglie

Relazione tra arte ed etica religiosa:

La poesia per Manzoni è senza io, nel senso che la poesia non viene intesa come espressione soggettiva ma
deve invece essere fondata sull’interesse per una materia popolare.

Deve essere una poesia spersonalizzata e la materia popolare che Manzoni individua è quella religiosa: la
forma degli ini sacri è come se assumesse la forma di un’epica religiosa.

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Non a caso qui è già presente un elemento comune ai promessi sposi:

• quali sono i rapporti tra l’evoluzione della storia, il giusto, le responsabilità, il bene e il male
• la concezione della storia come segno di emanazione divina

Manzoni è come se proponesse una soluzione in cui l’umano nella storia fa un percorso insieme al
divino (specificità della dimensione religiosa di Manzoni)

Negli inni sacri la religione è sempre un fatto storico individuato, qualcosa di storicamente individuato: il
modo in cui si manifesta il divino è nella storia e quindi è nella storia che dobbiamo trovare il percorso che
compiono umano e divino.

Come si concilia questo con la formazione illuministica che e riportava anche ad una forma di egalitarismo a
cui Manzoni stesso tiene? Attraverso una determinata lettura figura di cristo, una sorta di uguaglianza in
Cristo
L’incarnazione di Dio garantisce una fratellanza degli uomini di fronte al divino nella forma di una sorta di
democrazia religiosa (Inni sacri epica religiosa rivolta alle masse) e quindi effettivamente l’elemento
illuministico comincia ad essere declinato in chiave anche religiosa.

Come viene portata avanti questa idea di un’epica religiosa? Con versi brevi e atipici che spesso tentano di
minare una poesia cantabile popolare

Es Spesso di fronte a strofe di settenari sdruccioli e piani variamente rimati o decasillabo

(Tuttavia, questo rappresenta poi l’elemento del fallimento degli inni sacri)

Saggistica manzoniana:
Chiusa la stagione degli inni sacri negli anni tra il 19 e il 22 scrive alcune opere saggistiche:

 Nel 19 le osservazioni sulla morale cattolica


 Nel 22 -morale longobardica

Le osservazioni sulla morale cattolica:


Manzoni riprende alcune riflessioni scaturite dalla lettura della Storia delle repubbliche italiane del
Sismondi, utilizzata per il Carmagnola, soprattutto nei passi in cui Sismondi aveva riconosciuto nel dominio
della Chiesa e nel tradimento del messaggio cristiano legato al Vangelo un elemento di corruzione dei
costumi degli italiani, un ostacolo formidabile alla costruzione di uno Stato nazionale e un motivo di
impedimento allo sviluppo delle repubbliche italiane; era una tesi che riprendeva temi machiavelliani, e
aveva determinato la messa all'indice di tutta l'opera nel 1817.

Saggi in cui Manzoni formalizza i rapporti tra storia e religione e comincia una serie di riflessioni sul rapporto
tra arte e storia che prenderanno forma nella pratica di scrittura di questi anni e nella lettera inviata a
Chauvet
Le osservazioni sulla morale cattolica vengono pubblicate in risposta ad un saggio di Sismodie, (un autore
svizzero) in cui si riconosce la decadenza politico culturale italiana, dovuta dalla presenza della chiesa,
soprattutto dal momento della controriforma in poi.

Manzoni risponde a questo saggio in due parti, una più generale e una più analitica.

Compone solo la prima parte e subito sposta l’ordine delle argomentazioni che non è più di tipo
storiografico ma essenzialmente teologica e a difesa del papato:

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Manzoni giustifica l’origine della chiesa, nel momento in cui la chiesa ha un’origine divina garantisce la
presenza di un percorso divino della storia e ciò non poteva essere confutato con l’idea di un’azione politica
sbagliata del papato.

Diversamente da Sismondi, che sosteneva esservi una morale universale e naturale separata dalla religione,
per Manzoni, sulla scorta degli apologisti francesi Nicole, Pascal, Massillon, la morale della Chiesa cattolica è
la «sola morale santa e ragionata in ogni sua parte» che permette di adeguare le proprie azioni a un bene
supremo --individuato nel premio della vita ultraterrena - invece di soggiacere al contrasto continuo tra
interesse individuale e bene collettivo.

In questo periodo sta cambiando la sua modalità di argomentazione e linguistica: le osservazioni e i discorsi
sono una prima forma per comprendere come Manzoni agirà nel romanzo

Le diverse redazioni:
Nello stesso periodo inizia la stesura delle prime pagine del Fermo e Lucia, che trovano una prima
completezza nel 23.

Quella del 23 è una redazione che non viene pubblicata, la prima edizione compare nel 27 già con il titolo
dei Promessi sposi.

I discorsi:

Nascono perché nello stesso periodo sta scrivendo l’Adelchi, sta progettando una tragedia che abbia come
oggetti della narrazione argomenti storici. Infatti, i discorsi verranno pubblicati in appendice all’opera che ci
fornisce anche un’importante riflessione storiografica:

L’idea che i protagonisti della storiografia non dovevano essere personaggi potenti come re, papi ma deve
essere una storiografia delle masse. E sebbene nelle tragedie manzoniane i protagonisti siano i personaggi
potenti, in realtà questa idea che vede le masse come il centro della storiografia è indice di un
rovesciamento della tradizione classica che vede gli eroi protagonisti.

Tutta la vicenda intorno ai longobardi, al fatto che loro potessero fondare un’unità nazionale:

In quegli anni era diffusa la teoria per cui prima dell’appoggio del papato dei franchi i longobardi si stessero
fondendo in chiave unitaria. E che questo appoggio al papa avesse portato al tipico intervento straniero che
impedisce unificazione.

Manzoni, rimarca il potere oppressore dei longobardi e difende il papato in qualità di unica istituzione a
garanzia delle masse.

A partire dai discorsi inizia una riflessione intorno ai rapporti tra invenzione e storia che negli anni
immediatamente successivi trova una formalizzazione in tre scritti:

 La lettera a Monsieur Chauvet


 La lettera sul romanticismo a Massimo D’Azzeglio
 La prefazione al conte di Carmagnola

La lettera scritta a Monsieur Chauvet nel 20 e pubblicata nel 23, ci restituisce, insieme alla prefazione al
Conte di Carmagnola i rapporti tra storia e invenzione.

Ci restituisce il cardine della riflessione di Manzoni nei rapporti tra arte e storia

C’è anche un accenno alla scrittura di un romanzo storico ma il nodo centrale è la scrittura drammatica

3 sono i nodi fondamentali toccati nella lettera e nella prefazione:

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Manzoni in questo periodo si sta occupando prevalentemente di dramma delle tragedie

 Unità tra tempo e luogo


 Rapporto morale estetica
 Il ruolo del coro nella tragedia

Le riflessioni sono focalizzate prevalentemente sulla tragedia: si adegua alla teorizzazione della tragedia
tedesca. (in particolare di Schlegel)

• Si scaglia contro le unità aristoteliche dato che la pratica viene percepita come norma.
• Riflette sull’idea del coro che deve essere ristabilito perché visto come contesto più adatto in cui lo
scrittore ha il proprio “cantuccio” cioè uno spazio in cui si dedicava al commento lirico (es. una sorta
di corrispettivo di narratore onnisciente)

Nella lettera sul romanticismo indirizzata a Massimo D’Azeglio segna i punti costanti della produzione
manzoniana:

 vero come soggetto: vero= la storia al posto degli argomenti inventati.


 interesse come nesso: interessante= strumenti estetici adatti all’argomento storico
 giusto come fine: fine= deve avere un fine morale

L’arte per Manzoni non deve essere mai distaccata da un fine morale.

I rapporti tra storia e invenzione:

 La storia dovendo fornire delle fonti, dei documenti, non è in grado di restituire la parte più
importante gli avvenimenti cioè cosa provano gli individui (cosa che non potrà mai essere restituita
dalla storia)
 Lo scrittore è colui che fornisce al pubblico ciò che la storia non restituisce

Questa rappresenterà la strategia che Manzoni adotta in questo decennio ma che già qui rappresenta tutta
una serie di contraddizioni che Manzoni non risolve, perché nulla garantisce che lo scrittore stia restituendo
effettivamente ciò che la storia non è in grado di dare?

Le odi:
Per quanto riguarda la produzione in versi, associata alla scrittura tragica procede su due versanti:

Scrive una serie di odi: Manzoni si serve dell’ode per commentare il presente, ciò che sta avvenendo dal
punto di vista politico. (sensibilissimo all’argomento risorgimentale)

Le prime odi che pubblica precedenti a questo periodo sono:

• Aprile 1814: dedicata alla caduta di Napoleone, quindi ad un evento positivo per gli italiani.
• Il programma di Rimini: (1815) dedicata a Murat e alla possibilità di avere un’unificazione guidata
dallo stesso Murat

Le due odi celeberrime sono:

• Marzo 1821:

Marzo 1821 dedicata ai moti carbonari, grazie ai moti carbonari il reggente Carlo Alberto avrebbe potuto
sostenere questi moti, dare la possibilità di dichiarare una forma di indipendenza e iniziare una sorta di
unificazione (speranze deluse)

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Ciò che è interessante è il rapporto tra storia, singoli individui e divino

In Marzo 1821 troviamo un’esplosione degli elementi giansenisti della cultura manzoniana perchè ad una
prima espressione del tema dei moti e una possibilità di un’unificazione l’ode si apre e si conclude su una
visione religiosa della storia.

In che forma? Manzoni recupera una visione di dio da antico testamento: quella del dio guerriero che
punisce i violenti e gli oppressori combattendo per i giusti. Un’espressione che radicalizza l’opposizione tra
bene e male

• Il cinque maggio:

Scritta nel luglio 1821, anche qui trova massima espressione il rapporto tra religione individuo e storia

La relazione qui è legata alla figura di un potente: come possiamo leggere la figura di un potente di fronte al
giudizio della storia e del divino.

L’ode parte dal ritratto Napoleone secondo l’idea che si sia convertito in punto di morte.

Può essere giudicata vera gloria il personaggio di Napoleone?

Se da un lato abbiamo una prospettiva storica dall’altro c’è una piena giustificazione dello stesso Napoleone.
Noi chiniamo la fronte di fronte a dio che volle stampare in Napoleone l’orma del suo spirito.

Quindi abbiamo una giustificazione della storia e dei suoi personaggi che porta Manzoni a vedere nella
storia quel percorso umano divino che si incarna anche nei personaggi più contradditori.

L’ode ebbe un vasto successo e porta Manzoni ad una conoscenza europea.

La tragedia manzoniana:
La nuova drammaturgia, lucidamente esposta nella Prefazione e basata sui principi ricavati dal Corso di
letteratura drammatica di Schlegel, si basa sull'assunto che lo spettatore, mente esterna al dramma, non
può percepirne l'inverosimiglianza a causa della differenza di tempi e luoghi della tragedia rispetto ai suoi
propri, e ne vede, al contrario, l'unità, data dalla coordinata unione delle parti.

Solo un'analisi «spassionata» delle passioni permette all'opera di adempiere al fine didascalico e morale
dell'arte, e allo spettatore di formarsi un'opinione ponderata dell'azione rappresentata. E solo una storia
verosimile permette all'ideologia dell'autore di non prevaricare nella rappresentazione e allontana ogni
possibile accusa di immoralità al teatro.

Il luogo in cui l'autore potrà riservarsi un «cantuccio» per esprimere il proprio punto di vista è il coro, che
costituisce il secondo elemento di novità di questa riforma. A differenza del coro del teatro greco, cui pure si
ispira, quello manzoniano non riferisce le azioni fuori scena, ma le commenta, e offre allo spettatore un
punto di vista dove l'autore possa parlare «in persona propria».

Il conte di Carmagnola:
Tra il 1818 e 1820 Manzoni scrive la prima delle due tragedie: il conte di Carmagnola.

Parte da fatti storici realmente accaduti letti da Manzoni nella Storia delle repubbliche italiane nel
Medioevo dello storico francese Simonde de Sismondi, ovvero il conflitto tra la repubblica veneziana e la
Milano dei Visconti.

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Il protagonista è il condottiero Francesco di Bartolomeo Bussone, che si trova ad affrontare una situazione
di conflitti tra le parti:

Inizialmente al servizio dei Visconti Bartolomeo passa al servizio dei veneziani e questo scaturisce il suo
dissidio: un uomo virtuoso che si trova ad affrontare diverse macchinazioni contro di lui sia da parte dei
Visconti che degli stessi veneziani (persone che tramano contro di lui per mancanza di fiducia)

Il nodo centrale è la battaglia di Maclovio del 3 atto in cui l’esercito veneziano riesce a sconfiggere i
milanesi. Però il conte, per la sua virtù, decide di liberare i prigionieri e non inseguire l’esercito sconfitto
(dato storico ambiguo. Non si sa se è per tradimento o rispetto di un codice militare)

In accordo con le idee manzoniane non vengono rispettate le unità aristoteliche, infatti la vicenda dura ben
6 anni.

La situazione precipita quando all’interno della fazione veneziana uno dei senatori fa incriminare il conte
che viene condannato a morte.

Il coro, del terzo atto ci restituisce quale doveva essere l’obiettivo della tragedia e Il lato storico viene
piegato da Manzoni per un’attualizzazione di ciò che sta accadendo nella contemporaneità (anni dei moti
carbonari):

La stesura del coro, rivela, nella scelta del metro popolare e cantato (strofe di otto versi decasillabi), le
intenzioni didascaliche e civili della «nuova» tragedia, che piega le vicende storiche, nonostante le
dichiarazioni di impersonalità, all'ideologia dell'autore.

Il coro si domanda (e domanda allo spettatore) se i guerrieri stiano invadendo o difendendo la terra dove
sono nati e che hanno giurato di «difendere o morire», ma non può che rispondere riconoscendo la triste
realtà di una guerra fratricida:

Nella parte finale del coro, infine, la condanna di ogni forma di violenza, indirizzata alle guerre tra milanesi e
veneziani, appare in aperta contradizione con il dramma del protagonista.

Il Carmagnola non è quindi tanto la tragedia di un capitano di ventura stretto tra verità individuale e
ragion di stato (tema shakespeariano) ma piuttosto una finzione letteraria costruita su una verità
storica, per denunciare l'irrazionalità della guerra fratricida, e l'inevitabile (ma ingiustificata,
nell'ottica di un capitano di ventura) accettazione cristiana di un'ingiusta condanna, sviluppata nella
scena domestica finale, in cui

Carmagnola incontra la moglie e la figlia e si sottomette al destino, eroe cristiano che perdona i propri
ingiusti carnefici.

Manzoni nei confronti del modello:

Manzoni propone come modello tragico Shakespeare

 Nelle tragedie storiche di Shakespeare il conflitto che si consuma è quello tra individuo e ragion di
stato (idea che la salvaguardia dello stato abbia maggiore importanza rispetto al singolo) La tragedia
di Shakespeare agisce secondo questo conflitto portato in scena solitamente dalla figura del re

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Nel conte di Carmagnola troviamo un’altra tipologia d conflitto, quella tra il reale e l’ideale (incarna l’ideale
smentito dalla realtà e il conflitto che si consuma)

Dal punto di vista drammatico l’aspettò più moderno rispetto alla stagione romantica della tragedia di
Manzoni è il conflitto tra ideale e reale.

(nelle tragedie Manzoni concede meno a quell’aspetto consolatorio della visione della storia rispetto al
percorso tra umano e divino se non nella dimensione di un eroe che nella morte trova l’elemento di grazia)

Adelchi:
Anche l’Adelchi riprende un avvenimento storico che precisamente si sviluppa tra il 772 e 774 dc

Quindi Manzoni utilizza un periodo storico discusso anche in precedenza nei discorsi.

Perché il Medioevo? Perché anche qui il tema nazionale è importante, Manzoni viene in contatto con le
teorie storiche di questo periodo, in particolare sposa l’idea che individua nel medioevo il momento in cui
nascono gli stati moderni.

Manzoni si trova a riflettere sul perché in Italia non ci sia stata una stessa fondazione nazionale medievale, a
partire dalla stessa prospettiva dell’osservazione della morale cattolica (il ruolo del papato)

La tragedia è divisa in cinque atti e si apre con il ripudio della figlia del re longobardo, Ermengalda, da parte
di Carlo Magno. Ciò porta allo scontro tra franchi e romani.

Desiderio decide di muovere guerra agli stessi Franchi anche contro il parere del figlio Adelchi che si
presenta come personaggio ideale che vorrebbe evitare violenza contro il nemico.

 Il primo atto si chiude con la dichiarazione di guerra e con una serie di duchi che iniziano a
congiurare contro Desiderio.

 Il secondo atto inizia la guerra che si muove soprattutto tra Pavia e Verona, e la Val di Susa,
l’esercito dei franchi non può proseguire ma un vescovo permette di superare lo sbarramento

 Nel terzo atto il monologo di Adelchi rappresenta il conflitto tra ideale e reale che si incarna nel
conflitto tra l’urgenza dei sentimenti grandi tra magnanimità e gloria e dall’altro una realtà che fa si
che ci si trovi in un conflitto dove regna il tradimento.

Proprio il monologo di Adelchi condensa, con accenti di solitudine amletica, la reale visione politica del
Manzoni maturo, che costruisce due personaggi perfetti, Adelchi ed Ermengarda, perché destinati dalla
«provvida sventura» a sottrarsi a una scelta che finirebbe per essere iniqua.

 Nel quarto atto conquista la scena Ermengalda, sviluppando sempre il conflitto tra ideale e reale: la
passione amorosa in guerra con il reale di un marito che la ripudia e sposa un’altra donna

Dopo un lungo monologo in cui Ermengalda esprime la propria instabilità di fronte alla delusione amorosa,
l’unica soluzione possibile a questo conflitto è la morte, che anche qui diventa una sorta di riscatto
all’impossibilità di conciliare ideale e reale.

La morte giunge come una liberazione, scegliendo per lei un destino di salvezza («Te collocò la provvida /
Sventura in fra gli oppressi») e sciogliendo la donna dalla colpa di un amore appassionato (l'unico
rappresentato da Manzoni nella sua opera letteraria).

I due monologhi sono intermezzati da un coro quando i Franchi che mettono a ferro e fuoco la terra dei
longobardi.

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Coro rappresenta l’elemento civile della tragedia che denuncia il tipico destino degli italiani, quello di essere
servi di potenze straniere e di non farsi mai popolo ma essere sempre volgo.

 Il quinto atto si chiude con la morte di Adelchi che viene ferito mortalmente sul campo di battaglia,
pronuncia qui le sue ultime parole di fronte ai protagonisti (Carlo e Desiderio)

Il personaggio di Adelchi si mostra come figura positiva tra i due re che sono invece istanze oppressive prive
di elementi positivi. Adelchi esprime la difficoltà del compimento dell’ideale nel reale e quindi offre la
visione pessimistica del Manzoni tragico in cui l’ideale è sempre punito.

La tragedia si incentra su quattro personaggi:

• Desiderio, animato dalla volontà di vendicarsi di Carlo e di riparare il torto fatto al suo onore, e al
tempo stesso avido di potere e di conquiste

• Adelchi, suo figlio, che sogna la gloria in nobili imprese e non riesce a realizzarle

• Ermengarda che vorrebbe distaccarsi dalle passioni del mondo, ma muore devastata dal suo «amor
tremendo» per il marito

• Carlo che ha ripudiato Ermengarda e riesce a tacitare ogni rimorso in nome della ragion di Stato,

la contrapposizione tra i personaggi "'politici", Desiderio e Carlo, animati solo dall'interesse della ragion di
Stato e dalla passione di dominio, e i personaggi ideali, Adelchi ed Ermengarda, che, nella loro purezza, sono
inadatti a vivere nel mondo e sono destinati alla sconfitta, a trovare solo in un'altra vita la soluzione dei loro
tormenti.

Manzoni compie un ultimo viaggio in Francia nel 19-20

Qui legge in traduzione francese i romani di Walter Scott, venendo a conoscenza di un esempio che gli
suggerisce immediatamente di intraprendere una nuova tipologia di scrittura, legata al genere del romanzo
storico.

Distinzione tra romanzo e romanzesco:

Walter Scott parte da una prospettiva di romanzo storico in cui ha un peso decisivo la dimensione del
romanzesco inteso come una tradizione che parte dal romanzo greco, passa al romanzo picaresco (anche
poemi cavallereschi) e che giunge nell’ottocento sia in Walter Scott sia in una sorta di romanzo fantastico

Il romanzesco è un elemento legato agli eroi che devono attraversare diverse peripezie e che diventa
l’elemento principale della narrazione e non solo ricorre a una prospettiva completamente inventata ma
anche ad elementi fantastici

Nella relazione tra Manzoni e Walter Scott, Manzoni tende ad eliminare quasi tutti gli elementi del
romanzesco o anche quando i personaggi assumono caratteristiche picaresche (es. Renzo che vive peripezie
attraversando la città viaggio di formazione) avviene sempre legato ad un ritratto storico di un’epoca.

Fasi di scrittura promessi sposi:


Tra il 20 e il 23 Manzoni scrive di getto la prima redazione dell’opera, che corregge in maniera sostanziale
ma che non pubblica (con il titolo di Fermo e Lucia)

Negli anni successivi inizia una revisione sostanziale, linguistica e strutturale, in cui cambia completamente
la struttura narrativa. Il romanzo viene stampato e pubblicato in parti nel periodo tra il 1825 e 1827, anno in
cui viene pubblicato l’ultimo tomo e quindi conclude la prima pubblicazione.

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 E’ tra il 27 e il 40 che Manzoni si dedica ad una profonda revisione specialmente linguistica e nel
1840 pubblica la seconda edizione dei Promessi sposi.

L’edizione che riscuote un estremo successo è quella del 27, non quella che viene letta oggi.

 Dopo l’edizione del 40 Manzoni inizia a riscuotere dei problemi legato ai diritti d’autore e alle
edizioni pirata quindi in collaborazione con Gonin sviluppa un’edizione illustrata

Problema dei diritti d’autore e delle edizioni pirata

Le illustrazioni presentano degli elementi di interpretazione suggeriti dallo stesso Manzoni che non lavora
solo sulla disposizione delle immagini ma sulla produzione, sui dettagli e la composizione.

Il risultato è un disastro economico, il grosso delle copie resta invenduto.

I contemporanei a Manzoni fanno affidamento all’edizione del 27 che presentava una lingua aggiornata al
toscano tramite l’uso di vocabolari ecc.

Mentre per quella del 40 si assiste ad un recupero vivo della lingua fiorentina, si reca infatti a Firenze e la
revisione avviene con l’aiuto di alcuni collaboratori.

Fermo e Lucia e i Promessi sposi:


È solo nel marzo 1822, terminato l'Adelchi con la stesura definitiva del coro dell'atto III, che Manzoni
abbandonato definitivamente il progetto di un'altra tragedia, Spartaco, cui ancora nel novembre precedente
pensava di dedicarsi - si mette al lavoro sul romanzo, e sulla documentazione storica necessaria per
verificare la veridicità delle notizie trovate nel manoscritto dell'Anonimo.

I primi nuclei del romanzo, come si può vedere, sono molto poco romanzeschi, ma piuttosto storici, e
politici.

Il protagonista è il tema della giustizia che, nel «famoso processo che chiamiamo della Colonna infame»,
rappresenta l'emblema, l'epitome degli errori e delle ingiustizie provocate dal potere giudiziario
(«autorità»), dall'ignoranza dei religiosi («superstizione») e dall'insipienza del popolo («stupidità»). Un
racconto «in forma di romanzo» sul grande tema del male, che prende spunto da «fatti realmente
accaduti».

Le indagini necessarie a documentare lo sfondo storico della vicenda e una tradizione illustre mettono
subito al centro della riflessione il rapporto tra la verità della storia e la ricostruzione lecita al narratore .

Linguisticamente il Fermo e Lucia hanno alla base elementi lombardi, francesi e latina che non soddisfano
l’autore che però oltre la lingua fa altre modifiche importanti:

Per il Fermo e Lucia Manzoni lavora schematicamente per blocchi narrativi ben delineati che seguono
sostanzialmente un solo personaggio: prima la storia di Lucia e poi quella di Renzo.

I due personaggi sono separati dal punto di vista della struttura.

Questa suddivisione in blocchi è alternata da digressioni molto più ampie rispetto a quelle che saranno
nell’edizione del 27 e nel 40 Es la monaca di Monza prende importanza quasi come romanzo nel romanzo

A questo si aggiunge un’ampiezza delle digressioni legate all’ambiente della peste della guerra e dei tumulti
di Milano

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Nel dibattito critico il Fermo e Lucia hanno acquisito sempre più un giudizio critico non del tutto negativo a
partire anche da De Sanctis

(fino a quasi la preferenza rispetto ai promessi sposi per la scrittura linguistica di contaminazione di diverse
varietà linguistiche e poi perché l’elemento morale viene molto meno gestito dall’ironia e dalla pacatezza
del narratore dei promessi sposi)

Gli elementi più efferati, soprattutto i personaggi legati al male tendono ad assumere dei tratti quasi da
romanzo gotico, come se l’elemento romanzesco nel fermo e Lucia fosse molto più presente (percepito
segno di vicinanza alla cultura romantica) che smorza a favore di un atteggiamento del narratore interno più
distaccato che va in direzione di una morale cattolica che privilegi il momento enigmatico della grazia
rispetto a quello efferato delle responsabilità storiche.

Nel fermo e Lucia Manzoni aveva intenzione di inserire una lunga digressione su un episodio realmente
accaduto cioè quello della colonna infame, non viene abbandonata ma trova una formalizzazione diversa e
viene aggiunta in coda al romanzo.

Però Manzoni mette la parola fine solo dopo la storia della colonna infame

Fa parte della storia perché anche se una narrazione saggistica contenente elementi estremamente narrativi
fa parte del romanzo.

I promessi sposi:
Con I promessi sposi Manzoni si propone di offrire un quadro di un'epoca del passato, ricostruendo tutti gli
aspetti della società, il costume, la mentalità, le condizioni di vita, i rapporti sociali ed economici, Secondo il
modello scottiano, protagonisti non sono le grandi personalità storiche, ma personaggi (inventati) comuni di
cui la storiografia non si occupa.

La storia viene in tal modo vista dal basso, come si riflette sull'esperienza quotidiana della gente comune.

Per tracciare il suo quadro, Manzoni si documenta con lo scrupolo di un autentico storico, lo scrupolo del
«vero» lo induce a rendere anche le vicende e i personaggi d'invenzione «così simili alla realtà che li si possa
credere appartenenti ad una storia vera appena scoperta»

Come inizia il romanzo? Inizia con un’introduzione che appariva in modalità diverse anche nel Fermo e
Lucia.

Questa introduzione appartiene alle strategie di verosimiglianza che Manzoni costruisce (e che mette in crisi
lo stesso principio di romanzo storico):

Manzoni fornisce attraverso un tipico espediente del romanzo, l’idea che la storia narrata sia una
storia vera tratta da un manoscritto del 17 con una lingua di difficile interpretazione che l’autore
decide di riscriverlo.

