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Espansione semplificata Diritto Civile
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Espansione semplificata
Diritto civile
1 Premessa
Chi studia per la prima volta il diritto civile può avere difficoltà nel capire questa materia
molto complessa.
Questa espansione semplificata fornisce un supporto per lo studio di questa disciplina, in
quanto è finalizzata alla preliminare comprensione di concetti fondamentali e di parole chiave,
che spesso si danno per scontati, come ad esempio il concetto di rapporto giuridico; il concetto di
soggetto di diritto; la distinzione tra diritti assoluti e diritti relativi; il concetto di negozio giuridico;
il concetto di adempimento e di inadempimento e così via.
In particolare, il diritto privato è l’insieme delle norme che regolano i rapporti tra i membri
della collettività che si trovano in una posizione di parità reciproca ed i conseguenti diritti ed
obblighi. Nell’ambito del diritto privato, il diritto civile disciplina le persone e la famiglia, le
successioni a causa di morte, i diritti patrimoniali e gli atti giuridici.
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a) Rapporto giuridico
Nella convivenza civile, tra le varie tipologie di relazioni che si possono instaurare (come,
ad esempio, le relazioni d’amore, le relazioni di amicizia etc.), vi sono le relazioni giuridiche,
caratterizzate dal fatto di essere regolate dal diritto: il rapporto giuridico è ogni relazione tra
due o più soggetti presa in considerazione e regolata dal diritto.
Sono esempi di rapporti giuridici la relazione tra un datore di lavoro e un lavoratore; quella tra genitori
e figli; quella tra venditore e compratore di un bene.
Dunque, non qualunque relazione tra due persone dà vita a un rapporto giuridico: perché vi
sia questo, è necessario che vi sia un interesse, non necessariamente economico, considerato
meritevole di tutela da parte dell’ordinamento giuridico.
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Il diritto soggettivo si manifesta, quindi, come sintesi di una posizione di forza e di una posi-
zione di libertà: il titolare del diritto soggettivo è, infatti, libero di decidere se esercitare o meno
il suo diritto e di avvalersi delle facoltà riconosciute dall’ordinamento giuridico.
Il diritto soggettivo si estingue quando viene soddisfatto l’interesse del titolare del diritto
(ad es., con l’adempimento dell’obbligazione da parte del debitore) oppure a seguito di altre
vicende (es. prescrizione).
Per quanto riguarda l’interesse legittimo, esso è definito come il potere di agire per un pro-
prio interesse quando questo corrisponde a un interesse generale e all’interesse che la Pubblica
amministrazione eserciti il suo potere secondo la legge.
Ad esempio, l’interesse del singolo candidato al corretto svolgimento di un concorso pubblico, che gli
consente di gareggiare alla pari con gli altri concorrenti, trova una corrispondenza nell’interesse generale
che le prove concorsuali rispettino la procedura prevista.
La potestà, poi, è il potere riconosciuto a un soggetto di agire per realizzare un interesse altrui
che l’ordinamento ritiene meritevole di tutela: ne è un esempio la responsabilità genitoriale:
infatti, i poteri che sono collegati alla posizione di genitore (educare i figli, istruirli etc.) devono
essere esercitati nell’esclusivo interesse del minore.
In questa sede, ci occuperemo in particolare dei diritti soggettivi e delle più importanti di-
stinzioni all’interno di questa categoria.
— diritti relativi sono quelli che assicurano al titolare un potere che si può far valere solo ver-
so una o più persone determinate, a carico delle quali sussiste l’obbligo di fare o non fare
qualcosa. Tali diritti, quindi, sono tutelati in via principale mediante obblighi specifici posti
a carico di determinati soggetti.
Esempio tipico di diritto relativo è il diritto del creditore di ottenere l’adempimento della prestazione da
parte del soggetto passivo del rapporto.
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La capacità di agire, acquistata con la maggiore età, si conserva, di regola, fino alla morte,
anche se è sempre legata all’idoneità del soggetto a curare i propri affari ed interessi: quindi, in tutti
i casi in cui tale idoneità viene meno o è limitata, anche la capacità d’agire subisce la stessa sorte.
La legge, infatti, tenendo conto delle cause che possono incidere su tale idoneità, ha previsto
apposite norme e istituti per garantire che tutte le persone che agiscono nel campo del diritto
lo facciano consapevolmente. L’ordinamento giuridico in sostanza si preoccupa di proteggere
il soggetto incapace dal compimento di atti che lo possono pregiudicare.
