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L'attività Amministrativa dell'Ente Locale. Il procedimento e la tutela della Privacy
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ESPANSIONE SEMPLIFICATA
L’ATTIVITÀ AMMINISTRATIVA DELL’ENTE LOCALE.
IL PROCEDIMENTO E LA TUTELA DELLA PRIVACY

1. Il procedimento amministrativo

È possibile immaginare un’azione della pubblica amministrazione senza il previo svolgimento di


un procedimento? La risposta è no: è mediante il procedimento amministrativo, infatti, che le
amministrazioni rendono manifeste all’esterno le proprie volontà e le proprie decisioni.
È questa la chiave di lettura per comprendere cosa sia il procedimento amministrativo, ossia
quella procedura che precede l’adozione del provvedimento e che consiste in una serie coordinata di
atti ed operazioni destinata al raggiungimento dell’interesse pubblico.
Il procedimento, infatti, ha un duplice volto: è non solo il presupposto per la emanazione del
provvedimento finale, ma anche il momento in cui vengono bilanciati gli interessi pubblici
(perseguiti dalla P.A.) e quelli privati (ossia di cittadini e imprese), che devono subire il minor
sacrificio possibile in relazione alle esigenze della collettività.

2. I principi dell’attività amministrativa e del procedimento

L’attività della P.A. può essere compresa, innanzitutto, analizzando una serie di principi che
vengono a concretizzarsi nelle norme di diritto amministrativo. Si tratta di principi stabiliti non solo
dalla Costituzione ma dalle leggi ordinarie.
Per quanto riguarda la Carta costituzionale, l’articolo che delinea i principi essenziali dell’azione
amministrativa è l’art. 97, secondo il quale «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni
di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione».
Il provvedimento di legge più importante per definire i principi dell’attività amministrativa è,
invece, la L. 7 agosto 1990, n. 241 (Norme sul procedimento amministrativo).
Vediamo nel dettaglio quali sono questi principi.

a) Il principio di legalità e la riserva di legge

Uno dei più importanti principi che regolano l’azione amministrativa è il principio di legalità.
Il principio di legalità si deduce dal 2° comma dell’art. 97 Cost. («I pubblici uffici sono organizzati
secondo disposizioni di legge») ed impone lo svolgimento dell’attività amministrativa nel rispetto
della legge. Ne consegue che l’amministrazione è tenuta non solo a perseguire i fini determinati dalla
legge, ma anche ad operare conformemente alle disposizioni normative.

La Costituzione attribuisce, quindi, l’organizzazione e il funzionamento dell’amministrazione statale al Parlamento, che


vi deve provvedere con apposite leggi (è disposta qui una riserva di legge). Queste devono:
— indicare gli obiettivi che la Pubblica amministrazione deve perseguire;
— predisporre la struttura degli uffici pubblici;
— stabilire i compiti che gli uffici devono eseguire;
— attribuire loro il potere di svolgere le funzioni che gli sono conferite.
Il principio di legalità rappresenta una garanzia fondamentale per i cittadini, poiché impedisce ai soggetti pubblici di
limitare i diritti del cittadino qualora ciò non sia necessario per raggiungere un obiettivo pubblico espressamente
individuato dal legislatore. Tale principio è ribadito anche dall’art. 1 della L. 241 del 1990: l’attività amministrativa deve
perseguire i fini determinati dalla legge.

b) Il principio di buon andamento

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L’art. 97 sancisce anche il principio di buon andamento della P.A. Si tratta di un principio generale
che, preso alla lettera, sembra ribadire un concetto ovvio e pacifico. In realtà se ne possono ricavare
delle specificazioni che aiutano a capire il significato esatto dell’espressione «buon andamento».

