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328/3 • Concorso Istruttore e Istruttore Direttivo Contabile a n e
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negli Enti Locali - Area Economico Finanziaria Categorie C e D o
Gruppo Editoriale Simone
328/3
Concorso Istruttore e Istruttore Direttivo Contabile
Area economico-finanziaria
ENTI LOCALI categorie C e D
Manuale completo
cui si rinvia per lo studio delle altre materie.
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Nozioni introduttive
Sommario: 1. Il rapporto giuridico. - 2. Vicende del rapporto giuridico. - 3. Le situazioni soggettive attive. - 4. Le situa-
zioni soggettive passive. - 5. Classificazione dei diritti.
1 Il rapporto giuridico
Si definisce rapporto giuridico la relazione tra due o più soggetti, regolata dal diritto.
Nell’ambito del rapporto giuridico si distinguono:
— il soggetto attivo, che è colui al quale l’ordinamento giuridico attribuisce determinati poteri (diritti soggettivi, po-
testà etc.);
— il soggetto passivo, che è colui su cui incombe una soggezione o su cui grava il corrispondente obbligo.
c) Estinzione
Si ha quando il soggetto perde il diritto e a tale perdita non corrisponde l’acquisto da parte di un altro soggetto
(es.: rinunzia ad un diritto).
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I soggetti dell’attività giuridica
Sommario: 1. L’uomo come soggetto di diritto. - 2. La capacità giuridica. - 3. La capacità di agire. - 4. Gli istituti di
protezione degli incapaci: la responsabilità genitoriale; la tutela; la curatela; l’amministrazione di sostegno. - 5. La
sede giuridica della persona. - 6. Le persone giuridiche. - 7. Le vicende delle persone giuridiche. - 8. Le associazioni
non riconosciute. - 9. I comitati. - 10. L’impresa sociale. - 11. Le Organizazioni di volontariato e le ONLUS
2 La capacità giuridica
La capacità giuridica è l’attitudine di un soggetto ad essere titolare di rapporti giuridici, cioè di diritti e doveri.
La capacità giuridica si acquista al momento della nascita con la separazione del feto dal corpo materno, purché
tale feto sia «vivo».
Benché l’acquisto della capacità giuridica coincida, per la persona fisica, con la nascita, la legge riconosce eccezionalmente
alcuni diritti a soggetti non ancora venuti ad esistere, subordinatamente all’evento della nascita:
— ai nascituri concepiti la legge riconosce la piena capacità di succedere a causa di morte (art. 462, 1° comma) e la capacità di
ricevere per donazione (art. 784);
— ai nascituri non concepiti la legge riconosce la capacità di succedere a causa di morte ma solo in caso di vocazione testamentaria
(art. 462, 3° comma) e la capacità di ricevere per donazione (art. 784), sempre che si tratti di figli di persone viventi al tempo
della morte del testatore o della donazione.
La capacità giuridica si perde solo a seguito dell’evento naturale della morte del soggetto.
3 La capacità di agire
La capacità d’agire è l’idoneità del soggetto a costituire, modificare o estinguere la propria situazione giuridica.
La capacità d’agire si acquista con il conseguimento da parte della persona fisica della attitudine a curare da sé
i propri affari e interessi.
Il raggiungimento di tale maturità è fissato dal legislatore al compimento degli anni diciotto (cd. «maggiore età»).
La capacità d’agire è limitata o esclusa anche dopo il compimento degli anni diciotto, se un soggetto si trova in
condizioni psicofisiche che lo rendono (in tutto o in parte) incapace di provvedere ai propri interessi ovvero abbia
riportato particolari condanne penali.
b) L’interdizione giudiziale
L’interdizione giudiziale si ha quando colui che si trova affetto da abituale (ovvero permanente) infermità di mente è dichiarato,
con sentenza, incapace di provvedere ai propri interessi.
Con la L. 9-1-2004, n. 6 (v. §4, lett. D) l’interdizione non è più obbligatoria, ma deve essere disposta solo qualora ciò si riveli
necessario ai fini dell’adeguata protezione dell’incapace.
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Dalla sentenza di interdizione deriva l’incapacità totale di porre in essere, da parte dell’interdetto, negozi patrimoniali e familiari.
Tale principio, tuttavia, a seguito dell’emanazione della L. 9-1-2004, n. 6 (v. infra par. 4) non è più inderogabile: la nuova for-
mulazione dell’art. 427 c.c. prevede infatti che il giudice, nella sentenza che pronuncia l’interdizione, possa dispensare l’incapace
dall’intervento o dall’assistenza del tutore per il compimento di taluni atti di ordinaria amministrazione.
Sulla base della sentenza di interdizione, il giudice tutelare nomina, con decreto, il tutore definitivo.
Tutti gli eventuali atti giuridici compiuti dall’interdetto posteriormente al provvedimento d’interdizione sono annullabili su
istanza del suo tutore o dei suoi eredi o aventi causa.
La modificazione e la cessazione dell’interdizione si hanno con la:
— revoca dell’interdizione pronunziata con sentenza del tribunale, su istanza delle stesse persone legittimate a chiedere l’interdi-
zione quando viene a mancare totalmente l’incapacità;
— trasformazione dell’interdizione in inabilitazione o in amministrazione di sostegno: che si verifica quando il giudice, nel revocare
l’interdizione, pronunzi l’inabilitazione, ritenendo l’interdetto non più gravemente infermo, ma nemmeno pienamente capace;
ovvero quando il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, ritenga più opportuno applicare l’amministrazione di sostegno (art. 6,
L. 9-1-2004, n. 6).
c) L’inabilitazione
È la parziale incapacità che ricorre nei casi di:
— infermità abituale di mente non grave da cui sia affetto il maggiore di età e che non sia grave al punto da giustificare l’interdizione;
— prodigalità (abitudine di spendere in modo disordinato e smisurato in relazione alle condizioni economiche del soggetto) o
abuso di bevande alcooliche o di stupefacenti, quando tali pratiche espongono il soggetto o la sua famiglia a grave pregiudizio
economico;
— alcune imperfezioni o menomazioni fisiche, come la sordità o la cecità dalla nascita o dalla prima infanzia, che non siano state
accompagnate da un’educazione correttiva tale da assicurare al soggetto una sufficiente autonomia psico-fisica.
d) L’interdizione legale
L’interdizione «legale» è quella prevista dalla legge (art. 32 c.p.) come pena accessoria per effetto della condanna all’ergastolo
o alla reclusione per un tempo non inferiore ai cinque anni per reato doloso.
L’incapacità dell’interdetto legale concerne tutti gli atti di natura patrimoniale, ma non si estende agli atti aventi carattere
personale o familiare.
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a) La responsabilità genitoriale
L’espressione «responsabilità genitoriale» è quella che meglio definisce i contenuti dell’impegno genitoriale, non più da
considerare come una «potestà» sul figlio minore ma come un’assunzione di responsabilità da parte dei genitori nei confronti
del figlio.
Essa dovrà essere esercitata tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio.
b) La tutela
La tutela assolve una funzione di interesse pubblico, quale è quella di garantire la protezione dei minori (qualora entrambi i
genitori siano morti o non possono esercitare la responsabilità) e degli interdetti.
Alla funzione tutoria sovraintende il giudice tutelare che provvede alla nomina del tutore e del protutore.
Ai sensi dell’art. 357 il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili suscettibili di rappresentanza,
ne amministra i beni.
c) La curatela
La curatela ha lo scopo di proteggere gli interessi di coloro che sono affetti da una parziale incapacità (inabilitati, minori emancipati).
Il curatore assiste l’incapace integrando la sua volontà.
L’inabilitato (o il minore emancipato) può compiere da solo gli atti di ordinaria amministrazione e quelli cui sia stato autorizzato
dal giudice nella sentenza di inabilitazione (art. 9, L. 6/2004); mentre per gli atti di straordinaria amministrazione è richiesta l’assi-
stenza del curatore e l’autorizzazione del giudice competente.
d) L’amministrazione di sostegno
Al fine di tutelare le persone prive in tutto o in parte di autonomia, il legislatore ha introdotto, con la L. 9-1-2004, n. 6 (in vigore
dal 19-3-2004), l’istituto dell’amministrazione di sostegno, apportando le opportune modifiche alle rigide e talvolta obsolete di-
sposizioni del codice civile in materia di interdizione e di inabilitazione, le quali escludono del tutto ovvero limitano fortemente la
capacità d’agire.
Per effetto della nuova disciplina, colui il quale sia incapace di provvedere ai propri interessi a causa di infermità ovvero di me-
nomazione fisica o psichica (dipendente da alcolismo, tossicodipendenza, ma anche dall’età avanzata, dal disagio psicofisico di uno
stato di degenza o dalla condizione di detenuto), pur non versando dunque in stato di «abituale infermità di mente», può ricorrere
al giudice tutelare affinché nomini con decreto un «amministratore di sostegno» indicato dal beneficiario ovvero, in mancanza o in
presenza di gravi ragioni che impongano una diversa designazione, scelto dal giudice nell’interesse esclusivo del beneficiario stesso.
Possono proporre ricorso (eventualmente congiunto all’istanza di revoca dell’interdizione o inabilitazione) anche il minore, l’interdetto
o l’inabilitato, ovvero per lui uno dei soggetti indicati dall’art. 417.
A differenza dell’interdetto (il quale non può donare alcunché, né fare testamento, né unirsi in matrimonio etc.), il beneficiario
dell’amministrazione di sostegno conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la necessaria rappresentanza o
l’assistenza dell’amministratore di sostegno. Quest’ultimo, per converso, nel provvedere alla cura ed agli interessi dell’assistito ha
l’obbligo di informarlo tempestivamente degli atti da compiere. Gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione delle
disposizioni dettate dalla legge, ovvero oltrepassando i limiti fissati dal giudice nel conferimento dell’incarico, o che siano comun-
que in contrasto con l’interesse del beneficiario, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno medesimo,
del pubblico ministero, del beneficiario e degli eredi o aventi causa di quest’ultimo. Parimenti annullabili sono gli atti compiuti dal
beneficiario personalmente in violazione della legge o delle prescrizioni del giudice.
a) La dimora
È il luogo nel quale il soggetto si trova occasionalmente; ha scarso rilievo giuridico e viene presa in considerazione
solo quando non si conosca la residenza, per la notifica di alcuni atti giudiziari.
b) La residenza
La residenza implica l’effettiva e abituale presenza del soggetto in un dato luogo, quindi il luogo di abituale dimora
(art. 43). La residenza può essere scelta e mutata liberamente, ma il trasferimento deve essere denunciato nei modi
prescritti dalla legge.
c) Il domicilio
È il luogo ove il soggetto stabilisce la sede principale dei propri affari ed interessi (art. 43).