Ad esempio, se viene accertata l’abituale infermità di mente di un individuo, è prevista l’interdizione
giudiziale (art. 414 del codice civile); a tutela di chi invece si trova nell’impossibilità, anche parziale o tem-
poranea, di provvedere ai propri interessi, è previsto l’istituto dell’amministrazione di sostegno e così via.
Si ricordi, inoltre, che il possesso della capacità d’agire costituisce requisito di validità degli
atti negoziali. Dunque, se un soggetto privo di capacità d’agire compie un atto, esso è annul-
labile (articolo 1425 del codice civile): ciò significa che - come a breve vedremo - fino a quando
l’atto non viene annullato, produce effetti giuridici.
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La capacità d’agire della quale abbiano fino ad ora parlato è l’incapacità cd. legale. Tuttavia,
può accadere che una persona, che normalmente ha capacità legale di agire, sia temporane-
amente incapace di intendere e di volere, che cioè non sia in grado di effettuare una seria
valutazione del contenuto e degli effetti di un atto (ad esempio, un soggetto maggiorenne, le-
galmente capace di agire, può momentaneamente non essere capace d’intendere e di volere a
causa di ubriachezza): tale situazione di temporanea incapacità è definita dal diritto incapacità
naturale o “di fatto”.
La legge tutela anche il soggetto che ha posto in essere un atto negoziale in stato di incapa-
cità naturale e sancisce che tale atto, in presenza di determinati presupposti, è annullabile (art.
1425 del codice civile).
Nel negozio giuridico, invece, il soggetto vuole non solo porre in essere un atto, ma vuole
anche avvalersi degli effetti che la legge riconduce a quel determinato comportamento. Dun-
que, anche se nel codice civile non troviamo una definizione di negozio giuridico, la dottrina
tradizionalmente lo definisce come la manifestazione di volontà diretta alla produzione di
effetti giuridici riconosciuti e garantiti dall’ordinamento.
Esistono diversi tipi di negozi giuridici: il contratto, ad esempio, è un tipo di negozio giuridico.
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In relazione ai soggetti sui quali incidono, possiamo, poi, distinguere tra effetti:
— erga omnes, se valevoli contro tutti (se cioè devono essere rispettati da tutti);
— personali, se sono valevoli solo nei confronti di alcuni particolari destinatari.
Facciamo un’ultima considerazione molto importante sugli effetti giuridici: in genere, essi
si producono nel momento in cui si perfeziona la fattispecie da cui traggono origine; tuttavia,
in alcuni casi, l’ordinamento giuridico fa risalire la produzione degli effetti ad un momento
precedente a quello del perfezionamento della fattispecie: in tal caso, si parla di retroattività
degli effetti.
Nei manuali giuridici, come sinonimo dell’espressione “effetti retroattivi”, troviamo l’espres-
sione “ex tunc”, differente dall’espressione “ex nunc” che, al contrario, è sinonimo di effetto non
retroattivo (quando, cioè, un atto produce effetti solo dal momento in cui viene posto in essere).
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Ma sulla base di quali presupposti la legge prevede a volte la nullità e a volte l’annullabilità nei
casi prospettati? E, soprattutto, quali sono gli effetti che, rispettivamente, conseguono alle stesse?
Per capire questo, dobbiamo necessariamente soffermarci sulla ratio dell’azione di nullità
e dell’azione di annullamento in generale (cioè sulla funzione di queste due azioni), per poi
esaminare le differenze anche in termini di effetti giuridici.
Chiariamo, in primo luogo, che la nullità è l’aspetto più grave che può assumere l’invalidità
di un negozio, mentre l’annullabilità è un’ipotesi di invalidità meno grave.
La nullità può essere testuale (quando vi sono norme che la sanciscono espressamente) o virtuale
(quando, pur non essendo stabilita espressamente da una norma, risulta dal sistema nel suo complesso;
ad esempio, come detto, è nullo il negozio concluso in seguito a violenza fisica perché manca la volontà,
anche in assenza di una norma che preveda espressamente tale nullità).
L’annullabilità, invece, è soltanto testuale, cioè l’annullamento di un negozio può essere chiesto solo
nei casi espressamente previsti dalla legge.
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previsti dalla legge, viene proposta l’azione di annullamento (e tale azione viene accolta,
cioè il giudice ritenga esistente il vizio). Attenzione però: se l’azione di annullamento viene
accolta, l’annullamento ha effetti retroattivi, cioè “distrugge” ed elimina anche gli effetti
che si sono già prodotti; dunque, le prestazioni eventualmente già eseguite devono essere
restituite.