Ad esempio, se l’amministrazione decide di costruire un centro sportivo e ha a disposizione un terreno adatto a tale
scopo e non utilizzato per altro fine di pubblico interesse, essa non potrà espropriare il terreno di un cittadino, sacrificando
il suo diritto di proprietà, se non esistono valide ragioni per giustificare questa scelta; i principi suddetti le impongono,
infatti, di utilizzare il terreno che essa ha già a disposizione, se idoneo alla realizzazione del fine pubblico.

c) Il principio di imparzialità

Sempre l’art. 97 Cost. stabilisce il principio di imparzialità, in base al quale chi agisce per conto
della Pubblica amministrazione non deve operare, nello svolgimento delle sue funzioni,
favoritismi o discriminazioni. L’imparzialità può essere considerata la più significativa espressione
del principio di eguaglianza nell’ambito dell’attività amministrativa.

Il principio di imparzialità può assumere sia un significato negativo, sia un significato positivo.
Sotto il primo profilo, infatti, tale principio obbliga la pubblica amministrazione a comportarsi nello stesso modo nei
confronti di tutti i cittadini, senza operare alcuna discriminazione (in pratica si tratta di un obbligo di non fare). Lo stesso
principio, però, può essere inteso in senso positivo come obbligo di fare, in particolare come obbligo di identificare e
valutare, non un particolare interesse, ma tutti quelli coinvolti affinché la scelta finale sia il risultato di un completo esame
dei fatti e degli interessi in gioco. Connesso al principio di buon andamento e di imparzialità vi è il principio di
ragionevolezza in forza del quale l’attività della P.A. non deve solo rispettare la legge ma deve anche evitare decisioni
irrazionali e arbitrarie.

d) Il principio di trasparenza e il diritto di accesso ai documenti amministrativi

A questi sanciti a livello costituzionale, le leggi ordinarie hanno aggiunto altri principi, sanciti
dall’art. 1 L. 241/1990.
Tra questi occorre ricordare i criteri di economicità (obbligo per la P.A. di realizzare il miglior
risultato possibile, in rapporto alla quantità di risorse a disposizione); efficacia (implica il raffronto
tra i risultati programmati e quelli raggiunti); imparzialità (posizione di equidistanza
dell’amministrazione rispetto a tutti gli interessi coinvolti in una determinata fattispecie) pubblicità
(la P.A. deve rendere accessibili agli interessati notizie e documenti concernenti l’operato dei pubblici
poteri) e, infine, trasparenza.
Il principio di trasparenza, in particolare, va inteso come diritto del privato cittadino di conoscere
facilmente e di controllare l’attività della pubblica amministrazione, così da potersi difendere
contro eventuali abusi. Come risvolto di tale principio vi è l’obbligo della P.A. di mettere a
disposizione del pubblico tutte le informazioni riguardanti la propria attività. Ovviamente non tutte
le informazioni possono essere rese di pubblico dominio, dal momento che esistono atti riguardanti
settori particolari dell’attività della pubblica amministrazione (ad esempio, la difesa dello Stato, la
politica economica e monetaria) o contenenti informazioni di natura strettamente personale, che non
possono essere divulgati.
Dunque, la principale conseguenza dell’affermazione del principio della trasparenza è il diritto
che può essere vantato da ogni cittadino di avere accesso agli atti e ai documenti elaborati dalla
pubblica amministrazione e, in particolare, a quegli atti che lo riguardano direttamente, e di cui
parleremo approfonditamente nella trattazione. In questo modo i cittadini hanno la possibilità di
controllare la correttezza dell’operato della Pubblica amministrazione: hanno il diritto, ad esempio,
di conoscere i tempi entro i quali si porterà a termine un provvedimento, il nome del funzionario
responsabile di una certa pratica e le motivazioni per cui una determinata decisione amministrativa è
stata adottata. Uno degli effetti pratici dell’affermazione di questo diritto si può riscontrare anche nel
settore dei concorsi pubblici: la commissione esaminatrice, infatti, deve consentire ai candidati che