L’autore del manoscritto è anonimo (conosceva lo stesso Renzo e il notaio che appare nella fase tumultuosa
in cui si trova)

Perché mette in crisi l’idea di romanzo storico? Perché va in contraddizione con le stesse teorie
elaborate da Manzoni, sta facendo ciò che uno scrittore non dovrebbe mai fare ovvero inventare
l’esistenza del manoscritto.

Questo espediente appartiene anche alla tradizione della narrazione sin dalla prima età moderna (es.
Cervantes) ma anche romanzi settecenteschi come Defoe e Richardson.

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Perché è importante questa introduzione? Perché ci immette immediatamente nella narrazione dal punto di
vista narratologico.

Con l’introduzione Manzoni ha la possibilità di gestire diversi piani delle voci narrative:

 da un lato i fatti raccontati che possono essere ricondotti ad una figura autoriale del manoscritto
che si sta traducendo
 dall’altro quello che è l’autore interno, la voce di Manzoni che entra in contatto con l’anonimo
dialogando quasi ma si pone ad un piano di superiorità sia rispetto all’anonimo stesso sia alla
vicenda che viene narrata (autore onnisciente).

Autore autorevole rispetto alla narrazione che viene condotta.

Nell’edizione definitiva la narrazione viene definita per 6 blocchi narrativi che comprendono 2 anni da
novembre 1628 a novembre 1630.

Alla fine del secondo blocco parte una digressione, Manzoni lavora per blocchi narrativi e digressioni ma a
differenza del Fermo e Lucia i blocchi narrativi sono minori e alternano le vicende dei protagonisti

 Primo blocco narrativo: dall’apparizione di Don Abbondio con i bravi alla fuga di Renzo e Lucia in cui
i due protagonisti sono insieme
 Secondo blocco narrativo: occupa i capitoli IX-X seguiamo Lucia presso la monaca di Monza seguito
dalla prima digressione
 Terzo blocco narrativo: XI-XVII capitolo che segue Renzo a Milano, le vicende dei tumulti e la
successiva fuga di Renzo accusato di essere un sedizioso.
Dopo questo nucleo narrativo c’è una seconda digressione nei capitoli XVIII-XIX legata alle vicende
dell’innominato
 Quarto blocco narrativo: XX-XXVII capitolo la storia di Lucia presso l’innominato dopo la
conversione di quest’ultimo

Terza digressione nei capitoli XXVIII- XXXII dedicata alla discesa dei lanzichenecchi, al dominio straniero,
alla peste e alla conseguente carestia. Maggiore digressione storica del romanzo.

 Quinto blocco narrativo: Renzo torna a Milano dal Bergamasco


 Sesto blocco narrativo: nel lazzaretto con il ricongiungimento di Renzo e Lucia, la morte di Fra
Cristoforo e di Don Rodrigo, lo scioglimento del voto di Lucia. I due dopo essere ritornati nel paese
natio e dopo essersi riusciti a sposarsi tornano nel bergamasco e Renzo diventa un imprenditore
tessile.

La gestione del tempo: la vicenda è estremamente dilatata all’inizio e dopo la conversione


dell’innominato il tempo precipita verso la conclusione.

 I primi giorni della vicenda narrati dettagliatamente


 l’ultima fase del romanzo viene affrontata con una velocità spedita.

Tempo della storia e tempo del racconto vivono una relazione complessa: il tempo del racconto è
estremamente dilatato e quello della storia molto breve e al contrario per la conclusione. (legato
probabilmente alle esigenze del romanzo)

Nel momento in cui c’è la rottura dell’equilibrio creato dai personaggi Manzoni da impressione di
velocità del racconto.

Tutto il romanzo è costruito su un sistema di opposizioni: ai due protagonisti corrispondono un aiutante


positivo e un antagonista.

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 A Renzo e Lucia si oppongono l’aiutante Fra Cristoforo e l’antagonista Don Rodrigo.


 Don Rodrigo si serve di Don Abbondio come aiutante negativo e a Fra Cristoforo corrisponderà
un altro aiutante positivo quello del cardinale Federico Borromeo
 A Federico Borromeo si oppone l’Innominato, personaggio negativo che poi passa nel campo
delle forze positive è questo il momento di svolta che permette di passare alla conclusione
perché cambia il campo delle forze e fa si che possa trovare compimento.

Il sistema di opposizioni è legato anche alla classe sociale, conflitto tra classe sociale alta e bassa.

Ugualmente ci sono opposizioni tra laici e religiosi, quindi viene costruito un sistema estremamente
articolato di equilibrio.

Perché l’innominato è così importante? Personaggio di cui la grandezza, la sua spregiudicatezza e il suo
stare vicino al male si pongono come mistero dell’impronta divina che grazie ad un momento
enigmatico legato alla grazia divina cambia le sorti della storia, l’innominato si pone come un profondo
rispecchiamento del sentimento religioso di Manzoni.

Personaggio che si converte non per aver fatto qualcosa di positivo ma per un meccanismo innescato
dalla figura di Lucia, conosce in qualche modo la grazia.

Questo rappresenta non solo l’aspetto giansenista di Manzoni ma anche una sorta di segno
dell’ideologia religiosa del romanzo in cui l’intervento divino resta imperscrutabile.

(la conversione stessa dell’innominato resta un mistero dell’intervento divino non decifrabile.
All’oscillazione tra il bene e il male non è comprensibile nel definitivo)

Rispetto agli altri personaggi i due protagonisti sono due personaggi in opposizione:

 Renzo come protagonista degli esterni, anche se è presente in luoghi interni sono luoghi interni
aperti (es. osteria), rappresenta il personaggio picaresco in cui il suo attraversamento è legato
alla formazione.
 Lucia è il personaggio degli interni, personaggio statico, non si forma attraverso le vicende del
romanzo ma resta legata alla grazia, resta lontana da una visione dell’amore passionale ed è un
personaggio che reprime gli elementi dell’amore passionale.

Dall’altro lato gli altri personaggi sono ugualmente personaggi che cambiano:

es. conversione di Fra Cristoforo, il passaggio da Ludovico a Fra Cristoforo mantengono elementi
precedenti quelli dell’intervento e di combattività.

Ugualmente a cambiare è Gertrude (una vittima che diventa un carnefice. Il padre di Gertrude costringe
la figlia non attraverso l’imposizione ma attraverso il sentimento di colpa.

Un personaggio che ugualmente non cambia è Don Abbondio che rappresenta il lato più fragile perché
è sostanzialmente uno che ha paura della vita e della morte e il narratore ha su questo un
atteggiamento quasi bonario in alcuni punti proprio perché è un aspetto del carattere umano.

L’ideale manzoniano della società:

Nel sistema dei personaggi del romanzo

• Don Rodrigo e Gertrude rappresentano la funzione negativa dell'aristocrazia, che viene meno alle
sue responsabilità ed usa il suo privilegio in modo oppressivo;

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• il cardinal Federigo, con la sua attività benefica instancabile e lungimirante, costituisce, invece, il
modello positivo, e l'innominato, con la sua conversione, dedicandosi a proteggere i deboli oppressi e a
beneficare gli umili, indica il passaggio esemplare della nobiltà dalla funzione negativa a quella positiva.

• Per quanto - riguarda i ceti popolari, l'esempio negativo è fornito dalla folla sediziosa e violenta di
Milano, il positivo dalla rassegnazione cristiana di Lucia

• Renzo, invece, come I' innominato nei ceti superiori, rappresenta il passaggio dal negativo al
positivo, da un atteggiamento ribelle e intemperante ad un fiducioso abbandono alla volontà di Dio,
analogo a quello di Lucia.

• Per i ceti medi, esempi negativi sono don Abbondio e l' Azzeccagarbugli, esempio positivo fra
Cristoforo

La svolta del romanzo cosa ci dice del rapporto con la storia di Manzoni? Rispetto alla narrazione la
conclusione è duplice perché quando i due si sposano e si spostano a Bergamo, dove Renzo inizia ad
intraprendere un’attività imprenditoriale.

Il romanzo appare senza idillio, (Enzo Raimondi) l’idea che non ci sia un idillio finale nella conclusione e
questo si percepisce in due momenti:

 Esplicito: quando Manzoni ci dice il sugo della storia, mentre Lucia e Renzo ripercorrono le
proprie vicende parla della morale che ha imparato tramite la vicenda, che non deve cercarsi i
guai.
 Lucia invece risponde (dalla sua staticità) ma io i guai non me li sono cercati e quindi cosa deve
apprendere da questa storia se comunque questi guai l’hanno colpita? La risposta è quella di
un’arte della pazienza e della fiducia che resta imperscrutabile, anche quando non ricerchi guai
potresti subire torto ma in ultima istanza resta una fiducia nell’imperscrutabilità del divino che
non deve essere abbandonata.

Secondo elemento negativo: La gente di questo nuovo luogo ha un’aspettativa dei due personaggi ma Renzo
viene dipinto come un antipatico che non ha buone relazioni con la nuova comunità quindi ai loro occhi non
è un personaggio positivo.

Lucia è vista come una donna domestica, senza eroismo anche un po’ brutta. Quindi un romanzo che lascia
elementi di inquietudini profonde.

A noi non è possibile comprendere l’intervento della divinità nella storia

Il torto lo si può ricevere anche senza colpa e questa grande vicenda si conclude con un ritratto medio
anche abbastanza deludente.

La concezione manzoniana della provvidenza:

Si chiarisce in quel sugo anche la concezione che ha Manzoni della provvidenza

L’interpretazione provvidenziale della realtà non è enunciata in prima persona dal narratore ma è affidata
sistematicamente solo ai personaggi

Renzo e Lucia hanno una concezione elementare e ingenua della Provvidenza, che identifica virtù e felicità:
per loro Dio interviene infallibilmente a difendere e a premiare i buoni e a garantire il trionfo della giustizia.

Nella superiore visione teologica di Manzoni, al contrario, virtù e felicità possono coincidere solo nella
prospettiva dell'eterno: solo in un'altra vita vi è la certezza che i buoni saranno premiati ed i malvagi puniti.

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Nella sfera terrena la volontà divina, nel suo mistero imperscrutabile può anche infliggere sventure e
sofferenze ai giusti, senza garantire il loro risarcimento.

Per Manzoni la provvidenzialità dell'ordine divino del mondo non consiste nell'assicurare la felicità ai buoni
ma nel fatto che proprio la sventura fa maturare in essi più alte virtù è più profonda consapevolezza.

La chiusura del romanzo avviene solo dopo la storia della colonna infame che è l’aspetto più tragico della
visione della storia di Manzoni, in cui si racconta il processo che aveva riguardato gli untori, persone del
tutto innocenti e questa colonna infame da simbolo della negatività degli uomini rispetto la figura degli
untori diventa in Manzoni simbolo dell’arbitrio umano nel decidere il bene e il male, è tutto legato alla
responsabilità dei giudici.

Secondo Manzoni i giudici avevano tutti gli strumenti per comprendere l’innocenza degli untori.

Il romanzo non finisce sull’intervento divino ma sul male come ultima istanza del motore storico e
sull’arbitrio degli uomini che nonostante abbiano gli strumenti per comprendere l’innocenza per motivi
sociali e politici, culturali decidono di condannarli.

Il romanzo rappresenta una visione della storia problematica e pessimistica che da un’aria tragica a tutte le
vicende passate.

Il problema della lingua:


Con la redazione definitiva dei Promessi sposi Manzoni fornisce alla letteratura italiana moderna un nuovo
modello di lingua letteraria.

In una lettera a Fauriel del novembre 1821 lamenta le difficoltà che oppone la lingua italiana alla scrittura di
un romanzo, difficolta che scaturiscono dalla sua povertà di costrutti è dalla mancanza di un 'codice'
comune tra chi scrive e chi legge.

In un primo momento, iniziando il Fermo, egli si orienta verso una lingua, formata da un fondo di toscano
letterario, ma arricchita da apporti della parlata viva.

Ma già dopo il 1824, nel rivedere il testo per la pubblicazione, rinuncia a questa lingua composita e si
orienta decisamente verso il toscano, quale poteva apprendere dai libri: la lingua italiana unitaria, quella da
usare nella letteratura come nella vita sociale, deve essere il fiorentino delle persone colte; non la lingua
morta dei libri del Trecento e del Cinquecento, come volevano i puristi, ma la lingua viva, parlata, attuale.

In base a questi principi lo scrittore conduce la revisione del romanzo, che lo occupa per lunghi anni, sino al
1840.

Il romanzo, nella sua redazione definitiva, si offre così come esempio di lingua viva, agile, duttile.

Manzoni si preoccupò in seguito di esporre le sue tesi con opere teoriche:

• Nel 1847 scrive la lettera a Giacinto Carena Sulta lingua ilaliana; nel 1356, con Gino Capponi.

• Avvia il Saggio di vocabolario italiano secondo l'uso di Firenze.

• Lavora anche a lungo ad un trattato Delta lingua italiana

Le tesi manzoniane incontrano il favore della classe politica dello Stato unitario.

Il ministro della Pubblica Istruzione Broglio aveva affidato a Manzoni la presidenza della sezione milanese di
una commissione, che aveva il compito di proporre i mezzi per diffondere nel popolo la buona lingua.

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Manzoni nel 1868 presentò la sua relazione, arricchita l'anno successivo di un'Appendice: la sua proposta
era quella di diffondere la lingua fiorentina con un vocabolario, che costituisse un punto di riferimento
sicuro, e con l'impiego di maestri fiorentini nelle scuole elementari.

Il romanzo nei confronti del modello di Manzoni:


Dopo i promessi sposi è inevitabile nel campo del romanzo un confronto con la figura di Manzoni

Le varie linee che si sviluppano nella letteratura italiana subito dopo i promessi sposi dal 27 in poi e
soprattutto negli anni 30-40 andranno in direzione di una sorta di romanzo storico che a partire
dall’esempio dei promessi sposi si lega alle istanze risorgimentali.

In questi decenni il contesto storico e sociale preme sulla letteratura e la cultura del romanzo.

La linea che prevale è quella del romanzo storico schiacciata su Manzoni, (sintomo della cultura italiana di
questi anni che però non produce capolavori)

La critica divide il romanzo storico in due linee: una liberale e una democratica, categorie desunte dalle
fazioni politiche in gioco di questi anni, caratterizzati dai moti che porteranno poi all’unificazione.

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 La linea liberale: costituita dal progressismo cattolico (prevalente in Italia) e i rappresentanti più
importanti di questa linea sono personalità molto vicine allo stesso Manzoni.

Massimo D’Azzeglio (che sposa una delle figlie di Manzoni, Giulia) è uno dei personaggi più importanti per
quanto riguarda i processi di unificazione, infatti, con l’unificazione entrerà a far parte del parlamento e tra
la sua attività poliedrica vi è quella del romanziere.

In particolare, negli anni trenta si dedica al romanzo storico pubblicando la disfida di Barletta. Il romanzo è
ambientato nel 1503, nell’ambito delle guerre d’Italia tra spagnoli e francesi per la conquista di Napoli.
Questo funge come elemento allegorico legato alla situazione dell’Italia contemporanea.

Un altro rappresentante di questa linea è Tommaso Grossi che pubblica nel 1834 il Marco Visconti, romanzo
ambientato agli inizi del 300 (Medioevo x romanticismo momento in cui sono state fondate le nazioni
moderne ma in Italia si è saltato un processo ben si presta a descrivere le dinamiche di divisione)

Questa linea ha come punto di unificazione a quella democratica una sorte di morale cattolica che coinvolge
il romanzo come principio di imitazione di Manzoni e cui vi è la stessa morale di pazienza e buon senso che
appariva come elemento più superficiale nei promessi sposi.

 La linea democratica: si caratterizza per uno stile molto più oratorio, che porta all’estremo la
componente propagandistica della scrittura e questo fa si che venga anche meno la
problematizzazione psicologica e sociopolitica, motivo per cui non produce capolavori.

Un rappresentante importante di questa linea è Guerrazzi, impegnato dal punto di vista politico sul fronte
mazziniano e repubblicano durante il processo di unificazione. Pubblica nel 1827 la battaglia di Benevento e
nel 1836 l’assedio di Firenze (entrambi di ambientazione medievale)

 La novellistica e il romanzo campagnolo: oltre a queste declinazioni del romanzo storico sono
presenti altre linee che mostrano una sorta di stanchezza nei confronti del genere e che provano a
declinare i problemi politici attraverso altri generi.

La linea più importante è quella del romanzo o della novellistica campagnola in cui i problemi socio-politici
non vengono affrontati attraverso un meccanismo di allegorizzazione storica ma attraverso il problema del
rapporto tra campagna e città. (Italia resterà fino all’inizio del boom economico del dopoguerra un paese
contadino con piccole zone industriali)

In questo periodo l’Italia presenta una cultura popolare contadina in cui determinate istanze politiche sono
percepite come secondarie dato che nel mondo contadino sono ancora presenti forme di feudalesimo per
cui le dinamiche politiche non favoriscono processi di modernizzazione.

Uno dei problemi che viene posto nel periodo dell’unificazione è quanto le masse contadine partecipino al
processo risorgimentale e il romanzo e la novellistica campagnola vanno proprio ad indagare questa
relazione tra le masse contadine e l’assetto politico in cambiamento.

Di questa linea il novellista più importante è Giulio Carcano, ma lo stesso Nievo rappresenterà una figura
importante soprattutto con alcune novelle (es. varmo)

Il più importante novellista di questa linea è Giulio Carcano ma lo stesso Nievo rappresenterà un autore
importante soprattutto con alcune novelle

 Nuova tipologia di romanzo storico: Contemporaneamente a questa linea si sviluppa un’altra


tipologia di romanzo storico, una sorta di romanzo della contemporaneità in cui invece di
allegorizzare il passato sulle forme del presente, prende come punto di inizio un passato prossimo
che si sviluppa fino alla situazione attuale.

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Oltre a Nievo un autore importante che segue questa linea è Rovani

Il romanzo più importante di rovani è 100 anni, fondato sull’accusa di aver falsificato un testamento rivolto
da un tenore. A partire da questo incipit si seguono le vicende nel tempo di questo testamento (numerose
digressioni lungo questa linea)

Il romanzo storico della contemporaneità è un modo di cercare di evitare la stanchezza del romanzo storico
ambientato nel passato.

NICCOLO’ TOMMASEO:
Un esempio di romanzo problematico dal punto di vista tecnico letterario rispetto al modello di Manzoni ci
è dato da Niccolò Tommaso.

Niccolò nasce nel 1802 in Dalmazia e come Foscolo è legato all’Italia ma anche ad una cultura altra.

Si muove tra Venezia e Firenze,

 Nel 1826 a collaborare con I'«Antologia» di Viesseux (gruppo di coloro che avevano partecipato al
conciliatore e una volta chiuso aprono l’antologia a Firenze)

Il gruppo che gravita attorno a Viesseux è liberale cattolico e con Tommaseo ci saranno molti scontri (con
Leopardi)

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Lo spostamento a Firenze, che si concretizza nel 1827, spinge Tommaso ad approfondire le ricerche sul
versante della poesia popolare (tema di grande importanza nella lunga parabola risorgimentale) e
soprattutto sulla lingua toscana: il nuovo orizzonte italiano, è rappresentato dal Nuovo dizionario dei
sinonimi, che viene pubblicato nel 1830.

Nella sua personalità c’è qualcosa di anarchico, questa sua adesione al cattolicesimo progressista è
problematico e lo si nota proprio nel suo romanzo più importante fede e bellezza in cui l’elemento cattolico
è strettamente in conflitto con l’elemento dell’erotismo

Perché anarchico? Si muove tra Firenze e Venezia per diversi problemi sulla censura passerà in periodo in
Francia. Il suo intervento all’interno dell’Antologia fa chiudere il giornale per problemi di censura, motivo
per cui si allontana dall’Italia.

Tommaseo ha due linee di lavoro:

 una legata ad un’erudizione in chiave romantica: un esempio è il fatto che sia uno degli autori di un
dizionario importante, il Tommaseo Bellini (lavoro specialistico lessicografico affrontato da un’ottica
scientifica, ma dal punto di vista ideologico sono presenti elementi caratterizzanti dal punto di vista
romantico ovvero una grande attenzione al lessico popolare)
 l’altra legata alla scrittura di poesie e romanzi: insieme al suo romanzo scrive infatti canti popolari.

Prima ancora di tornare in Italia alla fine del 1839. Tommaso avvia un'altra scrittura romanzesca, quella di
Fede e bellezza.

Fede e bellezza:
Romanzo pubblicato nel 1840 ma che continua ad essere modificato dall’autore che ripubblica diverse
edizioni e adottando una strategia di auto censura (elimina i punti più problematico, soprattutto dal punto
di vista erotico)

La stampa avviene quando Tommaso è tornato in Italia da alcuni mesi, ma la stesura prende avvio
nell'ultima fase dell'esilio francese, e la storia del romanzo si svolge in effetti in parte in Francia.

Articolato in sei libri, e incentrato sulla storia d'amore tra due giovani, Maria e Giovanni, Fede e bellezza è
un romanzo dalla notevole tensione sperimentale, poiché accosta al suo interno diverse forme di scrittura

Il romanzo è scritto in chiave anti manzoniana anche se l’autore era in relazione con Manzoni e lo ammirava
profondamente. C’è una sorta di conflitto edipico con questa figura da cui nella composizione effettiva
dell’opera prende le distanze (meccanismo dell’angoscia dell’influenza)

Perché è un modello anti manzoniano? Perché il romanzo ha una struttura disomogenea.

Questo lo ricaviamo dall’accostamento dei sei libri in cui è diviso il romanzo, romanzo che racconta la
relazione tra Maria e Giovanni con un conseguirsi, soprattutto nella prima metà del romanzo di una sorta di
montaggio tra generi diversi.

Il primo e il secondo libro adottano la prospettiva del romanzo delle confessioni;

 Il primo libro: è una sorta di monologo drammatico che racconta gli 'errori di Maria, le passioni
amorose malriposte e deluse della sua giovinezza, il proprio passato, a partire dalla sua infanzia, del
suo essere orfana e gli errori che è stata costretta ad affrontare.
 Il secondo libro: i due innamorati decidono di raccontarsi tutto della propria vita e per fare ciò
Giovanni cede il suo diario

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 Il terzo libro: appare un narratore esterno la cui voce è però spesso interrotta da brani di lettere dei
due amanti (così nel libro quarto).

L’apparizione di un narratore esterno ci riporta ad un ambito più classico manzoniano e questo comporta
anche un montaggio di prospettive completamente differenti all’interno dello stesso romanzo.

Successivamente si raccontano le peripezie che separano i due giovani.

Una volta tornati insieme Maria si ammala di tisi e la storia non avrà un lieto fine.

Nel momento in cui Giovanni scopre della malattia di Maria questo momento si trasforma in un momento di
erotismo ed è proprio qui che sentiamo il forte contrasto tra l’istanza religiosa e l’Istanza erotica (in alcuni
momenti quella erotica più rispetto quella religiosa (questa parte viene eliminata anche perché negli ultimi
anni di vira Tommaseo si legherà ad una morale cattolica forte)

In questi come in molti altri passaggi del testo la critica ha colto l'emergere di materiali autobiografici, in un
impasto di elementi religiosi e di sensualità accentuata, tanto che Vieusseux, tra i primi lettori dell'opera, si
sente di invitare Tommaso a stendere un velo prudente su diversi episodi.

La vicenda approda alle nozze, ma non a un esito lieto, prima per la separazione dei due giovani, poi per la
morte di Maria, nello scenario di Quimper, in Bretagna.

IPPOLITO NIEVO:
Nelle opere di Nievo si leggono dunque bene i riflessi di quello che è stato definito «il decennio di
preparazione» all'Unità, e si avverte spesso «il senso di un'emergenza. Anzi questo senso è il ritmo della sua
opera intera, Bisognava far presto» (Maffei).

La cornice storica del Risorgimento è però superata, trascesa nella straordinaria invenzione delle
Confessioni, uno dei grandi romanzi dell'Ottocento italiano, che si colloca in modo deciso fuori dalla linea
manzoniana.

Oltre a rappresentare un grande esempio, dal modello Manzoniano nascono opere opposte e distanti.

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Da questo punto di vista l’opera di Nievo è l’opera più importante. Opera che in realtà non riscuote subito
tanto successo, viene ripresa dalla critica che segna quelle che erano le caratteristiche anti-manzoniane.

Ippolito Nievo nasce nel 1831 e muore giovanissimo, appena trent’anni.

Nasce e si forma nel nord est tra Padova e Venezia, si arruola tra il 1857-1858 e parte dell’impresa accanto a
Garibaldi.

Nievo partecipa all’impresa dei mille nel 1861 e a tutto il precedente decennio di preparazione.

Garibaldi stesso gli affida compito di sovraintendente in Sicilia, quindi torna a Palermo dove trova una
situazione politica difficile da gestire, cerca di tornare verso Napoli ma la nave affonda e Nievo muore.

La prima attività letteraria consiste principalmente nella composizione di novellistica campagnola, già qui
sono evidenti gli elementi anti manzoniani soprattutto a livello linguistico.

Infatti Nievo è molto più vicino alle istanze che propongono una contaminazione linguistica che consiste
nell’uso di un registro linguistico basso (con elementi dialettali del nord est)

Altro punto di rottura con Manzoni consiste nel fatto che in Nievo è molto più accentuata la linea sterniana,
la linea umoristica che in qualche modo fa si che le istanze risorgimentali e politiche vengono temperate da
uno scetticismo umoristico.

Produce tantissimo e dal punto di vista della linea umoristica l’esempio più importante è Il barone di
Nicastro, ma il suo capolavoro è Le confessioni di un Italiano, romanzo che viene pubblicato solo postumo.

Le confessioni di un italiano:
Scritto in pochi mesi tra il 1857-1858 che viene pubblicato solo nel 1867 con un titolo diverso e solo
successivamente con edizioni sorvegliate verrà ristabilito il titolo originario.

Pubblicato postumo perché dal punto di vista politico ci troviamo ancora in una fase problematica.

Il romanzo prova ad unire l’istanza della confessione attraverso un periodo storico del passato prossimo che
giunge fino al presente, con una forma di attraversamento nella società: l’individuo è strettamente legato
alla sua identità sociale, a quella di un italiano (anche se l’Italia ancora non c’è)

Uno dei maggiori critici di Nievo, Mengaldo, lo suddivide in 3 blocchi narrativi che attraversano le vicende
del protagonista dalla nascita fino al momento in cui parla ormai ottantenne nel 1885:

 capitoli I-VII: l’infanzia di Carlo. La fine dell'antico regime: la narrazione muove dal castello di Fratta
nell'ultimo quarto del Settecento e si conclude con la decapitazione di Luigi XVI (1793);
 capitoli VIII-XVII: la giovinezza di Carlo. La stagione delle rivoluzioni: la narrazione copre gli ultimi
anni del Settecento, fino alla caduta della Repubblica partenopea(1799);
 capitoli XVIII-XXIII: l’età adulta fino alla vecchiaia. La narrazione si svolge a coprire la prima metà del
XIX secolo, fino ad arrivare al 1858 del presente della scrittura, incentrata appunto sul contesto dei
moti rivoluzionari.