Non è necessario che il soggetto, di fatto, dimori nel luogo di domicilio. Mentre possono aversi più residenze, il
domicilio generale (cioè il centro principale degli affari ed interessi) di un soggetto deve essere solo uno.
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Per le persone giuridiche (v. paragrafi seguenti) non si parla di domicilio, ma di sede.
La legge 94/2009 (cd. Pacchetto sicurezza) nel modificare la disciplina delle anagrafi della popolazione residente, ha stabilito che
la persona che non ha fissa dimora si considera residente nel comune dove ha fissato il proprio domicilio, in mancanza di questo
si considera residente nel comune di nascita.
6 Le persone giuridiche
Per persona giuridica si intende quel complesso organizzato di persone e beni, preordinato ad uno scopo lecito,
socialmente rilevante al quale l’ordinamento giuridico riconosce la qualifica di soggetto di diritto.
Le persone giuridiche si distinguono in:
— corporazioni. È tale il complesso organizzato di persone fisiche aventi uno scopo comune (determinabile e lecito);
Le corporazioni, in particolare, si distinguono in:
— associazioni (in senso stretto): se il loro scopo principale non è di natura prettamente economica (es.: culturale, sportivo,
politico);
— società: se perseguono uno scopo lucrativo (società di capitali) o mutualistico (società mutualistiche).
— istituzioni. È tale il complesso organizzato di beni diretto a perseguire uno scopo (determinabile e lecito).
Le istituzioni si distinguono in:
— fondazioni, caratterizzate dalla destinazione di un patrimonio privato ad un determinato scopo di pubblica utilità (assisten-
ziale, culturale, scientifico);
— comitati, generalmente costituiti per la raccolta di fondi vincolati ad una finalità determinata.
Inoltre le persone giuridiche si distinguono, secondo la natura dello scopo che perseguono, in:
— persone giuridiche pubbliche che svolgono attività di interesse pubblico (generale);
— persone giuridiche private che svolgono attività di interesse privato.
Elemento essenziale per far acquisire la personalità giuridica ai suddetti enti è l’iscrizione nel registro delle persone
giuridiche, iscrizione che comporta il loro riconoscimento (art. 1, D.P.R. 361/2000).
Il valore pratico della personalità giuridica conseguente al riconoscimento viene principalmente individuato
nell’autonomia patrimoniale dell’ente e nella limitazione di responsabilità assicurata ai singoli: le persone giuridiche
godono di autonomia patrimoniale perfetta per il fatto che il patrimonio della persona giuridica rimane nettamente
distinto dal patrimonio dei suoi componenti.
Le persone giuridiche godono di una «capacità illimitata e generale» affine a quella delle persone fisiche; in relazione alla loro
particolare natura, però, l’ordinamento non riconosce ad esse quei diritti strettamente attribuibili alle sole «entità fisiche» e cioè:
— nel campo dei diritti personali: la persona giuridica essendo priva di un organismo fisico, non può far valere le situazioni e i diritti
derivanti dalla vita familiare (come l’uso, l’abitazione, i diritti alimentari etc.). Tuttavia ha diritto al nome, ha una sede giuridica
etc.;
— nel campo dei diritti patrimoniali: il limite principale era costituito dalla necessità di un’autorizzazione governativa (art. 17) per:
— acquisto di immobili a titolo oneroso o gratuito;
— accettazione di eredità e conseguimento di legati (aventi ad oggetto mobili ed immobili).
L’art. 17 della L. 127/1997, nell’ambito del progetto di semplificazione della procedura della pubblica amministrazione nei
rapporti con i privati, ha abrogato l’art. 17 del codice civile che sottoponeva gli acquisti di immobili, l’accettazione di eredità e
il conseguimento dei legati da parte delle persone giuridiche all’autorizzazione amministrativa. Questa, dunque, operava come
condizione sospensiva di efficacia dell’atto di acquisto. Inoltre, la L. 191/98 (cd. Bassanini ter) ha stabilito che l’autorizzazione
governativa non è più necessaria per l’alienazione di immobili da parte delle persone giuridiche.
Le persone giuridiche hanno piena capacità di agire; tuttavia esse non sono idonee, per loro natura, a formare
ed esprimere una loro volontà se non attraverso persone fisiche: gli amministratori, che si configurano quali «organi»
della persona giuridica, la cui volontà è quella stessa dell’ente.
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9 I comitati
Il «comitato» è un ente di fatto più circoscritto delle associazioni non riconosciute; esso è composto da un
gruppo di persone che, attraverso un’aggregazione di mezzi materiali, si propone il raggiungimento di uno scopo,
generalmente nell’interesse pubblico, e all’uopo cerca contributi per mezzo di pubbliche sottoscrizioni o inviti
a offrire.
Il «fondo» del comitato si costituisce con le offerte (oblazioni) dei singoli sottoscrittori. Il comitato che ottiene il
pubblico riconoscimento si trasforma automaticamente in fondazione a causa della prevalenza dell’elemento patrimo-
niale su quello personale.
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— Imprese sociali
Il Codice del Terzo settore rinvia per la disciplina al D.Lgs. 3-7-2017, n. 112 (come successivamente modificato e
integrato, in particolare dal D.Lgs. 95/2018) dove sono confluite le norme contenute nel D.Lgs. 24-3-2006, n. 155,
con il quale per la prima volta, nel nostro ordinamento, il concetto di impresa è stato sganciato dal necessario
conseguimento di un profitto, essendo ammissibile la costituzione di un’impresa senza fine di lucro, vale a dire
di enti imprenditoriali privi del carattere lucrativo tipico dell’impresa commerciale, che viene sostituito dalla
finalità di utilità sociale e di interesse collettivo.
Possono acquisire la qualifica di impresa sociale: le organizzazioni private, comprese le società, che esercitano un’attività
economica organizzata per la produzione e lo scambio di beni e servizi e servizi di utilità sociale in possesso dei requisiti fissati
dalla legge, nonché le imprese che esercitano attività finalizzata all’inserimento lavorativo di soggetti lavoratori svantaggiati
o disabili.
Le attività esercitabili sono simili a quelle degli ETS ma non coincidono (vi è compreso, ad es., il microcredito). Inoltre è ammessa
la possibilità di una limitata distribuzione degli utili.
Alle imprese sociali si applicano, in quanto compatibili, le norme del codice del Terzo settore.
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L’attività giuridica
Sommario: 1. I fatti e gli atti giuridici. - 2. Prescrizione e decadenza. - 3. Il negozio giuridico. - 4. La rappresentanza. - 5.
La patologia del negozio giuridico. - 6. Pubblicità e trascrizione.
2 Prescrizione e decadenza
La prescrizione (artt. 2934 e ss.) può esser definita come la perdita del diritto soggettivo per effetto dell’inerzia o
del non uso da parte del titolare di esso protrattosi per un periodo di tempo determinato dalla legge.
Non tutti i diritti sono soggetti a prescrizione; sono infatti imprescrittibili: il diritto di proprietà; i diritti della per-
sonalità (es. diritto al nome); i diritti di stato (es.: diritto di cittadinanza); le potestà di diritto familiare; altri particolari
diritti indicati dalla legge.
La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere (art. 2935 c.c.).
Quanto alla durata (cioè al termine necessario perché la prescrizione maturi) occorre distinguere tra:
— prescrizione ordinaria che si realizza col decorso di dieci anni, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente;
— prescrizione dei diritti reali su cosa altrui (es.: superficie, enfiteusi, usufrutto, servitù prediali etc.) che si realizza
col decorso di venti anni;
— prescrizioni brevi che si realizzano col decorso di un periodo di tempo più breve dei dieci anni. Così, ad esempio, il
diritto al risarcimento dei danni prodotti dalla circolazione dei veicoli si prescrive in due anni;
— prescrizioni presuntive, in base alle quali il decorso del tempo determina la nascita, a favore del debitore, di una
presunzione legale di pagamento e, quindi, di estinzione dell’obbligazione, trattandosi di rapporti rispetto ai quali
l’adempimento suole avvenire senza dilazione o, comunque, in tempi brevi. Le prescrizioni presuntive si sostanziano
in una presunzione che ammette come unica prova contraria il giuramento decisorio.
La prescrizione presuppone un’inerzia ingiustificata del titolare del diritto, pertanto, se l’inerzia è giustificata, si ha
sospensione della prescrizione (art. 2941) (es.: un militare richiamato al fronte non può esercitare un proprio diritto);
se, invece, l’inerzia viene a mancare in quanto il titolare compie un atto di esercizio del diritto si ha interruzione della
prescrizione (art. 2943) (es.: messa in mora del debitore).
Anche la decadenza (art. 2964 e ss.), come la prescrizione, è un istituto collegato al decorso del tempo: essa, infatti,
si sostanzia nella perdita della possibilità di esercitare un diritto per il mancato compimento di una determinata attività,
o di un dato atto, nel termine perentorio previsto dalla legge.
La prescrizione, dunque, estingue il diritto; la decadenza, invece, annulla e impedisce l’azione, cioè l’esercizio del diritto.
Da ciò deriva che:
— non trovano applicazione, in materia di decadenza, la sospensione e la interruzione;
— l’unico modo per evitarla è il compimento dell’atto nel termine e con le modalità previste dalla legge.
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3 Il negozio giuridico
Il negozio giuridico è la manifestazione di volontà diretta ad uno scopo pratico che consiste nella costituzione, modi-
ficazione o estinzione di una situazione giuridicamente rilevante.
Esso è, dunque, un atto giuridico, lecito, consistente in una dichiarazione di volontà diretta a produrre determinati
effetti giuridici.
A seconda del numero delle parti che pongono in essere il negozio si distinguono:
a) negozi unilaterali: ossia quelli provenienti da una sola parte;
b) negozi bilaterali: sono quelli che risultano da dichiarazioni di volontà provenienti da due parti e producono effetti per entrambe
(es.: mutuo);
c) negozi plurilaterali: sono quelli che risultano da manifestazioni di volontà provenienti da più parti e producono effetti per tutte
le parti (es.: contratto di società).
In relazione alla natura dei rapporti, si distinguono:
a) negozi non patrimoniali che generalmente attengono alla sfera dei rapporti familiari;
b) negozi patrimoniali: che riguardano rapporti economicamente valutabili.