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hanno partecipato al concorso, qualora lo richiedano, la visione delle prove da loro sostenute
(l’accesso agli atti del concorso).
La trasparenza è, poi, il filo conduttore dell’importante intervento normativo con il quale il
legislatore ha inteso rendere ancora più conoscibili l’organizzazione e l’attività della P.A. Si tratta del
D.Lgs. 14-3-2013, n. 33 (cd. Testo Unico per la trasparenza nelle pubbliche amministrazioni) che
disciplina i molteplici obblighi di informazione, pubblicità e trasparenza che gravano in capo alle
amministrazioni. Correlato alla trasparenza è poi il nuovo principio dell’“anticorruzione”, che, come
vedremo, ricorre tantissimo nelle normative degli ultimi anni e che implica misure di lotta e di
prevenzione ai fenomeni di corruzione e di cattiva amministrazione tra i pubblici uffici, una delle
piaghe che continua a flagellare l’immagine e il prestigio delle strutture pubbliche.
Dall’accesso procedimentale, si ricordi, va poi tenuto distinto l’accesso civico, introdotto dal
D.Lgs. 33/2013, come mod. dal D.Lgs. 97/2016, il quale, pur nella sua duplice veste di accesso civico
semplice e accesso civico generalizzato, si connota in quanto per la relativa istanza non è richiesto un
interesse specifico, non essendovi alcuna limitazione alla legittimazione soggettiva del richiedente.

3. Attività discrezionale e attività vincolata

Occorre inoltre focalizzare subito un aspetto importante: l’emanazione degli atti amministrativi
non è lasciata al libero arbitrio della pubblica amministrazione, nel senso che essa non è pienamente
libera di decidere se, come e quando agire; nell’esercizio della sua attività essa incontra talune
limitazioni stabilite dalla legge.
I limiti possono essere fissati in modo preciso e puntuale, ovvero in modo elastico, sì da lasciare
alla pubblica amministrazione un certo ambito di valutazione; nella prima ipotesi l’attività
dell’amministrazione si dice vincolata, nella seconda discrezionale.
La discrezionalità amministrativa, dunque, è la facoltà di scegliere, nei limiti stabiliti dalla
legge, il comportamento che secondo la pubblica amministrazione è più idoneo ad una migliore
soddisfazione dell’interesse pubblico.
Il riconoscimento di una più o meno ampia discrezionalità in capo alla pubblica amministrazione
nasce dall’esigenza fondamentale di realizzare i fini pubblici nel modo più appropriato ed opportuno.
Un medesimo fine pubblico, infatti, non è nel tempo perseguibile sempre con le stesse modalità. Volta
per volta, nel prendere una decisione la pubblica amministrazione deve valutare anche eventuali
interessi contrastanti con il fine che si intende perseguire. La scelta fatta dovrà permettere il
perseguimento del fine, ma allo stesso tempo preservare, o quantomeno evitare di svilire, gli altri
interessi. È necessario, quindi, che la pubblica amministrazione abbia la possibilità di procedere
tenendo conto del caso concreto.
Naturalmente la pubblica amministrazione, nell’esercizio di questa discrezionalità, deve rispettare
dei limiti ben precisi, rappresentati essenzialmente dall’interesse pubblico e dai principi di logica,
imparzialità e ragionevolezza, pena l’illegittimità dell’atto amministrativo.

4. La L. 241/1990 sul procedimento amministrativo: le chiavi di lettura

Per comprendere appieno come si svolge il procedimento amministrativo bisogna partire dalla L.
241/1990.
Si tratta di una legge molto importante - che non a caso ha subito diverse “novelle” da parte del
legislatore, dovendosi adeguare al mutare dei tempi e delle esigenze di sburocratizzazione - che si
propone di migliorare l’azione amministrativa, eliminandone, per quanto possibile, le disfunzioni e
le inefficienze e creando un nuovo rapporto tra governati e governanti, improntato alla
democratizzazione dell’azione amministrativa.
Essa, infatti, ha sancito il passaggio da una P.A. posta in posizione di supremazia rispetto ai
cittadini ad una P.A. che invece si colloca quasi sullo stesso piano dei privati, e ricerca la loro
collaborazione e partecipazione.