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Tutto il primo e secondo blocco narrano della formazione di Carlo e del come si diventa adulti attraverso la
storia politica e sentimentale.

L’ultimo blocco si trasforma in una sorta di romanzo pedagogico (per attività civile e politica)

La figura del narratore entra in contrasto con il modello manzoniano: invece di un narratore esterno
onnisciente il narratore è interno, lo stesso Carlo ormai ottantenne. Ma le prospettive sono sempre
articolate e complesse, la prima è data da Carlo la figura anziana che giudica e commenta la vicenda del
Carlo giovane (due prospettive del personaggio completamente diverse).

Al processo di invecchiamento di Carlo corrisponde una sorta di entusiasmo delle istituzioni, più Carlo va
verso la vecchiaia più le istituzioni vanno verso il loro momento positivo cioè l’unificazione.

Le Confessioni si snodano quasi per intero seguendo la passione, il legame ambiguo e fortissimo che
stringe Carlino Altoviti, il narratore ottuagenario che rievoca la sua esistenza alla Pisana, la
contessina di Fratta che diventerà la figura decisiva del romanzo.

Carlino è un figlio illegittimo della sorella della contessa di Fratta, e ha una posizione marginale nel castello,
impegnato in una mansione umile, come girare lo spiedo nella cucina, l'ambiente acherontico da cui prende
avvio la narrazione nel primo capitolo.

Il carattere tumultuoso di Pisana, la sua natura passionale e bizzosa non solo congegnano il più bel
personaggio femminile dell'Ottocento italiano, una sorta di rovescio imprevedibile della Lucia manzoniana,
ma rappresentano il motore della narrazione stessa, con Carlino sempre in qualche modo sulle tracce della
donna amata.

Negli anni di Fratta, Carlino vive tutte le tappe fondamentali del suo percorso al cospetto della Pisana.

E se il Carlino personaggio ne osserva rapito e spesso passivo tutte le evoluzioni - Pisana amerà altri uomini
e sposerà un vecchio nobile veneziano -, il Carlino narratore, che rievoca a distanza di anni, nel ricordare
accompagna all'amore, ancora intatto, una riflessione prolungata sull'indole della Pisana.

Si tratta di una stratificazione che offre una straordinaria ricchezza, perché nella narrazione si alternano
liberamente i pensieri e le emozioni di Carlino giovane con i giudizi e le larghe digressioni morali
dell'ottuagenario.

L'asse sentimentale è intrecciato con l’asse ideologico e politico del romanzo:

 L’asse sentimentale: rappresentato dagli amori di Carlino e Pisana


 l'asse ideologico e politico: il cammino verso l'unità d'Italia, (punto di fuga dichiarato sin dall'incipit
delle Confessioni)

Carlino attraversa come partecipe, in prima fila, le varie tappe della storia recente: il crollo dell'antico
regime, con un grande rilievo assegnato al momento della caduta della Repubblica di Venezia, e poi tutte le
sconfitte dell'Ottocento; egli non perde però mai la fiducia che l'Unità sia un traguardo vicino.

Descrive dunque con sguardo perplesso la lunga parabola che dalla Rivoluzione francese porta all'età
napoleonica e lascia sullo stondo la condizione di sottomissione italiana di tutta la prima parte
dell'Ottocento: più che al progetto di una sommossa, la linea che 'ottuagenario propone è dunque quella
che mira alla formazione morale di un popolo, in grado di conquistare la propria libertà e la propria nazione.

In questa chiave diventa cruciale l'elemento appunto dell'educazione:

Una riflessione pedagogica che dialoga in modo consapevole con il modello di Rousseau e che rappresenta
uno degli elementi fondanti delle Confessioni.

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Sarà il rinnovamento morale di ogni singolo cittadino a rappresentare la condizione e la premessa per il
rinnovamento civile prima, per il rinnovamento politico dopo.

Man mano che le memorie di Carlino si avvicinano al presente, il romanzo storico cede il passo al romanzo
contemporaneo, e nell'ultimo capitolo, la storia contemporanea viene offerta nella forma del romanzo
epistolare.

Su tutti questi elementi domina, come un elemento di base della narrazione, il registro umoristico, la
tendenza digressiva di matrice ancora sterniana, con la quale Carlino guarda a distanza, con una ironia
carica di passione, le vicende narrate.

Capitolo I:
Il primo capitolo del romanzo funge da breve introduzione.

Ogni capitolo è preceduto da un cappello introduttivo che riassume i contenuti di ciò che si sta per leggere.

Già dal cappello introduttivo viene istituito qual è il luogo più importante della narrazione per il primo
blocco narrativo ovvero il castello di fratta (nord est) dove Carlino si trova come un familiare escluso, figlio
illegittimo della sorella della contessa di Fratta, che aveva portato vergogna su tutta la famiglia.

La madre lascerà Carlo in una cesta con il compito di farlo arrivare a Fratta. Lei fugge, poi cercherà di tornare
a riprendere il figlio ma morirà. Quindi Carlino è obbligato a vivere nella cucina di Fratta dove ha il compito
di gestire il camino.

Verrà cresciuto da Martino, uno dei servitori del castello che sarà una sorta di figura paterna per Carlo.

Incipit:

Giustifica la scrittura autobiografica:

 Nel Medioevo, a partire dalle confessioni di Sant’Agostino si parla di se stessi perché esemplari dal
punto di vista della morale religiosa.
 Nella modernità con gli esempi di Rosseau e con Alfieri parlare di se stessi lo si giustifica a partire
dall’espressione della propria interiorità, non c’è un elemento trascendente che deve giustificare la
propria individualità ma si è esemplari a partire dalla propria vicenda interiore.

Qui invece la prospettiva è diversa, si può parlare di se stessa perché la morale della mia vita è l’essere
italiano di Carlino (anche se il romanzo finisce che l’Italia non è unita).

L’individuo si giustifica in quanto esemplare di una storia di una nazione.

Sin dall’inizio il narratore interno pone una separazione tra l’età adulta e la giovinezza.

Chi trasmette le sue memorie lo fa perché ritiene la sua storia degna di essere raccontata.

o Qui Carlo ci dice che la sua storia non avrebbe avuto il diritto di essere narrata se non fosse vissuto
a cavallo tra due secoli decisivi per la storia italiana. Insieme a questo ci da altre informazioni: non è
un intellettuale ma un uomo colto, soprattutto della cultura legata all’esperienza risorgimentale. E
o Troviamo delle righe dei giudizi (ultimo momento di ancien regime, sta cambiando assetto politico e
sociale)
o La sua vita non è altro che un commento di fronte ad un grandissimo codice (storia)
o Carlo ammette di non essere un eroe ma una delle tante gocce della storia che nel piccolo può
descrivere la direzione generale della storia.

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Altro elemento importante è il fatto che Carlo si rivolga ai giovani, (che sarà anche una nota sentimentale
che attraversa la conclusione) dato che è ai giovani che può servire nella direzione di un impegno civile.

Da questa introduzione possiamo ricavare le diverse anime delle confessioni:

 Genere delle confessioni


 Genere del romanzo storico della contemporaneità
 Romanzo di formazione

Nel primo capitolo vengono presentati i primi personaggi: vengono descritti il castello e la cucina (luogo
importante per la formazione di Carlino) e vengono presentati i primi personaggi, i conti e la servitù.

Vengono presentati due personaggi femminili co-protagonisti ovvero le figlie della contessa:

 Carla
 la Pisana

Due modelli femminili opposti e che in qualche modo descrivono una sorta di nuova immagine femminile
grazie a questa opposizione

La Pisana che fin da bambina ha un atteggiamento contraddittorio, contraria alla femminilità della sorella
Clara. (di cui viene descritto l’amore tra lei e Lucilio. Clara gli resterà sempre fedele tanto che quando non
sarà possibile tener fede a questa promessa prende i voti)

La Pisana è una figura totalmente diversa, fin da giovane instaura un rapporto erotico con il cugino Carlo che
tradisce continuamente, ha una vita erotica intensa e l’unico momento in cui i due si trovano ad avere una
relazione che porta a compimento il loro amore avviene quando la pisana di è sposata con un uomo più
anziano e mentre invece nella fase della giovinezza Carlo si vede costretto a ritirarsi perché la Pisana decide
di andare con un altro. Successivamente ci sarà un’altra figura maschile che si interpone tra i due.

Tutto il romanzo è questo allontanarsi e rivelarsi della Pisana che mostra il suo dominio su Carlo, quasi
succube.

Tutto romanzo attraversato questo continuo rincontrarsi che porta a sottrarsi e poi a sacrificarsi per
l’altro, fino all’ultimo sacrifico della Pisana che raggiunge Carlo in esilio riesce a salvarlo dalla
prigione e dalla condanna. Lo quasi cieco a Londra vive di carità per guarire Carlo, ma quando lui
guarirà ci sarà la morte della Pisana (momento più tragico dell’esistenza di Carlo)

In un momento precedente, di maggiore aspetto dell’espressione amorosa tra i due, la Pisana costringe
Carlo a sposare una sua amica per stare in contraddizione tra il sentimento amoroso e il sottrarre Carlo da
questo spirito contraddittorio che lei rappresenta.

Il romanzo si conclude dopo la morte della Pisana con il ritorno di Carlo in Italia dove vive una vita
campestre, con Aquilina e i propri figli ma la morte della Pisana apre una serie di lutti, da amici alla morte di
uno dei figli.

Il figlio Giulio sembra erede delle istanze civili del padre, partecipa ai moti del 48, viaggia negli Stati Uniti
per prendere parte agli scontri politici che si stanno consumando, arriva la poi la notizia della sua morte.

Infatti il romanzo si chiude con il diario del figlio Giulio con le proprie considerazioni politiche e infine una
riflessione sulle generazioni di Carlo che in sostanza afferma che le nuove generazioni sono migliori delle
precedenti.

Quindi con uno sguardo positivo verso le future generazioni.

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La figura della Pisana si sottrae all’immagine della donna domestica (sottrazione rispetto al ruolo della
donna sposa e madre).

La questione dei capelli è il momento simbolico che descrive tutto il rapporto tra la Pisana e Carlo:

 Carlo totalmente succube, totalmente ammaliato


 La Pisana che gestisce completamente sia il suo sadismo che il suo masochismo.

Questo è il modo in cui la Pisana si sottrae alla figura di donna domestica.

Il secondo romanticismo italiano:


Come cambia la figura dell’intellettuale nell’800 e come arriva a degli stereotipi che fanno parte della
modernità

Come in questa stagione l’Italia gioca un ruolo secondario, con evidenti influenze provenienti dalla Francia.

Il processo risorgimentale e L’Unità fa si che l’Italia

In Italia abbiamo diverse generazioni romantiche:

La prima che si sviluppano gli autori mossi attorno al conciliatore e alla polemica classicista romantica

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E successivamente quelli nati nei primi due decenni dell’ottocento che conoscono una piena declinazione
del romanticismo italiano in chiave risorgimentale.

Di questa seconda ondata di romanticismo ricordiamo autori come Prati e Alendri.

Ciò che caratterizza l’Italia in questo periodo è una sorta di rifiuto dell’interiorità (escluso Leopardi), al
contrario del romanticismo europeo dove questo rappresentava un nodo ardine.

Mentre nel resto d’Europa la declinazione del romanticismo, quanto meno in poesia, è legato ad un
rapporto con l’interiorità

In Italia si verifica un netto rifiuto a questa esperienza e al ricorrere di due forme prevalenti che hanno più o
meno dei caratteri simili:

 La ballata (carattere narrativo. Metri cantabili dal senario al decasillabo)


 La novella in versi (componimento lungo che fa ricorso all’ endecasillabo e solitamente all’ottava)

Queste ballate avrebbero l’obiettivo di porsi come componimenti popolari.

Nonostante l’elemento e il pubblico siano effettivamente popolari ciò che non si riesce ad assumere è un
linguaggio popolare: la scelta tematica e la forma metrica cozza con un’impostazione linguistica ancora
aulica.

Da questo punto di vista l’esempio maggiore è Giovanni Berchet che nel 1824 pubblica le romanze e nel
1829 pubblica le fantasie.

Anche qui siamo di fronte ad una forma della ballata che dal punto di vista dell’argomento recupera una
sorta di arretramento ad un Medioevo fantastico. Vediamo allora la forma narrativa associarsi all’argomento
topico dell’amor cortese trasposto in chiave sentimentale e romantica.

Es. Il trovatore, ballata di Berchet in cui la vicenda privata dello stesso autore viene trasposto nel contesto
medievale.

C’è una sezione della poesia romantica che trova una sorta di maturità poetica ed è quella dialettale.

Il ricorso al dialetto evita gli ostacoli che si creano tra il tentativo di aggiornare le forme della poesia e
l’assenza di una lingua d’uso che possa andare in direzione dell’ampio pubblico ì

Ricorrendo al dialetto si fa ricorso a una tradizione o del tutto assente o marginale (che pone dei problemi
perché i poeti non conoscono una larga circolazione, solo regionale al massimo nazionale, quindi poeti che
avranno successo postumo, valorizzati dalla critica soprattutto nel 900).

Due poeti seguono questa linea:

 Carlo Porta
 Gioan Gioacchino Bello
Caratterizzati da differenze importanti
 Carlo Porta nasce nel 1775, appartiene ad una stagione molto antecedente a quella centrale del
romanticismo (fase del pieno risorgimento es. Mameli)
Nel momento della polemica classicisti romantici, prende le parti dei romantici.

Gioacchino Belli è un personaggio a tratti oscuro, lontano da un centro effettivamente importante e che
guarda all’Europa e a Milano. Ma è romano, ancora nella Roma papale.

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Questa differenza geografica tra i due non è secondaria perché l’utilizzo del dialetto non fa riferimento solo
ad un centro dell’avanguardia rispetto al romanticismo ma anche perché il milanese era già stato adottato in
letteratura. Belli invece si trova pressoché scoperto dal punto di vista della tradizione letteraria in
romanesco.

I due presentano anche differenti posizioni ideologiche:

 Porta subisce l’influenza dei cattolici progressisti milanesi vicino al romanticismo


 Belli si trova di fronte ad una realtà politica asfittica che può criticare ferocemente, ha tratti
ribellistici che poi si trasformano in tratti di profondo pessimismo. La chiusura di Roma influenzerà
la sua aggressività satirica.

Entrambe queste due figure sono interne alla figura dell’amministrazione delle rispettive città

Carlo Porta:
Politicamente acquisisce una posizione importante in età napoleonica e questo fa si che subisca il fascino
proveniente dalla Francia rispetto alle istanze rivoluzionarie della fase napoleonica.

La produzione di Porta è divisibile in tre fasi:

 Dalla nascita fino al 12 fase di formazione


 12-17 produzione della sua maturità in questa fase si situano i propri capolavori, narrazioni in ottave
in cui molto spesso la voce del narratore è ceduta al personaggio. (Ninetta uno dei componimenti
più celebri)
 17- 21 ultima fase che coincide con una fase di restaurazione anche a livello politico, che da avvio a
una produzione artistica più polemica e aggressiva in cui si schiera completamente al romanticismo
anche con un componimento intitolato proprio romanticismo

I personaggi di Porta sono personaggi basso popolari, che gravitano intorno al merziere (mercato tipico di
Milano).

Nella storia di Ninetta viene raccontato come sin da bambina la protagonista sia innamorata di Peppo. Con
lui inizia una relazione che durerà tutta la vita ma la figura maschile è particolare dato che costringe Ninetta
alla prostituzione, portandola ad una vita di umiliazione.

La più grande umiliazione avviene quando Ninetta si rifiuta di avere un rapporto con Peppo che allora inizia
a diffondere notizie su di lei, insinuando che avesse la sifilide e facendole perdere i clienti.

Da qui parte una critica sul modello del turpiloquio. La particolarità è che già quando Peppo è piccolo viene
descritto in termini di come sarà da grande.

La poesia di Porta è caratterizzata da un realismo linguistico, dall’utilizzo dello strumento del dialetto.

L’opera di Porta ha causato problemi di critica siccome il turpiloquio è il tipico genere comico in cui è chi
legge deve ipotizzare la posizione dell’autore rispetto ai personaggi.

 Parte della critica lo vede in una posizione di superiorità


 Dall’altro Dante Isella, uno dei più importanti filologi italiani, riconosce una solita di
rispecchiamento dell’autore nel mondo popolare.

E’ certa solo la simpatia dell’autore nei confronti di Ninetta

Gioan Gioacchino Belli:

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Nasce nel 1791, anche lui impiegato all’interno dell’amministrazione, ha inizialmente un ruolo all’interno
dell’Accademia tiberina che abbandona nel momento in cui sceglie di scrivere in dialetto.

 Nella prima fase belli pubblica dei libri in italiano letterario


 Nel 1827 conosce lo stesso porta e da questa conoscenza matura l’idea di utilizzare il dialetto

Belli scrive più di 2000 sonetti ma non pubblica una raccolta con la propria produzione in dialetto
(pubblicato poi postumo con il titolo di i sonetti romaneschi)

La sua produzione è divisibile in due fasi:

 31-37
 43-47

Alcune tipologie standard di costruzione dei suoi sonetti:

 Una in cui troviamo un personaggio-coro: c’è una scena collettiva che prende la parola mediata
dall’autore
 Una struttura teatrale che consiste nel dialogo a più voci
 Una struttura monologante o associata a un personaggio oppure a una maschera autoriale

Informazioni importanti per comprendere qual è la posizione da cui parla l’autore, sia ideologicamente sia
rispetto ai propri personaggi.

Anche perché nella sua produzione troviamo due tendenze:

 La rappresentazione bozzettistica della realtà romana (soprattutto degradata)


 Una rappresentazione aggressiva e satirica soprattutto nei confronti delle istituzioni ecclesiastiche.

E’ difficile comprende le istanze dell’autore nel momento del personaggio coro deve la voce non
comprendiamo la posizione, può anche non esserci dialogo nella forma del monologo e in quelli omologanti
c’è una forma di mascheramento.

L’elemento satirico nella sua poesia può essere letto in direzione illuminista, ovvero come una critica verso
lo stato della chiesa da una prospettiva illuministica. Sempre proveniente dall’illuminismo è una forma di
materialismo profondamente vicina al nichilismo.

La vita dell’omo: sonetto

La voce di questo sonetto è da attribuire ad una maschera autoriale, qui l’autore esprime il suo pessimismo
più radicale rappresentandoci la morte come una sorte di liberazione ma allo stesso tempo, comunque una
sorta di condanna. (pessimismo che non ha un momento di riscatto)

Nella fase finale abbandona la scrittura, rientra nell’accademia tiberina e diventa una sorta di reazionario.

Un’altra linea che conosce un suo sviluppo in area romantica è sempre una linea satirica e che trova
un’esponente importante in Giuseppe Giussi

In area Toscana dove è viva una memoria della tradizione comico realistica antica

Resta fortemente legato alla tradizione comico realistica e mantiene dei forti accenti caricaturali

C’è una terza generazione che ci introduce verso la scapigliatura:

Questa ultima generazione di poeti, in particolare Prati e Aleardi conoscono una forma di romanticismo che
viene definito romanticismo diffuso in cui i tratti macabri e languidi vengono accentuati.

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Sono entrambi veneti ed entrambi nascono tra il 1812-1814, attraversano l’unità e vengono a far parte del
parlamento italiano e muoiono negli anni 80.

Tra i due Prati è quello che da maggior elementi che verranno ripresi successivamente, un componimento
importante è Edmengarda del 1842, una sorta di novella in versi che riprende modalità romantiche
associando una vicenda contemporanea ad una narrazione finzionale.

Ermengalda sposata con Arrigo si innamora di un altro uomo e questo scatena la vicenda.

Tuttavia Prati diventa importante non per la sua raccolta poetica più vicina alla novella in versi romantica ma
per l’ultima fase della sua produzione che si formalizza in due raccolte

 Psiche (1876): sorta di poesia panteistica


 Iside (1878): vengono ripresi gli elementi di una sorta di magia orientalizzante

L’elemento di Iside rappresenta una sorta di anticipazione delle forme e delle tematiche decadenti.

Poco prima di queste ultime raccolte di Prati è emersa la corrente più importante della seconda fase
dell’Ottocento insieme al verismo in cui vi è una declinazione opposta e speculare:

Nel senso che noi dobbiamo immaginare che dopo la fase delle rivolte, del 48 e di Napoleone III del 1871 si
consuma il cambio definitivo della figura dell’intellettuale

Nel 1857 vengono pubblicati Madame Bovarie e i fiori del male. Data simbolica dell’inizio della
modernità che porterà al 900.

Dal punto di vista formale qui si conosce e si consuma quello che era iniziato a fine 700 con il romanticismo
cioè una solidificazione dell’idea di poesia-lirica romanzo-realista unite però alla nuova figura di
intellettuale. L’intellettuale non è più un legislatore, non gli viene più riconosciuto il mandato sociale.

Fino ad adesso gli scrittori avevano avuto un mandato sociale dalle classi egemoni. Ora lo scrittore perde
questo mandato e reagisce a questa perdita.

Per il romanzo nascono realismo e naturalismo.

La poesia reagisce in 2 modi:

 Da un lato con una reazione ribellistica, è come se il poeta istaurasse un rapporto contraddittorio
con il pubblico, tende ad assumere una posizione che ragiona per metafore.
Metafora del saltimbanco: qualcuno che si espone al pubblico ma che istaura un rapporto
contraddittorio (da un lato innocenza dall’altro provocazione verso il pubblico, da cui deve ricevere
comunque una forma di riconoscimento)
 Dall’altro un arcamento rispetto alla figura del poeta che specializza sempre di più il suo linguaggio,
lo rende oscuro, più difficile, perché questa oscurità rappresenta il privilegio a cui accedono in
pochi.

Bodelaire è al centro di questa nuova concezione, quella di un ribellismo che va verso quello dell’impegno
politico, e una forma di parnassianesimo.

In Italia il movimento che recupera queste forme e quindi si adegua alle forme che arrivano dalla Francia è
la scapigliatura.

LA SCAPIGLIATURA:
La scapigliatura è un gruppo di scrittori che operano nello stesso periodo, gli anni Sessanta-Settanta
dell'Ottocento, e negli stessi ambienti il centro principale è Milano, ma vi sono manifestazioni analoghe

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anche a Torino e che sono accomunati, da un'insofferenza per le convenzioni della letteratura
contemporanea (in particolare il manzonismo e il tardo Romanticismo sentimentale), per i principi e i
costumi della società borghese, e da un impulso di rifiuto e di rivolta, che si manifesta nell'arte come nella
vita.

Con il gruppo degli scapigliati compare per la prima volta nella italiana dell'Ottocento, in forma estesa e
violenta, il conflitto tra postunitaria artista e società, che era l'aspetto costitutivo del Romanticismo
straniero.

Esauritosi ormai il ruolo risorgimentale degli intellettuali e avviatosi con l'Unità il processo di
modernizzazione economica e sociale dell'Italia, che tende a declassarli e a emarginarli, nascono anche
negli artisti italiani gli atteggiamenti ribelli e anti borghesi

La data simbolica per la nascita della scapigliatura in Italia è il 1862-1863 che sin dal nome fa riferimento ad
una sorta di vita bohemienne.

Nella scapigliatura troviamo sia l’influenza francese della forma di ribellione, sia la reazione del privilegio del
poeta.

Di fronte agli aspetti salienti della modernità, il progresso economico, quello scientifico e tecnico, gli
scapigliati assumono un atteggiamento ambivalente:

• da un lato il loro impulso originario è di repulsione e orrore, come è proprio dell'artista, che si
aggrappa disperatamente a quei valori del passato, la Bellezza, l'Arte, la Natura, l’autenticità del sentimento,
che il progresso va distruggendo

• dall'altro lato però rendendosi conto che quegli ideali sono ormai perduti irrimediabilmente. essi si
rassegnano, delusi e disincantati, a rappresentare il «vero», vale a dire gli aspetti più prosaici della realtà
presente

Questa ambivalenza è una manifestazione tipica di un'età di crisi violenta e di rapido trapasso, che lascia
scrittori e artisti smarriti, lacerati interiormente.

Essi si sentono divisi tra Ideale e Vero, bene e male, virtù e vizio, bello e orrendo, senza possibilità di
conciliazione. E la loro opera è proprio l'esplorazione di questa condizione di incertezza, di angosciata
perplessità, di disperazione esistenziale

Questa situazione di disagio, di rivolta, di protesta, di lacerazione accomuna gli scapigliati alla condizione
degli scrittori romantici europei.

Ne deriva che la Scapigliatura recupera tutta una serie di temi romantici, che la nostra letteratura del primo
Ottocento non aveva conosciuto: l'esplorazione estrema dell'irrazionale e del fantastico, della dimensione
del sogno e dell'allucinazione, il "nero", il macabro e l'orrore, il satanismo, ma anche il culto mistico della
bellezza, l'esotismo, gli atteggiamenti umoristici e ironici.

L’Italia non conosce però una reazione simbolista ma due forme di reazione:

 Una reazione classicista per cui il poeta si arrocca nel suo privilegio nelle forme della tradizione alta
 Dall’altra un rilancio di chi vuole esplicitamente stare all’interno dei meccanismi della società e del
mercato (D’Annunzio. Idea della vita inimitabile)

La scapigliatura traghetta queste istanze subito dopo l’Unità: Nel 1862 Letto Arrighi pubblica questo
romanzo “La scapigliatura e il sei febbraio” pubblicazione simbolica per l’inizio della scapigliatura

Un romanzo ambientato nel decennio precedente, durante una rivolta mazziniana del 53.

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Chi sono gli scapigliati? Gli studenti che partecipano alla rivolta e dipinti come indomabili, che vivono una
vita bohemienne sul modello francese.

Il modello degli scapigliati è quello di Rovani (proprio per il modello di vita che conduceva lo stesso autore)

(Manzoni come padre da uccidere per gli scapigliati)

La scapigliatura si sviluppa nei centri più avanzati: Milano e Torino con declinazioni molto simili e che agisce
su due generi principali poesia e romanzo

I caratteri principali sono una sorta di sperimentalismo

 Metrico e linguistico in poesia


 Delle forme narrative nel romanzo ed elezione di modelli come Poe e Hoffman (narrativa fantastica
psicologica e macabra

Esponenti importanti:

 A Milano alcuni nomi importanti sono Emilio Praga, I fratelli Boito, Ugo Tacchetti e Carlo Dossi.
 A Torino Faldella e Camerana

Fosca di Igino Ugo Tarchetti:

Viene pubblicato a puntate sul pungolo (rivista di stampo scapigliato) nel 1869

Il romanzo si muove intorno alla morbosità fisica tra salute e malattia:

Giorgio è innamorato di due donne: Clara che rappresenta la bellezza e l’equilibrio, Fosca che rappresenta la
bruttezza però la sensualità. Fosca è malata e su consiglio dei medici per salvaguardare la sua vita Giorgio
inizia una relazione con lei

Fin quando Giorgio non viene lasciato da Clara e decide di darsi pienamente a Fosca, fino a consumare l’atto
sessuale che però provoca la morte di Fosca e Giorgio inizierà ad avere sintomi della stessa malattia della
donna (sorta di epilessia).