In relazione al corrispettivo distinguiamo:
a) negozi onerosi o a titolo oneroso, quando all’attribuzione in favore di un soggetto faccia riscontro un corrispettivo a carico dello
stesso (es. compravendita);
b) negozi gratuiti o a titolo gratuito, quando manchi tale corrispettivo.
In relazione all’evento «morte», infine, si distinguono:
a) negozi mortis causa (a causa di morte): quelli in cui la morte costituisce il presupposto per la loro efficacia (es. testamento);
b) negozi inter vivos (fra vivi): tutti gli altri negozi.
Primo e fondamentale elemento del negozio è la volontà, che per poter assumere rilevanza giuridica deve esser
dichiarata. Tuttavia, può verificarsi una divergenza tra la volontà dichiarata e la volontà interna.
In particolare distinguiamo le seguenti situazioni:
a) Casi di mancanza di volontà: cioè casi in cui è emessa una dichiarazione senza che vi sia la volontà effettiva:
— dichiarazioni non serie: si tratta delle dichiarazioni fatte durante una rappresentazione (es.: teatrale) o emesse a scopo
didattico (si pensi alla stipulazione di un contratto a titolo di esempio), o per scherzo. Non hanno alcun valore;
— violenza fisica: ricorre quando un soggetto emette una manifestazione di volontà negoziale perché costretto a viva forza
da un altro soggetto. Un negozio concluso in queste condizioni è assolutamente nullo (o addirittura inesistente) in quanto
manca del tutto la volontà.
b) casi di divergenza tra volontà e dichiarazione: quando vi è una volontà ma non corrispondente a quella dichiarata:
— riserva mentale: quando il soggetto intenzionalmente dichiara una cosa diversa da quella che vuole; non ha alcuna con-
seguenza ed il negozio è perfettamente valido ed efficace;
— errore ostativo:è l’errore del dichiarante che cade: sulla dichiarazione (es.: dico 100 e volevo 1.000), oppure: sulla trasmis-
sione della dichiarazione stessa (es.: volevo telegrafare « 10» ma per errore l’addetto al telegrafo trasmette «100»).
Il negozio viziato da errore ostativo è annullabile, come diremo riguardo all’errore in generale (vedi infra);
— simulazione: si ha quando le parti, d’accordo tra loro, pongono in essere dichiarazioni difformi dall’interno volere.
La simulazione può essere relativa se le parti vogliono un negozio diverso, assoluta se le parti non vogliono alcun negozio.
Quanto all’efficacia fra le parti, in caso di simulazione relativa vale il negozio dissimulato, in caso di simulazione assoluta il
negozio simulato non produce alcun effetto.
La volontà può essere viziata. Sono «vizi della volontà» quegli elementi che alterano il processo formativo della
volontà fuorviandola e determinandone una formazione anormale. In presenza di un vizio la volontà nasce «malata»,
in quanto a causa dell’incidenza del vizio, il soggetto ha posto in essere un atto che altrimenti non avrebbe compiuto.
I vizi della volontà cui la legge attribuisce rilevanza sono: l’errore, il dolo, e la violenza. Tali vizi non producono quale
conseguenza la nullità, bensì l’annullabilità, e legittimano i soggetti interessati all’impugnativa del negozio nel termine
prescritto dalla legge (cinque anni).
a) L’errore (artt. 1428-1433)
L’errore è la falsa rappresentazione della realtà cui è equiparata l’ignoranza.
L’errore può cadere sulla dichiarazione o sulla trasmissione (errore ostativo) o influire sul procedimento di formazione della vo-
lontà (errore vizio); può riguardare circostanze di fatto (errore di fatto) o cadere sull’esistenza di una norma (errore di diritto).
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L’errore, inoltre, deve essere essenziale (relativo ad una qualità o ad un elemento necessario del negozio) e riconoscibile
(quando una persona di normale diligenza avrebbe potuto rilevarlo).
b) La violenza (artt. 1434-1438)
La violenza morale consiste nella minaccia di un male ingiusto e notevole posta in essere al fine di determinare un soggetto a
compiere un negozio.
c) Il dolo (artt. 1439-1440)
Il dolo consiste negli artifizi e raggiri posti in essere per ingannare un soggetto allo scopo di determinarlo a compiere un negozio
che non avrebbe compiuto o avrebbe compiuto in modo diverso.
Altro elemento essenziale del negozio giuridico è la causa; essa è la funzione economico-sociale del negozio da
intendersi come sintesi degli interessi reali che il contratto è diretto a realizzare, la cui mancanza o illiceità produce
la nullità del negozio.
Per quanto riguarda l’oggetto nei negozi «patrimoniali», esso deve essere possibile, lecito, determinato o determi-
nabile.
La forma è il mezzo con cui si manifesta la volontà negoziale.
La manifestazione può essere:
— espressa, se si attua con parole, scritti, cenni etc., cioè con qualunque mezzo che renda palese agli altri il pensiero;
— tacita, se consiste in un comportamento che sarebbe incompatibile, secondo il comune modo di pensare e di agire,
con una volontà diversa.
Nel nostro ordinamento vige il principio della libertà della forma.
In alcuni casi, però, l’ordinamento subordina la validità del negozio all’uso di una forma determinata (atto pubblico
o scrittura privata).
Questa forma (ad substantiam), richiesta per alcuni negozi (cd. negozi solenni o formali), rappresenta un onere
per il dichiarante perché, senza la osservanza di essa, non può realizzare l’intento negoziale che intende perseguire.
Infatti, il negozio privo della forma cd. solenne è nullo.
Talora, invece, la forma scritta è richiesta dalla legge solo per la prova del negozio (cd. forma ad probationem). In
tal caso, la mancata osservanza dell’onere formale non influisce sulla validità del negozio, ma solo sulla possibilità di
provarlo.
La problematica relativa alla forma degli atti giuridici, e dei contratti in particolare, si è dovuta inevitabilmente adeguare alle
novità imposte dalla evoluzione tecnologica e, soprattutto, dalla cd. rivoluzione telematica. Ha fatto così la sua comparsa il cd.
documento informatico, cioè la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti, che il legislatore ha
tempestivamente provveduto a disciplinare dichiarandone l’efficacia giuridica e probatoria.
Il documento informatico è disciplinato dal D.Lgs. 82/2005 (Codice dell’amministrazione digitale), modificato dal D.Lgs. 217/2017.
In particolare, tale documento soddisfa il requisito della forma scritta ed ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 c.c. quando vi è
apposta una firma digitale (o altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata) o, comunque, è formato,
previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’Agenzia per l’Italia digitale
(AgID) con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e la sua riconducibilità all’autore.
In tutti gli altri casi, l’idoneità del (—) a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente
valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche del documento. Le Linee guida, emanate dall’AgID, disciplinano le regole tec-
niche per la formazione, per la trasmissione, la conservazione e la copia dei documenti informatici.
Inoltre vi sono alcuni elementi del negozio giuridico che non sono essenziali ma possono essere liberamente apposti
dalle parti (elementi accidentali). Essi sono:
a) la condizione: consiste in un avvenimento futuro ed incerto; deve essere possibile e lecita.
Riguardo agli effetti distinguiamo:
— condizione sospensiva: è quella da cui dipende l’inizio di efficacia del negozio (es.: ti regalo l’orologio se ti laurei);
— condizione risolutiva: è quella da cui dipende la cessazione degli effetti del negozio (es. ti regalo l’orologio, ma se sarai
bocciato, dovrai restituirlo).
Non tutti i negozi giuridici sopportano l’apposizione di condizioni: esistono, infatti, determinati negozi che, per
loro natura, non tollerano la condizione (es.: il matrimonio, l’accettazione e la rinunzia all’eredità etc.).
La condizione è illecita se contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume (art. 1354).
La condizione illecita:
— negli atti tra vivi rende nullo il negozio, sia essa sospensiva o risolutiva;
— negli atti di ultima volontà si ha per non apposta, tranne che risulti come motivo unico della disposizione, per cui l’atto
rimane perfettamente efficace.
La condizione deve essere possibile; l’impossibilità può essere fisica (es.: se tocchi il cielo con un dito) o giuridica
(es.: se mi vendi un bene demaniale).
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La condizione impossibile:
— negli atti tra vivi se è sospensiva rende nullo il negozio, se è risolutiva si considera non apposta;
— negli atti di ultima volontà, si ha per non apposta, sia essa sospensiva o risolutiva.
b) il termine: può definirsi un avvenimento futuro e certo dal quale le parti fanno dipendere l’inizio o la cessazione
degli effetti del negozio giuridico.
Il termine di efficacia da cui si fanno dipendere gli effetti del negozio, può essere:
— iniziale se indica il momento dal quale debbono prodursi gli effetti del negozio;
— finale se indica il momento fino al quale debbono prodursi gli effetti del negozio.
Come per la condizione vi sono alcuni negozi che non tollerano l’apposizione di un termine (es. disposizioni testa-
mentarie a titolo universale);
c) il modo: è una clausola accessoria che si appone solo agli atti di liberalità (istituzione di erede, legato, donazione)
allo scopo di limitarne gli effetti; è, appunto, un onere, cioè un peso imposto al destinatario della liberalità.
Il modo quando è impossibile o illecito si ha per non apposto, sia negli atti di liberalità tra vivi che in quelli mortis
causa, tranne che risulti essere stato il solo motivo determinante della liberalità.
L’impossibilità sopravvenuta del modo libera l’obbligato, in conformità dell’art. 1256; questi, inoltre, non è tenuto
nella esecuzione del modo, oltre il valore di ciò che ha ricevuto.
4 La rappresentanza
La rappresentanza è l’istituto per cui ad un soggetto (rappresentante) è attribuito (dalla legge o dall’interessato)
il potere di sostituirsi ad un altro soggetto (rappresentato) nel compimento di attività giuridica per conto di questo
ultimo e con effetti diretti nella sua sfera giuridica.
La rappresentanza può essere:
— diretta: è la figura vera e propria di rappresentanza, che si ha quando il rappresentante agisce non solo per conto (e cioè nell’in-
teresse) del rappresentato, ma anche nel nome di questo;
— indiretta: si ha quando il rappresentante agisce solo per conto, ma non nel nome del rappresentato;
— legale: trova la sua fonte esclusivamente nella legge e nei soli casi dalla legge previsti: es.: i genitori hanno la rappresentanza
legale dei figli minori di età;
— volontaria: trova la sua fonte esclusivamente nella volontà dei soggetti. Essa è conferita attraverso un apposito negozio, la
procura.
La procura è l’atto con il quale una persona conferisce ad un’altra il potere di rappresentarla. Essa può essere
speciale, se il potere è conferito per porre in essere un singolo e determinato atto; generale, se il potere è conferito
per una serie determinata di atti o per tutti gli atti del rappresentato.