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Le disposizioni della L. 241/1990 si applicano alle amministrazioni statali, territoriali e locali,


agli enti pubblici nazionali nonché alle società con totale o prevalente capitale pubblico (qui, è ovvio,
limitatamente all’esercizio delle funzioni amministrative).

Inoltre, vedremo che il procedimento è a sua volta articolato in alcuni step:


— la fase della iniziativa, ossia è quella in cui prende avvio il procedimento; l’iniziativa, a sua volta, può provenire sia
da un privato che dalla stessa amministrazione;
— la fase istruttoria, che è invece quella centrale dell’iter, perché vengono acquisiti e valutati i singoli dati pertinenti e
rilevanti ai fini dell’emanazione del provvedimento;
— la fase decisoria, in cui si determina il contenuto del provvedimento da adottare e si provvede alla formazione ed
emanazione dello stesso;
— la fase integrativa dell’efficacia, che infine, è un momento solo eventuale, ricorrente nelle sole ipotesi in cui sia la
stessa legge a non ritenere sufficiente la perfezione dell’atto, richiedendo il compimento di ulteriori e successivi atti od
operazioni (ad esempio comunicazioni, notificazioni ecc.).

Per comprendere il procedimento bisogna ricordare alcune regole fondamentali fissate dalla L.
241/1990:
— la P.A. deve concludere il procedimento con un provvedimento espresso (cioè la P.A. non può
“stare in silenzio”) ed entro un periodo di tempo relativamente breve (30 giorni è la regola, elevabili
fino a 90 e 180 per i procedimenti amministrativi più complessi): ciò per evitare che l’azione della
P.A. si protragga troppo a lungo nel tempo e al fine di dare certezza ai privati che entrano in contatto
con i pubblici uffici.
Cosa accade se la P.A. non conclude nei termini citati il procedimento? Vengono a crearsi distinte ipotesi di
responsabilità. In primo luogo, la mancata o tardiva emanazione del provvedimento è causa di responsabilità disciplinare
e amministrativa del dirigente e del funzionario inadempiente. In secondo luogo, il privato può richiedere un indennizzo
alla P.A. per il ritardo nell’emanazione del provvedimento. Infine, il privato che ne abbia interesse può anche agire in
giudizio, ricorrendo al giudice amministrativo nel caso in cui i termini siano passati senza alcun provvedimento, affinché
venga accertato l’obbligo della P.A. di provvedere;

— la P.A. deve motivare espressamente il suo provvedimento amministrativo. Tale obbligo


impedisce che siano assunte decisioni i cui motivi restino ignoti ai cittadini, perché la P.A. deve dare
conto delle ragioni che l’hanno spinta ad emanare un certo provvedimento;
— deve essere individuato un responsabile del procedimento, ossia la persona fisica cui è
affidata la gestione del procedimento, che ha compiti ben definiti dalla L. 241/1990. Il suo nominativo
deve poter essere conosciuto dai privati, perché è il loro interlocutore per ciascun procedimento;
— il cittadino deve poter “partecipare” al procedimento: ad esempio deve poter prendere
visione degli atti e presentare memorie scritte e documenti;
— l’azione amministrativa deve essere sempre più semplice. Manifestazioni della progressiva
opera di semplificazione sono, ad esempio, il cd. silenzio assenso (abbiamo visto sopra che è sempre
necessario un provvedimento espresso in tutti i casi in cui la P.A. non dà risposta ad una richiesta del
privato, la legge stabilisce che il suo silenzio abbia valore di accoglimento - ecco perché «assenso» -
della richiesta stessa) o gli istituti della conferenza di servizi e della segnalazione certificata di inizio
attività (Scia);
— la P.A. deve diventare sempre più digitale, ossia deve utilizzare gli strumenti telematici sia nei
rapporti interni che tra amministrazioni e cittadini. Scopo di tale previsione è garantire un’azione
amministrativa più trasparente e veloce, dal momento che ci si è resi conto che, eliminando sempre
più il cartaceo, pratiche ed adempimenti diventano maggiormente celeri ed efficaci.