Il tono del macabro e dello scontro tra istanza ideale e istanza reale viene vissuto con una sorta di
estremizzazione dove l’ideale viene calato e deluso nel reale. (di fronte all’ideale del mandato sociale
l’ideale viene frustrato e ugualmente gettato come la stessa aureola di Bodelaire

Dal punto di vista delle poesie Emilio Praga rappresenta l’autore più importante

Nel 1864 pubblica penombra, che ha un’epigrafe che capovolge una citazione di Virgilio:

Epigrafe: noi cantiamo ai sordi

Esplicita la frustrazione del proprio mandato sociale, del non essere ascoltati.

La poesia che apre la raccolta “preludio” è un manifesto scapigliato, strutturato in quartine con 3
endecasillabi e un verso breve alternati tra settenari e quinari secondo lo schema AB AB

Se il romanticismo aveva cercato la mediazione tra reale e reale con la scapigliatura troviamo il reale nel
fango.

 La prima parte

(strofe 1-4) è negativa e mira a definire ciò che quella generazione non può più essere: essenzialmente non
ha più la fede religiosa, fonte di tutti i valori.

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Per questo Praga esprime un duro rifiuto nei confronti di Manzoni, che rappresenta appunto lo scrittore che
ispira tutta la sua vita a quei valori, fede religiosa, integrità morale, vita casta.

Nei confronti di Manzoni gli scapigliati hanno un atteggiamento ambivalente di odio-amore, ripulsa-
ammirazione.

Egli costituisce come una figura paterna, a cui sentono la necessità di ribellarsi, ma di cui non riescono a
liberarsi, perché ne avvertono la grandezza ineguagliabile, che li schiaccia.

Il compiacimento "'maledetto" del vizio e della bestemmia è anche un modo per negare una presenza
incombente e condizionante, per uccidere simbolicamente il padre. Il rovesciamento dell'estetica e
dell'etica manzoniane assume toni oltranzistici («Tu puoi morir... Degli antecristi è l'ora!»): in realtà proprio
il tono truculento, nella sua esagerazione, tradisce una disperata nostalgia della fede.

 La seconda parte:

La seconda parte definisce invece ciò che quella generazione intellettuale è realmente (o crede, o pretende
di essere) dopo la perdita delle certezze. Si delinea chiaramente la tematica baudelairiana: la noia,
rappresentata come carnefice della tormentata anima moderna la tensione verso l'ideale e la perdizione nel
vizio e nel male; gli atteggiamenti blasfemi, ma che imitano la devozione religiosa («litane di martire e
d'empio»); la "malattia" interiore che porta alla distruzione («pallido demone»).

 La terza parte:

L'ultimo verso («canto il vero») è una dichiarazione di poetica.

Non si riferisce tanto al vero scientifico, positivisticamente inteso (di cui non si ravvisa traccia nella poesia)
ma, come si ricava dal contesto, la realtà desolata della vita moderna, privata di fedi e di ideali, che la poesia
deve rivelare nel suo volto brutale, senza mascheramenti ipocriti: il vizio, l'abiezione, la malattia interiore, lo
spleen. Per questo la canzone è «misera», perché dipinge senza finzioni la miseria della vita moderna.

Carlo Dossi:
Carlo Dossi è un autore che in teoria viene percepito interno alla scapigliatura, tuttavia, viene individuato
dalla critica come appartenente a diverse linee che percorrono la letteratura italiana, sia dal punto di vista
stilistico che contenutistico:

Ad esempio, il critico Gianfranco Contini in alcuni suoi saggi dedicati a Gadda ha formulato un’idea secondo
cui ci sarebbe una linea gaddiana di tutta la letteratura italiana.

Contini immagina una linea che si oppone a quella tipica della letteratura italiana che vede prevalere un
monolinguismo e un monostilismo, quindi che attua processi di selezione, e ripulisce il materiale linguistico

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utilizzato dagli elementi più dialettali (es. operazione che compie Manzoni nell’eliminare i tratti più dialettali
dal fiorentino parlato dalla borghesia).

Questa linea oppositiva è caratterizzata dall’inclusività di più elementi linguistici, partirebbe dallo stesso
Dante fino ad arrivare a Gadda.

Alla stessa linea espressionista apparterrebbe anche Carlo Dossi che presenta una scrittura anti manzoniana
che lavora sul pastiche linguistico. Viene rivalutato dalla critica del 900 come un anticipatore di questa
funzione espressionistica che attraversa la letteratura italiana.

A proposito del romanzo, il critico Giancarlo Mazzacurati individua un’altra linea che attraversa la letteratura
italiana, quella dell’effetto Sterne: una linea umoristica che destruttura il romanzo partendo da quelle che
sono le tecniche utilizzate per una narrazione organizzata e chiusa.

Dal modello di Sterne si sviluppa un romanzo che invece funziona per punti di vista, digressioni e situazioni
di racconto nel racconto. Carlo Dossi rientra anche in questa linea del romanzo moderno e contemporaneo.

Quindi Dossi utilizza sia l’aspetto linguistico (vedi idea di Contini), sia le tecniche romanzesche (influenzate
da Sterne) ai fini dello straniamento.

Il romanzo è un dispositivo straniante e la scrittura sia nello stile che nella parte grafica ha il compito di
destabilizzare il lettore.

Maglie grafiche: Dorsi utilizza stratagemmi tipografici per sottolineare l’aspetto sperimentale della scrittura.
Es utilizza punti interrogativi ed esclamativi alla maniera spagnola.

Se dal punto di vista tematico ci sono elementi che possono essere ricondotti alla scapigliatura, Dossi
conduce una vita abbastanza appartata. (Diventa anche console ad Atene).

Esordisce giovanissimo con L’altrieri, romanzo che scrive a 18 anni.

Il romanzo più importante è la vita di Alberto Pisani che Dossi pubblica nel 1870:

In quest’opera l’autore finge una maschera per scrivere un’autobiografia, è come se sdoppiasse se stesso nel
personaggio.

Viene utilizzata la terza persona e la trama rispecchia una sorta di romanzo di formazione che va soprattutto
nella direzione della formazione dell’artista.

La caratteristica di Alberto Pisani è di voler puntare alla gloria artistica e questo elemento si intreccia a
quello dell’elemento erotico:

Alberto scrive il suo primo romanzo, che da a Claudia, donna che lo ama e che sprona a pubblicarlo. La
trama porta a tutta una serie di digressioni, soprattutto per quanto riguarda una forma di racconto nel
racconto. La conclusione del romanzo, (che ricorda la scapigliatura), vede dopo la morte della stessa
Claudia il suicidio di Alberto.

Altri due romanzi importanti di Dossi rappresentano uno dei suoi temi capitali: l’erotismo

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• La desinenza in A 1878

• Gli amori 1887

La differenza tra i due sta nel fatto che la desinenza in A attraversa il tema in maniera misogina, mentre gli
amori rappresentano un ritratto di donne puntato a valorizzare l’elemento femmineo, sentimentale ed
erotico.

Il romanzo realista:
Nell’ottocento europeo e italiano il centro dell’intero sistema letterario è il romanzo realista.

Il romanzo realista è la forma in cui si è incarnata la classe egemone, che esprime l’ascesa della borghesia.

La data simbolica dell’inizio di questa fase è il 1848, momento cui cambia definitivamente il romanzo, che
adesso acquisisce il valore di genere simbolico della modernità.

 Mentre la poesia si specializza sempre di più


 il romanzo prova grazie alla sua forma aperta a rispondere a quella perdita di mandato sociale con
altre tecniche.

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Quella del realismo è una scrittura anti-romantica, dal 48 in poi si passa ad una nuova fase che va già verso
una direzione modernista.

Nel 1856, Gustave Flaubert pubblica Madame Bovarie, romanzo che restituisce la posizione della
protagonista, attaccata ad un ideale romantico che viene però frustrato a causa delle vicende della propria
vita. Qui la narrazione oggettiva restituisce determinazioni storiche e psicologiche a cui sono soggetti i
personaggi.

Nell’ottocento con realismo si intende la costruzione di una forma di narrazione oggettiva, dipendente dallo
sguardo dello scrittore, non da una restituzione formale.

L’oggettività della narrazione comporta che non venga più posto nessun problema tra alto e basso, comico e
tragico. Flaubert, ad esempio, vede l’autore come uno spettatore esterno che guarda e restituisce ciò che
vede.

Cambiano quindi le tecniche narrative:

Il narratore non si muove più come un demiurgo (qualcuno che muove la realtà e fa vedere che sta
muovendo la realtà es. interventi del narratore) si passa più ad una concezione simile al dio cristiano in cui
la presenza del narratore non è percepita.

Quindi da

 un narratore onnisciente
 si passa alle forme di impersonalità.

Tutto ciò porta con se la caduta di vari elementi ideologici della cultura romantica.

Il naturalismo:
Ippolite Teneè fu il critico francese che per la prima volta utilizzò il termine naturalismo, perché riconosceva
in Balzac il principale esponente della poetica realista, che avrebbe dato poi il via ad uno sguardo dello
scrittore verso fattori determinanti per il personaggio come razza, classe sociale, contesto in cui agisce.

Nel 1865 i fratelli Goncourt con Le due vite di Germinie Lacerteux aprono una diversa fase del realismo:
quella del naturalismo.

Con questa nuova fase troviamo i caratteri della modernità, il fatto che perso quel mandato sociale, lo
scrittore debba giustificare perché scrive e che giustifichi anche le scelte formali.

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Prefazione:

Si rivolge al pubblico in maniera contradditoria chiedendo scusa per il proprio prodotto perché il gusto fa
che esso sia legato a romanzi falsi, mentre il loro è un “romanzo vero”.

- Il pubblico ama i romanzi che raccontano personaggi di classe sociale elevata (di condizione
superiore)
- loro scelgono di scrivere un romanzo che ha come sfondo la strada.

o Il pubblico ha gusto verso le storie che gli faccia vivere le stesse esperienze sentimentali.
o I fratelli Goncourt scrivono non perché si possa provare piacere nel leggere la vicenda ma perché il
pubblico possa avere uno sguardo oggettivo sull’amore.

 La lettura del romanzo deve sconvolgere invece di suscitare sensazioni positive.


 Rovesciamento rispetto all’idea classica della letteratura (pers migliori): le classi sociali basse hanno
lo stesso diritto di rappresentazione comico e tragico.

Viene utilizzato il termine clinica dell’amore, perché lo sguardo del narratore vuole essere lo sguardo di un
medico, indagare l’atteggiamento quasi schizofrenico della protagonista che si scinde in due condizioni di
vita quali sono le cause. (Il racconto narra esperienze amorose e della protagonista che vive una doppia vita)

Naturalismo e verismo sono entrambi basati sull’oggettività della narrazione ma la differenza sta nel fatto
che il naturalista è alla ricerca di ragioni quasi scientifiche che giustifichino le azioni dei personaggi.

Termini chiave del naturalismo:

 Garantisce la massima apertura (alla rappresentazione di differenti classi sociali ecc)


 Una rappresentazione seria, appassionata e viva
 Pur lavorando per via estetica punta a restituire alla storia una sorta di ricerca morale. (Il romanzo
documenta la storia morale contemporanea)
 Il ruolo di mostrare oggettivamente la realtà per poi agire su di essa (specificità del naturalismo
francese, differente dal verismo italiano)

Condizionato dall’uscita dei fratelli Goncourt e ai nuovi paradigmi scientifici che si stavano sviluppando in
quel periodo (positivismo) Zola sposa la poetica naturalista.

Cardine del positivismo suono le nuove scienze, tutta la letteratura e la scienza viene influenzata in questo
periodo dal Darwinismo.

La teoria dell’adattamento viene applicata indiscriminatamente anche ai principi che muovono


l’attività umana. Collegando principi biologici ad un contesto sociale l’evoluzione della società viene
letta come una lotta per la sopravvivenza.

Questo darwinismo sociale attraversa naturalismo e verismo e da questo punto di vista i personaggi
vengono percepiti come determinati, ciò che muove lo scrittore è andare a individuare i motivi che

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determinano la vittoria o la sconfitta dell’individuo nella lotta sociale. (determinismo. In un meccanismo in


cui si è determinate perché ci sono forze che trascendono le scelte dell’individuo e lo influenzano es. storia,
classi sociali)

Il primo romanzo naturalista di Zola è Therese Raquin e insieme crea una serie di romanzi La fortuna dei
Rougon

La prefazione dell’opera giustifica la scrittura naturalista:

Principi che muovono Zola:

 rifiuto del romanticismo


 impersonalità come garanzia di osservazione la scrittura che si fa scienza
 Eliminazione dell’idea di scrittura letteraria legata alla dimensione estetica del bello (opere ricerche
scientifiche)
 Romanzo come genere simbolico della modernità.

Zola sceglie una famiglia come protagonista perché l’intento dell’autore è dimostrare come alcune eredità
condizionino la vita degli individui. (espressa l’intenzione di esprimere scientificamente l’ereditarietà)

*Idea del metodo induttivo: osservare la società e poi trarre conclusioni.

I Rougon sono caratterizzati da una forma di consumismo, dall’idea che a muovere gli uomini sia soddisfare i
propri desideri (da questo possiamo ricavare questa tendenza ascensionale di tutta la società)

Zola collega questo elemento ad un’origine fisiologica, gli individui sono determinati dal proprio corpo.

Il determinismo che muove lo sguardo dello scrittore non fa si che lo scrittore sia di per se determinista nei
confronti degli eventi sociali contemporanei, ma anzi i romanzi servono proprio a smuovere le ingiustizie
sociali.

In italia quando viene tradotta la poetica naturalista sarà molto meno presente l’elemento militante.

Il verismo:
Luigi Capuana nel 1877 recensisce l’Assommoir di Zola sul Corriere della sera e sostiene che l’Italia dovrebbe
adeguarsi a questo nuovo tipo di scrittura, non da un punto di vista dell’impegno sociale ma a quello delle
tecniche letterarie.

 In Italia la data simbolica con cui si fa iniziare una nuova stagione della letteratura moderna è il
1878-79 quando Verga pubblica la prima novella verista e Capuana il primo romanzo realista.

Quali sono le differenze con il naturalismo francese?

 L’assenza di atteggiamento militante verso la narrazione


 Cade l’idea dello scrittore come scienziato

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L’altro elemento è che in Italia sarà molto più presente è un’esigenza di rendere omogenea la lingua a quelli
che sono gli stati sociali rappresentati (per specificazione delle tecniche dell’impersonalità)

Il verismo è essenzialmente siciliano, meridionale. Tutti i romanzi saranno ambientati in un contesto


contadino, (a differenza di Zola che prende la città), lo sfondo solitamente è la campagna siciliana, non il
contesto urbano. Questo fa si che la questione meridionale diventi l’oggetto narrativo della scrittura
siciliana, anche perché i veristi sono proprietari terrieri, principiali rappresentati dell’arretratezza Italiana.

Luigi Capuana:

Ha un’attenzione al verismo ma presenta anche elementi di una stagione più decadente (es fascino
spiritismo)

Le sue due opere più importanti sono:

 Giacinta
 Il marchese di Roccaverdina

In Giacinta la protagonista è rappresentata da un’originaria lesione, in questo caso sessuale (stupro subito
durante l’infanzia).

Il romanzo moderno:
Con la fase che si apre dal 49-46 e successivamente con il 57 si entra nella concezione di romanzo moderno,
viene finalmente istituzionalizzata l’idea che lo scrittore debba trovare delle forme all’altezza dei tempi, cioè
l’idea che anche il nuovo sia l’essenza della ricerca estetica.

Nella prima metà dell’Ottocento, soprattutto in Italia, il dibattito sulle estetiche classiciste è ancora vivo, il
romanticismo vive in contrapposizione di esse.

Come già evidente nelle prefazioni del romanzo francese, nella seconda metà dell’ottocento si perde
l’elemento di opposizione classicista. Più che altro si ci oppone al romanzo storico, al manzonismo ma non
c’è più la lunghissima durata di opposizione rispetto al classicismo e alla precettistica estatica normativa.

Tant’è che le varie prefazioni, elementi che circondano i testi, rappresentano il segnale di questo
cambiamento e in particolare l’idea che lo scrittore, trovando forme nuove e debba giustificarle. (es. un po’
come i manifesti delle avanguardie)

Le prefazioni hanno la funzione di giustificare perché si sta facendo qualcosa di nuovo.

Partendo da questo periodo si inizia a parlare di Modernismo

*Modernismo: il termine modernismo ha due significati

 uno stretto che indica una stagione che parte da inizio 900 dalla letteratura anglo americana, però
un autore di questa stagione, Pound nei suoi scritti teorici dice che non è più possibile scrivere
un’opera con forme del decennio precedente. Questo significa che i ritmi dell’innovazione sono del
tutto diversi rispetto ai secoli passati.
 Il termine modernismo viene anche applicato alla stagione della poesia simbolista e del romanzo
verista, non solo perché sono questi due i generi a dare le tecniche che verranno sviluppate dagli
autori modernisti ma anche perché è qui che si istituzionalizza questa tipologia di paradigma
estetico (idea che lo scrittore debba creare qualcosa di nuovo)

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In Italia ci troviamo in una contraddizione perché l’autore che crea la forma del romanzo moderno, Giovanni
Verga, in realtà viene dalla periferia, da una realtà in qualche modo arretrata rispetto all’evoluzione
economica italiana ma anche europea.

Verga è di Catania, e la contraddizione sta nel fatto che istituzionalizzi un romanzo moderno ma legato ad
una realtà arretrata.

 Mentre le correnti di naturalismo e realismo a cui si ispira la poetica verista sono strettamente legati
alla realtà urbana e alla definitiva imposizione di un sistema capitalistico.
 La realtà raffigurata da Verga è ancora legata a una cultura popolare arcaica e a sistemi contadini,
con le loro antichissime tradizioni, una realtà che mantiene i tratti dell’ancien regime.

GIOVANNI VERGA:
Possiamo suddividere la vita in tre fasi in base ai luoghi in cui si stabilisce.

L’esordio di Verga coincide col momento dell’unità d’Italia, verga non si staccherà mai dall’elemento
risorgimentale, ma proprio questo porterà una delusione che si tradurrà in una forma di pessimismo e
anche in una forma di isolamento negli ultimi anni di vita.

1. Fase di formazione a Catania: dove l’elemento fondamentale è di un giovane con aspirazioni


letterarie che ha una cultura attardata e che guarda all’elemento risorgimentale
2. Fase fiorentina: si stabilisce a Firenze tra il 69 e il 72

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3. Fase milanese: si trasferisce a Milano tra il 72 al 93 e dove apre la stagione verista, grazie ad una
serie di relazioni (in primis capuana)

Verga si è dedicato per trent'anni (1860-90), con estrema coerenza e continuità, all'attività letteraria,

Nato a Catania nel 1840 da una famiglia di proprietari terrieri di antica ascendenza nobiliare; aveva
vent'anni quando Garibaldi guidò in Sicilia l'impresa dei Mille.

Da ragazzo, va a scuola da un letterato e patriota siciliano, Antonino Abate; si appassiona ai romanzi


patriottici

Prova a scrivere, a sedici anni, un romanzo dal titolo significativo, Amore e patria

Subito dopo l'arrivo di Garibaldi pubblica a proprie spese un romanzo storico, I carbonari della montagna a
cui seguono Sulle lagune e Una peccatrice.

- Nel 1865, Verga si stabilisce a Firenze dove compone La storia di una caminiera (Milano 1871) e
avvia la stesura di Eva

Alla fine del novembre 1872 Verga si reca a Milano, dove resterà stabilmente sino al 1893

Dopo aver pubblicato in seguito Eva (1873)

- Nel 1874 esce Nedda, novella che si ispira alla narrativa Filantropico-sociale allora di moda, ma in
cui emergono per la-prima, volta le tematiche siciliane che caratterizzeranno l'adesione di Verga al
Verismo
- Nel 1875, Tigre reale, in forte è l'influenza scapigliata, ed Eros, primo tentativo di romanzo
oggettivo.

Il primo racconto naturalista o verista di Verga è Rosso Malpelo, scritto, nel 1878.

Questi sono i mesi (dalla primavera del 1878 al gennaio 1881) in cui elabora, oltre ai racconti veristi di Vita
dei campi (1880), il romanzo I Malavoglia (1881).

- l decennio che va dal 1880 al 1889 è quello dei capolavori dopo Vita dei campi e I Malavoglia:
escono le novelle rusticane

collabora alla rivista «Rassegna settimanale» di Franchetti e Sonnino, sociologi e uomini politici che avevano
un ruolo di spicco nel gruppo dirigente della Destra.

- Dopo l'uscita di Mastro-don Gesualdo, Verga non riesce a completare il progetto dei «Vinti»,
lavorerà a lungo al terzo romanzo del ciclo, La duchessa di Leyra, senza finirlo

Dal 1893 Verga torna a risiedere a Catania. Il suo pessimismo scettico sfiora ormai il cinismo, e muore qui
nel 1922.

Il primo Verga:
Nella fase della sua formazione Verga guarda dalla Sicilia all’elemento romantico che in questo periodo è già
attardato (guarda ad autori come Nievo, Rovani ecc)

Amore e patria:

Inizia a scrivere prestissimo, il primo romanzo lo scrive a 16 anni e si intitola Amore e Patria (già nel titolo
troviamo il binomio che regge questa fase è tra sfera erotica e motivo risorgimentale) romanzo che resta
inedito.

Le prime opere di Verga:

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 Il primo romanzo pubblicato è I carbonari della montagna, (1861-62), è proposto (già nel
sottotitolo) come un «romanzo storico e racconta delle rivolte dei calabresi contro gli eserciti di
Murat. L’elemento romantico è preponderante, reso con una scrittura connotata dall’influenza
manzoniana e che non apporta nessuna novità nel panorama letterario
 Sulle lagune del 1863 (a Venezia, sempre legata ai moti risorgimentali) ambienta la storia d'amore
veneziana fra un ufficiale ungherese e una ragazza veneziana sullo sfondo delle guerre
d'indipendenza e delle imprese garibaldine.
 Una peccatrice del 1865 Narra della storia d’amore tra il giovane artista Pietro Brusio e una
bellissima nobildonna Narcisa Valderi, il desiderio di gloria artistica e volontà di conquista della
donna portano il giovane al successo come commediografo, e allora la donna, che prima lo aveva
ignorato, si innamora di lui. A questo punto, però, le convenzioni sociali finiscono per trionfare: il
giovane si stanca dell'amore-passione e Narcisa, disperata, si lascia morire. In qualche modo,
attraverso lei, l'amore romantico trionfa ancora: l'ideale non si arrende alla realtà e preferisce la
morte.

Mentre nei primi due romanzi (Amore e patria e I carbonari della montagna) l'elemento patriottico è
determinante, in Sulle lagune costituisce lo sfondo della storia dell'amore. Infine, nel romanzo successivo,
Una peccatrice, l'aspetto-storico-patriottico è lasciato cadere e il romanzo 'impernia tutto su una storia
d'amore passionale

Secondo Verga:
Dalla fase della formazione, comincia a cambiare qualcosa quando Verga si trasferisce a Firenze

per due motivi:

 Motivo linguistico: Verga si sta adeguando alla ricerca di una lingua letteraria media
 A Firenze subisce l’influenza del romanzo sociale (simile al campagnolo. Un romanzo che si occupa
della sfera popolare, vicino all’idea di un impegno di una militanza legato alle classi sociali meno
abbienti)

Pubblica nella sua fase fiorentina la sua opera di maggior successo (all’epoca) ovvero Storia di una caminiera
del 1871.

Storia di una caminera:


Si tratta di un romanzo epistolare, in cui a scrivere queste lettere è la protagonista Maria.

Il romanzo riprende un po’ le tematiche romantiche siccome la trama gira attorno le monacazioni coatte
delle orfane.

Come in una peccatrice la donna rappresenta l’ideale romantico dell’amore passione come-forza
inarrestabile e invincibile contrapposta alla-società, non conosce la rinuncia e resta fedele ai propri
sentimenti fino a morire.

Vi si narra di una educanda, Maria, Orfana di madre, vissuta sempre in un collegio di monache, prima di
prendere i voti, in occasione di un'epidemia di colera, ella trascorre qualche mese in campagna nella casa
del padre e della matrigna, e dunque ha la possibilità, per la prima volta, di conoscere il mondo.

Può quindi frequentare un giovane, Nino, e innamorarsene. Ma la legge economica è più forte dei suoi
sentimenti.

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Non avendo la dote (il padre è povero, mentre la matrigna, che è ricca, favorisce la propria figlia, sorellastra
di Maria), deve tornare in convento e prendere definitivamente il velo. Non riesce tuttavia a rinunciare
all'amore e a dimenticare il giovane di cui è innamorata.

Nel frattempo, però, Nino, ha sposato la sorellastra, che, a differenza di Maria, è provvista di una ricca dote.
Per la passione d'amore Maria s'ammala e sfiora la follia, sino a morire.

Gli elementi interessanti dell’evoluzione di Verga sono legati all’aspetto tematico

 Il tema dell’orfano sarà importantissimo per verga perché rappresenta il personaggio simbolo
dell’esclusione
 la forma del romanzo epistolare, sebbene fosse una forma già adoperata, permette a Verga di avere
lo sguardo di un personaggio e non su un narratore onnisciente.
 Il motivo della esclusione sociale e della vittima si congiunge a quello economico: a prevalere; come
poi nei romanzi veristi, è sempre la legge della roba e del denaro, mentre i sentimenti risultano
impotenti.

Con Eva, Tigre reale ed Eros si passa ad un’ambientazione urbana, abbiamo il passaggio alle classi sociali
elevate

Elaborato in buona misura a Firenze, ma rivisto è completato a Milano Eva rappresenta anche il passaggio
dalla fase fiorentina alla fase milanese e risente fortemente dell'ambiente milanese, dell'impatto con la
realtà sociale ed economica più avanzata del paese

Il secondo Verga:
Eva:

Il romanzo tratta delle vicende tra Eva che è una ballerina ed Enrico che invece è un artista

Enrico Lanti, è andato a Firenze a cercare fortuna come artista e qui conosce una ballerina di varietà, Eva, e
se ne innamora.

Eva, ragazza sincera e matura, sa bene ché il suo fascino è legato alla seduzione del palcoscenico, agli artifici
dello sfarzo e dello spettacolo teatrale e vorrebbe intreccia te con lui solo una storia breve e senza impegni.

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Ma Lanti crede ancora all'ideale romantico dell'amore eterno-e-la convince a lasciare il teatro e a vivere con
Lui in miseria in una soffitta.A poco a poco, i bisogni materiali della vita quotidiana sopraffanno l'amore,
rivelando la vanità dell'idealismo romantico. Eva lascia Enrico, il quale raggiunge il successo artistico solo
adeguandosi al gusto falso è volgare del pubblico.

Quando Enrico incontra nuovamente Eva, vorrebbe indurla a riprendere la relazione d’amore, ma ella si
rifiuta. Allora sfida e uccide l'amante di lei. Poi, ammalato di tisi, torna a morire in Sicilia, dove l'attendono i
genitori e la sorella.