Il rappresentante deve agire nell’interesse del rappresentato (art. 1388). Si ha, quindi, abuso di potere, quando il
rappresentante, pur fornito di potere di rappresentanza, abbia fatto cattivo uso di esso agendo per un fine diverso da
quello per cui il potere era stato conferito, cioè perseguendo un interesse proprio o di terzi in contrasto con gli interessi
del rappresentato.
Si ha eccesso di potere quando il rappresentante abbia oltrepassato i limiti conferitigli con la procura.
Si ha difetto di potere, invece, nel caso del «falsus procurator», del soggetto, cioè, che si sia finto rappresentante
senza averne i poteri.
In questi due casi l’atto compiuto risulta inefficace.
Tuttavia la legge riconosce al rappresentato il potere di far acquistare efficacia al negozio concluso dal rappresen-
tante senza averne i poteri o eccedendo i limiti delle facoltà conferitigli e, pertanto, inefficace, a mezzo della ratifica.
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Il negozio nullo non produce effetti; di conseguenza, se il negozio è stato eseguito, chi ha effettuato la prestazione
ha diritto alla sua ripetizione (art. 2033). Eccezione a tale principio si ha nel caso di negozio immorale.
Si ha conversione del negozio nullo quando quest’ultimo può produrre gli effetti di un negozio diverso, del quale
contenga i requisiti di sostanza e di forma; il suo fondamento si deve ravvisare nel principio di conservazione del negozio.
L’annullabilità è l’altro aspetto che può assumere l’invalidità del negozio e si configura per quei negozi per i quali,
pur essendo difformi dall’ordinamento, la sanzione della nullità sarebbe troppo grave.
Il negozio è annullabile in caso di vizi del consenso (artt. 1427-1440), incapacità legale o naturale della parte (art.
1425) ed in tutti gli altri casi previsti dalla legge.
Il negozio annullabile, finché non viene annullato, produce tutti i suoi effetti.
La convalida è il negozio col quale il soggetto legittimato a proporre l’azione di annullamento dichiara di voler sanare
il vizio del negozio stesso.
La convalida può essere tacita, se consiste nell’esecuzione volontaria del negozio annullabile, fatta nella consa-
pevolezza della sua annullabilità.
6 Pubblicità e trascrizione
La legge prescrive e organizza la pubblicità di alcune categorie di fatti giuridici per soddisfare l’interesse generale a che tali
fatti siano conoscibili da chiunque.
Si distinguono tre forme di pubblicità:
a) la pubblicità-notizia: ha lo scopo di rendere determinati fatti giuridici conoscibili da chiunque, ma la sua omissione, pur potendo
dar luogo a sanzioni pecuniarie o penali, non incide sulla validità e sull’opponibilità ai terzi del fatto che ne costituisce oggetto
(es.: le pubblicazioni matrimoniali);
b) la pubblicità-dichiarativa: ha lo specifico scopo di rendere opponibile ai terzi il fatto giuridico «pubblicizzato»: in sua mancanza,
l’atto resta valido tra le parti ma è inopponibile ai terzi (es.: la trascrizione in ordine ai negozi dispositivi di beni immobili);
c) la pubblicità-costitutiva: si ha quando la pubblicità è un requisito necessario per la costituzione di un rapporto giuridico: es., il
diritto di ipoteca nasce solo con l’iscrizione nei registri immobiliari (art. 2808).
Per i beni mobili, la pubblicità è data dal possesso, in quanto chi possiede un bene mobile si presume che ne sia titolare, e la
consegna dello stesso rende noto ai terzi che il diritto su di esso viene trasferito (pubblicità di fatto); per i beni mobili registrati, ai fini
della pubblicità, è necessaria l’iscrizione in appositi registri (es.: la vendita di un’automobile dev’essere registrata al P.R.A.: Pubblico
Registro Automobilistico); per i beni immobili, infine, è necessaria la trascrizione nei registri immobiliari.
La trascrizione è un mezzo di pubblicità relativo agli immobili ed ai beni mobili registrati che assicura la conoscibilità delle
vicende relative a tali beni.
La sua funzione si ricollega direttamente ad una precisa esigenza di mercato, che è quella della circolazione dei beni nell’am-
bito di una società organizzata, e della conoscibilità di tale circolazione, per cui si sappia in qualsiasi momento, a chi appartiene
un determinato bene.
L’art. 2643 elenca gli atti soggetti a trascrizione. A tal proposito la L. 30/1997 ha previsto la trascrivibilità dei contratti preliminari
che trasferiscono la proprietà di beni immobili o che costituiscono, trasferiscono o modificano diritti reali di godimento su beni im-
mobili inclusi i preliminari di contratti che costituiscono la comunione sui diritti summenzionati (art. 2645bis); mentre il D.L. 70/2011
conv. in L. 106/2011 ha disposto che sono soggetti a trascrizione anche i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i
diritti edificatori (cd. cessione di cubatura), previsti da normative statali o regionali o da strumenti di pianificazione territoriale.
La trascrizione deve essere eseguita presso l’ufficio dei Registri Immobiliari nella cui circoscrizione sono ubicati i beni oggetto
della stessa.
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Le cose e i beni
Sommario: 1. Generalità: concetto di «bene» e di «cosa». - 2. Classificazione dei beni. - 3. I rapporti di connessione tra
le cose. - 4. Le universalità. - 5. I frutti.
1 Da tale definizione si evince che la nozione di bene non coincide con quella di cosa:
— infatti esistono cose che non sono beni e non possono pertanto formare oggetto di diritti; ad esempio l’aria, lo spazio, la luce del sole,
il mare (le cc.dd. res communes omnium);
— d’altro canto vi sono beni che non sono cose (i ccdd. beni immateriali o incorporali), come le opere dell’ingegno.
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4 Le universalità
Accanto alle cose composte ed alle pertinenze sono da considerare le cd. «universalità di mobili»: cioè quel complesso di cose
che appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione unitaria (es.: un gregge, una biblioteca) (art. 816).
Dalla formulazione dell’art. 816 si evincono gli elementi delle universalità:
— una pluralità di cose mobili;
— una destinazione unitaria;
— l’appartenenza al medesimo soggetto.
Le singole cose che compongono l’universalità non perdono, per effetto dell’unitarietà della destinazione, la loro autonomia,
per cui possono formare oggetto di separati atti e rapporti giuridici (art. 816, 2° comma).
Dalla figura dell’universalità di fatto occorre distinguere la cd. universalità di diritto, nella quale una pluralità di rapporti giuridici
autonomi è considerata come complesso unitario dalla legge. In pratica, nella universalità di diritto è la legge (e non il titolare, come
nella universalità di fatto) che considera e regola unitariamente una serie di rapporti giuridici (non cose); esempio più importante
è l’eredità.
5 I frutti
I frutti sono beni che provengono da un altro bene. Essi vengono annoverati tra i beni futuri (allorché non sono venuti ancora
ad esistenza).
I frutti si distinguono in due categorie:
— frutti naturali: sono quelli che provengono direttamente da un altro bene (i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali etc.).
Essi diventano beni autonomi solo con la separazione.
Di regola i frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce (art. 821); tuttavia la proprietà può essere
attribuita ad altri dalla legge (ad esempio all’usufruttuario: art. 984) o in virtù di un atto negoziale. In tal caso la proprietà si
acquista con la separazione;
— frutti civili: sono quelli che si traggono da un bene come corrispettivo del godimento che altri ne abbia (interessi, corrispetti-
vo delle locazioni etc.). Essi si acquistano giorno per giorno, in ragione della durata del diritto (si pensi alla maturazione degli
interessi corrisposti dalla banca).
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I diritti assoluti
Sommario: 1. Premessa. - 2. Il diritto di proprietà. - 3. I modi di acquisto della proprietà. - 4. La difesa della proprietà. -
5. Comunione, condominio e multiproprietà. - 6. Superficie, enfiteusi ed usufrutto. - 7. Uso e abitazione. - 8. Le servitù.
- 9. Possesso e usucapione.
1 Premessa
I diritti assoluti attribuiscono al titolare un potere che questi può far valere indistintamente verso tutti gli altri
soggetti, a carico dei quali sussiste un generico obbligo di non turbare l’esercizio del diritto stesso.
I diritti relativi assicurano al titolare un potere che si può far valere solo verso una o più persone determinate, a
carico delle quali sussiste un obbligo di dare, fare o non fare qualcosa.
La categoria più importante nell’ambito dei diritti assoluti è quella dei diritti reali, i quali riconoscono al titolare
un potere immediato ed assoluto su di un bene determinato. Essi presentano tali caratteri:
— immediatezza: implica una diretta signoria sul bene, senza l’interposizione e la cooperazione di altre persone;
— assolutezza: si fanno valere nei confronti di tutti i terzi (cioè «erga omnes»), sui quali incombe indistintamente un
dovere negativo di astensione in base al quale non possono impedire l’esercizio del diritto al suo titolare;
— tipicità: tutti i diritti reali sono previsti dalla legge: oltre questi, i privati non possono crearne altri («numerus clausus»);
— attribuiscono al titolare il cd. «diritto di sequela» (o diritto di seguito), consistente nel diritto di «inseguire» la cosa
oggetto del diritto per riprenderla da chiunque eventualmente la possegga.
Si distinguono i diritti reali su cosa propria (diritto di proprietà) e i diritti reali su cosa altrui (diritti reali di godimento:
usufrutto, uso, servitù, enfiteusi, abitazione, superficie; diritti reali di garanzia: pegno, ipoteca).
2 Il diritto di proprietà
La proprietà, fra i diritti reali, è quella che consente la più ampia sfera di facoltà, che l’ordinamento riconosce ai
soggetti sulle cose.
La proprietà è il diritto di godere e di disporre di una cosa in modo pieno ed esclusivo, nei limiti e con l’osservanza
degli obblighi fissati dalla legge (art. 832).
Il diritto di proprietà presenta i seguenti caratteri:
a) pienezza: la proprietà, giusto il dettato dell’art. 832, costituisce un diritto che consente al proprietario ogni lecita
utilizzazione del bene.