5. Capire la moderna attività amministrativa attraverso i principi di partecipazione,


semplificazione e informatizzazione

I motivi conduttori delle riforme legislative che, nell’ultimo ventennio e fino ad oggi, sono state
alla base del progressivo mutamento della fisionomia dell’azione amministrativa trovano il proprio

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comune denominatore, essenzialmente, nei criteri di partecipazione, semplificazione e


digitalizzazione.
Questi, a loro volta, costituiscono l’espressione di importanti principi costituzionali, tra cui
l’imparzialità, il buon andamento e la legalità dell’azione delle amministrazioni pubbliche, ai sensi
dell’art. 97 Cost.
Nella trattazione sull’attività amministrativa studieremo prima gli istituti della partecipazione –
e cioè la figura del responsabile del procedimento, l’obbligo di comunicazione dell’avvio del
procedimento, il diritto degli interessati ad intervenire nel procedimento, di prendere visione degli
atti del procedimento e di presentare memorie scritte e documenti, il preavviso di rigetto etc. - poi
esamineremo quelli legati alla semplificazione e ai suoi innumerevoli risvolti, specie “digitali”.
Si tenga tuttavia presente che non è sempre netto il confine tra i suddetti principi e gli istituti che
ne costituiscono diretta espressione. Un esempio su tutti: gli accordi. Come si vedrà, gli accordi
racchiudono sia evidenti profili partecipativi che aspetti di semplificazione. Questo vale per altri
istituti (si pensi alla conferenza di servizi, oppure allo strumento del preavviso di rigetto, o ancora
alle discipline in tema di accesso, espressioni di principi e finalità diverse).
Ciò vuol dire che occorre guardare agli istituti sempre in una visione di insieme, nell’ottica di
un’unica legge sul procedimento amministrativo che persegue determinati principi di democraticità
e legalità e agisce secondo criteri di efficienza, partecipazione e trasparenza, semplificando quanto
più possibile il rapporto tra l’ufficio pubblico e il cittadino.

6. Semplificazione e digitalizzazione: l’attività amministrativa alla luce del Codice


dell’amministrazione digitale

Nella trattazione sull’attività amministrativa faremo spesso riferimento al concetto di


semplificazione, che opera in contrapposizione a quello di «burocrazia».
Il legislatore negli anni ha cercato, operando a vari livelli (organizzativo, normativo,
amministrativo), di porre un freno ad un apparato pubblico farraginoso, connotato da procedure
lunghe e complicate, per delineare finalmente un’amministrazione aperta al pubblico e con la quale
diventa semplice interfacciarsi.
Vari sono i livelli della semplificazione ed essa, attualmente, viene sempre più associata ai
principi della trasparenza e della informatizzazione dell’azione amministrativa.
Ecco perché ci soffermeremo a lungo sulla informatizzazione dell’attività amministrativa e sul
progressivo abbandono della carta a favore del digitale: l’utilizzo dei sistemi informatici da parte
delle amministrazioni pubbliche ha il duplice vantaggio di abbattere i costi delle stesse nonché di
velocizzare gli adempimenti e quindi sveltire le relazioni P.A-utenti.
Il testo di riferimento per la digitalizzazione dell’azione amministrativa è il CAD, Codice
dell’amministrazione digitale, D.Lgs. 82/2005.
Occorre sempre tenere presente che le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ITC)
sono un importante «fattore trasversale» per rafforzare la trasparenza e l’efficienza degli uffici
pubblici: tali criteri, infatti, presentano l’indubbio vantaggio di creare un rapporto democratico tra
apparato pubblico e soggetti privati, che sono messi nelle condizioni di partecipare in maniera più
consapevole ai procedimenti amministrativi. Il Codice, lo ricordiamo, introduce nuovi diritti per i
cittadini e per le imprese e definisce il quadro giuridico che ne garantisce l’effettivo godimento (ossia
la Carta della cittadinanza digitale); predispone nuovi strumenti digitali e innovativi strumenti per
una pubblica amministrazione che funzioni meglio e costi meno ai contribuenti (ad esempio, lo Spid,
la firma digitale, la PEC, posta elettronica certificata etc.).
Si parla, poi, di semplificazione amministrativa propriamente intesa, per indicare sia
l’introduzione di nuovi istituti dell’azione amministrativa sia lo svecchiamento di altri già esistenti.
In questa prospettiva è possibile inquadrare la disciplina di alcuni istituti procedimentali, come la
conferenza di servizi, come gli accordi e come la segnalazione certificata di inizio attività (Scia).