1) lo studio del rapporto fra arte e modernità, fra sentimenti e artificio, fra valori romantici e trionfo
dell'inautenticità prodotta dallo sviluppo economico e dalla alienante vita cittadina;

2) l'esame di coscienza in larga misura autobiografico - dell'artista in crisi che, nella realtà moderna, vede
ormai irrealizzabili, gli ideali romantici e deve aderire a una moda dove dominano solo gli interessi materiali;

3) la storia d'amore, che in questo quadro assume un chiaro valore simbolico, di un giovane romantico
costretto a verificare il fallimento dei propri ideali e alla fine a tornare sconfitto e morente alla famiglia
siciliana;

4) il contrasto fra modernità, rappresentata dalla metropoli e dalla prevalente «atmosfera di Banche e di
Imprese industriali» , e il mondo premoderno, rappresentato invece dal paese siciliano e dai valori della
famiglia.

Eva rappresenta una fase di passaggio verso il realismo di Verga: i due personaggi rappresentano la caduta
degli ideali romantici

 Sia dal punto di vista della gloria artistica


 Sia dal punto di vista della sfera amorosa

In questo romanzo è evidente come l’elemento erotico subisca una forma di degradazione: la ballerina
riprende l’idea di mercificazione dell’arte e potrebbe rappresentare il corrispettivo dello scrittore.

In Eva compare inoltre il tema della ballerina. Esso, come quello della prostituta e del saltimbanco, è un
*topos della letteratura.

L'arte si presenta infatti, nel mondo moderno, come artificio, esibizione pubblica, seduzione: la ballerina è,
anch'essa, un'artista, ma dipende completamente dai gusti e dal denaro del pubblico. Il suo destino è
dunque analogo a quello dello scrittore e del pittore.

In Eva il romanticismo giovanile di Verga appare ormai in crisi ma non ancora del tutto superato. Il mondo
arcaico-rurale della Sicilia si presenta infatti come un'alternativa-alla-modernità

Prefazione di Eva:

 A prescindere che sia inventata o no Verga ci dice che questa storia è vera, già dichiara la direzione
realistica del romanzo.
 Per vero Verga la realtà che lo scrittore ha intorno e che restituisce così com’è.
 La forma di realismo deve andare al di là del buon senso borghese che tende a celare i propri
desideri, anche quelli meno legati al senso comune della società borghese.
 Mostra una piena consapevolezza dell’arte del passato e dell’arte dopo la società capitalistica, l’arte
diventa una merce legata al gusto del pubblico. (Se dal romanzo ricavate disgusto quel disgusto è il
vostro gusto)

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 La dimensione del lusso non è tanto legata all’elemento dello sfarzo ma a quella dell’inutilità, se
prima legata ad altri valori (es, religione, società) l’arte ora è solo intrattenimento.
 Parte l’idea che a muovere gli uomini è semplicemente la ricerca di un piacere materialistico (porta
all’idea che l’accumulo della roba è il movente principale del secondo 800). Ha piena
consapevolezza del capitalismo

L’elemento di riflessione interessante rispetto a questa fase è il rapporto con il pubblico:

Non è un rapporto pacifico ma l’intento di Verga è suggerire al pubblico un romanzo che non susciti solo
piacere ma anche la consapevolezza di cosa rappresenta il pubblico stesso, anche nei suoi tratti prettamente
negativi.

Tigre reale:
Tigre reale è basato sulla storia di una nobile russa malata di tisi e connotata da una fortissima passione
erotica.

Con questo romanzo Verga sancisce la fine dell’ideale romantico e restituisce l’elemento erotico nelle sue
forme più degradanti (ricorda la fosca di Tacchetti)

In Tigre reale la figura femminile è ancora contrapposta alla realtà della famiglia e dellacampagna siciliana.

Nata è una nobile russa, divorata dalla tisi e dalla passione erotica, che incarna ancora l'ideale romantico
dell'amore assoluto identificato con la morte. E in effetti nella rappresentazione della donna e soprattutto
della sua ultima e «orribile» notte d'amore con il protagonista, fortissima è l'influenza scapigliata (di
Tarchetti soprattutto), evidente nei toni esasperati e violenti.

Impersona invece gli autentici valori familiari la moglie del protagonista, la dolce Erminia, che, per senso del
dovere, rinuncia all'amore del cugino Carlo.

Nedda:
Nel 1874 verga pubblica Nedda, definito un bozzetto siciliano.

Con quest’opera lo sguardo di Verga inizia a volgersi verso la Sicilia ma non è ancora una rappresentazione
verista, siamo ancora nel solco di quel romanzo solidale verso le classi meno abbienti.

Per la prima volta Verga sceglie come protagonisti umili personaggi della sua terra collocati in un ambiente
contadino descritto realisticamente

La scelta di personaggi e ambienti rusticani è molto importante, ma di per sé non rappresenta ancora
un'adesione al Naturalismo (o Verismo). Nedda non è una novella verista, perché in essa manca del tutto
l'impersonalità: anzi, l'autore, presente sin dall'inizio interviene di continuo difendere il proprio
personaggio, con un atteggiamento costantemente moralistico.

Il linguaggio è ancora quello di un fiorentinismo di maniera

Anche Nedda è un’esclusa, una povera raccoglitrice di olive che dopo la morte della madre, restata sola al
mondo, s'innamora di un contadino, Janu. Questi va a lavorare nella piana di Garania e si ammala di malaria.
Per quanto debole e stremato, vuole continuare a lavorare alla potatura degli olivi ma cade da un albero e
muore.

Nedda intanto sta aspettando un figlio. Le nasce una figlioletta che ella si rifiuta di portare alla Ruota del
convento, dove in genere venivano abbandonati- figli illegittimi; ed è per questo condannata-dal prete e
criticata dalle comari.

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L’occhio dello scrittore è rivolto verso la realtà popolare Siciliana.

La nascita del verismo:


L'ammazzatoio di Zola, che subito Capuana recensisce entusiasticamente sul «Corriere della Sera»
proponendolo come modello ai narratori che seguono una poetica del "vero",

Lo stesso Capuana va ad abitare a Milano e qui forma, con il critico Cameroni, con lo scrittore Roberto
Sacchetti e con lo stesso Verga, un gruppo che intende creare anche in Italia il «romanzo moderno»
ispirandosi proprio alla lezione zoliana.

In questo periodo in Italia:

 nasce la questione meridionale


 nello stesso momento arriva il romanzo naturalista francese
 Corrispettivamente i sociologi Franchetti e Sonnino iniziano le loro inchieste e lanciano l’indagine
sullo stato delle campagne in meridione, sulla loro rivista

Questi elementi fanno si che Verga si allontani dall’ambiente scapigliato e insieme a Capuana e Roberto
Sacchetti nasca l’idea di aprire una stagione verista.

Da questo momento si inizia a rivolgere lo sguardo verso le classi popolari, non più presi da una volontà di
impegno rispetto alla realtà, ma la produzione viene intesa come un corrispettivo letterario dell’inchiesta di
Facchetti e Sonnino, tutto parte dall’idea che la realtà debba essere restituita oggettivamente.

La prima opera che apre la stagione verista è una raccolta di novelle: vita dei campi

Vita dei campi:


La, prima operaverista, di Verga è la raccolta di otto novelle con il titolo complessivo di vita dei campi, uscita
nel 1880 (un nono racconto, Il come, il quando, e il perché, fu accluso alla seconda edizione).

Essa riunisce racconti scritti fra il 1878 (il primo in ordine cronologico è Rosso Malpelo) e il 1880.
Protagonisti sono contadini, pastori, minatori di una società premoderna, quella delle campagne siciliane, in
cui domina il latifondo.

La novità sta nella scelta di assumere la loro prospettiva culturale è linguistica: la voce narrante non è più
quella dell'autore, ma quella degli stessi personaggi popolari

L'adesione alla nuova poetica è dichiarata esplicitamente nella lettera dedicatoria a Farina premessa alla
novella L'amante di Gramigna Cavalleria rusticana, La Lupa, Jeli il pastore, L'amante di Gramigna ruotano
attorno a questo motivo.

Un altro tema costante è quello dell'esclusione dalla società: il più povero è anche il più emarginato.

Rosso Malpelo:

Rosso Malpelo viene pubblicata prima pubblicata, pubblicata su rivista e poi in vita dei campi

Verga trova un personaggio addirittura emblematico della "diversità": non solo egli è un orfano, e dunque
più debole e indifeso dei suoi coetanei, ma ha anche i capelli rossi, che simboleggiano la sua estraneità e
sembrano legittimare la persecuzione sociale di cui è vittima

Rosso Malpelo permette di comprendere le tecniche che Verga utilizza per tradurre la poetica naturalista in
quella verista:

L’artificio più importante è quello della regressione:

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La regressione è collegata alla forma di straniamento che agisce sul lettore. La spia dello straniamento si
intuisce nei titoli delle opere, lo stesso Rosso Malpelo, identifica il personaggio dalla prospettiva negativa
della comunità.

Già il titolo fa comprendere che la forma dell’impersonalità e dell’oggettività non viene restituita
costruendo una narrazione neutra, ma come il narratore scomparisse dietro ad un coro di voci.

Ora il narratore interviene senza giudizi morali nei confronti dei protagonisti (come accadeva nei
promessi sposi), ma riceviamo dalla comunità “narrante” un giudizio negativo sui personaggi.

Questa caratteristica porta allo straniamento perché l’artificio della regressione fa si che si sposti lo sguardo
verso la comunità che gestisce la narrazione in un coro di voci.

L’artificio della regressione serve al lettore per rovesciare gli stessi assunti della narrazione:

Il lettore è portato a percepire un dislivello tra

 ciò che l’autore è


 ciò che la comunità rappresenta con la sua visione

Il lettore non è chiamato ad una forma di identificazione sulla narrazione ma ad una forma di riflessione.

Rosso malpelo giovane orfano di padre che ha il difetto di avere i capelli rossi (superstizione, capelli rossi
indice di natura malvagia) si trova quindi a fronteggiare non solo la condizione di povero escluso orfano ma
anche la negatività della propria natura vista dagli occhi della comunità.

Rosso Malpelo è un racconto terribile, perché mostra una realtà rovesciata, in cui domina, a ogni livello
sociale, la violenza del più forte sui più deboli.

Questa violenza si abbatte sul protagonista due volte:

• anzitutto materialmente, attraverso la persecuzione della comunità

• in secondo luogo psicologicamente e culturalmente inducendo la vittima a sentirsi in colpa e ad


assumere la prospettiva stessa di chi lo tortura.

Incipit di Rosso Malpelo:


 Verga ci presenta i protagonisti così come vengono visti dall’ambiente sociale che abitano, ci si trova
subito immersi nello sguardo della comunità. La voce della comunità è talmente forte da invadere
anche la sfera più intima: Malpelo è un escluso non solo per la comunità ma anche rispetto alla
famiglia stessa.
 La forma di associazione tra l’esclusione e il protagonista invade tutta la sfera che ruota intorno alla
figura di Malpelo

In vita dei campi vediamo già tutti gli elementi che portano alla narrazione verista:

Dal punto di vista linguistico

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 Nei Malavoglia abbiamo un’estremizzazione dell’artificio della regressione, è presente una voce
narrante profondamente influenzata dal dialetto della comunità. Questo crea un grande dislivello
tra autore e narratore.
 Qui sembra che sia condotta da un coro di voci soprattutto nel giudizio dato al protagonista

Subito dopo le novelle Verga lavora ad un progetto sul modello della saga familiare di Zola, quella di
costruire un ciclo verista. La notizia la ricaviamo da alcune lettere e nella stessa raccolta di vita dei campi,
nella novella Fantasticheria è presente il paese di Aci Trezza.

In fantasticheria l’elemento interessante è la contraddizione che vive Verga rispetto alla rappresentazione
della realtà siciliana e del paesino, l’idea che questo luogo sia contemporaneamente

 Positivo perché custode di valori arcaici che garantiscono un’autenticità rispetto alla modernità
 Dall’altro lato incapacità di valori di resistere alla modernità (inevitabile) e di non essere all’altezza di
proporre un’alternativa.

Il ciclo dei vinti:


Verga ipotizza questo ciclo, inizialmente con il titolo “La marea” e successivamente modifica nel ciclo dei
vinti

L’elemento più importante di questo ciclo, che rappresenta anche una specificità del verismo rispetto al
naturalismo, il fatto che Verga rifletta su una forma inerente al soggetto da rappresentare:

La poetica verista non può essere indipendente dalle classi sociali, il ciclo dei vinti compie un
percorso dalle classi sociali basse a quelle alte e il romanzo deve modificarsi in base a quella che è la
classe sociale rappresentata.

Ideologia che crea problemi allo stesso Verga, tanto che l’esigenza di elementi di maggiore articolazione e
sofisticatezza necessari per le rappresentazioni delle classi sociali più alte, in parte influenzano
l’incompiutezza del ciclo.

Verga si ferma alla scrittura del primo capitolo del terzo romanzo, probabilmente perchè le risorse
linguistiche adatte per restituire gli effetti psicologici delle classi sociali più alte sono insufficienti.

Il motivo è anche strettamente legato alla conclusione della stagione verista e all’inizio di una fase
totalmente pessimistica di Verga che gli fa apparire inutile rappresentare ciclicamente le classi sociali più
alte.

- Il progetto è iniziare dalla classe sociale bassa, che è più semplice perché l’obiettivo è la
sopravvivenza.
- Poi si passa al mastro-don, colui che passa da una condizione popolare ad una condizione agiata
(sempre nella provincia)
- Con la duchessa di Lea l’aristocrazia porta ad una forma di complicazione
- Con l’onorevole Scipione si passa a Roma, quindi dalla periferia al centro.
- Infine L’uomo di lusso. Lusso non da intendere solo come sfarzo ma anche vanità, assume così
tanto questa vanità da diventare inutile e subire l’inutilità della ricerca del benessere

Prefazione dei Malavoglia:


La prefazione dei Malavoglia è il testo più importante dal punto di vista programmatico della letteratura
verista

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Nella prima parte della prefazione Verga assume un’ottica darwiniana: cioè l’idea che lo scopo principale
degli individui all’interno della società è la ricerca del benessere che

 si raggiunge
 si è sconfitti (subendo una sorta di selezione sociale)

La prima parte segna la forma ideologica che Verga applica al ciclo dei vinti: l’idea della fiumana del
progresso

Il benessere serve per far si che l’uomo progredisca nella storia.

Perché si osserva dalle classi sociali popolari a quelle più elevate? Perché è una graduale complicazione,
partire dal basso significa costruire una rappresentazione più semplice della realtà sociale.

Il soggetto individuale rappresentato descrive la parte generale

Allo stesso modo la parte generale ci riporta al soggetto individuale, con l’idea specifica che ogni soggetto
ha bisogno di una forma adeguata di rappresentazione. Che nel caso del verismo si traduce in una differenza
linguistica e di contaminazione dei generi.

- Come viene applicato lo sguardo dello scrittore? Vedendo l’umanità generale vediamo un processo
grandioso di progresso.
- Il processo umanitario ci fa vedere solo gli aspetti positivi di ciò che chiamiamo progresso (Lo
scrittore stesso è travolto dalla fiumana) ma se con lo sguardo ci avviciniamo vediamo solo i
disperati che vengono lasciati indietro da questa fiumana.
- Il darwinismo viene trasposto completamente dal piano biologico a quello sociale.
- Anche l’arte è inclusa in questo processo di sconfitta dei vinti ma rappresenta l’ultima tappa.
- Lo scrittore non giudica, deve solo osservare e restituire.

L’elemento che distacca il naturalismo dal verismo è il fatto che quello che lo scrittore può fare è restituire
questo processo della sconfitta di fronte al progresso.

Dunque già i Malavoglia esprime un’ottica pessimistica di fronte alla realtà sociale

(In qualche modo Verga cala il pessimismo ontologico di Leopardi ad un pessimismo materialistico legato
alle dinamiche sociali)

Inizio del romanzo:


Dopo la prefazione inizia il romanzo e ci si trova subito in Medias res, qui l’artificio della regressione è
portato all’estremo perchè si è catapultati immediatamente nella comunità, partendo già dal punto di vista
linguistico.

La narrazione viene condotta sostanzialmente come se si fosse un cittadino di Aci Trezza.

Ci viene detto chi sono i Malavoglia, il fatto che abbiano alle spalle una tradizione di famiglia sempre attenta
al lavoro e che nonostante questo si trova ad assumere un nome che lo stesso Verga definisce una “ngiuria”

Viene poi introdotto il capostipite della famiglia padron Ntoni, rappresentato con la sua caratteristica
principale cioè parlare per proverbio

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Le tecniche linguistiche di Verga:

In Verga notiamo un utilizzo costante dei proverbi che restituiscono i valori arcaici della realtà siciliana.

Spesso appaiono senza virgolette questo perché Verga utilizza il discorso indiretto libero per trasformare
l’artificio della regressione in forma romanzesca.

- Da un lato l’autore scompare e viene restituita la voce del personaggio


- dall’altro la voce del personaggio è totalmente affidata alla voce dell’autore.

La separazione tra i due campi è netta, ma con il discorso indiretto libero la voce del personaggio sovrasta
quella del narratore, per l’assenza delle virgolette e l’utilizzo di tutta una serie di spie linguistiche

Es.

- I deittici (Qui, qua ora)


- L’uso dei tempi, se la voce del narratore viene investita dal presente.

Nel caso dei proverbi, se la voce narrante parla per proverbi è come se la voce di padron Ntoni investisse
quella del narratore, la voce narrante cala linguisticamente in quella dei personaggi.

I personaggi non vengono presentati, lo stesso Verga nelle sue lettere dice che non bisogna più presentare i
personaggi, il lettore a costo di ricevere molta difficoltà deve seguire l’evoluzione e poi costruire una trama
di relazioni e rapporti tra di loro.

I Malavoglia:
In una lettera a Capuana del maggio 1878, egli dichiara di lavorare ad un progetto di un romanzo intitolato
'Malavoglia, Il titolo è una "'ngiuria", cioè un soprannome negativo, sull'uso di quelli impiegati nel linguaggio
popolare siciliano.

Già net titolo si compie dunque una scelta di poetica: con esso, infatti, si assume l'ottica culturale e
linguistica dei personaggi che sono protagonisti del romanzo.

Verga lavora al romanzo dalla primavera del 1878 al luglio 1880, quando annuncia a Capuana di averlo
terminato. In realtà continuerà a correggerlo anche nei mesi successivi, aggiungendo per esempio, la
chiusura, le decisive pagine dell'addio di Ntoni, che furono inserite solo durante la revisione delle bozze.

Il romanzo è costituito da 15 capitoli che comprendono il lasso temporale di una quindicina d’anni,
precisamente dal 1863 agli anni 1877, 1878. È la storia della famiglia Toscano, nota in paese. con il
soprannome *antifrastico di "i Malavoglia" tratta in realtà di gente laboriosa, a cui non manca certo la voglia
di lavorare.

La famiglia, che ci viene presentata attraverso la metafora della mano è composta da:

 Il nonno, padron Noni, piccolo proprietario (possiede la «casa del nespolo» e la Provvidenza),
 Il Figlio Bastianazzo
 La nuora Maruzza, detta la Longa
 Dai nipoti 'Ntoni, Luca, Alessi, Mena e Lia

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Per fare la dote a Mena, padron 'Ntoni compra a credito una partita di lupini, indebitandosi, con l'usuraio
del paese, Campana di legno (detto anche zio Crocifisso). Durante il trasporto dei lupini, la barca fa
naufragio e Bastianazzo muore in mare. Comincia un periodo di disgrazia e di miseria.

Quando la famiglia sembra, riprendersi e Mena (che in realtà ama un povero carrettiere, compare Alfio) sta
per fidanzarsi con Brasi Cipolla, figlio di un ricco possidente e dunque ottimo partito, la morte di Luca nella
battaglia di Lissa, un nuovo naufragio della Provvidenza e poi il desiderio di evasione di 'Ntoni-ricacciano la
famiglia nella disgrazia, sino a indur- re il vecchio padron 'Ntoni a vendere la barca e a cedere la casa per
poter pagare il debito.

'Ntoni, che durante il servizio militare ha conosciuto le grandi città e appare affascinato dal "progresso",
cerca fortuna a Trieste, poi, tornato più povero di prima, comincia frequentare la bettola e gli ambienti del
contrabbando, disonorando la famiglia. Contemporaneamente il brigadiere don Michele insidia la giovane
Lia. Sorpreso, in flagrante durante il contrabbando, 'Ntoni accoltella don Michele e viene condannato a
cinque anni di carcere.

Lia di cui l'avvocato difensore di 'Ntoni mette in piazza la relazione con don Michele fugge da casa e diventa
prostituta a Catania.

Trascorso il periodo di carcere; 'Ntoni torna a Casa, nel frattempo Alessi ha sposato una vicina, Nunziata, e
ha riacquistato la casa del nespolo, mentre il nonno è morto all'ospedale della città.

Mena invece, considerandosi disonorata dalla sorte della sorella e del fratello, ha rifiutato di sposare
compare Alfio.

Ntoni resta nella casa del nespolo solo una notte: all'alba riparte per sempre. Ha capito che non può vivere
in una famiglia di cui ha violato le norme morali e in un paese che ora vede come un'oasi di tranquillità e di
serenità

La critica ha individuato tre sezioni in cui è possibile dividere il romanzo: La parte iniziale e quella centrale
hanno per protagonista il vecchio padron 'Ntoni; in quella finale protagonista è il nipote che ne porta il
nome.

1. Capitoli I-IV: il lasso temporale di cui si narra è quello tra il 1863 e 1865. In questa prima parte il
tempo della storia è molto ristretto e il tempo del racconto molto dilatato.

Dopo una premessa che riassume gli avvenimenti fra il dicembre 1863, quando il giovane 'Ntoni è
chiamato per la leva, militare, e il settembre. I865, quando comincia l'azione con l'acquisto dei lupini e
la partenza del carico, si rappresentano avvenimenti che durano in tutto quattro giorni (a ogni capitolo
corrispondono poche ore, sino al massimo di una giornata

2. Capitoli V-X: trattano di eventi tra l’autunno 1865 fino alla fine del 1866 seguendo il rapporto del
tempo della storia e del racconto uguale alla prima parte

In questa parte padron 'Ntoni si oppone alla decadenza della famiglia, ottenendo anche qualche piccolo
successo, finché la morte di Luca, il fallimento del fidanzamento di Mena e un nuovo naufragio della
Provvidenza conducono alla rovina i Malavoglia, che devono vendere la casa del nespolo.

3. Capitoli XI-XV: qui viene narrato un decennio della storia della famiglia dei Malavoglia. Dal punto di
vista narratologico nell’ultima sezione si ricorre molto di più alla sintesi o all’ellissi

Mentre nelle prime due parti in primo piano è il paese, nella parte finale campeggia sulla scena quasi
soltanto la famiglia Malavoglia e protagonista diventa il giovane 'Ntoni, con la sua storia di traviamento. Il

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contrasto fra il nonno, che rappresenta le leggi patriarcali dell'onore e del lavoro, e il nipote, che gli
contrappone la legge "moderna" dell'utile e della ricchezza, diventa perciò esplicito.

Attraverso l'addio finale di 'Noni a Trezza, Verga esprime il suo doloroso commiato dal mondo premoderno,
in cui è ancora possibile quella legge della ripetizione, quella vita ciclica e naturale, che altrove la modernità
ha distrutto.

Nelle prime due parti si assiste ad un ingrandimento sulle vicende temporali, e una panoramica
dell’ultima pare ricca di ellissi o di sintesi.

I personaggi sono articolati da un principio di opposizione:

In primo luogo la famiglia dei Malavoglia è in opposizione alla comunità, fatta da personaggi
negativi

Nelle prime due parti si contrappongono due personaggi ideologici:

- di un lato, padron Ntoni, che impersona la morale patriarcale, gli ideali, del lavoro dell'onestà, la
fedeltà alla religione della famiglia che rappresenta il mondo dei Malavoglia e in cui resistono le
leggi delle tradizioni e i valori del passato
- dall'altra l'usuraio, Campana di legno, che incarna invece le leggi dell'utile immediato, rappresenta il
mondo di Aci Trezza e in lui sono già presenti i disvalori del moderno, la legge dell’interesse, il
desiderio di ricchezza ad ogni coto

Le opposizioni sono anche interne alla stessa famiglia:

A Mena si oppone Lia:

 Mena che vive la contraddizione tra il bisogno di dover garantire i valori tradizionali familiari e
l’amore per compare Alfio
 Lia rappresenta una delle conclusioni più amare del romanzo, con la sua relazione con Don Michele
e il suo futuro da prostituta a Catania

Al padron Ntoni si oppone il nipote Ntoni:

 Il mondo del passato ha il suo eroe in padron a Ntoni. Questo è un personaggio monologico, come
quelli dell'epica antica un personaggio dedito ad un'unica verità, quella, immobile, espressa dai
proverbi e dalla saggezza degli antichi
 Il mondo del presente ha il suo eroe nel nipote Ntoni, che è invece un personaggio" problematico,
in crisi, scisso fra sistemi di valori contrapposti: quello della famiglia, quello della città, quello della
tradizione contadina e quello della modernità. A differenza del nonno Ntoni è un personaggio
romanzesco: conosce la tentazione e l'errore.

La morte di Luca in battaglia e quella dello stesso padron Ntoni (che sarà costretto a vendere la casa, subirà
un processo di degradazione che lo porta prima alla malattia e poi alla morte colpito dalla delusione del suo
fallimento) ci porta alla conclusione del romanzo basata sull’opposizione tra Alessi e Ntoni:

 Da un lato Alessi che ritorna ai valori tradizionali, si sposa e continua a lavorare secondo quella che
era la condotta tipica dei Malavoglia. Riesce a riacquistare la casa del nespolo e quindi a garantire
che quei sassi dell’introduzione continuino la loro storia.
 Dall’altro troviamo la rappresentazione dell’irrimediabilità del cambiamento della società. Ntoni che
dopo un periodo in carcere ritorna in paese solo per consiste quando sia tutto irrimediabilmente
cambiato

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Ntoni passa per la casa del nespolo e parla con il fratello ad Alessi che è l’unico elemento che garantisce un
minimo di positività alla conclusione del romanzo.

Ntoni ormai rappresenta il definitivo cambiamento e l’impossibilità di reinserirsi nella comunità.


Addirittura il ragazzo non riesce ad attraversare la casa, spazio simbolico della tradizione.
(nonostante il fatto che per il bene dei valori e della propria casa fosse finito nel mondo del
contrabbando.

Il processo di consapevolezza di Ntoni porta al distacco e all’incapacità di farsi carico del passato della stessa
famiglia. Ntoni resta escluso da tutti, porta a compimento il processo degli esclusi precedenti ai Malavoglia.
Il processo di formazione di Ntoni comporta la sua completa esclusione.

Simbolizzazione della natura:

… par la voce di un amico: Il mare perché di tutti, non è di nessuno e quindi viene percepita come una voce
amica perché vive la stessa condizione di esclusione di Ntoni.