Nell’ampiezza di questo concetto, si individuano i due poteri (o «facoltà») fondamentali del proprietario:
— il potere di godimento del bene relativo al valore d’uso del bene (cd. utilità «diretta»);
— il potere di disposizione del bene (es.: di alienarlo) relativo al valore di scambio del bene (cd. utilità di scambio);
b) elasticità: anche quando i poteri del proprietario sono limitati dall’esistenza di un diritto reale altrui, il diritto di
proprietà (che in tali casi è detta «nuda proprietà») rimane potenzialmente integro: infatti, non appena viene meno
il vincolo che la comprime, la proprietà riprende automaticamente la sua ampiezza primitiva;
c) autonomia ed indipendenza: il diritto di proprietà (a differenza dei diritti reali limitati) non presuppone mai l’esi-
stenza di un parallelo diritto altrui di portata maggiore;
d) perpetuità (carattere discusso);
e) imprescrittibilità: la proprietà non si può perdere per «non uso», bensì soltanto per usucapione, cioè per il possesso
prolungato del bene per un certo periodo di tempo, da parte di un altro soggetto.
I limiti posti dalla legge al diritto di proprietà possono essere di due categorie, secondo la finalità da soddisfare:
a) limiti posti nell’interesse pubblico
— l’espropriazione per pubblica utilità, che è il provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione priva un
soggetto del diritto di proprietà o di un altro diritto reale su un bene immobile trasferendolo a sé, dietro paga-
mento di una giusta indennità;
— la requisizione: provvedimento con il quale la Pubblica Amministrazione acquisisce temporaneamente diritti
altrui (proprietà, uso) per soddisfare un bisogno pubblico.
b) limiti posti nell’interesse privato
— concernono la proprietà immobiliare e regolano i rapporti tra proprietà vicine («diritti e doveri di vicinato»).
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La L. 20-11-2017, n. 168 ha istituito la figura giuridica dei domini collettivi e li riconosce, qualunque sia la loro denominazione,
come ordinamento giuridico primario delle comunità originarie (in attuazione degli artt. 2, 9, 42, secondo comma, e 43 Cost.). Con
il termine dominio collettivo si indica la situazione giuridica di una determinata estensione di terreno, di proprietà sia pubblica
che privata, oggetto di godimento da parte di una collettività determinata, abitualmente per uso agro-silvo-pastorale.
I (—) riguardano tradizionalmente i beni oggetto del diritto di uso civico, il cui contenuto consiste nel trarre utilità (generalmente
raccolta di legna, uso di acque, semina, pascolo, caccia etc.) da terre pubbliche o private per il perseguimento di finalità di interesse
generale. Il regime giuridico dei beni è quello dell’inalienabilità, dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione
agro-silvo-pastorale; su tali beni è inoltre imposto il vincolo paesaggistico.
c) Accessione
L’accessione si verifica quando una proprietà preesistente (es.: suolo) attira nella sua orbita altre cose che prima
ne erano estranee (es.: alberi o costruzioni), ciò a prescindere dal concreto esercizio di una volontà di appropriarsene
del soggetto, che può, pertanto, diventare proprietario delle nuove cose anche senza saperlo. Tale acquisto si verifica
sempre a favore del proprietario della cosa principale.
d) L’usucapione (si rinvia al §9).
I modi di acquisto a titolo derivativo sono:
a) Contratti traslativi della proprietà (es.: compravendita).
b) Trasferimenti coattivi (es.: espropriazione).
c) Successione a causa di morte.
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Può definirsi come quell’azione con cui il proprietario tende a far dichiarare l’inesistenza dei diritti affermati da
altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio, o a far cessare le turbative o le molestie che altri arrechi al
suo diritto (art. 949).
c) L’azione di regolamento di confini
Può definirsi come l’azione mediante la quale ciascuno dei proprietari di un fondo confinante può chiedere che sia
stabilito giudizialmente il confine tra i due fondi, quando tale confine sia obiettivamente incerto.
d) L’azione per apposizione di termini
Può essere definita come l’azione con cui ciascuno dei proprietari limitrofi può chiedere, quando sia certo il confine
dei fondi, che siano posti o ripristinati, a spese comuni, i segni materiali e tangibili di tale confine, che precedentemente
mancavano o erano divenuti irriconoscibili.
Nella prassi contrattuale si è recentemente molto diffusa la multiproprietà immobiliare in zone turistiche, che
ricorre quando lo stesso immobile (o, di solito, la stessa frazione di un complesso residenziale) viene separatamente
alienato a più soggetti. A ciascuno è attribuito il diritto (trasmissibile) di godere di quella frazione immobiliare in modo
esclusivo, ma per periodi di tempo limitati, a turno con gli altri proprietari della medesima frazione immobiliare sulla
quale viene impresso un duplice vincolo di destinazione (turistica) e di indivisibilità.
Attualmente la multiproprietà è disciplinata dal D.Lgs. 6-9-2005, n. 206, recante il Codice del consumo (da ultimo
modif. ex D.Lgs. 79/2011, Codice del turismo).
L’art. 69 del D.Lgs. 206/2005 definisce la multiproprietà come il contratto di durata superiore a un anno tramite il quale un
consumatore acquisisce a titolo oneroso il diritto di godimento su uno o più alloggi per il pernottamento per più di un periodo di
occupazione.
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In omaggio al principio di trasparenza, è previsto (art. 70) l’obbligo per il venditore di predisporre e consegnare a chiunque
richieda informazioni relative all’immobile un documento informativo i cui elementi non possono essere modificati se non da
circostanze indipendenti dalla sua volontà, tuttavia dopo la consegna del documento le parti possono accordarsi per modificarle.
Ai sensi dell’art. 72, il contratto di multiproprietà deve essere redatto per iscritto a pena di nullità o su altro supporto durevole
facilmente accessibile al consumatore.
Di regola, tuttavia, l’acquirente deve esercitare il diritto di recesso entro 14 giorni, peraltro senza dover specificare i motivi e senza
dover pagare alcuna penalità: sarà soltanto tenuto a rimborsare al venditore le spese sostenute per la conclusione del contratto.
7 Uso e abitazione
Analoghe al diritto di usufrutto, ma con contenuto più ristretto, sono le due figure previste dagli artt. 1021-1022.
Esaminiamole:
— uso (art. 1021): il diritto di uso attribuisce al suo titolare (cd. usuario) il potere di servirsi di un bene e, se esso è frut-
tifero, di raccoglierne i frutti, ma solo limitatamente a quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia;
— abitazione (art. 1022): ancor più ristretto è il diritto di abitazione, che conferisce al titolare soltanto il diritto di
abitare una casa limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.
I diritti di uso e di abitazione hanno carattere personalissimo e, quindi, non possono essere ceduti o locati.
8 Le servitù
La servitù consiste nella limitazione imposta sopra un fondo (cd. fondo servente) per l’utilità di un altro fondo (cd.
fondo dominante), appartenente a diverso proprietario (art. 1027).
L’«utilità» per il fondo dominante consiste in un qualsiasi vantaggio, anche non economico, che consenta una migliore utilizza-
zione del fondo. In particolare, essa può:
— consistere nella maggiore comodità o amenità del fondo dominante (art. 1028): es., per conservare la vista panoramica di una
villa, può costituirsi una servitù che impedisca di edificare sul fondo vicino;
— essere inerente alla destinazione industriale del fondo (art. 1028): es., può costituirsi una servitù di presa d’acqua su un fondo
per assicurare l’acqua necessaria al funzionamento di uno stabilimento sito su un fondo vicino.
È inoltre ammessa anche la costituzione di una servitù per assicurare a un fondo un vantaggio futuro (art. 1029).
Si distinguono le servitù volontarie da quelle coattive, a seconda che si costituiscano per volontà dei singoli oppure
per legge.
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La servitù coattiva è quella i cui presupposti sono espressamente stabiliti dalla legge; essa però non sorge auto-
maticamente al verificarsi delle condizioni prescritte, in quanto occorre sempre un atto di volontà del proprietario del
fondo dominante il quale o la otterrà contrattualmente, ovvero potrà rivolgersi al giudice per ottenere una sentenza
costitutiva.
Le servitù coattive sono tipiche, e cioè sono soltanto quelle previste dalla legge.
I modi di acquisto comuni a tutte le servitù volontarie sono:
— il contratto: tra proprietario del fondo dominante e del fondo servente. Si tratta di un contratto formale, con effetti
reali, normalmente oneroso;
— il testamento;
— usucapione ordinaria o abbreviata;
— destinazione del padre di famiglia (art. 1062): è un modo d’acquisto che non ha natura negoziale, ma di «atto giu-
ridico in senso stretto».
Le servitù si estinguono per:
— confusione: riunione nella stessa persona della proprietà del fondo dominante e del fondo servente;
— prescrizione estintiva ventennale (non uso);
— scadenza del termine e verificarsi della condizione risolutiva previsti nel titolo;
— abbandono del fondo servente (1070) da parte del proprietario che voglia così sottrarsi alle spese per la servitù, cui è tenuto in
forza di legge o del titolo, rinunziando alla proprietà del fondo in favore del proprietario del fondo dominante;
— rinunzia del proprietario del fondo dominante;
— totale perimento del fondo servente o dominante;
— impossibilità d’uso e mancanza di utilità, una volta decorso il termine prescrizionale ventennale (art. 1074).
9 Possesso e usucapione
A norma dell’art. 1140, il possesso è «il potere sulla cosa che si manifesta in un’attività corrispondente all’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale».
Gli elementi del possesso sono:
— il corpus possessionis: che si identifica con il comportamento materiale che il soggetto assume nei confronti del bene, esercitando
un’attività corrispondente a quella del proprietario o del titolare di un diritto reale (elemento oggettivo);
— l’animus possidendi: che si identifica nella volontà del possessore di esercitare sul bene i poteri del proprietario o del titolare
di altro diritto reale (elemento soggettivo).
L’acquisto del possesso si realizza con la consegna della cosa o con la successione.
La legge prevede due forme di congiunzione per far godere all’attuale possessore gli effetti di un precedente possesso:
a) la successione nel possesso (art. 1146, comma 1): alla morte del possessore, il possesso continua nel suo erede con
gli stessi caratteri che aveva rispetto al defunto (buona o malafede, vizi etc.);
b) l’accessione del possesso (art. 1146, comma 2): il successore a titolo particolare (legatario o acquirente per atto
tra vivi) può (ma non ne ha l’obbligo) unire al proprio possesso quello del suo autore (se era in buona fede e non
viziato) ai fini dell’usucapione.
A norma dell’art. 1153 «colui al quale sono alienati beni mobili da parte di chi non è proprietario, ne acquista la
proprietà mediante il possesso, purché sia in buona fede al momento della consegna e sussista un titolo idoneo al
trasferimento della proprietà».
Si sancisce, cioè, il principio secondo cui — in materia mobiliare — il possesso vale titolo.