9 Il rapporto obbligatorio
a) Nozione di obbligazione
L’obbligazione è un vincolo giuridico in forza del quale un soggetto (debitore) è obbligato a
tenere un certo comportamento per soddisfare l’interesse di un altro soggetto (creditore).
L’obbligazione determina la nascita di un rapporto giuridico caratterizzato da due contrap-
poste posizioni soggettive: il debito e il credito.
Il debito è la posizione giuridica passiva del rapporto obbligatorio ed ha come suo contenuto
il dovere di adempiere una determinata prestazione, cioè di tenere un determinato comporta-
mento.
La responsabilità del debitore è personale, nel senso che il debitore è soggetto alle sanzioni
previste dalla legge in caso di inadempimento e, in particolare, al risarcimento del danno causato
al creditore; patrimoniale, in quanto il debitore risponde dell’obbligazione con tutti i suoi beni
presenti e futuri (art. 2740 del codice civile), cioè anche con i beni non presenti nel suo patrimonio
al momento dell’assunzione dell’obbligazione, ma che vi entrano in un momento successivo.
Il credito è il diritto (soggettivo) all’adempimento, ossia la pretesa giuridicamente tutelata
del creditore ad ottenere la prestazione.
Il fatto illecito è definito dall’art. 2043 del codice civile come qualunque fatto doloso o colposo
che causa ad un altro soggetto un danno ingiusto. Esso determina il sorgere di una obbligazione
di risarcimento in capo a colui che ha commesso il fatto.
Quando, poi, il codice civile parla di ogni altro atto o fatto idoneo a produrre un’obbli-
gazione in conformità dell’ordinamento giuridico, rinvia ad altre specifiche disposizioni del
codice civile o di leggi speciali che affermano, di volta in volta, quando un determinato fatto o
atto è idoneo a far sorgere un’obbligazione (es.: ai sensi dell’art. 2033 del codice civile, il paga-
mento di un debito non dovuto determina il sorgere dell’obbligo di restituire appunto ciò che
non era dovuto).
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Ricordiamo, inoltre, che la legge prevede dei casi in cui sono possibili modificazioni del
rapporto obbligatorio, sia nel lato attivo (es. cessione del credito), sia nel lato passivo (es.
espromissione).
L’oggetto dell’obbligazione è la prestazione, cioè il comportamento cui è tenuto il debitore
per far conseguire un’utilità al creditore. Può trattarsi di un comportamento consistente in un
dare (es.: dare una somma di denaro); in un fare (es.: consegnare un libro); in un non fare (es.:
non costruire la propria casa oltre una certa altezza per non limitare la visibilità del panorama al
proprio dirimpettaio).
L’art. 1174 del codice civile dispone che la prestazione deve avere contenuto patrimoniale,
cioè deve essere suscettibile di valutazione economica (in altri termini, deve essere “traducibi-
le” in una somma di denaro che ne rappresenti il valore economico): proprio il carattere della
patrimonialità distingue l’obbligazione da altri obblighi, pur giuridicamente rilevanti, ma
di diversa natura (es. l’obbligo alla fedeltà coniugale nel matrimonio).
L’obbligazione deve inoltre corrispondere a un interesse del creditore e questo interesse
può anche non essere patrimoniale.
Può trattarsi, infatti, di un interesse anche soltanto scientifico, culturale, affettivo, ideale, purché «social-
mente apprezzabile» e, come tale, degno di tutela giuridica (si pensi, ad esempio, all’interesse ad assistere
ad uno spettacolo teatrale o sportivo).
La legge, poi, richiede che la prestazione debba essere: possibile (es. non può consistere
nell’obbligo di consegnare un bene inesistente); lecita, cioè non deve essere contraria a norme
imperative, all’ordine pubblico e al buon costume; deve essere determinata o determinabile
in un secondo momento (es. le parti possono deferire ad un terzo la determinazione della pre-
stazione: si pensi al caso in cui si deferisca ad un terzo la determinazione del prezzo di un bene).