Il riferirsi in questi termini al mare è un elemento importante della narrazione perché scongiura l’idea di
romanzo verista come narrazione fredda.

Nei Malavoglia troviamo l’elemento lirico molto accentuato, tradotto nella simbolizzazione della natura,
soprattutto con l’elemento del mare.

Per esempio, quando Mena e Alfio si confidano il loro amore, anche qui il mare ha una funzione
simbolizzante come nella scena di addio ad Aci Trezza

Per questo vi predomina il tono lirico, ricco di rime e di allitterazioni, fatto di sfumature, di silenzi, di non
detto, di discreta allusività: il dialogo fra Mena e compare Alfio è tutto giocato sulla *reticen- za, e trova il
suo completamento nel sentimento dell'ignoto che scaturisce dai rumori dei carri e del mare, nel colloquio
malinconico della ragazza con le stelle e con il mare e nei presagi funebri che lo accompagnano

La fine del romanzo: Il romanzo si conclude sottolineando la netta separazione tra l’escluso e la comunità;
quando la comunità sta iniziando la sua giornata, Ntoni si allontana perché non più parte di essa

Lingua stile e punto di vista:


Manzoni dispiega davanti al lettore un'intera carta geografica, precisa di nomi e dettagliatissima, con i suoi
monti, colli, valloncelli, fiumi, laghi, paesi, guidandolo dall'alto, con i modi distaccati e superiori del
*narratore onnisciente.

Verga invece narra secondo un'ottica dal basso: a parlare è una comunità arcaico-rurale che dà per scontata
la conoscenza, da parte di chi ascolta o legge, della strada vecchia di Trezza

È come se il narratore popolare si rivolgesse a una cerchia di altri popolani che abitano negli stessi. Luoghi
che dunque non hanno bisogno di spiegazioni su di essi perché li conoscono da sempre. Nemmeno i
personaggi vengono presentati ma mostrati direttamente in azione, senza un precedente ritratto da parte
del narratore.

La novità stilistica verghiana:

 Riportare attraverso il discorso diretto e soprattutto indiretto una fitta rete di voci narranti popolari.
 L'uso del discorso indiretto libero ma addirittura organico alla narrazione. Attraverso di esso è
filtrato infatti quasi tutto il racconto.

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 Anche le *metafore e le *similitudini sono coerenti con questa impostazione. Esse non riguardano
mai il campo referenziale dell'autore, ma sempre, invece, quello de personaggi, rimandando alla
loro cultura e al loro immaginario primitivi.
 Verga non fa ricorso al dialetto, ma impiega un italiano parlato come lo parlano i siciliani dotati di
una certa cultura: si tratta dunque di un "parlato capace di conservare le strutture sintattiche e
talora (molto più raramente) anche lessicali del dialetto.
 Anche l'uso frequente dei proverbi, per quanto italianizzati, introduce nella prosa verghiana termini
e inflessioni popolareschi. In esso confluiscono in numerevoli modi di dire siciliani, ma anche
fiorentinismi, manzonismi.

Il narratore di fatto sparisce "regredendo" in un narratore incerto o primitivo: è questo l'artificio di


regressione. Proprio lo scarto fra il punto di vista della voce narrante e il punto di vista dell'autore alla base
dell'artificio di straniamento.

Facciamo un esempio: la voce narrante descrive come normale il comportamento di don Silvestro che, per
sposare Zuppidda e ottenere delle fave da zio Crocifisso, non esita mandare in rovini Malavoglia dando a
padron 'Ntoni il consiglio di rinunciare alla casa del nespolo, rappresenta invece come strano quello dei
Malavoglia che, contravvenendo alle problematiche economiche, non mandano all'ospizio il nonno ormai
vecchio e improduttivo

Infatti di loro si dice che fanno così perché «superbi» e ché lo tengono in casa solta to per «farselo mangiare
dalle pulci» (cfr. T33 on line).

In omaggio all'impersonali l'autore non interviene a difendere i Malavoglia e a ristabilire la verità, e tuttavia
lettore capisce che il suo punto di vista non coincide certo con quello della voce narrante.

Insomma, il coro narrante trasforma ciò che dovrebbe essere normale - l'affitto dei familiari per il nonno - in
strano e ciò che dovrebbe essere strano in normali.

Lo stesso uso prevalente del tempo verbale dell'imperfetto si presta a un doppio uso: da un lato, infatti,
esso è il tempo tipico del romanzo realista e naturalista, della descrizione sociologica e della *mimesi resa
attraverso l’indiretto libero, dall'altro è particolarmente adatto a esprimere sia la continuità e la ripetizione
del tempo ciclico, sia la malinconia e la nostalgia del ricordo.

I Malavoglia rappresentano una fase in cui l’ideologia di Verga combatte tra due istanze:

• Da un lato i valori tradizionali e della famiglia che sembrano essere ancora positivi (la comunità ha
un tratto nostalgico nel finale d ha un elemento positivo, la ciclicità della comunità che non cambia sembra
essere un valore positivo

• Dall’altro lato il personaggio di Ntoni che rappresenta l’impossibilità della comunità di combattere
l’elemento del progresso e della modernizzazione.

La sciagura dei Malavoglia è un sintomo che i principi tradizionali stanno cadendo. Successivamente Verga
passa ad un pessimismo radicale che ha il suo compimento con Mastro Don Gesualdo

Mastro Don Gesualdo:


Il Mastro Don Gesualdo è l’unico romanzo del ciclo dei vinti che conosce una compiutezza dopo i
Malavoglia, La duchessa di Leira, (figlia di mastro don Gesualdo) vedrà solo la scrittura del primo capitolo.

Le prime testimonianze della stesura sono restituite da documenti privati ed epistolari di Verga, il romanzo
viene pubblicato in rivista per la prima volta nel 1888 e la revisione in volume è del 1889.

Le due redazioni sono molto differenti:

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Il passaggio ad una classe sociale superiore riscontra alcune problematiche che Verga risolve solo in fase di
revisione.

Il titolo del romanzo potrebbe essere letto in modo neutro o ironico

 Mastro-don (associati con il trattino) può rappresentare la scalata sociale di Gesualdo che passa da
muratore a borghese arricchito
 L’utilizzo del termine mastro potrebbe anche essere utilizzato contro il protagonista, un
arrampicatore sociale che tenta di nascondere quella che è la propria origine

Il romanzo tratta dell’ascesa di Gesualdo e la sua inevitabile caduta. Nonostante diventi un ricchissimo
borghese non può evitare di combattere con le proprie origini, cosa che lo porterà alla decadenza fino alla
stessa morte.

Ambientato in clima pre unitario, la collocazione precisa è specificata solo nella redazione in rivista dove ci
viene indicato un luogo vicino Catania. Nel volume lo spazio viene spersonalizzato in maniera simbolica.
(mantenendo l’ambientazione siciliana)

Gli avvenimenti storici esplicitamente citati sono:

 I moti del 20
 Si fa riferimento ai moti rivoluzionari del 48
 L’ondata di colera del 37-38

Ricostruendo questi riferimenti possiamo vedere che la narrazione occupa quasi un trentennio: dall’ascesa
di Gesualdo fino alla morte dello stesso protagonista.

La partizione in sezioni del romanzo è dello stesso Verga, i 21 capitoli sono divisi in 3 parti: essi seguono, per
episodi, i momenti culminanti della vita del protagonista

1. parte: Descrive l’ascesa di Gesualdo, soprattutto in relazione al suo matrimonio con Bianca Trao,
una componente di una famiglia nobiliare in decadenza.

Nel primo capitolo, un incendio sorprende in casa Bianca Trao, una giovane nobile decaduta, insieme al
cugino Nini Rubiera, con qui ha una relazione illecita: Questi si rifiuta di sposarla poiché non ha una dote; si
fa così avanti Gesualdo, con le sue ambizioni di ascesa sociale: egli comunica la decisione alla serva Diodata,
da cui ha avuto due figli non riconosciuti. Le nozze si celebrano fra l'ostilità generale.

2. Parte: Viene descritta la definitiva ascesa di Gesualdo

Nella Parte Seconda Gesualdo diventa il più-ricco-del paese, prima trionfando nell'asta per le terre
comunali, poi cercando di trarre vantaggio dalla rivoluzione carbonara: l'adesione ad essa è dettata dal
desiderio di scalzare i nobili. In seguito, Gesualdo si arricchisce grazie a un prestito fatto a don Nini.

Nella seconda parte è presente il primo elemento pessimistico e ideologico: i partecipanti ai momenti
politici lo fanno per interessi personali, non c’è nessuna attività genuina ma sono tutti mossi dal volere di
accumulare ricchezze. Da questo punto di vista il mastro don Gesualdo è il romanzo della roba.

3. Parte: narra i motivi che porteranno alla decadenza di Gesualdo

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Inizia riassumendo la storia di Isabella, figlia di Gesualdo, ma, con ogni probabilità, nata dalla relazione fra
Bianca e Nini. Quindi l'azione si svolge nel podere di Mangalavite, dove Gesualdo si è rifugiato con la
famiglia per sfuggire all'epidemia di colera.

Qui arriva anche la sedicenne Isabella, educata in un collegio di Palermo: la ragazza non può che constatare
la distanza fra le sue aspirazioni e la sua educazione e il padre, di cui si vergogna.

Si innamora così del cugino Corrado: Il matrimonio fra i due è impossibile, poiché Corrado è povero:
Gesualdo combina così le nozze fra la figlia e il duca di Leyra, che appartiene a una famiglia illustre ma in
declino. La dote concessale è molto alta, e Gesualdo è costretto a donare al duca altre proprietà, per
placarlo quando questi scopre che Isabella è incinta di Corrado.

*All’interno del romanzo non è mai chiarito se Isabella fosse effettivamente figlia di Nini, ma la stessa
percezione di Bianca che vede Isabella come figlia illegittima basta per considerarla tale. (probabilmente
dietro c’è un errore dello stesso Verga dato che i conti del concepimento non tornano)

Isabella si oppone al padre perché il padre vuole garantirle un’educazione aristocratica, la manda in un
collegio. Nel collegio la formazione di Isabella coincide con la consapevolezza delle umili origini del padre e
della sua rozzezza. Origini che sente soprattutto nel momento in cui a causa del colera la famiglia va a
stabilirsi in un podere di campagna. Isabella si aspetta una dimora aristocratica e invece si ritrova in una
campagna arida, dominata da una società contadini e dai ritmi dell’accumulo (dove il padre sta molto bene)

In questa sezione è possibile osservare come la rappresentazione della natura sia cambiata radicalmente:

Il mare dei Malavoglia ha una certa rappresentazione idillica

Nel Mastro Don Gesualdo, la natura è un corrispettivo dell’aridità sociale o che appare soggetta allo
sventramento per l’accumulazione della roba. La natura è arida, assolata, rappresentata al limite della
sopravvivenza, come a sottolineare l’aridità della società in ricerca dell’utile.

4. Parte: La decadenza di Gesualdo è il tema centrale della Parte Quarta.

Dopo la morte della moglie Bianca, il popolo in rivolta assalta i suoi magazzini. Vecchio, malato di cancro,
muore solo nel palazzo del genero

Gesualdo non partecipa ai moti del 48, viene accusato invece accusato di essere complice dell’omicidio del
capo dei moti (perché marito dell’amante dello stesso Gesualdo)

Qui lo scoppio di un altro scandalo e la separazione simbolica dai moti precedenti a cui partecipa per
racimolare roba, qui viene invece visto come colpevole.

La quarta parte è tutta in discesa verso la decadenza di Gesualdo che (simbolicamente) è affetto da un
cancro allo stomaco.

Muore a Palermo nella dimora dei duchi di Leyra, luogo estraneo in cui si è recato perché pensa di potersi
rivolgere ai medici della città ma muore in solitudine non accolto dalla figlia tra i commenti della servitù.

L’ideologia di Verga con Mastro Don Gesualdo raggiunge il momento di maggiore pessimismo: il progresso e
l’alienazione a cui sono soggetti gli uomini nella fase dell’accumulo della roba è degradante. Anche il
successo è una forma di alienazione su cui medita lo stesso Gesualdo.

Gesualdo comprende che il mondo degli affetti è fatto di tradimenti (es figlia), all’amore reale che potrebbe
vivere con la contadina si sottrae lui stesso.

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Qui la forma di impersonalità è differente, gli individui sono fatti di caratteristiche psicologiche singolari e
non restituibili tramite la voce collettiva di una comunità: il narratore deve spostarsi tra le prospettive dei
diversi protagonisti.

Lo stesso Verga rifletteva sul problema di dare complessità psicologica senza tradire l’istanza verista:

L’autore resta fedele all’idea di osservare la realtà senza entrare nella mente dei personaggi, infatti la
psicologia viene restituita provando a circoscrivere gli elementi psicologici nei gesti e nelle parole. Tutto va
desunto dalle stesse azioni dei personaggi.

Ciò vuol dire rendere manifesta l’intima essenza che i personaggi provano a nascondere, il compito del
narratore è portarla alla luce attraverso i gesti e alle parole.

In questo caso l’artificio della regressione assume una prospettiva borghese, rispetto ai Malavoglia sono
presenti anche delle spie in più che ci fanno intendere i giudizi della voce narrante.

Invece della regressione nella comunità il Mastro don Gesualdo è un romanzo polifonico: si
alternano prospettive e sguardi associati ai singoli personaggi

Questo rende più difficile il compito del narratore e anche del lettore per il continuo cambiamento di punti
di vista.

Il discorso libero è meno presente perché difficile da gestire rispetto all’alternanza di più voci

Una spia linguistica interessante rispetto ai Malavoglia è il cambio dell’utilizzo del tempo verbali:

 Ntoni sa cosa aspettarsi la mattina guardando il paese, vive un tempo ciclico, tempo che dominava
era quello dell’imperfetto perché è il tempo della continuità
 Il passato remoto è il tempo di ciò che accade passando poi oltre. In un’ottica progressiva di
cambiamento e qui è il tempo maggioritario.

Il Mastro Don Gesualdo è caratterizzato dai tempi puntuali in cui si accumula e si perde la roba.

La ripetizione delle abitudini della comunità presente nei Malavoglia offriva un’idea consolatoria, qui invece
non c’è nessuna forma di ripetizione, tutto è scandito dall’accumulo della roba e dalla decadenza.

L’elemento di radicale pessimismo che rappresenta il motivo più importante per cui non viene portato a
compimento il ciclo dei vinti è il fatto che non ci sia speranza davanti alla fiumana del progresso perché
questa ha già travolto tutto.

L’ultimo Verga:

Verga scrive altre due raccolte di racconti e si dedica inoltre al teatro

Ormai Verga, che nel frattempo (dal 1893) è tornato a risiedere stabilmente a Catania, è diventato del tutto
scettico e disincantato.

Annientato in sé il mondo romantico della gioventù, non ha più nulla da distruggere, e può solo tornare a
illustrare, in modo sempre più stanco, le ragioni del proprio scetticismo.

È sostanzialmente questo motivo che Io induce a lasciare inconcluso il terzo romanzo deliciclo-dei «Vinti»,
La duchessa di Leyra, di cui ci resta solo poco più di un capitolo. I personaggi di questa opera (a partire dalla
protagonista, Isabella Trao, che Gesualdo aveva creduto sua figlia) sarebbero stati tutti negativi, fatui
arrampicatori sociali o cinici, protagonisti della vita nobiliare palermitana.

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Federico De Roberto:
De Roberto nasce nel 1861, nascendo dopo l’unità è a tutti gli effetti un intellettuale post risorgimentale che
non riceve l’influenza dei moti risorgimentali e della particolare declinazione del romanticismo italiano.

Oltre all’attività di scrittore svolse un'intensa attività giornalistica (collaborando, fra l'altro, al «Corriere della
Sera»), critica e saggistica. Lavora a diverse monografie, in particolare si interessa a Leopardi.

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Scrive anche di autori stranieri come Flaubert e, sembra interessato al momento originario
dell’impersonalità realista, non a caso è lui il curatore dell’ultima traccia dei romanzi del ciclo dei vinti, cioè
il capitolo della duchessa di Leyra.

Nasce a Napoli ma passa la sua vita a Catania (rientrando nel gruppo di Verga e Capuana, legati al sud Italia),
grazie allo stesso Verga passerà lunghi periodi a Milano, e questo gli permetterà di avvicinarsi agli autori del
verismo italiano. Compie anche diversi soggiorni a Roma.

Quella di De Roberto è una figura interessante anche dal punto di vista politico, siccome conoscerà una
forma di pessimismo che lo porterà nell’ultima fase della sua vita ad aderire al nazionalismo e a promuovere
l'interventismo in occasione della Grande Guerra;

Muore nel 1927.

L’esordio di De Roberto, con l’uscita delle novelle, evidenza la volontà di recuperare la tradizione verista, in
particolare la concezione dell'impersonalità come metodo volto a far aderire la forma al soggetto scelto.
(l’idea di un’omogeneità stilistica rispetto alla rappresentazione del soggetto e all’impersonalità.

De Roberto scrive le novelle nel periodo della fase conclusiva dell’attività verista, che coincide con l’inizio
della stagione decadente francese di cui l’Italia inizia a subire le influenze.

A proposito, De Roberto possiede specificità che lo differenziano da Verga e Capuana:

1. La rappresentazione non è più legata in gran parte alle classi popolari, vengono rappresentati classi
borghesi e aristocratiche
2. Ispirandosi soprattutto a Flaubert, e a Bourget è presente una forma di psicologismo più complesso
(da cui Verga prendeva le distanze)

Il ciclo più importante di De Roberto è quello legato alla famiglia degli Uzeida

La famiglia degli Uzeida è una nobile famiglia siciliana caratterizzata dalla familiarità con il potere.

L’illusione:
Il primo romanzo di 3 che viene pubblicato è del 1891 e si intitola L’illusione, ha come protagonista Teresa
Uzeida.

In questo romanzo è forte l’influenza di Flaubert, Il mondo è visto e giudicato dalla prospettiva di Teresa,
una sorta di Emma Bovary nobiliare divisa fra un matrimonio sbagliato e una serie di relazioni infelici
incapaci di sovrastare la sua delusione.

Dal punto di vista delle tecniche narratologiche, mentre Verga riscontra problemi nell’utilizzo dell’indiretto
libero (Mastro Don Gesualdo) De Roberto lo applica al singolo personaggio.

L’indiretto libero viene utilizzato in modo da far emergere la psicologia dei personaggi nella voce del
narratore. (andando nella direzione del monologo interiore)

Sin dal romanzo l’illusione si percepisce la caratteristica ideologica di De Roberto, di radicale materialismo e
naturalismo. Non viene toccato dalla stagione romantico risorgimentale, vive già la delusione di quelle che
erano le aspettative post unitarie, osserva con pessimismo le evoluzioni sociali e individuali nel contesto
nazionale.

Questa forma di ideologia negativa, pessimista, trova il suo apice nel romanzo I vicerè

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I Viceré:
Capolavoro di De Roberto pubblicato nel 1894, romanzo incentrato sulla storia della famiglia aristocratica
degli Uzeda, principi di Francalanza (una razza padrona di origine spagnola, che per secoli ha esercitato la
carica di Viceré).

La vicenda si svolge per circa un trentennio, fra i moti risorgimentali nell'isola e le elezioni politiche del
1882.

Per certi versi si tratta dunque di un romanzo storico (e in effetti la lezione di Manzoni è ben presente)
perché legato ad elementi oggettivi, cioè alla nascita e all’evoluzione di una nazione.

Ma un romanzo storico privo di fiducia nella storia, vista come perenne sopraffazione dei più forti a
danno dei più deboli e come perpetuazione di insensati cicli biologici.

La critica ha parlato di un romanzo storico anti storicista perché lo sguardo con cui il narratore guarda
all’evoluzione della storia è oggettivo ma profondamente pessimista.

Non è presente un movente spirituale responsabile degli eventi storici ma viene vista come un’insensata
evoluzione di eventi dominati da cicli biologici, l’elemento che permane è quello della sopraffazione del
potere.

La storia non ha un fine a cui tendere ma nei cambiamenti ciò che permane è l’ingiustizia del
potere.

Il romanzo è suddiviso in maniera molto precisa, ha tre parti ognuna composta da 9 capitoli

Gli Uzeda sono dilaniati al loro interno da odi feroci e da contrasti di interessi e nella distribuzione dei
personaggi. L’autore sembra riprendere il sistema binario di opposizione dei Malavoglia, tuttavia è
un’opposizione completamente interna alla famiglia, non tocca il rapporto con la comunità.

Anzi, gli Uzeda, per quanto divisi fra loro, sono poi uniti nel difendere i loro secolari privilegi e
nell'affermazione della famiglia.

 Don Blasco, frate cinico e Lodovico, frate che invece punta ad un’ascesa nella gerarchia ecclesiastica
 Al principe Giacomo si oppone il coerede contino Raimondo
 Il monaco benedettino don Blasco (corposa e irruente figura di frate cinico e sanguigno) è
contrapposto al nipote, un altro monaco benedettino, Lodovico, che scala i vari gradini della
gerarchia ecclesiastica, e alla sorella donna Ferdinanda

Dal punto di vista sociale, il processo di unificazione italiana viene visto come un’occasione per le
classi egemoni per arricchirsi e cambiare status (attraverso una maschera) e confermare il proprio
potere di contraffazione.

Il personaggio di Don Blasco è simbolico perché da ferocemente antiunitario, passa nel campo opposto e
dopo l’unità ne approfitta per comprare i beni della chiesa risultandone arricchito (passa ad essere un
risorgimentale a tutti gli effetti).

La storia non è niente altro che ripetizione del vecchio, e il nuovo non vi ha spazio.

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Dall’altro lato il romanzo viene condotto prevalentemente secondo lo sguardo dello sconfitto

Giovannino Radali che sperimenta un doppio fallimento:

 sul piano sentimentale, perché gli Uzeda cederanno Teresa al fratello e non a lui
 sul piano politico, perché resta delusa la sua speranza di un ricambio organico delle classi dirigenti
dopo l'Unità. (sempre le stesse persone al potere)

Il narratore racconta la storia del romanzo ponendosi proprio dal punto di vista di Giovannino Radalì che
paga la sconfitta con il suicidio: ponendosi cioè al di là della storia e contro la storia. (forma radicale di
rifiuto della storia)

Questa prospettiva estraniata consente di dare al resoconto storico un tono insieme realistico, freddamente
oggettivo, e allucinato, angosciato, visionario.

La prospettiva di Radali fa si che tutto il romanzo sia attraversato da una forma di narrazione allucinata,
perché colui che vede l’evoluzione dell’elemento storico e narrativo non riesce a spiegare ciò che sta
accadendo. La stessa restituzione dei processi storici avviene attraverso un elemento freddamente negativo.

L’autore di per se non è da considerare completamente pessimista, la rappresentazione di


quest’allucinazione negativa è comunque una forma di protesta contro il determinismo dell’ingiustizia del
potere.

Anche se il punto di vista ideologico e complessivo assume la prospettiva di Radalì, vengono articolati
diversi punti di vista associati a diversi registri linguistici (polifonia come Mastro Don Gesualdo ma senza
l’abbandono dell’indiretto libero)

La storia degli Uzeda è anche la storia della degenerazione patologica e morale di una famiglia, i cui membri
- in modo ora più, ora meno evidente tendono irresistibilmente alla follia:

Per esempio Chiara, alla ricerca isterica della maternità e infine madre di un figlio mostruoso.

Gli Uzeda sono in realtà una galleria di mostri se per un attimo vi appare un personaggio più umano, subito
viene travolto dalla pazzia e dalla crudeltà dominanti.

L’imperio:
Dopo De Roberto continua a lavorare al ciclo, scrive L’imperio, pubblicato solo postumo, la forma di
romanzo è definita parlamentare, in cui l’ambientazione principale è romana rispetto alle dinamiche del
potere.

Narra le imprese politiche di Consalvo, ultimo discendente degli Uzeda, prima deputato e poi ministro a
Roma, e le delusioni degli ideali risorgimentali del giovane Federico Ranaldi.

Consalvo si dirige a Roma per consolidare il potere familiare. Inizialmente il suo intento non riesce,
cosciente di dover cambiare strategia, fonda un giornale “La cronaca “ in cui assume delle prospettive
conservatrici.

Fallisce anche questo tentativo e mentre si sta avvicinando alla sinistra, per alcuni elementi del tutto casuali,
viene individuato dai conservatori come uomo nuovo: in una manifestazione anti socialista viene aggredito
e poi da questo evento arriva a diventare ministro.

Anche in questo romanzo è presente un’opposizione, quella tra il protagonista e Federico Ranaldi:

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 Consalvo, anche se diventato ministro, vive una parabola di discesa perché il suo operato politico fa
si che cada in disgrazia.
 Dall’altro lato abbiamo il profondo pessimismo di Federico che si ripiega nel privato attraverso il
matrimonio con una giovinetta ma soprattutto con il furore con cui denuncia, non solo la totale
negatività della vita politica ma la vita stessa, evolvendo quasi forme estreme di nichilismo.

Qui la radicalità del pensiero pessimista di De Roberto raggiunge il suo apice. De Roberto continua e porta
agli estremi il pessimismo del ciclo dei vinti.

Porta all’estremo le conseguenze della forma di pessimismo naturalista del verismo italiano fino al centro
d’Italia: Roma.

GIOSUE’ CARDUCCI:
Giosuè Carducci rappresenta un’anomalia rispetto all’esperienza europea.

Carducci riconosce in vita uno straordinario successo, fino ad essere riconosciuto come poeta dell’Italia
unita e a vincere il premio nobel.

 Mentre, dopo Baudelaire, nell'Europa degli anni Sessanta-Novanta prevalgono le tendenze alla
poesia simbolista, che recuperano alcune fra le esigenze più radicali del Romanticismo e fondano il
linguaggio poetico moderno, basato sulla specializzazione e sull'autoriflessività

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 In Italia la tradizione classicistica e antiromantica, rispettosa del linguaggio aulico e accademico, si


rafforza e addirittura diventa egemone.

In particolare, Carducci cerca di associare la poesia del periodo unitario ad un recupero rigorosissimo delle
forme del classicismo tradizionale traducendosi soprattutto nella prima fase della sua produzione, in una
chiusura verso l’evoluzione della poesia straniera.

Intorno al giovane Carducci ruota il gruppo degli Amici pedanti, fondato nel 56 a Firenze.

Il programma degli "Amici pedanti" era volto a "italianizzare" la lirica italiana attraverso il riferimento alla
tradizione classicistica nazionale.

In un secondo momento l’ostilità straniera fu ridimensionata, apprezzò e tradusse vari poeti stranieri come
Heine, Hugo che rappresentano una declinazione romantica con forti elementi classicisti ed eterodiretti.

Carducci nasce in toscana nel 1837, la sua attività può essere divisa in due fasi:

1. Un momento giacobino repubblicano


2. Un momento di ripiegamento ideologico e privato

Il primo Carducci:
L’inizio della fase classicista è abbastanza precoce, si sviluppa insieme alla fondazione degli Amici pedanti
dopo la laurea a Pisa. Le forti basi classiciste si accentuano nel momento in cui inizia ad insegnare alla
scuola secondaria.