Le azioni possessorie sono rimedi giudiziari aventi come fine immediato la tutela del possesso contro qualsiasi
turbativa. Esse sono:
a) l’azione di reintegrazione o di spoglio è l’azione con cui il possessore, spogliato del possesso di un bene, chiede,
entro l’anno dal sofferto spoglio, di essere reintegrato in esso (art. 1168).
Lo spoglio, di cui il possessore è stato vittima, deve essere stato effettuato con violenza (ossia con ricorso alla forza
o con minacce) o con clandestinità;
b) l’azione di manutenzione è diretta a tutelare i possessori contro le molestie o le turbative, di fatto o di diritto; essa
è altresì concessa contro lo spoglio non violento o non clandestino.
Con l’azione di manutenzione è tutelabile soltanto il possesso avente ad oggetto un bene immobile o una universalità
di mobili, che sia ultrannuale, continuo e non interrotto, non acquistato con violenza o con clandestinità.
Il termine per proporre l’azione è quello di un anno dalla molestia o dallo spoglio.
Le azioni di nunciazione sono azioni cautelari che tendono alla conservazione di uno stato di fatto, mirando a
prevenire un danno o un pregiudizio che può derivare da una nuova opera o da una cosa altrui.
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Esse sono:
— la denunzia di nuova opera è l’azione con cui il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, denunzia
un’opera da altri intrapresa e non terminata (purché non sia trascorso un anno dal suo inizio) quando abbia ragione di temere
che da essa possa derivare un danno alla cosa che forma oggetto del suo diritto o possesso;
— la denunzia di danno temuto è quella con cui il proprietario, il titolare di altro diritto reale di godimento o il possessore, si rivolge
all’autorità giudiziaria, quando teme che da un albero, una costruzione etc. (cose, comunque, già esistenti) stia per derivare un
danno grave e prossimo (ossia imminente) alla cosa che forma oggetto del suo diritto.
L’usucapione è il mezzo in virtù del quale, per effetto del possesso protratto per un certo tempo e, talora, di altri
requisiti, si produce l’acquisto della proprietà o dei diritti reali di godimento.
Requisiti dell’usucapione, dunque, sono: il possesso continuo e non interrotto, non violento né clandestino ed il
decorso di un certo periodo di tempo.
L’usucapione ordinaria è quella che si compie col decorso di:
— venti anni: per i beni immobili, universalità di mobili (artt. 1158 e 1160).
Si definisce universalità di mobili quel complesso di cose che appartengono alla stessa persona ed hanno una destinazione
unitaria (es. un gregge, una biblioteca, una raccolta di monete);
— dieci anni: per i beni mobili registrati (art. 1162, comma 2).
I beni mobili registrati sono quei beni mobili che, in considerazione della loro rilevanza, sono dalla legge equiparati, quanto
ad alcuni aspetti della disciplina giuridica (forma ed onere di pubblicità), ai beni immobili; tali beni sono, in genere, i cd. beni
di locomozione e trasporto, come le navi, gli aeromobili, gli autoveicoli.
L’usucapione abbreviata è una sottospecie dell’usucapione ordinaria, da cui si differenzia per il solo fatto che
richiede alcuni requisiti in più e si realizza in minor tempo:
a) requisiti:
— la buona fede al momento dell’acquisto del possesso;
— un titolo valido ed astrattamente idoneo al trasferimento del diritto;
— la trascrizione del titolo;
b) durata, perché si verifichi l’usucapione abbreviata occorre distinguere tra:
— beni immobili, per i quali occorrono dieci anni;
— universalità di mobili, per le quali occorrono dieci anni;
— beni mobili registrati, per i quali bastano tre anni.
Per i beni mobili bisogna distinguere due ipotesi:
— se vi è il titolo astrattamente idoneo, possesso e buona fede dell’acquirente l’acquisto è immediato (art. 1153);
— se manca il titolo idoneo, l’usucapione si realizza dopo dieci anni, qualora il possesso sia stato acquistato in buona fede.
Se il possessore è di mala fede, l’usucapione si compie con il decorso di venti anni (art. 1161).
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6
Il rapporto obbligatorio, la responsabilità
del debitore e le garanzie del creditore
Sommario: 1. Generalità. - 2. I privilegi. - 3. I diritti reali di garanzia: pegno e ipoteca. - 4. Garanzie semplici o personali.
- 5. La caparra.
1 Generalità
L’obbligazione è il rapporto tra due parti in virtù del quale una di esse (debitore) è tenuta ad effettuare una deter-
minata prestazione a favore dell’altra (creditore).
Le fonti delle obbligazioni possono essere i contratti, i fatti illeciti e ogni altro fatto o atto idoneo a produrre un’ob-
bligazione in conformità dell’ordinamento giuridico (es.: obbligo del coniuge di prestare gli alimenti).
L’obbligazione crea un vincolo giuridico fra le parti, articolandosi in debito, ossia il dovere di adempiere la presta-
zione, e responsabilità, consistente nell’assoggettamento del patrimonio del debitore al potere coattivo del creditore,
in caso di inadempimento.
Contrariamente ai diritti reali, le obbligazioni tendono a estinguersi in un breve periodo di tempo; infatti, quando il
creditore ha raggiunto il proprio vantaggio patrimoniale, il vincolo obbligatorio viene meno in quanto non ha alcuna
ragione di continuare ad esistere.
Modo normale di estinzione dell’obbligazione è l’adempimento o pagamento in generale (art. 1218), che consiste
nell’esatta esecuzione della prestazione, ossia di tutto quanto è stato dedotto nel rapporto obbligatorio. Esso estingue,
in via diretta e contemporanea, sia l’obbligo del debitore, sia il diritto del creditore.
L’art. 1176 impone al debitore di usare, nell’adempimento dell’obbligazione, la diligenza del buon padre di famiglia
per evitare la responsabilità contrattuale.
Il mancato o inesatto adempimento può dipendere:
— o da cause imputabili al debitore: in tal caso si parlerà di inadempimento ed il debitore sarà responsabile;
— o da cause non imputabili al debitore: in tal caso si parlerà di impossibilità sopravvenuta ed il debitore sarà liberato
dall’obbligo senza alcuna responsabilità.
Venuto a mancare l’adempimento della prestazione, il patrimonio del debitore viene assoggettato all’adempimento
forzoso da parte del creditore. In materia vigono due principi fondamentali:
— tale assoggettamento cade su tutti i beni presenti e futuri del debitore (cioè anche quelli pervenuti dopo l’assunzione
dell’obbligo: art. 2740);
— inoltre, tutti i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore (garanzia generica), salve le
cause legittime di prelazione (art. 2741): queste consistono nel diritto di preferenza che la legge riconosce a deter-
minati crediti (sono il pegno, l’ipoteca e i privilegi).
2 I privilegi
Il privilegio è un titolo di prelazione che la legge accorda al creditore in considerazione della particolare natura o
causa del credito (art. 2745). Fonte dei privilegi è soltanto la legge: le parti non possono creare altri crediti privilegiati
oltre quelli previsti dal legislatore.
I privilegi si distinguono in due categorie:
a) Privilegio generale, che è solo mobiliare e si fa valere sul ricavato della vendita coattiva eseguita su tutti i beni
mobili del debitore.
b) Privilegio speciale, che può essere mobiliare o immobiliare e grava soltanto su determinati beni del debitore.
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Esso si costituisce mediante contratto (contratto di pegno), tra il creditore e il debitore o un terzo datore del bene. Il
contratto si perfeziona con la consegna al creditore della cosa. Il debitore (o il terzo) proprietario del bene ne è tempo-
raneamente spossessato a garanzia del pagamento del debito. Il possesso della cosa, come si è visto, passa al creditore
(ma non l’uso e la disponibilità), mentre il creditore ha l’obbligo di custodire la cosa e di restituirla, quando il credito sia
stato interamente soddisfatto.
L’ipoteca è un diritto reale di garanzia, concesso dal debitore (o da un terzo) su un bene, a garanzia di un credito,
che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo ricavato.
Possono essere oggetto di ipoteca:
— i beni immobili con le loro pertinenze;
— i beni mobili registrati (navi, aeromobili, autoveicoli);
— l’usufrutto, il diritto di superficie, il diritto dell’enfiteuta e quello del concedente sul fondo enfiteutico;
— le rendite dello Stato (art. 2810).
Il diritto di ipoteca si costituisce mediante iscrizione nell’apposito registro presso l’ufficio dei registri immobiliari
che ha competenza territoriale sul luogo ove si trova il bene. Tale iscrizione ha, pertanto, carattere costitutivo.
In relazione alle fonti, la legge distingue:
— l’ipoteca legale (art. 2817): si ha quando è la legge che attribuisce ad alcuni creditori, in considerazione della cau-
sa dal credito o della qualità o posizione assunta dal creditore stesso, il diritto ad ottenere l’iscrizione ipotecaria,
senza il concorso della volontà del debitore;
— l’ipoteca giudiziale (artt. 2818-2820): chi ha ottenuto una sentenza di condanna al pagamento di una somma o
all’adempimento di un’altra obbligazione o al risarcimento dei danni (anche se la liquidazione dei danni è rinviata
ad un momento successivo), ha titolo per iscrivere ipoteca, anche se la sentenza non ha forza esecutiva o è sotto-
posta a impugnazione;
— l’ipoteca volontaria (artt. 2821-2826): nasce da contratto o da dichiarazione unilaterale di volontà da parte del
concedente (con atto pubblico o scrittura privata).
L’ordine di preferenza fra varie ipoteche iscritte sullo stesso bene è determinato non dalla data del titolo, ma dalla
data dell’iscrizione. Ogni iscrizione, infatti, riceve un numero d’ordine, che è il cd. grado dell’ipoteca.
a) La fideiussione
La fideiussione si costituisce mediante un contratto col quale un terzo si obbliga personalmente verso il creditore,
garantendo l’obbligazione altrui. Di regola la fideiussione presuppone un accordo con il debitore principale.
b) L’avallo
L’avallo è una dichiarazione cambiaria, con la quale taluno garantisce il pagamento della cambiale per uno degli
obbligati cambiari.
Si tratta di un’obbligazione cambiaria autonoma di garanzia, diversa però dalla fideiussione. Infatti, la fideiussione
ha come sua caratteristica l’accessorietà, accede ad una obbligazione principale e ne segue le sorti; l’avallo, invece, è
indipendente dalla obbligazione cambiaria per cui è dato. L’obbligazione di avallo deve essere scritta sulla cambiale: di
solito si usa la dizione «per avallo» seguita dalla firma dell’avallante, ma basta anche la sola firma apposta sulla facciata
anteriore della cambiale.
c) La clausola penale
La legge consente alle parti di determinare preventivamente una somma da pagare o altra prestazione da eseguire
nel caso di inadempimento.