Con particolare riferimento al requisito della liceità della prestazione, chiariamo poi che:
a) le norme imperative sono norme che non possono essere derogate dalla volontà delle parti:
esempio di obbligazione contraria a norme imperative è quella relativa al commercio di
stupefacenti;
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b) l’ordine pubblico è costituito dal complesso dei principi fondamentali e inderogabili che pos-
sono essere desunti dall’intero ordinamento giuridico: esempio di obbligazione contraria
all’ordine pubblico può essere un’obbligazione di partecipazione ad un’azione violenta contro
persone;
c) il buon costume rappresenta il complesso dei principi della morale comune: un esempio di
obbligazione contraria al buon costume può aversi nel campo delle prestazioni sessuali.
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2) l’adempimento deve essere esatto, cioè il suo contenuto deve corrispondere al contenuto
della prestazione obbligatoria.
Si tenga presente che questa regola, però, può essere derogata da un accordo delle parti. Il creditore
e il debitore, infatti, possono concludere un contratto che prende il nome di dazione in pagamento (o
prestazione in luogo dell’adempimento), in base al quale il creditore accetta dal debitore una prestazione
diversa rispetto a quella dovuta e l’obbligazione si estingue nel momento in cui la diversa prestazione è
eseguita (art. 1197 c.c.).
Ma quando una prestazione può dirsi “esattamente eseguita”? E qual è lo sforzo che
può essere legittimamente richiesto al debitore per soddisfare l’interesse del creditore?
Particolarmente importante in tal senso è l’art. 1176 del codice civile, che impone al debitore di
usare, nell’adempimento dell’obbligazione, la diligenza del buon padre di famiglia. Che signi-
fica? Significa che al debitore è richiesto l’impegno che ci si può ragionevolmente aspettare da un
uomo “medio”, in grado di fare bene le cose, ma dal quale non si può pretendere la perfezione.
Dal debitore, dunque, è lecito aspettarsi uno sforzo appropriato, secondo criteri di normalità,
finalizzato a soddisfare l’interesse del creditore.
Il secondo comma dell’articolo 1176 c.c. precisa che, se l’obbligazione è inerente all’esercizio
di una attività professionale, la diligenza deve essere valutata con riguardo alla natura dell’attività
esercitata: si parla, in questo caso, di diligenza tecnica (o professionale) e il debitore è obbligato
ad attenersi a quelle regole tecniche che sono proprie di ogni tipo di attività e che gli consentano
di eseguire la prestazione “a regola d’arte”.
L’obbligo di diligenza individua, dunque, le modalità dell’esecuzione della prestazione e rap-
presenta, come sarà chiaro a breve, il criterio di imputazione della responsabilità del debitore
in caso di inadempimento. In quest’ultimo caso, la diligenza, cioè, indica lo sforzo che il debitore
deve impiegare per evitare l’inadempimento o l’inesattezza dell’adempimento.
Non sempre, però, un comportamento perfettamente diligente del debitore porta al soddi-
sfacimento dell’interesse del creditore. In alcuni casi, infatti, è necessario il raggiungimento di
un certo risultato, in assenza del quale il debitore è inadempiente, anche se si è comportato in
maniera diligente.
Facciamo degli esempi. Se l’obbligazione ha ad oggetto il pagamento di una somma di denaro, il
creditore ha interesse ad ottenere il pagamento e l’obbligazione può dirsi adempiuta solo nel momento in
cui tale pagamento avviene: in assenza del pagamento, il debitore è inadempiente e a nulla vale un suo
eventuale comportamento diligente.
Se, invece, l’obbligazione ha ad oggetto la prestazione di un professionista, ad esempio, di un avvocato,
che difende in un giudizio il creditore, quest’ultimo ha interesse ad essere assolto. Nessun avvocato, però,
può ovviamente garantire l’assoluzione e, infatti, in questo caso, la diligenza professionale è sufficiente a
far ritenere l’obbligazione adempiuta. Lo stesso discorso vale per il medico che non può garantire la riuscita
di una terapia o di un intervento chirurgico, ma è obbligato a fare tutto il possibile e ad usare tutte le sue
conoscenze per soddisfare l’interesse del paziente.
Quanto detto chiarisce la distinzione tra obbligazioni di mezzi — nelle quali il debitore, per ritenersi
“adempiente”, è tenuto esclusivamente a tenere una condotta diligente — e obbligazioni di risultato, nelle
quali il debitore è tenuto a fornire al creditore un determinato risultato finale.