Nel periodo fra il 1860 e il 1871 l'ideologia di Carducci è improntata ad un classicismo giacobino,
quale si era diffuso negli anni della Rivoluzione francese, Ispirato al mito della Roma repubblicana, e
dunque antitirannico, questo tipo di classicismo è presente anche in Alfieri, in Foscolo e nel primo
Leopardi.

E’ un classicismo democratico e materialistico che esalta il libero pensiero laico del famoso Inno a Satana.

Il momento di maggior maturità rispetto a questa fase giacobina si distribuisce tra il 1870 e 71, quando
prende la cattedra di eloquenza a Bologna.

Si stabilisce nella città dove insegna e sviluppa la prospettiva anticlericale e antimonarchica con un’ideologia
repubblicano-mazziniana.

Una volta compiutosi nel 1871 il processo risorgimentale, Carducci resta deluso dalle sue conseguenze e
dall'esperienza governativa della Sinistra, si avvicina alla monarchia e, pur senza rinunciare al suo laicismo,
cerca di capire il valore storico dell'insegnamento della Chiesa.

La delusione più grande deriva proprio dal fatto che nella fase di trasformismo che vede la destra e la
sinistra alternarsi nulla cambi.

Lo stesso Carducci si avvicinerà sempre più alle posizioni nazionaliste fino a sposare la prospettiva del
ministro più imperialista di fine 800, cioè Crispi.

Periodo in cui subisce anche la morte del figlio Dante

Il secondo Carducci:
Esauritasi la fase giacobina, in cui Carducci si pone al servizio di una lotta politica di parte, successivamente,
dopo la svolta degli anni Settanta, il poeta è da lui considerato il mediatore ideologico per eccellenza della
società, l'unico capace di raccordare le memorie gloriose del passato alla speranza dell'avvenire e quindi di

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indicare alla nazione i percorsi morali e politici del riscatto. Nello stesso tempo però il poeta è visto anche
come creatore di classica bellezza che adorna la vita.

Per quanto riguarda la poetica affronta invece un ripiegamento delle proprie tematiche.

L’evoluzione della poetica e dei temi:


Carducci organizza la sua produzione non in senso esclusivamente cronologico, ma piuttosto in senso
tematico e formale, è cioè a partire dal rispetto del genere, e dunque del tema e del metro.

Tuttavia, le sei sezioni che raccolgono l'intera produzione poetica carducciana disegnano anche un percorso
cronologico.

In particolare, si possono distinguere le prime tre, che riflettono maggiormente l'esperienza del classicismo
letterario giovanile e di quello giacobino.

 Le iuvenalia 1850-56 (classicismo giovanile)


 I levia gravia 1861-1870
 I giambi ed epodi 1867-1879

Queste prime tre raccolte rappresentano la fase classicismo, attraversano la fase degli anni pedanti,
giacobinismo democratico repubblicano fino ai giambi

Le prime due sezioni, juvenilia e Levia gravia, presentano una scarsa originalità.

Tuttavia, nell'Inno a Satana del 1863, l'esaltazione del progresso, identificato con il treno e con Satana, e
contrapposto allo spirito clericale, costituisce un esempio del fervore aggressivo che domina i successivi
Giambi ed epodi, elaborati dal 1867 al 1879.

Le ultime tre, che accolgono rime della maturità e della vecchiaia. Fase di ripiegamento:

 Le rime nuove 1861-1887


 Le odi barbare 1873-89
 Rime e ritmi 1887-1898 (da una parte metrica classica italiana dall’altra una metrica barbara)

La seconda fase è sempre associata ad un recupero della tradizione classica ma in qualche modo la
problematizza a partire dalla forma metrica che nelle intenzioni è una forma di classicismo ma che nei fatti
presenta una sorta di sperimentalismo.

Rime nuove riunisce 105 poesie scritte fra il 1861 e il 1887. Rispetto alle precedenti raccolte, si attenua
decisamente l'elemento civile e satirico, mentre prevale, particolarmente dopo la svolta del 1871, quello
lirico, legato ai ricordi d'infanzia, ai sentimenti d'amore

Le Odi barbare raccolgono 50 liriche scritte fra il 1873 e il 1889, contemporanee a Rime nuove ma diverse
da essere per l’utilizzo della metrica Barbara

I temi sono gli stessi delle Rime nuove, con l'accentuazione di due aspetti:

 la rappresentazione della Roma antica legata alla malinconica consapevolezza della irrealizzabilità
del proprio sogno classicistico
 il motivo della fugacità del tempo, del senso della tomba e della morte contrapposto al ritmo solare
della vita.

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Che cos’è la metrica barbara? Uno dei tanti tentativi di utilizzare la metrica classica nella poesia italiana
(impossibile perché sistema sillabotonico. Se dovessimo trasporre la metrica classica quantitativa nel
sistema italiano verrebbe a mancare la quantità delle sillabe)

Carducci escogita un sistema per far si che possa attuarsi questa trasformazione salvaguardando l’elemento
sillabo tonico, i piedi non corrispondono alla quantità ma all’alternanza di

 sillabe piene per l’accento


 sillabe vuote perché senza accento

Questo fa si che il verso classico come l’esametro latino venga restituito grazie a versi italiani.

L'uso della metrica barbara ha interessanti conseguenze formali:

- Anzitutto il ritmo della poesia non è più scontato, ma varia di continuo a seconda della
combinazione dei metri italiani impiegati per riprodurre la cadenza di quella antica. Ciò impedisce
l'abbandono a una melodia già nota e induce a isolare la singola parola, a fermarsi su di essa, a
valorizzarla in quanto tale.
- In secondo luogo, la metrica classica e il linguaggio sostenuto contrastano con la prosasticità delle
situazioni moderne.

E’ quindi una metrica fortemente ancorata alla classicità, senza nulla di sperimentale in se. Negli effetti
viene meno la musicalità italiana e avviene una messa in evidenza dell’elemento sintattico ritmico,
percepito come una sorta di verso libero.

L'ultima raccolta; Rime e ritmi comprende solo 29 poesie composte fra il 1887 e il 1899.

Il titolo è dovuto al fatto che vi si susseguono liriche scritte nella metrica tradizionale (sono le rime) e
componimenti invece in metrica barbara.

I temi prevalenti sono due: quello celebrativo e quello intimo e malinconico, pervaso dall'idea della morte,
in cui si rivela una sensibilità meno compatta e solida, più delicata e inquieta

Esempi delle due fasi:


L’inno a satana:
Componimento di quartine e di quinari in cui troviamo l’elemento satanico della fase giacobina, in cui
Satana rappresenta tutti gli elementi di favore al progresso.

Qui rappresenta una novità tecnologica della II rivoluzione industriale con cui si identifica la stessa identità
satanica: il treno

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L’elemento del progresso tecnologico per quanto rappresentato con le fattezze di un mostro viene
rappresentato in chiave positiva in posizione anti-clericale. (Fortemente critico rispetto alla religione e alla
chiesa).

Alla stazione:
Nella seconda fase Carducci si avvicina alla chiesa, anche attraverso una produzione saggistica che cerca di
spiegare l’elemento positivo di essa all’interno della storia.

Insieme a questo è presente anche una nuova declinazione simbolica degli elementi tipici della sua poetica

Anche qui è presente il treno ma l’ambientazione e la rappresentazione simbolica è completamente diversa.

 La stazione è lo sfondo del momento topico dell’addio all’amata.


(Amata che attraverserà tutta la fase finale della produzione di Carducci attraverso la figura di Lidia)
 Dal punto di vista linguistico e tematico il secondo Carducci raggiunge anche una prospettiva
autoriflessiva.
 La rappresentazione della modernità, a partire dal treno, viene vista in opposizione all’elemento
positivo di Lidia che rappresenta la bellezza classica.

La stessa rappresentazione di modernità è totalmente in opposizione all’inno a satana.

La chiusura ben rappresenta il ripiegamento di Carducci, compare la riflessione sulla morte, sulla fugacità
del tempo, sull’impossibilità di raggiungere quel sogno classicista del primo periodo trova un corrispettivo in
questa sorta di tedio infinito.

Rispetto al resto degli sviluppi dell’Ottocento, Carducci rappresenta un’anomalia per la caratterizzazione
classicista della sua poesia.

Nello stesso periodo si sviluppa il simbolismo: un’ampia gamma di poeti dopo Baudelaire attraversa una
fase parnassiana in cui si va nella direzione di specializzare il linguaggio poetico.

In particolare, è l’uscita simbolica di Il pomeriggio di un fauno di Mallarmé che segna la frattura del
linguaggio poetico.

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Il processo di specializzazione del linguaggio poetico fa si che si trasformi in una lingua totalmente separata
da quella della prosa e del linguaggio orinario, assumendo un privilegio negato a tutte le altre forme
discorsive.

Nel saggio Esiste una lingua poetica? Roland Bart differenzia l’impostazione dell’arte del discorso classica e il
linguaggio poetico moderno, utilizzando una sorta di schema:

 A= metrica
 B=prima
 C= figure retoriche

Nella classicità è possibile intendere

 La prosa come una poesia -A -B -C


 La poesia come una prosa +A +B +C

Tramite questa impostazione Bart restituisce quello che per secoli era stato il rapporto tra prosa e poesia,
equivalenti dal punto di vista semantico ma che si differenziano per la strumentazione dello stesso
contenuto. La poesia partendo da questo presupposto è considerabile una forma ornamentale.

Con la modernità la poesia si stacca da questo schema e ambisce ad occupare un linguaggio privilegiato in
cui gli elementi abc da ornamento passano ad essere elementi conoscitivi legati all’espressione profonda del
poeta.

 Gli elementi a b e c si staccano da una precettistica classica e tendono a diventare sempre più
personalistici

Diventando così lingua privilegiata e staccata dal mero contenuto semantico che deve veicolare.

Gli elementi figurali e sonori diventano conoscenza di per se, portando in qualche modo la poesia verso una
direzione quasi orfica e magica.

L’arte che nel simbolismo viene associata alla poesia è quella della musica, per la presenza di sonorità
significanti prive di un immediato contenuto semantico.

Per cui vengono utilizzate tutta una serie di strategie:

 Forme di associazione tra musica e semantica, come un linguaggio metaforico estremizzato


 Forme di analogismo
 Fino ad arrivare ai contenuti pre-semantici come le onomatopee vengono valorizzati nel loro
carattere speciale

Es sonetto sulle vocali di Rimbaud.

Tutto è ricondotto alla soggettività dell’autore.

Man mano che questi elementi vengono accentuati, fino ad arrivare al verso libero (tappa finale di questo
processo) la poesia conosce una forma di liberazione totale dalla tradizione.

Si sviluppa l’dea che anche la musicalità più intima di un testo non possa più rispondere a leggi aprioristiche

La musicalità del verso, non avendo più uno scopo ornamentale, deve essere giustificata es. riconducendola
magari ad una sorta di forma di musicalità personale.

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Questo la porta verso una giustificazione non condivisa, la metrica era una sorta di condivisione basata su
elementi precettistici, la comparsa del verso libero fa cadere questa comunità.

Es. prima una forma come quella del sonetto poteva già dare delle informazioni sul testo, questo ora non
accade.

 Da un lato abbiamo l’affermazione della libertà del poeta


 Dall’altro ci troviamo di fronte a quello che decreta la fine di un investimento simbolico della poesia:
il poeta diventando l’unico capace di utilizzare privilegiata questo porterà la poesia ad una forma di
marginalità che nasce dalla mancanza dell’idea di condivisione del codice.

Il codice viene meno e il privilegio si rivolta contro il poeta stesso, che potrà rivolgersi solo ai privilegiati
stessi in grado di comprendere il suo linguaggio.

Rispetto a tutto questo, l’anomalia italiana è che fino a Pascoli e D’Annunzio le declinazioni simboliste
restano comunque fortemente legate ad una prospettiva classicista

 Un po’ per l’eredità di Carducci insieme all’idea di farsi poeta vate


 Dall’altro anche perché nella declinazione italiana non si conoscerà una forma di verso libero che
porterà ad una liberazione totale rispetto alla precettistica classicista

Nel caso di Pascoli si ha la sensazione che scriva in una lingua morta. L’utilizzo di una lingua “morta” significa
riconoscerle il potere di dire qualcosa, che non sarebbe possibile esprimere con la lingua usurata dall’uso
quotidiano.

Questo getta un riflesso anche nella lingua viva, perché il poeta adotta delle strategie per caricare la lingua
di elementi misteriosi, tanto da restituire l’impressione di un oggetto linguistico simile a quella morta. (forse
anche legato al tema mortuario del poeta)

GIOVANNI PASCOLI:
Giovanni, Pascoli nasce il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna (Forlì), trascorre un'infanzia agiata
fino a quando, il 10 agosto, 1867 il padre Ruggero viene ucciso con una fucilata mentre torna a casa in
calesse. Il poeta indagherà in seguito personalmente sulle cause del delitto, rimasto impunito,
convincendosi inutilmente di averne individuato esecutori e mandante.

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Morti anche due fratelli e la madre, il poeta si trasferisce a Rimini con gli altri fratelli nel 1871.

Alla lunga serie di lutti familiari cercherà di reagire in due modi

 Da un lato cercando di ricomporre il nido familiare (irricostituibile)


 Dall’altro mettendo in atto una forma di regressione verso il nido familiare (tornando all’infanzia)

Nel 1873 si iscrive alla facoltà di Lettere dell'Università di Bologna e in questo periodo si avvicina agli
ambienti socialisti e nel 1879 partecipa ad una manifestazione che gli costa la perdita della borsa di studio e
alcuni mesi di reclusione nel carcere di Bologna.

Dopo il carcere abbandona l’impegno politico e si dedica ad una pellegrinazione tra i diversi atenei.

 Si stabilisce a Castel Vecchio nell’85 insegna prima all’università di Messina poi viene trasferito a
Pisa
 Nel 1895 eredita la cattedra di eloquenza di Carducci a Bologna

Muore nel 1912

La poetica del fanciullino:


Sia la critica che lo stesso Pascoli identificano la sua poetica in quella del fanciullino.

Pubblicata nel 1827 sulla rivista fiorentina «Il Marzocco», la prosa intitolata Il fanciullino è il più importante
ed esplicito discorso programmatico di Pascoli che contiene la sua personale poetica

Per Pascoli ognuno ha dentro di se un fanciullino, una parte della propria interiorità costituita da qualcuno
che continua a conoscere il mondo sottoforma di un rapporto magico, non veicolato dalla ragione, fatto di
corpo sensazione e stupore, che può “creare” il mondo nel momento stesso in cui lo conosce.

A differenza del ritorno all’infanzia di Leopardi che consisteva fondamentalmente in una poetica della
memoria, il fanciullino di Pascoli ha la possibilità di venir fuori:

Il poeta è colui che ha la capacità di far parlare il fanciullino.

Prosa sul fanciullino:


Il fanciullino conosce per corpo e non per via razionale, è come Adamo che vede e nomina per la prima
volta le cose. Chi riesce a scoprire e a dare parola al fanciullino riesce, tramite l’atto di nominare, a
conoscere.

Ciò porta Pascoli ad utilizzare tutta una serie di strategie per nominare nuovamente gli oggetti

La poetica di Pascoli a differenza di quella simbolista francese più che lavorare sulle relazioni lavora sullo
scavo in profondità della singola parola.

L’elemento lessicale è l’elemento più importante, l’idea di nominare per la prima volta come forma
di conoscenza porta ad adottare un lessico che sia speciale rispetto a nominare quotidianamente le
cose (con una serie di termini popolari, tecnici, per la botanica)

Dall’altro lato, dare un segno un suono un colore che si compie con l’utilizzo di linguaggio in forma pre
grammaticale come ad esempio le onomatopee (forma in cui non c’è una forma del discorso che sia forma e
contenuto ben connesso)

Questo elemento fortemente legato all’associazione del simbolismo viene associato nella prosa di Pascoli ad
una forma legata ad una prospettiva classica. Pascoli tende a smorzare l’elemento di specializzazione della
lingua poetica con un’idea classica, cioè la poesia ha il compito di consolare e allentare i confitti sociali.

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L’essenza ideologica profonda di Pascoli è quella di un vittimismo che si traduce poi in una sorta di violenta
rivendicazione. Soprattutto negli interventi civili dell’ultimo periodo, prendendo il posto di Carducci come
poeta vate, arriva ad una rivendicazione violenta con il discorso La grande proletaria, in cui vendica il suo
ruolo di piccolo borghese.

L’elemento classicistico è messo fortemente in evidenza già nei titoli delle poesie e soprattutto nelle epigrafi
che accompagnano nelle varie raccolte, tutte accompagnate da un verso virgiliano

Il verso è ricavato dalle Bucoliche virgiliane:

Spezzettando il verso virgiliano e associando una parte ad ogni raccolta Pascoli ci da l’idea di quelli che
saranno gli oggetti e le forme del suo cantare.

Infatti vediamo anche che Pascoli lavora sincronicamente alle sue raccolte, che vengono poi sistemate in
una fase successiva.

Il primo libro pubblicato nel 91 è Myricae (si arricchisce cospicuamente con nuove edizioni)

Myricae:
I testi compresi nell'edizione definitiva di Myricae furono composti nell'arco di oltre un ventennio, e cioè tra
il 1877 e il 1900.

La prima edizione esce a Livorno nel 1891 e contiene solo 22 delle 156 poesie presenti nell'edizione
definitiva. Il succedersi delle edizioni successive alla prima si accompagna a un continuo incremento del
numero dei testi e ad un’organizzazione che non segue un ordine narrativo ma una sorta di struttura
metrico-semantica

In questo libro l’epigrafe virgiliano è:

«Arbusta iuvant humilesque myricae»: piacciono gli arbusti e le basse tamerici

Il riferimento tematico del titolo implica dunque una poetica del "basso" del comune, del discorsivo. La
poesia si presenta subito nel voler rappresentare il mondo nella sua umiltà e manifestazione più semplice.

*la stessa epigrafe è associata ai canti di castel vecchio del 1903 in cui prevale una dimensione più articolata
del canto

Il rapporto tra le varie sezioni è in qualche caso mediato dall'inserimento di testi isolati, il cui numero
corrisponde peraltro a quello delle sezioni stesse (quindici), con calcolata simbologia numerico strutturale.

Nel passaggio tra le diverse edizioni viene aggiunta una prefazione, il giorno dei morti, in cui verranno
esplicitati i due temi principali:

 L’elemento mortuale
 L’elemento consolatorio della natura

L’elemento naturale in realtà è molto meno consolatorio di quanto fa apparire nel testo perché la natura in
realtà diventa un corrispettivo dell’angoscia mortuaria che attraversa il libro

Se infatti il tema della morte e del dolore si conferma centrale da ogni punto di vista, il tema del
rasserenamento naturale che dovrebbe fungere da controforza riequilibratrice si presenta invece assai più
complesso e ambivalente di quanto la Premessa scritta, nel 1894 lascerebbe immaginare.

 Il tema della morte è il grande protagonista, dell'opera, Ne dà l'annuncio anche Il giorno dei
morti, un lungo componimento composto per la terza edizione.

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Nel componimento Pascoli immagina che tutti i morti della famiglia, a partire dal, padre; abbiano formato
nel cimitero una nuova unità famigliare, più autentica e profonda di quella serbata dai pochi superstiti

Questi ultimi sono presentati in una condizione indifesa e minacciata che non esclude però un senso di
colpa rispetto ai defunti e un bisogno di riconciliarsi con loro, di invocarne protezione e, implicitamente,
perdono. In questo difficile rapporto si delinea un mito, taciuto.

La natura di Myricae è a sua volta attraversata da questo incubo mortuario. Vi è come


un'ossessione-funebre.

I modi per risolvere l'estraneità del poeta rispetto al cerchio dei fenomeni naturali e rispetto alla
dimensione dei vivi possono essere due, entrambi sperimentati nel libro:

 dare alla propria vita una funzione, ovvero un mandato, che la legittimi rispetto al destino dei
morti;
 oppure confondersi a quel medesimo destino, regredendo alla dimensione dell'infanzia
(negandosi come adulto) e della prenascita (negandosi come vivente) e cioè morendo
(ripiegamento)

Ma la seconda via è quella che di continuo risucchia il destino del poeta, riproponendosi immancabilmente
quale unica vera pacificazione

Ragionando sulle forme, il simbolismo di Myricae, fondato sulla frantumazione delle immagini e sulla
valorizzazione dei particolari, è subordinato a un criterio impressionistico: a essere registrata è innanzitutto
l'impressione del soggetto davanti a fenomeni.

L’attenzione di Pascoli è soprattutto lessicale, alla nominazione precisa di tutti gli elementi intorno all’io
lirico

Può così accadere, che un testo tutto dedicato a descrivere un fenomeno naturale costituisca in realtà il
corrispettivo di un evento biografico e da esso tragga la propria caratterizzazione espressiva. Dietro
l'impressionismo della percezione non di rado è possibile avvertire l'intenzione di un secondo significato
taciuto

L’idea di dare nome alle cose potrebbe far pensare ad una descrizione realistica ma in realtà lo sguardo
verso il mondo non è neutro, è caricato dall’impressione soggettiva

Pascoli utilizza una sorta di tecnicismo linguistico avanzato che getta una sorta di oscurità, rappresenta
simboli che il lettore riesce a cogliere nei suoi aspetti musicali, riesce a concepire la concentrazione del
poeta sulla singola parola ma non riuscirebbe a parafrasarla in modo chiaro e trasparente.

La specificità di Pascoli è proprio quella di lavorare sulla forma ma di lasciare in sospeso il senso delle parole
su cui si concentra. Il tutto tradotto in una capacità straordinaria di modellare gli strumenti classici in una
forma sperimentalista

La poesia pascoliana, appare divisa tra vecchio e nuovo, tra tradizione e sperimentalismo. (forme chiuse
serimentalismo)

 Al rispetto della tradizione rimandano le forme metriche chiuse e a volte desuete, nonché un’idea
della poesia quale attività privilegiata di conoscenza e quale funzione sociale ancora, prestigiosa
 Testimoniano lo sperimentalismo pascoliano, invece, la ricerca di un rapporto nuovo tra metrica e
stile, l'apertura a un lessico inedito nella lirica (concreto, tecnico e regionale)

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Segno di sperimentalismo di Pascoli è la presenza di metri secondari della tradizione italiana, è’ spesso
utilizzato il novenario, non troviamo l’associazione tipica tra endecasillabo settenario.

Oppure una declinazione di una metrica che lavora sulla ripresa sulle strofe classiche, ad esempio la strofa
classica in cui vengono uniti tre endecasillabi e un quinario

Allo sperimentalismo metrico viene associato uno sperimentalismo linguistico

Un fenomeno di unione degli aspetti tra metrica e lingua lo si percepisce tramite utilizzo particolare
dell’enjambament fino alla separazione netta inedita della preposizione dal suo elemento contiguo, che
giunge a separare l'articolo dal sostantivo e ad aprirsi tra due strofe o addirittura tra due testi diversi.

La strategia di focalizzazione della singola parola porta ad un utilizzo preponderante della sintassi nominale
e quindi a frasi senza verbo che accentuano le singole parole.

La prevalenza del sostantivo sul verbo fa sì che sulla ricchezza lessicale Pascoli concentri gran parte della
propria ricerca, allargando il lessico in direzioni generalmente poco frequentate dalla nostra poesia: piante,
animali (e soprattutto uccelli), oggetti del lavoro

La ricerca di verità e dei nomi reali delle cose porta all’utilizzo delle onomatopee in cui un suono che
dovrebbe essere neutro viene caricato in funzione dei suoi aspetti sonori di sfumature semantiche che sono
associate a quel grado di mistero e angoscia che rappresenta la realtà (fonosimbolismo cioè i singoli suoni
caricati di aspetti allusivi.

I canti di Castel Vecchio:


Pubblicati a Bologna nel 1803

Castelvecchio è un paese nei pressi di Lucca, dove Pascoli aveva acquistato una villetta e stabilito la propria
dimora insieme alla sorella Maria.

La continuità del Canti con Myricae è segnata anche dal fatto che hanno entrambi la stessa epigrafe.

All'accusa di oscurità, che subito fu mossa al poeta, questi reagì allegando, nella seconda edizione del libro,
un glossario volto a spiegare il significato dei termini, popolari e vernacolari impiegati.

Nella struttura dei Canti di Castelvecchio agiscono due motivi:

 quello naturalistico, modellato sul trascorrere delle stagioni


 quello famigliare, centrato sulla tragedia dell'uccisione impunita del padre.

I due movimenti si intrecciano e d'altra parte collidono: il ritmo delle stagioni allude a un ordine- naturale e
alla segreta, armonia dell'alternanza di vita e di morte, di fine e di rinascita.

L'uccisione del padre configura invece una perdita irreparabile segnata dalla cattiveria umana e dunque
estranea al ritmo naturale dell'esistenza.

È come se i morti mettessero di continuo in pericolo il diritto alla vita del soggetto, così che dietro le forme
della vita si nasconde sempre (come già in Myricae) un mistero preoccupante e angoscioso.

Nei Canti viene -meno il frammentismo di Myricae

La ricerca di una musicalità più complessa e varia spinge Pascoli ad audaci sperimentazioni metriche, con
originali recuperi della metrica classica, impiego di versi meno fortunati della nostra tradizione lirica.

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I poemetti:
Escono per la prima volta nel 1897

I Poemetti raccolgono un secondo filone della ricerca poetica pascoliana, caratterizzato dal tentativo di
superare il frammentismo di Myricae attraverso disegni più costruiti

C'è dunque innanzitutto una spiccata tendenza narrativa, con l'introduzione di testi lunghi, perlopiù
suddivisi in sezioni, e con la partecipazione di rilevate figure umane spesso dialoganti.

Denuncia le ingiustizie sociali

All'aggressività e alla negatività della società di massa, Pascoli contrappone i miti della bontà naturale e
della poesia.

Anche nei Poemetti, come già in Myricae, il fascino naturale sembra spesso alludere piuttosto a una
minaccia di morte e di rovina.

I Poemetti sono il libro più apertamente sperimentale di Pascoli, sul piano linguistico:

Lo sperimentalismo si rileva innanzitutto nel largo uso di termini, dialettali.

Vi è poi il ricorso a lingue speciali, come nel poemetto Italy in cui troviamo l'italiano dialettale
americanizzato che parlano gli emigranti negli Stati Uniti

(utilizzo della terzina dantesca)

I poemi conviviali:
Nei poemi conviviali del 1904 la si misura dunque con i grandi temi eterni della vita e della morte, ricorre a
codici morti (il latino e la tradizione letteraria classica).

Il motto posto ad apertura della nuova raccolta è: «Non omnes arbusta iuvant». Ripreso da Virgilio come
quello posto in epigrafe a Miyricae, esso significa 'non a tutti piacciono le piante basse", In tal modo è
subito evidente l'innalzamento di tono rispetto ai libri precedenti

In questa raccolta è presente una forma particolare di canto storico, si tratta di poemi narrativi che si
rivolgono soprattutto all’antichità con l’uso dell’endecasillabo sciolto alternato alla terzina.