Questo patto accessorio è detto clausola penale (art. 1382): ha la funzione primaria di liquidare preventivamente i
danni, ma rappresenta, altresì, una specie di pena per l’inadempimento, in quanto è dovuta indipendentemente dalla
prova dell’esistenza stessa del danno (agevolando il creditore, che non deve dimostrare il pregiudizio subito).
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5 La caparra
Per i soli contratti a prestazioni corrispettive, per rafforzare il diritto del creditore al risarcimento del danno in caso
di inadempimento, le parti possono convenire che una consegni nelle mani dell’altra una caparra, ossia una somma
di denaro o una quantità di cose fungibili.
Si distingue tra:
— caparra confirmatoria (art. 1385): è una somma di danaro o una quantità di cose fungibili che, al momento della
costituzione del rapporto obbligatorio, una parte dà all’altra, quale conferma dell’adempimento, di cui segna quasi
un’anticipata e parziale esecuzione.
Se il contratto viene adempiuto, la caparra deve essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. In caso di
inadempimento, invece, se inadempiente è la parte che ha dato la caparra, l’altra può recedere dal contratto e
ritenere la caparra; se inadempiente è la parte che l’ha ricevuta, l’altra può recedere dal contratto ed esigere il
doppio della caparra;
— caparra penitenziale (art. 1386): in cui la somma che una parte dà all’altra non rappresenta una cautela contro
l’inadempimento, ma è il corrispettivo per l’attribuzione della facoltà di recesso dalla obbligazione contrattuale
(cioè di liberarsi dall’obbligazione assunta).
Una volta versata la caparra, i contraenti si riservano la scelta tra l’adempimento ed il recesso. Il recesso si attua
per volontà unilaterale: rinunziando alla caparra nelle mani della controparte, se recede il soggetto che l’ha con-
segnata, o provvedendo alla restituzione di una doppia caparra nella ipotesi inversa.
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I contratti
Sommario: Sezione Prima: Nozione e classificazione dei contratti. - 1. Definizione ed elementi del contratto. - 2. La
classificazione dei contratti. - Sezione Seconda: Formazione del contratto e contratto preliminare. - 1. Fasi delle tratta-
tive. - 2. Il contratto per adesione. - 3. Il contratto preliminare. - 4. I contratti del consumatore. - Sezione Terza: Inter-
pretazione ed integrazione del contratto. - 1. Nozione di interpretazione: interpretazione soggettiva ed oggettiva. - 2.
L’integrazione del contratto. - Sezione Quarta: Gli effetti del contratto. - 1. Effetti verso le parti: creazione del vincolo.
- 2. Segue: Il recesso (art. 1373). - 3. Contratti obbligatori e contratti ad effetti reali, immediati e differiti. - 4. Effetti del
contratto nei confronti dei terzi. - 5. Conflitti fra aventi diritto sullo stesso oggetto. - Sezione Quinta: La rescissione e la
risoluzione del contratto. - 1. Lo scioglimento del contratto. - 2. Segue: Ulteriori casi di risoluzione.
Sezione Prima
Nozione e classificazione dei contratti
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Sezione Seconda
Formazione del contratto e contratto preliminare
b) La proposta
Le trattative iniziano con la proposta: essa, per essere idonea a costituire il vincolo contrattuale, deve essere com-
pleta, ossia deve contenere tutti gli elementi essenziali del contratto cui è diretta.
Da ciò discende che:
— il proponente può revocare la proposta finché il contratto non sia concluso, cioè fino al momento in cui egli viene
a conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (art. 1328). Tuttavia, se l’accettante ha già intrapreso in buona fede
l’esecuzione del contratto, prima di avere notizia della revoca, il proponente lo deve indennizzare delle spese e delle
perdite subite per l’inizio dell’esecuzione (art. 1328);
— il proponente può rivolgere la stessa proposta a più persone;
— la proposta perde efficacia e libera il proponente qualora l’accettazione non intervenga entro il termine stabilito dal
proponente, o entro quello ordinariamente necessario secondo la natura dell’affare e secondo gli usi (art. 1326);
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— la proposta è caducata dalla morte o dalla sopravvenuta incapacità di contrattare del proponente, anteriore alla
conoscenza dell’intervenuta accettazione, salvo il caso in cui la proposta è irrevocabile o quando è stata fatta da un
imprenditore non piccolo nell’esercizio della sua impresa (art. 1330).
d) L’accettazione
È una dichiarazione recettizia che diviene elemento perfezionativo del contratto quando è portata a conoscenza
del proponente.
Deve essere tempestiva e coincidente in pieno con tutte le clausole contenute nella proposta: se è anche parzial-
mente difforme, o se giunge a conoscenza del proponente oltre il termine pattuito o ordinariamente necessario, vale
solo come controproposta.
Deve avere la forma richiesta dal contratto che si vuole concludere.
Deve essere fatta alla persona del proponente o ad un suo rappresentante (perché è dichiarazione recettizia).
Anche l’accettazione può essere revocata (o ritirata), purché la revoca giunga al proponente prima dell’accettazione
stessa (art. 1328, co. 2).
Si ha accettazione tacita qualora l’esecuzione immediata del contratto sia richiesta dal proponente o dalla natura
dell’affare o dagli usi.
In questi casi il contratto si conclude nel tempo e nel luogo in cui ha inizio l’esecuzione (art. 1327) ed il proponente
non potrà revocare la proposta dopo che l’altra parte abbia iniziato ad eseguire la prestazione richiesta.
L’accettazione tacita, comunque, deve risultare da un comportamento manifesto ed inequivocabile e non da una
mera dichiarazione.
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3 Il contratto preliminare
a) Nozione e forma
Contratto preliminare è quello con cui le parti si obbligano a stipulare un futuro contratto detto definitivo. L’oggetto
consiste, dunque, in una prestazione di facere: quella di prestare un futuro consenso.
Il contratto preliminare è un contratto già perfetto e vincolante per le parti, pur inserendosi nelle trattative ed assolvendo una
funzione preparatoria del contratto definitivo, del quale determina il contenuto.
Per l’art. 1351 il contratto preliminare è nullo se non è stipulato nella stessa forma del contratto definitivo (forma
ad substantiam).
Diverso da tale contratto è il cd. preliminare improprio o compromesso, che è un contratto definitivo, immediatamen-
te efficace, ma che contiene l’obbligo di riprodurre il consenso in forma determinata (soprattutto ai fini della trascrizione).
La giurisprudenza (Cass. Sez.Un. 4628/2015) ha affrontato il problema dell’ammissibilità o meno del c.d. contratto
preliminare di preliminare. In presenza di una contrattazione che preveda la stipulazione di un contratto preliminare
dopo la conclusione di un primo accordo, anch’esso preliminare, occorre verificare se tale primo accordo costituisca
già esso stesso un contratto preliminare valido e suscettibile di produrre effetti ex artt. 1351 e 2932 c.c., oppure sol-
tanto effetti obbligatori con esclusione dell’esecuzione in forma specifica in caso di inadempimento. In particolare,
l’accordo preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare è
produttivo di effetti soltanto quando emerga l’interesse delle parti a una formazione progressiva del contratto basata
sulla diversità dei contenuti negoziali.
Altra tesi ritiene che il preliminare di preliminare è sempre nullo per difetto originario di causa, non essendo meritevole di
tutela l’interesse di «obbligarsi a obbligarsi» (Cass. 19557/2009), ben potendo l’impegno essere assunto immediatamente: non ha
senso promettere di promettere qualcosa, anziché prometterlo subito. A questa tesi, però, le Sezioni Unite hanno recentemente
obiettato che al contratto preliminare può riconoscersi una funzione giuridicamente apprezzabile qualora sia idoneo a produrre
effetti diversi da quelli del contratto preparatorio: soltanto se il secondo preliminare produce gli stessi effetti del primo (cioè,
impegnarsi a stipulare alle medesime condizioni e sul medesimo bene), il primo dovrà ritenersi nullo per difetto di causa.
La violazione del primo accordo, se contraria a buona fede, può dare luogo a responsabilità per la mancata conclu-
sione del contratto successivo, responsabilità di natura contrattuale per la rottura del rapporto obbligatorio assunto
nella fase precontrattuale.
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clausola può essere influenzato dalla considerazione delle altre clausole (una clausola di per sé squilibrata a danno del consumatore
può trovare riequilibrio in altre clausole vantaggiose per lui). Il D.Lgs. 206/2005 individua talune clausole presuntivamente vessatorie:
se una clausola corrisponde a una voce dell’elenco contenuto nell’art. 33, co. 2 (ad es., limita la responsabilità del professionista) si
presume vessatoria salvo prova contraria fornita dal professionista. È esclusa la vessatorietà (art. 34, co. 3 e 4) quando la clausola
riproduce il contenuto di un atto normativo (legge o convenzione internazionale) o quando ha formato oggetto di trattativa indivi-
duale fra le parti. È onere del professionista dimostrare che la trattativa c’è stata e che è stata una trattativa vera e reale.
Il rimedio contro le clausole vessatorie che riguarda l’ambito individuale, invocabile dal singolo consumatore in
relazione a un singolo contratto, è la nullità: la clausola è cancellata e non vincola il consumatore (art. 36, co. 1). È una
nullità relativa (può farla valere solo il consumatore e non il professionista) e parziale (anche se la clausola è essenziale
per il professionista, il contratto resta valido).
È previsto anche il rimedio collettivo dell’inibitoria, con cui il giudice proibisce di inserire quella clausola in tutti i
futuri contratti che saranno conclusi con i consumatori sulla base di quelle condizioni standard (art. 37): esso riguarda
le clausole contenute in condizioni generali predisposte da un’impresa o categoria di imprese per un impiego uniforme
in un numero indefinito di rapporti e può essere attivato da associazioni di consumatori o imprenditori.
L’art. 37bis, D.Lgs. 206/2005 prevede anche un controllo amministrativo delle clausole vessatorie: l’Autorità antitrust può esa-
minare le clausole standard presenti sul mercato e, se le ritiene vessatorie, lo rende noto con un provvedimento a cui viene data
ampia pubblicità; non ne deriva, quindi, automaticamente la nullità o l’inibitoria del loro impiego, che possono essere pronunciate
solo dal giudice.