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Un ulteriore importante riflesso della semplificazione amministrativa è anche la tendenza a


sostituire provvedimenti espressi di tipo autorizzatorio con provvedimenti taciti tipizzati (ad. es., il
silenzio assenso, ormai generalizzato). Si tratta, è evidente, di istituti decisivi per fluidificare i
rapporti tra amministrazioni e tra queste ultime e i cittadini.

Nella medesima ottica si colloca la progressiva liberalizzazione delle attività economiche private: la qualità e
l’efficienza delle amministrazioni rappresentano condizioni indispensabili per la crescita economica ed il rilancio della
competitività del Paese, laddove le imprese, per crescere e svilupparsi, hanno bisogno di interagire con uffici pubblici
responsabili, efficaci ed informatizzati, in un’ottica di alleggerimento degli oneri e della burocrazia. Si pensi nuovamente,
in questa prospettiva, alla SCIA, segnalazione certificata di inizio attività, ed alla progressiva esclusione della necessità
di preventivi atti di autorizzazione per porre in essere determinate attività e iniziative.

7. La semplificazione della documentazione amministrativa

Un profilo importante della semplificazione è anche quello che riguarda la documentazione


amministrativa.
La trattazione partirà dal concetto di documento amministrativo, che racchiude l’atto
amministrativo e, cioè, incorpora un dato o una informazione, e dal quale dipendono poi una serie
di diritti in capo ai soggetti. In pratica, il documento può essere inteso come qualsiasi riproduzione,
anche fotografica, che proviene dalla P.A. e che rende l’atto “percepibile”: questo significa che, da
un lato, vi è l’atto giuridico e, dall’altro, il documento in cui l’atto è consacrato.
Tutti gli istituti giuridici concernenti la materia sono disciplinati dal D.P.R. 445/2000, T.U.
documentazione amministrativa - che in alcuni punti ricalca la legge sul procedimento amministrativo
- ed hanno come scopo fondamentale quello di dare certezza di fatti, stati o qualità personali:
certificati, autocertificazioni, documenti di identità e di riconoscimento, firma digitale etc. sono,
infatti, tutti strumenti finalizzati a creare o a mettere in circolazione certezze di vario genere e grado.
Fra tutti gli strumenti della semplificazione della documentazione, si deve tenere presente che
quelli di maggiore diffusione sono le dichiarazioni sostitutive, generalmente conosciute come
autocertificazioni, perché consentono al cittadino di sostituire un atto amministrativo di certezza con
una propria dichiarazione. In particolare, focalizzeremo la distinzione tra:
— le dichiarazioni sostitutive di certificazioni, con cui l’interessato può sostituire a tutti gli effetti
ed a titolo definitivo, attraverso una propria dichiarazione sottoscritta, certificazioni amministrative
relative a fatti, stati e qualità risultanti da registri custoditi dalla pubblica amministrazione. Sono
autocertificabili, ad esempio, alcuni dati come data e luogo di nascita, residenza, domicilio, stato di
celibe, vedovo o coniugato, titolo di studio, iscrizione in albi ecc.;
— le dichiarazioni sostitutive di atto di notorietà, con cui, invece, l’interessato può comprovare
tutti quei fatti, stati e qualità personali, di cui ha diretta conoscenza, che non risultano compresi tra
quelli per cui è possibile il ricorso alla dichiarazione sostitutiva di certificazione, con la sola eccezione
di
quelli per cui questa possibilità sia esplicitamente esclusa da una legge.
Ricordiamo sempre che la mancata accettazione delle dichiarazioni sostitutive costituisce, per il
dipendente pubblico, violazione dei doveri d’ufficio.
L’analisi della documentazione amministrativa, di grande interesse specie in relazione a concorsi
legati all’ambito amministrativo, proseguirà esaminando ulteriori istituti, anch’essi prettamente
connessi alla dimensione della digitalizzazione amministrativa, tra cui, ad esempio, il sistema delle
firme elettroniche e digitali, l’attività di protocollazione, la conservazione dei documenti e gli archivi.