La rappresentazione dell’antichità assume una sorta di surrealismo perché i personaggi del passato non
vengono ripresi nell’intento monumentale ma come forme di mistero rispetto all’evoluzione della storia.

Odi e Inni:
Nel 1906 Pascoli, pubblica Odi e inni una raccolta ispirata a tematiche storico-civili.

Pascoli tende a proporsi quale continuatore di Carducci e della sua funzione di poeta civile Uffciale della
"nuova Italia" la figura del vate è la conseguenza della poetica del «fanciullino».

La poesia civile di Pascoli si rivela segnata, fin da Odi e inni da una tendenza al nazionalismo populistico: la
grandezza della nazione italiana consiste nel suo carattere popolare, sentito quale garanzia di sanità e quale
diritto all'affermazione

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GABRIELE D’ANNUNZIO:
Se volessimo fare un confronto con Pascoli, dal punto di vista ideologico, D’annunzio rappresenta una figura
opposta ma speculare:

 Speculare perché incarna anche lui la volontà di presentarsi come poeta vate
 Opposta perché la funzione che D’annunzio vuole ricoprire all’interno della società è diversa, così
come gli strumenti che utilizza di fronte alla perdita di mandato sociale e alla perdita del privilegio
del linguaggio poetico

D’Annunzio rifiuta di fare i conti con la degradazione sociale subita dalla figura stessa dell'artista nella
moderna società borghese, e ripropone un'idea della poesia come pienezza di canto e come esperienza

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superiore e privilegiata, in un’epoca in cui si stanno affermando le masse e un principio di


spersonalizzazione dell’individuo all’interno di esse.

Il privilegio che ricopre il poeta lo porta anche ad essere un modello di massa, ciò porta ad una
contraddizione che vede

 Da un lato il disprezzo verso gli elementi della modernità


 Dall’altro una figura che, affermando le capacità potenziali del singolo individuo in maniera
superomistica, è completamente immerso nei suoi meccanismi

Nonostante questo disprezzo egli è il primo a sfruttare con consapevole abilità i meccanismi complessi
dell'industria culturale: sa propagandare se stesso, costruendo il proprio successo e organizzando il
consenso alla propria opera e il suo consumo di massa.

D’Annunzio, influenzato dall’estetismo decadente, progetta la sua vita come al pari di un’opera artistica.

Il suo motto rappresenta perfettamente l’elemento contraddittorio tra vita e arte:

Il voler proporsi come vita inevitabile comporta il volersi porre come modello, voler suscitare una
forma di imitazione.

L'identificazione con il superuomo nasce da una lettura di Nietzsche assai parziale e forzata e porta
D’annunzio a puntare sulla creazione di questo vivere inimitabile, disprezzando la vita comune.

Gabriele d'Annunzio nasce a Pescara il 12 marzo 1863

Si trasferisce nel 1891 a Roma conducendo una vita sontuosa e sempre pronta allo scandalo. I suoi amori
tempestosi e volubili offrono fra l'altro materia a un pettegolezzo tutt'altro che scoraggiato dal poeta:

I principi ribellistici caratteristici di D’Annunzio

 da una parte sono mossi dalla volontà di rompere il senso comune borghese
 D’all’altro ad una forma di fascinazione e richiesta di approvazione da questo mondo

La spettacolarizzazione continua della propria vicenda biografica costituisce un abile sfruttamento dei nuovi
meccanismi d'informazione creati dalla società di massa, e serve però anche a riproporre in una condizione
del tutto mutata il mito del poeta vate tramontato con l'avvento della società borghese.

Rilanciando tale mito, d'Annunzio rinnova l'idea della poesia come privilegio e come valore assoluto,
facendo nel contempo della propria arte preziosa, e raffinata l'altra faccia di una vita che vuole proporsi
come «inimitabile», L'ammirazione per il poeta si fuse, nel pubblico, con la curiosità verso l'uomo e verso le
sue stranezze, dando origine a un vero e proprio mito di massa.

Alcuni scandali esemplari della sua autobiografia possono essere la finta morte con cui lo scrittore
esordisce, che gli permette di avere risonanza sui giornali. Oppure il passaggio dalla destra alla sinistra

Tutto non per ribellarsi effettivamente al mondo borghese ma per attirarne l’attenzione e la curiosità.

Nel 1894 inizia il rapporto con Eleonora Duse, incontrata a Venezia ne settembre di quell'anno: il dissesto
Finanziario e i debiti ereditati dal padre, morto lo costringono a fuggire e a precipitose e a impegni editoriali
gravosi.

Si trasferisce con la Duse vicino Firenze, dove vive dal 1898 al 1910 e qui compone i primi tre libri delle
Laudi del cielo della terra del mare e degli eroi (Maia, Elettra e Alcyone)

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Nel 1897 si è intanto fatto eleggere deputato, presentandosi con la Destra, per poi passare clamorosamente
nelle fila della Sinistra tre anni dopo.

Dal punto di vista politico l’impegno di D’Annunzio è tradotto anche in una militanza effettiva, egli persegue
una retorica nazionalista e imperialista che a tratti assume sfumature pre-fasciste. In particolare per

 il disprezzo per la democrazia


 Il disprezzo per il mondo operaio
 Sfumature razziste legate al periodo coloniale

Il nazionalismo dannunziano ha alcuni punti in comune con quello di Pascoli, e tuttavia assume
un'inclinazione più individualistica e pomposamente eroica, con aperte concessioni al razzismo.

Nel 1910, costretto dai debiti va in Francia, dove compone (1912) Merope, quarto libro delle Lauda, e dove
rimane in esilio volontario fino al 1915

Dalla Francia manterrà un'assidua collaborazione al «Corriere della Sera», i pezzi per il quale confluiranno in
gran parte nei volumi delle Faville del mago, pubblicati nel 1924 e nel 1928.

Nel 1915, scoppiata la guerra, torna in Italia, schierandosi tra gli interventisti e partecipando ad ardite
imprese terrestri, navali e aeree. Perso l'occhio destro in un incidente aereo, compone nel periodo
d'infermità le prose del Notturno (1916). Animato da fiero spirito, d'Annunzio ritiene la vittoria italiana
mortificata dalla mancata annessione all'Italia della città croata di Fiume, e perciò la occupa di forza nel
1919, istituendovi un governo militare; ma dopo pochi mesi è costretto dalle truppe governative ad
abbandonarla

Muore nel 1938.

D’Annunzio nasce essenzialmente poeta ma la sua produzione si distribuisce equamente tra prosa e poesia.

Le prime vere:
Esordisce giovanissimo all’età di sedici anni pubblicando nel 1979 Le prime vere a spesa del padre.

I testi prendono una forte forma carducciana per la ripresa della metrica barba, questo mostra come a
differenza dello stesso Carducci, D’annunzio non parta da forme classiche per poi sviluppare qualcosa di
nuovo ma parte direttamente con una forma di sperimentazione metrica.

Qui troviamo i temi principali della poetica di D’annunzio;

 La sfera erotica
 La fascinazione magico simbolistica verso la natura che nel suo caso è declinata secondo l’ottica
pagana di declinazione tra umano e natura

Canto novo:
Nel 1882, poco dopo Le prime vere esce Canto novo che presenta diverse riedizioni fino a quella definitiva
del 96 dove interviene pesantemente ridistribuendo i testi della raccolta.

Anche qui è presente la metrica barbara ma vi è u graduale distacco dal paganesimo classicista di Carducci,
D’annunzio abbraccia una forma di paganesimo pienamente classicista arrivando a processi di imitazione,
fino a quasi delle vere e proprie traduzioni, a causa dell’influenza di ciò che accadeva altrove, soprattutto in
Francia (*molto attento al resto della produzione europea)

Intermezzo:

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Nel 1894 viene pubblicata Intermezzo di rime, rintitolata poi come Intermezzo. Questa rappresenta la fase
di passaggio di D’Annunzio che con il trasferimento a Roma comincia una stagione in cui l’elemento
decadente ed estetico trova una rappresentazione nella città stessa. (A differenza della Roma repubblicana
di Carducci)

In questa raccolta i componimenti sono soprattutto legati alla scena erotica, con la presenza anche di scene
molto spinte.

Dal punto di vista formale qui è presente una mistione delle forme con un’accentuazione dell’elemento
sperimentalista: si passa ad una forma nuova di utilizzo della metrica fino a raggiungere all’uso di un verso
libero lungo. L’uso di un verso libero non breve non permette di riconoscere le misure sillabiche della
tradizione italiana e quindi l’uso di accenti non canonici fa si che si sviluppi una metrica libera.

Le elegie romane e le odi navali:


Durante il periodo romano con poca differenza pubblica

 Nel 1892 le elegie romane


 Nel 1893 le odi navali

Quindi lavora insieme alla rappresentazione di:

- un momento di ripiegamento, quello delle elegie romane assemblate sul modello dell'omonimo
precedente goethiano e di nuovo su metri barbari, dominate da un'atmosfera malinconica e dal
tema di un amore al tramonto
- E dall’altro le odi navali che rappresentano un inno verso la flotta marina italiana che si sta
impegnando nella politica imperialistica e nella conquista di nuove terre.

Le elegie romane rappresentano una sorta di preludio del poema paradisiaco

Il poema paradisiaco:
Il poema paradisiaco rappresenta un momento di sospensione da una fase più attiva e volontaristica che
verrà ripreso anche nell’Alcyone.

D’annunzio si apre alle nuove tematiche della bontà e delle aspirazioni evangeliche diffuse in quegli anni
soprattutto per influenza del grande narratore russo Tolstoj.

Esso è un poema unitario che, nel suo disegno complessivo, narra il distacco dalla sensualità e dall'erotismo,
e il riavvicinamento, anche attraverso il ricordo del passato, alla famiglia e ai sentimenti puri dell'infanzia.

Questa visione che D’annunzio dell’infanzia è particolare, ciò che lo caratterizza è l’elemento volontaristico
che lo porta all’affermazione e alla sopraffazione dell’individuo, qui il ritorno alle sorelle e alla madre
coincidono con un ritorno ad una bontà infantile.

Nel Poema paradisiaco viene ripreso e approfondito il tema del ricordo, già anticipato nelle Elegie romane e
inconsueto nella poesia dannunziana. Sono accolti inoltre riferimenti quotidiani e dimessi, particolari
realistici e concreti, che rimandano al vissuto, con l'adeguato accompagnamento di un lessico meno
prezioso ed eletto, più diretto e tuttavia non meno raffinato e letterari.

Per quanto riguarda la forma, rispetto alle opere precedenti la lingua tende a restituire il mondo interiore
diverso rispetto a quello dell’affermazione, in modo più tenue. E’ presente un descrittivismo realista che
successivamente verrà abbandonato per esaltare l’elemento superomistico o quello naturale.

La prosa:

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D’Annunzio guarda anche per quanto riguarda la prosa a ciò che accade per il resto dell’Euoropa.

Esordisce con delle novelle che conoscono diverse edizioni e titoli differenti, finchè non vengono pubblicate
nel 1902 con il titolo Novelle della Pescara. Qui è presente una sorta di imitazione del naturalismo e del
verismo, ma senza l’interessa all’elemento oggettivo. Gli strumenti tipici del verismo come l’impersonalità
vengono piegati in maniera decadente.

Le faville del maglio:


Molto più interessanti soprattutto dal punto di vista formale sono questa sottospecie di proemi in prosa

Proprio il titolo sembra descrivere una funzione laterale del testo, il martello rappresenterebbe il romanzo e
la poesia, mentre le faville queste prose staccate da esse.

Comincia a pubblicare questi testi sul corriere della sera quando si trova a Parigi.

La caratteristica delle opere, simili a dei bozzetti, è il fatto che venga abbandonato il momento
volontaristico: la strumentazione retorico formale viene piegata ad una forma di descrittivismo e interiorità
che lo attraversa anche nella chiave di un’analisi dell’io.

Il notturno:
Il notturno consiste in una serie di prose che D’Annunzio scrive intorno al 1915-1916, in seguito a delle
operazioni militari, si ferisce agli occhi durante un incidente aereo, ne perde uno e per non perdere
completamente la vista è costretto a passare tre mesi al buio.

Aiutato dalla figlia nel periodo di convalescenza scrive in particolare dei momenti angosciosi della guerra, e
un attraversamento della tenebra e dell’interiorità di colui che si era gettato nella guerra in maniera
superomistica.

In questo caso, nonostante sia un elemento che D’Annunzio tenderà sempre a celare già con quest’opera è
evidente il corrispettivo tra il momento superomismo e una segreta angoscia del nulla.

Non a caso dopo le laudi di inizio 900 d’annunzio scriverà pochi testi poetici, che non pubblicherà perché
mettono in forma proprio l’elemento angosciante, di senso del nulla che attraversa la stessa vita di
D’Annunzio.

Il piacere:
Il romanzo simbolo del decadentismo italiano esce nel 1889 e ha come protagonista l’alter ego dello stesso
D’annunzio, Andrea Sperelli, che vive nel modo dell’aristocrazia romana decadente e vive il dissidio tra
amore ed eros.

Giunto a Roma nell’ottobre 1884, Andrea inizia a frequentare i luoghi e le feste più elitarie della capitale.

È in una di queste che conosce Elena Muti, una giovane contessa rimasta vedova con la quale intraprende
ben presto una focosa relazione. Quando però, nel marzo 1885, la donna annuncia ad Andrea di voler
troncare la storia e di aver preso la decisione di andarsene da Roma, questi inizia una vita volta alla
dissoluzione. Fa la conoscenza di Maria Ferres, donna casta e religiosa di cui si invaghisce e che intende ad
ogni costo conquistare.

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Tornata nel frattempo a Roma anche Elena, Andrea decide di fare sue entrambe le donne; ma se con Maria
la strada sembra essere in discesa, la Muti gli resiste, accrescendo in lui il desiderio di possederla.

Così, pur avendo instaurato una intensa relazione con Maria, il giovane Sperelli non fa che pensare ad Elena
e per errore chiama la propria donna con il suo nome. Dopo aver perso Elena, Andrea perde così anche
Maria, restando solo.

La narrazione ha inizio nel momento in cui rivede Elena dopo i due anni di lontananza e il resto viene
narrato tramite dei flashback.

La conclusione nella conclusione del romanzo viene descritto il fallimento dell’esteta:

Il fallimento si consuma nella scena simbolica, mentre Andrea è con Maria pronuncia il nome di Elena.

Maria abbandona Andrea, Elena se n’è andata e Andrea non può che riconoscere il suo fallimento.

Le laudi:
Nel 1899 d'Annunzio torna in grande alla scrittura di versi, nel tentativo di dare corpo al vasto progetto delle
Laudi

Secondo il progetto dell'autore, le Laudi del cielo della terra del mare e degli eroi si sarebbero dovute
articolare in sette parti, corrispondenti a sette libri diversi chiamati con il nome delle stelle più luminose
delle Pleiadi: Maia, Elettra, Alcyone, Merope, Asterope, Taipete, Celeno.

D’annunzio scriverà i primi tre libri in una fase di intensa scrittura tra la fine degli anni 90 e il 1903, poi
pubblicherà Merope nel 1912 e il quinto libro viene pubblicato ma ormai questo progetto non è possibile
portarlo a conclusione.

Il tema unificante doveva essere quello del viaggio del superuomo attraverso diverse tappe tematiche,
l'ispirazione è ricavata, sul piano biografico, dal viaggio pellegrinaggio dell'autore.

Insieme quello della Grecia classica che attraverserà tutto il progetto delle laudi

- Maia:

Maia fu composta nella primavera del 1903, dopo Elettra e Alcyone

Al superuomo, dotato di una sensibilità e di una vitalità eccezionali, è affidato il messaggio di una vita
nuova, legata all'istinto e in comunione con la natura, oltre che capace di ricollegarsi alle grandi figure della
storia e del mito, rivitalizzandole.

Il poema si apre con la celebrazione dell'eroe greco dei poemi omerici, Ulisse, corrispettivo mitico del
"superuomo" (egli infatti nell' Odissea sfida, viaggiando, l'ignoto) e con l'annuncio della resurrezione del dio
pagano Pan, simbolo della vita, cosmica e della esistenza attiva, gioiosa e sensuale

La conclusione è dedicata al maestro Carducci.

- Elettra:

Elettra, secondo libro delle Laudi, fu pubblicata alla fine del 1903 in unico volume con Alcyone, terzo
libro, datato 1904. Troviamo diversi componimenti articolati in più sezioni in cui si assume la postura di
un canto patriottico nazionalista e imperialista

Nella prima parte si succedono lunghi testi celebrativi, dedicati a figure illustri di eroi che costituiscono
un esempio da riprendere e da continuare

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Poi una vasta sezione è dedicata a Le città del silenzio, in cui si ripercorre il passato delle città italiane
celebrandone la gloria e annunciando la futura rinascita delle virtù nazionali.

Questo si chiude con un omaggio a Pascoli

Alcyone:
Alcyone è il terzo dei sette libri delle Laudi del cielo della terra del mare e degli eroi, un vasto ciclo
poematico compiuto dall'autore solo in parte.

La sua composizione si stende tra il giugno del 1899 e il novembre del 1903, abbracciando dunque poco più
di quattro anni.

Nelle edizioni successive (nel 1908, nel 1927, nel 1931 e nel 1934) vengono introdotti soltanto cambiamenti
marginali, riguardanti in particolare la punteggiatura e l'ortografia. L’unica variante di rilievo interviene sul
titolo, che dall'edizione del 1931 diviene Alcyone anziché Alcione con maggiore allusione alla grecità.

La struttura dell'Alcyone è divisibile in cinque sezioni

Le cinque sezioni sono distinte da specificità tematiche e segnate, a partire dalla seconda, da quattro
ditirambi (tipici componimenti della tradizione classica antica di ambito dionisiaco), preceduti da un testo
breve dal titolo in latino, che ne annuncia il tema.

Ogni sezione è caratterizzata dal riferimento a un momento stagionale e ad un ambiente naturale


paesaggistico. Il libro è aperto da un testo, La tregua, che ha la funzione di raccordare Alcyone ai due libri
precedenti.

Come questi hanno rappresentato l'impegno eroico del superuomo, cosi Alcyone costituisce una tregua, un
momento di riposo e di meritato abbandono alla dimensione della natura e del mito.

Quindi presenta come un testo panico in cui il superuomo prende una sospensione dalla sua attività e dalla
sua volontà di affermazione nella storia e prova questo momento di unione panica con la natura.

Non è un’uscita del superuomo, è un momento necessario ad un ulteriore fase di auto affermazione. Anche
perché il privilegio di contaminarsi panicamente con la natura appartiene allo stesso superuomo.

Anche l’alcyone è interno alla complessiva ideologia superomistica.

La struttura del testo mantiene quella del viaggio verso diverse tappe marine e delle campagne della
toscana.

Al movimento spaziale si associa quello temporale perché il viaggio su consuma in una stagione, dalla fine
dalla primavera all’autunno che chiude questa tregua del superuomo

Tutto l’alcyone è composto così: a partire dall’elemento panico troviamo i singoli componimenti che sono
una variazione del tema centrale.

1. La prima sezione è ambientata nel paesaggio agreste tra Fiesole e Firenze, nel mese di giugno. I
sette testi che la compongono costituiscono lodi di vari luoghi e piante, nonché delle diverse ore del
giorno, nella suggestione dell'estate in arrivo.
2. La seconda sezione sposta I l'ambientazione in Versilia, una regione della Toscana settentrionale,
che si affaccia sul mare. In essa si svolge la successiva vicenda di Alcyone. Ora l'estate è esplosa: si
realizza dunque la prima celebrazione del rapporto panico con la natura, con cui il soggetto tende a
identificarsi, sciogliendovi la propria identità ovvero assumendo quella dell'intero paesaggio
circostante; è il caso di testi come La pioggia nel pineto e Meriggio

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3. La terza sezione abbraccia sedici testi segnati dall'estate piena e dal tentativo di dare solidità
all’esperienza individuale attraverso il ricorso al mito classico, attualizzato in chiave esistenziale,
quale affermazione del potere panico del superuomo
4. La quarta sezione contiene testi dedicati ancora all'estate culminante e però anche ai primi presagi
autunnali. E’settembre e il sentimento del ripiegamento e della perdita si accompagnano alla
registrazione della fine dell'estate e all’impossibilità di resuscitare il mito nel mondo moderno.
5. Il commiato chiude il libro, rievocando per l'ultima volta i luoghi versiliesi che hanno ospitato il ciclo
stagionale dell'estate

Elementare è già la vicenda narrativa che si può ricavare dal libro: la vicenda di un'estate, perlopiù marina.
Indefiniti restano i tratti specifici che caratterizzano tale vicenda: le figure di donna equivalgono ai
personaggi del mito, egualmente sfuggenti e strumentali; le avventure del protagonista si sovrappongono ai
modelli classici che le ispirano: i luoghi della Toscana sono essi stessi travestiti da Grecia classica e arcaica.

Dalla continua variazione di questi pochi ingredienti si possono ricavare, per chiarezza, tre costanti
tematiche:

1) Lo scambio tra naturale e umano. Come testimoniano i primi due libri delle Laudi l'eroismo del
«superuomo» dannunziano consiste nell' eccezionalità, al cospetto della massa degli altri uomini, verso i
quali egli rivendica un'identità forte e superiore. Al cospetto invece della realtà naturale, il superuomo rivela
la capacità di fondersi in essa, di perdere la propria identità personale, circoscritta e limitata, per assumere
in modo panico l'identità del paesaggio circostante.

Questa fusione può giungere fino alla vegetalizzazione dell'umano: è come se il sistema nervoso del
soggetto lirico si prolungasse nelle fibre delle piante, e la rappresentazione della realtà circostante si
svolgesse secondo quel particolare punto di vista.

2) D'Annunzio rivitalizza il binomio mito-natura (mito come verità naturale e natura come condizione
mitica). Da una parte recupera i grandi miti, maturali della classicità cioè di una cultura precristiana e
premoderna; dall'altra rappresenta la propria vicenda individuale di immersione nella natura in termini
mitici.

3) L'esaltazione della parola dell'arte e della figura del poeta. Ciò che permette di stabilire un nuovo.
contatto tra autenticità interiore dell'io e rivelazione naturale è la parola, la parola poetica. È dunque essa lo
strumento suscitatore del mito, è, anzi, creatore di nuovi

La fusione dell'io nella natura è un progetto estetico: estetismo e panismo sono le due facce della stessa
medaglia, Di qui, infine, l'esaltazione della figura del poeta, sacerdote, o vate, in grado di accedere alla sfera
privilegiata dei significati grazie alla rivisitazione e alla riattualizzazione del mito, altrimenti interdetta.

Gli anni che vedono nascere e definirsi il progetto dell'Alayone, tra il 1899 e il 1903,

sono collocati nella fase più profondamente segnata dall'influenza di Nietzsche su D'Annunzio e dalla
personale assunzione del modello del «superuomo»

L’immersione nella natura, la cancellazione della storia, l'esaltazione della bellezza e della soggettività che
caratterizzano Alcyone non sono separabili dall'aggressività imperialistica, dalla rivendicazione di un
privilegio sociale per il poeta

La capacità dii identificarsi con la natura affermata in Alcyone, è complementare al gesto eroico del
condottiero, alla superiorità dell'esteta rispetto alla folla cittadina.

Lo stile la lingua e la metrica:

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Benché non manchino metri e forme classici, c'è tuttavia una ricerca di novità di cui dovranno tenere conto
molti, poeti successivi

Lo stile si definisce in larga misura attraverso il ricorso a una materia verbale sovrabbondante e preziosa,
con impiego di un lessico di varia origine letteraria (con non pochi arcaismi), regionale, tecnico-specialistica.

Non poco del virtuosismo lessicale dannunziano si appoggia a consultazioni e a prelievi anche puntuali e
larghi, spesso individuati con sicurezza dagli studiosi

A livello, metrico, conta la capacità di impiegare in prospettiva nuova i metri della tradizione, con una ricerca
di sonorità musicali ed estenuate, languide e sensuali. Ma conta ancor più la definizione di forme
tipicamente novecentesche, come il verso libero.

Dal punto di vista tecnico l’intento panico viene restituito attraverso la mimesi sonora della natura con rime
ma anche con numerose assonanze, da un uso insistente del sistema della ripetizione fino a strategie più
sottili come partire con un aggettivo sdrucciolo prima del termine di paragone che danno una ritmicità
insistita a tutto il testo.

Se la pioggia del pineto rappresenta il momento di riflessione sulla poesia con una sorta di delicatezza della
naturalizzazione del poeta e della sua amata, in Meriggio viene descritto in maniera superomistica una
forma di affermazione graduale della potenza dell’eroe panico.

Testo in cui si trova il graduale passaggio da una forma di descrittivismo neutro che man mano si carica di
simbolistici e panici fino ad arrivare all’affermazione del superuomo

4 strofe di versi liberi simmetriche a 2 a 2

Nelle prime due strofe descrive il paesaggio delle coste marine toscane, nella prima parte vediamo il
soggetto che nomina gli elementi del paesaggio che attraversa

Nelle altre due la rappresentazione della dispersione del soggetto nella natura, in un punto temporale
preciso, l’estate. Nel momento apicale dell’estate, che trova all’interno del giorno un altro momento apicale
quello del meriggio, massima espressione del calore solare.

Questo momento coincide con il momento in cui il soggetto perde il nome segno massimo di
spersonalizzazione, gli stessi elementi del paesaggio perdono nome fino all’apoteosi finale in cui il soggetto
coincide completamente con l’ora naturale del meriggio. Fino a riconoscere in questo momento panico nella
natura lo stesso soggetto superomistico. Chiude con l’ultimo verso staccato dal resto delle strofe.

Il momento panico superomistico ha un latente fallimento di questa strategia e da questo punto di vista un
altro testo celebre che va verso la chiusura dell’Alcyone è i pastori, testo autunnale che apre il momento di
ripiegamento e del riconoscimento dell’impossibilità di essere totalmente immesso nei meccanismi della
natura, dove troviamo una diversa strategia formale perché questo ricordo della transumanza sancisce
l’idea che il momento panico è un’illusione.

Qui troviamo strofe di endecasillabi, struttura più regolare con una strategia sonora in funzione di una
meditazione nostalgica rispetto ad un mondo percepito lontano

Le quattro strofe descrivono il cammino dei pastori che scendono verso l’adriatico, rappresentati come esuli
sia letteralmente perché devono spostarsi dalle terre natie, sia perché è esule lo sguardo del poeta che
guarda perché sancisce con l’autunno l’esilio dalla natura e quindi il fallimento della strategia panica.

L’impossibilità del mito del mondo moderno è preannunciato da una serie di simboli e ribadito nel finale.

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La conclusione malinconica di Alcyone, gioca sul sentimento della perdita e sulla condizione dell'esule:
perdita della pienezza panica e mitica, esilio da quella «patria dell'anima» cioè luogo di pienezza esistenziale
e di identità certa, che per i moderni è irrimediabilmente divenuta impossibile.

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