Da menzionare è la cd. class action, azione collettiva risarcitoria, che può essere chiesta da un singolo soggetto,
anche mediante associazioni cui dà mandato, a vantaggio di tutti i consumatori che si trovino in situazione omogenea
e che aderiscano all’azione esperita dal promotore).
Sono infine previste procedure per la risoluzione extragiudiziale delle controversie (artt. 141 ss.), mutuate dai sistemi comunitari
di ADR (Alternative Dispute Resolution).
Sezione Terza
Interpretazione ed integrazione del contratto
All’art. 1371 il codice detta una norma nel caso in cui il contratto, nonostante l’applicazione delle norme interpre-
tative e interpretative-integrative, rimanga oscuro: bisogna, cioè, distinguere:
— se il contratto è a titolo gratuito, esso deve essere inteso nel senso meno gravoso per l’obbligato;
— se il contratto è, invece, a titolo oneroso, va interpretato in modo da realizzare un equo contemperamento degli
interessi delle parti.
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Sezione Quarta
Gli effetti del contratto
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b) Il terzo e il contratto
La regola generale è quella della limitazione degli effetti del contratto alle sole parti, per cui il contratto non produce
effetti rispetto al terzo (res inter alios acta tertio neque nocet neque prodest).
Tale principio incontra però eccezioni nei casi previsti dalla legge (v. art. 1372, co. 2): ad esempio, il contratto a
favore di terzo è immediatamente efficace per il terzo, ma la deroga al principio generale è giustificata dal fatto che il
terzo acquista diritti ma non assume alcun obbligo ed, inoltre, ha sempre il diritto di rifiutare il vantaggio derivatogli
dal contratto in suo favore.
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— nel caso di diritti immobiliari (o mobili registrati) è preferito chi, per primo, ha curato la trascrizione del titolo (art. 2644);
— nel caso di diritti personali di godimento (es. locazione) è preferito chi, per primo, ha conseguito il godimento della
cosa (art. 1380).
Quanto alle conseguenze si noti che il contraente sacrificato ha diritto al risarcimento dei danni nei confronti della
parte che ha attribuito ad altri lo stesso diritto.
Sezione Quinta
La rescissione e la risoluzione del contratto
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a) Forme di risoluzione
Per ottenere la risoluzione non sempre occorre il ricorso al giudice: in particolare la risoluzione può aversi:
— di diritto, per effetto cioè dell’inadempimento, senza ricorso al giudice (basta la dichiarazione della parte di volersi
valere della risoluzione) quando:
— nel contratto è inserita la clausola risolutiva espressa: è, cioè, stabilito che il contratto si risolve se l’obbliga-
zione non è adempiuta o non è adempiuta con le modalità convenute (art. 1456);
— pur mancando detta clausola, la parte adempiente inoltri all’inadempiente una diffida ad adempiere, asse-
gnandogli un congruo termine che non può essere inferiore ai 15 giorni; decorso inutilmente detto termine, il
contratto si intende risolto (art. 1454);
— è scaduto il termine essenziale: scaduto, cioè, il termine oltre il quale il creditore non ha più interesse alla pre-
stazione del debitore, il contratto si intende risolto a meno che la parte, in cui favore è il termine, non dichiari,
entro tre giorni, di voler egualmente esigere l’adempimento (art. 1457);
— per effetto di una sentenza costitutiva (cd. risoluzione giudiziale), in tutti gli altri casi.
b) Presupposti
Ambedue le forme di risoluzione (sia quella di diritto, sia quella giudiziale) sono esperibili quando ricorrano i se-
guenti presupposti:
— che una parte sia inadempiente, in quanto, per colpa o dolo, non abbia eseguito la prestazione dovuta;
— che l’inadempimento non sia di scarsa importanza, avuto riguardo all’interesse dell’altra parte (art. 1455); la gravità
dell’inadempimento va valutata obiettivamente, in relazione all’attitudine a turbare l’equilibrio contrattuale.
La risoluzione ha efficacia retroattiva (come se il contratto non fosse mai stato concluso); tale retroattività riguarda le parti, ma
non pregiudica i terzi i quali abbiano acquistato prima che si sia verificata la risoluzione di diritto, o prima che sia stata proposta
la domanda giudiziale di risoluzione.
Se una delle parti è inadempiente, l’altra parte, prima di chiedere eventualmente la risoluzione del contratto, può avvalersi
dei seguenti mezzi di tutela preventiva:
1) Eccezione di inadempimento (art. 1460).
Nei contratti con prestazioni corrispettive, inoltre, ciascun contraente può rifiutarsi di eseguire la propria prestazione, se l’altro
non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria obbligazione, salvo che si sia stabilito che i corrispettivi
adempimenti siano dovuti in tempi diversi, o che ciò risulti dalla natura del contratto (inadimplenti non est ademplendum).
2) Sospensione della prestazione per le mutate condizioni patrimoniali dei contraenti (art. 1461).
In questa ipotesi ciascuna delle parti di un contratto a prestazioni corrispettive può sospendere la prestazione se le condizioni
patrimoniali dell’altra siano divenute tali da mettere in pericolo evidente il conseguimento della controprestazione.
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La responsabilità extracontrattuale
Sommario: 1. Premessa. - 2. L’illecito civile in generale. - 3. Il fatto. - 4. L’imputabilità del fatto: la capacità di intendere
e di volere. - 5. La colpa e il dolo. - 6. La responsabilità oggettiva. - 7. Responsabilità contrattuale ed extracontrattuale.
- 8. Il danno e il risarcimento. - 9. L’effetto della responsabilità civile: il risarcimento del danno (art. 2058). - 10. Casi
di esclusione dell’antigiuridicità.
1 Premessa
I fatti illeciti rientrano tra le fonti dell’obbligazione (art. 1173), in quanto da essi deriva l’obbligo di risarcimento del
danno a carico del loro autore. Sono fonti non negoziali (o legali), perché l’obbligazione di risarcimento nasce come
conseguenza non voluta dall’autore del fatto.
3 Il fatto
Il fatto, ossia il comportamento dannoso, può consistere in un:
— atto positivo (commissivo), dal quale, cioè, il soggetto avrebbe dovuto astenersi;
— fatto omissivo, cioè in un’astensione: questa è rilevante, ai fini dell’obbligazione di risarcimento, solo quando chi
ne è l’autore aveva il dovere giuridico di agire e non l’ha fatto.
Per il sorgere della responsabilità, si richiede che tra la condotta e l’evento intercorra un nesso di causalità: l’evento
dannoso deve essere infatti «una conseguenza immediata e diretta» dell’atto (art. 1223 richiamato dall’art. 2056). Il
nesso causale sussiste allorché il danno si verifica, in dipendenza del fatto umano, secondo l’ordine naturale delle cose
e non rappresenta il prodotto di circostanze eccezionali (principio della causalità adeguata).
5 La colpa e il dolo
Di regola, il fatto dannoso, per essere illecito, deve essere commesso dolosamente o colposamente.
Il dolo, in particolare, consiste nella volontaria trasgressione del dovere giuridico: l’atto illecito è doloso quando chi lo
ha commesso ha agito con la coscienza e la volontà di cagionare l’evento dannoso.
La colpa, invece, consiste nella violazione di un dovere di diligenza, cautela o perizia, nei confronti dei terzi: l’atto
illecito è colposo quando l’evento dannoso non è voluto ma è cagionato per negligenza, imprudenza o imperizia, ovvero
per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline.
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6 La responsabilità oggettiva
La responsabilità oggettiva si fonda sulla sola esistenza del nesso di causalità, per cui si risponde del danno cagio-
nato come conseguenza diretta ed immediata della propria condotta, a prescindere dal dolo o dalla colpa. Per liberarsi
dalla responsabilità, occorre dimostrare la mancanza di rapporto di causalità fra la condotta e l’evento, ma tale prova
è diversamente configurata nelle diverse ipotesi di responsabilità.
8 Il danno e il risarcimento
«Danno» è qualsiasi «lesione di un interesse giuridicamente apprezzabile e tutelato dall’ordinamento». Del danno si
fanno differenti classificazioni:
— danno patrimoniale e non patrimoniale
Il danno patrimoniale è quello che si traduce, direttamente o indirettamente, in un pregiudizio al patrimonio: esso può con-
sistere nella perdita, distruzione o danneggiamento di un bene patrimoniale, nella perdita di un guadagno o nella necessità
sopravvenuta di compiere delle spese. Il danno patrimoniale si distingue in:
— danno emergente: consistente in una diminuzione del patrimonio;
— lucro cessante: che si identifica nel mancato guadagno determinato dal fatto dannoso (es.: se viene danneggiato un taxi,
il danno emergente è dato dalle spese necessarie per la riparazione, il lucro cessante dal guadagno che il titolare del taxi
avrebbe conseguito se avesse utilizzato il proprio automezzo nel tempo in cui questo è rimasto fermo in officina).
Il danno non patrimoniale è, invece, ogni pregiudizio recato direttamente alla persona, senza colpire, né direttamente né
indirettamente, il patrimonio o la capacità produttiva della persona stessa (es.: lesioni all’onore, alla salute, alla tranquillità
d’animo etc.), anche se è economicamente valutabile.
Il danno «morale» è il danno non patrimoniale risarcibile solo nei casi determinati dalla legge (art. 2059), cioè, in pratica,
quando il fatto illecito integra gli estremi di un reato (art. 185 c.p.); esso è strettamente connesso con le sofferenze ed ai dolori
patiti dalla persona offesa dal reato (peraltro, è andata affermandosi una lettura costituzionalmente orientata della norma
contenuta nell’art. 2059, a garanzia dei diritti inviolabili del soggetto, come singolo e nelle formazioni sociali in cui si svolge
la sua personalità, per consentire una protezione sempre più adeguata di tali diritti, dei quali rilevano manifestazioni sempre
nuove e diverse, frutto di elaborazione e studio in dottrina e giurisprudenza, in relazione alla tutela della persona);
— danni diretti ed indiretti
Il danno risarcibile è quello che costituisce conseguenza immediata e diretta del fatto illecito (arg. ex art. 1223); secondo la
giurisprudenza prevalente, anche il danno indiretto deve considerarsi risarcibile quando esso si collega alla condotta illecita
«secondo il corso ordinario delle cose», cioè in base ad un nesso di causalità regolare;
— danni presenti e futuri
Il danno, per essere risarcibile, dev’essere attuale, cioè certo ed effettivo al momento della pretesa al risarcimento. Sono tuttavia
risarcibili anche i danni che si proiettano nel futuro, come il lucro cessante, o i danni permanenti (art. 2057), in quanto siano certi
nella loro esistenza, anche se ancora incerti nel loro ammontare.
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