8. La protezione dei dati personali e la privacy nell’attività amministrativa

a) La differenza tra privacy e riservatezza come chiave di lettura per capire il GDPR

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Quello della privacy è sicuramente un concetto mutevole, legato all’evolversi del contesto
giuridico e sociale e che mostra tutta la sua naturale dinamicità nell’attuale cd. società informatica.
La prima considerazione per chi approccia l’argomento è che, usualmente, viene utilizzato il
termine inglese privacy (che in italiano è tradotto per lo più come vita privata o riservatezza o intimità)
per indicare una «materia» di per sé complessa, che presenta innumerevoli sfaccettature e
problematiche.
Oggi si sente parlare di privacy in tutti gli ambiti della nostra vita, tanto che tale termine è entrato
nel lessico comune: a ciascuno di noi, infatti, è certamente capitato, nella quotidianità, che ci venga
chiesto di prestare il «consenso al trattamento dei dati», ad esempio, quando ci colleghiamo ad
internet magari per effettuare un acquisto online o l’iscrizione ad un social network, oppure quando
chiediamo di fare un’operazione in banca (come la richiesta di un mutuo) o quando ci rechiamo dal
medico. Ciò perché, anche senza rendercene conto, in mille modi diversi ogni giorno lasciamo
ovunque dati personali, cioè delle «tracce» che «parlano» di noi e delle nostre preferenze di vita, che,
laddove mal gestiti, possono creare danni e ingerenze poco gradite.
La seconda considerazione attiene alla differenza tra privacy e riservatezza, che sebbene
utilizzati spesso come sinonimi nel linguaggio comune, in realtà sono due nozioni differenti: la
riservatezza è il diritto alla intimità della propria sfera privata e dei propri dati personali, che devono
essere salvaguardati dalla curiosità altrui, mentre la privacy è una «estensione» di tale diritto, poiché
individua tutti gli elementi che definiscono l’identità dell’individuo, la sua storia, le sue abitudini e
ogni suo status.
Il diritto alla privacy, ove legato alla protezione dei dati personali e al controllo sulla loro
circolazione, dunque, estende la tutela dell’individuo al di là della sfera della vita privata (ossia
riservatezza) e la trasferisce nella dimensione sociale, attribuendo al soggetto che ne è titolare anche
il diritto di impedire che vengano divulgate informazioni sulla sua persona nonché di controllare la
raccolta e il trattamento delle informazioni stesse, fornendogli nel contempo gli strumenti per la tutela
di tali informazioni.
Questa distinzione è fondamentale per capire l’evoluzione normativa in materia, culminata nel
GDPR (General Data Protection Regulation), ossia il Regolamento europeo per la protezione dei
dati personali, operativo in tutta l’Unione europea dal 25 maggio 2018. Il regolamento definisce,
infatti, un sistema di norme per la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati
personali e stabilisce norme per la libera circolazione di tali dati uniformi per tutti i paesi UE.
A seguito di tale regolamento, inoltre, anche le singole normative nazionali sono state novellate
profondamente: nel nostro Paese, infatti, il Codice privacy, D.Lgs. 196/2003, è stato adeguato al
mutato contesto, mediante il D.Lgs. 101/2018.