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esegua personalmente la prestazione (art. 1180 del codice civile) (si pensi al caso in cui un famoso
chirurgo si sia obbligato nei confronti del paziente ad eseguire un delicato intervento chirurgico:
in questo caso, il paziente-creditore può legittimamente rifiutare l’adempimento offertogli da
un terzo, cioè da un altro chirurgo).
f) L’inadempimento
Dal concetto di adempimento, ricaviamo quello di inadempimento: l’inadempimento
dell’obbligazione può essere definito come la mancata o inesatta esecuzione della prestazione.
b) nella reintegrazione in forma specifica, cioè nella ricostruzione di una situazione corri-
spondente a quella che sarebbe esistita se non fosse intervenuto il fatto che ha cagionato il
danno.
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presupposti legislativi, dichiari inefficaci nei suoi confronti gli atti di disposizione del patrimonio
con i quali il debitore abbia recato pregiudizio alle sue ragioni).
Può accadere, però, che le parti abbiano esigenze che non possono essere soddisfatte attra-
verso la stipulazione di uno dei contratti tipici. In questo caso esse, come stabilisce il 2° comma
dell’art. 1322 c.c., possono concludere contratti diversi da quelli espressamente previsti e
disciplinati dalla legge, purché tali contratti siano diretti a realizzare interessi meritevoli di tutela
secondo l’ordinamento giuridico.
Questi contratti, non previsti dalla legge, sono qualificati contratti atipici.
Le parti possono, dunque, stipulare un contratto atipico solo quando perseguono interessi
meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico. Tali interessi possono dirsi meritevoli di
tutela quando sono quanto meno compatibili con l’utilità sociale, quando il contratto, cioè,
non è in contrasto con gli interessi della collettività e non reca danno alla sicurezza, alla libertà e
alla dignità umana. Gli interessi non sono invece meritevoli di tutela quando non sono conformi
alle esigenze della comunità.
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L’autonomia di cui godono i privati in ambito contrattuale è, in realtà, più ampia rispetto alla
formulazione dell’art. 1322 c.c., perché ciascuno di noi è libero, prima ancora di determinare il
contenuto del contratto e di concludere negozi atipici, di decidere se stipulare o non stipulare
il contratto stesso (cd. libertà di contrarre, confermata dalla facoltà di revocare la proposta e
l’accettazione fino al momento della conclusione del contratto) e di scegliere la persona o le
persone con le quali contrarre.
Inoltre, si consideri che la libertà di contrarre può essere limitata dalla previsione di un obbli-
go a contrarre, che può ad esempio essere previsto dalla legge (es. come accade in presenza di
situazioni di monopolio legale, che si verificano quando la produzione e l’offerta di un determi-
nato bene o servizio è attribuita dallo Stato ad un unico soggetto); oppure può essere previsto
dalle parti (es. se è stato stipulato un contratto preliminare, le parti sono obbligate a prestare il
proprio consenso per la stipulazione di un successivo contratto, detto definitivo).
b) non patrimoniale, cioè il danno arrecato direttamente alla persona del danneggiato, senza
colpire, né direttamente, né indirettamente, il suo patrimonio.
Si pensi alle sofferenze psicologiche determinate da una lunga degenza in ospedale conseguente ad un
incidente automobilistico. Poiché, in questo caso, però, il danno consiste nella perdita o nella lesione di un
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bene che non può essere oggetto di scambio o di valutazione economica, il risarcimento del danno potrà
avvenire solo tramite la corresponsione di una somma di denaro determinata in via equitativa dal giudice.
Ferme queste considerazioni, si tenga presente che il legislatore non ha elencato le singole
figure di fatti illeciti, limitandosi a sancire un principio generale (art. 2043 cit.) e a prevedere
alcune particolari fattispecie generatrici di responsabilità (artt. 2047-2054 del codice civile). Il
nostro ordinamento ha accolto, infatti, il principio della atipicità dell’illecito civile: l’illecito
civile (a differenza dell’illecito penale) è atipico nel senso che non sono stati stabiliti a priori quali
fatti umani siano idonei a cagionare un danno (e, quindi, un obbligo di risarcimento).
La responsabilità derivante dal compimento di un atto illecito è definita responsabilità
extracontrattuale.
Il soggetto può essere considerato responsabile del fatto dannoso solo però se è imputabile,
se cioè è capace di intendere e di volere al momento in cui ha commesso il fatto. Precisamente,
per essere giudicato imputabile, il soggetto deve avere tanto la capacità di intendere (risultare,
cioè, dotato di facoltà intellettuali sufficienti a renderlo consapevole del comportamento che
pone in essere) quanto la capacità di volere (apparire, cioè, in grado di operare una libera scelta
tra vari possibili comportamenti, in modo che quello posto in essere possa dirsi volontario).
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