b) Dati personali, trattamento e soggetti

L’analisi sulla protezione dei dati personali si articolerà tenendo presente, da un lato, la
disciplina europea (GDPR) e, dall’altro lato, la normativa nazionale (Codice privacy),
coordinando gli istituti in una necessaria ottica di insieme.
L’ambito di applicazione della privacy è infatti molto ampio, riguardando sia i rapporti tra soggetti
privati sia, e soprattutto, i rapporti tra un privato e la pubblica amministrazione.
La trattazione si sofferma prima sul concetto di dato personale (sono dati personali, lo ricordiamo,
quelle informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente, come i dati anagrafici, o
indirettamente, come il codice fiscale o un numero di targa, una persona fisica), passando poi
all’esame delle categorie particolari di dati personali (ossia i dati che rivelino l’origine razziale,
etnica, le opinioni politiche e religiose, l’appartenenza sindacale etc. nonché i dati genetici, biometrici
e relativi alla salute) e dei dati relativi a condanne penali e reati (cd. dati giudiziari). Il titolare dei
dati, lo ricordiamo, si definisce interessato.
In seguito, sarà analizzato il trattamento dei dati personali - ricordiamo che il dato personale è
trattato quando è sottoposto a qualsiasi operazione o insieme di operazioni, compiute con l’ausilio di

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processi automatizzati o anche senza, ossia mediante il lavoro di operatori, tra cui la raccolta, la
registrazione, l’organizzazione, la strutturazione, la conservazione, l’adattamento o la modifica,
l’estrazione, la consultazione etc. - con i relativi principi e presupposti di liceità, senza i quali, cioè,
il trattamento è invalido e il dato non può essere utilizzato.
Si passerà poi all’esame delle figure coinvolte a vario titolo e con differenti attribuzioni nella
complessa gestione del trattamento dei dati: titolare, responsabile e incaricati.
Il titolare del trattamento è colui che determina le finalità e i mezzi del trattamento di dati
personali: questa figura corrisponde pertanto al soggetto che ha la piena responsabilità di controllare
che i dati vengano trattati in modo appropriato e sicuro, nel rispetto della legge. Al titolare spetta, ad
es., la cd. informativa, da fornire sia qualora i dati personali siano raccolti presso l’interessato sia nel
caso invece non siano stati ottenuti dallo stesso.
Al titolare del trattamento si affianca un’altra figura, un soggetto fisico o giuridico, nominato dal
titolare anche in base al rapporto fiduciario che intercorre tra i due: il responsabile del trattamento,
che opera concretamente e direttamente nella disponibilità dei dati personali, svolgendo una funzione
di supporto al titolare nel trattamento dei dati. Vi sono poi gli incaricati del trattamento, che devono
operare sotto la diretta autorità del responsabile e devono elaborare i dati personali ai quali hanno
accesso attenendosi alle istruzioni impartite.

Con il GDPR nasce, infine, una nuova figura: il Responsabile della protezione dei dati (Data Protection Officer o
DPO), avente, tra gli altri, il compito di assicurare una gestione corretta dei dati personali nelle imprese e negli enti e di
porsi come referente principale presso ogni ente o struttura.
Gli interessati, in pratica, possono contattarlo per tutte le questioni relative al trattamento dei loro dati personali e
all’esercizio dei loro diritti derivanti dal regolamento. Si tratta di una figura obbligatoria quando i dati personali siano
trattati da un’autorità pubblica o da un organismo pubblico (quindi, ad esempio, le pubbliche amministrazioni devono
necessariamente dotarsene) e con numerose attribuzioni, tra cui, ad es., informare e fornire consulenza al titolare o al
responsabile del trattamento nonché ai dipendenti che eseguono il trattamento in merito agli obblighi derivanti dal
regolamento oppure sorvegliare l’osservanza, da parte del personale, delle normative sulla privacy.

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